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Добірка наукової літератури з теми "Responsabilità da reato degli enti collettivi"
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Статті в журналах з теми "Responsabilità da reato degli enti collettivi"
Santoriello, Ciro. "I reati tributari nella responsabilità da reato degli enti collettivi: ovvero dell'opportunità di configurare la responsabilità amministrativa delle società anche in caso di commissione di reati fiscali." Archivio penale, no. 1 (2017). http://dx.doi.org/10.12871/97888684181768.
Повний текст джерелаSantoriello, Ciro. "I reati tributari nella responsabilità da reato degli enti collettivi : ovvero dell'opportunità di configurare la responsabilità amministrativa delle società anche in caso di commissione di reati fiscali." Archivio penale, no. 1 (2017). http://dx.doi.org/10.12871/97888674181768.
Повний текст джерелаGiambastiani, Valentina. "I vulnera del sistema punitivo delle persone giuridiche per reato di corruzione internazionale alla luce dei principi eurounitari." Rivista di Studi e Ricerche sulla criminalità organizzata 7, no. 2 (December 18, 2021). http://dx.doi.org/10.54103/cross-16850.
Повний текст джерелаManna, Adelmo. ""Costanti" e "variabili" della responsabilità da reato degli enti nell'era della globalizzazione." Archivio penale, no. 3 (2015). http://dx.doi.org/10.12871/978886741480228.
Повний текст джерелаCavana, Paolo. "Gli enti ecclesiastici tra diritto speciale e diritto comune." Stato, Chiese e pluralismo confessionale, November 2, 2022. http://dx.doi.org/10.54103/1971-8543/18981.
Повний текст джерелаДисертації з теми "Responsabilità da reato degli enti collettivi"
emanuele, Birritteri. "I reati alimentari tra responsabilità individuali e degli enti collettivi : Tassonomia delle forme di intervento punitivo ed esigenze di riforma." Doctoral thesis, Luiss Guido Carli, 2021. http://hdl.handle.net/11385/210520.
Повний текст джерелаMOSSA, VERRE MARCO. "RESPONSABILITÀ DA REATO DEGLI ENTI E RIPARAZIONE AMBIENTALE." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2022. http://hdl.handle.net/2434/932786.
Повний текст джерелаCadamuro, Giorgia <1988>. "Il D.Lgs. 231/2001: la responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2014. http://hdl.handle.net/10579/4374.
Повний текст джерелаGiliberti, Serena. "La responsabilità da reato degli enti tra disciplina normativa e prassi applicativa." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2013. http://hdl.handle.net/10077/8615.
Повний текст джерелаIl decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 ha introdotto la disciplina della c.d. responsabilità amministrativa da reato degli enti e costituisce una delle più importanti e profonde innovazioni del nostro sistema penale. Il lavoro, lontano dalla pretesa d’esser un commentario del decreto, è focalizzato sugli articoli 6, 7 e 8 dello stesso, poiché queste tre norme disciplinano il sistema di imputazione del reato all’ente e ne costituiscono il nucleo innovativo. Ciò che rende dirompente la portata della disciplina introdotta nel 2001 è, infatti, l’introduzione di un nuovo soggetto di diritto all’interno del nostro sistema penale: l’ente. L’attenzione, dunque, è stata posta sul come a questo nuovo protagonista dell’illecito penale sia stata attribuita una responsabilità che, al di là dei nominalismi, fino al 2001 era riservata alla persona fisica. Ciò al fine di comprendere se i criteri prescelti dal legislatore abbiano determinato un’integrazione di questo nuovo soggetto nel nostro ordinamento ovvero se sussistano delle problematiche di ordine dogmatico o relative alla prassi applicativa che ne impediscono il coordinamento con gli istituti propri del diritto penale. In altre parole, obiettivo del lavoro è comprendere se la novella del 2001 abbia determinato la necessità di ripensare agli istituti tradizionali del nostro diritto e ai principi che illuminano lo stesso ovvero se, al di là delle perplessità che ogni cambiamento porta con sé, sia possibile trovare un posto per la responsabilità da reato dell’ente all’interno del sistema penale così com’è. La prima parte della tesi ha carattere introduttivo ed è dedicata, premessa una riflessione circa le ragioni della “criminalizzazione” delle persone giuridiche, all’analisi dell’ente quale soggetto di reato “nel tempo e nello spazio”. La responsabilità da reato degli enti è stata presa in considerazione “nel tempo” nel senso che, in primo luogo, si è effettuato un breve excursus storico relativo all’evolvere del pensiero giuridico in merito, per l’appunto, all’ente quale possibile destinatario del precetto penale. Ciò al fine di comprendere quale sia la portata dell’introduzione di un principio di responsabilità da reato delle persone giuridiche alla luce dell’evoluzione storica di un pensiero giuridico caratterizzato dal principio secondo cui societas delinquer e non potest. L‘ente quale soggetto d’illecito penale è stato preso, poi, in considerazione nella sua dimensione “spaziale”. Il fenomeno della criminalità d’impresa è, infatti, per sua natura “internazionale”, sia nel senso che lo stesso si presenta in tutti gli stati economicamente sviluppati, sia in quanto è frequente che si estenda oltre i confini di una singola nazione. Si è ritenuto opportuno analizzare, seppur senza pretesa di esaustività, quali sono state le reazioni e le proposte di alcuni dei principali attori politici ed economici del nostro tempo a tale fenomeno, per comparare le varie alternative offerte dagli ordinamenti finalizzate ad accogliere (e sanzionare) questo nuovo soggetto di diritto. La seconda parte della tesi analizza le ragioni dello sgretolamento, all’interno del mondo occidentale, del principio in forza del quale societas delinquere non potest, funzionale ad introdurre la vexata quaestio circa la natura della responsabilità da reato dell’ente, così come pensata dalla dottrina e dal legislatore italiano. Premessi questi doverosi rimandi alle questioni che possiamo considerare ormai “classiche” quando si parla di decreto legislativo 231/2001 - principio d’irresponsabilità penale degli enti, natura della responsabilità delle persone giuridiche etc. – la terza parte del lavoro s’incentra sulla compiuta analisi del criterio d’imputazione del fatto all’ente. Quest’ultimo è connotato da una componente oggettiva, dato che l’ente non è responsabile di tutti i reati che siano stati commessi dai suoi dipendenti od esponenti, ma solamente di quelli commessi “nel suo interesse o vantaggio” e da una componente soggettiva, di cui la c.d. “colpa in organizzazione” è cardine. La prospettiva di osservazione è duplice: da un lato sono posti in rilievo i problemi di natura dogmatico-interpretativa sollevati dalla dottrina negli ultimi dodici anni, dall’altro, preso atto che un nuovo soggetto di diritto è entrato a far parte dell’ordinamento penale, si è cercato di analizzare le pronunce più rilevanti della giurisprudenza in argomento. Ciò al fine di valutare se la rivoluzione introdotta dal decreto sia stata fonte di dubbi e problemi applicativi e interpretativi anche a livello di prassi. L’analisi delle pronunce giurisprudenziali è stata trasversale: non si è cercato di comporre un quadro delle sentenze più significative in ambito “231”, quanto piuttosto di cogliere all’interno delle stesse ogni collegamento all’argomento che qui interessa: l’imputazione del reato all’ente. Attraverso le critiche della dottrina e l’analisi mirata delle pronunce giurisprudenziali, si giunge a verificare se il criterio d’imputazione del reato all’ente e, dunque, l’intero sistema della “responsabilità amministrativa da reato dell’ente”, nonostante l’antinomia della locuzione, non soltanto regga, ma si consolidi come nuovo pilastro dell’ordinamento penale stesso.
XXV Ciclo
1979
Stabile, Riccardo. "La confisca nel diritto penale e nel sistema di responsabilità da reato degli enti." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2012. http://hdl.handle.net/10077/7434.
Повний текст джерелаIl modello di ablazione patrimoniale predisposto dal legislatore del Codice penale – identificato nella misura di sicurezza ex art. 240 c.p. ed imperniato sulla discussa nozione di pericolosità reale, intesa come probabilità che la res confiscanda, ove lasciata nel possesso del soggetto autore del reato-presupposto, fornisca incentivo per la perpetrazione di ulteriore attività criminale – mostra una notevole “persistenza” nell’ambito sia delle principali figure speciali di confisca, che nella peculiare ipotesi ablativa “antimafia” di cui all’art. 12-sexies l. n. 356 del 1992, che pure da esso significativamente divergono per struttura, modalità operative e finalità perseguite. Il segnale più evidente della vis attrattiva esercitata dall’archetipo codicistico è costituito dall’affievolito statuto garantistico che la prassi riconosce alle richiamate figure ablative ed, in particolare, dall’applicazione della disciplina contenuta all’art 200 c.p., che ammette l’operatività retroattiva delle misure di sicurezza. Per converso, l’analisi della più recente giurisprudenza di legittimità e costituzionale consente di registrare l’emersione di un alternativo paradigma, nella misura in cui, movendo dall’adozione di un approccio sostanzialistico al tema della natura giuridica dei rimedi sanzionatori (evidentemente ispirato dalle elaborazioni giurisprudenziali della Corte EDU), si è riconosciuto, in determinate ipotesi di confisca (e, in primis, nella c.d. confisca per equivalente), un carattere eminentemente punitivo, portando a recidere ogni residuo legame formale e funzionale con la misura di sicurezza ex art. 240 c.p. A simile “agnizione”, tuttavia, non sempre consegue una compiuta applicazione del corredo garantistico proprio della pena in senso stretto: se, da un lato, la prassi è ormai consolidata nell’estendere alla confisca-pena il principio di legalità, nei suoi corollari di tassatività ed irretroattività, affiorano, d’altro lato, significativi profili di tensione rispetto alle garanzie inscritte all’art. 27 Cost. (personalità-colpevolezza e proporzione). A conferma del segnalato “mutamento di paradigma”, si pone, infine, la confisca prevista nell’ambito del sistema di responsabilità da reato degli enti, in cui, da un canto, lo smarcamento dalle cadenze spiccatamente preventive della misura di sicurezza è testimoniato dalla sua collocazione a pieno titolo nel novero delle sanzioni principali a carico della persona giuridica; dall’altro, il ruolo essenziale ma “complementare” – consistente nell’azzeramento dei benefici economici effettivamente percepiti dall’ente responsabile per mezzo dell’attività criminosa, in chiave di riequilibrio dell’ordine economico violato – affidatole nel contesto del complessivo apparato sanzionatorio del d.lgs. n. 231 del 2001, dovrebbe impedire che essa assuma un surplus di afflittività, tale da trasformarla in una inedita “pena patrimoniale”, incompatibile con i principi costituzionali. In attesa che il legislatore intervenga a razionalizzare la quanto mai frammentaria e disorganica disciplina dell’ablazione patrimoniale, e pur nella consapevolezza della natura proteiforme – e quindi difficilmente riconducibile ad una matrice unitaria – che tale istituto da sempre possiede, si reputa nondimeno che già per via ermeneutica si possa addivenire ad un rovesciamento dell’impostazione finora invalsa in relazione alla natura giuridica della confisca: non più una misura preventiva, che solo in termini di stretta eccezione assume un volto marcatamente afflittivo, ma una misura schiettamente punitiva (una pena sui generis) – con tutto ciò che ne deriva in termini di garanzie applicabili – dalla quale si distinguono singoli (ormai esigui) casi, in cui la confisca è ancora sostanzialmente riconducibile all’originario modello codicistico.
XXIII Ciclo
1982
Spinelli, Adriano. "Responsabilità degli enti e reati informatici: profili sostanziali e processuali." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2013. http://hdl.handle.net/10077/8627.
Повний текст джерелаL’ingresso, all’alba del nuovo millennio, della responsabilità penale delle persone giuridiche ha rappresentato una innovazione di non poco momento nel panorama giuridico italiano. Superato il dogma societas delinquere non potest, l’impresa diviene imputabile per i reati commessi, nel suo interesse o a suo vantaggio, da persone ad essa intranee. Altro intervento legislativo di particolare rilievo è dato dalla legge sulla criminalità informatica del 18 marzo 2008 n. 48; con essa si rinnova la disciplina dettata nei primi anni Novanta dello scorso secolo, con la l. 23 dicembre 1993 n. 547. I primi capitoli del presente lavoro mirano a coniugare le tematiche accennate, prendendo spunto dall’introduzione nel d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231 dell’art. 24-bis, attraverso il quale la responsabilità dell’ente viene in essere laddove siano commessi crimini informatici. In particolare, delineati nel primo capitolo i profili storico-comparatistici della responsabilità “penale” dell’impresa, nel secondo capitolo viene ricostruito il complesso meccanismo di imputazione elaborato dal legislatore italiano: l’interesse o il vantaggio dell’ente derivante dal reato commesso da un “apicale”, ovvero da un “subordinato”. Segue l’analisi dei modelli di organizzazione, gestione e controllo previsti dagli artt. 6 e 7 d.lgs. n. 231 del 2001, dei quali si espongono ed esaminano la struttura e la funzione. Il terzo capitolo concerne il menzionato art. 24-bis del decreto. Premessi taluni cenni circa l’evoluzione legislativa in materia di criminalità informatica, l’attenzione si focalizza sul contenuto del dettato normativo: i reati presupposto puntualmente individuati, da un lato, e le sanzioni (e misure cautelari) previste, dall’altro lato. Il quarto ed ultimo capitolo ha ad oggetto le disposizioni processuali della l. n. 48 del 2008, con le quali si è proceduto alla tipizzazione dei mezzi di ricerca della prova digitale: ispezione, perquisizione e sequestro di dati informatici. Una innovazione di non poco conto, si diceva, la quale, tuttavia, desta talune perplessità. Poste in luce le molteplici criticità evidenziate dalla dottrina, sono suggeriti alcuni interventi correttivi, necessari per garantire la corretta elaborazione dell’evidenza digitale.
XXV Ciclo
1984
Aversano, Tatiana. "Impresa illecita e illecito d'impresa nel quadro della responsabilità degli enti da reato, con riferimento in particolare ai reati associativi." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2017. http://hdl.handle.net/11577/3424569.
Повний текст джерелаIl lavoro si pone l’obiettivo di esaminare un tema di alta difficoltà e complessità. In anni recenti, la distinzione tra impresa illecita e illecito d’impresa ha assunto nel diritto penale italiano un’importanza significativa: il rilievo attiene sia ai rapporti tra concorso di persone nel reato e associazione per delinquere, sia agli effetti dell’applicazione delle sanzioni di natura patrimoniale e della confisca in particolare. La prima parte delinea il concetto di impresa illecita, in rapporto all’illecito penale dell’impresa e alla sua qualificazione avvenuta con l’art. 24-ter del D.Lgs. 231/2001, così come definito dalla L.94/2009. In via teorica e in astratto, la distinzione è precisa. L’impresa penalmente illecita è l’impresa (o società) la cui attività economica è volta esclusivamente al crimine: si pensi ad una società che opera esclusivamente nel traffico degli stupefacenti o nel riciclaggio di denaro o nella percezione fraudolenta di sovvenzioni pubbliche, oppure ad una società costituita al solo scopo di commettere frodi fiscali (all’Iva in particolare). La figura, dunque, è affine al Continuing Criminal Enterprise, punito dal § 848 US Code. L’illecito penale dell’impresa è, invece, il reato commesso episodicamente da un’impresa dedita ad un’ attività economica lecita in sé. La distinzione, ancora in via teorica ed in astratto, è precisa anche per le conseguenze penali. L’impresa penalmente illecita si colloca nel campo della criminalità organizzata e comporta normalmente l’applicazione dei delitti associativi a tutti i soggetti partecipi dell’impresa; nel contempo la confisca si può applicare all’impresa nel suo complesso. L’illecito penale dell’impresa (lecita), invece, comporta la responsabilità soltanto del soggetto che ha commesso quel reato che sia riconducibile all’impresa: se i soggetti sono più di uno si applica l’istituto del concorso di persone; nel contempo, la confisca riguarda soltanto il prodotto, profitto, prezzo di quel reato o, tutt’al più, il valore equivalente di essi. Tuttavia, nuove leggi e nuove prassi hanno mutato profondamente i termini della questione. Le suggestioni più interessanti in tema di organizzazione sono quelle che provengono dall’analisi giurisprudenziale e dottrinale in materia di associazione per delinquere applicata a “contesti leciti”. Ecco farsi strada la problematica del confine tra organizzazioni illecite e illeciti delle organizzazioni. Superate queste premesse di tipo tradizionale, la ricerca vive all’interno di uno scenario più complesso dove la criminalità tradizionale cerca di assomigliare all’impresa lecita e dove le imprese lecite tendono a usare mezzi di ricerca del profitto che sfiorano l’illegalità, anche metodi intimidativi ed estorsivi tipicamente mafiosi. L’impressione è che si debba andare alla ricerca delle premesse criminologiche di questa realtà nuova, in condizione di crisi economica, tra agire sul mercato, lecito o illecito che sia, e aggirare il mercato, lecito o illecito che sia. L’associazione per delinquere, con sempre maggiore frequenza, trova un campo d’applicazione privilegiato rispetto a ipotesi delittuose tipicamente riconducibili allo svolgimento di attività economiche, in particolare di carattere imprenditoriale. Dall’analisi condotta, il soggetto collettivo non rappresenta l’effettivo destinatario dell’arricchimento patrimoniale conseguente alla realizzazione delle fattispecie oggetto del programma criminoso, e nemmeno il destinatario, anche indiretto, della risposta sanzionatoria. Siamo, piuttosto, di fronte alla strumentalizzazione dell’ente a opera di soggetti che realizzano le fattispecie criminose per un fine e un profitto esclusivamente personali. L’affermazione si regge sull’interpretazione che vuole, ai fini della configurabilità di un'associazione per delinquere, non l'apposita creazione di un'organizzazione sia pure rudimentale, ma di una struttura che può anche essere preesistente all’ideazione criminosa, anche se dedita a finalità lecite. Fenomeno concettualmente distinto, riconducibile al caso in cui l’organizzazione lecita sia funzionale alla sola perpetrazione di reati, si ha nell’ipotesi in cui l’associazione per delinquere si annidi all’interno di un’organizzazione indiscutibilmente lecita, utilizzandone la struttura per la commissione di reati, senza tuttavia piegarla a finalità criminali. La liceità dei fini dell’associazione destinataria dei profitti si riverbera sul dolo di ciascun imputato, il quale, se convinto di partecipare alla realizzazione di scopi leciti, non poteva essere consapevole di partecipare a un’associazione criminale. Trattasi, dunque, di reiterate condotte criminose non rappresentanti l’ordinarietà quanto piuttosto di “deviazioni occasionali dalle regole di condotta generali” , tali da non fondare una responsabilità ex art. 416 c.p.. L’organizzazione rappresenta, dunque, uno degli argomenti interpretativi portati a sostegno della ontologica distinzione tra fenomeno dell’accordo e fenomeno associativo. Porre l’accento sull’elemento organizzativo consente di prospettare un interessante spunto di indagine. Si impone quindi di guardare con particolare attenzione ai concetti di organizzazione lecita e organizzazione illecita e ai fenomeni a essi sottesi della criminalità d’impresa e della criminalità organizzata. Criminalità d’impresa e criminalità organizzata mantengono ambiti soggettivi e oggettivi non coincidenti . La criminalità d’impresa è definita come una manifestazione della criminalità economica colta nel suo momento genetico, quale espressione di un organismo produttivo e indipendentemente dall’incidenza lesiva che può coinvolgere interessi individuali e collettivi. A delimitare la categoria risulta comunque indispensabile un requisito di base: parlando di impresa si postula un’attività economica fondamentalmente lecita. E si tratta di una liceità sotto il profilo dell’attività dedotta quale oggetto dell’impresa ovvero della natura dei beni o servizi forniti al mercato. Pertanto, la criminalità d’impresa può riflettere occasionalmente delle défaillances oppure può affondare le radici in una “politica” viziata, ma sempre sul presupposto di una iniziativa come tale accettabile, tendenzialmente positiva sul piano sociale, che non può essere estranea a priori alla garanzia dell’art. 41 Cost. Proprio il carattere incidentale rispetto a una legittimità di fondo, differenzia la criminalità d’impresa dalla criminalità organizzata, nella quale la violazione della legge penale assurge a scopo, a oggetto dello scopo associativo. Perciò, anche nelle sue forme più gravi la criminalità di impresa non può varcare la soglia dell’art. 416 c.p. . In termini di rilevanza penale la distinzione risulta chiara: data un’associazione criminale, la semplice partecipazione costituisce reato, indipendentemente dal concorso nei delitti scopo; la criminalità d’impresa pone al contrario un problema di imputazione delle manifestazioni devianti, nessun rilievo assumendo il mero inserimento nell’organizzazione. Nel secondo caso, a differenza che nel primo, posta la valenza neutrale e anzi costruttiva dell’iniziativa imprenditoriale, si impone una repressione “oggettivamente (nei limiti degli aspetti devianti) e soggettivamente mirata”. L’esigenza di dare risposta alla domanda prospettata in precedenza, ovvero la necessità di definire cosa debba intendersi per illiceità del requisito organizzativo, se esistano delle caratteristiche che rendano l’organizzazione intrinsecamente illecita o se tale tratto dipenda, in ultima istanza, dalla mera scelta dell’interprete in sede di applicazione della fattispecie incriminatrice, induce a soffermarsi sulla disciplina dei reati in materia di rifiuti. Infatti nel settore del diritto penale ambientale si realizza, quella commistione concettuale, precedentemente evidenziata, tra impresa lecita e impresa illecita. Commistione che, tuttavia, rappresenta il frutto di una certa tipizzazione delle fattispecie incriminatrici. Sebbene si tratti di fattispecie comuni, realizzabili da chiunque tenga la condotta incriminata, sia che si tratti di gestione, traffico o attività organizzata, la gran parte dei reati possono essere commessi solo nell’ambito di attività d’impresa, posto che la produzione e la gestione nella quale rientrano la raccolta, il trasporto, lo smaltimento e il recupero di rifiuti sono quasi sempre appannaggio di imprenditori e non di privati cittadini. L’analisi si scompone a questo punto in due aree d’indagine. Da un lato vi è la necessità di proseguire nella definizione, laddove possibile, di cosa renda illecita un’organizzazione, anche indagando settori disciplinari complementari a quello penale, come la disciplina civilistica ed in particolare l’ipotesi di impresa illecita come impresa apparentemente lecita. Nella disciplina civilistica il concetto di organizzazione non si connota in termini di neutralità, non si presta agevolmente ad essere plasmato in relazione alle esigenze di tutela che emergono in sede applicativa. Ciò è fatto palese proprio dal rilievo costituzionale dato all’attività economica, che nella quasi totalità dei casi è organizzata a impresa, ancorché l’esercizio di un’attività d’impresa non è sinonimo dell’esercizio di un’attività economica. L’attività imprenditoriale, dunque, produce ricchezza ed è preordinata alla circolazione di questa con una positiva ricaduta sulla comunità, per questo l’art. 41 Cost. ne indica i caratteri e le finalità, nonché i limiti da osservare. Nell’ottica civilistica, l’organizzazione è fatta coincidere con un’attività che corrisponde in modo sistematico alle esigenze di funzionalità e di efficienza di un’impresa, per lo più collettiva. E che, per la giurisprudenza, diviene la capacità dell’imprenditore di organizzare uno qualsiasi dei fattori della produzione e quindi anche il solo capitale, non essendo l’assunzione della qualità di imprenditore necessariamente correlata all’utilizzazione del lavoro altrui, o, addirittura, la mera attività svolta in modo sistematico e continuo anche con mezzi rudimentali e limitati. Ne deriva che il discorso sull’organizzazione è un discorso sulle modalità di esercizio dell’attività. Per esercitare l’attività, occorre necessariamente l’opera di coordinamento dei fattori produttivi – capitale, lavoro, terra – nel senso che l’imprenditore deve organizzarsi e organizzare tali fattori. Dall’altro lato, si ritiene necessario esaminare la disciplina della responsabilità amministrativa da reato degli enti collettivi, specie dopo che il legislatore vi ha ricondotto, come ipotesi di reato-presupposto, alcune fattispecie associative previste dall’art. 24 ter del d.lgs. 231/2001. Nel volgere di alcuni anni si è assistito ad un progressivo allontanamento dall’originario modello di responsabilità degli enti, che operano per il perseguimento di finalità lecite al cui interno possono essere commessi reati che non incidono sulla generale liceità dell’esercizio d’impresa. Quindi, a seguito di molteplici interventi normativi sul d.lgs 231/2001 l’ipotesi di ente criminale – prima rappresentata come del tutto eccezionale – adesso si delinea come figura destinataria del precetto. La legge n.94/2009, inserendo nel d.lgs. 231 i reati di associazione - prima rilevanti solo se aventi il carattere della trasnazionalità (ai sensi della legge n. 146 del 2006) - aveva l’obiettivo di rispondere alla necessità di prevedere un opportuno intervento legislativo contro le ipotesi in cui l’attività illecita derivasse da un intervento da parte di associazioni mafiose o fosse direttamente realizzata da un’impresa mafiosa, operanti con apparenza di legittimità ma in realtà dirette da poteri criminali. Dunque, quando si estende la responsabilità degli enti rispetto ai reati che sembrano essere espressione di associazioni per delinquere, allora ci troveremo di fronte ad associazioni illecite piuttosto che ad illeciti di associazione. Di conseguenza nel caso in cui, all’interno dell’ente, vengano commessi reati espressione di associazioni penalmente rilevanti, da soggetti i quali avvalendosi proprio della struttura organizzata dell’ente ne intacchino la liceità, si rientrerà all’interno delle fattispecie sanzionate dagli artt. 416 c.p. e seg. e dall’art. 24 ter D.lgs. 231/2001. La peculiarità di questi nuovi reati presupposto, introdotti nel 2009, è proprio quella di non essere accomunati dall’obiettivo di tutela di un determinato bene giuridico da particolari forme di offesa (si pensi ai reati contro la P.A, ai reati finanziari, ai reati colposi della sicurezza sul lavoro). Il collante dei nuovi delitti è essenzialmente empirico-criminologico, essendo tutti diretti a contrastare attività criminose particolarmente gravi, normalmente appannaggio delle grandi organizzazioni criminali e spesso strumentali alla loro stessa esistenza. In questa prospettiva di lotta alla criminalità organizzata sono ricompresi sia alcuni importanti reati-fine (traffico di stupefacenti, commercio e fabbricazione di armi, sequestro di persone a scopo di estorsione), sia i due principali reati-mezzo codicistici, cioè le condotte associative in senso stretto tipizzate dagli artt. 416 e 416 bis c.p.). È proprio il richiamo a queste due fattispecie incriminatrici che potrebbe determinare effetti di estensione delle ipotesi tipiche di responsabilità dell’ente probabilmente assai più ampi di quelli che il legislatore aveva preventivato. Sul piano dell’organizzazione societaria è allora evidente come il reato associativo sia astrattamente contestabile per il semplice fatto che l’ente abbia realizzato degli illeciti. Le conseguenze pericolose: difficoltà di predisporre validi ed efficaci modelli organizzativi di gestione e prevenzione dei reati che rischieranno di risultare vaghi ed inadeguati, proprio per il fatto che si pone l’ulteriore variabile di poter estendere l’applicazione dell’art. 24 ter anche a fattispecie delittuose non comprese nel novero dei reati presupposto di cui al d.lgs 231/2001. È evidente come il legislatore abbia impresso alla disciplina della responsabilità degli enti, prevista dal D.Lgs. 231, una doppia velocità: - da un lato l’apparato sostanzialmente immutato, delle disposizioni di parte generale con i principi di garanzia, i presupposti della responsabilità dipendente da reato, l’apparato sanzionatorio e le norme processuali; - dall’altro lato una serie di reati presupposto caratterizzato dal rapido ampliamento rispetto alla soluzione iniziale alquanto ristretta. La seconda parte del lavoro, esamina alcuni conflitti che sorgono nell’ambito della disciplina della responsabilità delle organizzazioni, soprattutto in relazione al rapporto con la normativa tributaria, alla possibilità di aggredire i beni della persona giuridica e alla questione delle effettive vie di ingresso dei reati tributari all’interno del decreto sulla responsabilità degli enti da reato. Nell’ambito del sistema previsto dal decreto 231/2001, e specificamente nell’elencazione dei reati presupposto per la configurabilità della punibilità degli enti, spicca la mancanza dei reati di tipo tributario. La produzione normativa comunitaria alla base del decreto 231 era volta innanzitutto a tutelare gli interessi finanziari dell’UE e dello Stato, eppure il legislatore italiano scelse consapevolmente di non inserire i reati tributari nella delega al governo per la costruzione della responsabilità da reato degli enti. I reati tributari, tuttavia, pur assenti dalla lista dei delitti presupposto della responsabilità dell’ente, sono concettualmente e logicamente al centro dell’attività di mappatura dei rischi, che costituisce l’antecedente logico necessario per l’elaborazione del modello di organizzazione e gestione individuato come una specifica forma di esonero della responsabilità dell’ente. La scelta politico-criminale del legislatore è sicuramente criticabile in quanto è fisiologico che gli adempimenti tributari, di maggiore spessore e consistenza, concretizzano ben precise scelte di politiche di impresa alle quali conseguono vantaggi indebiti per l’ente. Infatti insieme ai reati societari, i reati tributari sono gli antecedenti logici per la costituzione di fondi riservati destinati ad alimentare i reati di scopo, come la corruzione. Dunque, le aree strumentali più pericolose sono proprio quelle dimensioni organizzative dell’ente che presiedono alla gestione di risorse economiche o di strumenti di tipo finanziario che possono supportare la commissione dei reati nelle aree a rischio di reato. Il presente lavoro si pone l’obiettivo di spiegare come attraverso la contraddizione tra l’assenza dell’architettura della responsabilità degli enti e la colonizzazione dei gangli vitali del sistema 231, si può raccontare il rapporto tra i reati tributari e la responsabilità degli enti collettivi: da un lato il dibattito sulla loro mancata introduzione e dall’altro lato le vie sostanziali attraverso cui i reati tributari realizzano un’incidenza diretta sulla responsabilità da reato delle persone giuridiche. La disciplina fissata dal diritto penale tributario ha suscitato un intenso dibattito dottrinario in merito all’opportunità di includere le fattispecie di cui al d.l. n. 74/2000 tra i reati presupposto di cui al decreto n. 231/2001. I fautori di tale inclusione evidenziano come il sistema potrebbe avere un’efficacia complessiva migliore anche sul piano della lotta alla criminalità in ambito tributario: l’introduzione degli illeciti fiscali tra i reati di cui al decreto n. 231/2001 non presenterebbe comunque un’innovazione problematica, visto che l’ordinamento nazionale già prevede casi in cui vi sia contestualmente una responsabilità penale, una responsabilità amministrativa ed una responsabilità dell’ente di cui al decreto stesso, come ad esempio nel caso del “market abuse” di cui agli artt. 25-sexies del decreto n. 231/2001, 187-quinquies e 187-terdecies del TUF. I contrari invece all’inclusione dei reati fiscali nell’elencazione di cui al decreto n. 231/2001 ritengono che il diritto vigente già prevede la possibilità di irrogare una sanzione tributaria all’ente, ai sensi dell’art. 19, comma 2, del d.l. n. 74/2000; inoltre, è necessario evitare una moltiplicazione delle sanzioni a carico dell’ente, secondo un sistema che dovrebbe prevedere la sanzione penale per la persona fisica, la sanzione tributaria per la persona giuridica e la sanzione di cui al decreto n. 231/2001sempre per la persona giuridica. In generale, comunque, la scelta del legislatore di escludere i reati tributari dal novero dei reati presupposto è stata ampiamente criticata e oggetto di successive attenzioni da parte del Parlamento: si segnala a tal proposito il disegno di legge S.19- Grasso del 15 marzo 2013 con il quale si proponeva di “estendere la responsabilità da reato degli enti ai reati tributari, colmando così una lacuna ingiustificabile sul terreno politico-criminale”. Analizzando più a fondo la problematica appare evidente come il sistema del decreto 269 del 2003, in tema di responsabilità amministrativa da illecito tributario, sia orientato esclusivamente a una funzione risarcitoria del danno subito dall’erario per il mancato introito fiscale; non conosce finalità di tipo preventivo. La responsabilità da reato degli enti, invece, è pensata e costruita allo scopo di catalizzare i processi di adeguamento spontaneo alle normative di riferimento, di modernizzare i procedimenti interni volti alla gestione e al controllo dei centri di rischio di commissione di illeciti penali. C’è una sorta di sistema etico che prova a introdurre nella realtà organizzativa e gestionale dell’ente misure cautelari di impedimento di reati commessi nell’interesse o a vantaggio dell’ente stesso. Questa è la ragione principale per cui non è possibile sostenere la scelta di non inserimento dei reati tributari, neanche facendo riferimento all’argomento della moltiplicazione delle sanzioni per un medesimo fatto. In settori particolarmente delicati, come si è visto, l’ordinamento conosce molti livelli di sanzione per un medesimo fatto. Sono ambiti in cui massima è l’attenzione alla prevenzione e non solo alla punizione degli illeciti. La soluzione non potrebbe essere proprio quella della obliterazione della responsabilità da reato degli enti; sarebbe più ragionevole, invece, una tecnica legislativa che prevedesse criteri di sussidiarietà, o che accorpasse nel decreto 231 tutta la normativa sulla responsabilità degli enti per illecito tributario. Per i reati tributari che sono l’emblema della delinquenza economica organizzata, c’è un’intensa esigenza di politica criminale che orienta la normativa al rafforzamento della lotta all’evasione fiscale; e la politica criminale in questo settore non può che essere quella della prevenzione mediante organizzazione, con relativa responsabilizzazione per difetto organizzativo. Non si tratta, in sostanza, di punire maggiormente un illecito tributario, la questione è quella di prevenire gli illeciti tributari incentivando gli enti all’adozione di strutture di compliance volte all’introduzione di regole cautelari mediamente dirette all’impedimento di reati tributari. Tale prevenzione si realizza attraverso la segmentazione del attività esecutive in tema di gestione degli obblighi fiscali, di monitoraggio sulle attività strumentali alla costituzione di fondi riservati, con la ramificazione di procedure e protocolli ispirati dall’adeguamento a standard procedurali internazionali. Questo è il motivo per cui non si può prescindere dalla ricomprensione dei reati tributari nel sistema creato da decreto sulla responsabilità degli enti da reato; oltre naturalmente ad una maggiore incisività del contesto processuale penale e del sistema sanzionatorio dovuta alla disponibilità di sanzioni interdittive, alla possibilità di applicare misure cautelari, alla effettività e dissuasività della sanzione della confisca per equivalente che rende inutile l’occultamento del profitto ed esonera l’accusa dalla prova della diretta provenienza del delitto. Dopo aver esaminato il complesso dibattito sull’inserimento dei reati tributari nella disciplina del decreto 231, il presente lavoro mira ad individuare molteplici itinerari attraverso i quali i reati tributari realizzano un’incidenza indiretta sulla responsabilità da reato degli enti collettivi: a) in primo luogo alcuni reati tributari possono essere in concreto elementi o parti di un reato già presupposto della responsabilità ex d.lgs. 231/2001. A questa tipologia si possono ricondurre le problematiche attinenti l’associazione per delinquere, anche transnazionale, finalizzata alla commissione di un reato tributario e il riciclaggio dei proventi da illecito tributario. La nuova normativa antiriciclaggio introduce di fatto per le persone giuridiche la possibilità di configurare la loro responsabilità per tali illeciti e dunque la responsabilità diretta degli enti in caso di comportamenti illeciti di persone che agiscono per loro conto. b) in secondo luogo si sono venuti a formare nel corso del tempo dei luoghi di intersezione tra reati fiscali e disciplina della responsabilità degli enti collettivi. A questo gruppo, invece, possono essere ricondotte alcune recenti decisioni in tema di sequestro preventivo e confisca tributaria. A tale proposito le Sezioni Unite nel 2014 hanno aderito all’orientamento contrario all’estensione della confisca per equivalente per reati tributari alle persone giuridiche, per assenza di una base normativa alla quale ricondurre tale sanzione, confermando, invece, l’ammissibilità della confisca diretta del profitto del reato nei confronti dell’ente. Tuttavia, nonostante l’affermazione del principio dell’inapplicabilità della confisca per equivalente all’ente, la lettura estensiva della confisca diretta fornita dalla Corte, potrebbe portare ad un’estensione di fatto nell’applicazione della sanzione contro gli enti, quando il profitto dei reati tributari è rimasto nella disponibilità della società. Infine, nell’ultima parte del lavoro sono stati inseriti degli interessanti profili di comparazione, partendo dall’assunto in base al quale il diritto è una creazione storica, politica, sociale, intellettuale, la cui esistenza e funzionamento in una data società poggia soprattutto sulla cultura della società stessa, è stata svolta un’analisi comparata tra il sistema italiano e la responsabilità penale degli enti in Cina da una parte e il modello anglo-americano dall’altra. Il diritto cinese prevede diverse tipologie di reati ascrivibili a persone fisiche ed enti: vi sono reati che possono essere commessi dall’ente e dalla persona fisica responsabile per l’ente, reati che possono essere commessi da una persona fisica o da un ente, reati che possono essere commessi da persone fisiche incaricate o responsabili del controllo, secondo una strutturazione che non segue un criterio unico a livello politico-sociale. Il modello cinese è stato qualificato come un “sistema sociale di responsabilità personalizzata”, intendendo con tale espressione un sistema in cui l’ente ha una propria volontà e capacità, per cui le sue azioni non vanno confuse con quelle delle persone fisiche. Nell’ordinamento statunitense, si assiste, invece, alla progressiva estensione, agli enti collettivi, di procedimenti di diversione processuale (deviazioni dalla normale sequenza di atti del processo penale, prima della pronuncia dell’imputazione) i quali sono diventati, oggi, lo strumento privilegiato per fronteggiare la criminalità d’impresa. A partire dagli anni ’90, si assiste alla progressiva estensione agli enti collettivi dei DPA (deferred prosecution agreement) e NPA (non prosecution agreement), con due obiettivi principali: chiamare a rispondere, degli illeciti commessi in ambito aziendale, un numero sempre maggiore di imprese, seppur mediante meccanismi di diversion più flessibili e più rapidi; scongiurare le ricadute negative che i procedimenti penali normalmente riversano sul mercato. Anche il Regno Unito ha, di recente, introdotto una disciplina ad hoc. Tale è la pervasività della giustizia dilatoria che la stessa ha finito per stravolgere i regimi di corporate liability vigenti nei sistemi di area anglo-americana, fornendo al contempo spunti comparativi anche in prospettiva di riforma del d. lgs. n. 231 del 2001.
DE, NINO FRANCESCO. "La responsabilità da reato dell'ente in materia di salute e sicurezza del lavoro. Profili problematici e prospettive di tutela." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2012. http://hdl.handle.net/10280/1232.
Повний текст джерелаThe research specifically focuses on the statutory provisions on corporations’ liability for offenses of manslaughter and unintentional injuries committed in breach of the rules on protection of work health and safety. The survey analyses the new legislation in this area, in light of the provisions of Italian t.u. 81/2008, within the framework of criminal liability in work health and safety and the related corporate accountability. To this end, having identified the "empirical" problem of work accidents and diseases and the criminal potentiality of corporate bodies, and based on the assessment of the legal responses formulated in England, France and Spain, the research - starting from the analysis of individual liability for crimes of homicide and injury in the field of work safety – proceeds, on one hand, to consider the relationship between the offenses referred to in article 25 septies and the general criteria of attribution of corporate responsibility; on the other, to specifically analyse the business models in the field of work safety. Finally, the research draws the possible trends of development of the health protection and work safety system, and of the legal regime of corporate liability arising out from offenses; in this respect, the statutory proposals for amending the D.Lgs. 231/2001 are also taken into account.
DE, NINO FRANCESCO. "La responsabilità da reato dell'ente in materia di salute e sicurezza del lavoro. Profili problematici e prospettive di tutela." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2012. http://hdl.handle.net/10280/1232.
Повний текст джерелаThe research specifically focuses on the statutory provisions on corporations’ liability for offenses of manslaughter and unintentional injuries committed in breach of the rules on protection of work health and safety. The survey analyses the new legislation in this area, in light of the provisions of Italian t.u. 81/2008, within the framework of criminal liability in work health and safety and the related corporate accountability. To this end, having identified the "empirical" problem of work accidents and diseases and the criminal potentiality of corporate bodies, and based on the assessment of the legal responses formulated in England, France and Spain, the research - starting from the analysis of individual liability for crimes of homicide and injury in the field of work safety – proceeds, on one hand, to consider the relationship between the offenses referred to in article 25 septies and the general criteria of attribution of corporate responsibility; on the other, to specifically analyse the business models in the field of work safety. Finally, the research draws the possible trends of development of the health protection and work safety system, and of the legal regime of corporate liability arising out from offenses; in this respect, the statutory proposals for amending the D.Lgs. 231/2001 are also taken into account.
DELL'OSSO, VINCENZO. "Imprese multinazionali e corruzione internazionale: analisi empirica, strumenti di contrasto e modelli preventivi." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2013. http://hdl.handle.net/10280/1804.
Повний текст джерелаMoving from an exhaustive empirical analysis of the active bribery of foreign public officials, which reveals its individual, organizational and environmental issues/dynamics, the thesis conducts a critical review of the criminal offence set forth in the Art. 322-bis, par. 2, n. 2 of the criminal code, and the consequent liability of legal entities, aimed at testing their real efficiency in terms of crime prevention. The legal analysis is conducted not only on the basis of the still limited Italian jurisprudence, but also by examining six hypothetical cases of international bribery perpetrated by Italian MNEs, which follow the structure of six real U.S. F.C.P.A. violation cases. The study illustrates the need for a series of normative adjustments or an interpretative adaptation of the legislation currently in force, which concern the sphere of criminal law (especially the individuation of the protected interest, the concept of foreign public official, the extent of trading in influence offence, the definition of the company’s officials duties to prevent other’s commission of bribery in particular among the corporate groups), criminal procedure law (specifically, the risk of an international double jeopardy) and the legal person’s liability regime (above all in the field of successor’s liability and pre-acquistion due diligence duties). The demand for a substantial change is revealed as well in relation with the methodology and the contents of the multi-national enterprises anti-bribery compliance programs, and thereof in the criteria for their judicial assessment.
Книги з теми "Responsabilità da reato degli enti collettivi"
Felice, Paolo De. La responsabilità da reato degli enti collettivi. Bari: Cacucci, 2002.
Знайти повний текст джерелаGiuseppe, Spagnolo, ed. La responsabilità da reato degli enti collettivi: Cinque anni di applicazione del D. lgs. 8 giugno 2001, n. 231. Milano: Giuffrè, 2007.
Знайти повний текст джерелаD'Avirro, Antonio, and Astolfo Di Amato. La responsabilità da reato degli enti. Padova: CEDAM, 2009.
Знайти повний текст джерелаCorso, Stefano Maria. Codice della responsabilità "da reato" degli enti: Annotato con la giurisprudenza, (D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231). Torino: Giappichelli, 2014.
Знайти повний текст джерелаGennai, Sara. La responsabilità degli enti: Per gli illeiciti amministrativi dipendenti da reato : commento al D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231. Milano: Giuffrè, 2001.
Знайти повний текст джерелаFondaroli, Désirée. Le ipotesi speciali di confisca nel sistema penale. Bononia University Press, 2021. http://dx.doi.org/10.30682/sg234.
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