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Статті в журналах з теми "Riduzione fenomenologica"

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Cristin, Renato. "Verità e libertà come fundamenti del circolo fenomenologico." Investigaciones Fenomenológicas, no. 4-I (January 15, 2014): 93. http://dx.doi.org/10.5944/rif.4-i.2013.29740.

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Анотація:
Il tema principale del saggio è un’interpretazione del metodo fenomenologico che, focalizzando la questione dell’identità, ne mette in evidenza il lato trascendentale ed egologico. L’obiettivo è il recupero dell’idea di filosofia come scienza rigorosa e il conseguente ritorno alla centralità del soggetto fenomenologico-trascendentale.Viene introdotto il concetto di circolo fenome-nologico, con il quale si intende indicare la ricorsività della riduzione e la necessità di restare in essa, per mantenere il livello fenomenologico dell’esperienza e della conoscenza. Si tratta di una circolarità virtuosa, non solo perché è produttiva, ma anche perché procede attraverso una costante messa fra parentesi dei risultati e una continua riapertura degli orizzonti. Il circolo fenomenologico è un continuo campo di rimandi, caratteristico anche della correlazione noetico-noematica, tra l’io e il mondo, tra la libertà de-ll’atteggiamento e la verità dell’evidenza, un campo polarizzato i cui elementi si relazionano incessantemente e dal quale l’io esce con l’obiettivo però di farvi ritorno. L’io trascendentale dev’essere libero di compiere questo ritorno a se stesso, perché dentro di sé risiede la verità. Questa circolarità è dunque generatrice di libertà per quanto riguarda l’esercizio del metodo del “vedere fenomenologico”, e portatrice di verità per quanto riguarda l’esito del metodo stesso.Viene sottolineato come l’aspirazione fenomenologica a “vivere nella verità” sia uno sforzo per ricostituire quella verità fluente rappresentata dalla vita della soggettività nel terreno del mondo-della-vita. L’epoché, in quanto “totale rivolgimento esistenziale”, diventa il perno di uno stile di vita rivolto alla verità. Per la fenomenologia, vivere nella verità vuol dire vivere nella libertà, perché se la verità scaturisce dall’epoché, e se quest ’ultima si realizza come “sguardo veramente libero”, allora la verità non è solo legata alla libertà, ma ne è anche dipendente.Si sostiene qui che la soggettività fenomenologico-trascendentale rappresenta la chiave per una svolta rispetto alla situazione culturale attuale, nella quale il concetto di “io” è diventato uno dei principali bersagli critici. Viene mostrato come la soggettività sia collegata al metodo: infatti, annota Husserl in un manoscritto del 1924, “la soggettività è il mio tema, ed è un tema puro e in sé conchiuso, indipendente. Mos-trare che e come ciò sia possibile è il compito della descrizione del metodo della riduzione fenomenologica. Il “tema” di Husserl è dunque il suo compito filosofico e la sua missione esistenziale.Da qui si può interpretare anche la fenomenologia dell’intersoggettività sul piano storico-fattuale: la teoria fenomenologica dell’esperienza dell’estraneo non va confusa con i problemi della multiculturalità né tanto meno con le retoriche dell’alterità, ma è un’istanza che ripropone oggi l’antica questione della filosofia che si determina come ethos della theoria e quindi come “ragione pratica”, un’istanza che rimette al centro dell’attenzione quel fondamento che rischia di andare perduto nell’anonimato della tecnoscienza e nell’indistinto di una forma culturale globalizzata e globalizzante, un’istanza che richiama tutti noi a ritornare a ciò che Husserl chiamerebbe la costituzione originaria di senso della civiltà europea.El tema principal del paper es una interpretación del método fenomenológico que, enfocando la cuestión de la identidad, pone en evidencia su dimensión trascendental y egológica. El objetivo es el rescate de la idea husserliana de filosofía como ciencia rigurosa o estricta y el consiguiente regreso a la centralidad del sujeto fenomenológico-trascendental.Se introduce el concepto de círculo fenomenológico, que alude a la recursividad de la reducción y la necesidad de permanecer en ella, para mantener el nivel fenomenológico de la experiencia y del conocimiento. Se trata de una circularidad virtuosa, no sólo porque es productiva, sino porque avanza a través de una constante puesta entre paréntesis de los resultados y una continua reapertura de los horizontes. El círculo fenomenológico es un infinito campo de rebotes referenciales –propio en primer lugar de la correlación noético-noemática– entre el ego y el mundo, entre la libertad de la actitud y la verdad de la evidencia, un campo polarizado cuyas partes se relacionan incesantemente y del cual el ego sale (o se expone) pero con el objetivo de volver a entrar. El ego trascendental debe ser libre de cumplir este retorno a sí mismo, porque dentro de sí reside la verdad. Esta circularidad es entonces generadora de libertad por lo que se refiere al ejercicio del método del “mirar fenomenológico”, y portadora de verdad por lo que se refiere al resultado del método mismo.Se subraya la aspiración fenomenológica a “vivir en la verdad” como esfuerzo que se propone reconstruir esa verdad fluyente constituida por la vida de la subjetividad en el terreno del mundo de la vida. La epoché, en tanto “total transformación existencial”, se vuelve el perno de un estilo de vida orientado hacia a la verdad. Para la fenomenología, vivir en la verdad quiere decir vivir en la libertad, porque si la verdad surge de la epoché, y si esta última se realiza como “mirada verdaderamente libre”, entonces la verdad no está sólo ligada a la libertad, sino que resulta dependiente de ella.Se sostiene que la subjetividad fenomenológico-trascendental representa la clave para un viraje respecto de la situación cultural que prevalece en la actualidad, en la cual el concepto de “yo” se ha vuelto uno de los principales blancos de crítica. Se muestra aquí la radicalidad del nexo entre la subjetividad y el método. En un manuscrito de 1924 Husserl efectivamente anota: “la subjetividad es mi tema, y es un tema puro y en sí completo, independiente. Mostrar que ello es posible y de qué manera, es el cometido de la descripción del método de la reducción fenomenológica”. El “tema” de Husserl es por lo tanto su cometido filosófico y su misión existencial.A partir de aquí es posible interpretar también la fenomenología de la intersubjetividad a nivel histórico-fáctico: la teoría fenomenológica de la experiencia del extraño no debe ser confundida con los problemas de la multiculturalidad ni, menos aún, con las retóricas de la alteridad, sino que es una instancia que vuelve nuevamente actual la antigua cuestión de la filosofía que se determina como ethos de la theoria y por ende como “razón práctica”, una instancia que vuelve a poner al centro de nuestra atención ese fundamento que corría el riesgo de perderse en el anonimato de la tecnociencia y en lo indistinto de una forma cultural globalizada y globalizante, una instancia que reclama un retorno, de parte de todos nosotros, a lo que Husserl llamaría la constitu-ción originaria de sentido de la civilización europea.
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Gozzetti, Giovanni. "Dalla superficie alla profonditŕ. Un equivoco epistemologico circa fenomenologia e psicoanalisi." GRUPPI, no. 3 (May 2010): 11–18. http://dx.doi.org/10.3280/gru2009-003002.

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Анотація:
Superficie e profonditŕ indicano una dimensionalitŕ dal fuori al dentro, che richiama la topica di Freud e ha rapporti con alcune immagini derivate dalla fenomenologia di Husserl, che riguardano una concezione stratificata della psiche. I manuali diagnostici come i DSM esigono obbedienza e concedono come premio l'esattezza diagnostica, nei limiti della loro criteriologia. Essi provengono dalle concezioni di un empirista logico, Carl Hempel, e si basano sulla rinuncia alla validitŕ per accontentarsi del piů modesto criterio della affidabilitŕ tra osservatori. Se solo, perň, consultassimo un buon dizionario per esaminare i nostri termini, che, crediamo, in buona fede, neutri, ci accorgeremmo che corriamo il rischio di seppellire il nostro paziente in un nulla di parole artificiose, dal momento che il conoscere, nel nostro campo, non č solo sapere, ma ha la vibrazione del sentire. Siamo cioč costretti, in fondo, ad eleggere la soggettivitŕ a conoscenza, cercando di dare ad essa una consistenza. Karl Jaspers č partito da questo per forgiare il metodo psicopatologico della fenomenologia comprensiva, che ha per base uno strumento, la comprensione, Verstehen, vale a dire la capacitŕ dell'osservatore di mettersi al posto del paziente, grazie alle autodescrizioni, e, per empatia, cogliere i suoi vissuti, rivivendoli. Accanto a questa fenomenologia soggettiva, c'č quella oggettiva, che vuole accedere direttamente ai fenomeni psicopatologici. L'indagine fenomenologica obiettiva ha per momento iniziale la "riduzione", da intendersi come il metodo per il quale metto momentaneamente tra parentesi ogni teoria data, in modo da cercare di raggiungere una descrizione "pura" dei fenomeni. Metto tra parentesi e conservo: il metodo fenomenologico non č qui inteso come un rifiutare il sapere psichiatrico e psicoanalitico, ma come un esercizio, che permette di avvicinarsi a quella conoscenza implicita che non nega la conoscenza abituale. Si cerca quello che giŕ si sa, senza averne conoscenza esplicita e questo sapere implicito lo scopriamo in modo semplice e rigoroso, con uno sguardo attento alla descrizione di superficie. «Nel lavoro scientifico, dice Freud, č piů promettente affrontare il materiale che ci sta di fronte, per la cui indagine si apre uno spiraglio. Se lo si fa con scrupolo, senza ipotesi o aspettative preconcette, e se si ha fortuna, anche da un lavoro cosě privo di pretese puň scaturire l'appiglio allo studio dei grandi problemi, grazie al nesso che lega tutto con tutto, anche il piccolo col grande». Questo potrŕ forse dispiacere a chi ama le scorribande avventurose nello psichismo arcaico, ma forse la superficie puň dare piů interrogativi e celare piů misteri di quanto una teoretica dei primi palpiti di vita possa immaginare e permette comunque di stare col paziente nello stesso luogo in una prossimitŕ di incontro.
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Gilbert, Paul. "SCIENZA, FENOMENOLOGIA E RIDUZIONE." Sapere Aude 7, no. 13 (June 21, 2016): 301. http://dx.doi.org/10.5752/p.2177-6342.2016v7n13p301.

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Анотація:
<p>La cultura filosofica e scientifica accede ai media solo nelle ore più buie della notte. Sarà quindi da abbandonare ai nottambuli? Husserl si chiedeva se la filosofia potesse essere una “scienza rigorosa”. Questa domanda avrà ancora un interesse? Non dovremmo però contestare l’unilateralità della deriva culturale dei nostri tempi e rivendicare per la riflessione fondamentale nuovi spazi d’interrogazione? Le scienze sono credibili soltanto perché offrono la possibilità di alimentare la potenza della tecnica? Non dobbiamo porre invece la domanda sul loro fondamento razionale; criticare la mentalità che si accontenta del loro successo tecnico? Tenteremo di rispondere a queste domande leggendo alcuni testi di Edmund Husserl, Martin Heidegger e Michel Henry. Il nostro intento è di capire il significato del termine “riduzione” in fenomenologia. Questo termine ha conosciuto alcune avventure. Indica, infatti, per un fenomenologo il metodo più radicale per fondare il senso delle attività umane, comprese quelle scientifiche.</p><div><br clear="all" /><div> </div></div>
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Reali, Nicola. "Ridurre il dono alla donazione: Il metodo fenomenologico e la teologia secondo Jean-Luc Marion." Revista Pistis Praxis 8, no. 2 (September 13, 2016): 385. http://dx.doi.org/10.7213/revistapistispraxis.08.002.ds06.

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Анотація:
La fenomenologia della donazione di Marion può rappresentare un’occasione di approfondimento del rapporto filosofia/teologia che cerchi di ricucire la frattura ormai secolare tra le due discipline? Il presente articolo cerca di illustrare il progetto del filosofo francese — e l’obiettiva implicazione teologica del suo discorso — cercando di dettagliare una delle sue tesi centrali: la riduzione del dono alla donazione. Quest’ambito offre così lo spazio per una ricostruzione del percorso teoretico di Marion, che va di pari passo all’approfondimento del tema della paternità. Quest’ultima rappresenta l’exemplum privilegiato di che cosa significhi un dono ridotto alla donazione, poiché in essa Marion ritrova tutte le caratteristiche di ciò che la riflessione metodologica ha indicato in un dono ridotto alla donazione. La disamina del percorso disegnato da Marion favorisce pertanto l’occasione per evidenziare la necessità (teologica e filosofica) di un approfondimento del rapporto esperienza/riflessione che attende ancora una risposta soddisfacente.
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De Nardis, Paolo. "Dall'etica dell'impresa alla responsabilitŕ sociale: il percorso di una ideologia." RIVISTA TRIMESTRALE DI SCIENZA DELL'AMMINISTRAZIONE, no. 1 (April 2011): 85–104. http://dx.doi.org/10.3280/sa2011-001007.

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Анотація:
Questo saggio analizza sotto molteplici prospettive la fenomenologia e la concettualizzazione della responsabilitŕ sociale delle imprese. L'esame mette in evidenza come la nozione in oggetto abbia avuto il merito di trascendere la riduzione economicistica dell'impresa alla mera categoria del profitto, attraverso il richiamo alla partecipazione piů allargata degli stakeholder. Gli strumenti del codice etico e del bilancio sociale hanno contribuito a chiarire questa prospettiva, in un processo che parte dalle istanze dell'etica degli affari ed etica dell'impresa. Alla fine della disamina anche l'istanza eticistica che pulsa sotto la responsabilitŕ sociale mostra il proprio lato ideologico e in gran parte le ambiguitŕ del suo volto. Alcuni strumenti, nella loro freddezza, possono aiutare a riportare il discorso nei binari classici e senza infingimenti di un'impresa in ogni caso tesa, prevalentemente, quando non esclusivamente, alla produzione di profitto.
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Дисертації з теми "Riduzione fenomenologica"

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Altobrando, Andrea. "Il problema dell'infinito nell'orizzonte fenomenologico husserliano." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2012. http://hdl.handle.net/11577/3422914.

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Анотація:
The aim of this work is to elucidate the meaning of 'infinity' from a phenomenological perspective, especially within the framework of Husserl’s theory of knowledge and perception. In the first chapter I firstly sketch the basics of Husserl’s phenomenology of knowledge. Thereafter I delve into the questions concerning the reduction to the 'reellen Bestand', which is hold to be the ground of verification of purports in the "Logical Investigations". I then propose an interpretation of the categorial intuition as directed to the laws an 'Auffassung' follows when it organizes the sensual contents related to an object. In the second chapter I briefly expound Husserl’s phenomenology of perception and I show how perception can be hold as an intentional experience. Afterwards I concentrate on the constitution of space and of thing (Ding). I show in which sense the structures of both constitutions are dependent on the sensations and kinesthesis (i.e. proprioceptions) experienced by the subject. In the third chapter I finally deal with the problem of infinity. I face some recent interpretations of Husserl’s theory of perception according to which infinity is somehow intertwined in and even intuited through thing-perception (Dingwahrnehmung). I claim that thing-perception can not be hold as an access to infinity, i.e. no thing-perception is a perception of something as infinite. Following I show how some other kinds of sensual experience can correspond to a perception of infinity. On the base of some Husserl’s manuscripts and through a brief confrontation with Kant’s Analytic of the Sublime I sustain that infinity can be sensually intuited in the senses of limitlessness and of formlessness. I then show that categorial intuition is necessary in order to constitute the meaning of mathematical infinity, i.e. an endless whole of discrete parts. In fact, the idea of such an “entity” is dependent on the capacity of grasping the law of a serial production. In the conclusion I establish that mathematical infinity is the only kind of infinity which can not find any sensual correlate. This is due to the fact that it is a meaning composed by two contradictory prescriptions: 'reach the limitless' and 'go on without an end'. I consequently argue that the idea of infinity is grounded on sensual experience and does not need any supernatural origin.
Scopo del presente lavoro è la chiarificazione del significato di 'infinito' all’interno di una prospettiva fenomenologica, in particolare nel quadro della teoria della conoscenza e della percezione di Husserl. Nel primo capitolo descrivo sommariamente i tratti fondamentali della fenomenologia husserliana della conoscenza. Dopo di che approfondisco le questioni concernenti la riduzione al 'reellen Bestand', il quale nelle "Ricerche logiche" è considerato il terreno di verificazione delle intenzioni. Quindi propongo un’interpretazione dell’intuizione categoriale come diretta alle leggi seguite da un’'Auffassung' nell'organizzazione dei dati sensoriali relativi a un oggetto. Nel secondo capitolo espongo brevemente la fenomenologia della percezione di Husserl e mostro in che modo la percezione si possa considerare un’esperienza intenzionale. Dopo di che mi concentro sulla costituzione dello spazio e della cosa (Ding). Mostro in che senso le strutture di entrambe le costituzioni dipendono dalle sensazioni e dalle cinestesi che un soggetto esperisce. Nel terzo capitolo giungo infine ad affrontare il problema dell’infinito. Mi confronto dapprima con alcune recenti interpretazioni della teoria della percezione di Husserl secondo le quali l’infinito è in qualche modo connesso con - e persino intuito attraverso - la percezione di cosa (Dingwahrnehmung). Sostengo che la percezione di cosa non può essere considerata un accesso all’infinito, vale a dire che nessuna percezione di cosa è percezione di qualcosa in quanto infinito. Sulla base di alcuni manoscritti di Husserl e attraverso un confronto con l’Analitica del sublime di Kant, giungo a sostenere che l’infinito può essere intuito a livello sensibile nei sensi di illimitato e di informe. Quindi mostro che l’intuizione categoriale è necessaria al fine di costituire il significato dell’infinito matematico, vale a dire un intero senza fine di parti discrete. Infatti, l’idea di una tale “entità” dipende dalla capacità di cogliere la legge di una produzione seriale. Nelle conclusioni rilevo che l’infinito matematico è l’unico tipo di infinito che non può trovare un correlato sensibile. Questo dipende dal fatto che esso è un significato composto da due prescrizioni contraddittorie tra loro: 'raggiungi l’illimitato' e 'vai avanti senza fine'. Conseguentemente affermo che l’idea di infinito è fondata sull’esperienza sensibile e che non necessita di alcuna origine sovrannaturale.
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Togni, Alice. "Fenomenologia e psicologia in Husserl : la « riduzione psicologica »." Thesis, Sorbonne université, 2018. http://www.theses.fr/2018SORUL194.

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Анотація:
Parmi les nombreuses questions que soulève la phénoménologie husserlienne une concerne en particulier la relation complexe avec la psychologie. À cet égard, la notion de réduction psychologique peut offrir une clé de lecture féconde pour rendre compte de cette complexité en clarifiant la connexion entre les différents niveaux dans lesquels se déroule l'analyse phénoménologique. Dans cette perspective, il faut retracer le parcours du projet philosophique husserlienne depuis le début jusqu'à la fin : le premier chapitre porte donc sur le rapport de Husserl à Brentano et Stumpf, ses maîtres, ainsi que sur sa confrontation avec Lipps, Dilthey et Natorp, ses interlocuteurs privilégiés dans le cadre de la psychologie au début du XXème siècle. Ensuite, il faut montrer que Husserl élabore sa propre phénoménologie comme réalisation véritable de la philosophie et, corrélativement, comme science du fondement de toutes les sciences, y compris de la psychologie : c'est dans cette optique que s'inscrit le projet husserlien d'une psychologie “phénoménologique”, auquel est consacré le deuxième chapitre. Cette psychologie pure intentionnelle a la double fonction de réformer la psychologie traditionnelle et de jouer le rôle d'intermédiaire et de facilitateur pour assurer le bon déroulement de la phénoménologie transcendantale. Il s'agit d'une question de méthode que le troisième chapitre vise à résoudre en prenant comme fil conducteur la réduction psychologique : revenir sur les étapes de l'élaboration de la réduction (phénoménologique-)psychologique permet d'interpréter correctement l'évolution du rapport entre phénoménologie et psychologie tout en préservant l'unité et la cohérence intime de la pensée de Husserl. Le quatrième chapitre procède enfin à enrayer les nombreux malentendus qui sont à l'origine des paradoxes relatifs aux opérations méthodiques d'épochè et de réduction qui caractérisent la phénoménologie husserlienne. Cette clarification ouvre des perspectives de recherche bien fondées au niveau philosophique comme au niveau psychologique
Among the many questions raised by Husserl's phenomenology, one concerns in particular the complex relationship with psychology. In this regard, the concept of psychological reduction can offer a key to successful understanding of this complexity by clarifying the connection between the different levels phenomenological analysis consists of. It is in this perspective that we need to look at Husserl's philosophical project as a whole in order to retrace his steps from beginning to end : the first chapter is therefore focused on Husserl's connection with Brentano and Stumpf, his masters, as well as with his confrontation with Lipps, Dilthey and Natorp, his privileged dialogue partners in the framework of early twentieth-century psychology. Then, it must be shown that Husserl develops his own phenomenology as genuine fulfillment of the idea of philosophy and, correlatively, as truly foundational science compared to all the other sciences, including psychology. Husserl's project of a “phenomenological” psychology, to which the second chapter is devoted, arises exactly in this context. Phenomenological psychology as pure intentional psychology has the twofold task of reforming traditional psychology and playing the role both of mediator and facilitator for ensuring a phenomenological inquiry properly performed in transcendental terms. This is a matter of method that the third chapter intends to resolve by focusing on psychological reduction : presenting all the different making levels of (phenomenological)- psychological reduction to allow a proper interpretation of the development of the relation between phenomenology and psychology in Husserl, without affecting the coherence and unity of his philosophical purpose, this is the main aim of the current study. The fourth chapter deals, finally, with the eradication of the misunderstandings which cause paradoxes concerning Husserl's phenomenological method of epoché and reduction, even at the level of psychological phenomenology. This clarification opens up new research prospects both in philosophy and in psychology
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FEDERICO, LUCA. "L'apprendistato letterario di Raffaele La Capria." Doctoral thesis, Università degli studi di Genova, 2020. http://hdl.handle.net/11567/1005664.

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Superati «novant’anni d’impazienza» e dopo un lungo periodo votato all’autocommento e all’esplorazione delle proprie intenzioni, Raffaele La Capria ha raccolto le sue opere in due Meridiani curati da Silvio Perrella. La Capria ne ha celebrato l’uscita nella prolusione inaugurale di Salerno Letteratura, poi confluita nel breve autoritratto narrativo "Introduzione a me stesso" (2014). In questa sede, l’autore è tornato su alcuni punti essenziali della sua riflessione sulla scrittura, come la relazione, reciproca e ineludibile, fra tradizione e contemporaneità. All’epilogo del «romanzo involontario» di una vita, La Capria guarda retrospettivamente alla propria esperienza come ad un’autentica educazione intellettuale. Perciò, muovendo da un’intervista inedita del 2015, riportata integralmente in appendice, la tesi ha l’obiettivo di ricostruire l’apprendistato letterario di La Capria dai primi anni Trenta, quando l’autore ancora frequentava il ginnasio, fino all’inizio dei Sessanta, quando ottenne il premio che ne avrebbe assicurato il successo. Il percorso, che riesamina l’intera bibliografia lacapriana nella sua varietà e nella sua stratificazione, si articola in una serie di fasi interdipendenti: la partecipazione indiretta alle iniziative dei GUF (intorno alle riviste «IX maggio» e «Pattuglia»); l’incursione nel giornalismo e l’impegno culturale nell’immediato dopoguerra (sulle pagine di «Latitudine» e di «SUD»); l’attività di traduttore dal francese e dall’inglese (da André Gide a T.S. Eliot); l’impiego alla RAI come autore e conduttore radiofonico (con trasmissioni dedicate a Orwell, Stevenson, Saroyan e Faulkner); la collaborazione con «Il Gatto Selvatico», la rivista dell’ENI voluta da Enrico Mattei e diretta da Attilio Bertolucci; e le vicende editoriali dei suoi primi due romanzi, “Un giorno d’impazienza” (1952) e “Ferito a morte” (1961), fino alla conquista dello Strega. La rilettura dell’opera di uno scrittore semi-autobiografico come La Capria, attraverso il costante riscontro di fonti giornalistiche, testimonianze epistolari e documenti d’archivio che avvalorano e occasionalmente smentiscono la sua versione dei fatti, diventa allora un’occasione per immergersi nella sua mitografia personale e avventurarsi in territori finora poco esplorati: come la ricostruzione del suo profilo culturale, a partire dal milieu in cui La Capria vive e opera, o l’incidenza delle letture e delle esperienze giovanili sulla sua prassi letteraria.
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CUSINATO, Guido. "La messa fra parentesi dell'ego e i gradi dell'apertura al mondo." Doctoral thesis, 1997. http://hdl.handle.net/11562/473559.

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Анотація:
La tesi di questo lavoro è che ogni azione che si muova nel senso d’un incremento del grado d’apertura al mondo sia un’azione etica. Anzi che l’etica consista proprio in quest’incremento. Il problema non è affatto nuovo e devo anzi dire che uno stimolo importante in questa direzione mi è stato offerto dalla lettura di un passo della Lettera ai Filippesi, quello in cui Paolo dice: «la loro fine è la perdizione, il loro dio è il ventre» (3, 19). Anche il «ventre» ha infatti le sue esigenze, anche il ventre ha gli «occhi», ecco — ho pensato — se l’uomo si riduce a guardare il mondo attraverso gli occhi del proprio «ventre» allora è dannato, ma non nel senso che verrà poi condannato da un qualche tribunale celeste quanto che già in tale condizione è implicito un danno esistenziale, una chiusura e un ripiegamento della vita su se stessa. L’etica mi pare in primo luogo un invito ad evitare tale danno. Ma poi rileggendo Platone ho avuto l’impressione che qualcosa in questa direzione si muovesse già nel Fedone: non si parla forse lì di catarsi da un certo modo di vivere per accedere a «vita nuova» (la filosofia) già in questa vita terrena? Pure la riflessione moderna è ricca di spunti in questa direzione, come quelli offerti da Schelling quando, introducendo il concetto di estasi dall’Io, evidenzia che qui non si tratta di mettere fra parentesi solo la prospettiva sensibile, ma anche il pensiero oggettivante e di dirigersi verso un centro personale concreto. Infine Schopenhauer pone in rilievo come il problema metafisico dell’etica consista essenzialmente nella messa fra parentesi dell’egoismo (cfr. le interessantissime analisi contenute in Die beiden Grundprobleme der Ethik), anche se poi rimane ancorato ad una concezione assolutizzante dell’ego stesso, tanto da ritenere che la sua scomparsa conduca inevitabilmente nel Nirvana. L’etica non richiede però di depauperare la nostra esistenza terrena in nome di valori ultraterreni, ma al contrario è un invito a renderla più ricca e intensa. Bisogna voler veramente bene a se stessi per riuscire a superare l’egoismo. Non si tratta in nessun caso di condannare preventivamente un egoismo inteso come orgoglio per il proprio essere relativo e capace di riconosce all’altro un eguale diritto; in un primo momento il problema è quello di prendere le distanze da quell’assolutizzazione del proprio ego che ricade nell’egocentrismo. Con l’espressione proiettivismo egologico si potrebbe cercare di indicare una delle tendenze fondamentali dell’uomo: la tendenza che, connettendosi alla volontà di potenza nietzschiana dell’homo faber, ha permesso l’importantissimo e irrinunciabile processo di oggettivazione alla base anche del sapere scientifico. Essa tuttavia, se assolutizzata, tende a cancellare la dimensione dell’alterità riducendo all’ego ogni differenza e alimentando l’equivoco di fondo secondo cui il mondo altro non sarebbe che il riflesso del proprio ego. Qui l’ego è pronto a svelare un’indole mistificatoria non appena l’oggettività arrivi a metterne in discussione la centralità. Anche gli «occhi dell’ego» rischiano infine di ricadere in una dannazione analoga a quella degli «occhi del ventre». Nell’etica si fa strada una nuova visuale, capace di trascendere estaticamente la disposizione egologico-proiettiva e che si può identificare con quella della persona. È come se ognuno di questi «sguardi» delimitasse un ambito di realtà sempre meno ristretto e sempre più complesso, in modo da rappresentare un incremento del grado d’apertura e di sintonia col mondo. In una tale concezione dell’etica non è però prevista né una svalutazione del mondo e neppure della corporeità. Si tratta piuttosto di superare l’alternativa fra Idealismo e Realismo cercando di esperire qualcosa che rimane incommensurabile alla logica dell’ego e verso la quale l’ego stesso rimane cieco: la sfera dell’alterità, del diverso, in altre parole di ciò che rimane asimmetrico rispetto alla propria autoprogettualità.
La tesi di questo lavoro è che ogni azione che si muova nel senso d’un incremento del grado d’apertura estatica al mondo sia un’azione etica. Anzi che l’etica consista proprio in quest’incremento. Il problema non è affatto nuovo e devo anzi dire che uno stimolo importante in questa direzione mi è stato offerto dalla lettura di un passo della Lettera ai Filippesi, quello in cui Paolo dice: «la loro fine è la perdizione, il loro dio è il ventre» (3, 19). Anche il «ventre» ha infatti le sue esigenze, anche il ventre ha gli «occhi», ecco — ho pensato — se l’uomo si riduce a guardare il mondo attraverso gli occhi del proprio «ventre» allora è dannato, ma non nel senso che verrà poi condannato da un qualche tribunale celeste quanto che già in tale condizione è implicito un danno esistenziale, una chiusura e un ripiegamento della vita su se stessa. L’etica mi pare in primo luogo un invito ad evitare tale danno. Ma poi rileggendo Platone ho avuto l’impressione che qualcosa in questa direzione si muovesse già nel Fedone: non si parla forse lì di catarsi da un certo modo di vivere per accedere a «vita nuova» (la filosofia) già in questa vita terrena? Pure la riflessione moderna è ricca di spunti in questa direzione, come quelli offerti da Schelling quando, introducendo il concetto di estasi dall’Io, evidenzia che qui non si tratta di mettere fra parentesi solo la prospettiva sensibile, ma anche il pensiero oggettivante e di dirigersi verso un centro personale concreto. Infine Schopenhauer pone in rilievo come il problema metafisico dell’etica consista essenzialmente nella messa fra parentesi dell’egoismo (cfr. le interessantissime analisi contenute in Die beiden Grundprobleme der Ethik), anche se poi rimane ancorato ad una concezione assolutizzante dell’ego stesso, tanto da ritenere che la sua scomparsa conduca inevitabilmente nel Nirvana. L’etica non richiede però di depauperare la nostra esistenza terrena in nome di valori ultraterreni, ma al contrario è un invito a renderla più ricca e intensa. Bisogna voler veramente bene a se stessi per riuscire a superare l’egoismo. Non si tratta in nessun caso di condannare preventivamente un egoismo inteso come orgoglio per il proprio essere relativo e capace di riconosce all’altro un eguale diritto; in un primo momento il problema è quello di prendere le distanze da quell’assolutizzazione del proprio ego che ricade nell’egocentrismo. Con l’espressione proiettivismo egologico si potrebbe cercare di indicare una delle tendenze fondamentali dell’uomo: la tendenza che, connettendosi alla volontà di potenza nietzschiana dell’homo faber, ha permesso l’importantissimo e irrinunciabile processo di oggettivazione alla base anche del sapere scientifico. Essa tuttavia, se assolutizzata, tende a cancellare la dimensione dell’alterità riducendo all’ego ogni differenza e alimentando l’equivoco di fondo secondo cui il mondo altro non sarebbe che il riflesso del proprio ego. Qui l’ego è pronto a svelare un’indole mistificatoria non appena l’oggettività arrivi a metterne in discussione la centralità. Anche gli «occhi dell’ego» rischiano infine di ricadere in una dannazione analoga a quella degli «occhi del ventre». Nell’etica si fa strada una nuova visuale, capace di trascendere estaticamente la disposizione egologico-proiettiva e che si può identificare con quella della persona. È come se ognuno di questi «sguardi» delimitasse un ambito di realtà sempre meno ristretto e sempre più complesso, in modo da rappresentare un incremento del grado d’apertura e di sintonia col mondo. In una tale concezione dell’etica non è però prevista né una svalutazione del mondo e neppure della corporeità. Si tratta piuttosto di superare l’alternativa fra Idealismo e Realismo cercando di esperire qualcosa che rimane incommensurabile alla logica dell’ego e verso la quale l’ego stesso rimane cieco: la sfera dell’alterità, del diverso, in altre parole di ciò che rimane asimmetrico rispetto alla propria autoprogettualità.
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