Дисертації з теми "Malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI)"
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Battistutta, Sara. "INTERVENTI PER FAVORIRE L'ADESIONE ALLE TERAPIE DELLE MALATTIE CRONICHE INFANTILI- Fibrosi Cistica, Diabete, Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali, Celiachia -." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/9980.
Повний текст джерелаIl Progetto di Dottorato “Interventi per favorire l'adesione alle terapie delle malattie croniche infantili - Fibrosi Cistica, Diabete, Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali, Celiachia” prende origine dalla consapevolezza dell’importante impatto della presenza di una malattia cronica, anche e soprattutto in età evolutiva, per il paziente e la sua famiglia. Le patologie croniche incidono infatti sulla qualità di vita dei pazienti e dei familiari, “interrompendone” la quotidianità. Il programma terapeutico può influire sulla qualità di vita percepita, in quanto può causare dolore ed essere difficoltoso per la complessità e la durata. Tali aspetti influenzano la treatment adherence, che può essere ostacolata anche da problematiche di tipo psicologico spesso difficilmente comunicabili. La famiglia del paziente gioca un ruolo molto importante, ed è pertanto necessario tenere in considerazione l’impatto che la diagnosi e la malattia hanno anche sul genitore e sulla coppia coniugale. Gli studi più recenti, propongono un modello di cura “patient centered”, così definito da Bardes (2012): “As a form of practice, it seeks to focus medical attention on the individual patient's needs and concerns, rather than the doctor's”. Utilizzare un modello di cura che dedichi attenzione a conoscere e accogliere i bisogni dei pazienti e coinvolga gli stessi nel care management della patologia si è dimostrato funzionale ed efficace nei casi di malattia cronica. Il progetto si è pertanto focalizzato sugli aspetti psicologici (preoccupazioni di salute, bisogni, adherence al trattamento) dei pazienti seguiti presso l’IRCCS Burlo Garofolo per Fibrosi Cistica (FC), Diabete Mellito di Tipo 1 (D), Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (MICI) e Celiachia (C), e alla luce di queste riflessioni si è posto l’obiettivo di implementare un percorso di cura che integri le necessità di carattere medico con i vissuti dei pazienti e i loro principali bisogni, al fine di favorire l’adesione al trattamento e quindi la loro qualità di vita. A tale scopo si è ritenuto importante: 1. Conoscere i bisogni, le preoccupazioni e le priorità di salute, le difficoltà e l’impatto del trattamento nei pazienti con malattia cronica, con attenzione anche al profilo emotivo e comportamentale per una eventuale identificazione precoce dei soggetti a rischio psicopatologico. Si è ritenuto importante confrontare il punto di vista del paziente e quello dello specialista, per valutarne il grado di comprensione ed eventualmente offrire degli spunti di riflessione al fine di migliorare l’alleanza terapeutica. 2. Favorire l’elaborazione della diagnosi di malattia cronica e l’adattamento alla nuova condizione (creazione di uno spazio di ascolto e supporto psicologico); 3. Favorire la comunicazione famiglia-staff e famiglia-territorio per promuovere un raccordo tra i diversi attori in campo (collaborazione con le associazioni). Per raggiungere tali obiettivi, il progetto ha previsto sia una attività di ricerca di tipo quantitativo, realizzata tramite la somministrazione di questionari e l’analisi dei loro risultati, che una di tipo qualitativo, in cui sono stati analizzati i dati relativi ai colloqui clinici effettuati nell’ambito dello spazio psicologico offerto ai pazienti. Allo studio hanno partecipato i pazienti seguiti presso l’IRCCS Burlo Garofolo di Trieste per le patologie FC, D, MICI e C, sia in regime di controllo ambulatoriale, che di day-hospital o ricovero da gennaio 2011 a luglio 2013. Oltre alla compilazione della scheda socio demografica, il progetto ha previsto la somministrazione sia di questionari generali adatti a tutti i partecipanti (1. Need Evaluation Questionnaire di Tamburini; 2. Adherence, ad hoc; 3. SDQ-Ita, Strenght and Difficulties Questionnaire, di Goodman), sia di questionari patologia-specifici (Health Priorities, adattamento da Loonen). I risultati sono stati suddivisi nelle fasce di età 0-10 anni (compilazione del questionario da parte del genitore che descrive se stesso e il figlio); 11-18 anni (compilazione del questionario da parte del paziente, del genitore e, per una parte, del medico); >18 anni (compilazione del questionario da parte del paziente). Hanno aderito al progetto di ricerca 205 pazienti per quanto concerne la raccolta dei dati tramite questionari, mentre 174 hanno usufruito della consulenza psicologica offerta (1028 colloqui, durata media di un’ora). Infine 60 medici hanno aderito al progetto compilando il questionario riguardante le preoccupazioni di salute in età 11-18 anni. In questa sintesi non si riportano i risultati specifici ottenuti, essendo numerosi, ma si evidenziano sinteticamente le loro ricadute operative, ribadendo la necessità di individualizzare tali indicazioni per ogni paziente. In linea con un approccio patient-centered, si ritiene infatti importante indirizzare gli sforzi dei curanti a dedicare il tempo e le energie necessarie per conoscere gli specifici bisogni, le peculiari preoccupazioni e lo stato psicologico di quel paziente e di quella famiglia. 1. Favorire la comunicazione. Alla luce delle divergenze emerse nei questionari tra l’opinione dei pazienti, dei genitori, che per esempio tendono a proiettare i bisogni personali sui figli, e dei medici, è importante “far circolare” le informazioni e contribuire a esplicitare pensieri ed emozioni, consapevoli dei possibili fraintendimenti che ne potrebbero altrimenti derivare. In questo modo può trovare adeguato spazio anche la condivisione dei vissuti e delle preoccupazioni, generali e patologia-specifiche, rilevanti nel campione dei partecipanti allo studio. 2. Offrire informazioni e supporto. È stato riscontrato che la quantità e la qualità delle informazioni trasmesse al paziente e alla sua famiglia e la modalità con le quali vengono trasmesse giocano un ruolo fondamentale nel processo di accettazione a adattamento alla malattia cronica. I partecipanti allo studio hanno sottolineato in particolare la necessità di offrire maggiori informazioni sulla diagnosi, ma soprattutto sulla prognosi e sul trattamento. Tali informazioni possono aiutare i pazienti e i genitori a comprendere cosa attendersi nel futuro prossimo o a lungo termine, e a riconoscere pertanto con più facilità gli eventuali progressi nelle cure o i benefici derivanti (non percepiti dai partecipanti alla ricerca). I pazienti adulti e i genitori hanno inoltre dichiarato il bisogno di essere supportati, sia tramite un lavoro di tipo psicologico, sia tramite il confronto con altre persone con la stessa esperienza. A tale scopo può essere importante promuovere le informazioni sulle associazioni di pazienti presenti sul territorio. Da non trascurare infine anche l’importanza delle informazioni economico-assicurative per i genitori. 3. Empatizzare con la fatica del trattamento. I pazienti non sempre riescono percepire i benefici del trattamento che stanno facendo, mentre ne colgono bene i costi, che si traducono in trasgressioni al regime terapeutico, non solo in adolescenza ma anche in età adulta. Può essere importante, ancor prima di sottolineare durante i controlli medici periodici “le cose che non sono andate bene”, empatizzare con la fatica e i costi per quel paziente di quel trattamento per capire quali sono le specifiche difficoltà provate e come potrebbero essere affrontate, e rinforzare gli aspetti in cui il paziente si sta attivando in modo efficace. Questo alla luce anche delle fragilità emotive riscontrate nello studio e dell’influenza della patologia sullo sviluppo della propria identità, come per esempio testimoniato dal sentimento di diversità riferito dai pazienti nei questionari, alimentato o confermato da una quotidianità scandita dalle cure piuttosto che dalle attività tipiche dell’età. Lo stesso vale per coloro che, con i bambini più piccoli, sono i garanti dell’adherence al trattamento, ovvero i genitori, che possono provare difficoltà sia concrete che emotive. 4. Fare attenzione se le famiglie non sono coese. Lo studio conferma l’influenza della coesione familiare sull’adattamento alla patologia; nel caso di famiglie non coese sono infatti stati riscontrati livelli più elevati di preoccupazione. È dunque importante tenerne conto nella presa in carico di pazienti con patologia cronica, poiché potrebbero andare incontro a maggiori difficoltà, coinvolgendo nella cura anche il contesto familiare. 5. Organizzare la transizione. Una fase particolare nella cura delle patologie croniche è quella della transizione dal servizio pediatrico a quello dell’adulto, un processo che richiede gradualità e accortezza da parte di tutti gli attori in gioco. È importante che i curanti si attivino in modo tale da rispondere ai bisogni, sia di informazione che relazionali segnalati dagli adolescenti della ricerca, e alle preoccupazioni dei pazienti in questo particolare passaggio. 6. Tenere gli occhi aperti sugli aspetti emotivi, sociali e comportamentali. Lo studio conferma la percezione, soprattutto da parte dei genitori, di fragilità psicologiche nei pazienti con malattia cronica. È importante che i sanitari ne siano consapevoli e le tengano in considerazione (ad esempio somministrando strumenti di indagine rapidi e validi), in modo da poter prevenire se possibile lo sviluppo di psicopatologie franche o inviare a chi di competenza per gli interventi del caso. 7. Essere consapevoli che ogni patologia può attivare preoccupazioni specifiche e richiede considerazioni su aspetti peculiari. Nello studio è per esempio emersa l’importanza di tenere in considerazione la gravità delle manifestazioni cliniche nella FC; il controllo glicemico, la paura dell’ipoglicemia e l’importanza delle restrizioni alimentari nel D; le preoccupazioni sulle conseguenze prossime, come i ricoveri o gli interventi chirurgici, per le MICI; e infine l’impatto della dieta glutinata nei pazienti con C, con attenzione alla presenza o meno di sintomi. 8. Offrire la possibilità di un supporto di tipo psicologico dedicato. L’esperienza clinica del dottorato e i risultati della ricerca hanno fatto emergere l’importanza di un tempo sufficientemente ampio dedicato all’ascolto e al lavoro psicologico con le persone con malattie croniche e con i loro familiari, al fine di stimolare la comunicazione e favorire l’accettazione e l’adattamento alla patologia, in un processo di cura che permetta il passaggio dal “to cure” al “to care”. Nel Capitolo 1 “Le Malattie Croniche”, viene data una definizione sintetica del concetto di “malattia cronica” e una breve descrizione delle patologie considerate nello studio. La conoscenza di tali caratteristiche è necessaria per gli operatori sanitari, anche non medici, per poter comprendere il quadro di riferimento del bambino, dell'adolescente o dell'adulto con patologia cronica, potervi empatizzare e attivarsi di conseguenza. Nel Capitolo 2 “Gli Aspetti Psicologici Nelle Malattie Croniche”, dopo una breve introduzione sull’importanza di studiare gli aspetti psicologici, è stata delineata una panoramica dell’evoluzione di questi studi nel tempo. Di seguito, in una prima parte sono stati descritti gli aspetti psicologici generali, in considerazione sia della fase di sviluppo sia della fase di malattia; in una seconda parte si sono analizzati alcuni aspetti peculiari delle specifiche patologie. Nel Capitolo 3 “Interventi per favorire l’adesione alle terapie delle malattie croniche infantili” viene infine descritto lo studio realizzato e i principali risultati ottenuti, con particolare attenzione alle ricadute in ambito clinico di tale lavoro. Sono stati analizzati sia i dati quantitativi, ricavati dalla somministrazione dei questionari e dall’analisi dei loro risultati, sia i dati di tipo qualitativo, ricavati dall’analisi delle informazioni inerenti il lavoro clinico con i pazienti (colloquio clinico). Verrà sinteticamente descritto anche l’approccio teorico seguito.
XXVI Ciclo
1979
Girardelli, Martina, and Martina Girardelli. "Ricerca di nuove varianti geniche associate alle malattie infiammatorie croniche intestinali." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2015. http://hdl.handle.net/10077/10849.
Повний текст джерела2013/2014
Le malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI), sono un gruppo di malattie eterogenee ad eziologia multifattoriale. Sono caratterizzate da uno stato infiammatorio a carico della mucosa del tratto gastrointestinale e comprendono il Morbo di Crohn (MC), la Rettocolite ulcerosa (RCU) e la Colite indeterminata (CI) i cui quadri istopatologici differiscono tra loro per tipo di lesione, localizzazione della malattia e complicanze associate. Le MICI insorgono tipicamente durante l’adolescenza o in età adulta come il risultato della combinazione di tutti i fattori predisponenti che concorrono in egual misura nella determinazione della malattia. L’insorgenza delle MICI può avvenire anche in età molto precoce, entro i 10 anni ma anche entro i 2 anni e in maniera ancora più grave. In questi casi di esordio precoce si ipotizza che il peso maggiore sia da attribuire alla componente genetica piuttosto che a fattori ambientali e microbici. Solitamente i pazienti con esordio precoce sono caratterizzati da un fenotipo malattia più severo e difficilmente controllabile con le terapie convenzionali. Per gli aspetti differenti che si osservano in termini di predisposizione, caratteristiche fenotipiche, fattori coinvolgenti e geni interessati, le MICI possono essere contestualizzate da una parte come malattie multifattoriali e dall’altra come patologie “monogeniche". Nel contesto della multifattorialità, i numerosi studi di associazione son stati importantissimi in quanto hanno individuato numerosi geni relativi a distinte pathway (barriera intestinale, regolazione dell’immunità innata dell’epitelio, autofagia, sistema fagocitario e stress) coinvolte nella patogenesi delle MICI (ad oggi 163 loci). Nel lavoro di dottorato l’attenzione e l’interesse si è focalizzato sullo studio delle MICI ad insorgenza precoce e uno dei primi obiettivi della tesi è stato quello di indagare in 36 pazienti pediatrici, geni noti dalla letteratura per essere associati alla malattia (NOD2, ATG16L1, IL23R, IL10, IL10RA, IL10RB e XIAP), con il fine di identificare una possibile correlazione genotipo-fenotipo. Anche se non è stato possibile identificare un unico filo conduttore che ci ha permesso di correlare il fenotipo dei pazienti ai genotipi individuati, sono state identificate nuove varianti missenso e introniche. Tutte le varianti individuate sono state analizzate da un punto di vista bioinformatico per valutare la predizione di patogenicità: in base alle predizioni ottenute l’attenzione si è focalizzata su due varianti nel gene NOD2 sulle quali sono stati allestiti saggi funzionali per valutare il loro impatto sulla corretta sintesi e funzionamento della proteina. Un importante dato che emerge sempre più spesso dalla letteratura è l’evidenza che lesioni infiammatorie a carico del tratto gastrointestinale e il fenotipo tipico delle MICI, possono presentarsi molto precocemente (entro i 2 anni di vita) come prime o a volte anche come uniche manifestazioni cliniche in un contesto patologico più ampio che sottende allo sviluppo di gravi immunodeficienze (MICI-like). In questi casi le mutazioni a carico del gene malattia sono molto rare e generalmente considerate come mutazioni “private” e causative del fenotipo malattia che si osserva. Nell’ambito delle MICI in un contesto che possiamo definire monogenico, sono stati analizzati pazienti pediatrici con una sintomatologia MICI-like mediante analisi di sequenza di nuova generazione “Whole Exome Sequencing (WES)”. Sono state ricercate specificamente mutazioni in un determinato set di geni accuratamente selezionati (60 geni) in quanto responsabili di patologie monogeniche che presentano, all’esordio della malattia, una sintomatologia MICI-like. L’obiettivo è quello di riuscire ad effettuare in tempi rapidi l’identificazione di mutazioni in specifici geni malattia, per permettere al clinico di diagnosticare altrettanto rapidamente la malattia e poter intraprendere la terapia più adeguata e specifica per ciascun paziente. Così come sono state individuate numerose varianti presenti nei database e note per la loro associazione alle MICI, sono state identificate anche nuove varianti, mai descritte prima in letteratura. Alcune varianti sono state analizzate con saggi funzionali in vitro in modo da poter comprendere il rispettivo effetto sulla proteina. Per testare l’effetto della variante intronica rs104895421 (c.74-7T>A), situata a monte dell’esone 2 del gene NOD2, è stato allestito il saggio del minigene ibrido. L’esperimento ha messo in evidenza che tale sostituzione nucleotidica altera il corretto funzionamento del meccanismo di splicing, provocando, anche se non con una efficienza del 100% l’esclusione dell’esone. Nel contesto di MICI come malattie monogeniche, sono state individuate due importanti mutazioni, in due pazienti con sintomatologia MICI-like ad esordio molto precoce. La prima è una mutazione, ovvero una delezione di due nucleotidi, identificata nel gene XIAP (c.1021_1022delAA fs p.N341fsX7). Questa delezione determina la sintesi di una proteina tronca provocando un’alterazione strutturale della proteina che ne la funzionalità. Il risultato di tale lavoro ha permesso al clinico di fare finalmente la corretta diagnosi e il paziente è stato curato grazie ad un trapianto di midollo. La seconda mutazione degna di interesse è una mutazione missenso identificata in omozigozi nel gene NOD2 (c.G1277A p.R426H), in seguito all’analisi dell’esoma. Dalle indagini funzionali si evince che tale mutazione altera il normale funzionamento del recettore intracellulare NOD2, e quindi potrebbe spiegare il fenotipo malattia osservato nel giovane paziente (“gain of function”). In questo caso, il confronto con il clinico, in base alle evidenze ottenute dai test eseguiti, deve ancora avere luogo ma sarà di fondamentale importanza per fare una diagnosi e iniziare la terapia idonea. Questa tesi ha incrementato, seppur con piccoli tasselli, le conoscenze riguardo alcuni varianti in geni conosciuti dalla letteratura per la loro associazione con le MICI. I risultati ottenuti hanno avuto inoltre un impatto traslazionale molto importante permettendo ai clinici di fare la corretta diagnosi e iniziare la terapia idonea per migliorare la qualità e l’aspettativa di vita del paziente.
XXVII Ciclo
XXVII Ciclo
1985
De, Iudicibus Sara. "Farmacogenetica delle malattie infiammatorie croniche intestinali pediatriche." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2012. http://hdl.handle.net/10077/7436.
Повний текст джерелаLe malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI) comprendono due patologie distinte, la malattia di Crohn (MC) e la rettocolite ulcerosa (RCU), che pur essendo diverse dal punto di vista patogenetico, presentano aspetti clinici comuni quali la presenza di infiammazione cronica a diversi livelli del tratto gastrointestinale e l'alternanza tra fasi attive ed inattive della malattia. Queste patologie hanno un picco di incidenza nell’adulto, tuttavia piu' di un terzo dei casi insorge prima dei sedici anni. L'approccio terapeutico e' principalmente diretto al trattamento e controllo dell'infiammazione, attraverso farmaci capaci di indurre e mantenere la remissione della malattia, che tuttavia inducono effetti avversi importanti, particolarmente rilevanti nella popolazione pediatrica. Nonostante l'introduzione in clinica di farmaci biologici altamente efficaci, i glucocorticoidi (GC) continuano a rappresentare la terapia di prima linea per indurre la remissione nel MC e nella RCU in fase di attività moderata o severa. La risposta clinica a questi farmaci è tuttavia estremamente variabile, e al momento non ci sono validi marcatori che permettano di predire quali saranno i pazienti che risponderanno in maniera adeguata e quali al contrario non risponderanno o andranno incontro a effetti collaterali. Dopo un ciclo iniziale con i GC, la terapia viene continuata con altri immunosoppressori, che negli ultimi anni vengono utilizzati sempre più precocemente, proprio per cercare di aumentare l’efficacia e di limitare le complicanze da steroidi. Tra gli immunosoppressori più utilizzati vi sono le tiopurine 6-MP e AZA: quest’ultima è la tiopurina più utilizzata nelle MICI pediatriche. Una prima parte della ricerca si è occupata di studiare retrospettivamente su pazienti pediatrici con MICI la farmacogenetica degli steroidi, con l’obiettivo di identificare marcatori che possano essere utili a predire la risposta clinica a questi farmaci. In parallelo, è stata analizzata la farmacogenetica e farmacocinetica dell’AZA, con lo scopo di ottimizzare il trattamento con questo farmaco in pazienti pediatrici con MICI, permettendo di aggiustare i dosaggi e di evitare trattamenti destinati all’insuccesso. La farmacogenetica degli steroidi è stata studiata su 154 pazienti con MICI che sono stati suddivisi in base alla risposta clinica in responders (84), dipendenti (55) e resistenti (15): è stato dimostrato un effetto significativo del polimorfismo BclI del gene NR3C1 che codifica per il recettore dei GC, e del polimorfismo Leu155His del gene NALP1, proteina coinvolta nell’attivazione della pro-IL-1 a IL-1, sulla risposta ai GC. Questa associazione è stata dimostrata mediante analisi univariate (responders vs non responders p=0.02) e multivariate (responders vs non responders p=0.03) e confermata anche esaminando il modello con l’analisi CART. Quest’analisi conferma il significativo effetto dei polimorfismi BclI e Leu155His sulla risposta ai GC con modalità indipendente, ed indica come altre importanti variabili il sesso e l’età all’esordio della malattia. In conclusione, i risultati ottenuti indicano che fattori genetici (polimorfismi BclI del gene NR3C1 e Leu155His del gene NALP1) e variabili cliniche (età all’esordio e sesso) potrebbero rappresentare degli importanti marker di risposta ai GC in pazienti pediatrici con MICI. Le correlazioni tra farmacocinetica e farmacogenetica dell’AZA sono state studiate in 77 pazienti pediatrici affetti da MICI, in trattamento con farmaci tiopurinici da almeno 3 mesi. I risultati ottenuti confermano un effetto del polimorfismo dell’enzima TPMT sui metaboliti attivi delle tiopurine in accordo con quanto riportato precedentemente in letteratura, confermando l’importante ruolo di questo enzima sul metabolismo dell’AZA. E’ stato inoltre dimostrato un effetto significativo dell’isoforma M dell’enzima GST sui metaboliti dell’AZA: soggetti con delezione del gene presentano una concentrazione più bassa dei metaboliti attivi 6-TGN (p=0.010) ed un rapporto TGN/dose più basso (p=0.0002): l’isoforma M dell’enzima GST è coinvolta nella conversione dell’AZA in 6-MP; nei soggetti deleti meno AZA verrebbe convertita in 6-MP a sua volta pro farmaco del metabolita attivo 6-TGN. Inoltre, le concentrazioni dei metaboliti metilati sono significativamente più alte nei pazienti con un genotipo variante per il polimorfismo C94A del gene ITPA rispetto ai pazienti con genotipo wild type (p=0.046), mentre non è evidente una correlazione con i metaboliti 6-TGN. Studi prospettici dovranno essere realizzati in futuro, per valutare l’efficacia di strategie di dosaggio dell’AZA basate sulla quantificazione dei metaboliti e sull’analisi dei polimorfismi degli enzimi TPMT, GST-M e ITPA per migliorare la risposta al farmaco e ridurre gli effetti avversi. E’ stato inoltre messo a punto un modello sperimentale in vitro su colture primarie di cellule mononucleate, su cui testare l’inibizione della proliferazione indotta da mitogeno sia dei GC che dell’AZA, attraverso il saggio d’incorporazione della timidina triziata. I dati ottenuti con il test in vitro sono stati poi correlati con la presenza di polimorfismi genetici degli enzimi coinvolti nella farmacogenetica di questi farmaci, con l’obiettivo di standardizzare una metodica che dovrebbe permettere di predire la risposta alla terapia prima di iniziare il trattamento. E’ stata osservata una maggiore sensibilità in vitro ai GC nei soggetti mutati per il polimorfismo BclI: questo SNP è risultato infatti essere associato ad una IC50 (concentrazione di farmaco che inibisce il 50% della proliferazione cellulare) più bassa, in confronto ai soggetti non mutati (p=0.0058). Questo risultato è confermato anche considerando l’Imax (l’inibizione della proliferazione cellulare alla concentrazione di farmaco più alta): soggetti con genotipo mutato per BclI presentano un’Imax più alta rispetto ai non mutati (p=0.0078). Sulla base di questi risultati, si conferma il ruolo importante del polimorfismo BclI nella risposta ai GC, già dimostrata nello studio retrospettivo, come marker genetico di risposta ai GC. Lo studio sulla sensibilità dell’AZA sui linfociti di volontari sani, non ha evidenziato correlazioni statististicamente significative tra i polimorfismi degli enzimi coinvolti nel metabolismo dell’AZA, e la sensibilità individuale a questo farmaco in vitro. Questa mancata correlazione, può derivare dal fatto che il metabolismo dell’AZA è principalmente di tipo epatico, e i linfociti probabilmente non rappresentano un buon modello per questo studio: esperimenti futuri riguarderanno l’utilizzo di linee cellulari epatiche, su cui verrà testata l’alterata sensibilità all’AZA e 6-MP, in condizioni di ipersespressione o silenziamento dei geni di nostro interesse, tra cui GST. Nel complesso, questa tesi ha sviluppato un set di valutazioni farmacologiche, integranti dati di farmacocinetica, farmacodinamica e farmacogenomica, da applicare all'ottimizzazione della terapia delle MICI pediatriche con steroidi ed AZA, in modo da aumentarne l'efficacia e ridurrne gli effetti avversi. I markers che sono risultati essere correlati ad un’alterata risposta a questi farmaci potrebbero essere utilizzati dal clinico per selezionare i pazienti responders dai non responders, e per trattare questi ultimi con associazioni di altri immunosoppressori in maniera precoce.
XXIV Ciclo
1979
Rastelli, Stefania. "Struttura e funzione arteriosa nelle malattie infiammatorie croniche intestinali." Doctoral thesis, Università di Catania, 2015. http://hdl.handle.net/10761/4023.
Повний текст джерелаCaccaro, Roberta. "Studio del ruolo dell'infezione da Citomegalovirus umano nelle malattie infiammatorie croniche intestinali." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2013. http://hdl.handle.net/11577/3423078.
Повний текст джерелаI pazienti affetti da malattia infiammatoria cronica intestinale (MICI) rappresentano una categoria emergente di soggetti a rischio di infezione/riattivazione di citomegalovirus (HCMV), data la natura infiammatoria della malattia e dato il sempre più frequente approccio terapeutico immunosoppressivo. Tuttavia il ruolo di HCMV in questa popolazione rimane ancora da chiarire. L'ipotesi attualmente più condivisa è che l'infezione, o più frequentemente la riattivazione virale, possa rappresentare un trigger di riaccensione della MICI e/o una causa di resistenza alla terapia medica. Tuttavia non è noto se tali evenienze siano da ricondurre ad una perdita di competenza del sistema immune nei confronti del virus secondaria alla terapia immunosoppressiva o alla esacerbazione della malattia infiammatoria cronica sottostante o al background immunologico proprio dei pazienti portatori di queste patologie. Particolare ruolo nella progressione di malattia potrebbe essere giocato dalla presenza di una microinfezione, ovvero di una infezione di basso grado, capace di mantenere uno stato di flogosi subclinica. Gli scopi dello studio sono: 1) valutare la frequenza di microinfezione da HCMV nella mucosa intestinale di pazienti affetti MICI e la relazione con la presenza di infiammazione e con il tipo di trattamento medico in corso; 2) valutare l'immunità cellulare T HCMV specifica nei soggetti con MICI in relazione all'attività di malattia e al tipo di trattamento medico in corso. Lo studio si è articolato in due parti: 1) la prima, retrospettiva, volta all'analisi di biopsie intestinali prelevate in corso di colonscopie eseguite per normale pratica clinica in pazienti consecutivi non selezionati. Sono state analizzate biopsie intestinali provenienti da pazienti con MICI e soggetti di controllo (che avevano eseguito colonscopia per screening o per sintomi gastrointestinali, senza riscontro tuttavia di alcuna lesione organica all'endoscopia e all'istologia). Le biopsie intestinali sono state analizzate mediante tecniche di immunoistochimica (IHC) ad alta sensibilità per la ricerca di microinfezione da HCMV (studio di antigeni "immediate early" (IE) e pp65). Da tali biopsie sono stati inoltre estratti DNA e RNA per l'analisi dell'espressione di IE-DNA e miRNA UL112 di HCMV (quest'ultimo implicato nei meccanismi di immuno-evasione) mediante Real Time-PCR. 2) La seconda parte dello studio, volta all'analisi dell'immunità cellulare T HCMV-specifica, si è articolata in una parte trasversale ed in una prospettica. Sono stati prelevati 10 ml di sangue periferico da pazienti con MICI consecutivi, non selezionati, afferenti alla SOC gastroenterologia. La stratificazione dei pazienti è stata eseguita sulla base degli indici di attività clinica di malattia validati per la malattia di Crohn (MC) e la colite ulcerosa (CU). Dai campioni di sangue periferico sono state estratte le cellule mononucleate (PBMCs), successivamente utilizzate nel saggio immunoenzimatico EliSpot dopo opportuna stimolazione con miscela di peptidi immunogenici di HCMV. Si sono considerati come normali livelli di immunità i casi che esprimessero almeno 20 spot forming colonies (SFCs)/200000 PBMCs. Nello studio retrospettivo sono stati inclusi 32 pazienti (11 con MC e 21 con CU) e 8 soggetti di controllo; sono state studiate mediante IHC complessivamente 116 biopsie intestinali raccolte nel corso di 55 esami endoscopici diversi. 84 su 116 biopsie (72%) provenivano da mucosa infiammata di soggetti con MICI; nei rimanenti casi da mucosa sana di soggetti con MICI o dai soggetti di controllo. Nel complesso, l'IHC per l'antigene IE di HCMV ha dato esito positivo nel 43% delle biopsie studiate; la totalità delle biopsie positive all'antigene IE proveniva da aree infiammate. L'IHC per l'antigene pp65 è risultata positiva nel 45% delle biopsie. In nessuna delle biopsie raccolte dai controlli è stata riscontrata positività per l'antigene IE, e solo in una biopsia è emersa una debole positività per pp65 in poche cellule epiteliali e della lamina propria. La positività ad entrambi gli antigeni è stata riscontrata più frequentemente nelle biopsie provenienti da mucosa infiammata rispetto a quelle provenienti da mucosa sana di soggetti con MICI. Questa maggior frequenza è stata riscontrata anche rispetto alle biopsie intestinali provenienti dai soggetti di controllo. Al contrario, non è emersa alcuna differenza statisticamente significativa nella frequenza della positività agli antigeni di HCMV nelle biopsie provenienti dai controlli rispetto a quelle provenienti da aree di mucosa esente da infiammazione di soggetti con MICI. La presenza di terapia immunosoppressiva al momento della colonscopia non è risultata associata ad un maggior rischio di avere l'IHC positiva per l'antigene IE o pp65, sia che fosse utilizzata in monoterapia che in associazione. Nel complesso, i soggetti affetti da MICI non immunosoppressi avevano tuttavia più frequentemente una positività antigenica rispetto ai soggetti di controllo, anch'essi non immunosoppressi (p = 0.001 per IE; p = 0.007 per pp65). Su 40 biopsie intestinali, provenienti da 30 differenti pazienti, è stato estratto il DNA ed eseguita la ricerca del genoma di HCMV mediante RT-PCR diretta contro il gene Major IE. Tale ricerca ha dato esito negativo in 26 casi (65%). I livelli di espressione del gene IE di HCMV sono risultati essere molto inferiori rispetto allo standard di riferimento (DNA proveniente da fibroblasti infettati in coltura), senza differenza significativa tra campioni provenienti da mucosa infiammata e non infiammata dei soggetti con MICI. Su 24 biopsie è stato eseguito uno studio di carattere esplorativo dell'espressione del miRNA specifico per HCMV UL112, riscontrandone la positività nel 100% dei campioni analizzati. Anche in questo caso i valori di espressione erano inferiori allo standard di riferimento. Nello studio prospettico volto a studiare l'immunità cellulare T HCMV-specifica nei pazienti affetti da MICI sono stati arruolati complessivamente 167 pazienti; di questi 125 (75%) erano già stati esposti all'infezione da HCMV, manifestando una sierologia IgG positiva. Il 13% dei pazienti ha dimostrato una bassa risposta immunitaria T-mediata nei confronti di HCMV, con una mediana di 6 SFCs/200000 PBMCs (range 0-19). Dodici di questi 17 pazienti stavano assumendo terapia immunosoppressiva. In 10 pazienti la malattia infiammatoria intestinale era almeno lievemente attiva secondo il corrispondente score clinico. Il 29% dei pazienti aveva una risposta HCMV-specifica intermedia, con una mediana di 60.5 SFCs/200000 PBMCs (range 24-99), mentre la maggioranza aveva una risposta elevata, con una mediana di 199.5 SFCs/200000 PBMCs (range 100-1000). Non sono stati osservati differenti livelli di immunità HCMV-specifica nella MC e nella CU, indipendentemente dallo stato di attività di malattia. La terapia medica in corso non è risultata influente sui livelli di immunità HCMV-specifica, sia nella MC che nella CU; il tipo di immunosoppressore (steroidi sistemici, tiopurine, biologici) o il numero di immunosoppressori in combinazione non si è associato a differenze significative nel numero di SFCs al test EliSpot. In particolare, 19 pazienti indirizzati alla terapia biologica anti-TNFα che sono stati valutati con IFN-γ EliSpot immediatamente prima di iniziare il trattamento e con un prelievo nel corso del mantenimento, non hanno subito una significativa modificazione dei valori di immunità. In conclusione, sembra plausibile che il virus che alberga in forma latente nell'organismo ospite risenta favorevolmente dell'ambiente infiammatorio tipico delle MICI in fase attiva e che sia questo a determinarne la riattivazione virale, indipendentemente dal trattamento medico in corso. Tuttavia, il virus metterebbe subito in atto meccanismi volti a ripristinare la fase di latenza per evitare che il sistema immune dell'ospite, riattivando ed espandendo il compartimento cellulare T HCMV-specifico, riesca a eliminare, almeno in parte, l'infezione.
Agostini, Alessandro <1973>. "Applicazione della neurodiagnostica avanzata allo studio dei disturbi psicologici nelle malattie infiammatorie croniche intestinali." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2011. http://amsdottorato.unibo.it/3277/1/alessandro_agostini_tesi.pdf.
Повний текст джерелаAgostini, Alessandro <1973>. "Applicazione della neurodiagnostica avanzata allo studio dei disturbi psicologici nelle malattie infiammatorie croniche intestinali." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2011. http://amsdottorato.unibo.it/3277/.
Повний текст джерелаCucino, C. "Prevalenza della colelitiasi in una serie consecutiva di pazienti con malattie infiammatorie croniche intestinali." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2005. http://hdl.handle.net/2434/62148.
Повний текст джерелаPastorelli, Luca <1977>. "Espressione e ruolo funzionale di interleuchina-33 e del suo recettore, ST2, nelle malattie infiammatorie croniche intestinali." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2011. http://amsdottorato.unibo.it/4148/1/pastorelli_luca_tesi.pdf.
Повний текст джерелаPastorelli, Luca <1977>. "Espressione e ruolo funzionale di interleuchina-33 e del suo recettore, ST2, nelle malattie infiammatorie croniche intestinali." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2011. http://amsdottorato.unibo.it/4148/.
Повний текст джерелаSaibeni, S. "Ruolo del fattore V Leiden e della mutazione G20210A PT nelle trombosi associate alle malattie infiammatorie croniche intestinali." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2005. http://hdl.handle.net/2434/62471.
Повний текст джерелаSguera, Alessandra <1985>. "Colectomia laparoscopica vs colectomia open per malattie infiammatorie croniche intestinali: outocomes chirurgici e funzionali a breve e lungo termine." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2021. http://amsdottorato.unibo.it/9601/1/Sguera%20Alessandra%20tesi.pdf.
Повний текст джерелаThis study aims to perform a comparative analysis between different surgical techniques for total abdominal colectomy surgery and to compare the results of different standards of postoperative care, in patients suffering from chronic inflammatory bowel diseases. A prospective randomized three-year study was designed, the first two for the enrollment and treatment of patients and the last to ensure a minimum postoperative follow-up and perform statistical analysis of the results. This single-center study was performed in a nationally recognized reference center for the medical and surgical treatment of the diseases in question. The primary objective of this study is to evaluate differences in terms of short and long-term surgical outcomes of total abdominal colectomy performed with traditional open and laparoscopic technique. It is also proposed to highlight, as a secondary objective, any differences in postoperative hospitalization and clinical outcomes in patients undergoing colectomy in relation to the type of postoperative management, comparing traditional postoperative management with new fast-track treatment protocols.
Spina, Luisa <1975>. "Variazione dei markers di attivata coagulazione indotta dalla terapia infusionale con Infliximab in pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche intestinali." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2008. http://amsdottorato.unibo.it/707/1/Tesi_Spina_Luisa.pdf.
Повний текст джерелаSpina, Luisa <1975>. "Variazione dei markers di attivata coagulazione indotta dalla terapia infusionale con Infliximab in pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche intestinali." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2008. http://amsdottorato.unibo.it/707/.
Повний текст джерелаCiafardini, C. "LA RIDUZIONE DEI MACROFAGI CD68+ TISSUTALI E LA DIMINUZIONE NELL'ESPRESSIONE MUCOSALE DI INTERLEUCHINA 17 SONO STRETTAMENTE CORRELATI CON LA RISPOSTA ENDOSCOPICA E CON LA GUARIGIONE DELLA MUCOSA A SEGUITO DI TERAPIA CON INFLIXIMAB IN PAZIENTI CON MALATTIE INFIAMMATORIE CRONICHE INTESTINALI." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2014. http://hdl.handle.net/2434/233025.
Повний текст джерелаSpagnol, Lisa. "Espressione e attività del recettore nicotinico α7nAchR in macrofagi intestinali di pazienti con malattie infiammatorie croniche intestinali ed in modelli murini di neuropatie del sistema nervoso enterico". Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2015. http://hdl.handle.net/11577/3423987.
Повний текст джерелаIl recettore nicotinico α7 è coinvolto nel sistema colinergico anti-infiammatorio, il meccanismo attraverso il quale il sistema nervoso regola la risposta infiammatoria dei leucociti. Il nervo vago rilascia acetilcolina che lega i recettori nicotinici α7 (α7nAChR) presenti nella superficie dei macrofagi, inibendo il rilascio di mediatori della risposta pro-infiammatoria, quali TNFα e IL1β. Le malattie infiammatorie croniche (in inglese IBD, Intestinal Bowel Disease) sono malattie idiopatiche caratterizzate da flogosi cronica che comprendono malattia di Crohn (MC) e colite ulcerosa (CU). Nellâuomo, studi epidemiologici hanno dimostrato che il fumo ha un effetto soppressivo su macrofagi e linfociti migliorando il decorso della CU mentre aggrava il quadro istologico della MC. I meccanismi responsabili di questa dicotomia non sono attualmente noti. Questo lavoro di tesi si è proposto di studiare i meccanismi alla base dellâattività anti-infiammatoria espletata dalla nicotina nei pazienti affetti da CU ma non da MC verificando lâipotesi che diversi livelli di espressione dei recettori nicotinici nei pazienti con CU ed MC possano giustificare il diverso effetto della nicotina sul decorso della malattia. Si è quindi verificato se lâespressione dei recettori nicotinici nei macrofagi mucosali in corso di infiammazione, e quindi la loro sensibilità al riflesso anti-infiammatorio colinergico, potesse essere influenzata dal sistema nervoso enterico. I livelli di espressione e la funzionalità del recettore nicotinico α7nAChR in pazienti affetti da CU e MC in remissione clinica o in fase di attività lieve rispetto a soggetti di controllo (VS, volontari sani o soggetti in screening per cancro colico) sono stati studiati in macrofagi differenziati da monociti ottenuti da sangue periferico ed in macrofagi intestinali isolati da biopsie di colon-sigma. Nei macrofagi derivati dal sangue periferico, il recettore nicotinico α7nAChR è risultato paragonabile tra i tre gruppi sia a livello di mRNA, quantificato mediante Real Time-PCR, che di proteina, quantificata determinando il legame di α-bungarotossina-Alexa Fluor 488. Al contrario, il recettore nicotinico è risultato invece maggiormente espresso nei macrofagi della mucosa intestinale dei soggetti con CU rispetto ai soggetti sani o con MC. Inoltre la nicotina, ligando esogeno di α7nAChR, ha ridotto in maniera significativa lâespressione di TNFα stimolata da LPS nei macrofagi mucosali di CU ma non di MC. Al fine di determinare il meccanismo responsabile dellâalterata espressione del α7nAChR nella MC, il sistema colinergico anti-infiammatorio è stato studiato in diversi modelli murini caratterizzati dalla presenza di una neuropatia del sistema nervoso enterico, poiché è nota la presenza di danni strutturali e funzionali ai neuroni enterici nei pazienti con MC. In particolare sono stati utilizzati topi deficienti del recettore TLR2 (TLR2-/-) o topi con infezione nel sistema nervoso enterico da Herpes Virus simplex di tipo 1 (HSV-1). In questi animali è stata determinata, in condizioni basali e durante le fasi precoci e tardive di una colite sperimentale da DSS, lâespressione di α7nAChR nei macrofagi intestinali e il grado di attivazione pro-infiammatoria di queste cellule. I macrofagi della mucosa colica hanno evidenziato che in condizioni basali non vi è una significativa differenza tra topi WT e topi TLR2-/- nei livelli di espressione del recettore α7nAChR nei macrofagi intestinali, mentre nella neuropatia nei topi inoculati con HSV-1 si registra un significativo aumento del recettore α7nAChR. Tuttavia, a seguito della somministrazione di DSS per tre giorni si è osservato un significativo aumento del recettore α7nAChR in topi WT, ma non nei topi portatori di neuropatia enterica, TLR2-/- e infettati per via orogastrica con HSV-1. Parallelamente lâattivazione dei macrofagi mucosali è stata determinata quantificando lâespressione del marcatore di superficie F4/80 e lâattivazione della caspasi-1. Nei macrofagi della mucosa colica di topi WT ma non in topi portatori di neuropatia del SNE si osserva lâattivazione della caspasi-1 e la sovra-espressione di F4/80 durante le fasi iniziali della colite indotta da DSS. Inoltre, solo nei macrofagi ottenuti da topi WT la nicotina è in grado di ridurre lâattivazione della caspasi-1 indotta da LPS+ATP. La somministrazione in vivo di nicotina riduce la gravità della colite nei topi WT ma risulta inefficace nei topi TLR2-/-. Infine, abbiamo quindi verificato che ristabilendo lâintegrità del SNE mediante la somministrazione di fattore neurotrofico derivante dalla glia (GDNF) in vivo a topi TLR2-/-, viene ripristinata una normale attivazione della caspasi-1 nei macrofagi mucosali in corso di colite. In conclusione, unâottimale azione del sistema colinergico anti-infiammatorio richiede lâaumentata espressione di α7nAChR nei macrofagi mucosali in risposta ad un processo flogistico. Tuttavia, in presenza di neuropatia (i.e. virale o trofica) lâaumentata espressione di α7nAChR nei macrofagi mucosali può risultare insufficiente portando eventualmente ad un danno mucosale amplificato. I mediatori che direttamente regolano lâespressione di α7nAChR nei macrofagi mucosali sono attualmente oggetto di studio.
Rondonotti, Emanuele <1974>. "Ruolo del tessuto adiposo nelle malattie infiammatorie croniche intestinali: valutazione dei livelli sierici di adipocitochine in pazienti affetti da colite ulcerosa e malattia di Crohn in terapia con Infliximab." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2008. http://amsdottorato.unibo.it/708/1/Tesi_Rondonotti_Emanuele.pdf.
Повний текст джерелаRondonotti, Emanuele <1974>. "Ruolo del tessuto adiposo nelle malattie infiammatorie croniche intestinali: valutazione dei livelli sierici di adipocitochine in pazienti affetti da colite ulcerosa e malattia di Crohn in terapia con Infliximab." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2008. http://amsdottorato.unibo.it/708/.
Повний текст джерелаMartinato, Matteo. "Uno studio prospettico sull'infezione da Clostridium difficile nelle malattie infiammatorie croniche intestinali: fattori di rischio, tossino-tipi, sensibilità agli antibiotici, capacità di adesione e impatto sul successivo decorso della malattia." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2013. http://hdl.handle.net/11577/3423091.
Повний текст джерелаIl Clostridium difficile è un batterio Gram positivo raramente presente nella normale flora intestinale umana che in particolari condizioni di disbiosi intestinale, in pazienti trattati con antibiotici ad ampio spettro, in pazienti ospedalizzati, in soggetti immunocompromessi e in persone anziane, può causare patologie di variabile gravità indicate complessivamente come Clostridium difficile Associated Diarrohea (CDAD). Sebbene in passato il Clostridium difficile sia stato indicato come possibile concausa dello sviluppo delle malattie infiammatorie croniche intestinali (note anche come inflammatory bowel disease, IBD), oggi si è più propensi a ritenere che le IBD possano essere un fattore di rischio per l’infezione da Clostridium difficile (CDI). La CDI nei pazienti affetti da IBD riveste una sempre maggiore importanza, sia perché la frequenza con cui si presenta stà crescendo nel tempo, sià perché sembra determinare un impatto negativo sugli outcome di salute, ma anche perché la sintomatologia indotta dalla CDI è indistinguibile da quella di una riacutizzazione della IBD: è quindi fondamentale una diagnosi tempestiva per instaurare le terapie più idonee al trattamento del caso. Lo scopo dello studio è descrivere la frequenza della CDI in soggetti sani, soggetti non affetti da IBD ospedalizzati con sospetto di CDAD e soggetti affetti da IBD, caratterizzare i ceppi di Clostridium difficile isolati da pazienti IBD (sensibilità agli antibiotici, tipologie di tossine prodotte, capacità di adesione all’epitelio intestinale), identificare i fattori di rischio per la CDI nei pazienti IBD (caratteristiche del soggetto, della malattia, della terapia concomitante) e valutare l'impatto della CDI sul decorso della IBD, sia nei portatori sintomatici che in quelli asintomatici. Da gennaio 2010 sono stati raccolti ed analizzati campioni da pazienti IBD ambulatoriali o degenti presso l’unità operativa complessa di gastroenterologia dell’Azienda Ospedaliera di Padova (sia in fase acuta di malattia che in remissione), da pazienti ricoverati presso la medesima unità operativa non affetti da IBD con sintomi e terapia medica suggestivi di CDAD e da un gruppo di controllo di soggetti sani appaiati per età e sesso. Dalla prima valutazione (e della raccolta del primo campione) i pazienti con IBD sono stati valutati almeno ogni sei mesi o in caso di recidiva o di ricovero ospedaliero per due anni. Su ogni campione è stata eseguita una coltura anaerobica seguita da PCR specifica per identificare eventuali colonie di C. difficile. Ogni ceppo è stato poi caratterizzato in base a: - tossine prodotte - sensibilità agli antibiotici - adesione alle cellule Caco-2 - presenza o assenza del gene tcdC nel DNA batterico Dati clinici sono stati raccolti dai pazienti con IBD per identificare eventuali fattori di rischio per la CDI. I pazienti con IBD sembrano presentare una maggiore frequenza di colonizzazione da parte del Clostridium difficile rispetto al gruppo di controllo dei soggetti sani: nei controlli la CDI è stata rilevata in 0/55 soggetti. Nei pazienti ricoverati con IBD è stata trovata in 5/55 soggetti (9%). Nei pazienti ambulatoriali è stata rilevata in 9/195 soggetti (4,6%). Il profilo di produzione delle tossine sembra essere differente nei pazienti IBD e nei pazienti non-IBD con diarrea da antibiotici, confermando l'ipotesi di ceppi acquisiti in comunità e non in ambiente ospedaliero. L’antibiogramma eseguito su ceppi isolati da pazienti con CDAD e pazienti con IBD attive o in remissione ha mostrato che tutti i ceppi sono sensibili a metronidazolo e vancomicina e marcatamente resistenti alla ciprofloxacina. Ceppi di Clostridium difficile isolati da pazienti con IBD attive, in fase di remissione e da pazienti con CDAD hanno dimostrato una diversa, seppur piccola, capacità di aderire a monostrati di cellule epiteliali intestinali umane (CACO-2), indicando che i ceppi associati ai pazienti con IBD attive hanno maggiore abilità a colonizzare di quelli in remissione. Il gene tcdC è stato identificato nell’8% dei ceppi tossigenici isolati da pazienti IBD (attivi ed in remissione) e nel 25% di quelli isolati da pazienti con CDAD, ma il genoma presentava delezioni di varia entità, indicando una potenziale aumentata virulenza dei ceppi identificati. L'analisi statistica non ha individuato fattori di rischio associati con la CDI. Nella parte prospettica dello studio la CDI non è stata identificata come fattore di rischio per la recidiva clinica o endoscopica o per la necessità di trattamento chirurgico, dimostrando invece, inaspettatamente, di avere un ruolo protettivo nei confronti della riacutizzazione della malattia.
Martino, Carmela Di. "La chirurgia mini-invasiva nelle malattie infiammatorie croniche intestinali." Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/2158/1128887.
Повний текст джерелаDenaro, Marcella. "I flavanoni del Citrus come potenziale strategia terapeutica nel trattamento delle malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI)." Doctoral thesis, 2022. http://hdl.handle.net/11570/3218958.
Повний текст джерелаGATTI, SIMONA. "Marcatori di danno intestinale nelle malattie infiammatorie croniche intestinali pediatriche." Doctoral thesis, 2017. http://hdl.handle.net/11566/245512.
Повний текст джерелаFIORENTINI, Tiziana. "LE CELLULE STAMINALI MESENCHIMALI IN MEDICINA RIGENERATIVA: Stato dell’arte e prospettive di applicazione sperimentale nelle malattie croniche intestinali." Doctoral thesis, 2014. http://hdl.handle.net/10447/86063.
Повний текст джерелаKATSOTOURCHI, Anna Maria. "TRATTAMENTO DELLA PANCREATITE AUTOIMMUNE CON AZATIOPRINA: RISULTATI SU UNA CASISTICA PERSONALE CON VALUTAZIONE DEI POSSIBILI EFFETTI COLLATERALI E DELL’ASSOCIAZIONE CON MALATTIE INFIAMMATORIE CRONICHE INTESTINALI." Doctoral thesis, 2012. http://hdl.handle.net/11562/467766.
Повний текст джерелаAutoimmune pancreatitis (AIP) is a disease with difficult diagnostical and therapeuthical approach. Indeed, steroid theraphy is effective in the short term treatment, but ii do not prevent the disease relapse. A part of AIP patients need therefore a long term immunosuppressive therapy. Clinical, biochemical and instrumental characteristic of patients at risk for relapse seems to be the presence of jaundice at clinical onset, increase of serum levels of IgG4, and the extrapancreatic involvement, that seems therefore to be prognostic factor for relapse. In these patients, immunosuppressant is indicated. Azathioprin has been suggested the treatment of choice on the basis of the results of our study. Furthermore, our systematic review and our results on AIP patients treated whit this drug seems not to increase the risk of pancreatitis during the treatment of azathioprin. The clinical profile of AIP patients suffering from ulcerative colitis is not different from the other AIP patients. Since ulcerative colitis may be treated with immunosuppressant, its presence do not exclude a possible treatment with azathioprin. Prospective multicenter studies are suggested to confirm our conclusions.