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Gentiloni Silveri, Umberto. "La politica internazionale e Amintore Fanfani." ITALIA CONTEMPORANEA, no. 262 (October 2011): 64–74. http://dx.doi.org/10.3280/ic2011-262004.

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Анотація:
Negli ultimi anni il dibattito storiografico sul secondo dopoguerra ha privilegiato i tentativi di superare le narrazioni nazionali, rimettendo in discussione i confini tradizionali delle discipline di riferimento. Il percorso biografico di Amintore Fanfani rappresenta un punto di osservazione privilegiato, segnato dall'incontro tra la politica estera e le scelte che hanno caratterizzato diverse fasi della storia della repubblica. Il contributo analizza alcune questioni chiave che attraversano e ridefiniscono il sistema internazionale, con particolare attenzione agli indirizzi e ai condizionamenti del sistema bipolare. Il ruolo centrale di Fanfani nella Democrazia cristiana e negli esecutivi che lo vedono capo del governo o ministro degli Esteri viene utilizzato come chiave di lettura per seguire le trasformazioni dei nessi tra quadro interno e contesto internazionale. La storia della repubblica diventa parte di una piů ampia dinamica che caratterizza una lunga fase del secondo dopoguerra, fino a condizionare gli assi portanti della proiezione internazionale dell'Italia repubblicana.
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Malgeri, Francesco. "Aldo Moro nelle storie della Democrazia cristiana." MONDO CONTEMPORANEO, no. 2 (December 2010): 71–80. http://dx.doi.org/10.3280/mon2010-002004.

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Анотація:
La ricerca storica sulla figura e sul ruolo politico di Aldo Moro non offre ancora risultati particolarmente significativi. Non esiste ancora una biografia di Moro impostata su solidi criteri scientifici. Meritano comunque attenzione gli studi di Renato Moro sulla formazione politica di Aldo Moro e sul suo ingresso nella Democrazia cristiana. Non mancano alcuni lavori sulla presenza di Moro nella vita politica italiana e in seno alla Dc, anche se, in alcuni casi, il giudizio appare influenzato da motivazioni ideologiche (Carocci, Menapace) o da forzature interpretative (Baget Bozzo). Il rapporto tra Moro e i maggiori leader della Dc (Dossetti, De Gasperi, Fanfani) e le varie correnti democristiane ha trovato attenzione soprattutto negli studi di Campanini, Giovagnoli, Scoppola e Tassani. Il ruolo di Moro quale segretario politico della Dc, il problema della laicitŕ del partito e del rapporto con la Chiesa hanno conosciuto ulteriori approfondimenti negli studi di Giovagnoli, D'Angelo, Totaro ed altri.
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Montanari, Andrea. "I Gruppi giovanili della Democrazia cristiana da De Gasperi a Fanfani. Nascita di un movimento politico (1943-1955)." ITALIA CONTEMPORANEA, no. 294 (December 2020): 46–71. http://dx.doi.org/10.3280/ic2020-294002.

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Анотація:
L'associazionismo giovanile di partito č una realtŕ a tutt'oggi indagata solo in parte dalla ricerca storica. Il saggio ricostruisce, tramite una pluralitŕ di fonti, la nascita dei Gruppi giovanili della Democrazia cristiana, dal 1953 rinominati Movimento giovanile Dc, dalle origini nel 1944 al 1955, segnato dalla segreteria di Amintore Fanfani. L'intento č precisare alcune informazioni non corrette riportate da ricerche precedenti e dalla memorialistica, analizzando il dibattito interno all'organizzazione in alcuni tornanti decisivi del primo decennio repubblicano, mettendo in luce elementi di originalitŕ rispetto ai temi prevalenti fra gli "adulti" e offrendo, per quanto possibile, uno sguardo a livello europeo dell'associazionismo giovanile democristiano.
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Cau, Maurizio. "La nascita della Democrazia cristiana." MONDO CONTEMPORANEO, no. 2 (March 2019): 57–73. http://dx.doi.org/10.3280/mon2018-002006.

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Ceci, Giovanni Mario. "La fine della Democrazia cristiana." MONDO CONTEMPORANEO, no. 2 (March 2019): 283–94. http://dx.doi.org/10.3280/mon2018-002023.

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Marchettoni, Leonardo. "Paralipomeni della Breve storia della democrazia." SOCIETÀ DEGLI INDIVIDUI (LA), no. 66 (February 2020): 127–32. http://dx.doi.org/10.3280/las2019-066015.

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Saresella, Daniela. "Agli esordi del cattolicesimo politico in Italia: il dibattito su Democrazia cristiana e murrismo." MONDO CONTEMPORANEO, no. 2 (February 2022): 125–55. http://dx.doi.org/10.3280/mon2021-002004.

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Анотація:
Dopo lo scioglimento della Democrazia cristiana negli anni Novanta del secolo scorso, il tema del «partito cattolico» è stato poco affrontato, anche perché non più di attualità politica. Il saggio si pone l'obiettivo di ripercorrere gli studi sulle origini del cattolicesimo politico in Italia e intende sottolineare l'importanza dell'esperienza della prima democrazia cristiana, e in particolar modo delle figure di Romolo Murri e di Luigi Sturzo. Attraverso l'interpretazione degli storici che per un secolo hanno riflettuto sul tema, si dipana un percorso che mette in evidenza i differenti profili culturali e politici nella DC, i rapporti tra questa e il Partito popolare, e temi quale la libertà di coscienza, la laicità della politica, la convergenza programmatica tra culture differenti (cattolici e socialisti) e l'unità politica dei cattolici. Sempre presente è la questione della riforma della Chiesa, proprio negli anni in cui la "crisi modernista" scuoteva le coscienze di molti fedeli.
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Marchi, Michele. "Aldo Moro segretario della Democrazia cristiana. Una leadership politica in azione (1959-1964)." MONDO CONTEMPORANEO, no. 2 (December 2010): 105–36. http://dx.doi.org/10.3280/mon2010-002006.

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Анотація:
Il saggio ha un obiettivo principale: descrivere le modalitŕ attraverso le quali si esplicita la leadership politica di Aldo Moro nella fase di segreteria politica della Democrazia cristiana nel periodo 1959-1964. Dunque lo scopo non č soltanto quello di tornare sul percorso di costruzione dell'alleanza di governo di centro-sinistra, quanto piuttosto quello di indagare le modalitŕ attraverso le quali Moro conduce il partito democristiano unito a questo traguardo. L'attenzione č quindi concentrata sullo sforzo di Moro nel tentativo di tramutare alcune apparenti debolezze e criticitŕ della Democrazia cristiana in punti di forza del suo operato politico. Si insiste in particolare sulla scelta morotea di presentarsi come unico membro del partito in grado di fare la sintesi tra tutte le correnti interne alla Dc, ma anche sul suo grande investimento nella dimensione di propaganda politica e di gestione e controllo della produzione legislativa e dell'azione di governo. Infine anche il classico rapporto tra Democrazia cristiana e gerarchie cattoliche č affrontato da un punto di vista particolare. L'obiettivo č infatti quello di mostrare come anche in questo caso la leadership di Moro si caratterizzi per il suo attivismo nel rovesciare i parametrici classici nell'operato del "partito cattolico" e arrivare a mostrare al mondo ecclesiastico i rischi insiti nell'ipotesi che possa dissolversi l'unitŕ politica dei cattolici.
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Uleri, Pier Vincenzo. "REFERENDUM: TRA LIBERALISMO E DEMOCRAZIA. ASSERZIONI DI VALORE E OSSERVAZIONI EMPIRICHE." Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 32, no. 2 (August 2002): 195–238. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200030136.

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Introduzione«Avremo dunque il referendum? La democrazia moderna non può essere che democrazia rappresentativa. La sostanza viva della democrazia moderna […] non consiste nella diretta partecipazione di tutti i cittadini alla formazione delle decisioni politiche… La democrazia liberale non è solo la legge brutale della maggioranza, non è una risultante solo aritmetica […] La democrazia liberale contemporanea è dunque necessariamente democrazia rappresentativa. […] la storia delle dittature è ricca di plebisciti e di referendum, mentre le democrazie liberali hanno dovuto ripudiare il referendum, o ridurlo entro confini cautissimi. (la) nostra costituzione, ha accolto […] il referendum senza troppa cautela; e bisognerebbe essere ciechi per non vedere i tremendi pericoli insiti nel referendum abrogativo delle leggi. Ma comunque, lo ha accolto in subordine al sistema rappresentativo: a quel sistema rappresentativo che l'involuzione partitocratica ha privato di ogni concretezza. […] (il referendum) nelle presenti condizioni, lungi dal poter essere uno strumento di espressione popolare, sarà forse solo un'arma di più offerta alle potenti oligarchie partitiche» (Giuseppe Maranini, Corriere della Sera, 13 gennaio 1959) (Maranini 1963, 111–3).
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Kramer, Nicole. "Der Wandel des italienischen Sozialstaats in Zeiten politischer Umbrüche." Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken 97, no. 1 (December 20, 2017): 3–23. http://dx.doi.org/10.1515/qfiab-2017-0003.

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Riassunto La storia dello Stato sociale italiano affonda le sue radici nel XIX secolo e comprende un periodo di radicali cambiamenti politici. Introducendo la sezione tematica „Le molte facce dello Stato sociale. Prospettive sulla storia della protezione sociale in Italia tra dittatura e democrazia“, il contributo offre una panoramica della ricerca e discute, in particolare, i risultati a cui sono giunti nuovi studi. A partire dai primordi delle assicurazioni sociali nel nuovo Regno d’Italia si seguono le fasi dell’ampliamento e della trasformazione dei sistemi di sicurezza sociale con particolare riguardo alle innovazioni realizzate durante la guerra e nel dopoguerra, nonche al quadro ideologico e alle idee guida su cui si basano. Da cio emerge che la forma dello Stato sociale italiano e stata influenzata sia dalla monarchia che dalla dittatura e la democrazia. Si discute in quale misura i passaggi da un regime all’altro, come pure le conseguenze prodotte dalla guerra, abbiano innescato dinamiche trasformative.
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Kramer, Nicole. "Der Wandel des italienischen Sozialstaats in Zeiten politischer Umbrüche." Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken 97, no. 1 (March 5, 2018): 3–23. http://dx.doi.org/10.1515/qufiab-2017-0003.

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Riassunto La storia dello Stato sociale italiano affonda le sue radici nel XIX secolo e comprende un periodo di radicali cambiamenti politici. Introducendo la sezione tematica „Le molte facce dello Stato sociale. Prospettive sulla storia della protezione sociale in Italia tra dittatura e democrazia“, il contributo offre una panoramica della ricerca e discute, in particolare, i risultati a cui sono giunti nuovi studi. A partire dai primordi delle assicurazioni sociali nel nuovo Regno d’Italia si seguono le fasi dell’ampliamento e della trasformazione dei sistemi di sicurezza sociale con particolare riguardo alle innovazioni realizzate durante la guerra e nel dopoguerra, nonché al quadro ideologico e alle idee guida su cui si basano. Da ciò emerge che la forma dello Stato sociale italiano è stata influenzata sia dalla monarchia che dalla dittatura e la democrazia. Si discute in quale misura i passaggi da un regime all’altro, come pure le conseguenze prodotte dalla guerra, abbiano innescato dinamiche trasformative.
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Abensour, Miguel. "Utopia e democrazia." SOCIETÀ DEGLI INDIVIDUI (LA), no. 37 (April 2010): 137–47. http://dx.doi.org/10.3280/las2010-037012.

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Il saggio propone un'ipotesi in controtendenza rispetto alla convinzione ormai diffusa che utopia e democrazia siano divenute, storicamente, antinomiche: nella modernitÀ utopia e democrazia sarebbero invece due forze e due impulsi indissociabili del movimento di emancipazione. Se, dunque, č ingiusto e sbagliato considerare la democrazia come essenzialmente borghese, č iniquo appiattire le molteplici forme e tradizioni utopiche sull'attribuzione di uno spirito e di un gesto totalitario all'utopia. Interrogando e ascoltando voci che in tempi e con intonazioni differenti ci parlano dell'una e dell'altra (Leroux, Lefort, Buber, Lévinas), si delinea piuttosto un'affinitÀ profonda tra utopia e democrazia, entrambe rapporti con l'irriducibilitÀ dell'elemento umano, entrambe figure del non-luogo che si misurano con l'enigma della storia.
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Moro, Renato. "Aldo Moro nelle storie d'Italia." MONDO CONTEMPORANEO, no. 2 (December 2010): 17–69. http://dx.doi.org/10.3280/mon2010-002003.

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Le ricostruzioni sintetiche della storia di un paese rappresentano uno specchio del lavoro degli storici. Il saggio č dedicato ad un'analisi di ciň che le storie dell'Italia contemporanea dicono di Aldo Moro, dalla fine degli anni Sessanta fino a oggi, e ripercorre buona parte della discussione sulla storia e i problemi della democrazia italiana degli ultimi quarant'anni. La ricerca sulla storia dell'Italia repubblicana č oggi solidamente avviata; tuttavia, essa non sembra aver trovato ancora quella consapevolezza di concetti interpretativi raggiunti invece nella ricostruzione delle vicende precedenti il 1945. E l'analisi dei giudizi sulla figura di Moro lo conferma. Salvo alcune significative eccezioni, infatti, le storie d'Italia ci dicono di piů sui loro autori, sulle loro simpatie e antipatie, sulle loro culture politiche di riferimento, sulle congiunture attraversate dal paese che su Moro stesso. L'interpretazione della sua figura appare ancora orientata piů dalle formule brillanti della pubblicistica che da studi e ricerche puntuali, i quali, del resto, sono ancora parziali e iniziali. Č stato cosě il «caso Moro» ad avere finora attratto l'attenzione prevalente, provocando lo svilupparsi di una sterminata bibliografia, mentre l'immagine del Moro leader politico e uomo di Stato č rimasta legata alla sua tragica fine. Scarsa eco ha avuto il suggerimento, formulato giŕ nel 1979 da George Mosse, di allargare lo sguardo e cercare di collegare l'esperienza politica di Moro, la sua cultura, le sue analisi, i suoi problemi, alle grandi trasformazioni della democrazia occidentale.
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Pasquino, Gianfranco. "Democrazia, partiti, primarie." Quaderni dell'Osservatorio elettorale QOE - IJES 55, no. 1 (June 30, 2006): 21–39. http://dx.doi.org/10.36253/qoe-12708.

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Per cominciare, mi sembra opportuno delineare le caratteristiche della, come direbbero gli inglesi, big picture , vale a dire del quadro generale nel quale si inquadrano le trasformazioni dei regimi democratici, in special modo di quelle democrazie che si sono consolidate nel secondo dopoguerra. A partire dalla pubblicazione in inglese (1992) del libro di Francis Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, sono proliferate le analisi di queste trasformazioni della democrazia, spesso effettuate con visioni ideologiche talvolta con riferimenti quasi kantiani alla necessità di estendere la democrazia ai livelli sopranazionali (Unione Europea, Nazioni Unite). Correttamente inteso, ma era sufficiente essere andati oltre la lettura del titolo, il libro di Fukuyama aveva assunto una prospettiva piuttosto diversa. Con straordinario tempismo, l’autore argomentava che, avendo vinto la sfida con i totalitarismi, le democrazie liberali si trovavano finalmente nelle condizioni migliori per iniziare il complesso cammino del loro perfezionamento. Oggi sappiamo che, con la comparsa del terrorismo internazionale, sotto forma di sfida alla civiltà occidentale, come correttamente previsto, ma sicuramente non auspicato, da Samuel Huntington (Lo scontro di civiltà e il nuovo ordine mondiale), la situazione si è molto complicata. Non per questo, le democrazie hanno rinunciato ai loro principi fondanti né li hanno stravolti anche se qualcosa del genere può essere avvenuto, come affermano diversi studiosi e commentatori, alla democrazia degli Stati Uniti sotto l’amministrazione Bush, seppur in maniera non irreversibile. Al contrario, la maggior parte delle democrazie hanno accettato la sfida della qualità delle loro istituzioni e delle loro prestazioni tanto che quello della “qualità della democrazia” è attualmente il campo di analisi in ascesa nella scienza politica contemporanea (sul punto Diamond e Morlino 2005). E, naturalmente, quando si parla di qualità della democrazia è assolutamente inevitabile interrogarsi non tanto e non soltanto sui diritti dei cittadini, che qualsiasi democraziadegna di questo nome deve promuovere e proteggere, quanto, piuttosto e più precisamente, sui poteri dei cittadini. Questa, peraltro non lunga, ma appena leggermente pomposa, premessa mira a suggerire che, come vedremo meglio in seguito, le elezioni primarie non cadono dal cielo e neppure vengono dall’inferno, ma possono e debbono essere inserite nel discorso relativo al perfezionamento delle democrazie. Peraltro, non ho nessun dubbio sul fatto che la qualità della democrazia dipende anche, gli elitisti direbbero in special modo, dalla qualità delle loro leadership, delle minoranze organizzate che conquistano il potere politico. Ritengo, però, assiomatico affermare che nelle democrazie sono gli elettori a scegliere e, eventualmente e periodicamente, a fare circolare le leadership, ovvero a fare entrare e uscire dalle stanze del potere le minoranze organizzate dei loro sistemi politici. Dunque, mi pare opportuno condurre il discorso che segue con riferimento proprio al potere degli elettori di scegliere non soltanto rappresentanti e governanti, ma anche coloro che ambiscono a diventare rappresentanti e governanti.
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Florit, Francesco. "Obiettivo: Tre anni presso la corte internazionalizzata di Timor Est." QUESTIONE GIUSTIZIA, no. 3 (July 2009): 80–87. http://dx.doi.org/10.3280/qg2009-003007.

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- La storia della corte internazionalizzata che ha operato a Timor Est si radica nello sviluppo della democrazia in quel Paese. La presenza di giudici provenienti da Paesi diversi ha favorito la crescita di una giurisdizione locale sufficientemente attrezzata, anche se segnata da difficoltŕ e contraddizioni. L'apporto della cultura giuridica e dell'esperienza italiane ha rappresentato un fattore positivo e, nello stesso tempo, l'esperienza č stata per noi occasione di una riflessione che meriterebbe di essere meglio conosciuta e valorizzata all'interno del sistema giudiziario del nostro Paese1.
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Acanfora, Paolo. "Aldo Moro «politico dossettiano». Problemi storiografici e percorsi di ricerca." MONDO CONTEMPORANEO, no. 2 (December 2010): 81–104. http://dx.doi.org/10.3280/mon2010-002005.

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Il saggio analizza lo stato della produzione storiografica su Aldo Moro nei primi anni della sua attivitŕ politica all'interno della Democrazia cristiana. Evidenziandone i limiti e valutando contemporaneamente la documentazione d'archivio esistente, l'autore individua e suggerisce nuovi possibili percorsi di ricerca finalizzati alla comprensione della personalitŕ religiosa, intellettuale e politica dello statista democristiano. Indagando l'articolato e complesso rapporto instauratosi con il gruppo legato alla figura di Giuseppe Dossetti č possibile ricostruire il processo che ha portato Moro verso la piena accettazione delle ragioni profonde della politica degasperiana e a presentarsi come l'espressione di una sintesi di idee, progetti e culture politiche diverse. La peculiaritŕ della formazione morotea, la problematica «appartenenza dossettiana» iniziata con la comune ed intensa esperienza costituente, il superamento della frattura tra dossettismo e degasperismo costituiscono le tappe di un percorso solo parzialmente analizzato sul quale č necessario aprire una nuova stagione di studi.
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OLIVEIRA, Ana Caroline Amorim. "Lélia Gonzalez e o pensamento interseccional: uma reflexão sobre o mito da democracia racial no Brasil." INTERRITÓRIOS 6, no. 10 (April 14, 2020): 89. http://dx.doi.org/10.33052/inter.v6i10.244895.

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RESUMO O objetivo do presente artigo consiste em refletir sobre a perspectiva interseccional da autora Lélia Gonzalez, especificamente, em suas análises sobre os discursos acerca da mulher negra na construção e manutenção do mito da democracia racial no Brasil. A sua abordagem relacionando raça, classe e gênero- posteriormente é cunhado o termo interseccionalidades para caracterizar tal articulação- traz reflexões sobre a sociedade brasileira e o mito que a estrutura simbolicamente: o da democracia racial a partir da figura da mulher negra. Para sua análise Gonzalez articula, interdisciplinarmente, o marxismo e a psicanálise passando pelas ciências sociais e história, chegando na sua tese sobre o racismo enquanto uma neurose cultural brasileira. Dessa forma, ao retomar o pensamento de Gonzalez percebemos a sua urgência e atualidade para os estudos feministas, bem como, o reconhecimento enquanto uma intérprete do Brasil. Interseccionalidade. Lélia Gonzalez. Mito da democracia racial. Mulher negra. Lélia Gonzalez and intersectional thinking: a reflection on the myth of racial democracy in BrazilABSTRACT The aim of this article is to reflect on the intersectional perspective of the author Lélia Gonzalez, specifically in her analysis of the discourses about black women in the construction and maintenance of the myth of racial democracy in Brazil. Its approach relating race, class and gender - later the term intersectionality is coined to characterize such articulation - brings reflections on Brazilian society and the myth that symbolically structures it: that of racial democracy based on the figure of the black woman. For his analysis, Gonzalez articulates interdisciplinary Marxism and psychoanalysis through the social sciences and history, arriving at his thesis on racism as a Brazilian cultural neurosis. Thus, when resuming Gonzalez's thinking, we perceive his urgency and timeliness for feminist studies, as well as recognition as an interpreter of Brazil.Intersectionality. Lélia Gonzalez. Myth of racial democracy. Black woman. Lélia González e pensiero intersezionale: una riflessione sul mito della democrazia razziale in BrasileRESUMENL'obiettivo di questo articolo è di riflettere sulla prospettiva intersezionale dell'autore Lélia González, in particolare, nella sua analisi dei discorsi sulle donne di colore nella costruzione e nel mantenimento del mito della democrazia razziale in Brasile. Il suo approccio mette in relazione razza, classe e genere - il termine intersezionalità è stato creato per caratterizzare tale articolazione - porta riflessioni sulla società brasiliana e sul mito che la struttura simbolicamente: quella della democrazia razziale basata sulla figura della donna nera. Per la sua analisi, González articola, interdisciplinare, il marxismo e la psicoanalisi attraverso le scienze sociali e la storia, arrivando alla sua tesi sul razzismo come nevrosi culturale brasiliana. Pertanto, riprendendo il pensiero di González, percepiamo la sua urgenza e attualità per gli studi femministi, nonché il riconoscimento come interprete dal Brasile.Intersezionalità. Lélia González. Mito della democrazia razziale. Donna nera. Lélia González e pensiero intersezionale: una riflessione sul mito della democrazia razziale in BrasileSINTESEL'obiettivo di questo articolo è di riflettere sulla prospettiva intersezionale dell'autore Lélia González, in particolare, nella sua analisi dei discorsi sulle donne di colore nella costruzione e nel mantenimento del mito della democrazia razziale in Brasile. Il suo approccio mette in relazione razza, classe e genere - il termine intersezionalità è stato creato per caratterizzare tale articolazione - porta riflessioni sulla società brasiliana e sul mito che la struttura simbolicamente: quella della democrazia razziale basata sulla figura della donna nera. Per la sua analisi, González articola, interdisciplinare, il marxismo e la psicoanalisi attraverso le scienze sociali e la storia, arrivando alla sua tesi sul razzismo come nevrosi culturale brasiliana. Pertanto, riprendendo il pensiero di González, percepiamo la sua urgenza e attualità per gli studi femministi, nonché il riconoscimento come interprete dal Brasile.Intersezionalità. Lélia González. Mito della democrazia razziale. Donna nera.
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Malaspina, Elena. "Paolo Siniscalco, Il senso della storia. Studi sulla storiografia cristiana antica." Augustinianum 45, no. 2 (2005): 590–92. http://dx.doi.org/10.5840/agstm200545226.

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Vinci, Maria Gloria. "Ideologia e traduzione: Jorge Amado in Italia e la traduzione in italiano di Capitães da Areia." Revista de Italianística, no. 34 (November 7, 2017): 4. http://dx.doi.org/10.11606/issn.2238-8281.v0i34p4-11.

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Il presente lavoro intende prendere in considerazione la traduzione in italiano del romanzo di Jorge Amado, Capitães da areia, realizzata nel 1953 da Dario Puccini, collocandola nel contesto storico-ideologico dell’Italia degli anni ’50 dominato dalla contrapposizione tra Partito comunista e Democrazia Cristiana. Il testo della traduzione, infatti, porta i segni di una costrizione ideologica che piega il romanzo amadiano, mediante recisioni e tagli piuttosto netti di interi capitoli, semplificazioni linguistiche e riscrittura di corposi brani del testo originale, dentro gli schemi del realismo socialista e, dunque, di una letteratura a forte impronta esemplare-educativa.
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Moro, Renato. "Il tramonto di una nazione: discutendo un'interpretazione della crisi italiana." MONDO CONTEMPORANEO, no. 1 (September 2020): 85–108. http://dx.doi.org/10.3280/mon2020-001003.

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Ernesto Galli Della Loggia, editorialista del Corriere della sera ma anche stu-dioso di storia, ha raccolto in un recente volume gli articoli da lui pubblicati sul maggiore quotidiano italiano negli ultimi anni. Nell'introduzione ha anche proposto una lettura della crisi italiana di oggi, definendola come «il tramonto di una nazione». Il suo libro fornisce così sia l'opportunità di ripercorrere quanto avvenuto nella società, nella politica, nella cultura del paese negli ultimi decenni, sia di riflet-tere su tutto ciò dal punto di vista storico. Il saggio analizza e discute la ricostru-zione e l'interpretazione di Galli Della Loggia, mette a confronto quest'ultima con altre ipotesi di lettura fornite dalla storiografia e conclude suggerendo l'opportunità di una profonda riconsiderazione dei limiti di lungo periodo della democrazia ita-liana.
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Todaro, Letterio. "La cultura dell’educazione e le sue trasformazioni nel passaggio critico degli anni Sessanta /Settanta: conversazioni con Carmen Betti." Espacio, Tiempo y Educación 5, no. 1 (January 1, 2018): 281. http://dx.doi.org/10.14516/ete.198.

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Carmen Betti è tra le figure di riferimento della ricerca italiana in area storico-educativa. Per diversi anni ha insegnato presso l’Università di Firenze, rappresentando con i suoi lavori e con i suoi studi, una voce autorevole e notevolmente qualificata nel panorama italiano della disciplina. L’incisività dei suoi lavori ha contribuito a rafforzare il riconoscimento di una tradizione che porta a individuare nella sede fiorentina una «scuola» di alto profilo dell’accademia italiana nell’ambito degli studi di storia dell’educazione. La sua ricerca ha evidenziato un costante impegno a segnalare lungo i sentieri della storia dell’educazione un cantiere aperto per la costruzione di valori civili, indicando quali criteri «orientatori» dell’impegno intellettuale che caratterizza il lavoro dello storico dell’educazione la tensione a legare la lettura storica dei processi formativi con i motivi della conquista collettiva di spazi di libertà, di democrazia, di emancipazione. Recentemente ha ricoperto la funzione di Segretaria del Centro Italiano per la Ricerca Storico Educativa, segnando con il suo impegno l’attivazione di importanti strumenti di raccordo a servizio della comunità scientifica italiana degli storici dell’educazione e offendo un contributo qualificante per spingere in avanti le piste della ricerca sul terreno della storia dell’educazione.Per dare avvio alla conversazione mi sembra perciò utile chiedere all’interlocutrice una breve presentazione del proprio percorso professionale e un aiuto nel ricordare, attraverso anche spunti di memoria personale, i punti salienti che hanno segnato l’evoluzione del suo profilo di studiosa.
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Orsina, Giovanni. "LE MASSE E LA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA." Il Politico 254, no. 1 (June 7, 2021): 137–40. http://dx.doi.org/10.4081/ilpolitico.2021.571.

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In Razionalismo in politica il saggio Le masse nella democrazia rappresentativa occupa poche pagine. Ma le dimensioni ingannano, e molto: in uno spazio angusto, con una forza e una lucidità davvero notevoli, Oakeshott condensa una storia dell’individuo e dei suoi nemici dal tardo Medioevo al ventesimo secolo, e la costella di dettagli illuminanti. Ora, un saggio così ricco può essere affrontato in molti modi. Se ne potrebbero rintracciare gli ascendenti intellettuali, ad esempio. Lo si potrebbe collocare nel dibattito della sua epoca, visto che in quegli anni di quei temi si occupavano in tanti, e non dei meno brillanti. O potrebbero definirsene il posto e il ruolo nella produzione dell’autore. Qui non farò nulla di tutto questo, sia perché lo ha già fatto Giorgini nell’introduzione al volume, sia – e soprattutto – perché non ne ho le competenze. Mi concentrerò invece sul nucleo centrale dell’argomentazione del saggio e sul valore notevole che può avere ancora oggi, a sessant’anni dalla sua prima pubblicazione.
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Lijphart, Arend. "PRESIDENZIALISMO E DEMOCRAZIA MAGGIORITARIA." Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 19, no. 3 (December 1989): 367–84. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200008637.

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IntroduzioneNel suo noto saggio su Democracy, Presidential or Parliamentary: Does it Make a Difference? — ampiamente diffuso e da considerarsi ormai una sorta di classico non pubblicato — Juan Linz (1987, 2) osserva correttamente che gli scienziati della politica hanno trascurato le importanti differenze istituzionali e comportamentali tra regimi parlamentari, presidenziali e semipresidenziali e che, in particolare, queste differenze «ricevono solo scarsa attenzione nei due più recenti lavori di comparazione delle democrazie contemporanee», cioè Comparative Democracies di G. Bingham Powell (1982) e il mio Democracies (Ljiphart 1984). Una ragione per cui il presidenzialismo risulta relativamente trascurato nel mio libro è che nell'universo di 21 democrazie ivi considerato — definito da quei paesi che hanno avuto una ininterrotta esperienza di governo democratico approssimativamente dalla fine della seconda guerra mondiale — compare un solo chiaro caso di governo presidenziale (gli Stati Uniti) e due casi più ambigui (la V Repubblica francese e la Finlandia). Retrospettivamente ritengo di aver applicato i miei criteri in modo troppo stretto e che avrei dovuto includere anche l'India e il Costa Rica tra le mie democrazie «prolungate». Quest'ultimo avrebbe costituito un quarto caso di presidenzialismo. Powell fa ricorso ad una definizione meno esigente di democrazia (un minimo di 5 anni di democrazia nel periodo dal 1958 al 1976), il che gli mette a disposizione altri 4 casi di presidenzialismo: Venezuela, Cile, Uruguay e Filippine.Vorrei essere ancor più esplicitamente critico sul mio libro del 1984: la debolezza principale non è tanto lo scarso spazio dedicato al contrasto tra presidenzialismo e parlamentarismo (circa 12 pagine su 222, cioè un po’ più del 5% del libro) ma piuttosto il fatto che la discussione non è sufficientemente integrata con la comparazione della democrazia maggioritaria e consensuale, che costituisce il tema principale del lavoro. In particolare, ho definito presidenzialismo e parlamentarismo in riferimento a due caratteristiche contrastanti, ignorando una terza cruciale distinzione, ed ho poi legato il contrasto presidenziale/parlamentare ad una sola delle differenze tra democrazia consensuale e maggioritaria, ignorando il suo impatto su numerose altre distinzioni. L'obiettivo di questo articolo è correggere queste lacune e stabilire la connessione generale tra il contrasto presidenziale/parlamentare e quello maggioritario/consensuale.Come Linz, il mio atteggiamento sarà critico verso il presidenzialismo, ma tale critica si baserà su argomenti in parte diversi. L'argomento principale di Linz (1987, 11) riguarda «la rigidità che il presidenzialismo introduce nel processo politico e la flessibilità di gran lunga maggiore di questo processo nei sistemi parlamentari». Concordo pienamente con Linz e, in aggiunta, sono d'accordo che rigidità e immobilismo costituiscono i più seri punti deboli del presidenzialismo. In questo articolo la mia critica si concentrerà su una ulteriore debolezza della forma presidenziale di governo: la sua potente inclinazione verso la democrazia maggioritaria e il fatto che, nel gran numero di paesi in cui un naturale consenso di fondo è assente, appare necessaria una forma di democrazia consensuale invece che maggioritaria. Questi paesi comprendono non solo quelli caratterizzati da profonde fratture etniche, razziali e religiose, ma anche quelli con intense divisioni politiche che originano da una storia recente di guerra civile o dittatura militare, enormi diseguaglianze socio-economiche e così via. Inoltre, nei paesi in via di democratizzazione o di ri-democratizzazione le forze non-democratiche devono essere rassicurate e riconciliate ed è necessario fargli accettare l'idea non solo di abbandonare il potere, ma anche di non insistere nel pretendere il mantenimento di «domini riservati» di potere non-democratico all'interno del nuovo, e per gli altri versi democratico, regime. La democrazia consensuale, che è caratterizzata dalla condivisione, dalla limitazione e dalla dispersione del potere, ha molte più probabilità di raggiungere questo obiettivo che non il diretto dominio maggioritario. Come Philippe C. Schmitter ha suggerito, democrazia consensuale significa democrazia «difensiva», che per le minoranze etno-culturali e politiche risulta meno minacciosa dell' «aggres-sivo» governo maggioritario.Tratterò questo tema in tre fasi. In primo luogo definirò il presidenzialismo in riferimento a tre essenziali caratteristiche. In secondo luogo mostrerò che, specialmente come risultato della sua terza caratteristica, il presidenzialismo ha una forte tendenza a rendere la democrazia più maggioritaria. Infine, esaminerò le varie caratteristiche non-essenziali del presidenzialismo — caratteristiche che, benché presenti di frequente, non sono elementi distintivi della forma di governo presidenziale — ed il loro impatto sul grado di consensualità o maggioritarietà della democrazia.
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Borso, Dario. "Il 1943 di Mario Dal Pra." ITALIA CONTEMPORANEA, no. 262 (October 2011): 97–106. http://dx.doi.org/10.3280/ic2011-262006.

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Il saggio analizza il passaggio, avvenuto nella prima metŕ del 1943, del grande storico della filosofia Mario Dal Pra (1914-1992) da una posizione cattolico-moderata, ancora interna alla gerarchia ecclesiastica, a un aperto pronunciamento laico a favore della democrazia, della partecipazione politica e quindi poi della Resistenza. L'autore descrive questo episodio fondamentale nella vita di Mario Dal Pra - che lo portň a divenire dirigente partigiano del Partito d'azione e dopo la guerra cofondatore dell'Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia (Insmli) - avvalendosi di documenti rari e mai prima utilizzati. Egli sostiene che questo passaggio in Dal Pra fu favorito dalla lettura viva di Piero Martinetti, l'unico filosofo italiano che si era rifiutato di giurare fedeltŕ al regime fascista nel 1931 e che nei suoi ultimi anni, sulla scorta della concezione morale di Kant, aveva sottoposto a una critica radicale il dogmatismo della Chiesa.
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Paolucci, Caterina. "From Democrazia Cristiana to Forza Italia and the Popolo della Libertà: Partisan change in Italy." Modern Italy 13, no. 4 (November 2008): 465–80. http://dx.doi.org/10.1080/13532940802367737.

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The general question underlying this article is how much have parties changed in Italy in the transition from the First to the Second Republic? The disintegration of the Christian Democrats (DC) in the early 1990s created a large opening on the centre-right of the political spectrum, which was promptly occupied by Forza Italia (FI). A totally new party organisationally speaking, FI, with its centralisation, its personalisation and its charismatic leadership, marked a clear break with all that the DC had represented in terms of its unrestricted pluralism based on strong factions. However, the franchise model adopted by Berlusconi's party, characterised by the co-existence of unity of command at the top, and differentiated and quasi-autonomous bodies locally, may facilitate the convergence of the parties representing the various interests and outlooks on the centre-right in the newrassemblementparty that is the PdL. Through the latter, and given the new systemic conditions, Italy may achieve a transformation in the nature of the centre from Christian Democratic to conservative, enabling it to integrate most of the political right as well.
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Foro, Philippe. "Sguardi francesi sulla storia d'Italia: lineamenti di un bilancio storiografico." MONDO CONTEMPORANEO, no. 1 (July 2012): 119–32. http://dx.doi.org/10.3280/mon2012-001005.

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La storiografia francese sull'Italia contemporanea raccoglie una serie di storici la cui attivitŕ č rilevante giŕ da una trentina d'anni. Al seguito di Pierre Milza, che ha svolto un ruolo importante di stimolo, diversi studiosi francesi hanno dato il loro contributo alla comprensione dell'Italia del Risorgimento, del periodo fascista e della democrazia repubblicana. Sono stati affrontati diversi generi storiografici: la biografia (Mazzini, Cavour, Mussolini), le istituzioni (la classe politica fascista), il fenomeno totalitario fascista (la persecuzione antisemita, il controllo dello Stato e dell'economia), oltre che solide sintesi (l'Italia repubblicana). Di conseguenza, l'Italia č oggi uno dei grandi paesi europei che incontra un vivo interesse nella scuola storica francese e presso il pubblico francese. Questo articolo prova a proporne un panorama.
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Mejzner, Mirosław. "Ludzkie ciało i nieśmiertelność. Wybrane przykłady z argumentacji Metodego z Olimpu "O zmartwychwstaniu" (De resurrectione II 19-25)." Vox Patrum 52, no. 1 (June 15, 2008): 635–46. http://dx.doi.org/10.31743/vp.8940.

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La dimostrazione dell'idoneita della came all'esistenza incorruttibile ed eterna costituisce uno dei cardini della difesa del dogma della risurrezione tradizionalmente inteso. L’obiettivo dell'articolo (II corpo umano e l’immortalita) e di presentare l’argomentazione svolta in favore di essa da Metodio di Olimpo nel De resurrectione II 19-25 (GCS 27, 371-382). L’autore rievoca alcuni esempi presi dal mondo della natura (botanico, zoologico, astronomico), dal campo artistico e dalia storia biblica non solo per ilłustrare la possibile longevita dei corpi nell'esistenza terrena, ma anche per provare che Dio, plasmatore del corpo, ha destinato l’uomo all'immortalita. Applicare il principio dell'onnipotenza divina alla risurrezione della carne non costituisce per Metodio una scappatoia insensata, ma un tentativo di assumere, entro i confini di una razionalita alimentata dai dati della fede cristiana, un elemento che, seppur comprensibile per la ragione, tuttavia la supera.
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Osborne, John. "The Jerusalem Temple treasure and the church of Santi Cosma e Damiano in Rome." Papers of the British School at Rome 76 (November 2008): 173–81. http://dx.doi.org/10.1017/s0068246200000453.

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Gli studiosi si sono a lungo chiesti perché un'aula absidata e il suo vestibolo adiacente, appartenente al Foro della Pace di Vespasiano, doveva essere stato scelto come sito per la prima chiesa cristiana nel Foro Romano, quella dei Santi Cosma e Damiano, un progetto di Papa Felice IV (526–30). Con questo articolo si suggerisce che uno dei fattori che ha influenzato la scelta può essere stata la precedente presenza in quest'area dei tesori tratti dal Tempio di Gerusalemme, rubati a Roma dai Vandali nel 455. Questa storia puó spiegare l'aggiunta di un candelabro d'oro alla decorazione musiva dell'arco di trionfo — che altrimenti segue l'iconografia di San Paolo fuori le mura —, come pure l'inusuale espressione della dedica scritta.
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Rodogno, Davide, and Ennio Di Nolfo. "La Republica delle Speranze e degli Inganni. L'Italia dalla Caduta del Fascismo al Crollo della Democrazia Cristiana." Vingtième Siècle. Revue d'histoire, no. 54 (April 1997): 156. http://dx.doi.org/10.2307/3771442.

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Dovizio, Ciro. "Tra questione siciliana e questione mafiosa. Sul giornale "L'Ora" nella seconda metà degli anni Cinquanta." ITALIA CONTEMPORANEA, no. 297 (January 2022): 36–66. http://dx.doi.org/10.3280/ic2021-297002.

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Negli anni Cinquanta il Partito comunista acquisì l'antica testata de "L'Ora" con l'obiettivo di allargare l'opinione di sinistra in Sicilia. Alla direzione fu chiamato il calabrese Vittorio Nisticò, già redattore del giornale filocomunista romano "Paese Sera", il quale seguì una linea fortemente regionalista, critica verso la gestione democristiana dell'autonomia, propugnando alleanze non necessariamente in sintonia col quadro nazionale. Opzione, questa, venuta alla ribalta nel 1958-60 con i governi regionali di Silvio Milazzo, appoggiati da dissidenti Dc, destre e, sia pure esternamente, dai social-comunisti. A tale prospettiva venne affiancandosene, a un certo punto, un'altra di pugnace contestazione della mafia e dei suoi rapporti con la Democrazia cristiana, divenuta presto la più autentica cifra del giornale. Logico che il discorso pubblico appiattisse la vicenda sull'immagine un po' unilaterale del ‘quotidiano antimafia'. L'articolo affronta la fase iniziale della direzione Nisticò, attingendo alla collezione del giornale e a documenti d'archivio, sottolineando come solo parzialmente la dimensione regionalista si sovrapponesse a quella antimafia, balzata all'attenzione dell'opinione pubblica dopo la grande inchiesta dell'autunno 1958. Senza pretese di completezza, l'intento è d'indagare un caso ancora inesplorato dalla storiografia.
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Iannello, Carlo. "Il falso riformismo degli anni Novanta ovvero l'inarrestabile affermazione della concorrenza come paradigma della regolazione sociale." DEMOCRAZIA E DIRITTO, no. 3 (February 2022): 89–113. http://dx.doi.org/10.3280/ded2021-003005.

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Le prospettive, quindi, non appaiono affatto rasserenanti quanto a tenuta della democrazia, quanto a vigore di quella certa idea che la voleva partecipata, militante della causa della giustizia e dell'uguaglianza. Perché proprio le istituzioni che per garantirla e realizzarla furono dettate dal Costituente italiano sono in pericolo. Soprattutto i principi fondamentali che il Costituente volle e sancì appaiono abbandonati o rinnegati. Il clima storico è profondamente mutato. Non c'è quasi più sedimento, né forse memoria, tantomeno rimpianto dei giorni, delle parole, delle speranze, delle donne e degli uomini di questo Paese che, affrancati dal dominio politico, esterno e interno, si disponevano ad affrancarsi dalle altre forme di dominio, da quella economica a quella culturale e sociale a quella di genere, più intense e profonde forse, anche se apparivano meno incombenti di quanto fossero, meno minacciose e imperiose. E che perciò ci diedero la speranza che avremmo potuto liberarcene, tutti insieme. Non ci siamo riusciti. Ma sappiamo che fu la stagione più alta della nostra storia nazionale. E così ci apparve e ci appare lasciando volentieri al revisionismo storico il piacere di mestare nel fango, il mestiere di pitoccare i compensi che otterrà il suo trasformismo, la paga che meriterà la voluttà del servilismo
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Kita, Marek. "„Niebiańska filozofia”, czyli chrześcijaństwo jako umiłowanie Mądrości." Analecta Cracoviensia 40 (January 4, 2023): 179–90. http://dx.doi.org/10.15633/acr.4012.

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L’idea antica del cristianesimo come „filosofia celeste di Cristo” può apparire al giorno d’oggi ambigua e anacronistica. Nella cultura occidentale dopo un lungo periodo di riflessione sul rapporto tra cristianesimo e filosofia si assiste alla nascita del fenomeno della „filosofia cristiana” – una cosa diversa dalla teologia – che reca in sé l’affermazione che il cristianesimo stesso non si riduce alla filosofia. Eppure in tutta la storia della Chiesa troviamo alcuni pensa- tori che parlano del cristianesimo come una filosofia in senso estensivo. Anche Benedetto XVI nella enciclica Spe salvi ci ha ricordato una visione di Cristo come Filosofo, cioè una persona che sa insegnare l’arte della vita. Infatti potremo dire anche di piú: se pensiamo a Cristo come Sapienza incarnata, allora la nostra filosofia – l’amore della sapienza – diventa l’amore per Lui.Il cristianesimo come filosofia per estensione ci offre una visione integrale della realtà, in conformità alla frase di Pascal: „Chi conosce Cristo, conosce la ragione di tutte le cose”. In Gesù è stato incarnato un progetto divino dell’uomo e del mondo. L’insegnamento della Sapienza crocifissa ci apre gli occhi del cuore al senso vero dell’essere e dell’esistenza. Il suo sacrificio ci rivela una nuova ontologia, in cui l’essere significa dono. Nella luce di Cristo contempliamo il senso della storia e della cultura umana.Il cristianesimo come „amore della Sapienza eterna” realizza il compito della filosofia (nel suo concetto antico) e lo completa. Esso si presenta come una saggezza del cuore ma questo non significa irrazionalismo – nella saggezza così s’incontrano la ragione discorsiva, l’intuizione e la fede. Inoltre „filosofia celeste” corregge ogni filosofia della terra insegnandoci che l’amore vale più del pensiero. Alla scuola del Vangelo il frutto dell’amore della sapienza diventa sapienza dell’amore.
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Rosik, Mariusz. "Duch święty - źródło odwagi w głoszeniu Słowa Zbawienia (Dz 4,23-31)." Verbum Vitae 2 (December 14, 2002): 151–64. http://dx.doi.org/10.31743/vv.1337.

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L’annuncio della parola di Dio appare come uno dei temi più importanti della teologia di Luca-Atti. Il tema che abbiamo scelto per il nostro studio ci spinge ad esaminare determinate caratteristiche degli Atti 4,23-31. Lo scopo del nostro lavoro è quello di dimostrare, che durante le persecuzioni, Dio aiutava la comunità cristiana che si radunava in preghiera, e che questa preghiera faceva scendere lo Spirito Santo e incoraggiava i credenti ad annunciare la parola di Dio. Dopo aver stabilito la struttura interna della pericope proseguiamo con la spiegazione del testo. I successivi elementi della struttura degli Atti 4,23-31 mettono in risalto diverse caratteristiche che poi compongono questo messaggio principale del brano. L’introduzione della preghiera sottolinea il suo aspetto comunitario. L’invocazione presenta l’immagine di Dio come despo,thj, il Creatore universale e colui che parla attraverso la Scrittura. Egli porta avanti la storia della salvezza. La citazione di Sal 2,1-2 interpreta le persecuzioni contro il Messia di Dio. L’esplicazione di questa citazione afferma l’identità messianica di Cristo e applica il Sal 2,1-2 alla vita della comunità. Così l’evangelista mette in rilievo tre fatti: che le promesse, le profezie e le speranze dell’Antico Testamento si sono compiute in Gesù; che le persecuzioni contro Gesù e i suoi seguaci erano previste da Dio, dunque fanno parte del suo piano salvifico; e che Dio continua ad operare nella storia dei cristiani come ha agito nella vita del suo Unto. Le richieste rivolte a Dio Padre si concentrano sull’annuncio della parola di Dio nonostante le „loro minacce” e le persecuzioni. La risposta del Padre, accompagnata dal segno della scossa, consiste nella discesa dello Spirito Santo e nel dono della parrhsi,a per la proclamazione della buona novella.
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Montani, Guido. "IDEOLOGY, UTOPIA AND THE CRISIS OF POLITICS." Il Politico 252, no. 1 (June 22, 2020): 5–23. http://dx.doi.org/10.4081/ilpolitico.2020.294.

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I partiti politici che si ispirano ai valori del liberalismo, della democrazia e del socialismo non riescono più a concepire un progetto di lungo periodo per i propri concittadini e per l’umanità. Dopo il crollo del Muro di Berlino, grandi e piccole potenze hanno avviato una sordida lotta per la supremazia mondiale, alimentando conflitti locali e globali, e il ritorno del nazionalismo come ideologia dominante. In questo saggio si intende mostrare che la tesi sulla “fine delle ideologie” è infondata: le ideologie tradizionali sono incapaci di progettare un futuro di progresso perché subiscono passivamente l’ideologia della sovranità assoluta degli stati e della guerra giusta per difendere gli interessi nazionali. Il futuro dell’umanità è minacciato da una nuova corsa agli armamenti nucleari e convenzionali, ai quali i governi dedicano immense risorse, che dovrebbero invece servire per salvare il Pianeta dal surriscaldamento climatico, dallo sterminio della vita animale e vegetale e dalle pandemie. La via intrapresa dai popoli europei, con la costruzione della prima Unione sovranazionale della storia, dovrebbe ispirare anche le politiche necessarie per la costruzione di un ordine mondiale fondato sulla cooperazione pacifica tra stati e l’avvio di politiche che si propongano di consentire ai cittadini del mondo di godere dei medesimi diritti di libertà e solidarietà che, seppure imperfettamente, si sono realizzati in Europa. Il progresso dell’umanità è un’utopia positiva che può diventare realtà.
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Cecalupo, Chiara. "Per una storia del museo sacro cristiano: confronti diacronici dall’antichità ad oggi." Humanitas, no. 77 (June 28, 2021): 169–89. http://dx.doi.org/10.14195/2183-1718_77_8.

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L'articolo si propone di descrivere alcuni importanti casi di musei sacri cristiani dalla tarda antichità all'età contemporanea, al fine di tracciare la storia di questa istituzione e individuare i concetti chiave che ne stanno alla base. Il confronto diacronico parte dalla donazione di libri e oggetti liturgici da parte di Sant'Agostino alla sua chiesa episcopale (fine del IV secolo), per poi passare al Medioevo - quando l'idea di musei sacri cristiani è pienamente sviluppata - e concentrarsi sul Tesoro di San Denis, istituito dall'abate Suger nel XII secolo. Nella seconda parte del saggio sono esposte le storie relative alle collezioni di oggetti cristiani nei Musei Vaticani e i concetti che li hanno ispirati nel XVIII secolo. Si passa poi alla presentazione finale con l'analisi delle attuali linee guida dei musei sacri cristiani, visti come il prodotto finale del millenario patrimonio della museologia cristiana.
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Bochatey, Alberto. "Il personalismo nell’area culturale dell’America Latina." Medicina e Morale 53, no. 2 (April 30, 2004): 335–52. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2004.648.

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L’Autore, nel suo articolo, compie un’indagine di ampio respiro sullo sviluppo della bioetica nell’area culturale dell’America Latina. Fortemente influenzata da quanto accade negli USA, la storia della bioetica in queste zone è stata legata allo sviluppo del principialismo di T.L. Beauchamp e J.F. Childress, applicato ad una serie di campi specifici quali l’assistenza e la cura del malato, la procreazione e l’aborto, la morte encefalica (principalmente in vista del trapianto di organi), l’etica della ricerca, l’ecologia. La Bioetica personalista ontologicamente fondata è ritenuta essere un campo assai propizio per proporre ed orientare verso la persona e la sua realtà trascendente e sociale, verso il bene comune e lo sviluppo nel campo medico. L’America Latina è il continente della speranza e anche la Bioetica latinoamericana può esserlo (specialmente attraverso la personalizzazione del “bios” e la rivendicazione della dimensione comunitaria e sociale dell’“ethos”). In tal senso la Bioetica personalista può contribuire alla costruzione d’un “ponte verso il futuro” e all’integrazione e alla cooperazione latinoamericana. L’articolo concentra la sua attenzione, in particolare, su tre temi particolarmente significativi: la scienza e la tecnologia, l’identità cristiana e il ruolo dell’educazione, i comitati etici ospedalieri. Per questi ed altri campi, il riferimento al personalismo è una vera sfida che comporta una risposta, un impegno ed azioni concrete.
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Dondi, Mirco. "L'emittenza privata tra cambiamento sociale e assenza normativa (1976-1984)." ITALIA CONTEMPORANEA, no. 298 (June 2022): 278–301. http://dx.doi.org/10.3280/ic298-oa1.

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Il saggio analizza la fase nascente delle televisioni private in Italia e l'autonoma evoluzione del sistema televisivo fino al consolidamento dei tre network nazionali Canale 5, Italia 1, Rete 4. I protagonisti di questa fase sono le piccole televisioni private, i grandi editori e i partiti. Le prime stazioni televisive sono spesso destinate a una breve vita, ma rappresentano un interessante fenomeno di costume che apre la strada ai grandi investitori. Sin dall'inizio degli anni Settanta i principali gruppi editoriali Rizzoli, Rusconi, Mondadori ai quali si aggiunge poi Silvio Berlusconi, entrano nell'emittenza televisiva con l'obiettivo di creare emittenti nazionali, un percorso che si compie attraverso strette relazioni con i partiti politici, soprattutto con la Democrazia cristiana e il Partito socialista. In una fase di piena trasformazione, l'assenza di una disciplina normativa, legata a un calcolo politico dei partiti, gioca a favore degli investitori più forti. La trasformazione dell'etere si accompagna a un processo di mutazione antropologica del pubblico, al quale concorre l'influsso della pubblicità. I mutati gusti del pubblico costituiranno un freno alla sistemazione del settore televisivo.
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Ceci, Giovanni Mario. "Aldo Moro di fronte ai terrorismi e alle trame eversive (1969-1978)." MONDO CONTEMPORANEO, no. 2 (December 2010): 167–206. http://dx.doi.org/10.3280/mon2010-002008.

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Il saggio propone un'analitica ricostruzione - basata su numerose fonti tanto italiane quanto statunitensi (documenti del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, documentazione della Democrazia cristiana, stampa di partito, dibattiti parlamentari, memorie, etc.) e soprattutto sulla documentazione personale di Moro - dell'atteggiamento di Aldo Moro nei confronti del terrorismo italiano e dei fenomeni sovversivi dal 1969 al 1978. L'autore mette in luce alcuni elementi che hanno soprattutto (e costantemente) caratterizzato la posizione e le riflessioni di Moro nei riguardi della violenza e del terrorismo. In primo luogo, nel saggio viene evidenziata l'immediatezza con cui Moro colse la novitŕ e la pericolositŕ del terrorismo. In secondo luogo, l'autore sottolinea il fatto che per Moro il terrorismo rappresentava un fenomeno essenzialmente politico e che, a suo parere, la risposta ad esso doveva dunque essere non solo di tipo repressivo ma anche e soprattutto di natura piů propriamente politica. Nel saggio vengono poi ricostruite le differenti analisi e i diversi giudizi (e la loro evoluzione nel corso degli anni Settanta) che Moro elaborň in relazione al terrorismo di destra e a quello di sinistra. L'autore mette quindi a confronto tali analisi e giudizi con quelli espressi dagli altri principali leader della Dc. Il contributo mette in luce inoltre la salda convinzione di Moro che tanto il terrorismo di destra quanto quello di sinistra avessero dei legami internazionali e potessero contare sul sostegno di alcune nazioni straniere. Infine, l'autore affronta brevemente il problema dell'eventuale impatto del terrorismo sulla politica di Moro nei confronti del Partito comunista italiano.
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Cipriani, Roberto. "Religione e sport. Tra rito e spettacolo." El Futuro del Pasado 6 (October 1, 2015): 87–111. http://dx.doi.org/10.14516/fdp.2015.006.001.003.

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Sono numerosi i punti di contatto e le affinità fra religione e sport. Il che avviene sin dai tempi più antichi. Esemplare è il caso della Grecia, dove non a caso sono sorte le Olimpiadi in un contesto e con motivazioni a carattere tipicamente religioso.La stessa ripresa dei Giochi Olimpici nel 1896 rappresenta un momento di svolta per la storia dello sport ma evidenzia anche le ragioni profondamente etiche (e religiose) che animavano il loro fondatore, il barone de Coubertin.Oggi sotto diverse forme ed in situazioni favorevoli il legame fra religione e sport si va rafforzando tanto da poter verificare la presenza di riti, preghiere, formule, gesti, simboli e ruoli tipicamente religiosi anche in avvenimenti sportivi, nel corso della loro preparazione come nelle fasi successive allo svolgimento delle competizioni.Vari studi sul campo mostrano che specialmente entro modelli d’ispirazione cristiana vigono e si diffondono pratiche religiose che accompagnano da vicino le dinamiche relative all’organizzazione di gare in diversi sport, a partire dai momenti fondativi per giungere sino ai processi di legittimazione delle memorie del passato.Soprattutto nel campo del calcio esistono forme di divismo, movimenti parareligiosi e culti propiziatori ed esorcistici tesi ad ottenere risultati agonistici continuamente positivi.
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Mingardo, Letizia. "È morto Ippocrate, lunga vita a Ippocrate. Per una rivalutazione del paradigma medico ippocratico." Medicina e Morale 68, no. 3 (October 15, 2019): 249–63. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2019.585.

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Nel panorama bioetico contemporaneo trova credito l’idea per cui la tradizione ippocratica sarebbe ormai irrimediabilmente anacronistica ed inevitabilmente superata, come, ad esempio, sostengono autori quali Veatch, Riha, Heubel e Mori. Le ragioni profonde di questa ostilità rimandano al divieto di pratiche abortive e di atti finalizzati a provocare la morte, contenuti nel Giuramento di Ippocrate, nonché, più in generale, alla commistione con l’etica cristiana che la storia dell’ippocratismo racconta. Nel presente contributo intendo mostrare come il movimento anti-ippocratico contemporaneo si nutra di una nozione di ippocratismo affetta da una certa stereotipia, e così ricostruita allo scopo di accreditare l’opposto paradigma pro-choice. Il mio intento finale è quello di offrire alcuni spunti per una riconsiderazione del paradigma medico ippocratico, alla luce dell’apprezzamento di quelli fra suoi elementi costitutivi che possono definirsi “classici”. Dopo un breve ritorno alle origini storiche dell’ippocratismo, mi soffermerò sul primo Aforisma di Ippocrate, in quanto manifesto epistemologico della medicina ippocratica, e sul Giuramento, in quanto manifesto deontologico della professione medica ippocratica. A traghettarmi dall’Aforisma al Giuramento, a cavallo tra epistemologia e deontologia, sarà una specifica riflessione sulla concezione ippocratica del rapporto tra medico e paziente, così come emergente anche da altre fonti antiche. Nel compiere questo percorso, sarò supportata da autorevoli voci, che, nell’odierno panorama nazionale e internazionale, contribuiscono ad alimentare una sempre più attenta rivalutazione della tradizione ippocratica, sotto il profilo etico e deontologico.
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Pasquino, Gianfranco. "Il Modello Westminster." Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 32, no. 3 (December 2002): 553–67. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200030409.

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Анотація:
L'espressione «Modello Westminster» è stata variamente utilizzata negli anni ruggenti delle (non)riforme istituzionali in Italia. La quantità e la qualità delle imprecisioni nelle caratteristiche attribuite ad un modello inevitabilmente quasi ignoto in Italia sono state e rimangono notevoli. Al di là della semplice manipolazione politica, le imprecisioni non possono stupire. Da un lato, infatti, non esiste praticamente nessuno studio recente in italiano dedicato al sistema politico della Gran Bretagna (fa ottima eccezione la ricerca di Massari (1994)), mentre, al contrario, sono moltissime le analisi e le ricerche opera degli studiosi inglesi e americani (nessuna delle quali tradotte in italiano). Dall'altro, il sistema politico inglese viene considerato poco interessante, poco problematico e, fra alti e bassi, poco comparabile con gli altri sistemi politici né, tanto meno, con quello italiano. Ricorrendo ad un'espressione spesso utilizzata in Spagna per spiegare i conflitti, le tensioni e la confusione della politica prima del ritorno alla democrazia: «non siamo inglesi». Qualcuno potrebbe credere che esista un solo sistema politico «eccezionale», per la sua storia, per la sua cultura politica, per la sua società multietnica, per le sue istituzioni, vale a dire gli Stati Uniti d'America. Invece, a ben guardare, se un sistema politico merita la qualifica di eccezionale, cioè che fa eccezione rispetto, ad esempio, alle democrazie parlamentari, che nella sua configurazione specifica non si ritrova da nessun'altra parte che, di conseguenza, è difficilmente comparabile e ancor più difficilmente imitabile, è proprio il sistema politico della Gran Bretagna. Ciascuna delle componenti del sistema politico inglese (legge elettorale, sistema bipartitico, strutturazione del parlamento, governo del Primo ministro) può trovarsi, singolarmente presa e considerata, in qualche altro sistema politico, in particolare, nei sistemi politici che chiamerò della diaspora anglosassone: Australia, Canada, Nuova Zelanda. Nessuno di questi sistemi presenta, però, quel complesso di interazioni che caratterizza il sistema politico inglese e che è, in buona sostanza, unico. D'altronde, a riprova di quanto ho appena sostenuto, nessuno dei volumi in esame, scritti da eminenti specialisti, che pure conoscono molto bene anche altri sistemi politici, si affida ad una comparazione per spiegare né la dinamica delle istituzioni, in particolare, il governo del Primo Ministro, e dell'elettorato inglese, né il ruolo mutevole del Parlamento e dei parlamentari (anche se Russell (2000) va proprio alla ricerca di insegnamenti comparati per capire in quale direzione e con quali modalità debba essere riformata la Camera dei Lords). Cionostante, ciascuno di questi libri è, comunque, di per sé molto interessante e molto istruttivo non soltanto per le analisi specifiche che contiene, ma anche perché consente di riflettere in generale sulla trasformazione della politica, sulla sua situazione attuale in Gran Bretagna e sul suo futuro con riferimento sia al modello Westminster sia, nonostante le reali e profonde differenze, alle altre democrazie parlamentari.
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Sordyl, Krzysztof. "Powstanie i rozwój Kościoła nowacjańskiego." Vox Patrum 55 (July 15, 2010): 553–67. http://dx.doi.org/10.31743/vp.4356.

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Nel periodo iniziale dello sviluppo dello scisma romano di Novaziano niente lasciava prevedere che potesse minacciare l’intera Chiesa. In quel periodo Novaziano aveva mandato in Africa, Alessandria e Antiochia i suoi emissari. Grazie alla loro attività la comunità dei novaziani cresceva in potenza, e sviluppando in modo progressivo la propria dottrina è diventato un rivale significativo della Chiesa cattolica. La Chiesa di Novaziano si è diffusa in Gallia, nei terreni dell’Italia settentrionale (Milano), a Roma, in Africa, Egitto e Siria. In Oriente si è lottato a lungo contro le sue regole e abitudini. Anche nell’Asia minore i novaziani erano numerosi. Socrate fornisce molte informazioni su di loro. Racconta dettagliatamente la storia della comunità novaziana a Costantinopoli: descrive la disposizione delle loro chiese nella città e presenta la successione dei vescovi novaziani fino alla sua epoca. Eppure non vi è modo di stabilire, anche approssimativamente, il numero di singole comunità. L’ottavo canone del concilio di Nicea presumeva che in alcuni posti la chiesa di Novaziano avesse attratto la totalità della popolazione cristiana. Le informazioni sul presbitero romano e la sua chiesa non sono precise. I trattati, che si sono conservati, mostrano piuttosto la polemica teologica che la dimensione storica. La legge civile del 326 ha creato una situazione favorevole per gli appartenenti alla chiesa di Novaziano, riconoscendogli il diritto di possedere i luoghi di culto e i cimiteri. Le comunità novaziane in Oriente si sono trovate al centro della reazione antiniceana, le cui conseguenze avevano il carattere non solo teologico, ma anche esistenziale. Socrate riporta i momenti drammatici vissuti a Costantinopoli dai cattolici e dai novaziani che non volevano accettare il credo dei seguaci degli homoios. Nella prima metà del V secolo a Roma, il papa Innocente I, Bonifacio I e Celestino I chiudono le chiese dei novaziani. Cirillo invece combatteva i novaziani ad Alessandria. Socrate ricorda che a Costantinopoli, dove sicuramente era più difficile scordarsi delle sofferenze comuni, la situazione della comunità novaziana è rimasta buona fino all’ascesa al trono di Nestorio (428). La collaborazione della Chiesa e dello stato porta gradualmente alla sparizione, prima nelle grandi città, a poi addirittura in campagna, delle comunità organizzate, e finalmente degli ultimi rappresentanti della setta. Probabilmente gli ultimi novaziani asiatici collaboravano con i pauliciani. In Oriente dalla metà dell’VIII secolo sparisce la questione dei novaziani come eretici viventi. Gli ultimi cenni risalgono ai tempi di Giovanni di Damasco e Eulogio di Alessandria. In Occidente erano spariti già da molto prima: non se ne trova quasi nessuna informazione già dalla metà del V secolo. Secondo alcuni ricercatori le idee propagate dalla chiesa di Novaziano hanno influito sui bogomilisti, e anche sui catari dell’Occidente.
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Durand, Jean-Dominique. "Istituto per la storia della resistanza in provincia di Alessandria, Quaderno II, 1983, Aldo Moro : cattolicesimo e democrazia nell'Italia repubblicana, convegno di Alessandria, 29-30 maggio 1982, 200 p." Annales. Histoire, Sciences Sociales 40, no. 3 (June 1985): 554–56. http://dx.doi.org/10.1017/s0395264900083736.

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Sánchez Cañizares, Javier. "Carlo Lorenzo ROSSETTI, La civiltà dell’amore e il senso della storia. Liberazione cristiana – fraternità – utopia, Soveria Mannelli: Rubbetino Università, 2009, 137 pp., 14 x 21, ISBN 9788849824681." Scripta Theologica 42, no. 2 (November 20, 2015): 493–98. http://dx.doi.org/10.15581/006.42.3415.

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Viciano, A. "Louis BOUYER - Lorenzo DATTIRINO, La Spiritualità dei Padri. (II-V secolo): martirio - verginità - gnosi cristiana, Ed. Dehoniane («Storia della Spiritualità», 3/A), Bologna 1984, 229 pp., 14 x 21,5." Scripta Theologica 20, no. 1 (February 28, 2018): 347. http://dx.doi.org/10.15581/006.20.19326.

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GUERRINI, LUIGI. "MAURO PESCE, L'ermeneutica biblica di Galileo e le due strade della teologia cristiana (Uomini e dottrine, 43). Roma: Edizioni di Storia e Letteratura, 2005. VII+240 pp., ISBN 8884982073." Nuncius 21, no. 2 (January 1, 2006): 398–99. http://dx.doi.org/10.1163/221058706x00865.

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Misiarczyk, Leszek. "Rola świeckich w pismach Ojców Apostolskich i Apologetów greckich II wieku." Vox Patrum 42 (January 15, 2003): 67–88. http://dx.doi.org/10.31743/vp.7144.

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Анотація:
Per descrivere il ruolo dei laici nella Chiesa antica negli scritti dei Padri Apostolici ci siamo concentrati su Didache, L’Epistola ai Corinti di Clemente Romano, 1 e 2 Lettera a Filippesi di Policarpo di Smyrne e Pastore di Erma. Abbiamo quindi sottolineato che per capire bene i diversi carismi nella Chiesa primitiva descritti nella Dottrina dei Dodici Apostoli bisogna distinguere tra l’uso del termine „profeta” come una cattegoria generica che abbraccia tutti coloro che sono aperti all'azione dello Spirito Santo e quello piu specifico come carisma profetico data alla comunita dei credenti per interpretare meglio il tempo presente alla luce del Vangelo. Un'altra premessa merita ancora di essere messa in rilievo, e cioe, che secondo la Didache eventuale ruolo dei laci riguarda la comunita ecclesiale locale e non la Chiesa universale. Detto questo il ruolo dei laci in quest'opera sarebbe triplice: discernere tra un profeta itinerante vero da quello falso, poi, sostenere materialmente i veri profeti (qui inizia la famosa decima) e infine partecipare attivamente all'elezione dei vescovi e diaconi. Epistola ai Corinti (40, 5) per la prima volta appare il termine laikos che significa qualcuno che non offre i sacrifici di culto al nome della comunita. Oltre questo, Clemente attribuisce ai laici il compito di eleggere i presbiteri, che peró quando svolgono il loro servizio in maniera degna non possono essere dimessi da nessun laico. Policarpo di Smyrne si concentra sulla descrizione dei compiti dei laici che vivono nel mondo, cioe mogli, vedove, giovani e vergini, chiamati anche essi a dare la testimonianza al Vangelo nella vita quotidiana. Erma invece riceve la missione di annuziare il messaggio „rivelato” a tutti i cristiani che esiste una „paenitentia secunda” dopo il battesimo. Sarebbe quindi in qualche modo il precursore di tutti quei laici lungo la storia della Chiesa che hanno ricevuto le „rivelazioni” private come un aiuto per comprendere meglio la rivelazione pubblica in un determinato contesto storico. Per quanto riguarda invece gli Apologisti greci, nei loro testo non troveremo alcunche sul ruolo dei laci nella Chiesa del II secolo. Loro stessi peró, nella stragrande maggioranza laici, hanno svolto il ruolo fondamentale nella difesa dei cristianesimo dalle false calunnie popolari e dalla persecuzione imperiale, si sono impegnati nella polemica con il politeismo pagano e anche sforzati di presentare la fede cristiana nelle cattegorie filosofiche dell'epoca.
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SOUZA, Gasperim Ramalho de, and Arnaldo César ROQUE. "Identidades e Epistemologias: A Lei 10639/03 na Descolonização da Escola." INTERRITÓRIOS 6, no. 12 (December 7, 2020): 134. http://dx.doi.org/10.33052/inter.v6i12.248993.

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RESUMOEste artigo tem como objetivo apresentar algumas contribuições da lei 10639/03 que estabelece diretrizes educacionais para o ensino de História e Cultura da África e dos africanos seus diálogos para uma educação intercultural crítica. Dessa forma, enquanto principal eixo didático-metodológico dessa lei, propomos a educação intercultural crítica, a qual prioriza a valorização da identidade cultural afro-diaspórica e do continente, como ferramentas epistemológicas, visando uma resistência ao branqueamento e apagamento dessas identidades no cenário educacional. Esse apagamento ainda é persistente através do mito da democracia racial e outros discursos que podem ser endossados por educadores que não utilizam a referida lei como um importante suporte para leitura e ação diante de documentos norteadores na educação brasileira tal como a Base Nacional Comum Curricular (BNCC).Lei 10369/03. Educação Intercultural. Identidades Afro-Diaspóricas. ABSTRACTThis article aims to present some contributions of 10639/03 Act, which establishes educational rules for the teaching of history and culture of Africa and Africans, and their dialogues for an intercultural education. Thus, while the main didactic-methodological axis of this law proposed the critical intercultural education, which prioritizes the valuation of cultural-diasporic cultural identity and towards continent, as epistemological tools, aiming at resisting to bleaching and deletion of those identities in the educational setting. That deletion process still remains through racial democratic myth and other discourses which can be endorsed by educators who do not rely on the aforementioned act as an important basis for reading and acting towards the implementation of the Brazilian National Curriculum as a guiding educational document.10639/03 Act. Intercultural Education. African-Diasporic Identities. RESUMENEste artículo tiene como objetivo presentar algunos aportes de la Ley 10639/03 que establece pautas educativas para la enseñanza de la Historia y Cultura de África y de los africanos sus diálogos para una educación intercultural crítica. Así, como principal eje didáctico-metodológico de esta ley, proponemos la educación intercultural crítica, que prioriza la valorización de la identidad cultural afro-diaspórica y del continente, como herramientas epistemológicas, apuntando a una resistencia al blanqueamiento y borramiento de estas identidades en el escenario educativo. Este borramiento aún persiste a través del mito de la democracia racial y otros discursos que pueden ser avalados por educadores que no utilizan la referida ley como un soporte importante para la lectura y la actuación frente a documentos orientadores en la educación brasileña como la Base Curricular Común Nacional (BNCC).Ley 10369/03. Educación Intercultural. Identidades Afro-Diaspóricas. SOMMARIOQuesto articolo si propone di presentare alcuni contributi della Legge 10639/03 che stabilisce le linee guida educative per l'insegnamento della Storia e della Cultura dell'Africa e degli Africani i loro dialoghi per un'educazione interculturale critica. Pertanto, come principale asse didattico-metodologico di questa legge, proponiamo l'educazione interculturale critica, che privilegia la valorizzazione dell'identità culturale afro-diasporica e del continente, come strumenti epistemologici, indicando una resistenza allo sbiancamento e alla cancellazione di queste identità nel contesto educativo. Questa cancellazione persiste ancora attraverso il mito della democrazia razziale e altri discorsi che possono essere approvati da educatori che non usano la suddetta legge come un importante supporto per leggere e agire contro i documenti guida nell'educazione brasiliana come il Common Curriculum Base Nazionale (BNCC).Legge 10369/03. Educazione interculturale. Identità afro-diasporiche.
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Pacciolla, Aureliano. "EMPATHY IN TODAYS CLINICAL PSYCHOLOGY AND IN EDITH STEIN." Studia Philosophica et Theologica 18, no. 2 (December 7, 2019): 138–60. http://dx.doi.org/10.35312/spet.v18i2.29.

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