Дисертації з теми "PROGETT"
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VENUDO, ADRIANO. "SPESSORI, CODICI, INTERFACCE. ARCHITETTURE DELLA STRADA." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2007. http://hdl.handle.net/10077/2524.
Повний текст джерелаParkway, strip, viadotto e autostrada sono alcune delle tipologie stradali generate, dal secolo scorso a oggi, direttamente dall’automobile e in cui, per ragioni di sicurezza e comfort, è prevista la totale separazione tra flussi e forme di abitabilità dello spazio, tra l’automobilista e il pedone: per normativa, tutti i possibili utenti non motorizzati e qualsiasi pratica che non contempli il movimento veloce ne vengono infatti escluse. Questa dinamica interessa anche le maglie frammentate della città diffusa contemporanea, in cui l’automobile rappresenta l’interfaccia necessaria per poter vivere un “territorio allargato”, dove la strada è anche motore di quella particolare urbanità che, sempre a una certa distanza, si estende lungo le reti e che potremmo definire come effetto urbano. Un tempo la gente stava sulle strade1, i pedoni al centro e carri, cavalli e altri mezzi ai lati, il dominio dell’automobile ha invertito questo rapporto, confinando, nella migliore delle ipotesi, ai bordi queste attività e utenti. Le strade delle le automobili si sono così trasformate in uno dei più grossi problemi per il funzionamento delle città, non solo per la presenza invasiva del “fenomeno infrastrutturale”, ma anche e soprattutto perché esse rappresentano sempre più un limite invalicabile per tutte le altre pratiche urbane; la strada è diventato un sistema chiuso, che a sua volta genera discontinuità e forti vincoli per gli utenti non meccanizzati. Va aggiunto che l’influenza di un’autostrada, ad esempio, non si limita allo spazio dei sedimi carrabili, ma porta con se un perimetro molto più ampio determinato dalle fasce di rispetto o pertinenza, attraverso imponenti manufatti di sostegno, nel caso di viadotti e altri rilevati, e con altrettanto importanti dispositivi di separazione e chiusura sia tecnica - gli spartitraffico - che sensoriale, barriere acustiche o visive. Se consideriamo poi le autostrade urbane, che attraversano densi tessuti residenziali, tali effetti non possono che aumentare. Questi grandi tubi per il traffico, che passano ovunque, secondo i principi della via più breve, della velocità di progetto degli standard di sicurezza, si configurano come delle vere e proprie eterotopie, dei mondi paralleli, organizzati da regole proprie che frequentemente non integrano alcuna relazione con i contesti attraversati. Di fronte alla “necessità tecnica” espressa da queste enclave del movimento, l’unico atteggiamento possibile sembra essere la subordinazione, la città cresce sotto, sopra, di fianco e negli interstizi, l’architettura piega i propri codici alle esigenze del manufatto viabilistico. Una condizione che può anche essere sfruttata vantaggiosamente: si pensi al museo Guggenheim a Bilbao e a come si “adegua” al viadotto soprastante. Il famoso intervento di Frank O. Gehry rimane però un esempio raro e isolato, l’ordinario si consuma tra barriere antirumore, guard-rail, isole spartitraffico, muri di separazione, piloni e intradossi di viadotti, elementi tanto banali quanto invasivi, i cui caratteri sono determinati dai costi, dalla normativa e dai regolamenti per la sicurezza. Elementi permanenti e “duri”, che chiudono l’orizzonte, che impediscono il passaggio, o che costringono i flussi lenti della città a traiettorie arzigogolate, lungo passerelle aeree o sottopassi, in un regime di separazione, che attraverso dispositivi e manufatti tecnici garantisce distanza tra le diverse velocità, generando contemporaneamente un largo “consumo di spazio” e di risorse. Se questo è l’atteggiamento più diffuso, esiste tuttavia un’ampia serie di esperienze progettuali e di teorie che hanno sperimentato forme di riavvicinamento ai canali di traffico, in aderenza ai flussi, proponendo forme di condivisione dello spazio-strada, di promiscuità d’uso, di ibridazione tra i manufatti tecnici e gli spazi dell’abita- Introduzione re, di integrazione dei sedimi automobilistici con gli spazi per il pedone, facendo del binomio velocità/frizioni una vera e propria strategia del progetto stradale. Tali esperienze dimostrano che le strade delle grandi reti che attraversano i contesti naturali e urbani possono smettere di essere esclusivamente concepite come canali che smistano i flussi secondo la sola logica dell’efficienza idraulica. Dimostrano che anche le strade delle automobili, in cui la velocità determina distanze, forme e usi, possono diventare spazi in cui vivere e soprattutto in cui stare. Questa ricerca è orientata, attraverso la messa in campo di tre livelli di lettura (spessori, codici e interfacce) a individuare le forme, le misure, le caratteristiche e le strategie del possibile avvicinamento e commistione dei flussi verso usi multipli delle infrastrutture di comunicazione, specialmente di quelle veloci. Questi tre livelli corrispondono anche a delle grandezze fisiche, dimensioni e dispositivi della strada, ed in particolare lo spessore è inteso come profondità, o spazio di emanazione connesso allo spazio-strada (sotto, sopra, affianco e tra), e non sempre usato dalle automobili; i codici sono intesi come le relazioni che legano le tre dimensioni principali della strada (sezione, tracciato e bordo); l’interfaccia è infine considerata come l’insieme degli spazi-soglia che dividono e connettono il sistema strada con gli altri sistemi locali. L’intenzione è di superare il dibattito attualmente polarizzato tra due posizioni inconciliabili: la prima legata a una idea di strada intesa come fattore di sviluppo a tutti i costi, incurante delle ragioni del territorio, la seconda espressa da chi vede ogni sviluppo infrastrutturale come una minaccia intollerabile all’ambiente. Si è quindi deciso di ripartire dalla questione primaria, vale a dire quella legata allo spazio, laddove il campo privilegiato di osservazione è quello del canale di traffico e la possibilità di trasformarlo in spaziostrada, ovvero in supporto dotato di un proprio specifico spessore disponibile alle molteplici funzioni associabili al movimento. In particolare, la prima parte sviluppa una riflessione sulle forme dello spessore a partire dall’ambiguità dei due principali paradigmi dello spazio-strada, ovvero quello della strada come macroarchitettura e dell’edificio come organismo complesso che integra anche la strada, e quello dello spazio-strada “in bilico” tra luogo e collegamento. Si è quindi cercato di individuarne l’origine attraverso l’osservazione di prototipi, di progetti instauratori, messi a confronto con le proposte delle avanguardie, le utopie, le visioni e le teorie degli architetti poi assunte come nucleo tematico da cui partire per una interpretazione del significato plurale della strada, da spazio aperto,inteso come superficie, a quello di manufatto, inteso come volume. Questa parte è divisa in tre sezioni, di cui la prima ha come obiettivo la costruzione di un lessico, la seconda la messa a fuoco del rapporto tra infrastruttura e architettura attraverso le “prime architetture della strada” e la terza la sistematizzazione dei materiali iconografici e d’archivio di due casi studio, rispettivamente sulle possibilità di “urbanizzazione” delle autostrade italiane (Autilia di Giò Ponti) e sulla capacità della strada di diventare edificio complesso, macroarchitettura alla scala della città (Coliseum Center di Monaco e Luccichenti). La diffusione del mezzo motorizzato ha avuto un ruolo fondamentale non solo nella trasformazione dei modi di abitare il territorio, ma soprattutto riguardo agli effetti morfologici e funzionali sulle strade, divenute in diverse esperienze (raccolte e sistematizzate all’interno di questa ricerca) la ragione insediativa di architetture e sistemi urbani. La seconda e più ampia parte di questa ricerca si occupa dei codici dello spazio-strada, intesi come regole e misure dello spessore. Si ritiene che gran parte del conflitto strada veloce/spazio abitabile nasca da una cultura progettuale e da una pratica diffusa impostate su un equivoco dimensionale, per cui il sistema di misure che garantisce sicurezza e comfort è inutilmente ipertrofico. Gli esempi selezionati mostrano come questi fattori possano essere comunque soddisfati con misure e geometrie ridotte, che permettono però di modellare lo spazio-strada anche per altri utenti. Sono questi i punti di partenza dell’indagine, che tenta di mettere poi a fuoco le regole compositive e di elaborare strumenti e strategie con cui affrontare il progetto stradale alla scala locale (spazio-strada) in relazione con quella territoriale, dal cordolo alla rete, attraverso tre dimensioni fondamentali ricavate dallo studio di un’ampia casistica di esperienze contemporanee: 1. la dimensione trasversale, che trova una diretta traduzione nella sezione come strumento di articolazione del piano (progetto di suolo) e di controllo della tridimensionalità della strada (volume della strada); 2. la dimensione longitudinale, espressa nel tracciato come strumento di organizzazione dei flussi in relazione alla velocità e ai materiali dei contesti attraversati (progetto di paesaggio e progetto urbano), e come disegno delle forme di prossimità tra diversi mezzi, utenti e velocità (strategia della collocazione); 3. la dimensione relazionale, esplicitata nelle forme e misure del bordo, come luogo privilegiato del rapporto di scambio con il contesto (aperto/chiuso, continuo/discontinuo, ecc…) e come plusvalore dello spazio-strada, in quanto spazio soglia a disposizione, “luogo in attesa di…”. Chiude la trattazione il capitolo dedicato alle interfacce della strada, ovvero l’insieme di dispositivi pensati con il preciso scopo di mediare il rapporto tra automobili e altri utenti, tra strada e contesto, tra diverse velocità. L’attenzione si è focalizzata sulle superfici orizzontali e verticali, oltre che sulle possibilità di ispessimento, trasfigurazione e accoglimento di usi complementari, per arrivare ai casi più estremi di applicazione delle tecnologie wireless, con le conseguenti ipotesi di decomposizione dello spazio-strada avanzata dagli esempi riportati. Queste tre sezioni, oltre a individuare altrettante attitudini della strada a generare una propria specifica architettura (traffic architecture2), corrispondono anche a tre livelli di complessità del tema infrastrutturale e della sua capacità di diventare altro o di accogliere altri usi. L’intenzione è sempre di evitare l’equivoco della specializzazione, ovvero di considerare la strada materiale urbano di dominio esclusivo delle automobili. In questo senso, il recupero delle ricerche e dei progetti di Lawrence Halprin assume il ruolo di modello diretto all’integrazione tra manufatti viabilistici e architetture, verso la sperimentazione di edifici-strada ibridi e di forme di condivisione dello spazio infrastrutturale tra diverse velocità e categorie di utenti. Negli stessi anni, le proposte di Giò Ponti configurano assetti dei tracciati e dei nodi autostradali come possibili sistemi insediativi delle strade veloci. Queste ipotesi sono il risultato di un periodo storico particolarmente fertile per l’infrastruttura, che fa riferimento alla situazione generale determinata dal boom economico, dalla costruzione dei grandi itinerari di attraversamento e dalla parallela diffusione dell’automobile come mezzo di massa. Dall’America all’Europa, con un nucleo particolarmente prolifico in Italia, la speranza verso la capacità della strada di generare il “mondo nuovo” guida ricerche e sperimentazioni sull’infrastruttura come supporto in grado di accogliere qualsiasi cosa,dotato di una propria autonomia e di un proprio statuto spaziale. È la stagione dei grandi concorsi di architettura per quartieri popolari, università, centri direzionali, in cui la strada disegna le regole compositive di architetture che guardano al territorio, di macro-edifici impostati sulle corsie di traffico, di spazi la cui composizione è determinata dal fattore velocità. Poche di queste visioni hanno trovato una diretta realizzazione, ma l’importanza di queste idee depositate al suolo arriva fino ad oggi. Dopo la crisi petrolifera mondiale degli anni settanta e il conseguente spostamento generale dell’attenzione disciplinare verso altri temi (ad esempio il progetto urbano e lo spazio aperto negli anni ottanta) è emerso un nuovo atteggiamento, un misto tra pragmatismo e neo-utopia. Alcuni grandi eventi degli anni novanta, soprattutto europei come i programmi nazionali olandesi di espansione residenziale, i Datar o i Vinex, hanno contribuito a generare una nuova sensibilità per il tema infrastrutturale e in particolare per quello del progetto stradale, non più come prezzo da pagare ma come strumento di trasformazione del territorio. A partire da alcuni progetti, primo fra tutti il Moll de la Fusta di Manuel de Solà Morales a Barcellona, la strada non è più vista come “consumo di spazio” e di risorse, ma come occasione di riassetto per la città e il paesaggio. In particolare, l’ampia azione di riqualificazione urbana in Spagna, iniziata negli anni novanta parte proprio dalla concezione del progetto stradale come progetto urbano e di spazio pubblico. In Francia, sempre nelle stesso periodo, la Direction des Routse, attraverso programmi nazionali promossi dal governo, avvia un processo di riqualificazione delle autostrade esistenti e di costruzione di nuovi corridoi di attraversamento con l’obiettivo di “ristrutturare” il paesaggio del sud della Francia. Analogamente in Olanda i piani Vinex e altri interventi effettuati sulla base dei documenti nazionali di pianificazione (Architectuur Nota) (come il recente Making Space, Sharing Space) hanno visto nel progetto stradale l’occasione di correzione per politiche rivelatesi fallimentari, nel loro promuovere la “dispersione” e la frammentazione del paesaggio della randstad. Il progetto della strada diventa in questo caso progetto di densità e di concentrazione. Le esperienze soprattutto spagnole, francesi e olandesi degli ultimi quindici anni, pur largamente legate alle sperimentazioni precedenti, assumono un carattere di particolare interesse, soprattutto per la capacità di trasformare le utopie di un tempo in strategie tanto paradossali quanto pragmatiche. Una serie di proposte operative che, unendo gli aspetti tecnici a una visione integrata dell’infrastruttura, del paesaggio e dell’architettura, costituiscono un orizzonte di ricerca nuovo e necessario.
XIX
Semerani, Francesco. "John Hejduk dalla forma alla figura all'archetipo." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2008. http://hdl.handle.net/10077/2676.
Повний текст джерелаQuesto studio si interroga sul significato che il progetto di architettura assume nell’orizzonte contemporaneo attraverso il pensiero espresso da John Hejduk nei suoi progetti: un architetto per il quale le riflessioni sono direttamente espresse attraverso il progetto che assume dentro di sé tanto la dimensione teorica che quella rappresentativa. Le tracce teoriche di Hejduk sono fondamentali perché definiscono il percorso di un pensiero che passa dall’astratto al figurativo, dalla forma all’archetipo. Rintracciare tale percorso significa indagare il rapporto tra dimensione assoluta e universale dell’architettura e dimensione soggettiva. Si tratta di capire cosa significa, nel modo contemporaneo, definirsi “architetto”, “urbanista” o “docente”. Si evidenzia come nel momento in cui la crisi dei paradigmi del Movimento Moderno si fa più evidente sia in Europa che in America, John Hejduk, come altri architetti americani, senta la necessità di fare i conti con l’eredità di Le Corbusier, di Mies e di Gropius, avvertendo la necessità di rivisitare il lessico e le tecniche compositive delle avanguardie europee che si erano trasferite in America, rifiutando il successo dell’International Style e cercando una distanza dal mercato. La riflessione teorica diventa così centrale e trova nella scuola il luogo ideale dove essere formulata; mentre la costruzione passa in secondo piano, il disegno diventa il vero luogo della sperimentazione. Nei progetti per Venezia (1974-1979), secondo la nostra ipotesi, c'è il momento chiave di quel processo che porta Hejduk dalle indagini sulla forma alla ricerca e definizione di nuovi archetipi. Il tema così circoscritto in un determinato periodo potrà successivamente essere allargato con una lettura dei rapporti tra il pensiero europeo e quello americano, attraverso le relazioni con figure come Peter Eisenman, Aldo Rossi, Manfredo Tafuri. Tali relazioni si verificano in un preciso arco di tempo, al centro del quale si pone l'incontro con Venezia. La nostra tesi è che in John Hejduk via via aumenti d'importanza l'idea archetipica dell'architettura. Per Hejduk l’archetipo non è la grotta o la capanna di Semper e di Laugier, ma vale piuttosto l’accezione Junghiana di “senza contenuto”. Dice Jung: “Nessun archetipo è riducibile a semplici formule. L'archetipo è come un vaso che non si può svuotare né riempire mai completamente. In sé, esiste solo in potenza, e quando prende forma in una determinata materia, non è più lo stesso di prima. Esso persiste attraverso i millenni ed esige tuttavia sempre nuove interpretazioni.” Così, attraverso il ricorso alla memoria e al significato, Hejduk cerca gli archetipi che, utilizzando i meccanismi del pensiero, possono dare nuova forma alle figure fondamentali. In questo processo l’architettura si avvicina sempre di più all’arte e acquista una dimensione poetica. Ma se, come dice Tafuri, “l’eccesso è sempre portatore di conoscenze”, è prioritario capire i passaggi e i modi in cui Hejduk cerca di liberare i meccanismi del pensiero, generando quella liberazione nell’immaginario architettonico che è il suo lascito più evidente.
XIX Ciclo
1970
Ugolini, Luca. "Architettura non ufficiale. L'autore anonimo come autore collettivo (1961-1966)." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2008. http://hdl.handle.net/10077/2749.
Повний текст джерелаCap. 01.0 Lessico Rielaborare il significato di alcuni termini come “vernacolare” “anonimo” è l’operazione di partenza per definire il concetto di architettura non ufficiale. Si comincia dunque col ricercare la radice storica-etimologica del termine “vernacolo” per sottolineare l’origine di un fraintendimento cronico nella tradizione disciplinare. La condizione di anonimato dell’oggetto e dell’autore sembrano i nodi sui quali posare lo sguardo per discutere il ruolo del progettista e la sua adeguatezza, come figura di collegamento tra pratiche artistiche e tecniche. Con la perdita dell’autore, proclamata in letteratura da Barthes, ed evidenziata in architettura da Rudofsky, si sottolinea un passaggio storico nella percezione di una professione in continuo mutamento; la vicinanza tematica con l’assegnazione di un “Compasso d’Oro a Ignoti”, voluto da Bruno Munari, per la qualità di alcuni oggetti d’uso comune, o la ricerca di Alexander della “qualità senza nome”, sono solo alcune tra le manifestazioni a conferma di un cambio di atteggiamento da parte del progettista nei confronti del suo ruolo. 01.1 Precedenti moderni Una lettura delle posizioni prese da alcuni architetti tra le due guerre, e la mostra della triennale organizzata da Pagano e Daniel sull’architettura rurale, sono i punti sui quali si concentra il testo. Uno sguardo indietro nel tempo si rende necessario per trovare le radici di un dibattito caratteristico del movimento moderno e che ha sempre condizionato l’evoluzione della pratica progettuale; il dibattito sembra dividere in due l’atteggiamento accademico e professionale, tra chi considera l’architettura anonima come espressione di “architettura sana e onesta” dell’umanità che si organizza per condividere gli spazi; chi, invece, ne reinterpreta gli stilemi,ricorrendo alla mimesi delle forme. Si esamina il periodo di formazione per la figura ritenuta centrale di Bernard Rudofsky, che animerà il dibattito sull’architettura anonima nella metà degli anni sessanta. Nell’esempio di Villa Oro di Luigi Cosenza e Rudofsky si individua uno dei massimi esempi di felice incontro tra osservazione dell’architettura anonima e pensiero moderno; l’attualità anche formale di questo manufatto è sorprendente e rappresentativa. Rudofky rappresenta la ricerca di un valore nell’architettura non ufficiale che è difficilmente riproducibile; ne vengono messe in luce le qualità aggregative e formali, e tali attenzioni, soprattutto nell’ambito italiano, saranno segno caratterizzante di una linea culturale che valicherà il segno di demarcazione della seconda guerra mondiale fino a tradursi nel neorealismo della ricostruzione. cap. 02.0 “Architecture without Architects”. Un’indagine testuale. La trattazione si snoda all’interno dell’arco cronologico dei primi anni sessanta mettendo in evidenza eventi di carattere editoriale ed espositivo che caratterizzano il dibattito sull’architettura anonima. L’evento della mostra Architecture without Architects è ritenuto snodo nel dibattito e occasione di ripensamento sul ruolo dell’architetto in una società in forte fermento. Gli stessi interessi di Rudofsky vengono individuati anche in una serie di testi di autori, anche distanti da loro, che tendono ad osservare il fenomeno spontaneo come possibile spunto per un rinnovamento delle tradizioni disciplinari. In questo arco cronologico si ritrovano, infatti, il testo di Christopher Alexander, Notes on the Synthesis of Form (1964), la ricerca di Fumihiko Maki, Investigations in Collective Forms (1964), le Complexity and Contradiction in Architecture di Robert Venturi fino al Il territorio dell'architettura di Vittorio Gregotti (1966); tutti testi che affrontano l’oggetto anonimo con sguardi diversi, celando la stessa inquietudine sul ruolo dei progettisti. Il capitolo si suddivide in quattro paragrafi che affrontano le similitudini e le differenze dell’interesse sull’architettura anonima in quattro contesti culturali diversi; negli Stati Uniti si evidenzia la politica culturale del MoMA con l’esposizione di Rudofsky e il testo di Venturi che tende ad una riedizione del vernacolo in chiave pop; la figura di Maki e del movimento Metabolist mostra come l’esperienza di architettura radicale riesce a trovare spunto dal fenomeno non ufficiale; il panorama europeo dimostra un’attenzione peculiare del vecchio continente nei confronti delle preesistenze architettoniche di carattere popolare e rurale con la Inquérito à Arquitectura Regional Portuguesa, un’analisi puntuale delle radici popolari dell’architettura portoghese, o con le attenzioni di Hollein nei confronti degli insediamenti Pueblo nel nord del Messico. In Italia si nota la fine di un percorso intellettuale e culturale che fin dagli anni trenta aveva osservato l’architettura rurale e mediterranea come fonte per una nuova architettura, con Gregotti e Il territorio dell'architettura si pongono le basi per un cambio di scala nell’osservazione del contesto antropogeografico, che si appoggia su interpretazioni formali per ricercare atteggiamenti nuovi nel progetto. Un episodio trasversale che attraversa gran parte del capitolo è l’occasione di un concorso internazionale sviluppato dalle Nazioni Unite e dal governo del Perù per realizzare alloggi popolari; il concorso PRE.VI. sembra offrire una verifica progettuale per alcuni dei personaggi individuati come agenti del cambiamento. Anche se il concorso si svolge nel 1968, sembra interessante comprenderlo nella trattazione dal momento in cui il suo bando si elabora nel 1966 ed è ricco dei contributi analitici di John Turner, un altro autore che ha tentato una attualizzazione dei fenomeni anonimi, riconoscendo nella formazione delle Barriadas di Lima un esempio di processo spontaneo della formazione di un habitat. Cap. 03.0 presenze contemporanee Dopo aver osservato il dibattito dei primi anni sessanta, risulta importante verificare l’attuale persistere dell’osservazione dell’architettura anonima. Il capitolo tenta di mettere in evidenza alcuni atteggiamenti che ereditano le tematiche care a Rudofsky e che la contemporaneità tende a riproporre con diverse chiavi di lettura. Le analisi di Koolhaas su Lagos e gli interventi di Aravena in Cile fanno emergere come l’osservazione del fenomeno spontaneo sia utile strumento di analisi ma rischioso strumento operativo; il rischio di populismo e di una rilettura delle forme anonime considerate unico fenomeno di trasformazione d’assieme dell’habitat, tendono ancora oggi ad influenzare le posizioni dell’architetto che si dedica allo studio di questi temi. Si noterà come spesso le osservazioni tendano ad estetizzare i fenomeni; un atteggiamento che rischia di sorvolare il fenomeno in maniera estetica per evitare inquietudini della pratica professionale. Risulta interessante la riproposizione del testo di Rudofsky in occasioni diverse che ne rileggono il valore dell’indagine, sia in campo artistico che strettamente attinenti all’architettura. Si giunge così ad una serie di indicazioni che riguardano i rischi derivanti dalle indagini sulle architetture anonime; il provincialesimo e il populismo come derive possibili portano a considerare il tema dell’architettura non ufficiale non come strumento per l’operabilità della materia architettonica, ma piuttosto come diversa lettura della contemporaneità attraverso le stratificazioni storiche; ne risulta occasione per una lettura della tradizione disciplinare del moderno più aderente alla sua genealogia plurale.
XX Ciclo
1972
Ragonese, Marco. "Pauropolis. Pianificare il controllo attraverso il progetto della sicurezza." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2008. http://hdl.handle.net/10077/2678.
Повний текст джерела“Il grado di sicurezza misura la democrazia di un paese”, con questa frase un esponente della destra salutava l’approvazione nel parlamento italiano del nuovo pacchetto di norme in tema, appunto, di sicurezza. L’affermazione indica sintomaticamente come la questione, seppur non nuova, abbia acquisito un ruolo centrale nel dibattito contemporaneo, facilitata da una perfusione mediatica che ha trasformato l’evento dei primi giorni del settembre 2001 nel simbolo controverso della crescente sensazione di incertezza globale. Le conseguenze sul vivere contemporaneo e sugli ambienti urbani sono ormai evidenti, così come l’inevitabile strumentalizzazione della paura da parte dei più diversi soggetti: politici, amministratori, sociologi, pubblicitari, opinion-leader (tutti gli studi sull’argomento mostrano come, nonostante l’insicurezza “percepita” abbia una relazione indiretta con le minacce reali, le sue conseguenze siano determinanti). Questo sta generando la formazione di un nuovo tessuto sociale, apparentemente assediato da una realtà urbana di cui non comprende i mutamenti (perché non è più capace e perché non interessa farlo) e barricato dietro la barriera tutta materiale dei prezzi della proprietà immobiliare, convinto di escludere quella quota di insicurezza che la presenza degli sconosciuti contiene in sé. L’insicurezza viene trasformata in materiale di base dalla pianificazione e in dispositivi dall’architettura; dispositivi che agiscono sulle minacce come deterrenti e/o strumenti di difesa e sulla percezione di ambienti più controllati e sicuri. Inevitabilmente la nozione di spazio pubblico ha subito un cambiamento radicale, diventando sempre più legata al controllo dei fruitori che alle sue caratteristiche fisiche. Le città sono disseminate di telecamere “amiche” collegate alle forze di polizia, pubblica o privata: si è passati da una società panottica a una post-panottica, in cui il controllore si è liberato dal legame fisico che lo vincolava al sorvegliato. Il vocabolo “sicurezza” identifica immediatamente determinate porzioni di città (escludendone automaticamente altre), ponendosi quale parametro qualitativo di analisi urbana e sociale e delineando una nuova cartografia basata su una unità di misura determinata dalla paura, che palesa l’esistenza di barriere, non fisiche ma mentali, all’interno di una città dove è smascherato l’equivoco tra tolleranza e indifferenza. L’ambizione della ricerca consiste nell’individuare quale sia il grado di trasformazione indotto nell’ambito disciplinare e il cambiamento incorso al processo di progettazione architettonica sotto la pressione della questione securitaria. A partire dalle mura di cinta costruite con massi ciclopici sino agli immateriali firewall a cui sono affidate le difese della nostra dimora nel cyberspazio, risulta chiaro come, seppur cambiati i materiali, le procedure difensive seguano inalterate logiche di fortificazione. In questo contesto sono state sviluppate alcune teorie e pratiche urbanistiche, tutte di matrice statunitense, che hanno favorito la pianificazione degli insediamenti nei territori suburbani sud e nordamericani, nordeuropei e africani. Agglomerati abitati da comunità il cui interesse principale (e comune) si sostanzia nel recintare la propria incolumità per trascorrere una vita nel pieno comfort, affidando le norme del vivere civile ai regolamenti redatti dagli sviluppatori edili e contribuendo alla dissoluzione dello spazio pubblico mediante la privatizzazione dello stesso. Gated communities, Walled Cities, Common Interest Development costituiscono i nuovi termini del vocabolario urbanistico suburbano. A partire dal basilare apporto di Jane Jacobs - che per prima comprese la necessità di un controllo nella città attraverso strumenti sociali (la territorialità, l’occhio sulla strada) - il primo capitolo illustra la nascita della teoria CPTED (Crime Prevention Through Environmental Design), fondamento della pianificazione securitaria, e le sue declinazioni contemporanee. E distorsioni. L’applicazione di tali teorie ha, infatti, favorito la nascita di enti certificatori che operano una valutazione, basata esclusivamente sulla congruenza del manufatto architettonico ai dettami securitari e sul raggiungimento del maggior grado di sicurezza. Le ricadute sulla pratica professionale e sul processo di progettazione di un tale procedimento fa sì che, dovendo rispondere ai requisiti codificati, la figura dell’architetto venga affiancato da esperti e consulenti, provenienti dal mondo della polizia. La certificazione ottenuta viene utilizzata dagli strateghi del marketing immobiliare quale strumento attraverso cui creare nuovi valori di mercato. L’ultima parte del capitolo è riservata alla realtà italiana che presenta delle variazioni metodologiche dettate dalle differenti condizioni territoriali e sociali rispetto al contesto in cui ha avuto origine il CPTED. La difformità più evidente consiste nel fatto che le teorie securitarie siano diventate materia di studi e ricerche accademiche piuttosto che motivazione dei programmi edilizi degli sviluppatori privati, così come accaduto negli Stati Uniti. Il dispiegarsi di nuove pratiche è supportato dalla comparsa di strumenti normativi che cercano di regolamentarne, o quantomeno indirizzarne, l’azione. Soprattutto nei Paesi dove la materia è relativamente recente. Il secondo capitolo illustra le linee guide e di indirizzo, redatte dagli organi tecnici della Comunità Europea, affinché i progettisti possano mettere in atto un corretto processo di progettazione capace di assicurare gli standard minimi di sicurezza. Anche il mercato corre a supporto del progettista fornendo di materiali sempre più ricchi e articolati “la sicurezza diventa una merce, prodotta e venduta sul mercato”. Da asfalti anti-skaters a intonaci a prova di graffito, da sistemi di videosorveglianza ad antifurti satellitari, gli architetti dispongono di un’ampia scelta per dotare gli edifici di sistemi attivi e passivi in questa battaglia continua che la complessità dei fenomeni urbani costringe a combattere. Soldati formati e specializzati, grazie alla crescita esponenziale di corsi di laurea e master finalizzati alla definizione di nuove figure professionali pronte a decodificare le richieste e applicare le norme messe loro a disposizione. Insegnare la sicurezza diventa, così, un passaggio fondamentale nella nuova “filiera” dell’architettura, i cui prodotti a differente scala costituiscono l’argomento dell’ultimo paragrafo. Nel terzo capitolo, l’analisi spazia dalla crescente attenzione del design industriale ai ripensamenti riguardanti le periferie urbane, dalle pratiche partecipate come strumento di riappropriazione territoriale alle demolizioni di interi quartieri come unica soluzione dei problemi inerenti la politica del territorio. La parte finale focalizzerà l’attenzione sulle strategie alternative che, utilizzando proprio “l’incidente”, l’indeterminato, come materiale architettonico attraverso cui proporre nuove soluzioni e modi d’uso, rovesciano concettualmente gli approcci “difensivi” più impiegati. Si tratta di ricerche architettoniche che mutuano dalla pratica artistica l’occupazione e la trasformazione dello spazio pubblico quale risorsa ancora necessaria per la vita metropolitana. Probabilmente alla fine della lettura, dopo avere visionato i diversi approcci nell’affrontare la crescente richiesta di sicurezza della società contemporanea (da quello “esclusivo” che utilizza la delimitazione fisica come strumento deterrente, a quello “inclusivo” in cui il pericolo diventa uno degli “ingredienti” del progetto) emergerà che il ruolo dell’architettura è ancora quello di porre domande e non di costruire certezze attraverso strumenti di controllo dettati dal mercato. Per un presente in costante accelerazione.
XX Ciclo
1974
Bradaschia, Cristina. "Potenzialità dell'infrastruttura ferroviaria nella trasformazione del territorio e della città:il caso Trieste." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2008. http://hdl.handle.net/10077/2679.
Повний текст джерелаIl presente studio, svolto nell’ambito del Dottorato di Ricerca in Progettazione Architettonica e Urbana, è finalizzato ad indagare gli spazi della sperimentazione nella città e nel territorio contemporanei attraverso un approccio multidisciplinare, a diversi livelli e scale di approfondimento, al fine di suggerire risposte e sollecitazioni in termini progettuali. Sperimentare significa provare, tentare, sottoporre qualcosa a esperimento allo scopo di conoscerne e verificarne le caratteristiche, la funzionalità, le qualità. Nella scelta degli spazi da sottoporre a sperimentazione si è deciso di privilegiare esempi esistenti riconducibili ad una categoria generale, in modo da poter confrontare tra loro le soluzioni e le proposte progettuali adottate. Tali esempi sono stati distinti in due gruppi: - spazi che continuano ad assolvere alle funzioni per cui sono stati realizzati, in cui però entra in gioco una variabile, che ne comporta una trasformazione in termini relazionali, funzionali ed architettonici; - spazi che sono stati privati della funzione originaria, per cui sono stati costruiti, ed in cui la variazione di alcuni fattori del contesto rivela, nella forma architettonica e nella speciale localizzazione, nuove potenzialità e risorse. Oggetto della ricerca è il sistema ferroviario; ambito di studio è l’area di Trieste, considerata punto di arrivo e di partenza, ma anche come territorio attraversato da linee ferroviarie. Dopo aver approfondito e confrontato alcune esperienze nazionali ed europee di «sperimentazione» sul sistema ferroviario, è stato preso in considerazione il caso di Trieste, che rappresenta un campo di studio particolarmente interessante per la compresenza di varie situazioni. Sono infatti attuali e accese le discussioni in merito alla definizione, sul territorio della Regione Friuli Venezia Giulia, del tracciato dell’alta velocità/alta capacità, il cosiddetto corridoio paneuropeo V, che collegherà Lisbona e Kiev. Nella Stazione Centrale di Trieste, sono in corso gli interventi di rifunzionalizzazione, programmati anche per altre centotre stazioni nel territorio nazionale, dal gruppo Centostazioni S.p.A.. Sta per essere ultimato il recupero del sedime ferroviario dismesso nella Val Rosandra per la sua riconversione a itinerario ciclabile di interesse regionale; alcune tratte dismesse sono saltuariamente percorse da treni turistici, per iniziativa di associazioni di volontari; e ciclicamente si legge, sul quotidiano locale, l’ipotesi, promossa da enti ogni volta diversi, di recuperare alcuni sedimi dismessi per realizzare una linea di metropolitana leggera. L’obiettivo della ricerca è quello di contribuire ad un governo del territorio che sia in grado di prescindere dai confini delle competenze amministrative per progettare strategicamente, in modo agile, dinamico, attento alle mutevoli sollecitazioni esterne, ed in grado di valorizzare a pieno e durevolmente le potenzialità del sistema ferroviario nel suo complesso, senza fare del commercio l’unico motore e regolatore dei processi di sviluppo. I binari, come le mura antiche della città, rappresentano un limite, un confine. Le recenti soluzioni progettuali, che prevedono in alcuni casi l’interramento dei binari ed in altri la dismissione del servizio di trasporto, restituiscono alla città nuovi spazi. Come le superfici rimaste libere in seguito alla demolizione delle mura, nell’Ottocento, così, oggi, gli spazi un tempo occupati dall’infrastruttura, rappresentano una risorsa preziosa per la collettività, che merita di essere progettata seriamente, e non saturata o frammentata indiscriminatamente. Nella prima parte della tesi il sistema ferroviario esistente viene scomposto negli elementi che lo costituiscono e ne vengono studiate, attraverso alcuni approfondimenti, le soluzioni progettuali. Ci si interroga, infine, se il sistema ferroviario possa essere considerato patrimonio culturale. Solamente se esso è inteso come «patrimonio dell’eredità culturale dei luoghi» può essere riconosciuto e condiviso il suo valore aggiunto e il suo ruolo nei processi di pianificazione e governo del territorio. Per la seconda parte dello studio sono stati necessari sopralluoghi e ricerche di archivio al fine di ricostruire la storia e la configurazione del patrimonio ferroviario di Trieste. Attraverso la forma dell’osservatorio territoriale del sistema ferroviario sono stati presentati gli interventi in corso a livello europeo, nazionale e regionale che interessano l’area di studio. Sono state quindi prese come riferimento tre linee, considerate rappresentative, ed è stata indagata la loro potenzialità nella trasformazione della città e del territorio. A conclusione del percorso di ricerca, viene presentata un’applicazione informatica, semplificata a livello dimostrativo, come possibile strumento di sperimentazione delle caratteristiche e delle potenzialità del patrimonio ferroviario triestino. Essa tiene conto dei vari livelli di intervento, dalla scala europea a quella locale e presenta le tre linee oggetto di studio. L’applicazione propone una struttura che è possibile in futuro ampliare ed arricchire con maggiori dettagli oltre a quelli presenti, oggi limitati alla denominazione, localizzazione, uso e proprietà delle linee e delle stazioni. Lo scopo è promuovere l’uso creativo delle risorse. L’infrastruttura ferroviaria viene considerata come patrimonio da immettere nel campo delle opportunità. A tal fine vengono individuati principalmente due tipi di interventi: la riconversione dei manufatti ferroviari e il recupero del rapporto tra il manufatto ferroviario e il contesto. Lo studio intende sensibilizzare gli enti sulle vaste potenzialità dell’infrastruttura ferroviaria e promuoverne la conservazione, come bene pubblico da valorizzare. L’aspetto della comunicazione e della trasparenza delle informazioni, è ritenuto fondamentale per il coinvolgimento di possibili attori nel processo di conoscenza, partecipazione e gestione del patrimonio.
XIX Ciclo
1977
Angi, Barbara. "Strategie di sopravvivenza urbana, istruzioni per l'uso." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2009. http://hdl.handle.net/10077/3144.
Повний текст джерелаNel mondo contemporaneo, i territori metropolitani presentano in larga misura fenomeni di instabilità urbana causati soprattutto da flussi migratori sempre crescenti, dovuti principalmente all’apertura delle frontiere e alla recessione economica. Questo fenomeno globale dovrebbe sollecitare la nostra disciplina a ricercare soluzioni abitative a costi ragionevoli e a tempo determinato. Nella realtà europea emerge un sistema-città che, nel suo insieme, non è definibile come entità data, certa, immutabile, sulla quale sovrapporre un nuovo disegno, è invece un sistema aperto in continua trasformazione, in perenne mutazione. Questo scritto parte dal presupposto che i modelli di intervento finora applicati per gestire il fabbisogno abitativo, o anche l’habitat minimo progettato per eventi calamitosi, possano ampliare i loro orizzonti verso nuove emergenze legate alle attuali esigenze sociali ed economiche di una sempre più considerevole porzione della popolazione. Lo spazio urbano è attraversato oggi da perenni flussi – di automobili, di persone, di informazioni – difficilmente gestibili con una pianificazione a lungo termine, ma solo limitatamente alla predisposizione di infrastrutture di collegamento dei sistemi urbani, la disciplina architettonica dovrebbe (potrebbe) assimilare la nozione di mutazione con la messa a punto di manufatti ad assetti variabili in grado di rispondere ad esigenze funzionali transitorie. La trattazione si sviluppa con l’intento di indagare quei fenomeni di modificazioni urbane temporanee che si collegano, non solo all’autogestione del territorio da parte del fruitore che costruisce, per necessità o spontaneamente, la propria casa, nonché di esaminare alcuni progetti teorici, in parte utopici e in parte futuribili degli ultimi cinquant’anni elaborati soprattutto da gruppi di avanguardia. Sono state indagate, pertanto, alcune micro realtà abitative connesse alla necessità di insediamento in contesti metropolitani in cui è difficile ritrovare il concetto di casa inteso come elemento di riconoscibilità geopolitica: fenomeni d’emergenza abitativa incontrollati, inseriti all’interno del tessuto urbano indifferentemente, innesti temporanei che compaiono e scompaiono velocemente, aggredendo qualsiasi porzione di spazio libero, dalle aree industriali dismesse, agli snodi infrastrutturali, ai centri storici fatiscenti. Ai limiti tra l’autocostruzione e la pratica dell’abusivismo, frequentemente, il tipo di rapporto che queste micro realtà instaurano con il tessuto urbano segue le regole parassitarie di vicendevole alleanza tra due insiemi biologici e garantisce la sopravvivenza di entrambi, ma su livelli diversi: quello legale, costituito da piani di sviluppo speculativi o in cui non esistono strumenti urbanistici efficaci e quello illegale, governato dall’esigenza di sopravvivere in condizioni metropolitane avverse. La richiesta di alloggi temporanei permette inoltre di considerare il costruito in maniera differente: scenario dove poter agganciare la casa, dove poter innestare l’habitat minimo in posizioni strategiche, innescando rapporti simbiotici tra l’esistente e l’innesto. Si tratta di fenomeni che, se analizzati criticamente, possono portare a conclusioni inedite. Proprio in Italia, paese nel quale poco si demolisce e molto si conserva, manipolazioni di questo tipo potrebbero rinnovare aree depresse o vaste zone industriali dismesse. Se si considera la residenza come efficace strumento di controllo sociale, i diversi gradi di simbiosi che si possono stabilire tra il costruito e gli innesti potrebbero generare risultati proficui sia sul piano economico ma soprattutto psicosociale degli utenti. L’architettura potrebbe scoprire una nuova espressività, una nuova scrittura, potrebbe nascere un’architettura virale che, come ci suggerisce Franco Purini, sia il risultato di una molteplicità di processi formali di tipo infettivo.
Nella prima parte si analizza una sezione della cultura architettonica europea che, nella seconda metà XX secolo, ha caratterizzato la ricerca disciplinare innescando un forte ripensamento sui mezzi e sulle finalità dell’architettura stessa, promuovendo modelli insediativi rivolti ad una società dotata di un alto grado di mobilità sociale. Fughe in avanti che sembrano sopite, ma dalle quali si possono ancora trarre utili insegnamenti – come dimostrano alcuni dei protagonisti dell’attuale dibattito architettonico globale – e ritrovare spunti di riflessione per gestire la complessità della metropoli contemporanea, concepita come modello dinamicamente e costantemente in evoluzione, in perenne accelerazione. Il pre-testo della ricerca affonda le radici nel saggio di Andrea Branzi Le profezie dell’architettura radicale, apparso nel volume Radicals a cura di Gianni Pettena del 1996. In esso Branzi definisce l’architettura radicale non tanto come «un movimento culturale preciso, piuttosto come un fenomeno energetico, un ‘territorio sperimentale’ che ha investito la cultura del progetto europeo tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta». La ricerca tende ad individuare un filo rosso nel vasto dibattito sul tema dell’abitare radical attraverso la rilettura di alcuni frammenti che compongono le testimonianze del periodo, peraltro non ancora debitamente sistematizzate. Sono stati indagati avvenimenti e dibattiti del tempo, soprattutto in quei paesi in cui le lotte sociali hanno, senza alcun dubbio, condizionato le ricerche disciplinari. L’Italia, la Gran Bretagna, l’Austria e la Francia, tra il 1960 e il 1970, sono state considerate realtà rappresentative di condizioni in cui gli scontri ideologici legati all’esplosione della cultura di massa hanno prodotto sperimentazioni originali atte a rispondere alle trasformazioni sociali in atto, mettendo in discussione gli strumenti e le metodologie del progetto urbano e architettonico. I radicals, in ambito accademico prima e in quello professionale poi, hanno prodotto visioni di città future in cui l’uomo può liberamente muoversi in costruzioni dagli assetti variabili in grado di rispondere rapidamente alle richieste funzionali di un’utenza non più certa del proprio futuro ed in costante e continua evoluzione . Tra schizzi frettolosi, disegni ironici, fotomontaggi arditi prodotti nel periodo oggetto di indagine, sono stati selezionati alcuni studi sull’habitat minimo, fughe in avanti che tendevano a produrre oggetti, all’epoca, materialmente irrealizzabili ma divenuti oggi plausibili, in relazione alle opportunità fornite dallo sviluppo tecnologico, sia dal punto di vista costruttivo che funzionale.
Nella seconda parte, sono stati analizzati piccoli manufatti realizzati per aggiunta, per scavo, per manomissione del tessuto urbano contemporaneo, ponendo particolare attenzione a quelli di dimensioni abitative ridotte che, con la loro capacità di collaborare e/o di scontrarsi con pezzi di realtà costruita, si impastano con essa producendo inedite derive urbane. Operazioni di manipolazioni dell’esistente che coinvolgono principalmente due questioni: il limite da porre alla delirante espansione urbana e la riconversione ecologica dello stock edilizio contemporaneo prodotto, in particolar modo in Italia, durante il boom economico degli anni Cinquanta. Presa coscienza dell’impossibilità di operare con strategie edilizie che partano da un grado zero o che necessitino di modificare l’esistente in un ottica anti tabula rasa, sono stati privilegiati alcuni esempi campione che rielaborano e riarticolano il tessuto della città e dell’architettura, con scale d’intervento inattese, verosimilmente microscopiche. Nella contemporaneità si sono individuate due linee di ricerca che poggiano su presupposti simili e si sviluppano declinando scelte tecnologiche high o low tech. Da un lato, l’architettura rubata, fatta di micro inserimenti staminali innestabili sull’esistente, che producono soluzioni abitative legali, e dall’altro l’architettura dei rifiuti, fatta di oggetti di scarto, frutto della sovrabbondanza contemporanea di beni materiali, che vengono utilizzati per la costruzione di soluzioni abitative in territori illegalmente occupati. Entrambi gli approcci si legano a nuove o ritrovate esigenze d’uso dell’ambiente domestico e derivano sovente, dal parassitismo biologico, il concetto di mutazione. L’architettura della manipolazione o dell’innesto, può indicare alcune linee guida grazie alle quali operare in lembi urbani residuali tenendo conto della possibilità di variazione spontanea del costruito. Al di là degli evidenti aspetti di parassitismo connessi alle forme di sopravvivenza tipiche degli homeless, dei campi nomadi, delle conurbazioni improvvisate, delle favelas presenti in larga misura, ormai anche in Europa, ancor più interessante è rintracciare oggi metodologie costruttive parassitarie in tessuti urbani consolidati, legate a situazioni sociali connotate da preoccupanti fenomeni di precarietà economica. A conclusione della seconda parte sono state inserite, quasi a margine della trattazione generale, quindici schede sinottiche descrittive di progetti manifesto, di studi per piccole cellule, di esempi di habitat parassita, costruzioni inedite che, come sopra accennato, risultavano solo pochi lustri addietro carichi di componente utopica, sogni nei cassetti di giovani intellettuali vagheggianti mondi non sempre possibili. Queste microarchitetture risultano tuttavia oggi di grande attualità e addirittura fattibili con le tecnologie presenti sul campo. Ci sono apparsi pertanto come veri e propri riferimenti per altrettanti oggetti architettonici realizzati nella contemporaneità che, quasi provocatoriamente, sono stati accostati ai loro progenitori in questa piccola rassegna al fine di far meglio comprendere e cogliere criticamente il messaggio di un non lontano passato.
Nella terza parte sono documentati alcuni progetti, da me elaborati nel triennio, come strumenti di verifica degli assunti della ricerca: due concorsi internazionali sul tema dell’habitat minimo e gli esiti di un workshop didattico progettuale al quale ho partecipato in veste di tutor presso la Facoltà di Architettura di Trieste.
XXI Ciclo
1976
Piazza, Lorenzo. "Progetto e Valutazione di Pipeline di Big Data Analytics per Progetti di Sostenibilità." Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2021. http://amslaurea.unibo.it/23247/.
Повний текст джерелаCervesato, Carlotta. "Office du Niger e Progetto Gezira: da progetti di affermazione coloniale a nuove territorialità." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2013. http://hdl.handle.net/11577/3422607.
Повний текст джерелаLa ricerca svolta ha posto il suo focus principale sul legame tra i progetti irrigui e il territorio nell’area Saheliano-Sudanese, e nello specifico sul capire quanto i progetti irrigui abbiano creato territorio e quanto questo possa effettivamente portare ad una creazione di processi di sviluppo locale nell’area considerata,. Per la stesura della tesi sono stati scelti come casi studio due grandi progetti irrigui dell’area Saheliano-Sudanese, il Progetto Gezira in Sudan e l’Office du Niger in Mali; entrambi progetti molto estesi, presentano caratteristiche interessanti per uno studio comparativo dell’evoluzione del territorio inserita all’interno del processo di territorializzazione idraulica. Dopo aver messo a fuoco i concetti fondamentali necessari per affrontare un’analisi completa delle dinamiche territoriali, si è potuto svolgere due brevi missioni sul campo nei mesi di dicembre 2010 in Sudan e in novembre-dicembre 2011 in Mali. Lo scopo delle missioni è stato quello di avere una mappatura più dettagliata delle dinamiche attoriali sul territorio in corso in questo momento, capirne i processi che hanno portato allo stato attuale delle cose e analizzarne le caratteristiche secondo gli apporti teorici della territorializzazione e della territorialità. È nella parte finale della trattazione che si mettono in relazione il quadro teorico e le nuove territorialità dell’Office du Niger e del Progetto Gezira, analizzando i risultati territoriali del processo di territorializzazione idraulica secondo i paradigmi della sostenibilità territoriale (che si articola in economica, sociale, politica e ambientale).
Bourogaa, Imed Dine. "Project Portfolio Management: Il Caso Celli Group S.p.A." Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2020.
Знайти повний текст джерелаRoveroni, Sebastiano. "Figure del vuoto." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2008. http://hdl.handle.net/10077/2677.
Повний текст джерелаNella riflessione che accompagna l’osservazione del territorio contemporaneo, contrapposizione, giustapposizione e frammentazione sono termini utilizzati per descrivere una condizione dove sempre più rilevante risulta il rapporto tra pieni e vuoti. Leggere la città contemporanea in negativo, come un giustapporsi di spazi aperti e spazi costruiti dove acquista rilievo anche ciò che rimane tra le emergenze, diventa lo stimolo progettuale per pensare ad una nuova immagine di città, che si confronti con le esigenze di vita della società. Liberato dalla sua accezione eminentemente negativa e visto nelle sue possibili e progettualmente fertili declinazioni, il tema del vuoto acquista un nuovo ruolo nella definizione di spazialità inedite: esso può divenire l’approccio al progetto per, sulla e della città contemporanea. Se, da un lato, le violente trasformazioni a cui abbiamo assistito in città come Berlino e, più di recente, New York, hanno messo in primo piano la necessità e la difficoltà di confrontarsi con il tema del vuoto, (drammaticamente evidente in queste lacerazioni del tessuto urbano), dall’altra il tema del vuoto ha da sempre attraversato lo studio della città. Nel suo essere vuoto, il parco ha rappresentato uno degli elementi basilari per la formulazione di ipotesi per la città moderna, in cui si rifletteva l’idea stessa di città. Alla ricerca di nuovi orizzonti di senso, il tema del vuoto riporta l’attenzione a forme culturali contrapposte: quella orientale ci educa al senso positivo di una dimensione complementare a quella materica e tangibile, e per questo carica di valore nel suo dare compiutezza a ciò che è in essere. Nella cultura occidentale, invece, è l’arte ad aver ampliamente indagato il vuoto: artisti come Klein, Fontana e Manzoni, ad esempio, con le loro sperimentazioni delineano i termini della questione offrendo punti di riferimento per poter giungere a intravedere il vuoto attraverso tre concetti fondanti: l’immateriale, l’invisibile e l’infinito. Analoghe declinazioni possono essere riconosciute anche nella ricerca architettonica: se Colin Rowe, nel suo “Collage City” offre una lettura che propone implicitamente una descrizione del vuoto come negativo (senso già presente nella pianta di Roma del Nolli), dall’altra i progetti visionari di Boullée riportano l’attenzione alla percezione dell’utente e all’essere del “vuoto” nel senso che viene da questi ad esso attribuito. Ma il vuoto può diventare anche componente essenziale di progetto, materiale che si presta a infinite possibilità di sviluppi variabili: una forma d’interpretazione, quest’ultima, che maggiormente può adattarsi al sentire della contemporaneità. 01. assenza di oggetti vs assenza di senso Il vuoto è un concetto che può definirsi come negazione, come assenza del pieno, ma anche come valore nel rapporto con un oggetto isolato. La lettura in negativo fa emergere nuove visioni e rende spesso evidenti valori più importanti di quelli delle strutture delimitano lo spazio. Il territorio contemporaneo in questo senso viene riletto come un giustapporsi di oggetti isolati e radi e di sequenze di vuoti. La lettura in negativo da un lato, ponendo attenzione ai vuoti urbani, si propone di riconfigurare la natura spaziale dell’interno del contesto in cui sono inseriti, dall'altro propone nuovi modi di intervento nel riconsiderare il valore potenziale degli spazi aperti che si giustappongono all'interno della città diffusa (ad esempio, la strategia elaborata da OMA basata sulla creazione di zone d’assenza, spazi aperti disponibili all’inatteso). I progetti delle capitali moderne si sono tutti confrontati con il vuoto inteso come valore di rappresentanza del “potere”, come elemento di valore paesaggistico, ma anche come luogo potenziale di sviluppo. Ma l'architettura si rapporta comunque con la tridimensionalità, in questo senso diviene necessario leggere l'opera rispetto al rapporto tra il suo volume interno e l’esterno. Lo spazio aperto e il volume interno sono elementi fondamentali del progetto, l'architettura viene concepita al contempo come massa e spazio, pieno e vuoto. I vuoti spesso si contrappongono alla plasticità dei volumi ricreando degli spazi instabili o grandiosi, ma sono, allo stesso tempo, generatori dello spazio che, assumendo caratteri di monumentalità, trasmette sensazioni contemporaneamente inquietanti e di grandiosità. Lo spazio vuoto può però essere inteso anche in rapporto alla memoria, nel suo simboleggiare una "mancanza", assumendo i caratteri di uno spazio di raccoglimento (una sorta di vuoto “riflessivo”) oppure, al contrario, di un luogo dove è il rapporto con chi lo utilizza che diventa parte integrante dell'opera, reciproco riferimento visivo che acuisce il senso di drammaticità espresso dall’assenza del suo essere “vuoto”. 02. volume emerso vs scavo Nelle sue possibili declinazioni, il vuoto può essere anche letto come esito di un’operazione di sottrazione volumetrica, di scavo. In questo senso il suo valore è duplice: come vuoto ma, allo stesso tempo, come volume, nel suo essere parte integrante di ciò che lo definisce e lo contiene. La ricerca architettonica ha guardato, e tutt’oggi allude a questa declinazione del vuoto come materiale della composizione, metrica di controllo dello spazio e delle singole spazialità che determina. L’architettura diventa in questo modo contorno del vuoto, configurandosi concretamente nei termini di “sistema di spazi” che si susseguono diventando il vero progetto; essa trae valore dal vuoto che le è complementare. Pensare al vuoto come a un qualcosa di determinato (e non residuo), come esito di un processo di sottrazione porta a riflettere sul valore della stessa sottrazione come possibilità per intervenire nella città contemporanea. Gli interventi in negativo nella città possono fornire stimoli per la proposizione di nuove logiche urbane: il vuoto diventa lo strumento per riconquistare lo spazio territoriale che oggi domina la città. Entro tale visione del vuoto, la demolizione (da sempre fondamentale mezzo di intervento nella città assieme alla conservazione) acquista una nuova valenza, soprattutto se vista in rapporto alla condizione urbana contemporanea, dove ai ben noti fenomeni di espansione metropolitana si affiancano contrapposti processi di contrazione demografica. La demolizione può essere vista come tramite per la costruzione di un nuovo ordine, laddove essa non mette in discussione il valore di ciò che elimina, ma né conferma il senso, alle volte rafforzandolo o rendendolo maggiormente esplicito. La demolizione può diventare così strumento fondamentale per l’attuazione di un nuovo disegno urbano, mettendo in gioco strategie di carattere generale, che interessino la struttura urbana nel suo complesso. 03. indeterminazione formale vs processi probabilistici Ulteriore declinazione del vuoto è quella che lo vede come spazio “delle possibilità”. Il vuoto deve in questo caso offrire opportunità per il verificarsi di situazioni ed eventi diversi. Il tema diventa la definizione (progettazione) del vuoto, dello spazio vuoto che possa configurarsi come supporto al manifestarsi di azioni e attività che non sempre possono essere previste e/o prevedibili. Una ricerca, questa, che ha caratterizzato diverse correnti architettoniche e le conseguenti proposte per idee di città, nate anche dalla critica ad una concezione dello spazio urbano formulata esclusivamente in termini funzionali, e poco incline dunque ad accogliere i rapidi cambiamenti di una società sempre più mobile e mutevole. Il vuoto diventa così l’origine dell’architettura, il supporto che rende possibile l’azione che le attribuisce significato. L’eredità di queste ricerche – sviluppatesi sin dagli anni cinquanta – è oggi accolta dagli architetti che ripensano all’intervento nella città contemporanea non più partendo dall’architettura, bensì dalle condizioni (uso, evento, attribuzione di valore) attraverso cui essa viene posta in grado di concretizzarsi ed esplicitarsi. L’indeterminazione, l’impossibilità di prevedere tutte le funzioni e i ruoli possibili che lo spazio sarà chiamato ad assolvere, induce ad assumere un atteggiamento di progetto che punta l’attenzione sul programma, sulla valutazione di tutte le possibili combinazioni di usi/funzioni che lo spazio sarà chiamato ad assolvere. Il vuoto diventa lo strumento che consente e assicura tale indeterminazione, offrendo l’opportunità di riappropriarsi di uno spazio, con la massima possibilità di produrre l’inaspettato. Il supporto diviene l’elemento che meglio si presta a tradurre questa idea di indeterminatezza, offrendo all’oggi l’ipotesi di un’urbanistica “debole” dove il ruolo del progetto è quello di gestire la complessità dell’ambiente urbano attraverso una diffusa interazione di attori.
XIX Ciclo
1976
Bandini, Ilenia. "Monitoraggio di portafogli progetti. Il caso Despar." Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2017.
Знайти повний текст джерелаGheduzzi, Simone <1975>. "Il progetto dello spazio pubblico al tempo del trust. Metodi e progetti in contesti urbani e periferici." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2022. http://amsdottorato.unibo.it/10307/1/Il%20Progetto%20dello%20spazio%20pubblico%20al%20tempo%20del%20trust_Simone%20Gheduzzi.pdf.
Повний текст джерелаUrban public space could be seen as a changing setting in which society represents itself. Especially in the historical centers of the city, the identity of specific places is lost, as well as the awareness of citizens, which leads to an improper use of space caused mainly by the absence of an architectural culture. In this sense, the ultimate goal of architecture is to be educational in explaining why it was conceived. The research thesis attempts to study the educational dimension and the strength that architecture has in influencing spontaneous and not spontaneous behaviors. The goal is to find design and legal methods that can improve public spaces in terms of quality of life of its users. The recognition and transmission of architecture, through the use of architecture itself, tries to stem an absence of architectural culture and an increasingly improper use of its spaces. The question that the research tries to answer is: Can the evocative dimension of architecture stimulate processes of urban regeneration? The thesis is developed in three parts: the first presents some theoretical reflections on the design of public space to which refer as many projects carried out in recent months. From the workshops realized they have emerged various problematic with regard to the effective realization of such plans evidencing above all a deficiency of normative type. For this reason, in the second part, an attempt is made to deepen the legislative theme in order to find alternative solutions to the bureaucratic arrests that often discourage the collective actions of the citizens. The third part will focus on a project for an area of Bologna to be redeveloped, the Prati di Caprara, for which will exploit all the theoretical knowledge previously exposed.
Marangon, Giorgio <1988>. "Il Progetto Laguna." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2014. http://hdl.handle.net/10579/5173.
Повний текст джерелаBelli, Mirko. "Multidimensional project control system: applicazione di verifica della qualità dei progetti in Despar Italia c.r.l." Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2013. http://amslaurea.unibo.it/5399/.
Повний текст джерелаGolinucci, Simone. "Il progetto Augmented Room." Bachelor's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2018.
Знайти повний текст джерелаPergega, Edmond. "Progetti per la città." Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2012. http://amslaurea.unibo.it/3623/.
Повний текст джерелаLarovere, Alberto. "Principi insediativi e progetto." Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2015. http://amslaurea.unibo.it/9006/.
Повний текст джерелаGIUSTA, FABIAN CARLOS. "Il progetto e l'attesa : il gesto compositivo e la teoria nei progetti di Peter Eisenman, John Hejduk, Rafael Moneo per l'area di San Giobbe, Cannaregio Ovest, Venezia 1978." Doctoral thesis, Università IUAV di Venezia, 2006. http://hdl.handle.net/11578/278215.
Повний текст джерелаSpera, Raffaele. "Progetto urbano e archeologia diffusa." Doctoral thesis, Universidade de Lisboa, Faculdade de Arquitetura, 2019. http://hdl.handle.net/10400.5/20257.
Повний текст джерелаA relação entre a arquitetura contemporânea e a arqueologia é um tema muito amplo e largamente tratado, que se desenvolveu no tempo, sobretudo através da oposição entre duas categorias: o “antigo” e o “novo”. A discussão em torno desta dicotomia conduziu à afirmação da descontinuidade como critério de projeto em relação à arqueologia. Essa descontinuidade é muitas vezes expressa no contexto arquitetónico de forma preconceituosa, sendo declaradamente assumida a diferença entre a preexistência e a parte adicionada que se constitui, numa lógica de ruptura, a partir da utilização de diferentes formas e materiais. Contudo, as grandes transformações urbanas, como a construção de infraestruturas, evidenciam um fenómeno, que é na verdade muito capilar, devido à extrema difusão dos objetos arqueolόgicos no território: a proximidade forçada entre o projeto do “novo” e a arqueologia . Quando os artefactos passam novamente a fazer parte da dinâmica urbana por via de uma escavação programada ou até mesmo de uma forma acidental, ainda não têm assumido, ou terão perdido, o sentido de objeto de memória ou de ruína. Assumem assim a condição de fragmento, ou se quisermos, de signo. Esta condição leva à crise da dicotomia antigo/novo em que o projeto se baseia, estimulando fortemente novas possibilidades de projecto apoiadas em critérios de continuidade, de relação entre o que se adiciona e o que persiste. No entanto, ao mesmo tempo, existe uma ausência de critérios de continuidade, também por causa da oposição inerente à terminologia adotada. Portanto, para superar esta lógica de oposição, é preciso uma emancipação do fator cronológico dos termos usados. Por isso, assumindo que o termo “arqueologia” não é sinónimo de “antigo”, neste trabalho os termos “antigo” e “novo” serão substituídos correspondentemente pelas expressões layer de transformação interrompida (ou arqueológica) e layer de transformação contínua. Estas expressões estão já vagamente implícitas em alguns estudos científicos, mas nunca totalmente explicados e desenvolvidos no campo teórico. Assim, pretende-se que estes conceitos se integrem na linguagem do projecto arquitetónico: as camadas (layers), entendidas quer no sentido físico quer no sentido imaterial, mas também como um complexo de relações e de significados. Com isto, torna-se evidente a oportunidade e o objectivo da pesquisa: investigar a relação entre o projeto contemporâneo, arquitetónico e urbano, e os artefactos arqueológicos com particular enfoque nos projetos que se baseiam em critérios de continuidade entre os layers arqueológicos e os de transformação contínua. Contexto geográfico, área temática e objectivo da pesquisa O contexto geográfico e cultural a que se faz referência é o europeu, com um enfoque sobre Itália e Portugal, países onde a pesquisa foi realizada. A escolha é motivada pelo fato que, nesta área geográfica, o conceito de património cultural não sofre mudanças substanciais de significado. Além disso, é reconhecida a contribuição italiana para o debate sobre a protecção e valorização do património cultural, bem como para o estudo dos fenómenos urbanos, particularmente durante o período pós-guerra. A pesquisa realizada em contexto internacional tornou evidente o forte interesse português, no campo académico e profissional, pela cultura arquitetónica italiana. Além disso, o trabalho em Portugal facilitou, por um lado, o estudo de um caso paradigmático em Espanha, o do Museu Nacional de Arte Romana de Mérida, e, por outro, permitiu abordar as obras de alguns mestres portugueses, como Eduardo Souto de Moura e Álvaro Siza Vieira, onde é possivel observar a singular capacidade de utilização do material arqueológico como material de projeto. A relação entre a arquitectura e a arqueologia transformou-se ao longo do tempo, passando inicialmente pela restituição da imagem original dos artefactos arqueológicos e mais tarde pela exibição do palimpsesto. Actualmente, resume-se de um modo particular a questões sobre a protecção do sítio arqueológico, da museografia e da museologia, com interesse sobre aspectos ligados ao tema da narrativa. Este facto revela uma tendência de percepção do projecto como um apêndice da obra arqueológica que, evidentemente, detém um reconhecimento particular por ser um objecto de memória ou uma ruína. O presente estudo procura, pelo contrário, seguir uma linha de pesquisa menos difundida, interessada em criar uma relação de continuidade entre diferentes sistemas urbanos, entre os quais o arqueológico. Neste sentido, os vestígios arqueológicos não têm necessariamente o papel de recurso económico para o turismo. Tendo em conta a oposição inerente aos termos “antigo” e “novo” e a sua insuficiência na descrição da globalidade dos fenómenos urbanos, esta linha de estudo baseia-se na ideia de posicionar os vestígios arqueológicos na mesma área semiológica da arquitectura, tornando-os materiais do projeto. Essa hipótese, presente amplamente no pensamento de Aldo Rossi, é também assumida por outros autores italianos, como Raffaele Panella, e internacionais, embora numa outra perspectiva, como Rafael Moneo e Eduardo Souto de Moura. No entanto, tirando alguns casos excepcionais, não existe uma ideia precisa e amplamente compartilhada que corresponda à hipótese de tornar o material arqueológico em material do projeto. Daqui emerge, por um lado, a questão de investigação sobre quais são as formas contemporâneas de continuidade e, por outro, o objectivo da pesquisa de construir um quadro de intervenções baseado em critérios de continuidade. A necessidade de definir as características que determinam a associação de um projeto com a ideia de continuidade também emerge. Método e resultados esperados A metodologia adotada na pesquisa foi organizada em 3 fases diferentes. A fase de scouting constou na recolha de material bibliográfico, observação in loco e levantamento de documentação gráfica para seleção de casos de estudos. A fase de análise e interpretação dos dados constou na organização dos materiais recolhidos em categorias de intervenção. Essas categorias são resumidas e organizadas num diagrama no qual se pode ler as relações e as distâncias conceptuais entre os diferentes tipos de intervenção. Para cada categoria de intervenção foram evidenciadas as analogias entre as obras de arte e de arquitetura a fim de observar o problema do ponto de vista da composição. Além disso, a comparação entre a arquitetura contemporânea e a arquitetura do passado permite o reconhecimento de algumas afinidades e aspetos qualitativos que igualmente devem ser salvaguardados no projeto contemporâneo. Deste modo, as duas comparações permitem observar a problemática de uma perspetiva particular sem o preconceito ligado aos termos antigo e novo. O resultado da análise aos casos estudo é uma espécie de dicionário visual essencial para delinear a estrutura correspondente a uma imagem atual de continuidade na arquitetura. Por fim, a fase de validação da teoria consiste na aplicação do esquema elaborado (diagramas e categorias) para alguns casos particulares, a fim de mostrar os seus limites conceptuais. O trabalho é composto por duas partes. A primeira parte contém o texto como referência principal na qual as imagens funcionam como legendas. A segunda contém as imagens onde o texto funciona como legenda. Desta última fazem ainda parte as referências bibliográficas. As duas partes estão divididas em três capítulos, uma para cada etapa conceptual: a crise da dicotomia antigo/novo; a tese e os seus fundamentos; os dados para a demonstração da tese e a interpretação deles. No entanto, só a primeira parte tem um capítulo conclusivo. O primeiro capítulo, intitulado Projeto urbano e arqueologia difusa, procura enquadrar o estudo nas problemáticas e instrumentos metodológicos associados à prática e teoria interventiva ao longo do tempo para demonstrar a sua inadequação ao contexto actual. A definição do objeto de estudo, integrado no contexto geográfico e cultural da pesquisa, foi apoiada em casos práticos demonstrativos das metodologias comummente adoptadas no processo de transformação dos edifícios. Através de um excursus sobre a evolução do debate arquitectónico, que aparentemente distancia os fenómenos urbanos da protecção e musealização dos sítios arqueológicos, mostraremos a crise da dicotomia antigo/novo e a individualização do projecto urbano como ferramenta de intervenção. Este enquadramento pretende assim justificar a necessidade de repensar a relação entre o projeto contemporâneo e os artefactos arqueológicos e, portanto, a importância deste estudo. O segundo capítulo, intitulado Da dicotomia antigo/novo à continuidade como critério de projeto, trata da hipótese de resolver a relação entre arquitetura e arqueologia pela aplicação do critério de continuidade, com a condição de abandonar a terminologia “antigo” e “novo” cativa de um fator cronológico. Como tal, neste estudo, os termos “antigo” e “novo” serão substituídos pelas expressões layer de transformação interrompida (ou arqueológico) e layer de transformação contínua. A hipótese será apoiada por estudos científicos, dos quais emergem também duas características do critério de continuidade: a assunção do material arqueológico como material de projeto – corolário da hipótese suportada – e a necessidade de refazer o significado do signo arqueológico. Com base nessas observações, o critério de continuidade será definido como a interação recíproca entre a camada arqueológica e aquela em contínua transformação, em função de um conceito espacial unitário, resultado de uma reflexão crítica do significado do signo arqueológico. No terceiro capítulo, intitulado Formas contemporâneas de continuidade, o critério de continuidade, definido no capítulo anterior, será utilizado como um fator de análise discriminante para selecionar alguns casos significativos dentro do contexto geográfico e cultural da pesquisa. Simultaneamente, será proposto um critério de classificação dos casos de estudo que levará em conta a relação espacial e de significado com a pré-existência, bem como o nível de interação e relação entre os layers. O resultado dessa classificação será demonstrado através de um diagrama tipológico no qual as distâncias conceptuais dos diferentes tipos de intervenção podem ser identificadas qualitativamente. As categorias definidas no âmbito do critério de continuidade são a Restituição,o Enchimento/Integração, a Adaptação, o Sobrescrever/Acumulação e a Re-invenção. Estas formas de leitura da arquitetura e da arqueologia procuram contribuir para a formação de um framework representativo da ideia de continuidade. Este quadro de categorias será útil para identificar algumas tendências de cariz experimental na arquitetura, baseadas no conceito de continuidade, e para orientar a análise e comparação de projetos arquitetónicos relacionados com o material arqueológico (capítulo 4). No entanto, é-lhe também reconhecido o seu sentido casuístico. Deve realçar-se assim que este estudo não se constitui como um valor absoluto e definitivo mas um conhecimento parcial. Trata-se de um contributo possível estruturado por um método científico preciso que oferece novas perspectivas e instrumentos úteis para a avaliação e avanço do debate sobre estas questões específicas. No entanto, ele permanece válido dentro de um determinado domínio e sob certas hipóteses. Por fim, será possível demonstrar a hipótese e alcançar os objetivos propostos, mas notar-se-á que outras questões serão deixadas em aberto, como, por exemplo, o papel do adjetivo “arqueológico” na arquitetura e a relação entre o significado do signo arqueológico e o tempo. Portanto este trabalho de investigação é comparável a um ensaio de escavação que, ao atingir um objetivo de conhecimento específico, intercepta outras camadas disciplinares, satisfaz alguns conhecimentos e, ao mesmo tempo, abre novas questões.
ABSTRACT: Object of research Over the time, the very broad and widely treated theme of relationship between contemporary architecture and archaeology has been developed through the opposition of two concepts: “the ancient” and “the new”. The debate based on this dichotomy has led to the affirmation of discontinuity as main criterion of the architectural design for archaeology. The conceptual discontinuity, on one hand, leads to emphasize the gap between ancient and contemporary architectures by means of distinct shapes and materials. On the other hand is, generally, a negative prejudice in the common evaluation of contemporary architectural projects. However, the broader urban transformations, like the infrastructural developments highlight a very widespread phenomenon, due to the extreme dissemination of archaeological artifacts: the forced proximity between the contemporary architecture and the archaeological findings. When archaeological artifacts return in the urban dynamics by scheduled excavations or in any accidental ways, they have not assumed yet either the role of object of memory or of ruins, or, alternatively, they have lost it. So they are still in a preliminary condition of fragments or, if you want, of signs. These events strongly stress and undermine the ancient vs new dichotomy, on which the contemporary architectural design is based. Moreover, they require that the interference between architecture and archaeology becomes interaction, overturning the logic of the design from discontinuity to continuity. However, at the same time, the continuity, as theoretical criterion, has a lack of significance, meanly due to the intrinsic contradiction of the adopted terminology: ancient vs new. Consequently, in order to go beyond this logical opposition, the two terms need to be seen independently from the chronological factor. Therefore, because of the non-coincidence of the meanings of “archaeology” and “antiquity”, in this work the word “ancient” will be substituted by the expression interrupted transformation (or archaeological) layer and the term “new” by continuous transformation layer, as implicitly used in more authoritative studies. In this way, the terms of the debate become again conceptual tools of the architectural design: the layers, to be understood not only in the physical sense, but also as systems of relationships and meanings. What has been said above highlights the object of this research: to investigate the relationship between the contemporary architectural and urban design, focusing on the projects based on the continuity criterion between the archaeological layer and the continuous transforming one. Geographical context, thematic area and goal of research This research refers to the European geographical and cultural context, with a focus on Italy and Portugal, because they are the countries where this research was developed. The reason for this choice is the substantial homogeneity of the meaning of cultural heritage in this area. Moreover, the Italian cultural contribution to the debate on the protection and the enhancement of cultural heritage, as well as on the study of urban phenomena is widely appreciated. Indeed, these themes strongly characterized the theoretical Italian research, in particular during the postwar period. Instead, the research conducted in Portugal allowed us to analyse the works of some Portuguese architects, such as Eduardo Souto de Moura and Álvaro Siza Vieira, characterized by a singular ability to use the archaeological remains as design material. Therefore, it facilitated the study of some paradigmatic cases, like the National Museum of Roman Art of Mérida, in Spain. The relationship between architecture and archaeology changed over the time, passing from an earlier phase of restitution of the original appearance of the archaeological finding to the exhibition of the palimpsest. Currently, it principally deals with the issues about protection, museography and museology, with the consequential interest for the narrative theme. Therefore the architectural design is often set up as caption of the archaeological elements, because they benefit of particular consideration as objects of memory or ruins. This study differs from the mentioned research fields, because it belongs to the theoretical current, less common than the others, which aspires to create a relationship of continuity between contemporary urban systems and the archaeological ones. According to this thought, the archaeological findings do not necessarily have the role of economic resources for touristic purpose. After that the intrinsic contradiction of adjective “ancient” and “new” and their inadequacy to describe the urban phenomena have been proved, the research adopts the idea of leading back the archaeology in the semiological field of the architecture, conceiving the archaeological fragments as design materials. This hypothesis assumed by Aldo Rossi, belongs to the thinking of other Italian architects, like Raffaele Panella, and, although in other terms, of other international architects like Rafael Moneo and Eduardo Souto de Moura. However, excepting some cases, it does not exist a shared idea about the meaning of using archaeological remains as design materials. On those theoretical bases the mean question and the final goal of this research arise. The first one consists in wondering what the contemporary forms of continuity are like. The second one consists in tracing a framework of interventions inspired by the continuity criterion. Therefore, it is also requested to define the parameters which characterize the association of a project to the continuity criterion. Method and expected results The research has consisted of several phases. The first one is the scouting of bibliographical and graphic documentation and case studies. Consequently, the phase of analysis and interpretation has consisted in arranging the collected data in intervention categories, that have been resumed in a chart where you can read the conceptual affinities and distances between several typologies of interventions. For each category a compositional analogy between art and architecture has been highlighted in order to observe the problem from the compositional point of view. Moreover, the comparison between contemporary and past architectures allows us to recognize some conceptual affinities and qualitative aspects we have to keep also in contemporary projects. These two comparisons allow us to observe the question without the chronological prejudice. The result of this analysis is a kind of picture dictionary, essential to define the framework of continuity criterion in the contemporary architecture. Finally, the validation of the theory has been done by applying the theory, summarized in a chart, to some study cases, in order to show its conceptual limits of validity. This volume consists of two sections. The first one contains the text as main core and the images work as captions, while in the second one the roles are inverted. Both the sections are divided into three chapters, one for each conceptual step: the crisis of the ancient vs new dichotomy; the thesis and its foundations; the data for the demonstration of the thesis and their interpretation. Only the first section has a final chapter, in addiction. The first chapter, entitled Urban design and sprawled archaeology, shows the main questions and the crisis of the current conceptual and practical tools for managing the urban transformations, from which the necessity of their improvement and the importance of this research. The definition of the research object and of the geographical and cultural context represent the beginning of the dissertation. The explanation of the evolution of the debate about the urban phenomena and the protection of the archaeological heritage will show that currently there is a crisis of the approach based on the ancient vs new dichotomy and that the urban project is becoming a common instrument for both the architectural fields. The second chapter, entitled From ancient vs new dichotomy to continuity as design criterion, deals with the hypothesis of applying the continuity criterion to the contemporary architecture leaving the terms of the dichotomy. For this reason the expressions interrupted transformation layer (or archaeological layer) and continuous transformation layer will substitute the terms “ancient” and “new”. Authoritative studies support this hypothesis end underline some required properties of continuity criterion: to use archaeological findings as design materials – corollary of the supported thesis – and to rethink the significance of the archaeological sign. On these basis, in this work, the continuity criterion is defined as the mutual interaction between the archaeological layer and the continuous transformation layer, in function of a homogeneous spatial concept that is the result of a critical re-thinking of the archaeological sign. The third chapter, entitled Contemporary forms of continuity, deals with study cases. In this chapter the continuity criterion is used as “discriminant” for selecting study cases belonging to the geographical context of the research. The study cases are arranged in categories which consider the spatial and significance relationships between the two interacting layers. A diagram summarizes the results of this classification and shows, in a qualitative way, the conceptual distances and affinities between different interventions. The categories responding to the continuity criterion are: Restitution, Filling/Integration, Adaptation, Overwriting/Accumulation and Reinvention. They contribute to trace a framework of the continuity criterion in contemporary architecture with reference to the relationship between architecture and archaeology. Although some limits, this frame of reference allows us not only to take note of the current state of art, but also to have a reference for evaluating architectural projects dealing with archaeological structures. This research is not valid all-round, but it is a partial knowledge. It is a scientific contribution which offers new perspectives and conceptual instruments for evaluating architectural projects dealing with archaeology. Nevertheless, as all scientific works, it remains valid within a certain domain and under certain assumptions. Finally, some questions are still open, for example the role of the adjective archaeological in architecture and the relationship between the archaeological sign and the time factor. Therefore, this research is like an archaeological excavation, whose aim is to seek a goal of knowledge, but, at the same time, it intercepts other disciplinary layers, it answers some questions and opens other ones.
N/A
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Повний текст джерелаThe Author points out the new statutory features of self-employed project contract, introduced with the D. Lgs. September 10, 2003, No 276. The analysis begins from the identification of the reasons of the introduction of this contract, which concern, on one hand, the inadequacy of conventional patterns of subordination and autonomy within the current world of work and enterprise and, on the second hand, the increasing abuse of the collaboration coordinated and continuous contract. The A. underlines that the new statutory has been focused mainly on the issue of the abuse of law and, in order to face it, has worked on the legal case specification, setting up a specific type of contract, featured by a uncertain and questionable wording. The A. underlines that the choice of the legislature is ineffective anyway. First of all, because the "project, program or phase of it" is a too much generical expression and second of all, because the sanctionative system can only be interpreted as a refutable presumption. Moreover, the system of safeguards provided for the coordinated and continuous project workers is very light.
BONORA, CHIARA TERESA. "Il contratto di lavoro a progetto." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2008. http://hdl.handle.net/10280/213.
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