Дисертації з теми "Storia delle istituzioni locali"

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Grazia, Mura Angela. "L’archivio dell’Ufficio capitaniale e vicariale di Fassa. Sezione di Antico regime (1550-1803)." Doctoral thesis, Università di Siena, 2018. http://hdl.handle.net/11365/1046842.

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Анотація:
Angela Grazia Mura L’archivio dell’Ufficio capitaniale e vicariale di Fassa. Sezione di Antico regime (1550-1803) Tesi di dottorato in Beni culturali e Storia medievale discussa presso l’Università degli studi di Siena a.a. 2016-2017, tutor prof. Andrea Giorgi Abstract Oggetto della ricerca è lo studio dell’archivio dell’Officio capitaniale e vicariale di Fassa di Antico regime, nell’arco di tempo compreso tra l’inizio di una organizzata e strutturata produzione documentaria (1549) e la secolarizzazione del Principato vescovile di Bressanone (1803), organismo statuale dell’Impero del quale esso amministrava la circoscrizione territoriale (giudizio) corrispondente all’omonima valle, oggi nella porzione nord-orientale del Trentino (I). Lo studio della struttura ordinamentale dell’archivio e dal suo inventario, oggetto della parte centrale del lavoro, consente di delineare il contesto di produzione, trasmissione e conservazione documentaria, il funzionamento della cancelleria principale dell’ufficio e le sue relazioni con quelle periferiche, ma anche gli strumenti di cui il potere principesco si serviva per amministrare la giustizia e le proprie rendite dal territorio. Ne emergono elementi di dettaglio per tratteggiare il quadro delle competenze istituzionali dell’ente produttore – di controllo politico e di amministrazione della giustizia, della fiscalità e delle rendite economiche vescovili in Valle –, che si sono espresse, nell’arco di questi due secoli e mezzo, attraverso la documentazione scritta. La descrizione del profilo storico-istituzionale del Giudizio di Fassa e delle relazioni verticali – con il Principato da una parte e con le sue comunità dall’altra – e trasversali, con i giudizi circumvicini con il potere principesco vescovile, che viene presentata nella prima parte del lavoro, consente di collocare opportunamente le modalità di inquadramento di terre, persone e comunità entro il quadro giuspubblicistico. Lo studio del fondo archivistico lasciato dall’Ente, oggi conservato presso l’Archivio di Stato di Trento, e l’inventario, a livello di fascicolo, delle 430 unità individuate, vengono presentati nella seconda parte del lavoro, con un’opportuna premessa sulla struttura ordinamentale e sulle vicende archivistiche otto- e novecentesche. Le opere consultate – manoscritte, al di fuori del fondo oggetto dello studio, e a stampa – sono riportate nella terza parte del lavoro, assieme all’edizione di documenti inediti relativi alla Val di Fassa ritenuti di particolare rilevanza per illuminare l’assetto costituzionale del Giudizio e le dinamiche di produzione e conservazione documentaria. I motivi di interesse storico e culturale di questa ricerca derivano dalla posizione della Val di Fassa, posta a cerniera tra l’area culturale tedesca e quella italiana, e parte integrante di un enclave ladino-dolomitico, e dal suo essere profondamente compenetrata di usi giuridici provenienti da ciascuna di queste tradizioni. Le stesse procedure di documentazione che troviamo attestate in questo distretto, mostrano dagli albori della prima Età moderna, in piena aderenza con quanto vediamo accadere nello stesso torno di anni nei territori di lingua tedesca sottoposti allo statuto della Contea del Tirolo o al principe vescovo di Bressanone, ove vigevano statuti locali allineati a quelli tirolesi, i segnali di una precoce statalizzazione delle funzioni in area italiana comunemente assolte dai notai e la progressiva assunzione della pubblica scritturalità in capo alle cancellerie degli organi locali. Questo determinante passaggio, dai primi anni del XVI secolo, segnala una radicale trasformazione nelle modalità di conferimento della riconoscibilità pubblica ai documenti: all’affievolirsi dell’istituto notarile corrisponde, infatti, una presenza più assidua del sigillo quale elemento di validazione degli atti. A cavallo tra Quattro- e Cinquecento la documentazione di tutti i rapporti di diritto civile dei soggetti privi di autonoma capacità di validare con un proprio sigillo i negozi giuridici inerenti ai propri beni e ai propri diritti (riservata al ceto nobiliare, all’alto clero e alle città, poi estesa progressivamente alla nobiltà minore, ai ministeriali, al notabilato urbano e rurale), quindi di cives e di contadini («bey Stetten und Gerichten»), venne fatta convergere verso le cancellerie dei giudizi (cittadini o rurali) e validata con il sigillo del giudice, ovvero del capitano e vicario: nella fascia territoriale governata o orientata allo Statuto tirolese non più il notaio ma l’ufficiale del giudizio – quindi l’emissario sul territorio del potere signorile – conferiva, con la sua autorità, fides publica agli accordi stipulati fra privati, apponendovi il proprio sigillo e facendo registrare l’atto stesso tra le scritture ufficiali. L’assolvimento di queste competenze impose, a partire dal primo XVI secolo, d’individuare adeguati strumenti per instaurare il controllo centrale sullo stato delle proprietà ai fini della perequazione fiscale. In questa direzione si rivelò strategico attingere allo stato delle proprietà reali e alla situazione patrimoniale della popolazione, tenendone registrazione ufficiale in appositi libri di archiviazione o d’insinuazione aggiornati e conservati dai giudizi, chiamati in lingua locale Verfachbücher. La diffusione della tipologia documentaria dei Verfachbücher riguardò le giurisdizioni tirolesi soggette ai conti del Tirolo e all’episcopato brissinese, e quindi la stessa Valle di Fassa e il confinante Giudizio di Livinallongo, mentre nelle giurisdizioni tirolesi sottratte all’episcopato trentino – come il Primiero e le altre ai Confini d’Italia – o alla Repubblica di Venezia – come Ampezzo – si lasciò sussistere il diritto vigente e con esso la prassi notarile di validazione e conservazione degli atti. Si delinea così una mappa di distribuzione abbastanza frastagliata e non immediatamente sovrapponibile né, da una parte, ai confini dei territori soggetti allo statuto del Tirolo, né, d’altro canto, ai territori ove prevaleva la lingua tedesca. In numerosi istituti del diritto di famiglia, particolarmente riguardanti il diritto di successione e la trasmissione dei diritti reali, ed in quelli del diritto comunitario, che ebbero riflessi visibili non solo nell’organizzazione delle comunità insediate e nello sfruttamento delle risorse collettive ma anche e nell’evoluzione dei nuclei abitati, la Valle di Fassa guarda invece, in prevalenza, alle vicine comunità trentine, e in particolare alla Valle di Fiemme. Lo spaccato offerto sulla storia istituzionale del Giudizio di Fassa offre dunque numerosi spunti di collegamento con i processi di sviluppo storico della regione trentino-tirolese nella Prima età moderna.
The PhD thesis deals with the archival fonds produced by the Officio capitaniale e vicariale di Fassa (the Captain’s and Vicar’s Office of Val di Fassa, I-TN), covering a period from the middle of the 16th century – when the structured organisation of the archives began – to the secularisation of the see of the Prince Bishop of Bressanone at end of the 17th century. From this small state body within the German Empire the Fassa Officio administered the territory and population of Val di Fassa, which is nowadays part of North-East Trentino. The 430 descripted units of the fonds created by this institution are now preserved in the State Archives in Trento. The first part deals with the institutional history of the Fassa Officio and the pattern of government – with the Officio on the one hand as a link between the Prince Bishop and the rural community and, on the other hand, its relationship with the other Giudizi in the surrounding territory. It gives us an insight into the management of land, persons and community from a public law point of view. The analysis of the structure and inventory of the fonds, which constitutes the central part of the thesis, sheds light on the production, transmission and conservation of the written documentation of the main Chancellery of the Officio, and its relationship with the peripheral scribes, and also the means by which the Prince Bishop administered justice and kept track of his income from his lands. The range of competence of this administrative and jurisdictional body is well documented for over two centuries. In the third part of the thesis are listed published and manuscript sources; also the transcription and comment of unpublished documents relevant to Fassa and its constitutional organisation, and to show the custom of documentation. The historical and cultural interest of this research is related to the geographical position of Val di Fassa (which in Ladin means a “strip of land”), wedged between a German-speaking area to the North and an Italian-speaking area to the South, and at the same time an integral part of a Ladino Dolomite enclave. Val di Fassa is therefore a melting pot of various judicial and cultural customs. The keeping of public documentation in this area shows from the early modern period that the work previously carried out by notaries was being taken over by public officials. Documentation was becoming progressively the task of the chancelleries of the giudizi and of the local public bodies. The same was happening in most of the neighbouring German-speaking Tyrol as well as in the rest part of Prince Bishopric of Bressanone. This significant change at the beginning of the 16th century shows a radical transformation in the method of making documents probative (i.e. imbued with publica fides, public faith and credit): the custom of putting a seal on a document as a guarantee of authenticity went hand in hand with the weakening of the function of the notaries of the Latin tradition. Between the 15th and 16th century contracts between persons (cives and peasants) who were not allowed to validate with a seal of their own their legal transactions, needed to be written by public chancelleries and validated by a judge (only nobles, high-ranking clergy and towns had their own seal, which was later extended to lower-ranking nobles and the upper middle classes in towns and in the country). In the strip of land falling within the jurisdiction of the Tyrolean statute it was no longer the notary but the judicial officer, meaning the local lord’s emissary, who authenticated – fides publica – contracts between private parties. This he did by stamping his seal on the document and by officially registering the contract. From the 16th century on, in order to establish central control over property rights for tax proposes, people’s rights to property were entered in special archival registers kept in the Giudizi, known locally as libri di archiviazione or Verfachbücher. This type of documentation also spread to areas under Tyrolean jurisdiction, governed by the Counts of Tyrol and also in the see of Bressanone, which included Val di Fassa and the neighbouring Giudizio of Livinallongo. This change in the law did not however affect areas that were now under Tyrolean jurisdiction and no longer under the Bishop of Trento – i.e. Primiero and the other Giudizi on the Italian border – or under the Republic of Venice – such as Ampezzo –, where the previous legal system continued to exist and the notary procedure continued as before. As we see, the pattern of distribution of these contract registers in the whole region is not strictly confined to German-speaking areas, nor to areas that came under the Tyrolean Statute. Val di Fassa, on the other hand, was primarily influenced by neighbouring Trentino – particularly by Val di Fiemme – with regard to the broad spectrum of private law including family law, property, testamentary law and community law. This in turn has affected not just the organisation of the community and access to jointly-owned resources, but indeed the whole pattern of settlement. Val di Fassa as case of study provides insight into the historic and institutional development of the whole Trentino-Tyrolean Region in the early modern age.
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GARA, MARTA. ""CHANGE THE SYSTEM FROM WITHIN". PARTICIPATORY DEMOCRACY E RIFORME ISTITUZIONALI NEGLI STATI UNITI DEGLI ANNI SETTANTA." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2021. http://hdl.handle.net/10280/100610.

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La tesi è stata intitolata “Change the System From Within”. La participatory democracy e le riforme istituzionali negli Stati Uniti degli anni Sessanta e si compone di cinque capitoli. Nel primo capitolo si riprende l’idea di participatory democracy emersa in seno alla New Left e ai movimenti sociali dei lunghi anni Sessanta. In questo contesto il concetto di participatory democracy assunse due principali accezioni: da una parte rappresentava la rivendicazione politica di un maggior coinvolgimento attivo della cittadinanza nelle politiche - locali, statali e federali - frutto della crisi di legittimità che la democrazia americana stava attraversando in quegli anni; dall’altra, il concetto venne adottato come principio organizzativo all’interno dei gruppi stessi di attivisti, con la funzione di prefigurare quelle riforme politico-istituzionali cui gli stessi militanti aspiravano. Dalla stessa temperie di contestazione sorse del resto anche la critica che alcuni studiosi mossero alla teoria liberale pluralista e alla sua esemplificazione nella coeva democrazia americana. Nel primo capitolo si mostra proprio come da quelle rielaborazioni critiche degli anni Sessanta emerse anche il primo modello di participatory democracy in seno alla teoria politica, sviluppato pienamente negli anni Settanta e Ottanta da Carole Pateman, Crawford B. Macpherson e Benjamin Barber. Questa parte del lavoro di tesi si propone quindi di accostare alle pratiche partecipative introdotte dai movimenti anche la ricostruzione dello sviluppo graduale di una teoria politica della participatory democracy. Tale riflessione è completata da un’analisi storica di ampio raggio, necessaria a meglio contestualizzare il fenomeno e ad includere le nuove richieste democratiche nell’ambito di una tradizione democratico-rappresentativa già dotata di istituti partecipativi di democrazia diretta. Chiarito il quadro storico-politico degli anni Sessanta, il secondo capitolo analizza la ricezione dell’idea di participatory democracy nelle politiche federali. A questo proposito si illustra come il principio di citizen participation fosse stato recepito già con la War on Poverty promossa da Lindon B. Johnson alla metà degli anni Sessanta e fu mantenuto, con esiti istituzionali differenti, almeno fino alla fine della presidenza Carter. Si dimostra inoltre che, malgrado il dettato legislativo federale fosse spesso approssimativo sulle modalità operative, quel principio ebbe in realtà un notevole impatto sulle relazioni intergovernative. Tale principio favorì ad esempio l’intraprendenza di molti amministratori locali nel promuovere il decentramento amministrativo e politico su base di quartiere. Nel terzo capitolo l’analisi affronta le principali trasformazioni in senso partecipativo avvenute nei sistemi di governo statali e locali negli anni Settanta, mettendole in relazione anche alle dinamiche intergovernative di più lungo periodo. Il capitolo è strutturato in modo tale da evidenziare il tendenziale recupero e rafforzamento di istituti già esistenti, come l’initiative, i public hearing e gli school district come strumenti di rivendicazione del community control in alcune città di grandi dimensioni. Mentre il secondo e terzo capitolo tendono a osservare le riforme istituzionali degli anni Settanta in senso partecipativo in seno al governo federale, statale e locale, i due successivi capitoli mirano ad osservare l’impatto della participatory democracy nel confronto tra attivismo militante e pratiche amministrative tradizionali degli anni Settanta. Il quarto capitolo è infatti dedicato all’ingresso della nuova generazione di politici progressisti nelle amministrazioni locali e statali fra la fine degli anni Sessanta e la prima metà degli anni Settanta. Per analizzarlo si è deciso di analizzare come principale caso di studio la Conference on Alternative State and Local Policy (CASLP), una organizzazione e forum nazionale che mirava proprio ad unire alle istanze dei progressisti una expertise di governo. Nell’ambito della CASLP, la cosiddetta Coalizione progressista di Berkeley, CA, fornì un caso esemplare di strategia di confronto con le istituzioni locali e per questo il capitolo le dedica una attenta disanima. La pluriennale esperienza di azione collettiva dei progressisti di Berkeley nell’arena istituzionale è infatti rilevante sia per l’innovazione nella strategia istituzionale, sia per attestare una evoluzione dell’idea di participatory democracy nel tempo. Il quinto capitolo ricostruisce ed analizza la carriera politica di Tom Hayden negli anni in cui passò dall’attivismo alla politica istituzionale, con la campagna elettorale per diventare Senatore della California in Congresso (1975-1976) e la successiva Campaign for Economic Democracy (1976-1982), confermando la spiccata propensione del leader all’innovazione istituzionale in senso partecipativo. In particolare, nella campagna elettorale per il Senato del Congresso del 1976 Hayden riuscì a implementare forme di decision-making partecipato in seno allo staff. Nella gestione del personale cercò inoltre di favorire l’empowerment di volontari e cittadini senza perdere di vista i requisiti essenziali per la sopravvivenza della campagna: fundraising e propaganda. In linea con la sua battaglia contro le distorsioni economiche del big business, scelse di non accettare fondi da corporation e banche e riuscì nell’intento di essere sostenuto per gran parte da small donors. Hayden dunque introdusse pratiche di participatory democracy in seno alla campagna elettorale e continuò a rivendicare la sua fiducia nella forza dei movimenti grass-roots. L’analisi storica, ad ogni modo, evidenzia anche le criticità che derivavano dall’uso di pratiche partecipative nella governance della campagna elettorale. Atttraverso l’analisi teorica e politico-istituzionale della democrazia partecipativa americana fra gli anni Sessanta e Settanta su vari livelli istituzionali (federale, statale e locale), questo progetto di ricerca tenta quindi di colmare un vuoto storiografico e, al tempo stesso intende contribuire alla definizione storico-istituzionale della participatory democracy in seno alla democrazia rappresentativa degli Stati Uniti. Infine, la presente ricerca mira a inserirsi nel dibattito pubblico contemporaneo sulla participatory democracy, offrendo una visione storico-istituzionale importante per meglio comprendere il fenomeno e che, finora, non ha ricevuto l’attenzione che meriterebbe.
Chapter 1 retrieves the idea of participatory democracy stemmed from the Long 1960s New Left and the following social movements. Indeed, the concept of participatory democracy mainly acquired two slightly different shapes in that historical framework. From one hand, it meant the broad political call for common citizens’ greater involvement in the policy-making - at the local, state and federal level. That request was in fact a reply to the ongoing crisis of the American democracy, in terms of political legitimacy and social representation of minorities and poor people. In the other hand, participatory democracy represented the organizing principle adopted by most of the grass-roots groups of that period, with a clear prefigurative function. Indeed, making the activist groups’ inner decision-making participatory was a way for the collectives to anticipate the institutional changes they aspired to. In the meantime, because of the same disaffection against the raising social and political inequalities, some political science scholars elaborated a critique to the pluralist version of the liberal democracy - then the most praised one, as well as credited as it was embodied in the American democracy. Those 1960s critiques were eventually used to conceive the first political theory of participatory democracy in the 1970s and 1980s, as Chapter 1 shows. The participatory democracy’s canon was in fact mostly developed by Carole Pateman, Crawford B. Macpherson and Benjamin Barber. Beside the intellectual history of participatory democracy from 1960s to 1980s, Chapter 1 allows to contextualize ideas and practices of common citizens’ participation into the wider history of the American Political Development. According to that, chapter 1 also provides a detailed analysis of the participatory political institutions that were traditionally part of the United States representative democracy. Chapter 2 verifies whether the 1960s idea of participatory democracy actually affected the federal public policies of the late 1960s and 1970s. Indeed the principle of “citizen participation” was introduced in some of the War on Poverty legislations, promoted by Lyndon B. Johnson since the mid-1960s. Although the heterogeneous institutional effects, that principle was maintained in some grant-in-aid projects until the end of the Carter administration, through the Nixon and Ford administrations. Therefore, the political meanings assumed by the idea of “citizen participation” and its institutional consequences from 1964 to 1980 are carefully analyzed in chapter 2. Moreover, chapter 2 shows that the principle of citizen participation had such a strong impact on the intergovernmental relations. It thus brought forward, for instance, the local public officers’ entrepreneurship towards the local devolution, shifting the administrative and political power base from the center to the neighborhood. Chapter 3 deals with the 1970s main institutional reforms aimed at introducing the common citizens’ participation in the government decision-making at the state and local levels. Those reforms are deeply related to some long-lasting intergovernmental dynamics and this relationship is also argued. The same chapter’s lay-out is vowed to underline the 1970s general trend of retrieval and enhancing of traditional institutions, such as the initiative (direct democracy), the public hearings and the school districts. The school board was indeed reevaluated and reshaped as a means of community control in the biggest cities. As chapters 2 and 3 aim at exploring the implementation of participatory reforms in the federal, state and local level of government, chapters 4 and 5 aim at inquiring the participatory democracy’s impact on the 1970s boundary of polity - the space where activism meets political institutions. Chapter 4 inquires the new generations of progressive politicians entering the local and state administrations from the late 1960s to the mid-1970s. To frame that national phenomenon, the historical analysis use the Conference of Alternative States and Local Policies (CASLP) as a case study. CASLP was indeed a national organization born in 1975 to give voice to the progressive public officers around the country and allowed them sharing their government experiences for a more effective institutional impact. Inside CASLP, the progressive coalition of Berkeley, CA (called Berkeley Citizens’ Action, BCA) was especially spotted for its exemplary strategy to confront local political institutions. The 1970s BCA’s political actions are thus specifically analyzed. In fact, the institutional approach of the Berkeley progressive coalition resulted to be innovative in terms of strategy as well as successful in introducing new forms of participatory democracy into the local government, assessing the 1970s evolution of the participatory democracy political theory and practices. Chapter 5 retraces the political career of the former New Left leader Tom Hayden during the years of turning from activism to institutional politics. Especially, the analysis focuses on the 1975-1976 U.S. Senate Campaign and the following Campaign for Economic Democracy (CED), a coalition project and organization led by Hayden with the goal of mobilizing activists and public officers around the issues of economic justice, environmental and economic public policies (1976-1982). That period - just before Hayden was elected representative at the California Legislature in 1982 - is thus analyzed as a testing ground to verify his long-lasting commitment towards participatory democracy. The historical and political analysis, based on original archival findings, confirms Hayden’s inclination for institutional innovation in the participatory realm. In particular, during the 1975-1976 electoral campaign for the U.S. Senate in California Hayden introduced participatory forms of decision-making involving staff people, volunteers and supporting grass-roots groups. Moreover, that campaign’s staff and people management was conceived in order to directly empower citizens and volunteers, without losing track of the campaigning basic requirements (e. g. fundraising and propaganda). As he stood against big business and economic inequalities, he chose to reject fundings from corporations and banks. Therefore his electoral campaign was mostly sustained by small donors. Hayden successfully made the campaigning more open, accountable and participatory and kept on sponsoring his trust in community organizing and grass-roots social movements even in his following political endeavour, CED. Eventually, the investigation casts lights on the strengths, as well as the critical issues, produced by the Hayden’s participatory governance of campaigning. By the means of analysing the intellectual history and the institutional implementation of participatory democracy during late 1960s-1970s United States, this research project firstly aims at making up the lack of historiography about the topic. In the second stance, grounding the institutional and political history of participatory democracy in the United States representative democracy - where the concept was born - this research project intends to provide a first genealogy of the participatory democracy’s institutional implementation. In this sense, the research projects wants also to contribute to the contemporary debate on the participatory democracy. It is indeed a compelling and popular issue in many worldwide political arenas, but it is still rarely defined by its historical and institutional terms.
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GARA, MARTA. ""CHANGE THE SYSTEM FROM WITHIN". PARTICIPATORY DEMOCRACY E RIFORME ISTITUZIONALI NEGLI STATI UNITI DEGLI ANNI SETTANTA." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2021. http://hdl.handle.net/10280/100610.

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La tesi è stata intitolata “Change the System From Within”. La participatory democracy e le riforme istituzionali negli Stati Uniti degli anni Sessanta e si compone di cinque capitoli. Nel primo capitolo si riprende l’idea di participatory democracy emersa in seno alla New Left e ai movimenti sociali dei lunghi anni Sessanta. In questo contesto il concetto di participatory democracy assunse due principali accezioni: da una parte rappresentava la rivendicazione politica di un maggior coinvolgimento attivo della cittadinanza nelle politiche - locali, statali e federali - frutto della crisi di legittimità che la democrazia americana stava attraversando in quegli anni; dall’altra, il concetto venne adottato come principio organizzativo all’interno dei gruppi stessi di attivisti, con la funzione di prefigurare quelle riforme politico-istituzionali cui gli stessi militanti aspiravano. Dalla stessa temperie di contestazione sorse del resto anche la critica che alcuni studiosi mossero alla teoria liberale pluralista e alla sua esemplificazione nella coeva democrazia americana. Nel primo capitolo si mostra proprio come da quelle rielaborazioni critiche degli anni Sessanta emerse anche il primo modello di participatory democracy in seno alla teoria politica, sviluppato pienamente negli anni Settanta e Ottanta da Carole Pateman, Crawford B. Macpherson e Benjamin Barber. Questa parte del lavoro di tesi si propone quindi di accostare alle pratiche partecipative introdotte dai movimenti anche la ricostruzione dello sviluppo graduale di una teoria politica della participatory democracy. Tale riflessione è completata da un’analisi storica di ampio raggio, necessaria a meglio contestualizzare il fenomeno e ad includere le nuove richieste democratiche nell’ambito di una tradizione democratico-rappresentativa già dotata di istituti partecipativi di democrazia diretta. Chiarito il quadro storico-politico degli anni Sessanta, il secondo capitolo analizza la ricezione dell’idea di participatory democracy nelle politiche federali. A questo proposito si illustra come il principio di citizen participation fosse stato recepito già con la War on Poverty promossa da Lindon B. Johnson alla metà degli anni Sessanta e fu mantenuto, con esiti istituzionali differenti, almeno fino alla fine della presidenza Carter. Si dimostra inoltre che, malgrado il dettato legislativo federale fosse spesso approssimativo sulle modalità operative, quel principio ebbe in realtà un notevole impatto sulle relazioni intergovernative. Tale principio favorì ad esempio l’intraprendenza di molti amministratori locali nel promuovere il decentramento amministrativo e politico su base di quartiere. Nel terzo capitolo l’analisi affronta le principali trasformazioni in senso partecipativo avvenute nei sistemi di governo statali e locali negli anni Settanta, mettendole in relazione anche alle dinamiche intergovernative di più lungo periodo. Il capitolo è strutturato in modo tale da evidenziare il tendenziale recupero e rafforzamento di istituti già esistenti, come l’initiative, i public hearing e gli school district come strumenti di rivendicazione del community control in alcune città di grandi dimensioni. Mentre il secondo e terzo capitolo tendono a osservare le riforme istituzionali degli anni Settanta in senso partecipativo in seno al governo federale, statale e locale, i due successivi capitoli mirano ad osservare l’impatto della participatory democracy nel confronto tra attivismo militante e pratiche amministrative tradizionali degli anni Settanta. Il quarto capitolo è infatti dedicato all’ingresso della nuova generazione di politici progressisti nelle amministrazioni locali e statali fra la fine degli anni Sessanta e la prima metà degli anni Settanta. Per analizzarlo si è deciso di analizzare come principale caso di studio la Conference on Alternative State and Local Policy (CASLP), una organizzazione e forum nazionale che mirava proprio ad unire alle istanze dei progressisti una expertise di governo. Nell’ambito della CASLP, la cosiddetta Coalizione progressista di Berkeley, CA, fornì un caso esemplare di strategia di confronto con le istituzioni locali e per questo il capitolo le dedica una attenta disanima. La pluriennale esperienza di azione collettiva dei progressisti di Berkeley nell’arena istituzionale è infatti rilevante sia per l’innovazione nella strategia istituzionale, sia per attestare una evoluzione dell’idea di participatory democracy nel tempo. Il quinto capitolo ricostruisce ed analizza la carriera politica di Tom Hayden negli anni in cui passò dall’attivismo alla politica istituzionale, con la campagna elettorale per diventare Senatore della California in Congresso (1975-1976) e la successiva Campaign for Economic Democracy (1976-1982), confermando la spiccata propensione del leader all’innovazione istituzionale in senso partecipativo. In particolare, nella campagna elettorale per il Senato del Congresso del 1976 Hayden riuscì a implementare forme di decision-making partecipato in seno allo staff. Nella gestione del personale cercò inoltre di favorire l’empowerment di volontari e cittadini senza perdere di vista i requisiti essenziali per la sopravvivenza della campagna: fundraising e propaganda. In linea con la sua battaglia contro le distorsioni economiche del big business, scelse di non accettare fondi da corporation e banche e riuscì nell’intento di essere sostenuto per gran parte da small donors. Hayden dunque introdusse pratiche di participatory democracy in seno alla campagna elettorale e continuò a rivendicare la sua fiducia nella forza dei movimenti grass-roots. L’analisi storica, ad ogni modo, evidenzia anche le criticità che derivavano dall’uso di pratiche partecipative nella governance della campagna elettorale. Atttraverso l’analisi teorica e politico-istituzionale della democrazia partecipativa americana fra gli anni Sessanta e Settanta su vari livelli istituzionali (federale, statale e locale), questo progetto di ricerca tenta quindi di colmare un vuoto storiografico e, al tempo stesso intende contribuire alla definizione storico-istituzionale della participatory democracy in seno alla democrazia rappresentativa degli Stati Uniti. Infine, la presente ricerca mira a inserirsi nel dibattito pubblico contemporaneo sulla participatory democracy, offrendo una visione storico-istituzionale importante per meglio comprendere il fenomeno e che, finora, non ha ricevuto l’attenzione che meriterebbe.
Chapter 1 retrieves the idea of participatory democracy stemmed from the Long 1960s New Left and the following social movements. Indeed, the concept of participatory democracy mainly acquired two slightly different shapes in that historical framework. From one hand, it meant the broad political call for common citizens’ greater involvement in the policy-making - at the local, state and federal level. That request was in fact a reply to the ongoing crisis of the American democracy, in terms of political legitimacy and social representation of minorities and poor people. In the other hand, participatory democracy represented the organizing principle adopted by most of the grass-roots groups of that period, with a clear prefigurative function. Indeed, making the activist groups’ inner decision-making participatory was a way for the collectives to anticipate the institutional changes they aspired to. In the meantime, because of the same disaffection against the raising social and political inequalities, some political science scholars elaborated a critique to the pluralist version of the liberal democracy - then the most praised one, as well as credited as it was embodied in the American democracy. Those 1960s critiques were eventually used to conceive the first political theory of participatory democracy in the 1970s and 1980s, as Chapter 1 shows. The participatory democracy’s canon was in fact mostly developed by Carole Pateman, Crawford B. Macpherson and Benjamin Barber. Beside the intellectual history of participatory democracy from 1960s to 1980s, Chapter 1 allows to contextualize ideas and practices of common citizens’ participation into the wider history of the American Political Development. According to that, chapter 1 also provides a detailed analysis of the participatory political institutions that were traditionally part of the United States representative democracy. Chapter 2 verifies whether the 1960s idea of participatory democracy actually affected the federal public policies of the late 1960s and 1970s. Indeed the principle of “citizen participation” was introduced in some of the War on Poverty legislations, promoted by Lyndon B. Johnson since the mid-1960s. Although the heterogeneous institutional effects, that principle was maintained in some grant-in-aid projects until the end of the Carter administration, through the Nixon and Ford administrations. Therefore, the political meanings assumed by the idea of “citizen participation” and its institutional consequences from 1964 to 1980 are carefully analyzed in chapter 2. Moreover, chapter 2 shows that the principle of citizen participation had such a strong impact on the intergovernmental relations. It thus brought forward, for instance, the local public officers’ entrepreneurship towards the local devolution, shifting the administrative and political power base from the center to the neighborhood. Chapter 3 deals with the 1970s main institutional reforms aimed at introducing the common citizens’ participation in the government decision-making at the state and local levels. Those reforms are deeply related to some long-lasting intergovernmental dynamics and this relationship is also argued. The same chapter’s lay-out is vowed to underline the 1970s general trend of retrieval and enhancing of traditional institutions, such as the initiative (direct democracy), the public hearings and the school districts. The school board was indeed reevaluated and reshaped as a means of community control in the biggest cities. As chapters 2 and 3 aim at exploring the implementation of participatory reforms in the federal, state and local level of government, chapters 4 and 5 aim at inquiring the participatory democracy’s impact on the 1970s boundary of polity - the space where activism meets political institutions. Chapter 4 inquires the new generations of progressive politicians entering the local and state administrations from the late 1960s to the mid-1970s. To frame that national phenomenon, the historical analysis use the Conference of Alternative States and Local Policies (CASLP) as a case study. CASLP was indeed a national organization born in 1975 to give voice to the progressive public officers around the country and allowed them sharing their government experiences for a more effective institutional impact. Inside CASLP, the progressive coalition of Berkeley, CA (called Berkeley Citizens’ Action, BCA) was especially spotted for its exemplary strategy to confront local political institutions. The 1970s BCA’s political actions are thus specifically analyzed. In fact, the institutional approach of the Berkeley progressive coalition resulted to be innovative in terms of strategy as well as successful in introducing new forms of participatory democracy into the local government, assessing the 1970s evolution of the participatory democracy political theory and practices. Chapter 5 retraces the political career of the former New Left leader Tom Hayden during the years of turning from activism to institutional politics. Especially, the analysis focuses on the 1975-1976 U.S. Senate Campaign and the following Campaign for Economic Democracy (CED), a coalition project and organization led by Hayden with the goal of mobilizing activists and public officers around the issues of economic justice, environmental and economic public policies (1976-1982). That period - just before Hayden was elected representative at the California Legislature in 1982 - is thus analyzed as a testing ground to verify his long-lasting commitment towards participatory democracy. The historical and political analysis, based on original archival findings, confirms Hayden’s inclination for institutional innovation in the participatory realm. In particular, during the 1975-1976 electoral campaign for the U.S. Senate in California Hayden introduced participatory forms of decision-making involving staff people, volunteers and supporting grass-roots groups. Moreover, that campaign’s staff and people management was conceived in order to directly empower citizens and volunteers, without losing track of the campaigning basic requirements (e. g. fundraising and propaganda). As he stood against big business and economic inequalities, he chose to reject fundings from corporations and banks. Therefore his electoral campaign was mostly sustained by small donors. Hayden successfully made the campaigning more open, accountable and participatory and kept on sponsoring his trust in community organizing and grass-roots social movements even in his following political endeavour, CED. Eventually, the investigation casts lights on the strengths, as well as the critical issues, produced by the Hayden’s participatory governance of campaigning. By the means of analysing the intellectual history and the institutional implementation of participatory democracy during late 1960s-1970s United States, this research project firstly aims at making up the lack of historiography about the topic. In the second stance, grounding the institutional and political history of participatory democracy in the United States representative democracy - where the concept was born - this research project intends to provide a first genealogy of the participatory democracy’s institutional implementation. In this sense, the research projects wants also to contribute to the contemporary debate on the participatory democracy. It is indeed a compelling and popular issue in many worldwide political arenas, but it is still rarely defined by its historical and institutional terms.
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4

Coltro, Fabiana <1980&gt. "Il Giappone nel diritto internazionale delle peacekeeping operations (PKO) delle Nazioni Unite." Doctoral thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2008. http://hdl.handle.net/10579/127.

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5

Cairo, Giambattista <1974&gt. "Roma, tra storia ed archeologia: religione, istituzioni, territorio nell'epoca delle origini." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2009. http://amsdottorato.unibo.it/2173/1/cairo_giambattista_tesi.pdf.pdf.

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My research tells about the origins of Rome. I think that Rome became a civil community under king Tullus Hostilius who transformed a federation of villages in a city. Perhaps he retook a project of his grandfather, Hostus Hostilius. I think also that the tradition on the early Rome was elaborated by Servius Tullius’ court and his motivations must be researched in the relations between this king and Tarquin’s dynasty. Finally I formulated some particular theories on the comitia centuriata and their evolution and on the international politic of Servius Tullius.
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Cairo, Giambattista <1974&gt. "Roma, tra storia ed archeologia: religione, istituzioni, territorio nell'epoca delle origini." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2009. http://amsdottorato.unibo.it/2173/.

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My research tells about the origins of Rome. I think that Rome became a civil community under king Tullus Hostilius who transformed a federation of villages in a city. Perhaps he retook a project of his grandfather, Hostus Hostilius. I think also that the tradition on the early Rome was elaborated by Servius Tullius’ court and his motivations must be researched in the relations between this king and Tarquin’s dynasty. Finally I formulated some particular theories on the comitia centuriata and their evolution and on the international politic of Servius Tullius.
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7

Marchetti, Giulia <1992&gt. "La fascistizzazione delle istituzioni all'estero: La "Casa degli Italiani" di Barcellona." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2019. http://hdl.handle.net/10579/14927.

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La Casa degli Italiani di Barcellona nasce come società di beneficenza e mutuo soccorso nel 1866 e nel 1882 fonda le prime scuole italiane gratuite. Con l'avvento del regime fascista e del suo progetto di inquadramento e di controllo della società e delle colonie all'estero, anche la Casa degli italiani non sarà risparmiata. Obiettivo del mio elaborato è evidenziare il processo di fascistizzazione della associazioni italiane di Barcellona e delle scuole, attraverso l'analisi degli statuti della società e delle relazioni presidenziali annuali.
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8

Toschi, Chiara <1996&gt. "La rivitalizzazione rurale nelle campagne tibetane. Interessi e ripercussioni della strategia cinese sulla realtà etnica locale." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2022. http://hdl.handle.net/10579/21613.

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Il presente elaborato esamina il rapporto tra il progetto di rivitalizzazione delle campagne cinesi e la questione etnica, ovvero come la politica di rinnovamento rurale, fulcro del nuovo piano quinquennale 2021-2025, impatta sulla realtà economica e sociale delle minoranze etniche cinesi. Proponendosi come obiettivo la modernizzazione delle zone rurali, la campagna di rivitalizzazione va di fatto a interessare prevalentemente le regioni occidentali, notoriamente più arretrate e principali luoghi di raccolta delle maggiori comunità etniche. Similmente alla Western Development Strategy del ’99, e alla successiva campagna di eradicazione della povertà, anche questo progetto ha già sollevato diversi interrogativi e varie critiche esterne sulle sue modalità di implementazione. La presente ricerca si propone in particolare di approfondire tale rivitalizzazione rurale all’interno della Regione Autonoma del Tibet, nel tentativo di contestualizzare alcune azioni particolarmente invasive che, nel quadro della nuova campagna, hanno interessato la popolazione tibetana locale: dalle politiche di ricollocamento, alla costruzione di villaggi di frontiera, all’apertura di centri di formazione “in stile militare” destinati ai lavoratori rurali locali. Alla luce del complesso quadro multietnico cinese e della crescente assertività che Pechino ha dimostrato nella gestione delle principali aree etniche, tra cui Tibet e Xinjiang, si rende necessaria una contestualizzazione dei nuovi obiettivi nazionali che hanno proposto le campagne cinesi come nuovo motore per la crescita nazionale. L’analisi verrà condotta tramite un’analisi dei documenti governativi disponibili (XIV Piano quinquennale, Libro Bianco “Tibet dal 1951”, ecc.) e della letteratura scientifica esistente, nel tentativo di fornire una nuova chiave di lettura delle politiche interne cinesi e dei relativi obiettivi a medio e lungo termine.
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9

Marcato, Eleonora <1993&gt. "Egisto Lancerotto. Proposta per un catalogo ragionato delle opere." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2019. http://hdl.handle.net/10579/15073.

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Анотація:
L'elaborato mira a creare una catalogazione quanto mai completa sull'opera del pittore Egisto Lancerotto (1847-1916). Si propone una breve biografia dell'autore, gli studi precedenti e la fortuna critica, le mostre a cui parteciparono i suoi dipinti, un report sulle loro condizioni e i relativi interventi di restauro; si riportano poi le opere finora rintracciate corredate di immagine, dati tecnici essenziali, bibliografia, eventuali esposizioni e scheda di commento.
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10

Giovanazzi, A. "I CONSIGLI DI PREFETTURA DELL'ITALIA NAPOLEONICA. ACQUE E STRADE TRA AMMINISTRAZIONE E DISCIPLINAMENTO." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2016. http://hdl.handle.net/2434/362140.

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11

Fietta, Martina <1988&gt. "La questione sino-tibetana: una ferita riaperta nell'anno delle Olimpiadi." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2013. http://hdl.handle.net/10579/2938.

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Анотація:
La tesi si compone delle seguenti parti: un'introduzione storica in cui sono analizzati i principali eventi nella storia delle relazioni sino-tibetane dal 1965, anno della nascita della Regione autonoma tibetana, al 2007. Un primo capitolo, che riguarda l'anno 2008, un anno cruciale per Cina e Tibet. Nel secondo capitolo si tratta della tutela delle minoranze etniche nella legislazione cinese e delle posizioni del governo cinese riguardo alla questione. Il terzo capitolo tratta del punto di vista dei tibetani, del Dalai Lama e del governo tibetano in esilio. Obiettivo delle tesi è, utilizzando i fatti come punto di partenza e considerando la dimensione globale che ha assunto la questione tibetana, analizzare i motivi di scontro e i principali temi della discussione, cercando di capire se ci sono future possibilità di dialogo.
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Dell'Era, Filippo <1990&gt. "Cambiamento nelle politiche agricole giapponesi? Analisi delle trattative del TPP." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2014. http://hdl.handle.net/10579/5563.

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Анотація:
In questa tesi si cercherà di analizzare se un’eventuale adesione al TPP sia negativa per l’agricoltura e la politica agricola giapponese. Il primo capitolo avrà lo scopo di riassumere brevemente le peculiarità della politica agricola giapponese. Si analizzerà l’organizzazione della Nokyo e come questa sia stata fondamentale per la mobilitazione elettorale, creando così un forte legame con il Jiminto e con il Ministro dell’agricoltura (MAFF). Verrà esaminato inoltre come la riforma elettorale del ‘94, quella amministrativa del ’99 e la liberalizzazione finanziaria, abbiano indebolito il potere della Nokyo e la sua influenza sui governi. Il secondo capitolo avrà l’obiettivo di descrivere sinteticamente i cambiamenti della politica agricola giapponese nel tempo. Cercando di capire se la decisione di aderire al TPP sia un fatto isolato oppure il risultato di un cambiamento già in atto della politica agricola giapponese. Il terzo capitolo intende fornire un’analisi del processo di liberalizzazione del mercato agricolo giapponese. Partirà dall’adesione al GATT, analizzandone i punti critici per l’agricoltura giapponese. Si soffermerà sul cambio di politica estera giapponese, basato dalla sottoscrizione di FTA, ed analizzerà come i prodotti agricoli vengono trattati in questi accordi e che impatto hanno avuto sull’agricoltura giapponese. Il quarto capitolo si concentrerà invece sul TPP. Fornirà una cronologia dell’evoluzione delle trattative per l’adesione al TPP dal governo Minshuto fino ad oggi col secondo governo Abe, si sottolineerà quali fattori hanno spinto il governo Abe ad iniziare le trattative. Si concentrerà in particolare sul TPP nell’ambito agricolo, analizzando in che modo potrebbe influenzare l’agricoltura giapponese e come i paesi già aderenti al TPP abbiano trattato i prodotti agricoli più sensibili. In seguito, esaminerà le posizioni dei principali partiti politici sul tema del TPP, approfondirà le ragioni dell’opposizione all’adesione, e la posizione della Nokyo. Infine si vedrà come si è evoluta l’idea del Jiminto passando da una posizione di opposizione al TPP ad una posizione favorevole, creando del dissenso all’interno del partito stesso. Nelle conclusioni cercherò di valutare se secondo quanto raccolto nei capitoli precedenti, un’adesione al TPP sia veramente negativa per l’agricoltura e la politica agricola giapponese.
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Donato, Silvia <1995&gt. "Analisi delle politiche migratorie in Giappone. Il caso di Okayama." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2020. http://hdl.handle.net/10579/16697.

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Анотація:
Il presente lavoro di tesi ha come obiettivo quello di analizzare e commentare le politiche migratorie del Giappone, focalizzandosi maggiormente, dopo una doverosa introduzione al problema, sul livello locale e in particolar modo sulla città di Okayama. Sebbene il Giappone si configuri, apparentemente, come un paese non “aperto” nei confronti dell’”altro”, il numero di stranieri presenti in Giappone continua a crescere negli anni. I dati che verranno analizzati sono frutto di una ricerca relativa alla questione immigratoria in Giappone, alle sue caratteristiche, alle relative politiche e agli attori coinvolti (partiti politici e ONG che operano a favore degli immigrati), nonché della percezione che si ha della figura dello straniero. La rappresentazione di questo può variare, infatti, significativamente da zona a zona, per questo si partirà dalla situazione nazionale per arrivare a una analisi sul piano locale, rappresentato in questo studio dalla città di Okayama. L’obiettivo finale sarà, dunque, quello di confrontare come viene affrontato il problema dell’immigrazione in Giappone sul piano nazionale e successivamente a livello locale, prendendo come punto di rifermento il case study sulla realtà sopra riportata.
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Arcoraci, Federica <1994&gt. "Ripensare il ruolo delle istituzioni museali per il contemporaneo. Una prospettiva critica e dialogica." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2021. http://hdl.handle.net/10579/18606.

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Анотація:
I mutamenti formali dell'opera d'arte, l'evoluzione socioculturale e le teorie della nuova museologia, hanno condotto a un profondo ripensamento dell'istituzione museale contemporanea. A partire dalle esperienze della Critica Istituzionale e del Nuovo Istituzionalismo, il presente elaborato approfondisce un’idea di museo visto non più come spazio esclusivamente dedito al binomio conservazione/esposizione, bensì come sistema interpretativo del presente, rispondente alle esigenze etiche e sociali del proprio tempo. Un museo, dunque, che sia anche in grado di stimolare nel suo pubblico desideri di conoscenza, di confronto e di dialogo.
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Alvarez, Garcia Hector <1984&gt. "El fundamento democrático de la revocación del mandato representativo." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2016. http://amsdottorato.unibo.it/7280/1/%C3%81lvarez_Garc%C3%ADa_H%C3%A9ctor_tesi.pdf.

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Анотація:
La revocación del mandato representativo es un derecho político fundamental, imbricado en el principio democrático, porque las facultades o atribuciones que confiere integran el estatuto jurídico-político del ciudadano al estar referidas a la participación popular en los asuntos públicos, concretamente al control y exigencia de responsabilidad política de los representantes públicos. Esta tesis doctoral presenta la hipótesis referida en el título: el fundamento de la revocación del mandato representativo reside en la soberanía popular. ¿Qué implica? Primero: la revocación tiene alma democrática y su no reconocimiento constitucional entraña una restricción de la libertad política, inasumible en el Estado democrático; segundo: la institución revocatoria no es propia ni exclusiva del mandato imperativo y tercero: el mandato representativo no implica transmisión o alienación de la titularidad ni del ejercicio de la soberanía sino sólo la delegación o la comisión del ejercicio de los poderes públicos. Este trabajo de investigación pretende dar respuesta a cuestiones capitales de la teoría democrática: ¿por qué el pueblo es el soberano?, ¿cuál es el origen del fundamento democrático de la soberanía? y ¿qué significa la soberanía popular? Debemos partir de estos sólidos cimientos para poder explicar el significado y las implicaciones jurídico-constitucionales del mandato representativo. Y, finalmente, analizar por qué la revocación del mandato representativo es una exigencia indeclinable del principio democrático. En esta tesis surcaremos la Historia de las ideas políticas, atravesaremos la ideología constitucional, nos sumergiremos en la teoría del Derecho y nos asomaremos a la antropología en busca de los argumentos que nos permitan aseverar, con rigor científico, que la revocación del mandato representativo es inherente a la soberanía popular, clave de bóveda del constitucionalismo democrático.
The revocation of the representative mandate is a fundamental political right, embedded in the democratic principle, as it confers powers and functions that integrate the citizen’s legal-political status by regulating popular participation in public affairs, particularly with regard to the control and the political accountability of public representatives. This doctoral thesis presents the assumptions outlined in the title: the basis for the revocation of the representative mandate lies on popular sovereignty. What does this imply? Firstly, the repeal has a democratic soul and its non-recognition in the constitution involves a restriction of political freedom, which is untenable in the democratic State; secondly, the revocative institution is not part nor it is exclusive of the imperative mandate; thirdly, the representative mandate does not imply the transmission or the alienation neither of the ownership nor of the exercise of sovereignty, but the delegation or commission of the exercise of public powers. This research seeks to answer crucial questions of the democratic theory: why are people sovereign? What is the origin of the democratic foundation of sovereignty? What does popular sovereignty mean? It is from this sound basis that the meaning and the legal and constitutional implications of the representative mandate should be explained. Finally, it is also important to analyze the reason why the revocation of representative mandate is an irrevocable requirement of the democratic principle. Throughout this thesis we will retrace the history of political ideas, we will go through the constitutional ideology, we will dive into the theory of law and we will take a look at anthropology, in search of arguments that will allow us to assert with scientific accuracy that the revocation of the representative mandate is pertinent to the people's sovereignty, a keystone of democratic constitutionalism.
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Alvarez, Garcia Hector <1984&gt. "El fundamento democrático de la revocación del mandato representativo." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2016. http://amsdottorato.unibo.it/7280/.

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La revocación del mandato representativo es un derecho político fundamental, imbricado en el principio democrático, porque las facultades o atribuciones que confiere integran el estatuto jurídico-político del ciudadano al estar referidas a la participación popular en los asuntos públicos, concretamente al control y exigencia de responsabilidad política de los representantes públicos. Esta tesis doctoral presenta la hipótesis referida en el título: el fundamento de la revocación del mandato representativo reside en la soberanía popular. ¿Qué implica? Primero: la revocación tiene alma democrática y su no reconocimiento constitucional entraña una restricción de la libertad política, inasumible en el Estado democrático; segundo: la institución revocatoria no es propia ni exclusiva del mandato imperativo y tercero: el mandato representativo no implica transmisión o alienación de la titularidad ni del ejercicio de la soberanía sino sólo la delegación o la comisión del ejercicio de los poderes públicos. Este trabajo de investigación pretende dar respuesta a cuestiones capitales de la teoría democrática: ¿por qué el pueblo es el soberano?, ¿cuál es el origen del fundamento democrático de la soberanía? y ¿qué significa la soberanía popular? Debemos partir de estos sólidos cimientos para poder explicar el significado y las implicaciones jurídico-constitucionales del mandato representativo. Y, finalmente, analizar por qué la revocación del mandato representativo es una exigencia indeclinable del principio democrático. En esta tesis surcaremos la Historia de las ideas políticas, atravesaremos la ideología constitucional, nos sumergiremos en la teoría del Derecho y nos asomaremos a la antropología en busca de los argumentos que nos permitan aseverar, con rigor científico, que la revocación del mandato representativo es inherente a la soberanía popular, clave de bóveda del constitucionalismo democrático.
The revocation of the representative mandate is a fundamental political right, embedded in the democratic principle, as it confers powers and functions that integrate the citizen’s legal-political status by regulating popular participation in public affairs, particularly with regard to the control and the political accountability of public representatives. This doctoral thesis presents the assumptions outlined in the title: the basis for the revocation of the representative mandate lies on popular sovereignty. What does this imply? Firstly, the repeal has a democratic soul and its non-recognition in the constitution involves a restriction of political freedom, which is untenable in the democratic State; secondly, the revocative institution is not part nor it is exclusive of the imperative mandate; thirdly, the representative mandate does not imply the transmission or the alienation neither of the ownership nor of the exercise of sovereignty, but the delegation or commission of the exercise of public powers. This research seeks to answer crucial questions of the democratic theory: why are people sovereign? What is the origin of the democratic foundation of sovereignty? What does popular sovereignty mean? It is from this sound basis that the meaning and the legal and constitutional implications of the representative mandate should be explained. Finally, it is also important to analyze the reason why the revocation of representative mandate is an irrevocable requirement of the democratic principle. Throughout this thesis we will retrace the history of political ideas, we will go through the constitutional ideology, we will dive into the theory of law and we will take a look at anthropology, in search of arguments that will allow us to assert with scientific accuracy that the revocation of the representative mandate is pertinent to the people's sovereignty, a keystone of democratic constitutionalism.
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Formaio, Nicola <1982&gt. "La Repubblica di Venezia tra la discesa di Carlo VIII e il dramma di Agnadello. I comandanti militari marciani nelle guerre d'Italia." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2014. http://hdl.handle.net/10579/4219.

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Анотація:
La Serenissima Signoria tra la leggendaria spedizione di Carlo VIII e il pericolo della lega di Cambrai. Attraverso il racconto di alcuni cronachisti del tempo, in questo lavoro è stato affrontato il ridimensionamento che subì Venezia tra Quattro e Cinquecento, da protagonista della politica italiana a obiettivo da annientare da parte delle potenze europee. Il pericolo Turco ad Oriente non fermò le ambizioni della Repubblica nella conquista di gran parte del nord Italia. Questo fu possibile grazie ad una solida organizzazione militare e all’abilità di singoli capitani dell’esercito marciano, dei quali sono state ricercate le condotte che li legarono al soldo della Repubblica. La politica estera veneziana volta all’attacco attirò le ire dei governi della penisola e delle monarchie nazionali, che con la benedizione di papa Giulio II si coalizzarono, decretando, nella battaglia di Agnadello, la momentanea dissoluzione del dominio marciano e del suo potentissimo esercito.
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Munaretto, Luca <1990&gt. "Pazzia sotto processo: un caso di omicidio nel Veneto di primo Ottocento." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2019. http://hdl.handle.net/10579/15072.

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Анотація:
Attraverso la ricostruzione del caso giudiziario che ha visto Giobatta Ghirardello essere imputato del duplice omicidio commesso la sera del 18 giugno 1829 ai danni di Maria Salin e Maddalena Poletto, sono state analizzate sia le dinamiche giudiziarie avvenute, sia il rapporto tra quest’ultime e l’istituzione medica coinvolta nella vicenda. Infatti il Ghirardello, presentando alcuni atteggiamenti ritenuti anomali dai giudici e dai medici durante la sua detenzione, fu reputato mentalmente infermo ed internato nell’ospedale psichiatrico di S. Servolo a Venezia, dove poi morì. Mediante lo studio delle fonti sono stati approfonditi temi quali, ad esempio, la conoscenza scientifica della malattia mentale in relazione all’epoca considerata, la responsabilità di azione della persona malata di mente, il movente, il rapporto indizio-prova. Tali aspetti sono stati infine considerati in relazione al contesto socio-culturale e comparati con altri casi simili e coevi noti in letteratura scientifica.
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19

Moro, Enrico <1992&gt. "Un delitto irrisolto. Indagini processuali in una contrada veneta dell’Ottocento." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2020. http://hdl.handle.net/10579/16327.

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Анотація:
La contrada Costa del comune di Breganze è il luogo in cui nel 1839 si compie un misterioso omicidio, apparentemente privo di un autore e di un movente plausibile. Una donna, già ammalata, viene pugnalata con ferocia nel proprio letto; non è in grado di identificare il proprio aggressore, o forse non vuole farlo: il silenzio diventa strumento di accusa, nelle mani del giudice, da utilizzare sei anni dopo lo svolgimento dei fatti. Il fascicolo processuale, redatto dal Tribunale provinciale di Vicenza, illustra il lungo percorso della giustizia austriaca per trovare il colpevole e svela le dinamiche interne alla contrada e le relazioni instaurate tra i suoi abitanti e le comunità vicine. Interrogatori, missive scambiate tra magistrature politiche e criminali e la ricostruzione degli eventi effettuata dai “giudici relatori” fanno emergere il tema della vendetta e il problema di formulare una valida prova legale, nel rispetto del Codice penale del 1803, contro il presunto reo. La documentazione può fornire ipotesi interpretative non prese in considerazione dal tribunale, in particolar modo sul movente e sui possibili mandanti del delitto.
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De, Marco Gabriele <1992&gt. "Nell'Istria asburgica. Un'analisi storico-istituzionale della penisola dal 1813 al 1816." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2020. http://hdl.handle.net/10579/16367.

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La presente tesi si prefigge l'obiettivo di ricostruire un quadro storico-istituzionale generale della regione istriana tra il 1813 e il 1816, triennio di transizione tra la dominazione francese e la riconquista delle ex Province Illiriche da parte dell'Impero austriaco. Nello specifico il lavoro si concentra sull'attività della Commissione Provinciale Provvisoria dell'Istria, ufficio formatosi in seguito ad alcune ordinanze del Generale Nugent, datate settembre 1813, e deputato al riassetto dell'Istria nel primo periodo della Restaurazione. L'Istria, attraverso tali provvedimenti, tornava all'antica frammentazione amministrativa e quindi al particolarismo giuridico dopo alcuni anni in cui era stata inserita in un'entità statuale ben organizzata e poco incline a conferire un ruolo di rilievo ai poteri locali. Attraverso lo studio del fondo archivistico a essa dedicato, presente presso l'Archivio di Stato di Trieste, si sono presi in esame nello specifico documenti relativi alle modalità con cui la Commissione represse un diffuso fenomeno di contrabbando di sale. In secondo luogo, per ottenere una visione più ampia delle problematiche inerenti alla criminalità comune minore in queste terre, si è deciso di analizzare la documentazione relativa all'applicazione del codice penale universale austriaco in materia di gravi trasgressioni di polizia in una fase successiva al Congresso di Vienna, quando la Commissione Provinciale venne abolita e l'Istria tornò, di fatto, ad essere parte dell'organismo statale asburgico. Per la redazione di questa sezione tematica è stato consultato il fondo del commissariato distrettuale di Albona conservato presso l'Archivio di Stato di Pisino.
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Marcadella, Paolo <1979&gt. "Neppur la fermezza dei cancelli e la santità del luogo valsero a far trepide quelle ladre mani. Vicenza, 1835-1837: il processo contro Antonio Caldana di Conco." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2020. http://hdl.handle.net/10579/17353.

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Tra la primavera e l’estate del 1835 si verificò un’insolita sequenza di furti sacrileghi ai danni di diverse chiese del vicentino. Il principale responsabile fu individuato nel latitante Antonio Caldana, giovane contrabbandiere di Conco, il quale nel novembre del medesimo anno venne fortunosamente arrestato da alcuni abitanti del paese di Quargnenta, la cui parrocchiale era stata razziata qualche mese prima da uno sconosciuto che durante la settimana di Pasqua si era intrattenuto in quella località. Una volta consegnato alla giustizia, Caldana dovette difendersi anche da una pesante accusa di omicidio che gli era stata attribuita durante la sua latitanza. Attraverso l’analisi della vicenda processuale, i cui fascicoli sono conservati presso l’Archivio di Stato di Vicenza, è possibile non solo ripercorrere quegli avvincenti episodi di cronaca, ma anche ottenere una concreta dimostrazione del funzionamento e dei limiti del sistema giudiziario vigente nel Regno Lombardo-Veneto. La particolare complessità del processo, che venne affidato alla direzione di Bernardo Marchesini, uno dei giudici più capaci tra quelli in forza al tribunale berico all’epoca dei fatti, comportò articolate indagini e numerosi interrogatori che si dispiegarono nell’arco di quasi due anni e videro l’escussione di un notevole numero di testimoni, per lo più appartenenti a strati sociali popolari, contribuendo così a formare una preziosa fonte di informazioni etnografiche sul Veneto del XIX secolo.
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22

Raguso, Maria Giovanna <1989&gt. "La geopolitica del "limes": un ritorno alle frontiere?" Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2022. http://hdl.handle.net/10579/20675.

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La tesi si propone di analizzare la nascita e lo sviluppo di confini e frontiere che, in molti casi, hanno portato all’innalzamento di veri e propri muri, in un contesto, quale quello attuale, di globalizzazione. Di conseguenza, il risultato è una visione politica, economica, culturale e sociale ossimorica. L’obiettivo di questa tesi, dunque, è quello di fornire un’analisi geopolitica sulla situazione di confini e frontiere nel mondo tramite l’approfondimento dei casi più famosi e ignoti, al fine di comprendere i meccanismi economico-politici che spingono un governo a promuovere determinate politiche estere. L’analisi parte dall’etimologia storico-linguistica del termine “confine”, dalla sua origine greco-latina fino ad arrivare al suo uso moderno nelle varie lingue. Successivamente, si propone un focus sulla definizione di frontiera dal punto di vista del diritto internazionale, partendo dal trattato di Westfalia fino ad arrivare alla Carta delle Nazioni Unite. Da ciò si capisce come nasce - politicamente e successivamente geograficamente - una frontiera e qual è l’iter per il consolidamento e il riconoscimento della stessa. Si è ritenuto utile un approfondimento su alcuni casi di frontiere “ereditarie”, ossia quelle di origine storico-culturale che oggi causano instabilità, tensioni, guerre e violazioni dei diritti umani. I primi tre casi descrivono situazioni territoriali extraeuropee. Il primo caso riguarda gli accordi Sykes-Picot che hanno tracciato una linea di divisione alquanto arbitraria nei territori del Medio Oriente. Il secondo caso è spesso protagonista dei telegiornali nazionali: stiamo parlando del muro che divide Messico e Stati Uniti. Il terzo caso esamina la situazione della Triplice Frontiera, situata tra Paraguay, Brasile e Argentina, che causa tensioni politiche ed economiche tra i tre paesi e gli Stati Uniti. I successivi casi riguardano, invece, le frontiere europee. Dalla rotta balcanica si passa al caso dell’isolotto inabitato e sperduto di Rockall, conteso da ben quattro paesi. Vengono presi in esame anche le vicende relative allo Stretto di Gibilterra, che causa tensioni continue tra Regno Unito e Spagna, all’isolotto di Perejil, rivendicato sia dalla Spagna che dal Marocco, e alla cosiddetta “guerra brexit” tra Regno Unito e Francia nelle acque del canale della Manica per i diritti di pesca, divenuti ambigui dopo l’uscita del primo dall’Unione europea. Successivamente, viene introdotto il concetto di frontiere “invisibili”, ossia quelle che non hanno realtà fisica, ma non per questo sono meno incisive delle altre. Possiamo includere in questo tipo di frontiere quelle aeree, quelle internazionali marittime, quelle immaginarie o arbitrarie. Per comprendere a pieno la differenza tra queste frontiere, vengono approfonditi la linea Kármán, il 10° parallelo, il Mar Cinese, il Caspio, l’Artico e il Monte Bianco. Tra le frontiere “visibili” ci sono i muri, costruiti per difendere i confini del proprio paese. I muri moderni hanno diverse funzioni: difesa contro il terrorismo, regolazione dei flussi migratori e contenimento dei traffici illegali di ogni genere. Sono sparsi in tutto il mondo, dall’America all’Asia, inclusa anche l’Europa. Vengono approfondite le questioni riguardanti la città portuale del nord della Francia, Calais, dove è stato eretto il “Great Wall”, la costruzione del Muro Marocchino, la Linea di demarcazione militare tra la Corea del Nord e la Corea del Sud, la “green line” a Cipro e la barriera di separazione israeliana. In questa analisi, sono inclusi anche “casi” frontalieri davvero particolari. Ci riferiamo alle zone extraterritoriali, alle terrae nullius e alle enclave.
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Boato, Matteo <1996&gt. "Unione Europea e Deficit Democratico: Le Radici Ordoliberali della Democrazia in Europa." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2022. http://hdl.handle.net/10579/21152.

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Il dibattito sulla democrazia ha sollevato fin dalla nascita della Comunità Europea un forte interesse da parte dell’ambiente accademico. Il processo di integrazione ha comportato ad un cambiamento nei sistemi di governance ed ha posto numerosi quesiti dati dalla caratterizzazione unica della politica europea, causando un dibattito crescente sulla questione della legittimità e sul deficit democratico. Scopo di questa tesi è quello di comprendere quali sono le radici storiche e concettuali del dibattito in corso. In particolare, si sosterrà che l’ideologia ordoliberale sia alla base del problema. Nella parte introduttiva verrà presentato il tema sul deficit democratico all’interno del contesto europeo. Si descriverà la metodologia utilizzata, si delineeranno i principali punti trattati e verrà presentata la struttura dello scritto. Nel primo capitolo verrà presentato il punto sul dibattito del deficit democratico, proponendo quali sono i diversi punti di vista esposti dalla letteratura in materia, dividendola in tre differenti livelli di analisi: istituzionale, costituzionale e socio-culturale. Nella seconda parte si analizzerà il rapporto fra democrazia e processo di integrazione europea, partendo da una strumentale definizione del concetto di democrazia. Il terzo ed ultimo capitolo è dedicato all’esame dell’ideologia ordoliberale come pratica di governo in rapporto alla democrazia e applicata al contesto europeo. La sezione conclusiva della tesi avrà l’obiettivo di richiamare il metodo di ragionamento seguito nel lavoro di ricerca e riportare i risultati raggiunti.
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Morassut, Ilaria <1997&gt. "Il ruolo dell’OMS nelle relazioni internazionali rispetto all’impatto della pandemia di Covid-19." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2022. http://hdl.handle.net/10579/21357.

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Il presente lavoro si propone di analizzare il ruolo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nelle relazioni internazionali rispetto all’impatto della pandemia di Covid-19. Il problema su cui ci si vuole concentrare consiste nell’individuare il peso e il grado di influenza che ha avuto quest’agenzia delle Nazioni Unite nell’ambito dei rapporti globali, sulle relazioni della comunità internazionale, in particolare per quanto riguarda il contesto dell’emergenza sanitaria del coronavirus Sars-CoV-2. Si è scelto di approfondire questo tema in quanto si tratta di una questione estremamente attuale, che caratterizza in modo profondo non solo le singole realtà cittadine o statali ma coinvolge la totalità degli attori internazionali. Essendo un problema globale e trasversale, l’analisi della funzione e dell’impatto di un organismo di cooperazione e coordinamento transnazionale risulta fondamentale. È di interesse chiarire questo argomento per approfondire un aspetto rilevante sia per lo studio delle relazioni internazionali che per l’attualità e la ricerca futura. Il progetto di ricerca si costruisce a partire da una contestualizzazione generale sull’Organizzazione Mondiale della Sanità nel primo capitolo; ossia, viene ripercorso il processo storico di formazione dell’organizzazione, specificando quali sono le tappe più importanti che hanno portato la comunità internazionale a fondare questa agenzia delle Nazioni Unite specializzata per le questioni sanitarie. Oltre all’origine dell’OMS, ne vengono descritti i compiti e i poteri, la struttura e il coordinamento – concetti chiave per poter proseguire e sviluppare la ricerca. Nel secondo capitolo vengono presentati gli snodi più significativi della storia dell’organizzazione, in particolare i progetti più o meno riusciti e di successo messi in atto nel corso dei decenni. In questa sezione si va ad approfondire il tipo di risposta che l’OMS ha dato alle emergenze sanitarie globali nell’ultimo secolo. L’obbiettivo di questa parte consiste nell’analizzare come si è sviluppato il ruolo dell’OMS relativamente alle relazioni internazionali, che posizione si è consolidata nel tempo. Infine, il terzo capitolo tratta l’OMS in relazione all’impatto della pandemia di Covid-19, quindi vengono prese in esame le dinamiche decisionali dell’organizzazione, le conseguenti reazioni dei vari Paesi e gli effetti sulle relazioni della comunità internazionale. Il fine consiste nel comprendere le dinamiche dell’evoluzione e della risposta alla crisi. Il principale obbiettivo della presente analisi, dunque, è quello di definire il ruolo, la posizione e l’importanza di questa organizzazione internazionale sanitaria nei confronti dei rapporti intercorsi e intercorrenti tra i vari soggetti internazionali. Nello specifico, il contesto di approfondimento è quello della pandemia di Covid-19, con la finalità di mostrare come e con quale peso le azioni decise dall’OMS hanno avuto delle conseguenze sull’insieme del sistema internazionale e dei suoi collegamenti in un periodo storico di emergenza sanitaria mondiale.
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Gasco, Margherita <1993&gt. "Venezia tra '500-'600: "al centro del piacere"." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2022. http://hdl.handle.net/10579/21522.

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L'elaborato consiste in una prima comparazione tra le aspettative e la realtà corrente tra '500-'600 di giovani rampolli di famiglie benestanti europee che avevano come obiettivo la visita a Venezia inserita in un percorso di Grand Tour europeo per la loro formazione. Mi concentro poi sull'aspetto del "piacere" analizzando il fenomeno delle cortigiane e il loro ruolo giocato nella società veneziana nel tempo
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Lasorsa, Chiara <1994&gt. "L’impatto dell’accordo sullo Status delle forze tra Giappone e Stati Uniti sulla popolazione civile giapponese." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2022. http://hdl.handle.net/10579/21684.

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L'accordo sullo Status delle forze tra Giappone e Stati Uniti è un elemento fondamentale della diplomazia dei due Paesi. Questo accordo è necessario per definire i diritti e le obbligazioni a cui devono sottostare le forze militari americane in Giappone. Dalla sua firma nel 1960 è stato motivo di scontento per la popolazione giapponese a causa del forte carattere unilaterale dell’accordo, in quanto pone diversi limiti all’applicazione della legge nazionale giapponese rendendo ardua l’esecuzione di molte attività, quali la manutenzione delle basi, i controlli sulle persone in entrata e in uscita dal Paese ospitante e l’applicazione della giustizia. In questa tesi verranno analizzati alcuni articoli dell’accordo, ponendo l’accento su come la loro applicazione arrechi dei notevoli problemi alla popolazione giapponese. Verrà anche approfondito il ruolo delle organizzazioni non governative nell’evidenziare le difficoltà insorte e nell’assistere i civili. L’analisi del contenuto degli articoli è avvenuta accompagnando il testo dell’accordo ad articoli accademici, che sono stati fondamentali per evidenziarne i limiti. Inoltre, grazie ad articoli di testate giornalistiche americane e giapponesi è stato possibile inserire notizie di eventuali incidenti per rendere maggiormente evidenti le difficoltà descritte. L’obiettivo di questo elaborato è evidenziare la necessità di apportare modifiche all’accordo per facilitare la convivenza tra popolazione civile e forze armate, riportando anche alcune proposte espresse dalle organizzazioni non governative. In conclusione l’accordo sullo Status delle forze è necessario per gestire le attività delle forze armate statunitensi stanziate in Giappone, tuttavia la sua applicazione sta avendo dalla sua firma diverse ripercussioni negative sulla popolazione civile e sull’ambiente. In questa tesi verranno non solo argomentate queste complicazioni, ma verranno espresse anche delle soluzioni proposte dalle ONG e dagli esperti per alleviarne il peso.
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Cogo, Michelle <1988&gt. "Nascita e formazione del sistema delle fonti del diritto di Hong Kong." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2013. http://hdl.handle.net/10579/3712.

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La nascita e la formazione del sistema delle fonti del diritto di Hong Kong avvengono in concomitanza con importanti eventi storici che influenzano in maniera determinante Hong Kong. Tra la seconda metà del XIX secolo e l’inizio del XX secolo, a seguito delle guerre dell’oppio, si conclusero i cosiddetti trattati ineguali, attraverso i quali si stabilì la cessione di Hong Kong come colonia al Regno Unito. Ciò determinò l’adozione di un sistema giuridico di common law da parte della colonia britannica. Successivamente alla fondazione della Repubblica Popolare cinese nel 1949, il governo cinese prese una posizione coerente su Hong Kong sostenendo l’appartenenza di quest’ultima al territorio cinese e attraverso una serie di negoziati tra la Cina e la Gran Bretagna si decise per l’amministrazione diretta della Regione a statuto amministrativo speciale di Hong Kong da parte del Governo Popolare Centrale Cinese. Nel 1984 le due parti raggiunsero un accordo e siglarono la Joint Declaration sino-inglese e successivamente la Basic Law del 1990 che istituì il documento costitutivo di Hong Kong attraverso cui in conformità con il principio “un paese, due sistemi” si concordò il mantenimento per 50 anni del sistema capitalista e dello stile di vita precedente.
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Stroe, Andreea <1996&gt. ""Il nuovo protagonismo delle piccole potenze: il Qatar nello scenario internazionale contemporaneo"." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2022. http://hdl.handle.net/10579/21033.

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Nell’ambito della disciplina delle Relazioni Internazionali la collocazione di uno Stato nella gerarchia del potere è rappresentata dalla combinazione tra la forza potenziale (la somma tra risorse militari, economiche e morali) e il potenziale di mobilitazione. Proprio a seconda del coefficiente di potenza a sua disposizione, lo Stato dispone di diversi margini di manovra per rispondere alle pressioni esogene. Seguendo questa logica, sono gli attori più fragili a subire le conseguenze più significative delle pressioni esogene. In un mondo visto come anarchico, in cui la rivalità e il conflitti sono inevitabili, gli Stati devono provvedere per la propria sicurezza e riescono ad ottenerla in misura direttamente proporzionale alla potenza di cui dispongono. Essere “Stato Piccolo” o debole vuol dire subire la condizione di estrema esposizione internazionale data l’insufficienza di risorse per attuate politiche competitive contro altre unità. In questo modo, le Piccole Potenze sono Stati che hanno una modestissima influenza sul piano internazionale, con una limitata possibilità di intervento, quasi senza la capacità di influenzare, subendo in maniera passiva le conseguenze delle pressioni che arrivano dall’ambiente esterno. Tenendo conto delle limitate risorse di potere, limitati diventano anche gli obiettivi e spesso una Piccola Potenza si concentra sulla sola sopravvivenza concentrandosi sullo sviluppo economico, rimanendo spettatori sul palcoscenico internazionale. La letteratura ha collocato il Qatar nella gerarchia internazionale del potere come “piccola potenza” ovvero nel gruppo di Stati, maggioritario nel sistema internazionale, il quale subisce in maniera passiva l’influenza dell’ambiente esterno più delle medie e grandi potenze. Tradizionalmente la letteratura scientifica afferma che le Piccole Potenze sono destinate a restare attori passivi sullo scenario internazionale, ma le ultime tendenze mostrano come, negli ultimi anni, queste piccole potenze iniziano ad essere più attive e a ritagliarsi uno spazio sulla scena internazionale. Queste nuove tendenze spingono la letteratura a rivalutare la propria posizione riguardante la loro passività. Un esempio, in questo senso è dato dal Qatar – da sempre considerato dalla letteratura come piccola potenza ma che negli ultimi anni si sta dimostrando un paese dinamico e attivo, pronto a combattere per ritagliarsi uno spazio di influenza sul rango internazione. Nello scenario internazionale Qatar si sta comportando in maniera diversa rispetto a quanto si aspetterebbe da una “Piccola Potenza” nella misura in cui: a) persegue obiettivi ben più ampi della mera sopravvivenza e benessere economico; b) cerca di ritagliarsi margini di influenza regionali; c) persegue obiettivi che non hanno solo natura materiale (sicurezza, investimenti, ecc.), ma anche natura immateriale (rango, posizionamento, branding, ecc.). In questo modo, Qatar assume una posizione da “protagonista” contraddicendo in maniera chiara la letteratura delle Piccole Potenze. Si arriva cosi all’ipotesi di ricerca e si tenta di dimostrare come Qatar riesce a ritagliarsi uno spazio “da protagonista” nello scenario internazionale, comportandosi in una maniera diversa rispetto a quanto si potrebbe aspettare dal una “Piccola Potenza”. Una volta affermato il ruolo di “protagonista” a livello internazionale, ci si chiede come tale affermazione sul rango internazionale possa influenzare le relazioni bilaterali economiche e politiche con l’Italia. Utilizzando la letteratura delle “Piccole Potenze” e optando per un approccio “misto” – tenendo conto sia delle definizioni qualitative sia qualitative, è possibile chiarire la posizione del Qatar all’interno dello schiacciare internazionale.
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Pietrancosta, Fausto <1982&gt. ""Tra centro e periferia" Istituzioni e processi di industrializzazione nella Sicilia del secondo dopoguerra." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2014. http://amsdottorato.unibo.it/6192/4/TESI_DI_DOTTORATO_FORMA_DEFINITIVA_PDF.pdf.

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In Sicilia lo strumento principale che ha caratterizzato le modalità d’intervento dei poteri pubblici in economia è stato quello della partecipazione diretta o indiretta, quello cioè della Regione che si propone come ente fautore del sostegno allo sviluppo dell’industria e successivamente come soggetto imprenditore. Le formule organizzative attraverso le quali si è concretizzato l’intervento regionale in economia furono la società per azioni a partecipazione regionale, l’azienda autonoma regionale e l’ente pubblico regionale1. La storia dello sviluppo economico siciliano nel secondo dopoguerra conferma come il ricorso allo strumento dell’ente pubblico economico sia stato molto frequente nella realtà locale come, peraltro, anche in altre Regioni d’Italia. Tracce, queste, di una vicenda storica che intuiamo subito avere complesse implicazioni tali da generare la necessità di interrogarsi sul modo nel quale le istituzioni politiche hanno influito sulle dinamiche economiche siciliane nel secondo dopoguerra; per quanto noti e approfonditi siano stati infatti gli elementi caratterizzanti e i percorsi peculiari dello sviluppo economico siciliano, rimangono scarsamente approfonditi il tenore dei rapporti e i nessi politici, istituzionali ed economici tra centro e periferia, in altre parole rimane ancora parzialmente inesplorata quella parte dell’indagine inerente l’evoluzione dei processi di industrializzazione della Sicilia nel secondo dopoguerra attuata parallelamente dalle autorità regionali e dallo Stato attraverso i loro enti e strumenti. È lecito chiedersi quali siano stati i tempi, le modalità, gli ostacoli e gli eventuali risultati delle azioni di pianificazione intraprese dai poteri pubblici centrali e regionali nella prospettiva dello sviluppo economico del territorio; il coordinamento delle azioni di promozione del progresso industriale si presentava in tal senso, sin dall’inizio, come una delle sfide fondamentali per un adeguato e consistente rilancio economico delle aree più arretrate del Mezzogiorno italiano; ecco che lo studio dei provvedimenti legislativi emanati rappresenta un approfondimento indispensabile e obiettivo primario di questo lavoro.
In Sicily, the main tool that has characterized the mode of action of the public authorities in the economy has been the direct or indirect holding, that of the region which is proposed as an advocate organization to support the development of industry and later as an entrepreneur subject. The organizational form through which the intervention took the form of regional economy were the corporation to regional participation, the company and the autonomous regional public regional entity. The history of economic development in the post-war Sicilian confirms that the use of the economic instrument of the public powers has been very common in the local as, moreover, also in other regions of Italy. Traces of these, a historical event that we immediately have complex implications that would generate the need to research the way in which political institutions have an impact on the economic dynamics of Sicily after World War II, to the extent known and depth were in fact the key features and Sicilian peculiar paths of economic development remain poorly detailed content of the reports and the links political, institutional and economic relations between center and periphery, in other words that still remains partially unexplored part of the investigation concerning the evolution of the processes of industrialization of Sicily in the second postwar implemented in parallel by the regional authorities and the State through their bodies and instruments. You might be wondering what were the times, methods, obstacles and possible results of planning actions taken by the public authorities in the central and regional perspective of economic development of the territory, the coordination of measures to promote industrial progress is presented in this sense, from the outset, as one of the key challenges for an adequate and substantial economic recovery in less developed areas of Southern Italian.
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Pietrancosta, Fausto <1982&gt. ""Tra centro e periferia" Istituzioni e processi di industrializzazione nella Sicilia del secondo dopoguerra." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2014. http://amsdottorato.unibo.it/6192/.

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In Sicilia lo strumento principale che ha caratterizzato le modalità d’intervento dei poteri pubblici in economia è stato quello della partecipazione diretta o indiretta, quello cioè della Regione che si propone come ente fautore del sostegno allo sviluppo dell’industria e successivamente come soggetto imprenditore. Le formule organizzative attraverso le quali si è concretizzato l’intervento regionale in economia furono la società per azioni a partecipazione regionale, l’azienda autonoma regionale e l’ente pubblico regionale1. La storia dello sviluppo economico siciliano nel secondo dopoguerra conferma come il ricorso allo strumento dell’ente pubblico economico sia stato molto frequente nella realtà locale come, peraltro, anche in altre Regioni d’Italia. Tracce, queste, di una vicenda storica che intuiamo subito avere complesse implicazioni tali da generare la necessità di interrogarsi sul modo nel quale le istituzioni politiche hanno influito sulle dinamiche economiche siciliane nel secondo dopoguerra; per quanto noti e approfonditi siano stati infatti gli elementi caratterizzanti e i percorsi peculiari dello sviluppo economico siciliano, rimangono scarsamente approfonditi il tenore dei rapporti e i nessi politici, istituzionali ed economici tra centro e periferia, in altre parole rimane ancora parzialmente inesplorata quella parte dell’indagine inerente l’evoluzione dei processi di industrializzazione della Sicilia nel secondo dopoguerra attuata parallelamente dalle autorità regionali e dallo Stato attraverso i loro enti e strumenti. È lecito chiedersi quali siano stati i tempi, le modalità, gli ostacoli e gli eventuali risultati delle azioni di pianificazione intraprese dai poteri pubblici centrali e regionali nella prospettiva dello sviluppo economico del territorio; il coordinamento delle azioni di promozione del progresso industriale si presentava in tal senso, sin dall’inizio, come una delle sfide fondamentali per un adeguato e consistente rilancio economico delle aree più arretrate del Mezzogiorno italiano; ecco che lo studio dei provvedimenti legislativi emanati rappresenta un approfondimento indispensabile e obiettivo primario di questo lavoro.
In Sicily, the main tool that has characterized the mode of action of the public authorities in the economy has been the direct or indirect holding, that of the region which is proposed as an advocate organization to support the development of industry and later as an entrepreneur subject. The organizational form through which the intervention took the form of regional economy were the corporation to regional participation, the company and the autonomous regional public regional entity. The history of economic development in the post-war Sicilian confirms that the use of the economic instrument of the public powers has been very common in the local as, moreover, also in other regions of Italy. Traces of these, a historical event that we immediately have complex implications that would generate the need to research the way in which political institutions have an impact on the economic dynamics of Sicily after World War II, to the extent known and depth were in fact the key features and Sicilian peculiar paths of economic development remain poorly detailed content of the reports and the links political, institutional and economic relations between center and periphery, in other words that still remains partially unexplored part of the investigation concerning the evolution of the processes of industrialization of Sicily in the second postwar implemented in parallel by the regional authorities and the State through their bodies and instruments. You might be wondering what were the times, methods, obstacles and possible results of planning actions taken by the public authorities in the central and regional perspective of economic development of the territory, the coordination of measures to promote industrial progress is presented in this sense, from the outset, as one of the key challenges for an adequate and substantial economic recovery in less developed areas of Southern Italian.
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Cernuto, Marta <1987&gt. "La Cina "unitaria multietnica": le politiche della RPC nei confronti delle minoranze etniche." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2013. http://hdl.handle.net/10579/3653.

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L'intento di questa tesi è analizzare e approfondire il tema delle politiche varate dal governo centrale cinese nei confronti delle minoranze etniche dalla fondazione della Repubblica Popolare Cinese nel 1949 fino ad oggi. Ho ritenuto necessario iniziare con una premessa sui termini che ricorrono con maggiore frequenza nel corso della trattazione: "etnia" e "minoranza". Sono termini il cui impiego è diffusissimo nel linguaggio comune ma sono anche dei termini tecnici socio-antropologici portatori di significati complessi i quali, se non compresi correttamente, possono essere facilmente fraintesi e strumentalizzati. Concluderà la premessa un piccolo paragrafo relativo ai termini cinesi minzu, shaoshu minzu e zhonghua minzu che significano rispettivamente "etnia", "minoranza etnica" e "nazione cinese". Nel primo capitolo, viene analizzato il periodo maoista (dal 1949 al 1976) e il modo in cui la politica relativa alla questione delle minoranze etniche venne impostata durante le diverse fasi storiche attraversate dalla Cina a partire dalla nascita della Repubblica Popolare Cinese fino alla morte del suo Timoniere. Le fasi storiche in cui ho suddiviso l'analisi di questo trentennio sono tre: la prima copre i primissimi anni di vita della RPC dal 1949 al 1954, la seconda va dal 1954 al 1957 e la terza riguarda gli anni dal 1957 al 1976. L'analisi di questo periodo storico è stata condotta attraverso lo studio dei testi delle varie leggi e Costituzioni promulgate a quei tempi e del pensiero del Presidente Mao. Successivamente, un paragrafo è dedicato al tema della categorizzazione etnica, ovvero di come si sia arrivati in Cina al riconoscimento delle 55 minoranze ufficialmente riconosciute dal governo. Il fulcro dell'analisi sulla categorizzazione etnica è il "Progetto di Classificazione Etnica": una serie di spedizioni iniziate negli anni cinquanta che impegnò etnologi e linguisti nel compito di determinare, una volta per tutte, la precisa composizione etnica della Cina. Il secondo capitolo è dedicato alle politiche nei confronti delle minoranze etniche intraprese dalla fine degli anni settanta all'inizio degli anni novanta. Con Deng Xiaoping alla sua guida, il governo cinese perseguì una politica liberale non solo dal punto di visto economico e politico ma anche nei confronti delle minoranze etniche nazionali, riprendendo nei loro confronti la linea politica moderata precedentemente perseguita dal 1949 al 1957. Questi anni di grande cambiamento, conosciuti anche come "decennio delle riforme" furono testimoni, nel 1982, della promulgazione della Carta Costituzionale ancora oggi vigente e di altre importanti leggi fra cui la Legge sull'Autonomia Regionale Nazionale e la Legge Elettorale della RPC. Il secondo paragrafo tratterà la tesi sul modello di "unità pluralistica" della nazione cinese, presentata nel 1988 dall'antropologo Fei Xiaotong. Questa tesi fornisce un'argomentazione scientifica alla posizione sostenuta del governo comunista sin dalla nascita della RPC secondo cui la Cina è "uno Stato unitario multietnico". Nel terzo ed ultimo capitolo si parlerà della situazione odierna analizzando, prima di tutto, quali sono le 55 minoranze etniche e come sono distribuite su tutto il territorio nazionale. Il secondo paragrafo affronterà il quadro politico e legislativo analizzando i più recenti emendamenti apportati nel 2004 alla Costituzione del 1982 e alla Legge Elettorale e nel 2001 alla Legge sull'Autonomia Regionale Nazionale. L'analisi si sposterà infine sui tre "white paper" pubblicati dall'Ufficio Informazioni del Consiglio degli Affari di Stato relativamente al tema delle minoranze etniche.
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Loddo, Roberta <1987&gt. "Il volto femminile delle maquiladoras messicane, tra discriminazione e diritti violati." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2014. http://hdl.handle.net/10579/5522.

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Latin America is one of most unequal regions in the globe. Gender based discrimination, poverty and violence are endemic problems that affect that society, in particular the most vulnerable groups, especially women. According to an official report of the Inter- American Court on Human Rights, Mexico is one of the countries with a higher rate of discrimination and inequality based on gender. On one hand the global economy has increased the number of women employed as workforce in the mexican labour market but on the other hand it has contributed to fuel discrimination against women. Mexican maquiladoras represent one of the contexts where women discrimination is perpetuated most because of massive female participation as workforce.Mexico has ratified and implemented different legal instruments, at a national, regional and international level to defende women rights, but the government does not fully respect its obligations to protect women’s rights. The role played by NGOs is important for the defence of such rights. The absence of the mexican State to promote their labour rights, urged women working in maquiladoras to ask for the cooperation of no governamental organisations. The presence of such organizations in the country is fundamental to denounce what happens whitin the maquiladoras plants against women, making pressure on the Mexican institutions to change this situation. Mexico has still a lot to do to reach satisfactory levels on human rights.
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Piana, Giulia <1993&gt. "La pena di morte in Giappone: riflessioni sulla possibilità di una sospensione delle esecuzioni." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2020. http://hdl.handle.net/10579/16705.

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Abstract Il Giappone è una delle poche nazioni sviluppate che, insieme agli Stati Uniti, mantiene in vigore la pena capitale. Circa l’85% della popolazione giapponese è a supporto di tale pratica e la definisce necessaria in alcuni casi. Negli ultimi anni i diritti umani e, nel particolare, la pena di morte sono diventati argomento di forte dibattito e anche il Giappone è stato aspramente criticato su questi temi. L’argomento è stato motivo di discussione in Europa per secoli ed è stato affrontato da studiosi e personaggi illustri quali Cesare Beccaria, Voltaire o Camus. A prendere posizione non sono state solamente organizzazioni internazionali quali le Nazioni Unite o Amnesty International, ma anche la Chiesa e il papa. L’obiettivo di tali enti è una moratoria della pena di morte entro il 2020, in concomitanza con l’apertura dei Giochi Olimpici che avranno sede proprio nella capitale giapponese. La tesi si pone come obiettivo quello di analizzare il fenomeno nonostante l’alto livello di segretezza che coinvolge il dibattito e la scarsità di studi e di interesse da parte del popolo nipponico. Dopo una digressione storica e un confronto con la controparte americana, l’elaborato analizza non solo le modalità con cui essa viene applicata ma anche come si articola il processo giudiziario, le condizioni dei detenuti nel braccio della morte nelle carceri giapponesi e la “crudeltà” di cui il Giappone è accusato. Si farà specifico riferimento all’importanza dell’opinione pubblica, nonostante la cosiddetta “democrazia censurata”, e agli effetti dell’introduzione del sistema chiamato Saiban-in Sedo implementato nel maggio 2009 che vede una giuria di cittadini e di giudici professionisti condurre il processo, determinare la colpevolezza o non colpevolezza dell’imputato e infine imporre la sentenza.
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Stigliano, Messuti Giovanni <1997&gt. "Mensōrē ja nai! – L’impatto delle politiche di State building sul paesaggio dell’isola di Okinawa." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2021. http://hdl.handle.net/10579/20006.

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Il presente studio si propone di analizzare in che misura il processo di State building – ovvero, quando l’autorità statale utilizza il potere di cui è depositaria per eliminare le resistenze interne e convogliare verso un sedicente “centro” le risorse disponibili – abbia saputo modificare il paesaggio dell’isola maggiore di Okinawa a vantaggio della classe dirigente, ponendo in evidenza il nesso tra cambi di policy e variazioni nell’ambiente circostante. In linea di principio, la nostra tesi è che, in presenza di una forte spinta ideologica o nel nome di un economismo totalizzante, sussista la possibilità che suddetto “centro” decida di dichiarare guerra a quegli spazi interstiziali entro cui si esercitano la libertà e socialità dei cittadini, arrivando a eliminare con la forza ciò che non collima con le sue astrazioni pur di sostanziarle, e che ciò si verifichi con maggiore violenza in mancanza di una sovranità stabile e consensuale. Adattando le considerazioni della critica post-Strutturalista (James C. Scott, Michel Foucault, David Harvey, Henri Lefebvre ed Edward W. Soja) al nostro oggetto di studio, si può notare come riforme introdotte in campi anche molto distanti tra loro (fisco, anagrafe, catasto) e da padroni differenti (Giappone imperiale, Amministrazione americana, Giappone postbellico) condividano il medesimo obiettivo di rendere leggibile – amministrativamente parlando – il paesaggio dell’isola agli occhi dello Stato centrale, in modo da meglio sfruttarne le ricchezze e disperdere gli elementi di disturbo, primo fra tutti lo sviluppo di un’autentica identità okinawana. Gli ambiti in cui tale transizione è stata e continua a essere più evidente, e che pertanto vanno a costituire le quattro macroaree di analisi, sono i seguenti: • Abitazioni e industria edilizia; • Regimi di proprietà e d’impresa; • Estrazione e redistribuzione delle risorse; • Servizi ai cittadini e burocrazia; Benché detti strumenti epistemologici non siano mai stati applicati allo studio della realtà okinawana prima d’ora, riteniamo che essa rappresenti un case study particolarmente ricco di interesse, in quanto: 1. Riunisce in sé le storture del capitale sia del XX (organized/entrepreneurial capitalism) che del XXI (disorganized/speculative capitalism) secolo, manifestandole in una scala più facilmente osservabile da parte del ricercatore; 2. Costituisce un’unità insulare di discreta estensione territoriale, a sua volta inglobata in un più vasto Stato-nazione insulare di cui riproduce debolezze e contraddizioni; 3. È stata a lungo apolide e utilizzata quale merce di scambio in schermaglie geopolitiche, vedendosi negato il proprio diritto all’autodeterminazione; 4. Presenta un contesto idrogeologico, faunistico e ambientale di rara bellezza e fragilità, sul quale gli effetti collaterali delle politiche di accentramento – soprattutto per quanto concerne l’edilizia e le opere pubbliche – sono particolarmente evidenti; 5. È vittima di dinamiche socioeconomiche sperequate di matrice post-coloniale da cui gran parte dell’Asia Orientale si è ormai emancipata, la cui persistenza è da imputarsi alla dipendenza indotta dal mainald giapponese (hondo). Scopo ultimo dello studio, al di là di risalire alle ragioni – talvolta eminentemente politiche, talvolta afferenti a un sostrato antropologico più difficile da disaminare – alla base delle decisioni prese dal governo di turno, è quello di individuare possibili strategie di crescita per il futuro, in grado di garantire autonomia e sviluppo sostenibile a una realtà che, con l’avanzare della globalizzazione, rischia sempre più di essere travolta dal corso degli eventi, nonché di veder fagocitate quelle particolarità paesaggistiche che costituiscono il suo vero tesoro.
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Colucci, Stefania <1988&gt. "Le organizzazioni non-governative per la tutela dei diritti reali delle donne nella Cina contadina." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2014. http://hdl.handle.net/10579/4134.

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Анотація:
Il seguente elaborato si propone di analizzare, attraverso il lavoro svolto dalle organizzazioni non governative cinesi, la situazione delle donne nella Cina contadina. In particolare, sono state prese in considerazione tre NGOs, il Beijing Cultural Development Center, il Migrant Women's Club ed il Beida Women's Legal Aid Center le quali, oltre ad offrire servizi di assistenza legale e non, contribuiscono all'implementazione del sistema legislativo cinese e cercano di garantire una maggiore tutela dei diritti delle donne, riconosciuti solo formalmente e spesso ignorati dagli organi amministrativi e giurisdizionali cinesi. Si è fatto, inoltre, riferimento al ruolo svolto dalle donne nella lotta per la tutela dei propri diritti reali e successori. Infine, è stato analizzato il ruolo ambivalente giocato dall' All-China Women's Federation, la madre di tutte le NGOs cinesi ma da alcuni non considerata una vera e propria organizzazione non-governativa ed il rapporto tra quest'ultima e le altre NGOs cinesi.
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D'ALESSANDRO, MICHELE. "Istituzioni internazionali ed economia tra le due guerre: la Società delle nazioni e l'organizzazione dei mercati." Doctoral thesis, Università Bocconi, 2004. http://hdl.handle.net/11565/4050975.

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Conte, Elena <1988&gt. "L'evoluzione delle politiche previdenziali nella Cina post-maoista e l'affermazione del welfare capitalism nell'area di Shenzhen." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2013. http://hdl.handle.net/10579/2378.

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Dinanzi a un contesto socio-economico profondamente mutato, l’atteggiamento al vertice della leadership cinese, ha conosciuto, negli ultimi decenni, importanti cambiamenti, sintetizzati nel concetto di “società armoniosa”. Si tratta di un modello di sviluppo che pone l’accento sulla riduzione del divario tra aree urbane e aree rurali, tra regioni costiere e regioni interne e sulla promozione di un sistema incentrato sulla equa distribuzione del reddito e delle risorse materiali tra la popolazione, allo scopo di porre fine al fenomeno delle sperequazioni. Il raggiungimento di tali obiettivi ha domandato alla classe dirigente la realizzazione di una rete di sicurezza sociale estesa ed efficiente quanto più vicina possibile ai modelli di welfare moderni. Partendo da un’analisi generale sul sistema di sicurezza sociale in Cina, oggetto della presente ricerca sarà lo studio approfondito del meccanismo di funzionamento delle pensioni di anzianità, quindi le peculiarità del sistema previdenziale, infine la storia e l’evoluzione delle leggi di riforma che si sono susseguite fino alla sua formulazione più recente. Le pensioni in Cina poggiano su un sistema pensato esclusivamente per offrire protezione sociale agli anziani delle aree urbane e ai lavoratori impiegati nel settore statale. Garantisce generosi trattamenti a pochi “eletti” e grava sulle giovani generazioni costrette a sostenere un numero di anziani in costante aumento. Al giorno d’oggi solo il 20% della popolazione cinese, stando alle stime dell’ OCED, beneficia di una pensione di anzianità . Nella seconda parte, l’indagine aprirà un focus sugli sviluppi delle pratiche capitaliste nella realtà urbana della zona economica speciale di Shenzhen, soprannominata la”fabbrica del mondo” per via della sua rapida affermazione nel settore manifatturiero e dell’elettronica, tentando una stima sull’evoluzione del welfare e del sistema pensionistico e comprendere, quindi, l’importanza che ha acquisito il modello sociale per la stabilità interna. Dalla sua designazione a località pilota, nei primi anni Ottanta, Shenzhen, ha portato avanti un piano di riforme economiche e sperimentato interventi sociali inediti che hanno segnato definitivamente ed ufficialmente il corso della storia economica.
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Galimberti, Silvia <1987&gt. "Politiche fondiarie nella Cina contemporanea. La gestione della terra quale indicatore delle contraddizioni socio-politiche cinesi." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2013. http://hdl.handle.net/10579/3774.

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Анотація:
La legge in Cina distingue tra regime di proprietà della terra e diritti d’uso del suolo. Il tema viene analizzato da studiosi di aree scientifiche molto diverse fra loro. Questo argomento è tanto significativo da costituire il punto di partenza di ricerche su molteplici aspetti della società cinese, da quello istituzionale e politico a quello ambientale, da quello economico a quello del lavoro e delle questioni di genere. È tanto ampio da abbracciare i conflitti tra città e campagna, tra stato centrale e autorità locali, tra formalizzazione del diritto e iniziativa spontanea. In tutti i molteplici ambiti in cui viene preso in esame, esso serve come strumento per illustrare la contraddittorietà insita nell’attualità cinese, ed è proprio in quanto paradigma delle contraddizioni che dimostra di essere un campo di sperimentazione da tenere sotto osservazione per interpretare la futura evoluzione del Paese, poiché incubatore di soluzioni nuove e originali.
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Milanese, Juan Pablo <1977&gt. "Transacciones, delegación o unilateralidad. Un análisis de los equilibrios de poder en las relaciones ejecutivo-legislativo durante los primeros gobiernos de Álvaro Uribe en Colombia y Carlos Saúl Menem en Argentina." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2011. http://amsdottorato.unibo.it/3346/1/Milanese_JuanPablo_Tesi.pdf.

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Анотація:
El presente trabajo analiza las relaciones entre poder ejecutivo y legislativo en los sistemas presidenciales, concentrándose específicamente en los casos de los primeros gobiernos de Álvaro Uribe Vélez en Colombia [2002-2006] y de Carlos Saúl Menem en Argentina [1989-1995]. Lo hace desde de una perspectiva analítica denominada neomadisoniana. Ubicada bajo el paraguas del neoinstitucionalismo, ésta utiliza como punto de partida el pensamiento de los padres fundadores de la democracia americana, particularmente el de James Madison, concentrándose en el estudio de como los arreglos institucionales constriñen el comportamiento de los actores a través del establecimiento de incentivos mediante los que se distribuyen distintos recursos de poder, proporcionando, además, una estructura estable, aunque no necesariamente eficiente, para la interacción humana. De este modo, el enfoque posee un particular interés por el análisis de la organización de los gobiernos, ya sea en términos de jerarquía o de transacciones entre actores instituciones [poderes ejecutivo y legislativo] que, de acuerdo al caso, gozan de distintos niveles de simetría y, consecuentemente, de capacidad de impactar sobre el proceso de toma de decisiones. Dentro de este marco, se intentarán identificar en el análisis de los casos patrones de regularidad y diferencia en relación a las características asumidas en el proceso de separación de poderes y el efecto que ejercen sobre él los poderes constitucionales y partidarios de los presidentes.
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Milanese, Juan Pablo <1977&gt. "Transacciones, delegación o unilateralidad. Un análisis de los equilibrios de poder en las relaciones ejecutivo-legislativo durante los primeros gobiernos de Álvaro Uribe en Colombia y Carlos Saúl Menem en Argentina." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2011. http://amsdottorato.unibo.it/3346/.

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Анотація:
El presente trabajo analiza las relaciones entre poder ejecutivo y legislativo en los sistemas presidenciales, concentrándose específicamente en los casos de los primeros gobiernos de Álvaro Uribe Vélez en Colombia [2002-2006] y de Carlos Saúl Menem en Argentina [1989-1995]. Lo hace desde de una perspectiva analítica denominada neomadisoniana. Ubicada bajo el paraguas del neoinstitucionalismo, ésta utiliza como punto de partida el pensamiento de los padres fundadores de la democracia americana, particularmente el de James Madison, concentrándose en el estudio de como los arreglos institucionales constriñen el comportamiento de los actores a través del establecimiento de incentivos mediante los que se distribuyen distintos recursos de poder, proporcionando, además, una estructura estable, aunque no necesariamente eficiente, para la interacción humana. De este modo, el enfoque posee un particular interés por el análisis de la organización de los gobiernos, ya sea en términos de jerarquía o de transacciones entre actores instituciones [poderes ejecutivo y legislativo] que, de acuerdo al caso, gozan de distintos niveles de simetría y, consecuentemente, de capacidad de impactar sobre el proceso de toma de decisiones. Dentro de este marco, se intentarán identificar en el análisis de los casos patrones de regularidad y diferencia en relación a las características asumidas en el proceso de separación de poderes y el efecto que ejercen sobre él los poderes constitucionales y partidarios de los presidentes.
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Cuppi, Valentina <1983&gt. "Egemonia, socialismo e democrazia nell’occidente periferico. Gli studi gramsciani di Aricó e Portantiero tra Argentina e Messico." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2014. http://amsdottorato.unibo.it/6559/1/cuppi_valentina_tesi.pdf.

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Анотація:
La ricerca si propone di mostrare come il pensiero gramsciano sia stato riferimento prioritario di due intellettuali argentini in esilio in Messico dal 1976 al 1983: Juan Carlos Portantiero e José Maria Aricó. In quel periodo incentrarono le loro elaborazioni teorico-politiche sull’analisi della relazione tra Stato, società civile, democrazia e socialismo, partendo da una prospettiva gramsciana. Il fallimento della guerra di movimento in Argentina nei primi anni settanta li condusse a riflettere su strategie alternative di transizione al socialismo, il cui punto focale fu il concetto di "Egemonia". A partire dal 1975 indirizzarono la ripresa del pensiero di Gramsci alla creazione di un progetto politico adatto ad un contesto sempre più "occidentale", caratterizzato dalla presenza di una "società civile complessa", in cui risultava necessario combattere "guerre di posizione" e non "guerre di movimento". La prospettiva che connotò questo approccio alle riflessioni gramsciane rappresenta il culmine di un percorso che iniziarono negli anni ’50, quando sorsero i primi studi del pensiero gramsciano in Argentina. Sin da allora, Aricó e Portantiero si occuparono di Gramsci insieme al dirigente del PC argentino Agosti e continuarono a farlo anche durante gli anni sessanta e i primi anni settanta sulla rivista Pasado y Presente. Fu, però, nel periodo dell’esilio che ne ripresero il pensiero considerandolo nella sua totalità, a partire dagli scritti giovanili sino ai Quaderni del Carcere, rielaborandolo in maniera originale e costruendo una propria proposta di cammino verso socialismo nell' "occidente periferico" dell'Argentina, influenzati dall'azione del Partito Comunista Italiano.
This research aims to show that the “gramscian categories” have been the most important reference for two argentine intellectuals: Portantiero Juan Carlos Portantiero and José Maria Aricó . They were in exile in Mexico from 1976 to 1983. At that time they focused their analysis on the relationship between state, civil society , democracy and socialism , from a Gramscian perspective . The failure of the “war of movement” in Argentina in the early seventies led them to reflect on alternative strategies for the transition to socialism , whose focal point was the concept of “Hegemony” . Since 1975 they used the Gramsci's thought to create a political project suitable for states characterized by the presence of a “complex civil society”. Since the '50s , Aricó and Portantiero studied Gramsci. However, it was during the period of the exile that they studied deeply all his books, from the writings of his youth up to the “Prison Notebooks”.
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Cuppi, Valentina <1983&gt. "Egemonia, socialismo e democrazia nell’occidente periferico. Gli studi gramsciani di Aricó e Portantiero tra Argentina e Messico." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2014. http://amsdottorato.unibo.it/6559/.

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Анотація:
La ricerca si propone di mostrare come il pensiero gramsciano sia stato riferimento prioritario di due intellettuali argentini in esilio in Messico dal 1976 al 1983: Juan Carlos Portantiero e José Maria Aricó. In quel periodo incentrarono le loro elaborazioni teorico-politiche sull’analisi della relazione tra Stato, società civile, democrazia e socialismo, partendo da una prospettiva gramsciana. Il fallimento della guerra di movimento in Argentina nei primi anni settanta li condusse a riflettere su strategie alternative di transizione al socialismo, il cui punto focale fu il concetto di "Egemonia". A partire dal 1975 indirizzarono la ripresa del pensiero di Gramsci alla creazione di un progetto politico adatto ad un contesto sempre più "occidentale", caratterizzato dalla presenza di una "società civile complessa", in cui risultava necessario combattere "guerre di posizione" e non "guerre di movimento". La prospettiva che connotò questo approccio alle riflessioni gramsciane rappresenta il culmine di un percorso che iniziarono negli anni ’50, quando sorsero i primi studi del pensiero gramsciano in Argentina. Sin da allora, Aricó e Portantiero si occuparono di Gramsci insieme al dirigente del PC argentino Agosti e continuarono a farlo anche durante gli anni sessanta e i primi anni settanta sulla rivista Pasado y Presente. Fu, però, nel periodo dell’esilio che ne ripresero il pensiero considerandolo nella sua totalità, a partire dagli scritti giovanili sino ai Quaderni del Carcere, rielaborandolo in maniera originale e costruendo una propria proposta di cammino verso socialismo nell' "occidente periferico" dell'Argentina, influenzati dall'azione del Partito Comunista Italiano.
This research aims to show that the “gramscian categories” have been the most important reference for two argentine intellectuals: Portantiero Juan Carlos Portantiero and José Maria Aricó . They were in exile in Mexico from 1976 to 1983. At that time they focused their analysis on the relationship between state, civil society , democracy and socialism , from a Gramscian perspective . The failure of the “war of movement” in Argentina in the early seventies led them to reflect on alternative strategies for the transition to socialism , whose focal point was the concept of “Hegemony” . Since 1975 they used the Gramsci's thought to create a political project suitable for states characterized by the presence of a “complex civil society”. Since the '50s , Aricó and Portantiero studied Gramsci. However, it was during the period of the exile that they studied deeply all his books, from the writings of his youth up to the “Prison Notebooks”.
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Bacchitta, Sandra <1982&gt. "L'amministrazione Johnson e le origini della distensione. 1964-1968." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2014. http://amsdottorato.unibo.it/6565/1/Bacchitta_Sandra_TESI.pdf.

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Анотація:
La tesi analizza una parte della politica estera dell’amministrazione Johnson, e più specificamente l’avvio del dialogo con l’Urss in materia di non proliferazione e controllo degli armamenti e la revisione della China policy, inquadrando entrambe nell’adattamento della cold war strategy all’evoluzione sistema internazionale, argomentando che la distensione intesa come rilassamento delle tensioni e ricerca di terreno comune per il dialogo, fosse perlomeno uno degli strumenti politici che l’amministrazione scelse di usare. Il primo capitolo analizza i cambiamenti che interessarono il Blocco sovietico e il movimento comunista internazionale tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta, soprattutto la rottura dell’alleanza sino-sovietica, e l’impatto che essi ebbero sul sistema bipolare su cui si basava la Guerra Fredda. Il capitolo secondo affronta più specificamente l’evoluzione delle relazioni tra Stati Uniti e Unione Sovietica, il perseguimento di una politica di distensione, dopo la crisi dei missili cubani, e in che relazione si trovasse ciò con lo status della leadership sovietica a seguito dei cambiamenti che avevano avuto luogo. Soffermandosi sulla questione del controllo degli armamenti e sul percorso che portò alla firma del Trattato di Non-proliferazione, si analizza come la nuova rotta intrapresa col dialogo sulle questioni strategiche sia stato anche un cambiamento di rotta in generale nella concezione della Guerra Fredda e l’introduzione della distensione come strumento politico. Il terzo capitolo affronta la questione della modifica della politica verso Pechino e il processo tortuoso e contorto attraverso cui l’amministrazione Johnson giunse a distaccarsi dalla China policy seguita sino ad allora.
The research intends to investigate two aspects of Johnson’s foreign policy: the establishment of a dialogue and the pursuit of cooperation with Soviet Union, regarding arms control measures and non-proliferation; the reassessment of the American policy towards Communist China and the slow detachment from the previous approach. The Sixties saw the international system becoming more complex and fragmented, the strategic balance getting closer to a condition of equality but also becoming less manageable due to nuclear proliferation; the rivalry between the two blocs was changing as well, due to the Sino-Soviet split, the increasing of contacts between eastern and western Europe and the willingness to avoid tensions between the superpowers. Being wary of both the dangers and the interdependence inherent in the bilateral relationship led to the decision to seek a common ground on strategic issues and to the establishment of a dialogue. Also during those years, the administration begun to explore the convenience of a different approach toward Communist China, which was clearly bound to emerge as a power in its own, and the possibilities that a new policy would have opened up. Both issues illustrates how the Johnson Administration, in order to face the challenges of its time, considered new options and took measures, breaking with the past, and adopting the relaxation of tensions and dialogue, or at least the possibility of it, as a policy. The research, which focuses on the debate and the decision-making process within the Administration, assumes that by doing so the administration introduced the policy of détente as at least one of the options available to the United States. Therefore the analysis of Johnson’s policies towards the main communist powers, and their challenges, may help to achieve a better definition and understanding of Détente, in its origins and motivations.
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Bacchitta, Sandra <1982&gt. "L'amministrazione Johnson e le origini della distensione. 1964-1968." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2014. http://amsdottorato.unibo.it/6565/.

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Анотація:
La tesi analizza una parte della politica estera dell’amministrazione Johnson, e più specificamente l’avvio del dialogo con l’Urss in materia di non proliferazione e controllo degli armamenti e la revisione della China policy, inquadrando entrambe nell’adattamento della cold war strategy all’evoluzione sistema internazionale, argomentando che la distensione intesa come rilassamento delle tensioni e ricerca di terreno comune per il dialogo, fosse perlomeno uno degli strumenti politici che l’amministrazione scelse di usare. Il primo capitolo analizza i cambiamenti che interessarono il Blocco sovietico e il movimento comunista internazionale tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta, soprattutto la rottura dell’alleanza sino-sovietica, e l’impatto che essi ebbero sul sistema bipolare su cui si basava la Guerra Fredda. Il capitolo secondo affronta più specificamente l’evoluzione delle relazioni tra Stati Uniti e Unione Sovietica, il perseguimento di una politica di distensione, dopo la crisi dei missili cubani, e in che relazione si trovasse ciò con lo status della leadership sovietica a seguito dei cambiamenti che avevano avuto luogo. Soffermandosi sulla questione del controllo degli armamenti e sul percorso che portò alla firma del Trattato di Non-proliferazione, si analizza come la nuova rotta intrapresa col dialogo sulle questioni strategiche sia stato anche un cambiamento di rotta in generale nella concezione della Guerra Fredda e l’introduzione della distensione come strumento politico. Il terzo capitolo affronta la questione della modifica della politica verso Pechino e il processo tortuoso e contorto attraverso cui l’amministrazione Johnson giunse a distaccarsi dalla China policy seguita sino ad allora.
The research intends to investigate two aspects of Johnson’s foreign policy: the establishment of a dialogue and the pursuit of cooperation with Soviet Union, regarding arms control measures and non-proliferation; the reassessment of the American policy towards Communist China and the slow detachment from the previous approach. The Sixties saw the international system becoming more complex and fragmented, the strategic balance getting closer to a condition of equality but also becoming less manageable due to nuclear proliferation; the rivalry between the two blocs was changing as well, due to the Sino-Soviet split, the increasing of contacts between eastern and western Europe and the willingness to avoid tensions between the superpowers. Being wary of both the dangers and the interdependence inherent in the bilateral relationship led to the decision to seek a common ground on strategic issues and to the establishment of a dialogue. Also during those years, the administration begun to explore the convenience of a different approach toward Communist China, which was clearly bound to emerge as a power in its own, and the possibilities that a new policy would have opened up. Both issues illustrates how the Johnson Administration, in order to face the challenges of its time, considered new options and took measures, breaking with the past, and adopting the relaxation of tensions and dialogue, or at least the possibility of it, as a policy. The research, which focuses on the debate and the decision-making process within the Administration, assumes that by doing so the administration introduced the policy of détente as at least one of the options available to the United States. Therefore the analysis of Johnson’s policies towards the main communist powers, and their challenges, may help to achieve a better definition and understanding of Détente, in its origins and motivations.
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Canales, Urriola Jorge Ariel <1980&gt. "Le valigie dell'anarchia: Percorsi e attivismo degli anarchici emiliani e romagnoli in Argentina e Brasile nella svolta di fine Ottocento." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2016. http://amsdottorato.unibo.it/7655/1/Canales_Jorge_tesi.pdf.

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Fin dagli anni '80 del XIX secolo, centinaia di migliaia d'italiani lasciarono la loro terra per cercare migliori opportunità nelle repubbliche sudamericane. Ma non furono i soli, poiché le persecuzioni attuate dai governi della penisola contro la minaccia sovversiva, spinse anarchici e socialisti a fuggire all'estero. Molti attivisti, quindi, scelsero l'Argentina e il Brasile come punto d'arrivo. Questa studio analizza il ruolo svolto dagli anarchici emiliani e romagnoli nella formazione dei movimenti libertari in Sudamerica, così come il loro rapporto con le società locali e con gli altri immigranti dall'Europa
Since 1880s, hundreds of thousands of Italians left their country to look for better opportunities in South American republics. But not only poor peasants go abroad in those years. Fast growing of anachist movement in Italy become a real problem for ruling classes, and governments pursued activists as they were criminals. Then, anarchists chose the exile way, and many of them pointed to Argentina and Brazil. This work analyses the role of Emilia and Romagna's anarchists in the South American libertarian movements' development, and their relationships with local societies and European migrants.
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Canales, Urriola Jorge Ariel <1980&gt. "Le valigie dell'anarchia: Percorsi e attivismo degli anarchici emiliani e romagnoli in Argentina e Brasile nella svolta di fine Ottocento." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2016. http://amsdottorato.unibo.it/7655/.

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Анотація:
Fin dagli anni '80 del XIX secolo, centinaia di migliaia d'italiani lasciarono la loro terra per cercare migliori opportunità nelle repubbliche sudamericane. Ma non furono i soli, poiché le persecuzioni attuate dai governi della penisola contro la minaccia sovversiva, spinse anarchici e socialisti a fuggire all'estero. Molti attivisti, quindi, scelsero l'Argentina e il Brasile come punto d'arrivo. Questa studio analizza il ruolo svolto dagli anarchici emiliani e romagnoli nella formazione dei movimenti libertari in Sudamerica, così come il loro rapporto con le società locali e con gli altri immigranti dall'Europa
Since 1880s, hundreds of thousands of Italians left their country to look for better opportunities in South American republics. But not only poor peasants go abroad in those years. Fast growing of anachist movement in Italy become a real problem for ruling classes, and governments pursued activists as they were criminals. Then, anarchists chose the exile way, and many of them pointed to Argentina and Brazil. This work analyses the role of Emilia and Romagna's anarchists in the South American libertarian movements' development, and their relationships with local societies and European migrants.
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Di, Tommaso Gaetano <1986&gt. "America's Energy Transition, the Evolution of the National Interest, and the Middle Eastern Connection at the Dawn of the Twentieth Century." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2017. http://amsdottorato.unibo.it/7980/6/Di%20Tommaso_Gaetano_tesi.pdf.

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Анотація:
The dissertation investigates the origins of Washington’s interest in petroleum and the elements that originally shaped the country’s foreign oil policy in the early twentieth century. The chapters center on the analysis of the American political debate and give special consideration to the international race to secure oil concessions in the Middle East that began before WWI and that culminated in the early 1920s. The study follows the establishment of a new, more assertive stance towards the securing of sources of supply in U.S. politics, and looks at the parallel evolution of concept of national interest. In examining the process of actual policy-formation, the research looks into the discussion between the various branches and departments of the administration, as well as between the federal government and the other private actors involved in petroleum exploration and production. The aim is to reconstruct the arguments that were used to support Washington’s drive toward the acquisition of petroleum supply, in order to understand how the access to oil resources – both at home and abroad – was presented, justified, and pursued before the American public.
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Mallocci, Martina <1990&gt. ""Walking a tightrope": Una biografia politica di E. Franklin Frazier, 1894-1962." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2019. http://amsdottorato.unibo.it/8843/1/Mallocci_Martina_Tesi.pdf.

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Анотація:
Questa tesi intende offrire un’analisi del pensiero del sociologo afroamericano E. Franklin Frazier (1894-1962) in prospettiva storica. La ricerca si propone di tenere conto principalmente di tre elementi. In primo luogo, del ruolo svolto da Frazier in qualità di sociologo inserito nel dibattito accademico statunitense. In secondo luogo, del suo attivismo politico come intellettuale afroamericano impegnato contro la discriminazione razziale e per la costruzione di un’alleanza di classe interrazziale. Infine, della sua partecipazione al dibattito transnazionale sulla decolonizzazione e del suo legame con i movimenti anticoloniali. Tramite l’analisi di questi tre aspetti, la tesi si propone di esaminare il contributo politico e accademico di Frazier, di evidenziare i confini dei dibattiti a cui egli prese parte, nonché la peculiare posizione ricoperta dalla generazione di black sociologists ― nati alla fine dell’Ottocento e perlopiù deceduti prima della metà degli anni Sessanta ― di cui Frazier faceva parte.
This research examines African-American sociologist E. Franklin Frazier’s thought, in a historical perspective (1894-1962). This thesis focuses on three aspects. Firstly, it takes into account Frazier’s role as a sociologist, within the American academic context. Secondly, it analyzes Frazier’s political activism, as an African-American intellectual who fought against racial discrimination, and for the construction of an interracial class alliance. Lastly, this research focuses on Frazier’s contribution to the transnational debate on decolonization, and on his ties to the anti-colonial movement. By connecting these aspects of Frazier’s life, this thesis’s purpose is to highlight the boundaries of these three spheres of public debate. The research also examines Frazier’s peculiar position, as part of a first generation of black professional sociologists, who were born at the end of the Nineteenth century and died in the mid-1960s.
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Bragatti, Milton Carlos <1969&gt. "Theorizing South American International Security." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2020. http://amsdottorato.unibo.it/9505/1/BRAGATTI%20THESIS%20UNIBO%20UNL%202020.pdf.

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Анотація:
What accounts for the paradoxical militarization, which occurs simultaneously to processes of cooperation in Defence in the South American region? With an analysis informed by a theoretical framework which combines the Regional Security Complex Theory (RSCT) with the English School of International Relations approach and based on systematic review methodology, this research seeks to contribute to answering this question in order to understand International Security in South America. Evidence suggests the centrality of the regional primary institutions, which both stimulate and restrain conflicts, but also effective cooperation and integration in the region, remaining a security regime.
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Bottacchi, Jacopo <1991&gt. "Lamento Sertanejo: inclusion of the outsiders, messianic leadership and the new centrality of the northeast in Brazilian politics." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2021. http://amsdottorato.unibo.it/9833/1/Bottacchi_%20Jacopo_tesi.pdf.

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Анотація:
In the last decade, after a long period of democratic stability, Brazil lived a process of increased political and social polarization; the country, once considered the new raising start among BRICS, is now going through one of the worst crises of his history, economically, politically and socially. Two new social cleavages appeared in national politics: on one side, Lulismo versus anti-Lulismo, on the other an increased polarization between different macroregions, based on the historical spatial inequality that characterized the Nation even before is independence. Over the course of the chapters, we will explain how two main processes are responsible of this outcome: we will focus first on the inclusion of the outsiders, both economic and cultural, and how the “extension” of citizenship to many people previously marginalized can explain Lula’s consensus, in particular in the northeast. We will also focus on Lula’s personal consensus and the transformation of his personal leadership: we will show how a union leader, member of the only collective mass party in Brazil, was able to be elected first and then embrace the tradition of messianic leaders, typical of Brazilian politics, while at the same time being an example of social mobility and cultivating a process of identification between himself and the poorest voters, in particular living in the northeast. We will show how Lula took the idea of messianic leader to a new extreme thanks to his personal trajectory and his attitude towards “martyrdom”, becoming a “demigod”. We will then analyze the consequences of the inclusion of the outsiders and Lula’s messianic leadership for the overall quality of Brazilian democracy, in an era in which many consider the country as one of the best examples of backsliding democracy.
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