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Дисертації з теми "Fonte del diritto"

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1

TOSI, CAMILLA. "Sondaggi sulla Letteratura latina arcaica come fonte di cognizione del Diritto romano preclassico. Il caso del matrimonium plautino." Doctoral thesis, Università degli studi di Ferrara, 2020. http://hdl.handle.net/11392/2488296.

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Анотація:
La Tesi indaga alcuni aspetti del Diritto privato romano preclassico, in particolare quello del matrimonium. Dopo alcune premesse di ordine filologico e storiografico, si cerca di dimostrare l’attendibilità della produzione plautina quale fonte di cognizione di diritto romani preclassico. Partendo dalla storicizzazione degli istituti, si cerca di stabilire il rapporto dei mores con la dimensione privatistica romana, attraverso l’esame delle fonti letterarie arcaiche quali le commedie ‘varroniane’. Il focus verte sulla dimensione politica di stampo conservatore e sulla società romana fra III e II sec. a.C., nonché sul processo di ‘romanizzazione’ e le influenze del mondo orientale, in particolare quello greco. Il ruolo giocato dal diritto risulta essere primario nella fase medio-repubblicana. Il sondaggio lessicale, incentrato sulla terminologia giuridica, dimostra la fortuna e la tradizione di specifiche occorrenze e di quegli aspetti propri dei rapporti coniugali in Plauto: tale ricerca fornisce nuovi elementi cognitivi utili a promuovere nuove indagini sulla storia del diritto romano, chiarendo alcuni aspetti talvolta trascurati dalla bibliografia.
The Thesis scientifically investigates some key aspects of Pre-classical Roman private law, in particular the ancient Roman matrimonium. After some philological and historiographic premises, the principal aim is to convincingly demonstrate the historical reliability of Plautine poetic production as a possible source of knowledge of Pre-classical Roman law. Starting from the historicization of the juridical institutes, the purpose is to accurately establish the relation of the Mores with the Roman private dimension, through the examination of the archaic literary sources like the so-called ‘Varronian’ comedies. The historical focus is on the conservative political dimension and the Roman society between 3rd and 2nd cent. BC. The key role enacted by Roman law appears inevitably influenced by the Eastern world, in particular the Greek one. The lexical survey, focused on juridical terminology, convincingly demonstrates the tradition of specific occurrences and aspects of conjugal relationships in Plautus. This historical research provides new cognitive elements capable to promote additional investigations into the history of Roman law, clarifying some key aspects frequently overlooked by the bibliography.
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2

Vitale, Francesca. "I principi contabili IAS/IFRS e le fonti del diritto: impatto sistematico e riflessi sulla disciplina del bilancio." Doctoral thesis, Luiss Guido Carli, 2008. http://hdl.handle.net/11385/200780.

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Анотація:
Il sistema delle fonti del diritto italiano. Il sistema delle fonti del diritto comunitario. La contabilità, il bilancio e la posizione dei principi contabili nazionali all'interno del sistema delle fonti. Il sistema IAS/IFRS: origine, struttura e rapporti con il diritto comunitario. Principi contabili nazionali, IAS/IFRS e teoria delle fonti: un primo tentativo di ricostruzione del sistema.
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3

Nicolussi, Principe Anna. "Gli interessi dei lavoratori tra crisi e insolvenza dell'imprenditore. Il nuovo Codice fonte di maggiori tutele?" Doctoral thesis, Università degli studi di Trento, 2021. http://hdl.handle.net/11572/320267.

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Анотація:
This doctoral thesis concerns the recent legislative intervention represented by the enactment of the new “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza” (Legislative Decree No. 14 of 12 January 2019). The objective is to ascertain whether, in the context of a consideration of interests greater than those pertaining to pecuniary obligations, the new code, in addition to the privileged protection of claims granted to workers, also gives prominence to their interest in the preservation of their jobs. The consequence would be a wider protection not only in the crisis phase, but also in the context of the events following the opening of insolvency proceedings. The starting point is the analysis of the complex relationship between insolvency law and labour law, highlighting the diversity of the protected legal assets. Then, the dissertation examines the institutions aimed at favouring the preservation of the company and the employment relationship that depend on it. Evidence will be given to the tendency of the new discipline to favour the early detection of the state of crisis and the preservation of the company’s assets and employment relations in the hands of the insolvent entrepreneur, of a third party and/or with the procedure.
Il presente lavoro si correla al recente intervento legislativo rappresentato dall’emanazione del nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14). L’obiettivo che si pone è quello di verificare se, nel contesto di una maggiore considerazione di interessi diversi da quelli attinenti ai rapporti obbligatori di tipo pecuniario, il nuovo codice, accanto alla tutela privilegiata dei crediti riconosciuta ai lavoratori, dia rilievo anche al loro interesse alla conservazione del posto di lavoro, con conseguente maggiore protezione non solo nella fase della crisi, ma anche nell’ambito delle vicende conseguenti all’apertura delle procedure concorsuali. Si prenderanno le mosse dall’analisi del complesso rapporto tra il diritto concorsuale e il diritto del lavoro mettendo in evidenza la diversità dei beni giuridici protetti per poi analizzare gli istituti volti a favorire la conservazione dell’azienda e con essa dei rapporti di lavoro. Si evidenzierà una linea di tendenza della nuova disciplina diretta a favorire la rilevazione precoce dello stato di crisi e la conservazione del complesso aziendale e dei rapporti di lavoro in capo all’imprenditore insolvente, ad un soggetto terzo e/o alla procedura.
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4

CAPUZZA, VITTORIO. "Giacomo Leopardi, Monaldo e l’idea della legge: studi leopardiani su una fonte inedita dello Zibaldone (1820-1821): l’Essai di félicité de lamennais." Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2009. http://hdl.handle.net/2108/201891.

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Анотація:
Questo lavoro di ricerca tratta delle opposte visioni del diritto, fino a ora inesplorate, che elaborarono Giacomo Leopardi e suo padre Monaldo, mettendole a confronto. Soprattutto, contiene delle inedite fonti dello Zibaldone, cioè i rimandi specifici e dettagliati compiuti da Giacomo al libro scritto dall’abate Lamennais intitolato Essai sur l’indifférence en matiè de Religion, acquistato da Monaldo nella traduzione del Bigoni. La ricerca delle fonti è stata condotta nella Biblioteca di Casa Leopardi a Recanati. Viene poi svolto un esame particolare della visione filosofica della società che, attraverso quelle fonti, Giacomo Leopardi compie a cominciare dall’età antica fino al suo secolo. Anche Monaldo è studiato attraverso una luce nuova e sulla base di fonti documentali inedite, fra cui, in particolare, il suo intervento a Roma nella Causa Celebre Cesarini-Sforza. In questa ricerca, Monaldo è così scoperto come un vero pensatore e un illuminato amministratore della sua cittadina. La sua visione della legge e della società degli uomini è quella antica della Chiesa.
The paper investigates Giacomo Leopardi’s distinctive feature observed in his creative thought: in particular, this research is a documented study on the vision of law, hitherto unexplored, of Giacomo Leopardi and his father Monaldo. Especially, this study is unpublished literary sources of the Zibaldone, for which Leopardi make references to the book written by Lamennais, entitled Essai sur l’indifférence en matiè de Religion. The search for literary sources has been conducted in the Library of Leopardi in Recanati. In this work the author studies the philosophical links between Leopardi’s philosophy and that of Lamennais and the vision of society and the law until the early centuries to 1800th. Monaldo is also considered, so he is discovered as a true and enlightened thinker and mayor of Recanati; his vision of law and society of men is the one of the ancient Church: this ideology (and and the different functions of the Law in the Middle Age) will stay in the occidental thought.
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5

D'Auria, Massimo <1974&gt. "L'interpretazione del contratto nelle fonti del diritto europeo." Doctoral thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2005. http://hdl.handle.net/10579/797.

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6

Cogo, Michelle <1988&gt. "Nascita e formazione del sistema delle fonti del diritto di Hong Kong." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2013. http://hdl.handle.net/10579/3712.

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Анотація:
La nascita e la formazione del sistema delle fonti del diritto di Hong Kong avvengono in concomitanza con importanti eventi storici che influenzano in maniera determinante Hong Kong. Tra la seconda metà del XIX secolo e l’inizio del XX secolo, a seguito delle guerre dell’oppio, si conclusero i cosiddetti trattati ineguali, attraverso i quali si stabilì la cessione di Hong Kong come colonia al Regno Unito. Ciò determinò l’adozione di un sistema giuridico di common law da parte della colonia britannica. Successivamente alla fondazione della Repubblica Popolare cinese nel 1949, il governo cinese prese una posizione coerente su Hong Kong sostenendo l’appartenenza di quest’ultima al territorio cinese e attraverso una serie di negoziati tra la Cina e la Gran Bretagna si decise per l’amministrazione diretta della Regione a statuto amministrativo speciale di Hong Kong da parte del Governo Popolare Centrale Cinese. Nel 1984 le due parti raggiunsero un accordo e siglarono la Joint Declaration sino-inglese e successivamente la Basic Law del 1990 che istituì il documento costitutivo di Hong Kong attraverso cui in conformità con il principio “un paese, due sistemi” si concordò il mantenimento per 50 anni del sistema capitalista e dello stile di vita precedente.
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7

Napoli, Nadia. "Energia sostenibile. Sfide e prospettive del diritto globale." Doctoral thesis, Universita degli studi di Salerno, 2012. http://hdl.handle.net/10556/1294.

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Анотація:
2010 - 2011
La tesi esamina la dimensione ambientale delle questioni energetiche e le interconnessioni esistenti fra il diritto internazionale a protezione dell’ambiente e la regolamentazione giuridica del settore dell’energia, con specifico riferimento alle fonti rinnovabili e alla produzione di energia nucleare a scopi civili (cd. nucleare civile). Il tema della sostenibilità ambientale e le problematiche energetiche derivanti dall’utilizzo delle fonti fossili sono sempre più spesso dibattute in sedi internazionali. L’attuazione di una politica energetica «sostenibile» rappresenta attualmente una delle maggiori sfide del terzo millennio, in ossequio alla responsabilità inter-generazionale di cui si è fatta carico la comunità internazionale a partire dagli anni Settanta e che ha trovato efficace espressione nel concetto di sviluppo sostenibile. All’attenzione rivolta dai Governi all’energy security, cioè alle questioni di approvvigionamento delle risorse energetiche, si è affiancato — in conseguenza all’in-ternazionalizzazione della protezione ambientale — l’interesse sovranazionale/globale all’energy safety, vale a dire alla compatibilità dei modelli di produzione e consumo energetici con l’esigenza di tutela dell’ambiente umano. L’analisi condotta si incentra su tale aspetto, che poca attenzione ha avuto fino ad oggi da parte della dottrina internazionalistica. L’obiettivo della ricerca è verificare se si siano affermati a livello internazionale standards a tutela dell’ambiente, applicabili al settore energetico, che limitino gli Stati nella definizione delle politiche nazionali, nonché di analizzarne la modulazione rispetto alle diverse fonti alternative, in ragione delle specificità delle stesse. Nell’ottica descritta, verrà pertanto effettuata una disamina parallela dell’evoluzione normativa, delle politiche adottate a livello globale, regionale e statale, nonché delle procedure internazionali di controllo, esistenti rispetto alle due sub-species di fonti alternative: quelle rinnovabili e quella atomica. L’analisi è articolata in tre parti. Nel primo capitolo, dopo aver ricostruito, sulla base degli atti e della giurisprudenza internazionale, il concetto di sviluppo sostenibile, si analizzano i principi e gli obblighi ambientali applicabili al settore dell’energia, al fine di delineare il concetto giuridico di sostenibilità energetica. Si passa poi alla ricostruzione della normativa internazionale relativa, rispettivamente, alle fonti rinnovabili e all’energia nucleare, e si esaminano gli obblighi a tutela dell’ambiente ivi specificamente previsti. Il secondo capitolo ha ad oggetto le politiche energetiche internazionali, regionali e statali, riguardanti le due sottocategorie di fonti alternative. In particolare, a livello regionale è analizzata la politica energetica dell’Unione Europea e le competenze, nel settore della nuclear safety, dell’EURATOM. Il terzo capitolo, infine, esamina le procedure di controllo e le garanzie internazionali esistenti nel settore dell’energia per la verifica del rispetto degli obblighi di safety. Quanto a tale profilo, va sottolineato che esula dall’indagine, per esserne solo incidentalmente toccato, il tema della responsabilità internazionale per danni ambientali prodotti dall’attività di produzione energetica e/o da incidenti nucleari. La ricerca, infatti, intende incentrarsi sulla “fase fisiologica” piuttosto che su quella “patologica”, cioè sulle misure che, nel rispetto degli obblighi ambientali, devono essere preventivamente adottate dagli Stati nel settore della produzione e dell’utilizzo dell’energia, specie se trattasi della fonte atomica. [a cura dell'autore]
X n.s.
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8

Zorzi, Luca <1993&gt. "Il marchio forte e il marchio debole: dal secondary meaning alla volgarizzazione del marchio." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2018. http://hdl.handle.net/10579/13172.

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Анотація:
L'elaborato presenta un'analisi del marchio d'impresa, con riferimenti alla normativa comunitaria e nazionale, nello specifico in riguardo ai marchi definiti forti o deboli. Verranno approfonditi gli aspetti dell'acquisizione o perdita di capacità distintiva, del secondary meaning e della volgarizzazione del marchio. Nel lavoro verranno analizzati diversi casi e i recenti sviluppi in materia.
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Magnani, Rino. "Nuove prospettive sui principi generali nel sistema delle fonti del diritto internazionale /." [Milano] : Mursia, 1997. http://www.gbv.de/dms/spk/sbb/recht/toc/280262140.pdf.

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10

Rossi, Michela <1975&gt. "La frammentazione delle fonti nella regolazione delle Autorità Indipendenti." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2009. http://amsdottorato.unibo.it/1991/1/Michela_Rossi_tesi_dottorato.pdf.

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11

Rossi, Michela <1975&gt. "La frammentazione delle fonti nella regolazione delle Autorità Indipendenti." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2009. http://amsdottorato.unibo.it/1991/.

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Pulice, Elisabetta. "Il ruolo della deontologia medica nel sistema delle fonti del diritto : un'analisi comparata." Thesis, Paris 10, 2014. http://www.theses.fr/2014PA100101/document.

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Анотація:
L'objet de la thèse, préparée dans le cadre de la convention de co-tutelle entre l’Université de Trento en Italie et l’Université Paris Ouest Nanterre la Défense en France, consiste dans une analyse comparée du rôle de la déontologie médicale dans les sources du droit en Italie, France et Allemagne. Le spectre d’analyse adopté est double. On cherche d’abord à rendre compte des aspects architecturaux des rapports entre droit et déontologie médicale ; ce faisant, on concentre l’analyse sur les modalités de la codification de l’éthique professionnelle en France, en Allemagne et en Italie, sur le pouvoir normatif des ordres professionnels, et sur la valeur juridique des codes de déontologie médicale et leur intégration dans le système des sources du droit. En second lieu, on cherche, dans une perspective plus substantielle, à comprendre les relations entre droit et déontologie, et notamment le rôle de la déontologie médicale dans le domaine du biodroit. Ce spectre d’analyse est en outre élargi à la procédure disciplinaire et à la perspective européenne. La première partie de la thèse est dédiée à certaines remarques préliminaires et notamment à un effort de définition de la déontologie médicale, à certaines « questions ouvertes » de son rapport avec le droit et à la relation, en perspective comparée, entre langue et droit dans la signification du mot « déontologie ». La seconde partie est dédiée à la codification de l’éthique professionnelle, alors que le rôle de la déontologie médicale dans le biodroit est l’objet de la troisième partie. La quatrième partie concerne la procédure disciplinaire et, finalement, la cinquième partie est dédiée à la reconstruction et l’analyse critique des résultats de la comparaison, à la perspective européenne et à la proposition d’un nouveau modèle italien des rapports entre le droit et la déontologie médicale
The thesis aims at analysing, from a comparative perspective, the role of medical ethics in Italy, France and Germany. The survey focuses on both the formal and substantive aspects of the relationships between law and medical ethics. As to the first issue, the thesis analyses the codification of medical ethics, the normative function of the medical councils, the binding value of the codes of medical ethics and their position in the hierarchy of norms. With regard to the second aspect, the role of medical ethics is studied from a more substantial perspective, analysing the concrete interrelations between law and medical ethics in the field of biolaw. The survey is then extended to the disciplinary procedure and to the European level. In the first part, the relationships between law and medical ethics are analysed from a linguistic perspective, aiming at underlining some specific features of the concepts referred to as “déontologie”, “deontologia” or “Standesrecht” and “Berufsordnung” in France, Italy and Germany. This part also deals with some “open questions” characterising the relationships between medical ethics and the law. The second part concerns the codification of medical ethics, while its role in the field of biolaw is analysed in the third part. The fourth part deals with deontological liability and disciplinary procedures. Lastly, the fifth part aims at elaborating a theoretical reconstruction of the results of the comparative analysis, at highlighting the main roles of medical ethics at the European level and at suggesting a different model for the relationships between law and medical ethics in the Italian system
L’obiettivo della tesi è un’analisi comparata del ruolo della deontologia medica nel sistema delle fonti del diritto in Italia, Francia e Germania. Per tenere conto della complessità del rapporto tra diritto e deontologia, sono stati analizzati sia gli aspetti formali di tale rapporto, sia i profili sostanziali del ruolo della deontologia medica nel biodiritto. Nella prima parte alcune considerazioni preliminari e l’analisi linguistica hanno permesso di definire l’ambito di indagine e i profili di maggiore complessità del rapporto tra dimensione deontologica e dimensione giuridica sui quali nelle parti successive si è concentrata l’indagine. La seconda parte, dedicata alla codificazione dell’etica medica, ha messo in luce la varietà di soluzioni e di modalità di ingresso della norma deontologica nell’ordinamento giuridico. Nella terza parte sono stati analizzati il ruolo della deontologia medica nell’ambito del biodiritto e l’influenza di alcuni fattori particolarmente rilevanti sull’evoluzione dei contenuti concreti dei codici deontologici e sulla loro portata pratica. La quarta parte è dedicata alla violazione della deontologia e ai procedimenti disciplinari. Infine la parte conclusiva contiene una ricostruzione teorica dei risultati emersi dall’analisi comparata, lo studio di alcuni profili legati alla dimensione europea della deontologia e la proposta di alcune ipotesi di riforma per un modello italiano più coerente, flessibile ed efficace dei rapporti tra diritto e deontologia
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DE, SOCIO VALENTINA. "L'ACCESSO ALL'ACQUA POTABILE NEL DIRITTO INTERNAZIONALE." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2011. http://hdl.handle.net/10280/983.

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La tesi mira a verificare l'effettiva esistenza del diritto umano all'acqua potabile. A questo fine viene studiata l'evoluzione del pensiero giuridico sull'accesso all'acqua potabile attraverso i principali strumenti di soft law, i le posizioni della dottrina e della giurisprudenza. Dal momento che l'accesso all'acqua potabile non compare nelle principali convenzioni dedicate ai diritti umani viene studiato il processo inferenziale che ha portato buona parte della dottrina a sostenere l'esistenza di tale diritto. Una volta individuato una comune definizione di diritto all'acqua, se ne analizzano le componenti, le obbligazioni ad esso relative e i legami tra tale diritto e gli altri diritti umani; a questo proposito viene proposta una breve analisi dell'esistenza di un diritto di accesso a fini agricoli. La conclusione si articola intorno all'ipotesi di un processo consuetudinario di formazione del diritto. Particolare attenzione a questo riguardo è posto sulle opinio iuris degli Stati che si sono espressi sul diritto all'acqua nelle più recenti risoluzioni dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite e del Consiglio per i Diritti dell'Uomo.
This thesis aims to investigate the existence of a human right to safe and potable water within the international law. As none of the main covenant related to human rights explicitly mentions the right to water, an inferential process used by doctrine had to be analysed in order to verify whether it was consistent with the purpose of affirming the existence of such a human right. Also main instruments of soft law have been studied. Particularly the latest resolution of the United Nations General Assembly and Human Rights Council have been accurately studied in order to verify the existence of a common "opinio iuris" among States. We consider that today a common opinion has actually emerged and therefore we suggest in conclusion to address a future research on the issue towards the analysis of State practices in order to verify the emerging of a customary right.
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DE, SOCIO VALENTINA. "L'ACCESSO ALL'ACQUA POTABILE NEL DIRITTO INTERNAZIONALE." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2011. http://hdl.handle.net/10280/983.

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La tesi mira a verificare l'effettiva esistenza del diritto umano all'acqua potabile. A questo fine viene studiata l'evoluzione del pensiero giuridico sull'accesso all'acqua potabile attraverso i principali strumenti di soft law, i le posizioni della dottrina e della giurisprudenza. Dal momento che l'accesso all'acqua potabile non compare nelle principali convenzioni dedicate ai diritti umani viene studiato il processo inferenziale che ha portato buona parte della dottrina a sostenere l'esistenza di tale diritto. Una volta individuato una comune definizione di diritto all'acqua, se ne analizzano le componenti, le obbligazioni ad esso relative e i legami tra tale diritto e gli altri diritti umani; a questo proposito viene proposta una breve analisi dell'esistenza di un diritto di accesso a fini agricoli. La conclusione si articola intorno all'ipotesi di un processo consuetudinario di formazione del diritto. Particolare attenzione a questo riguardo è posto sulle opinio iuris degli Stati che si sono espressi sul diritto all'acqua nelle più recenti risoluzioni dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite e del Consiglio per i Diritti dell'Uomo.
This thesis aims to investigate the existence of a human right to safe and potable water within the international law. As none of the main covenant related to human rights explicitly mentions the right to water, an inferential process used by doctrine had to be analysed in order to verify whether it was consistent with the purpose of affirming the existence of such a human right. Also main instruments of soft law have been studied. Particularly the latest resolution of the United Nations General Assembly and Human Rights Council have been accurately studied in order to verify the existence of a common "opinio iuris" among States. We consider that today a common opinion has actually emerged and therefore we suggest in conclusion to address a future research on the issue towards the analysis of State practices in order to verify the emerging of a customary right.
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Tonin, Luca. "La pena dell'esilio e l'umanesimo di Andrea Alciato. Fonti, tradizione, filologia." Doctoral thesis, Università degli studi di Trento, 2019. https://hdl.handle.net/11572/367995.

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Анотація:
Il quesito sulla natura e sui caratteri dell'™incontro fra il bando-esilio di tradizione 'medievale' e la cultura umanistica della prima generazione di 'giuristi-umanisti', agli inizi del XVI secolo, è all'origine di una ricerca che ha l'intento di fornire un contributo nuovo agli studi sulle dottrine di ius commune sul bando. L'indagine ha avuto come oggetto l'opera di Andrea Alciato, eletto a rappresentante primo di quella generazione, ed è dunque stata estesa a Guillaume Budé e a Ulrich Zasius, nel dialogo fra i membri del cosiddetto Triumvirato umanistico. Ne è emerso un quadro culturale europeo comune e diffuso, dove la continuità  della dottrina umanistica rispetto alla tradizione medievale sul bando si arricchisce degli apporti nuovi del sapere '˜pluridisciplinare'™, storico-filologico e giuridico, proprio dei nuovi intellettuali.
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Lodoli, Flavio. "Considerazioni sul problema dei rigassificatori tra aggregazione del consenso e conflitto ambientale." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2011. http://hdl.handle.net/10077/4440.

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Анотація:
2009/2010
Considerazioni sul problema dei Rigassificatori tra Aggregazione del Consenso e Conflitto Ambientale 1. Il nostro Paese, per scelta politica e per una sostanziale limitata capacità di innovazione del mondo industriale, ha una quota attuale di produzione di energia da fonti rinnovabili poco significativa nonostante gli investimenti, i contributi e le agevolazioni fiscali che dovrebbero incentivare opportunamente ad esempio, l’utilizzo dell’energia solare che rappresenta una peculiarità del nostro territorio. Devono essere attuate velocemente le scelte strategiche e programmatiche che permettano di guardare al futuro, caratterizzato da una già quantificata scarsità di fonti fossili, con sufficienti margini di prevedibilità e di sostenibilità dello sviluppo, gli obiettivi da raggiungere entro il 2015 per il fabbisogno energetico nazionale dovrebbero essere quantificati nel 25% da fonti di energie rinnovabili, il 25% di energie da fonte nucleare e il rimanente 50% da fonti energetiche tradizionali. In attesa di potenziare la produzione di energia da fonti rinnovabili, come il solare, sarà scelta obbligata la costruzione di infrastrutture energetiche tradizionali, tra cui la necessità di dotarsi di alcuni terminali di rigassificazione con progetti attentamente valutati sia per la logistica che per la dislocazione, la riduzione degli impatti ambientali (non dimentichiamo la vocazione turistica del nostro paese), la massimizzazione delle ricadute per l’area interessata in termini di indotto e occupazione. Infatti, la flessibilità, offerta dal Gas Naturale Liquefatto, rappresenta un fattore di successo non solo per la diversificazione delle fonti, ma anche per la maggiore possibilità di modulare gli approvvigionamenti. Benché l’Italia sia tra i Paesi meglio posizionati per ricevere gas via tubo, la realizzazione di nuovi terminali di rigassificazione consentirebbe di potenziare la capacità di ricezione del sistema, incrementandone la flessibilità, con il risultato non solo di diversificare le fonti di approvvigionamento, ma anche di favorire la concorrenza, agevolando l’ingresso nel mercato di nuovi operatori e riducendo la possibilità di “colli di bottiglia” dal lato dell’offerta. La tecnologia del GNL consente ai Paesi non collegabili per motivi logistici ai mercati di consumo tramite i tradizionali gasdotti, di esportare la materia prima che altrimenti rimarrebbe non sfruttabile. La tecnologia di liquefazione ha permesso uno sviluppo accelerato dell’utilizzo del gas a livello globale: già oggi il GNL rappresenta circa il 25% degli scambi internazionali di gas. In Italia, invece, il GNL rappresenta oggi solo il 5% del gas importato, ma è destinato a giocare un ruolo crescente, diversificando le fonti tradizionali di importazione e quindi aumentando la sicurezza e la competitività degli approvvigionamenti. Il Gas Naturale è indispensabile al mondo moderno, in quantità sempre maggiori e la sua produzione, il suo trasporto, lo stoccaggio e la sua distribuzione non possono che essere effettuate in condizioni di sicurezza crescente ed a costi tendenzialmente moderati. Il mercato del gas naturale è forse quello che presenta maggiori complessità e profili particolarmente sensibili dal punto di vista ambientale, tecnologico ed economico. Queste complessità si traducono nell’esigenza di contemperare varie esigenze, tutte meritevoli di tutela ed attenzione, ed il quadro normativo che ne risulta pone non pochi problemi interpretativi ed applicativi agli operatori. La localizzazione, la costruzione e l’esercizio di un grande impianto di rigassificazione può portare vantaggi o disagi alla popolazione residente o non residente nell’area che ospiterà il rigassificatore. I vari profili connessi alla sua realizzazione si sono progressivamente fatti spazio nella legislazione di settore fino a rispecchiarsi, in vario modo, in vere e proprie fasi del procedimento autorizzativo. L’accettabilità sociale dei terminali di rigassificazione da parte delle comunità locali è uno dei fattori condizionanti la realizzazione di infrastrutture diventate una delle priorità dell’agenda politica italiana. La capacità di comprendere e interagire con le dinamiche di conflitto ambientale che si sviluppano intorno ai progetti di realizzazione di infrastrutture energetiche da parte dei diversi attori coinvolti, è un fattore cruciale che appare ancora fortemente sottovalutato. Tale capacità chiama in causa il rapporto delle imprese con il territorio in cui operano e, in questa prospettiva, l’uso che viene fatto degli strumenti di informazione e partecipazione che sono presenti nei procedimenti autorizzativi. La sottovalutazione circa il ruolo di questi strumenti è sicuramente uno degli elementi che hanno reso particolarmente critico l’andamento dei processi autorizzativi dei terminali di rigassificazione. Il corretto ed efficace uso di questi strumenti, che coinvolge gli attori pubblici con ruoli determinanti nei processi decisionali, le imprese proponenti e il pubblico interessato dovrebbe essere una preoccupazione prioritaria sia della pubblica amministrazione che delle imprese. Bisogna provare a cambiare mentalità ed atteggiamento verso nuove iniziative, nuovi progetti, nuove tecnologie e nuove idee. E’ necessario superare la c.d. sindrome di NIMBY (acronimo inglese per Not In My Back Yard, lett. “Non nel mio cortile”) e l’atteggiamento che si riscontra nelle proteste contro opere di interesse pubblico che hanno, o si teme possano avere, effetti negativi sui siti in cui verranno realizzate, come ad esempio grandi opere pubbliche. L’atteggiamento consiste nel riconoscere come necessari, o comunque possibili, gli oggetti del contendere ma, contemporaneamente, nel non volerli nel proprio territorio a causa delle eventuali controindicazioni sull’ambiente locale. Sarà questa la sfida da affrontare in futuro: aggregare il consenso per opere come i Rigassificatori. Opere che non sono rinviabili nel quadro della razionalizzazione dell’uso delle fonti energetiche intesa come risparmio e riduzione progressivi della dipendenza nazionale da paesi terzi. 2. Il problema dei rigassificatori non è un problema locale, poiché dovrebbe essere inquadrato nelle scelte strategiche che interessano in primo luogo il piano energetico nazionale (PEN). Tale piano, di fatto, è obsoleto e non aggiornato, e nello stesso manca di una visione strategica degli investimenti e delle diverse forme di approvvigionamento del paese (combustibili fossili, idroelettrico, geotermico, eolico, solare e da ultimo nucleare previsto nel programma dell’attuale governo). In merito al fabbisogno di approvvigionamento di gas metano, difatti, non esiste un piano che preveda il numero necessario di rigassificatori ed una corretta pianificazione sull’ubicazione degli stessi. Oggi la pianificazione è fatta dalle società private e lo Stato è soggetto passivo che deve solo esprimersi sulla compatibilità ambientale di detti impianti, senza un intesa tra i vari ministeri (Ambiente, Sviluppo Economico, Economia, Lavori Pubblici, Rapporti Comunitari ecc), denotando, perciò, un deficit di coordinamento. 3. In Friuli Venezia Giulia, esiste un Piano Energetico Regionale (PER) che è stato approvato con Decreto del Presidente della Regione 21 maggio 2007, n. 0137/Pres. (Legge regionale 30/2002, art. 6). In tale piano non sono evidenziate le scelte pianificatorie sulla costruzione in Regione di impianti di rigassificazione e non si fa riferimento specifico alla costruzione di impianti di rigassificazione, che sembra lasciata a "scenari di offerta spontanea" come definiti dal piano. La Regione FVG, al fine di favorire la diversificazione delle fonti energetiche, ha inserito nel Piano Territoriale Regionale (PTR) la possibilità di insediare impianti di rigassificazione all'interno delle zone industriali programmatiche regionali e negli ambiti portuali. Detti impianti non sono previsti dal PER pur non essendo esclusi dal PTR. In base al Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, i progetti devono essere sottoposti a Valutazione Ambientale Strategica e a Valutazione d'Impatto Ambientale, rientrando gli impianti nell'applicazione del combinato disposto degli articoli 6 e 7 del citato decreto. In particolare:  l'art. 25 prevede che la competenza sui progetti di opere ed interventi sottoposti ad autorizzazione statale e per quelli aventi impatto ambientale interregionale o internazionale, spetta al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali;  l'art. 26 prevede altresì che il committente o proponente l'opera o l'intervento deve inoltrare all'autorità competente apposita domanda allegando il progetto, lo studio di impatto ambientale e la sintesi non tecnica. Copia integrale della domanda di cui al comma 1 e dei relativi allegati deve essere trasmessa alle regioni, alle province ed ai comuni interessati e, nel caso di aree naturali protette, anche ai relativi enti di gestione, che devono esprimere il loro parere entro sessanta giorni dal ricevimento della domanda. Decorso tale termine l'autorità competente rende il giudizio di compatibilità ambientale anche in assenza dei predetti pareri. Un caso concreto in Friuli Venezia Giulia: il progetto “Zaule” relativo alla costruzione di un impianto di rigassificazione, sito nel Vallone di Muggia, progetto presentato dalla multinazionale “Gas Natural”. Su di esso si sono espressi i seguenti enti: a. Parere Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Soprintendenza prot. n01020/15.0 di data 25.02.2005; b. Conferenza del 19.10.2005 convocata dalla Pianificazione Regionale, Energia, Mobilità e Infrastrutture di Trasporto delle Regione Friuli Venezia Giulia. Enti invitati presenti: Ministero dell'Ambiente - Servizio VIA (Valutazione Impatto Ambientale), Ministero delle Infrastrutture e Trasporti –Capitaneria di Porto, Agenzia delle Dogane, Ministero dell'Interno Vigili del Fuoco, Autorità Portuale di Trieste, EZIT, Comune di Trieste, Provincia di Trieste. Enti invitati assenti:Ministero delle attività produttive, Ministero dei beni culturali - Soprintendenza, Ministero della Salute. (Comune di Muggia non invitato); c. Delibera del Consiglio Comunale di Muggia n° 31 di data 26 maggio 2006 e n2. di data 18 gennaio 2007; d. Delibera del Consiglio Comunale di San Dorligo di data 17 gennaio 2007; e. Delibera del Consiglio Comunale di Trieste di data 18.01.2007; f. Delibera della Giunta Regionale del Friuli Venezia Giulia n01996 di data 25.08.2006. Dai pareri e delibere sopra riportati, si evidenziano la positività o negatività al progetto di cui sintetizzo alcune motivazioni: a. Parere negativo espresso dal Ministero per i Beni e le attività culturali – Soprintendenza prot. n01020/15.0 di data 25.02.2005, con le seguenti motivazioni: degrado paesaggistico, modifiche linee di costa ed anche alla sola costruzione del pontile di attracco delle navi metaniere, illogico sovrapporre ulteriore degrado al degrado esistente; b. Conferenza del 19.10.2005 - Segnalazione del sindaco di Trieste sull'opportunità di invitare alle successive riunioni anche il Sindaco di Muggia. Potrà essere ammesso ma senza diritto di voto. La società proponente illustra il progetto. Il Ministero dell'ambiente fa presente che è propedeutica a qualsiasi attività l'approvazione del piano di bonifica delle aree interessate, che la società non ha presentato formale istanza di VIA al Ministero, precisa inoltre che la VIA dovrà essere eseguita sia per le parti a mare che a terra compreso collegamento gasdotto alla rete nazionale. Dovrà essere inoltre richiesta una variante al Piano Regolatore Portuale, previo assenso del Ministero LL.PP.; c. Le deliberazioni del Comune di Muggia - nn. 31 e 1 datate rispettivamente 26 maggio 2006 e 18 gennaio 2007 - hanno bocciato il progetto onshore di rigassificazione GNL " Gas Natural Intemational SDG" per motivazioni legate a fattori di sicurezza, ambientali, socio economici e a carenze progettuali. La seconda delle due delibere aggiunge la mancanza di tempo necessario per esaminare un così complessa e copiosa documentazione. Per gli stessi motivi le deliberazioni del Consiglio Comunale di Muggia n. 30 di data 26 maggio 2006 e n. 2 di data 18 gennaio 2007 hanno espresso un parere non favorevole al terminale offshore di rigassificazione; d. La delibera del Comune di San Dorligo della Valle ha espresso in data 17 gennaio 2007, all'unanimità parere non favorevole sulla compatibilità ambientale del progetto del rigassificatore della Gas Natural di Zaule. Tra i motivi del "no" vi sono il cambiamento nel progetto che indica in un condotta sottomarina fino a Grado il sistema del trasporto del gas, il perdurare dei timori sulla sicurezza, ma anche la mancanza di tempo per un approfondimento puntuale della documentazione presentata; e. Delibera del Consiglio Comunale di Trieste di data 18.01.2007 in merito alla pronuncia di compatibilità ambientale del progetto – con cui è stato espresso parere negativo con le seguenti motivazioni: progetto carente della "prospettazione del rapporto tra costi preventivati e benefici stimati" (analisi costi-benefici); f. Delibera della Giunta Regionale del Friuli Venezia Giulia n01996 datata 25.08.2006 in merito alla Valutazione d'impatto ambientale - non si esprime parere perche' di non competenza regionale ma si evidenziano al ministero tutta una serie di carenze documentali e progettuali chiedendo integrazioni. Le principali carenze del progetto della Società Gas Natural in esame, riportate nella relazione istruttoria del Servizio Valutazione Impatto Ambientale della Regione riguardano i seguenti punti: • Quadro programmatico: effetti sul versante dell'offerta e dei consumi di gas e quindi sulla contemporanea presenza di altri impianti, sul sottoutilizzo di detti impianti, effetti sul traffico marittimo, ragioni della scelta del sito rispetto ad altre soluzioni, connessioni delle attività di programmazione con sito inquinato, compatibilità con il piano regolatore di Trieste e del Porto, ricaduta sulle attività di pesca, sul turismo e sulla nautica da diporto. • Quadro progettuale:ragioni della scelta sotto il profilo dell'impatto ambientale, analisi dei costi benefici, numero degli occupati nella fase di esercizio, attività economiche esistenti (turismo, pesca, traffici marittimi) per l'intero ciclo di vita dell'impianto proposto. • Quadro ambientale: In generale: attività correlate alla bonifica del sito inquinato a mare e a terra afferente alla realizzazione dell'impianto; Suolo e sottosuolo: posizionamento dei cantieri, impatti causati dalla realizzazione del terminal, provenienze e destinazione dei materiali di risulta (scavi, dragaggi), provvedimenti ed azioni di mitigazione dell'impatto ambientale; Ambiente marino e costiero: descrizione e distribuzione popolazioni ittiche, dati meteomarini del golfo (venti, correnti, geometria della costa, batimetrie, moto ondoso, ecc.), descrizione situazione ex-ante impianto, definizione modello di dispersione scarichi acque clorate, effetti diretti ed indiretti attività a medio-lungo periodo, alternative alla clorazione dell' acqua, impatti sull'ecosistema marino dei dragaggi, impatti sull'ecosistema dovuto alla movimentazione delle gasiere; Atmosfera: dati meteoclimatici, studi approfonditi, descrizione relativa situazione ex-ante, emissioni in atmosfera, ecc.; Rumore: valutazione dell'impatto del rumore, studi ad hoc ai fini della valutazione del progetto, descrizione relativa situazione ex-ante, analisi dei rumori provocati dai cantieri e dal successivo esercizio dell'impianto; Paesaggio: simulazioni visive dell'intero impianto di giorno e di notte, soluzioni mitigatrici; Aspetti relativi alla sicurezza: impatti derivanti dai possibili rischi (tecnologici, di funzionamento nelle fasi di esercizio e manutenzione, atti terroristici, ecc.), anche in correlazione con gli altri impianti esistenti, quantificazione in particolare del rischio derivante dalla collisione delle metaniere con altre navi, indicazione dei sistemi di controllo del traffico marittimo. 4. Il Piano energetico regionale (PER), già citato sul punto 3, è lo strumento di pianificazione primaria e di indirizzo fondamentale per le politiche energetiche regionali. Esso riveste un ruolo di primo piano nello sviluppo socio-economico della regione, e per questo è essenziale il suo raccordo con la programmazione economica regionale. È quindi essenziale che la Regione individui i punti di forza e fissi gli interventi prioritari in materia di energia che forniscano valide indicazioni per una pianificazione integrata delle risorse in una visione d’azione intersettoriale: l’energia è occasione per cogliere le opportunità di crescita del territorio. L’energia, in quanto motore di sviluppo economico e sociale, rappresenta quindi un tema strategico per l’azione di governo del Friuli Venezia Giulia. La liberalizzazione e privatizzazione dei mercati dell’elettricità e del gas, sancita con i decreti “Bersani” del 1999 e “Letta” del 2000, e la progressiva devoluzione di competenze dallo Stato alle Regioni nella logica del principio di sussidiarietà, a partire dalla riforma Bassanini sino a quella costituzionale del Titolo Quinto, hanno inciso in modo significativo e determinante sulla competenza delle Regioni. Con la riforma costituzionale del Titolo Quinto alle Regioni è stato attribuito in materia di energia un ruolo nuovo e attivo, affidando alle stesse la potestà legislativa concorrente su produzione, trasporto e distribuzione nazionale di ogni forma di energia, lasciando allo Stato il potere di legiferare sui principi generali (sicurezza nazionale, concorrenza, interconnessione delle reti, gestione unificata dei problemi ambientali). Le amministrazioni regionali hanno quindi potuto, a seguito di tale nuovo scenario normativo, utilizzare i loro piani energetici come strumenti attraverso i quali predisporre un progetto complessivo di sviluppo dell’intero sistema energetico, coerente con lo sviluppo socio-economico e produttivo del loro territorio. Accanto agli obiettivi iniziali, di incremento e di sviluppo delle fonti rinnovabili e di un uso più razionale dell’energia che spinsero il legislatore nazionale ad istituire, con la legge n. 10/1991, lo strumento dei Piani Energetici Regionali relativi alle fonti rinnovabili, l’avvento della liberalizzazione del mercato, il peso delle questioni relative alla tutela e salvaguardia dell’ambiente, dello sviluppo sostenibile e dei temi del Protocollo di Kyoto, e la devoluzione di competenze energetiche Stato-Regioni hanno determinato l’esigenza di trasformare la programmazione energetica regionale in uno strumento di programmazione strategico e interdisciplinare. Il PER della Regione Friuli Venezia Giulia, approvato con Decreto del Presidente della Regione 21 maggio 2007, n. 0137/Pres. (Legge regionale 30/2002, art. 6), elabora, anzitutto, l'analisi dello scenario energetico regionale attuale, con dati a consuntivo relativi all’anno 2003 sostanzialmente applicabili anche alla data odierna, riguardanti l’offerta di energia relativamente a fonti convenzionali, infrastrutture energetiche e fonti rinnovabili, e la domanda complessiva di energia, con infine un bilancio dell’attuale situazione elettrica regionale complessiva. Viene quindi fornito un completo quadro della disponibilità energetica regionale potenziale relativamente alle fonti convenzionali, alle infrastrutture energetiche e alle fonti rinnovabili sulla base degli studi e delle analisi svolte dai consulenti. Il PER delinea una proiezione dei principali dati energetici in assenza di interventi regionali. Fa una previsione sull’evoluzione del libero mercato energetico tenendo conto dei finanziamenti in corso, regionali, nazionali o comunitari. Vengono quindi definiti gli obiettivi di politica energetica regionale. Per ogni singolo obiettivo strategico vengono individuati i relativi obiettivi operativi e per ognuno di essi vengono individuate azioni. Il Piano passa quindi a delineare una sintesi degli scenari globali di domanda ed offerta (attuale, spontaneo e programmato) mettendoli a confronto. Vengono indicati gli investimenti necessari per la realizzazione di impianti e di interventi energetici programmati, calcolati sulla base della differenza tra le azioni previste nello scenario programmato e quelle relative allo scenario di previsione spontanea. E’ previsto, infine, per ogni tipologia di fonte rinnovabile e per ogni settore di risparmio energetico, una percentuale di incentivazione pubblica al fine di rendere sufficientemente attraente l’investimento privato e al fine di avviare gli investimenti del mercato. Per attuare il Piano secondo gli obiettivi indicati e secondo le azioni selezionate vengono previste specifiche schede di programmi operativi riguardanti gli adempimenti di diverse Direzioni centrali della Regione, competenti per materia. Le schede danno attuazione sia alle azioni di incentivazione pubblica (azioni da scenario programmato), sia alle azioni comunque derivanti dagli obiettivi fissati (azioni derivate). Il PER quantifica l’impatto delle scelte pianificatorie relativamente alle emissioni inquinanti e climalteranti imputabili alle attività energetiche programmate. La Regione, a seguito della liberalizzazione dei mercati elettrico e del gas e del trasferimento di competenze dallo Stato alla Regione, ha avviato un processo di pianificazione energetica che ha portato ad una definizione concertata con associazioni di categoria, sindacati, associazioni ambientali dei principali obiettivi del Piano. 5. L’aspetto di primaria rilevanza per quanto riguarda gli impianti di rigassificazione è quello dei rischi connessi con la loro realizzazione. Per avere un quadro chiaro dei rischi di un impianto di rigassificazione è opportuno, prima di tutto, esaminare le tre direttive “Seveso” sugli incidenti industriali rilevanti. La “Seveso 1” è una direttiva europea che in Italia è stata recepita con il DPR 175 del 1988. Essa ha imposto il censimento degli stabilimenti a rischio, con l'identificazione delle sostanze pericolose. Tra le tipologie degli stabilimenti che svolgono "attività a rischio di incidente rilevante" sono compresi i rigassificatori. Successivamente, con la legge 137/97 (articolo 1, comma 1) è stato introdotto l'obbligo per i sindaci di informare preventivamente la popolazione sulle misure di sicurezza da adottare in caso di incidente. Con la "Seveso 2" (ossia il decreto legislativo 334 del 1999 che recepisce la direttiva comunitaria 96/82/CE), gli obblighi per le attività a rischio di incidente rilevante sono diventati ancora più stringenti imponendo: • per ogni stabilimento a rischio di incidente rilevante la redazione di un piano di prevenzione e di un piano di emergenza; • la cooperazione tra i gestori per limitare l'effetto domino (ossia le possibili "reazioni a catena" fra impianti vicini a rischio di incidente rilevante); • il controllo dell'urbanizzazione attorno ai siti a rischio; • l'informazione degli abitanti delle zone limitrofe; • la costituzione di un'autorità preposta all'ispezione dei siti a rischio. Infine, con la “Seveso 3”, che ha recepito la direttiva europea 2003/105/CE sugli incidenti rilevanti, viene ad aggiungersi l’obbligo di consultare la popolazione interessata per una più efficace redazione dei piani di emergenza e l’introduzione di misure per la salvaguardia di eventuali vie di trasporto presenti nell’area circostante lo stabilimento. Le tre direttive Seveso impongono dunque precisi obblighi da rispettare al fine di prevenire ogni rischio possibile per la costruzione di un impianto di rigassificazione. Tali rischi sono stati ampiamente studiati ed ipotizzati da numerosi addetti ai lavori nel mondo. Fra i tanti studi internazionali cito solo, in questo testo, quello autorevole condotto nel 2003 dalla Commissione Energia della California. 6. I rischi e la loro tipologia, che sono stati sintetizzati nel paragrafo precedente, generano a loro volta il conflitto ambientale. Il conflitto genera il dissenso e il dissenso deve essere riportato a un consenso motivato e partecipato sui progetti della rigassificazione, sulla loro praticabilità e sostenibilità. L’approccio interpretativo ai fenomeni di conflitto ambientale che viene preso come riferimento è quello adottato nelle analisi di carattere generale più rilevanti condotte sulle infrastrutture energetiche in Italia relative al settore elettrico. La natura del conflitto può essere ricondotta a quattro modalità fondamentali che lo caratterizzano: - conflitto di valori; - conflitto di interessi; - conflitto di tipo cognitivo; - conflitto di rapporto. Il conflitto di valori emerge quando si ritiene che la realizzazione di un impianto o la tecnologia adottata ledano qualcosa che non è considerato negoziabile, i casi più tipici sono costituiti dalla minaccia alla salute, alla sicurezza o a particolari valori paesaggistici culturali o naturalistici. In questo caso il conflitto si struttura su elementi profondi che rendono più radicale la contrapposizione e difficile il dialogo tra le parti coinvolte. Il conflitto di interessi mette in evidenza la dimensione economica coinvolta dagli effetti che la realizzazione di un infrastruttura può avere sugli attori presenti nel territorio coinvolto. E’ questo il caso degli effetti negativi sul valore dei patrimoni immobiliari e/o della compromissione delle condizioni che consentono lo svolgimento di determinate attività economiche. Il riconoscimento o meno degli interessi messi in gioco è un elemento che può incidere in modo decisivo sulle relazioni tra gli attori dello scenario di conflitto. Il conflitto di tipo cognitivo caratterizza le situazioni in cui la dinamica conflittuale si fonda sulla mancanza di conoscenza e informazioni circa gli impatti di un progetto. In questo caso le azioni volte a fornire un adeguato livello di conoscenza e informazione a tutti gli attori coinvolti, sulla natura del progetto, possono incidere sulle motivazioni dell’opposizione. Infine, il conflitto di rapporto coinvolge il carattere delle relazioni che intercorrono tra gli attori degli scenari di conflitto in termini di fiducia e credibilità, in particolare quando vi sono dei precedenti negativi nelle relazioni. Questo può essere il caso in cui l’impresa proponente o l’autorità pubblica abbiano precedenti negativi nel fornire informazioni dovute o nel garantire il rispetto delle norme di tutela ambientale. Questi quattro profili nella natura delle dinamiche di conflitto ambientale non caratterizzano in modo esclusivo le situazioni che si presentano concretamente ma sono invece in vario modo compresenti. Saper riconoscere nelle situazioni concrete quanto e come questi profili caratterizzano le relazioni tra i protagonisti degli scenari di conflitto è essenziale per qualsiasi forma di intervento. Per ciò che concerne il rischio e la sua percezione, c ’è da evidenziare che uno degli aspetti più critici che condizionano le dinamiche di conflitto ambientale e che rimanda in larga misura agli aspetti di tipo cognitivo, riguarda la discrepanza che in genere esiste tra il rischio oggettivamente definito (ambientale, sanitario, incidentale) tramite strumenti tecnicoscientifici dal proponente o dalle autorità pubbliche che lo devono valutare, e il rischio soggettivamente percepito da parte del pubblico interessato che diventa protagonista del dissenso. Ancora troppo spesso sia i proponenti che le autorità pubbliche, con funzioni di valutazione tecnico scientifica, ritengono che la mancanza di adeguate conoscenze e strumenti di valutazione del rischio effettivo da parte del pubblico interessato, diminuisca la percezione soggettiva del rischio che viene espressa come motivazione del dissenso. Un tipo di atteggiamento che in genere aggrava le dinamiche di conflitto ambientale compromettendo le possibilità di dialogo. E’ invece fondamentale, sia per l’impresa proponente che per la pubblica amministrazione, comprendere quale sia la percezione soggettiva del rischio legata alla realizzazione di un impianto da parte del pubblico interessato, perché solo così è possibile dare delle risposte ai motivi del dissenso che non hanno fondamento tecnico-scientifico e che alimentano il conflitto. 7. Il problema dell’aggregazione del consenso intorno ai progetti sopradescritti, o meglio il problema politico-sociale, dell’accettabilità sociale, come si può ben comprendere, non è di facile soluzione. La cd. direttiva Seveso 3 aveva messo in luce la necessaria congiunzione tra i progetti relativi ai rigassificatori e la consultazione ed informazione delle popolazioni interessate: trasponendo, o meglio ravvivando e rafforzando a livello del diritto comunitario e nazionale quella nozione di sviluppo sostenibile che non può prescindere dalla partecipazione dall’intervento e dalla stessa presenza fisica dei soggetti che da quei progetti potrebbero trarre dei vantaggi ovvero degli svantaggi. La nozione di sviluppo sostenibile, che viene rapidamente analizzata nel testo finale permette di introdurre anzitutto il concetto di persona umana, e quindi la procedura partecipativa all’interno del discorso, più tecnico, affrontato sinora, nonché la problematica relativa alla aggregazione del consenso. 8. Prendendo a prestito dalla terminologia anglosassone il termine di stakeholders, che si riferisce a quei portatori di interesse che nella teoria della Responsabilità Sociale di Impresa sono i diretti interessati alle decisioni dell’impresa stessa pur non essendone azionisti, ho cercato di ricostruire la nozione di “consenso” in relazione alla costruzione dei rigassificatori, evidenziando limiti e prospettive della partecipazione dei cittadini. In buona sostanza, il tema dell’aggregazione del consenso può essere trattato facendo riferimento al grado ed alla profondità della partecipazione dei cd. stakeholders, e quindi dei portatori di interessi: ad esempio dipendenti delle imprese costruttrici degli impianti e delle imprese che li gestiscono una volta attivi, cittadini delle zone limitrofe, associazioni ambientaliste interessate alla tutela della salute e del paesaggio intaccato da quelle opere. La partecipazione, nell’ambito delle esperienze maturate all’interno dei circuiti dei sistemi democratico-rappresentativi, si svolge per lo più nell’ambito dell’istruttoria procedimentale, secondo gli schemi tracciati dagli istituti di partecipazione disciplinati dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e secondo alcuni Autori, come si è visto con Crisafulli e Paladin, attraverso ulteriori istituti previsti dalla stessa Costituzione italiana. Tuttavia si tratta di una tipologia di intervento e di partecipazione dei cittadini limitata al momento amministrativo e quindi esecutivo, ovvero al momento indiretto dell’esercizio della sovranità, senza alcuna influenza sul momento realmente politico, di programmazione e decisione generale. La sfida posta dalle dottrine neo-partecipazioniste (definiremmo in questi termini quegli studi che si sono occupati di analizzare i limiti del sistema rappresentantativo) ha a che fare, invece, con l’intervento e la partecipazione dei cittadini interessati, e più in generale dei portatori di interesse ad un altro livello, quello cioè della decisione, del programma, il momento più genuinamente politico. Già da qualche anno la dottrina giuspubblicistica guarda con interesse alle questioni poste dalla cd. democrazia partecipativa e dalla cd. democrazia deliberativa: ragionando astrattamente, però, ho operato una distinzione tra i termini di partecipazione e di deliberazione, soprattutto per quanto riguarda la loro struttura teoretica: è indubbio tuttavia che in entrambi i casi la partecipazione dei soggetti interessati può trasformarsi in una mera ingegneristica del consenso, in grado di favorire decisioni già prese altrove, invece di suscitare una sincera adesione piuttosto che una schietta opposizione dei cittadini, debitamente informati. In questo senso può distinguersi tra una nozione di partecipazione in senso formale ed un’altra, intesa in modo sostanziale. L’intero argomento ovviamente può dar luogo a facili fraintendimenti ed esasperazioni, in quanto la partecipazione, come ho cercato di spiegare, degenera facilmente sino a diventare strumentale e quindi formale. L’aggregazione del consenso e quindi la partecipazione in senso sostanziale dev’essere così sviluppata secondo due direttrici fondamentali: Anzitutto i portatori di interessi devono essere messi in grado di giudicare un progetto di pubblica utilità com’è un impianto di rigassificazione avendo bene in mente gli argomenti a favore e quelli contrari, e ricordando che l’approvigionamento energetico è un tema di primissimo piano in un periodo storico come quello in cui viviamo, condizionato dall’endemica scarsità di materie prime e quindi di energia. In secondo luogo ogni decisione deve essere presa nelle sedi istituzionali opportune, prevedendo una fase all’interno della quale debbano essere obbligatoriamente prese in considerazione le posizioni di tutti gli stakeholders titolati a partecipare attraverso l’iscrizione ad un registro all’uopo predisposto per un periodo di tempo stabilito. Corollari di questa impostazione sostanziale, sono invece i termini di sviluppo sostenibile, cittadinanza e responsabilità: infatti, secondo l’ottica di una partecipazione di tipo politico (e quindi non meramente amministrativa, né formale), l’orizzonte di crescita all’interno del quale quelle stesse decisioni devono essere prese dai portatori di interessi è quello dello sviluppo sostenibile, uno sviluppo cioè concreto ed integrale della persona umana e dell’ambiente in cui si trova a vivere; sviluppo possibile soltanto rivisitando lo statuto di cittadinanza così com’è inteso dal pensiero moderno, rivestendo il cittadino della responsabilità che gli è richiesta per poter veramente prendere parte ad un più ampio sviluppo dell’umanità. 9. In ragione della vicinanza del progetto al confine sloveno, secondo le disposizioni della Convenzione sulla valutazione dell’impatto ambientale in contesto transfrontaliero, fatto a Espoo il 25.02.1991 e dell’articolo 7 della direttiva 85/337, l’avvio della procedura di valutazione di impatto ambientale è stato comunicato con nota del Ministero dell’Ambiente italiano n. DSA/2006/9866 del 31/1/2006 al Ministero dell’ambiente e al Ministero degli affari esteri della Repubblica di Slovenia. A seguito della detta notifica di avvio del procedimento di valutazione dell’impatto ambientale sono state avviate consultazioni con il Ministero dell’ambiente della Repubblica di Slovenia. Nell’ambito delle suddette consultazioni, il Ministero della Repubblica di Slovenia, ha trasmesso le proprie osservazioni e valutazioni sul progetto contenute in un documento intitolato “Rapporto sugli impianti transfrontalieri prodotti dai due Terminali di rigassificazione nel Golfo di Trieste e sulla zona costiera”. In particolare è stato acquisito il parere favorevole con prescrizioni n. 73 del 2008 formulato dalla Commissione tecnica di verifica dell’Impatto Ambientale VIA - VAS successivamente integrato a seguito del proseguimento della consultazione transfrontaliera con il Ministero dell’ambiente della Repubblica Slovena. E’ stato acquisito, altresì, il parere n. 251 del 13.03.2009 formulato dalla Commissione tecnica di verifica dell’Impatto Ambientale VIA – VAS. A seguito della riunione di data 16.06.2009 con le Autorità della Repubblica di Slovenia, la Commissione Tecnica di Verifica dell’impatto ambientale VIA-VAS ha integrato ed aggiornato il quadro prescrittivo del parere n. 251 del 13.03.2009 poi votato in Assemblea Plenaria del 03.07.2009. A conclusione del procedimento in esame il Ministero dell’Ambiente e della tutela del mare, di concerto con il Ministero per i beni culturali, con decreto n. 808 del 17.7.2009 ha pronunciato parere di compatibilità ambientale, con prescrizioni, al progetto presentato dalla Società Gas Natural International SDG su cui è subentrata la Società Gas natural Rigassificazione Italia Spa . Con ricorso numero di registro generale 564 del 2009, nei confronti: - del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare - del Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali; - della Regione Friuli Venezia Giulia; - della Societa' Gas Natural Rigassificazione Italia Spa - della Societa' Gas Natural Sdg Sa; - della Repubblica della Slovenia; - del Comune di Muggia; il Comune di San Dorligo della Valle ha chiesto l’annullamento del citato decreto n. 808 di compatibilità ambientale relativo al progetto del rigassificatore di Zaule del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare dd. 17.7.2009. Il TAR Fvg, Sez I, con sentenza n. 167 di data 11 marzo 2010, si è pronunciata in merito, affermando che la materia “rigassificatori”, per la sua rilevanza in relazione alla tutela di pubblici interessi di portata generale e nazionale, oltre che internazionale (posto che coinvolge interessi anche di nazioni vicine), indubbiamente trascende quell’interesse territorialmente limitato che è il presupposto per la competenza territoriale dei singoli Tribunali Regionali. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente e ha ritienuto la propria incompetenza e ai sensi dell’art. 41 della L. 99/09 disponendo la trasmissione del fascicolo al competente TAR del Lazio, sede di Roma, per le conseguenti determinazioni, in rito, nel merito e in ordine alle spese.
XXIII Ciclo
1965
Стилі APA, Harvard, Vancouver, ISO та ін.
17

Fanari, Silvia. "Positività e positivismo di fronte ad alcuni fenomeni della produzione giuridica contemporanea." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2014. http://hdl.handle.net/11577/3423787.

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Given the increasingly rapid evolution of the legal system it becomes essential, for the jurist, to query which today’s sources of the legal production are: therefore, aim of this study is to understand, in a wider perspective, what currently falls into the category of positivity. The latter has necessarily to be thought again compared to the classical formulation of the legal positivism according to which law corresponded to what had been ruled by the legislator: the analysis of some examples of new sources of law, including jurisprudence, the new lex mercatoria and the so-called intermediate societies, which will be specifically examined, demonstrates, as a matter of fact, that this idea results more appropriate to explain the legal reality. This inadequacy emerges also with reference to the formalistic approach that characterizes this conception: in this regard, it will be led a criticism of the ethical non-cognitivism in order to prove that the fact/value dichotomy is a concept by now passed. Considered that, we will try to identify a philosophy of law theory which could justify the issues raised: therefore it will be first considered the legal realism, which has the virtue to result more adherent to current legal reality, maintaining however the limit of a value-free approach. A more satisfactory answer to the many questions that emerged can then be found in the neoconstitutionalist doctrine, and particularly in the work of authors such as Ronald Dworkin, Robert Alexy e Gustavo Zagrebelsky. At the end of this study there will still be many questions, but with the awareness of the uncertainty that characterizes the current structure of the sources of law and the need of a greater commitment of the jurists in understanding what the law is today.
Di fronte alla sempre più rapida evoluzione degli ordinamenti giuridici diviene essenziale, per il giurista, interrogarsi su quali siano, oggi, le fonti di produzione giuridica: obiettivo del presente lavoro è allora quello di comprendere, in una prospettiva più ampia, cosa rientri attualmente nella categoria della positività. Quest’ultima deve necessariamente essere ripensata rispetto alla classica impostazione giuspositivista secondo cui il diritto veniva a corrispondere a quanto statuito dal legislatore: l’analisi di alcuni esempi di nuove fonti di produzione, tra cui la giurisprudenza, la nuova lex mercatoria e le cosiddette società intermedie, che verranno specificamente esaminate, dimostra infatti che tale idea non risulta più adeguata a dar conto della realtà giuridica. Tale inadeguatezza emerge anche con riferimento all’approccio formalistico che caratterizza tale concezione: in proposito, si condurrà una critica nei confronti del non cognitivismo etico al fine di dimostrare come la dicotomia fatto/valore sia concetto oramai superato. Alla luce di quanto sopra, si cercherà allora di individuare una dottrina giusfilosofica che consenta di dar conto delle problematiche emerse: si considererà quindi innanzitutto il realismo giuridico, che ha il merito di risultare più aderente alla realtà giuridica odierna, ma conserva il limite di un approccio avalutativo. Una risposta più soddisfacente ai molti interrogativi emersi potrà allora essere ritrovata nella dottrina neocostituzionalista, e in particolare nell’opera di autori quali Ronald Dworkin, Robert Alexy e Gustavo Zagrebelsky. Al termine della presente disamina ci si troverà ancora di fronte a diversi interrogativi, ma con la consapevolezza dell’incertezza che caratterizza l’attuale assetto delle fonti del diritto e della necessità di un impegno sempre maggiore da parte dei giuristi nella comprensione di cosa sia, oggi, il diritto.
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CANÈ, DANIELE. "L’imputazione dei redditi da fonti non possedute." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2017. http://hdl.handle.net/10281/180850.

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La tesi esamina la categoria dei redditi prodotti da fonti non possedute o, comunque, non liberamente disponibili al soggetto passivo, ed enuclea la figura del principio di imputazione in funzione normativa. Quando il soggetto passivo non possiede o non dispone liberamente della fonte del reddito, il criterio generale di imputazione del presupposto, imperniato sulla titolarità della fonte, non può operare. Il principio di imputazione entra allora in gioco come processo di imputazione del presupposto, che non si sovrappone ma integra il principio della titolarità della fonte, là dove questo è inefficace. Poiché il reddito esprime l’insieme dei beni e servizi utilizzabili per la soddisfazione di determinati interessi e bisogni, il principio di imputazione ricollega il presupposto e l’obbligazione al soggetto che può liberamente destinare il reddito alla soddisfazione dei propri bisogni e interessi. In questo modo, si realizzano i principi di uguaglianza e personalità dell’imposizione, canoni fondamentali dell’imposizione personale sui redditi. E’ inoltre rispettato il principio di capacità contributiva, perché si obbliga a partecipare alle spese pubbliche il soggetto che dispone effettivamente della ricchezza (qualificata) a tal fine necessaria.
The thesis elaborates on the class of income arising from sources that the taxable person does not freely dispose of. This discrepancy normally takes place whenever the taxable person does not directly own the source of income or does not have the legal possibility to dispose of it according to his/her needs. In these cases, the general criteria for income attribution, which builds on the possession of the source of the income, cannot work properly. The author then elaborates on the principle of imputation, which identifies the taxable person on the basis of the free enjoyment of the income concerned. Income is in fact conceived as the power to acquire goods and services in order to satisfy one’s needs. The thesis finally finds out that the principle of imputation conforms to and implements the principles of equality and personality of taxation, which are fundamental pillars of the personal income tax.
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Balzano, Simona. "Strumenti di incentivazione all'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili: a proposito del recepimento della Direttiva 2009/28/CE." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2011. http://hdl.handle.net/10077/4441.

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2009/2010
La tesi, dal titolo “Gli strumenti di incentivazione all’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili. A proposito del recepimento della Direttiva 2009/28/CE”, si compone di quattro capitoli e affronta le principali problematiche giuridiche ed economiche connesse alle misure di sostegno previste dall’ordinamento nazionale a favore dell’energia prodotta da fonti rinnovabili. Come noto, lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili costituisce una valida risposta sia alla necessità di incrementare forme di evoluzione del settore energetico alternative a quelle basate sullo sfruttamento delle fonti convenzionali, sia all’esigenza di ridurre gli elevatissimi costi ambientali connessi ai cicli produttivi a tali fonti connessi in ambito sopranazionale e nazionale. La tesi, prendendo le mosse dall’analisi del contesto normativo internazionale, europeo e nazionale, mira a delineare un quadro del “sistema incentivi” nell’ordinamento italiano per poi affrontare le specifiche problematiche connesse al recepimento della Direttiva 2009/28/CE in tema di promozione e sviluppo dell’energia prodotta da fonti rinnovabili. Dopo aver tracciato il quadro delle principali politiche internazionali ed europee in tema di sviluppo energetico sostenibile, lo scritto procede con l’analisi delle competenze e dei poteri dei principali soggetti istituzionali coinvolti nel “sistema incentivi”: l’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas, il Gestore dei Servizi Energetici (GSE) e la Cassa Conguaglio per il Settore Elettrico. In particolare, per quanto attiene l’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas, l’analisi condotta, partendo dalla ricostruzione giuridica dei poteri ad essa attribuiti, intende indagare le funzioni effettivamente esercitate da tale amministrazione indipendente nello specifico settore delle fonti rinnovabili. Con riguardo al Gestore dei Servizi Energetici e alla sua funzione di soggetto attuatore del sistema di incentivazione nazionale, la trattazione ha preso le mosse dalla ricostruzione della sua struttura per poi analizzarne l’attività di rilascio di certificazioni volontarie (es. RECS o Garanzia di Origine) e di erogazione degli incentivi ai soggetti aventi diritto (es. Certificati Verdi o Tariffa Omnicomprensiva). Per quanto attiene, infine, alla Cassa Conguaglio per il Settore Elettrico, successivamente alla ricostruzione della natura giuridica di tale ente e all’analisi dei poteri istituzionali, amministrativo-contabili e di accertamento, si è provveduto ad analizzarne il ruolo di soggetto deputato all’esazione di corrispettivi e tariffe nell’ambito delle politiche connesse allo sviluppo delle fonti rinnovabili. Esaurita la trattazione dei principali soggetti istituzionali coinvolti nel sistema di incentivazione, il lavoro, partendo dalla ricostruzione giuridica del concetto di incentivo economico, prosegue con l’analisi dei principali strumenti di sostegno all’energia prodotta da fonti convenzionali previsti nell’ordinamento nazionale: il c.d. CIP/6, i certificati verdi, il ritiro dedicato, lo scambio sul posto, il c.d. Conto Energia per la tecnologia fotovoltaica e la tariffa omnicomprensiva. In particolare, per quanto attiene i certificati verdi, nello scritto ci si sofferma anche sull’analisi della loro natura giuridica, tutt’oggi ancora controversa sia in dottrina che in giurisprudenza. L’ultima parte del lavoro, infine, affronta le differenti problematiche inerenti il recepimento della Direttiva 2009/28/CE che prevede la revisione, da parte degli Stati membri, dei meccanismi di incentivazione in vista del conseguimento degli obblighi di incremento dell’energia rinnovabile e prescrive l’introduzione di modelli di autorizzazione semplificati per quanto attiene la realizzazione d impianti alimentati da fonti alternative. Occorre precisare che al momento della stesura della tesi il Governo aveva emanato una bozza di decreto di recepimento che presentava diverse criticità soprattutto con riferimento alla definizione del nuovo quadro delle misure di sostegno. Il disegno tracciato dal Governo, seppur provvisorio, determinava il rischio che dalla sua applicazione potessero derivare effetti di distorsione competitiva sul mercato all’ingrosso della produzione di energia elettrica. La parte finale della tesi è dedicata proprio alla valutazione di congruità giuridica ed economica delle proposte contenute nella bozza di decreto anche alla luce delle disposizioni comunitarie in tema di tutela della concorrenza.
XXIII Ciclo
1981
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20

Fonda, Edoardo. "La disciplina giuridica del trasporto e della distribuzione del gas naturale: profili pubblicistici." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2011. http://hdl.handle.net/10077/4438.

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2009/2010
«Da una lettura complessiva del d.lgs. n. 164 del 2000 (e cioè del provvedimento con il quale ha preso compiutamente avvio il processo di liberalizzazione del mercato italiano del gas naturale) sembra potersi ricavare che, nel sistema del d.lgs. medesimo, le varie fasi che precedono la vendita (di gas) rappresentano segmenti di attività meramente strumentali e funzionali a rendere possibile lo svolgimento in concorrenza della vendita stessa». Così affermavano, a pochi mesi dall’entrata in vigore del cd. decreto Letta, il Prof. Giuseppe Caia ed il Prof. Stefano Colombari al Convegno nazionale organizzato dal CISDEN (Centro Italiano di Studi di Diritto dell’Energia): Problemi attuali del diritto dell’energia: gas e onde elettromagnetiche, tenutosi in Roma il 27 ottobre 2000 presso l’UNIDROIT. Da tale affermazione si evince chiaramente la strumentalità delle attività a monte della filiera rispetto all’attività più a valle della stessa. Tra tali attività, peraltro, particolare importanza assumono il trasporto e la distribuzione. Il gas naturale che viene estratto dai giacimenti italiani e stranieri, infatti, per poter giungere alle nostre case, deve necessariamente transitare all’interno di gasdotti ad alta e bassa pressione. Le attività che vengono esercitate per il tramite delle infrastrutture di rete, quindi, sono strumentali anche allo svolgimento di altre attività della filiera, e cioè della produzione e dell’importazione. Tali infrastrutture, come è noto, vengono annoverate tra i cd. monopoli naturali. Ragioni tecniche, oltre che ambientali, infatti, ne sconsigliano la duplicazione. Alla luce di queste brevi considerazioni si comprende già la ragione che ha spinto il legislatore della liberalizzazione a dettare una disciplina particolare per le attività di trasporto e distribuzione del gas. Se, infatti, le infrastrutture di rete sono strumentalmente necessarie all’esercizio di un’attività economica, l’impossibilità di accedere a tali infrastrutture impedisce lo svolgimento dell’attività. Se, poi, si tratta di un’attività liberalizzata (come la vendita, ma anche la produzione e l’importazione), è necessario che l’infrastruttura venga gestita in maniera neutrale. Una gestione che tenda a favorire alcuni operatori economici rispetto ad altri, infatti, impedisce lo sviluppo della concorrenza nel mercato in cui tali soggetti operano. Il legislatore della liberalizzazione, quindi, dettando una disciplina particolare per le attività di trasporto e distribuzione del gas naturale, ha perseguito due obiettivi: quello di permettere lo svolgimento delle attività liberalizzate e quello di garantire un’effettiva competizione nei relativi mercati. Nel corso del presente lavoro si è cercato di verificare se tali obiettivi sono stati effettivamente raggiunti.
XXIII Ciclo
1975
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21

ROSA, DANIELE. "Il governo delle comunaglie. Fonti, gestione, conflitti e tutela dei beni ad uso collettivo nella Liguria d’età moderna." Doctoral thesis, Università degli studi di Genova, 2019. http://hdl.handle.net/11567/945793.

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La tesi muove dal metodo proposto da Elinor Ostrom sulle soluzioni istituzionali più efficaci per la gestione delle risorse naturali collettive per effettuare un'indagine storico-giuridica sugli usi civici liguri tra tardo medioevo ed età moderna. La ricognizione dell'inquadramento giuridico delle singole cose (pascoli, boschi, prati, fiumi...) tra diritti romano comune e diritto locale si affianca all'indagine della dialettica tra Repubblica di Genova e comunità soggette sul governo del territorio. L'esame approfondito di alcuni casi di gestione di risorse collettive tratti da fonti d'archivio locali, alla luce dello schema di Ostrom, consente di riconsiderare l'esperienza della proprietà collettiva in Liguria e della statualità genovese in età moderna, offrendo altresì spunti per una riflessione critica sul dibattito contemporaneo sui beni comuni.
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Pulice, Elisabetta. "Il ruolo della deontologia medica nel sistema delle fonti del diritto: un'analisi comparata. Le rôle de la déontologie médicale dans les sources du droit :analyse comparée." Doctoral thesis, Università degli studi di Trento, 2014. https://hdl.handle.net/11572/368189.

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L’obiettivo della presente tesi è un’analisi comparata del ruolo della deontologia medica nel sistema delle fonti del diritto in Italia, Francia e Germania. Nella prima Parte alcune considerazioni preliminari e l’analisi linguistica hanno permesso di definire l’ambito di indagine e i profili di maggiore complessità del rapporto tra dimensione deontologica e dimensione giuridica sui quali nelle Parti successive si è concentrata l’indagine. La seconda Parte, dedicata alla codificazione dell’etica medica, ha messo in luce la varietà di soluzioni e di modalità di ingresso della norma deontologica nell’ordinamento giuridico. Dal punto di vista comparato, possono distinguersi almeno due modelli principali. In alcuni ordinamenti, infatti, il codice deontologico assume la forma di una fonte del diritto e viene collocato così in maniera “non mediata†nel sistema delle fonti dell’ordinamento statale. Nel modello di ingresso “mediato†, invece, la norma deontologica acquisisce rilevanza sul piano giuridico attraverso il rinvio che ad essa fanno altri principi, norme e clausole generali dell’ordinamento. Il codice di deontologia medica italiano rientra in questo secondo modello, poiché, nonostante assuma significativa rilevanza sul piano giuridico, dal punto di vista strettamente formale rimane ancora un regolamento interno alla categoria professionale. Del modello “non mediato†fanno invece parte il codice deontologico francese (e, più in generale, la categoria di déontologies étatiques, a cui esso appartiene) e le Berufsordnungen del Länder tedeschi. Ciò nonostante, le due esperienze presentano diversità sostanziali nella struttura dei rapporti tra diritto e deontologia. Nell’ordinamento francese il codice di deontologia medica diventa infatti una fonte dello Stato poiché viene pubblicato sul Journal Officiel come decreto del Primo Ministro, nello specifico come décret en Conseil d’Etat, ossia un decreto per il quale è obbligatorio il parere del Consiglio di Stato francese ed è stato infine integrato in un codice statale, il Code de la santé publique. In Germania, invece, i codici deontologici vengono emanati dagli ordini professionali con la forma di Satzungen, fonti sublegislative (untergesetzlich) che rimangono però espressione dell’autonomia amministrativa riconosciuta agli ordini professionali in qualità di Körperschaft des öffentlichen Rechts. Rispetto a questi due modelli, in Italia la collocazione del codice deontologico tra le fonti del diritto risulta quindi più complesso e la definizione della sua natura giuridica rimane ancora controversa. Nella terza Parte è stato analizzato il ruolo della deontologia medica nell’ambito del biodiritto, sottolineando innanzitutto l’esistenza di un nucleo di principi comuni ai codici deontologici, i quali si sono progressivamente aperti ad una sostanziale tutela dei diritti fondamentali della persona assistita, in sintonia con i principi elaborati a livello costituzionale, nazionale e internazionale. L’analisi comparata dei rapporti tra deontologia e diritto in alcuni ambiti specifici ha però evidenziato come, al di là di tale nucleo comune, l’evoluzione di contenuti concreti dei codici e l’ampiezza di determinate discipline dipenda da quattro fattori principali: le caratteristiche dell’oggetto da disciplinare; le scelte di intervento dell’ordinamento giuridico nell’ambito del biodiritto; il modello dei rapporti tra diritto e deontologia medica e la capacità della categoria professionale di farsi carico delle nuove esigenze di tutela dei diritti fondamentali. La combinazione tra questi fattori può variare in maniera significativa nei singoli ordinamenti, dando vita ad esiti anche molto diversi sul piano normativo. Lo studio di alcuni specifici ambiti del biodiritto ha messo inoltre in luce le peculiarità del ruolo della deontologia medica, la quale svolge una funzione essenziale nella definizione del caso concreto, ma può anche costituire fonte di disciplina specifica del biodiritto, in ragione di un’inerzia o di una specifica delega del legislatore. La quarta Parte è dedicata alla violazione della deontologia e ai procedimenti disciplinari, che sono stati valutati in relazione alla loro idoneità ad emancipare l’accertamento della responsabilità deontologica dalla dimensione meramente corporativistica. Infine nella Parte conclusiva sono stati analizzati alcuni profili legati alla dimensione europea della deontologia e, alla luce di quanto emerso dall’analisi comparata, sono state proposte alcune ipotesi di riforma per un modello italiano più coerente, flessibile ed efficace dei rapporti tra diritto e deontologia.
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FAZIO, MARIANO. "LA PRODUZIONE DI ENERGIA ELETTRICA DA FONTI RINNOVABILI. IL COORDINAMENTO DELLE RESPONSABILITÀ NEL SISTEMA AUTORIZZATORIO DI CUI ALL'ART. 12 DEL D.LGS. 387/2003." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2011. http://hdl.handle.net/2434/153098.

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The PhD thesis focuses on the authorization procedures for plants generating energy from renewable sources ruled by art. 12 of d. lgs. 387/2003, especially studying the topic of coordination between the different public authorities involved in it. The work is divided into three parts. The first chapter analyzes the administrative procedures for permitting the installation for different type of RES technology in the European scenario, mainly considering the system of economic incentives for renewable energy projects set in order to reach the target of 20% of all energy use to be obtained from renewable resources by 2020. The second chapter of the thesis offers a critical analysis of the preconditions of administrative procedures in force at national level. The third chapter offers a deep survey about the current A.U. procedure ruled by the national legislation. This section focuses on legal means set by Italian law in order to coordinate the different public authorities involved in administrative procedures for permitting the installation for different type of RES technology.
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COLONNA, DANIELE. "La Cassazione tra prototipo francese e stare decisis: una prospettiva storica." Doctoral thesis, Università degli studi di Genova, 2022. http://hdl.handle.net/11567/1076327.

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La natura della corte di cassazione italiana è oggi oggetto di profondi cambiamenti. La presente Tesi di Dottorato cerca di leggere in maniera consapevole questa metamorfosi ripercorrendo gli accadimenti che hanno condotto al formarsi del modello della cassation francese, in ancien régime e nel contesto rivoluzionario, e a quello dello stare decisis, strutturatosi a partire dalle vicende del Seicento inglese e affermatosi nel XIX secolo in coerenza con la riforma delle strutture giudiziarie.
The nature of the Italian Court of cassation is now undergoing profound changes. The present Doctoral Thesis seeks to read this metamorphosis by tracing the events that led to the development of the model of the French cassation, in ancien régime and in the revolutionary context, and that of stare decisis, structured in the English Seventeenth Century and established in the Nineteenth Century in line with the reform of judicial structures.
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TAVERRITI, SARA BIANCA. "L'AUTOCONTROLLO PENALE. RESPONSABILITÀ PENALE E MODELLI DI AUTONORMAZIONE DEI DESTINATARI DEL PRECETTO." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2019. http://hdl.handle.net/2434/619498.

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La ricerca prende l’abbrivio dalla constatazione della crescente importanza acquisita, nel panorama delle fonti penalistiche, dal fenomeno dell’autonormazione: prodotto del diritto penale post-moderno consistente nell’autoimposizione, da parte dei destinatari stessi della norma, di precetti comportamentali in chiave criminal-preventiva. Oltre al ruolo ambivalente del principio di legalità penale (effetto e causa, al contempo, del fenomeno qui preso in considerazione), l’interesse del penalista per l’approfondimento scientifico del fenomeno è sollecitato dal potenziale che quest’ultimo rivela come alternativa (sostitutiva o integrata) rispetto al diritto penale. Il primo capitolo è dedicato alla ricostruzione delle cause che hanno dato origine al fenomeno, all’uopo ripartite in due macro-categorie: (i) le cause di ordine generale, per l’enucleazione delle quali è stata condotta una ricerca che spazia nelle materie sociologiche, economiche e giusfilosofiche; (ii) le cause di natura giuridica, che sono state investigate considerando sia le manifestazioni comuni all’intero ordinamento giuridico, sia quelle specifiche della penalistica, in cui la crisi del principio della riserva di legge e il declino del diritto penale classico assumono un’importanza cruciale. Nel secondo capitolo, il focus dell’analisi si concentra sulla dimensione strutturale del paradigma autonormativo per come emerso nelle sue principali manifestazioni e nelle concettualizzazioni teoriche maturate soprattutto grazie all’approfondimento riservato al fenomeno della Self-Regulation dagli studiosi di area anglosassone. La paradigmatica dell’autonormazione viene scrutinata tanto nelle sue singole componenti costitutive statiche, quanto nei suoi moti dinamici come strategia regolatoria all’interno dell’ordinamento. La ricerca si sposta nel terzo capitolo dalla struttura alla funzione, con l’obiettivo di ricavare i criteri di politica-criminale strumentali all’impiego dell’autonormazione nel sistema penale. A tal fine, sono state esplorate le possibili relazioni interordinamentali di raccordo tra sistemi autonormativi e ordinamento statale, applicando una metodologia mutuata dall’impostazione di Santi Romano ma ambientata sul terreno del diritto penale e delle sue alternative. Nel quarto capitolo l’indagine si rivolge verso i più eminenti esempi di autonormazione manifestatisi nell’ordinamento italiano: i modelli organizzativi ex D. Lgs. 231 del 2001; i piani per la prevenzione della corruzione nella P.A.; le linee guida medico-chirurgiche per lo svolgimento delle attività sanitaria. Oltre a una disamina ricognitiva della disciplina di questi sub-sistemi normativi, i tre banchi di prova vengono scandagliati in chiave struttural-funzionalistica alla luce dei criteri di analisi illustrati nel secondo capitolo e ricavati nel terzo. Il capitolo 5 chiude il lavoro proiettando i risultati delle ricerche sul piano della teoria del reato, per verificare quale impatto abbia/possa avere l’autonormazione sulla dogmatica. Dopo aver passato in rassegna le possibili ricadute sulle diverse categorie penalistiche, la chiosa finale valorizza il potenziale del diritto riflessivo come candidato ideale per la concretizzazione della clausola di extrema ratio in materia penale. L’uso dell’autonormazione come strumento alternativo rispetto al diritto penale viene ritenuto, infatti, il profilo applicativo più promettente e degno di essere ulteriormente esplorato.
One of the crucial challenges of Criminal Law in the new millennium is to deal with the complexity of contemporary society. The traditional approach based on the State monopoly on criminal matters keeps abreast no longer with the scientific-technological sophistication and the rate of changes in criminal behavior in the era of globalization. In this scenario, we witness the rise of Self-Regulation as an auxiliary tool of crime prevention, whose main goal is to fill the vacuum and to compensate for the rapid obsolescence of state legislation. Compliance Programs, Anti-Bribery Plans, Clinical Guidelines are some of the elements of a diverse constellation of cases in which preventive measures, behavioral rules, surveillance, and sanctions are issued and enforced by a legislator who coincides with the recipient, and which is often a private actor. Nevertheless, the ambivalence of Self-Regulation lies in the fact that – in the face of some positive externalities promised – this paradigm could jeopardize some of the fundamental principles of Criminal Law. The aim of this work is to provide a critical analysis of such phenomenon in order to verify the compatibility of Self-Regulation with the Rule of Law and to assess its efficacy in deterring and detecting misconducts.
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FRATERRIGO, Claudia. "LA DISCIPLINA DEL SETTORE ENERGETICO IN UN SISTEMA MULTILIVELLO." Doctoral thesis, Università degli Studi di Palermo, 2014. http://hdl.handle.net/10447/91189.

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Da una prospettiva privilegiata, quale quella offerta dal diritto dell’energia, si affronta l’allocazione nei diversi livelli di governo della funzione legislativa e delle funzioni amministrative e, quindi, come in concreto viene utilizzata da ciascun ente la propria quota-parte di competenze. In particolare, si esamina lo spatium operandi riconosciuto all’autonomia legislativa ed amministrativa delle Regioni alla luce della riforma del Titolo V della Costituzione e delle riforme della legislazione nazionale ed europea che si sono succedute, con particolare riferimento allo strumento di pianificazione energetica della Regione siciliana. Inoltre, si considerano le refluenze che l’assetto di competenze nazionali e sovranazionali produce sul procedimento di autorizzazione alla costruzione di impianti alimentati da fonti rinnovabili, nel quale entrano necessariamente in gioco molteplici parametri, che esprimono altrettanti valori dei quali l’amministrazione deve inevitabilmente tener conto, nell’ambito della discrezionalità amministrativa che la legge le concede. Sovente, invece, a determinazioni amministrative che accordano preferenza alla normativa europea di promozione delle fonti energetiche rinnovabili, fanno da contraltare atti in cui tale normativa è aprioristicamente estromessa dalla ponderazione degli interessi in gioco. Orbene, in questa seconda ipotesi, si ritiene che possa emergere un vizio di “anticomunitarietà” dell’atto amministrativo, il quale non solo risulta contrastante con il quadro normativo europeo in materia di incentivo alle fonti rinnovabili e di riduzione delle emissioni inquinanti, e viepiù non risulta giustificato neppure alla luce della normativa e della giurisprudenza in materia di tutela dell’ambiente, della salute o del paesaggio.
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AGOSTINO, LORENZO. "Il giudizio di secondo grado. Garanzie dell’imputato ed efficienza processuale." Doctoral thesis, Università degli studi di Genova, 2022. http://hdl.handle.net/11567/1085242.

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The thesis deals with the remedy of the appeal with the purpose of studying it in the light of the guarantees of the defendant and the need to reduce the length of the trial. In this prospective, the firts chapter aims to find the ratio of the appeal by analyzing its historical evolution and its role in the context of other systems, of the international Charters and of the Italian Constitution. After demonstrating the defensive nature of the remedy, the second chapter shows how the most recent reforms have emphasised its characteristics of tool of protection of the defendant, paving the way to a rethinking of the appeal as a means available only to the accused person. Lastly, the third chapter focuses on the strategies to follow in order to contain the workload of the courts of appeal.
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Mazzuoli, Valerio de Oliveira. "Rumo às novas relações entre o direito internacional dos direitos humanos e o direito interno : da exclusão à coexistência, da intransigência ao diálogo das fontes." reponame:Biblioteca Digital de Teses e Dissertações da UFRGS, 2008. http://hdl.handle.net/10183/132783.

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Les rapports entre le droit international des droits de l’homme et le droit interne sont devenus, à travers le temps, chaque fois plus complexes, en grande mesure dû aux conflits et antinomies qui naissent entre les règles des ces deux ordonnements quand de l’application, dans le plan du droit interne, d’un traité international de droits de l’homme. La doctrinne traditionnelle, acompagnée par la jurisprudence des tribunaux internes, ont résolu le problème par l’a application de méthodes aussi traditionnelles de solution d’antinomies, qui sont, le hierarchique, le chrolonogique et celui de la spécialité. Seulement quelque peu d’auteurs pensent que l’application de ces critères classiques ne suffisent plus aux besoins que l’ordre juridique pos-moderne exige, comme la coordination des règles de protection à fin de se trouver le “meilleur droit” dans le cas concret. Cette étude defend ce dernier point de vue, et l’auteur comprend que la solution pour les antinomies entre le droit international des droits de l’homme et le droit interne doit être atteint en cherchant la coexistence des sources de protection, plutôt de l’exclusion d’une pour l’autre dans un système intransigeant. Cette coexistence passe à être possible quand se comprend que le système international de protection des droits de l’homme “dialogue” avec le droit interne, toujours dans le sens de mieux proteger à la personne humaine sujet de droits. On propose la construction d’un système que non “choisit” une régle en exclusion de l’autre, mais que les coordonne et les unit en faveur de la protection du être humain, en consacration pleine au principe international pro homine.
Le relazioni tra il diritto internazionale dei diritti umani e il diritto interno sono divenute, col passare del tempo, sempre più complesse, principalmente a causa dei conflitti e le antinomie che sorgono tra le regole di questi due ordinamenti, in particolare, con riferimento all’applicazione, nel piano del diritto interno, di un trattato internazionale sui diritti umani. La dottrina tradizionale, seguita dalla giurisprudenza dei tribunali locali, ha risolto il problema attraverso l’applicazione di criteri tradizionali di soluzione di antinomie, quali siano, attraverso il criterio gerarchico, quello cronologico e della specialità. Appena pochi autori intendono che l’applicazione di questi criteri classici non soddisfa più le necessità che l’ordine giuridico post moderno esige, come quella della coordinazione delle regole di protezione al fine di applicare il “miglior diritto” al caso concreto. Questo studio difende questo ultimo punto di vista, intendendo l’Autore che la soluzione per le antinomie tra il diritto internazionale dei diritti umani e il diritto interno deve essere incontrata nella ricerca della coesistenza delle fonti di protezione, invece della esclusione di una per l’altra all’interno di un sistema intransigente. Questa coesistenza passa ad essere possibile quando si intende che il sistema internazionale di protezione dei diritti umani “dialoga” con il diritto interno, sempre nel senso di cercare la migliore protezione della persona umana, soggetto di diritti. Si difende la costruzione di un sistema che non “sceglie” una regola di esclusione per un’altra, ma che le coordina e le unisce a vantaggio della protezione dell’essere umano, consacrando il principio internazionale pro homine.
As relações entre o direito internacional dos direitos humanos e o direito interno têm se tornado, através dos tempos, cada vez mais complexas, em grande parte devido aos conflitos e antinomias que surgem entre as regras desses dois ordenamentos quando da aplicação, no plano do direito interno, de um tratado internacional de direitos humanos. A doutrina tradicional, acompanhada pela jurisprudência dos tribunais locais, tem resolvido o problema pela aplicação de critérios também tradicionais de solução de antinomias, quais sejam, o hierárquico, o cronológico e o da especialidade. Apenas alguns poucos autores entendem que a aplicação desses critérios clássicos não mais satisfaz às necessidades que a ordem jurídica pósmoderna está a exigir, como a coordenação das regras de proteção a fim de alcançarse o “melhor direito” no caso concreto. Este estudo defende este último ponto de vista, entendendo o Autor que a solução para as antinomias entre o direito internacional dos direitos humanos e o direito interno deve ser alcançada buscandose a coexistência das fontes de proteção, ao invés da exclusão de uma pela outra num sistema intransigente. Esta coexistência passa a ser possível quando se entende que o sistema internacional de proteção dos direitos humanos “dialoga” com o direito interno, sempre no sentido de melhor proteger a pessoa humana sujeito de direitos. Propugna-se pela construção de um sistema que não “escolhe” uma regra em exclusão de outra, mas que as coordena e as une em prol da proteção do ser humano, em franca consagração ao princípio internacional pro homine.
The relationship between international human rights law and national law has, over time, become ever more complex, in large measure due to the conflicts and antinomies that arise between the rules of these two systems regarding the application, in national law, of an international human rights treaty. The traditional doctrine, accompanied by the jurisprudence of local courts, has resolved the problem by the application of traditional criteria for solving antinomies, which are the hierarchical, the chronological and the specialization. Only a few authors understand that the application of these classical criteria no longer satisfies the necessities of the post-modern judicial order, such as the coordination of the protection rules in order to achieve the “best law” in a concrete case. This study defends this latter point of view, based on the principle that the antinomies between international human rights law and internal law should be solved through the coexistence of the protection sources, instead of excluding one by the other in an irreconcilable system. This coexistence becomes possible when one understands that the international system of protection for human rights “dialogues” with internal law, always in the sense of better protecting the human being who is the subject of rights. I argue for the construction of a system that does not “choose” one rule over another, but that coordinates and unites different rules in favor of the protection of the human being, in clear support of the international pro homine principle.
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Pisani, Federico. "Knowledge workers management. Concorrenza e invenzioni nel rapporto di lavoro subordinato: il modello statunitense." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2019. http://hdl.handle.net/11577/3425914.

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Il presente studio affronta gli argomenti della concorrenza e delle invenzioni nel rapporto di lavoro subordinato statunitense. L’attività di ricerca è stata svolta in parte presso la School of Law della Boston University, USA, sotto la supervisione di Micheal C. Harper, professore di diritto del lavoro. L’argomento presenta una crescente rilevanza, considerato che nella nuova organizzazione produttiva, fondata in gran parte sulla conoscenza globalizzata, al lavoro dipendente si chiede ormai sempre maggiore professionalità, innovazione e creatività. La scelta di esaminare questa tematica dalla prospettiva del “laboratorio USA”, è dovuta al primato di cui tale nazione gode a livello internazionale sul piano economico, scientifico e dell’innovazione dei processi lavorativi, che fanno emergere criticità in altri Paesi probabilmente ancora non avvertite. Al fine di inquadrare gli istituti giudici menzionati nel modello statunitense, si è reso opportuno dare conto del sistema delle fonti normative negli USA, con particolare focus sul Restatement of Employment Law, cioè la raccolta di principi fondamentali elaborati negli anni dal common law in materia di rapporto di lavoro. All'esame delle fonti segue la definizione del concetto di lavoratore subordinato (employee) e lavoratore autonomo (independent contractor), necessario per l’inquadramento del campo di applicazione degli obblighi scaturenti dal rapporto di lavoro subordinato, tra cui il duty of loyalty, implicato nel rapporto fiduciario. In tale ambito, si è osservata l’evoluzione giurisprudenziale che ha condotto all'adozione dei criteri relativi alla distinzione in esame, prevalentemente concernenti il giudizio sulla rilevanza degli elementi fattuali determinanti per l’accertamento della subordinazione. Delineati i contorni della fattispecie di lavoro subordinato, il presente studio affronta la tematica della tipica forma del contratto di lavoro statunitense, il c.d. employment-at-will, cioè il rapporto a libera recedibilità. Tale peculiarità scaturisce dal principio fondamentale per cui le parti non sono vincolate ad alcun obbligo di fornire la motivazione per il licenziamento. La terza parte del lavoro ha ad oggetto la disciplina della concorrenza del lavoratore effettuata sulla base delle conoscenze acquisite, legalmente o illegalmente, durante il rapporto e le relative tecniche di tutela del datore di lavoro, a fronte della violazione del duty of loyalty, quale obbligo del lavoratore subordinato di esecuzione della prestazione lavorativa nell'interesse esclusivo dell’imprenditore e, conseguentemente, di astensione dal porre in essere condotte pregiudizievoli nei confronti di quest’ultimo. Quanto alle tecniche di tutela esperibili in caso di violazione degli obblighi esaminati, vengono illustrati i rimedi legali e equitativi che il diritto statunitense offre al datore di lavoro. La parte finale del presente studio si occupa della disciplina relativa alla titolarità dei diritti scaturenti dalle invenzioni sviluppate dai dipendenti nel corso del rapporto di lavoro. In questo senso si sono esaminate le definizioni di “invenzione” e “brevetto” ed il loro rapporto nel contesto della regolamentazione giuslavoristica; si è posta in rilievo la differenza tra invenzione come opera di ingegno e proprietà intellettuale tutelata dal diritto d’autore. Inoltre, si sono osservati i meccanismi sottesi alle norme fondamentali che regolano la materia e la loro convivenza con la libertà contrattuale delle parti e il loro potere di disporre dei suddetti diritti.
This work addresses the issues of competition and inventions in the U.S. employment relationships. The research was carried out in part at the Boston University School of Law of, under the supervision of Micheal C. Harper, professor of Labour Law. The selection of the topic is justified in the light of its importance, given that in the new production organization, based largely on globalized knowledge, employees are now increasingly being asked for professionalism, innovation and creativity. The decision to examine this issue from the perspective of the "U.S. laboratory" is due to the primacy that this nation holds at international level on the economic, scientific and innovation of work processes, which bring out critical issues that in other Countries probably have not yet been raised. In order to frame the above-mentioned topics, it has become appropriate to give an account of the system of regulatory sources in the USA, with particular focus on the Restatement of Employment Law, i.e. the collection of fundamental principles developed over the years by common law in the field of employment relationships. The examination of the sources is followed by the definition of the concept of employee and self-employed worker (independent contractor), necessary for the assessment of the application of the obligations arising from the employment relationships, including the duty of loyalty, involved in the fiduciary law. In this context, the evolution of the case law has been observed, as well as the examination of the criteria relating to the distinction between employees and independent contractors, mainly concerning the judgement on the relevance of the factual elements determining the assessment of the existence of an employment relationship. Subsequently, this study addresses the issue of the typical form of the U.S. employment contract, the so-called employment-at-will. This peculiarity is originated from the principle that the parties are not bound by any obligation to provide reasons for termination. The third part of the work has as its object the discipline of competition of the worker carried out on the basis of the knowledge acquired, legally or illegally, during the relationship and the relative legal remedies for the employer, against the violation of the duty of loyalty, intended as an obligation of the employee to perform the work in the exclusive interest of the entrepreneur and, consequently, to refrain from engaging in prejudicial conduct against the company. About the remedies available in the event of breach of the obligations examined, the legal and equitable remedies that U.S. law offers the employer have been explained. The final part of this study deals with the rules governing the ownership of rights arising from inventions developed by employees in the course of their employment. The definitions of "invention" and "patent" and their relationship in the context of employment law has been examined and the difference between invention as a work of genius and intellectual property protected by copyright has been highlighted. In addition, the mechanisms underlying the basic rules governing the subject matter and their coexistence with the contractual freedom of the parties and their power to dispose of these rights have been observed.
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CHIAROMONTE, WILLIAM. "L'accesso al lavoro ed alla sicurezza sociale dei cittadini non comunitari nelle fonti europee e nazionali." Doctoral thesis, 2009. http://hdl.handle.net/2158/454456.

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La ricerca condotta, nel tentativo di analizzare le risposte date dal diritto del lavoro comunitario e nazionale alle molteplici questioni sollevate dalle migrazioni per motivi economici, ha messo in luce alcuni punti focali della materia. Le caratteristiche dell’ordinamento internazionale, stante la carenza di un contesto di riferimento sufficientemente solido ed unitario, non hanno consentito lo sviluppo in subiecta materia di un apparato complessivo e coeso tale da disciplinare in modo coerente ed efficace il fenomeno migratorio, ed in particolare quell’aspetto particolarmente significativo di tale fenomeno che è rappresentato dalle migrazioni per motivi di lavoro. Le frammentarie ed incomplete disposizioni di diritto internazionale che rilevano sul punto, pertanto, non lasciano spazio alla possibilità di ricostruire le linee di fondo di una politica unitaria. A livello comunitario, invece, la presenza di un autonomo ordinamento giuridico, in virtù del quale si è raggiunto un tasso di integrazione decisamente più soddisfacente tra gli Stati membri, ha consentito l’emersione quantomeno di alcuni tratti distintivi delle politiche migratorie dell’Unione. Le finalità essenzialmente economiche che hanno dato origine al processo di integrazione europea hanno lasciato fin dal principio in subordine le preoccupazioni di ordine sociale. Per questo motivo, non stupisce che nel Trattato di Roma del 1957 non vi sia traccia alcuna di disposizioni in materia di immigrazione, anche perché non si poneva ancora il problema della gestione dell’immigrazione extracomunitaria, che allora aveva una portata decisamente esigua. Lo status dei cittadini di Paesi terzi, fin dall’origine della Comunità, è rimasto sostanzialmente rimesso alle discipline nazionali, mentre solo per i cittadini degli Stati membri è stato fin da subito delineato un regime di diritto comunitario. Questa contrapposizione caratterizzerà gli sviluppi successivi della materia. La genesi lenta e difficoltosa di una disciplina organica a livello comunitario delle migrazioni per motivi economici è essenzialmente dovuta a due fattori: in primo luogo, si tratta di una competenza comunitaria relativamente giovane, se si considera che la materia dell’immigrazione è stata “comunitarizzata” solo nel 1999 ad Amsterdam; in secondo luogo, gli Stati hanno sempre manifestato la propria riluttanza nei confronti di un’armonizzazione sovranazionale delle discipline nazionali in materia di immigrazione. E’ per questa ragione che con gli Accordi di Schengen, prima, e l’Atto unico, poi, gli Stati hanno preferito procedere, su base volontaria, lungo la strada della cooperazione intergovernativa, che non ha comporto alcuna forma di abbandono di competenze statali. Oggetto di cooperazione sono stati solo quegli aspetti del fenomeno migratorio funzionali all’instaurazione del mercato interno, allo scopo di evitare gli effetti indesiderati della libera circolazione, e quindi principalmente quelli connessi alla lotta contro l’immigrazione clandestina. La reazione agli ingressi indesiderati si dimostrerà essere un’altra costante delle politiche migratorie comunitarie. Neppure la collocazione del metodo intergovernativo all’interno del sistema istituzionale comunitario, attuata a Maastricht nel 1992, ha dato una spinta decisiva allo sviluppo di una governance europea nella materia in esame, concretandosi in sostanza in un ulteriore rafforzamento della politica restrittiva nei confronti del fenomeno migratorio. Il punto di svolta, come si diceva, è costituito dal Trattato di Amsterdam che, attraverso la strada della “comunitarizzazione flessibile”, ha portato finalmente nell’alveo del sistema comunitario sia la materia dell’immigrazione, sia parte dell’acquis di Schengen. La prudenza e la gradualità del passaggio al metodo comunitario, criticate da più parti, hanno tuttavia consentito una tale “comunitarizzazione”, avvenuta in misura determinante proprio grazie alle deroghe introdotte rispetto al diritto comunitario generale, confermando che una delle costanti delle politiche europee in tema di immigrazione è rappresentata proprio dalla dialettica tra il metodo comunitario e quello intergovernativo. Gli assi prioritari di intervento dell’Unione, tuttavia, restavano ancora il rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne e le misure di espulsione, mentre le misure in materia di migrazione legale, anche per motivi di lavoro, venivano sottoposte alla procedura consultiva ed alla regola dell’unanimità, ad ulteriore conferma della riluttanza degli Stati membri nei confronti di una compiuta “comunitarizzazione” della politica dell’immigrazione. Il carattere più programmatico che normativo del Trattato di Amsterdam ha comportato la previsione di nuove competenze delle istituzioni comunitarie, ma non di chiare indicazioni sulle politiche da adottare. L’esigenza di una politica europea comune e generale in materia di immigrazione è quindi stata nuovamente sottolineata dalle ambiziose Conclusioni del Consiglio di Tampere del 1999, cui ha fatto seguito l’anno seguente la più concreta Comunicazione della Commissione specificamente dedicata alla politica migratoria comunitaria, che ha rilanciato il dibattito proprio sull’immigrazione dovuta a spinte economiche di mercato. Ciononostante, i noti avvenimenti che hanno caratterizzato lo scenario internazionale dopo l’11 settembre 2001 hanno portato ad un nuovo irrigidimento degli orientamenti politici in materia di immigrazione. La regola dell’unanimità ha reso particolarmente problematica l’adozione di atti normativi nel settore delle politiche migratorie, e neppure lo strumento del metodo aperto di coordinamento ha consentito di superare tale impasse regolativo. In particolare, non ha avuto seguito neppure l’interessante Proposta di Direttiva in materia di ingresso e soggiorno per motivi economici che, nonostante un approccio al fenomeno eminentemente economicistico, ha il merito di aver finalmente delineato una procedura comune in tema di ingresso degli immigrati per motivi di lavoro sulla base di una valutazione della situazione dei mercati del lavoro nazionali. Il passaggio alla regola della maggioranza qualificata ed alla procedura di codecisione senza dubbio rappresentano il superamento di uno dei principali ostacoli che negli anni si è frapposto alla realizzazione di una politica migratoria comunitaria. L’accantonamento dell’ambizioso progetto del Trattato costituzionale, però, ha fatto slittare tale importante innovazione al momento dell’entrata in vigore il Trattato di Lisbona. Ugualmente, è stata rinviata anche l’“unionizzazione” della politica migratoria comunitaria che, attraverso il superamento della struttura fondata sui tre pilastri, e dunque della distinzione tra materie “comunitarizzate” e materie “intergovernative”, dovrebbe finalmente consentire una visione tendenzialmente omnicomprensiva del fenomeno. La condizione dei cittadini dei Paesi terzi, inoltre, ne uscirà ulteriormente rafforzata, in forza dell’attribuzione dello status giuridicamente vincolante alla Carta di Nizza, da un lato, e dell’adesione dell’Unione alla Cedu, dall’altro, che potrebbero agevolarne l’accesso al lavoro ed alla sicurezza sociale. Nell’attesa dell’entrata in vigore del nuovo Trattato, neppure l’attuazione del Programma dell’Aia, che comunque ridimensiona le ambizioni manifestate a Tampere, ha consentito l’emersione di un quadro completo e coerente in materia di politiche migratorie. Anzi, risulta in qualche modo confermata l’impossibilità di definire norme comuni per l’ammissione di lavoratori di Paesi terzi, anche perché si è scelto di preferire sul punto un’impostazione di tipo settoriale, considerata l’unica strada percorribile per superare le riserve che gli Stati membri continuano ad avere su un settore considerato ancora di interesse principalmente nazionale. La mancanza di una chiara governance del fenomeno a livello comunitario ha in qualche modo influito sull’evoluzione della disciplina nazionale. Di fronte all’emersione della questione migratoria in Italia, principalmente tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta dello scorso secolo, sarebbe stato lecito attendersi un intervento tempestivo e puntuale da parte del legislatore nazionale. Ciò non è avvenuto, e gli spazi lasciati vuoti dalla latitanza del legislatore sono stati in gran parte colmati da un’ipertrofica regolamentazione amministrativa, che identificava il fenomeno essenzialmente come un problema di ordine pubblico e sicurezza sociale. La legiferazione “per circolari” ha caratterizzato la disciplina dell’accesso al lavoro degli stranieri fino alla metà degli anni Ottanta, ponendosi in aperto contrasto con la riserva di legge sancita dall’art. 10, comma 2, Cost. in materia di condizione giuridica dello straniero. Essa, quindi, ha delineato per lungo tempo l’impianto essenziale della materia, un impianto privo di qualsiasi tipo di organicità, quando non addirittura contraddittorio e difficilmente conoscibile. Se con la legge Foschi del 1986 ci si era limitati a dare la veste della legge al corpus delle circolari ministeriali che si erano stratificate nel tempo, è solo con la legge Martelli del 1990 che si è tentata una prima regolamentazione di largo respiro al fenomeno migratorio, introducendo in particolare il meccanismo della programmazione dei flussi in ingresso per ragioni di lavoro dei non comunitari, che costituisce a tutt’oggi un asse portante della disciplina. L’incapacità del mondo politico di gestire la programmazione dei flussi e di predisporre le misure di integrazione degli stranieri palesarono, tuttavia, l’inadeguatezza della legge a governare il fenomeno. Il passaggio da una logica di interventi di tipo settoriale alla prima disciplina volta a regolare l’insieme degli aspetti concernenti l’ingresso, il trattamento e l’allontanamento dello straniero è rappresentato dalla legge Turco-Napolitano e dal T.U. sull’immigrazione del 1998, che sanciscono il radicale mutamento degli indirizzi di politica legislativa in materia di immigrazione. Accanto alle misure miranti a combattere il fenomeno dell’immigrazione clandestina, la legge combinava le esigenze di realizzazione di un’efficace politica di ingressi legali e programmati, prevalentemente per motivi di lavoro, con quelle di integrazione dei non comunitari. La programmazione delle politiche nazionali di immigrazione era collocata in una logica di più ampio respiro, fermo restando il principio della limitazione degli ingressi di stranieri per motivi di lavoro in funzione delle esigenze del mercato del lavoro nazionale. La disciplina dell’accesso al lavoro vedeva confermato il binomio autorizzazione al lavoro - permesso di soggiorno, al quale si accompagnavano le sostanziali novità del superamento del c.d. test della necessità economica, dell’introduzione della carta di soggiorno e dell’istituto dello sponsor, grazie al quale era prevista la possibilità di ottenere un permesso di soggiorno ai fini dell’inserimento nel mercato del lavoro. In particolare, emergevano con forza anche la tutela dei diritti e l’affermazione del principio di non discriminazione, presupposti indispensabili per l’integrazione degli immigrati nel tessuto economico e sociale del Paese. In presenza di una gestione delle quote troppo restrittiva, le periodiche sanatorie si sono dimostrate l’unico strumento capace di dare regolarità ai lavoratori stranieri che non riuscivano ad entrare in Italia, evidenziando d’altro canto l’incapacità istituzionale di provvedere ad una efficace politica di immigrazione. La pratica delle regolarizzazioni, che risulta essere il vero fulcro delle politiche migratorie italiane, non è stata abbandonata neppure dalla legge Bossi-Fini, che è intervenuta sul T.U. nel 2002 modificandolo per lo più in senso restrittivo. Oltre ad inasprirne l’impianto repressivo e sanzionatorio, la legge ha aggravato le già macchinose procedure di ingresso per motivi di lavoro, subordinando l’ingresso e la permanenza sul territorio nazionale dello straniero, nonché la concessione allo stesso di diritti, all’effettivo svolgimento di un’attività lavorativa sicura e lecita. D’altro canto, le politiche di rottura rispetto a quelle fatte proprie dalla legge Turco-Napolitano si sostanziano altresì nel sostanziale disinteresse dimostrato nei confronti degli aspetti relativi all’integrazione ed alla tutela dei diritti riconosciuti allo straniero. L’impianto della disciplina della programmazione dei flussi migratori non è stato oggetto di rilevanti modifiche. Analogamente, il cardine del sistema di controllo amministrativo della materia continua ad essere il permesso di soggiorno, e ciò dimostra come l’interesse di ordine pubblico al controllo degli stranieri continui a rappresentare un tratto distintivo anche dell’attuale assetto della disciplina. Un ulteriore segno in tal senso è rappresentato dalla previsione di un unico ente responsabile dell’intero procedimento di assunzione di lavoratori subordinati stranieri, lo Sportello unico per l’immigrazione, che fa capo alla Prefettura. La reintroduzione del c.d. test della necessità economica, l’abrogazione dello sponsor e del permesso di soggiorno per ricerca di lavoro (che, combinati con il meccanismo della chiamata nominativa del lavoratore ancora residente all’estero, non fanno altro che incentivare gli ingressi clandestini), la previsione del nuovo contratto di soggiorno per lavoro subordinato e gli oneri che ne derivano, principalmente in capo al datore di lavoro, sembrano essere tutti sintomi della volontà di disincentivare, per quanto possibile, le assunzioni dei lavoratori immigrati. A ciò si aggiunga che i principi che disciplinano attualmente la materia appaiono palesemente inadeguati non solo a regolare il fenomeno migratorio - basti pensare all’incapacità di riassorbire le quote di irregolarità in via ordinaria, e non attraverso sanatorie eccezionali - ma, e prima ancora, a comprenderlo a fondo. Il rigido condizionamento della permanenza legale in Italia all’esistenza ed alla conservazione di un regolare rapporto di lavoro testimonia che la logica alla base degli interventi normativi continua ad essere quella della stretta funzionalizzazione degli ingressi dei non comunitari all’utilità economica del Paese, mentre gli interessi e le esigenze di tutela degli immigrati rimangono decisamente in secondo piano, non trovando adeguate risposte da parte degli attori politico-istituzionali. Depone in tal senso anche la disciplina dell’accesso degli stranieri alle prestazioni di natura assistenziale, che nel nostro Paese avviene spesso in violazione del principio di non discriminazione, senza che ciò sia sorretto da ragionevoli giustificazioni. In questo caso le previsioni del T.U., che aveva sancito una sostanziale equiparazione tra italiani e non quanto all’accesso alla sicurezza sociale, sono state modificate in senso restrittivo dalla legge finanziaria per il 2001, che in modo particolare ha circoscritto il novero dei potenziali beneficiari delle provvidenze assistenziali sulla base del requisito del titolo di soggiorno da essi posseduto. Una tale situazione di arretramento legislativo, che ha comportato il generarsi di un trattamento discriminatorio in danno dei cittadini non comunitari, non è stata ancora censurata in modo deciso dalla Corte costituzionale, più volte sollecitata sulla questione dai giudici di merito, che invece hanno generalmente dimostrato una sensibilità più spiccata nei confronti della problematica. L’esistenza, nel nostro ordinamento, di un generale principio di non discriminazione quanto all’accesso alla sicurezza sociale risulta tuttavia confermato sia da disposizioni di diritto comunitario, sia dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia che, fondandosi anche sul richiamo diretto alla Carta di Nizza, è finalmente apparsa più sensibile alla questione della tutela dei diritti sociali fondamentali. Inoltre, un ruolo rilevante in materia è quello giocato dalla giurisprudenza dei giudici di Strasburgo, i quali hanno recentemente confermato la propria impostazione volta a ricomprendere nell’ambito di applicazione del principio di non discriminazione sancito dalla Cedu anche le prestazioni sociali. Una tale ricostruzione potrebbe, in linea di principio, influire in modo rilevante su quella dei giudici di Lussemburgo, in particolar modo attraverso un ripensamento della rigida nozione di “situazione puramente interna” che, al momento, impedisce un’applicazione generalizzata del Regolamento n. 859 del 2003, il quale sancisce il principio di parità di trattamento in materia di sicurezza sociale anche per i cittadini di Paesi terzi regolarmente residenti ed occupati nell’Unione. Il tema dell’accesso al lavoro ed alla sicurezza sociale dei cittadini non comunitari rappresenta, in definitiva, una cartina tornasole per riflettere sulla validità dell’impianto normativo in materia di immigrazione; esso, come si è cercato di dimostrare, rispecchia un’oggettiva incapacità, non solo nazionale, di trovare una prospettiva di lungo periodo che sappia contemperare il diritto a migrare con quello della tutela delle società di accoglienza. A tal fine sembra sicuramente utile la prospettiva del giuslavorista, principalmente allo scopo di recuperare la tradizionale funzione del diritto del lavoro quale strumento di livellamento delle diseguaglianze economiche e sociali. Restituendo al lavoro la valenza di canale privilegiato di accesso alla cittadinanza ed ai diritti, in una parola all’integrazione sociale, è possibile sposare la logica della cittadinanza sociale come garanzia dei diritti sociali fondamentali per qualsiasi individuo, indipendentemente dalla sua nazionalità.
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BILARDO, VERA. "Interessi protetti e successione mortis causa: tutele dei legittimari e circolazione dei beni di fonte donativa." Doctoral thesis, 2019. http://hdl.handle.net/11570/3147653.

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Nella disciplina della successione necessaria, l’interesse del defunto a decidere la sorte del suo patrimonio per il tempo successivo alla morte e l’interesse generale alla sicurezza della circolazione dei beni subiscono attenuazioni e incisive limitazioni a favore della tutela dei legittimari. Il nostro ordinamento, infatti, riserva agli stretti congiunti del defunto una quota dell’eredità di quest’ultimo. Il conseguimento della legittima, anche dopo l’intervento di riforma operato con legge 14 maggio 2005, n. 80, è garantito da un’azione di impugnativa negoziale dotata di c.d. retroattività reale, che rende oltremodo rischioso l’acquisto di un bene di fonte donativa. L’impossibilità di fornire adeguata stabilità a tali acquisti, utilizzando istituti già presenti nel nostro ordinamento, è stata una delle ragioni, e non tra le più trascurabili, che ha determinato l’esigenza di intervenire sul sistema della legittima. In vista di un’imminente riforma della successione necessaria, lo studio si propone di tracciare i possibili itinerari che si offrono de iure condendo al legislatore, provando a suggerire qualche risposta sulle possibilità di sopravvivenza della successione necessaria e di attualizzazione del sistema normativo oggi vigente.
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INGENITO, CHIARA. "La soft law e la crisi del sistema delle fonti. Il diritto attenuato delle linee guida." Doctoral thesis, 2020. http://hdl.handle.net/11573/1376106.

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Il presente lavoro di ricerca intende indagare, all’interno del tema della soft law, il fenomeno delle linee guida che è attualmente uno dei temi più complessi e ricchi di spunti per gli interpreti, essendo in dubbio se esso possa avere, da un punto di vista costituzionale, un proprio autonomo rilievo e significato. La vastità del tema, unita all’ampiezza delle categorie concettuali che esso chiama in causa, richiede due precisazioni sia per quanto attiene alla struttura, sia in relazione ad una scelta terminologica e qualificatoria. Relativamente alla struttura del lavoro, esso è suddiviso in tre parti. La prima è dedicata alle fonti in generale, ai loro rapporti e ai criteri con cui sono disciplinate, alla soft law nella sua evoluzione storica e giuridica, e, in particolare alle prime due tipologie di soft law che si sono affermate negli ordinamenti: quella internazionale e quella europea. La seconda parte è dedicata alla soft law interna e la terza alle linee guida.
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Telaretti, Elisabetta. "I presupposti e le fonti del diritto in Isidoro di Siviglia (Etymologiarum liber V, 1-21)." Doctoral thesis, 2011. http://hdl.handle.net/10447/102338.

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MANGANARO, MARTA. "L'applicabilità diretta della Cedu nell'ordinamento interno e l'eventuale crisi del modello accentrato di costituzionalità." Doctoral thesis, 2017. http://hdl.handle.net/11570/3115887.

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Negli ultimi anni si è ampiamente riflettuto sull’importanza della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), tra le fonti internazionali, in quanto “Carta cardine” in quest’ambito. Essa ha costituito il frutto dell’iniziativa del Consiglio d’Europa in un processo storico che richiedeva una forte attenzione politica sulle forme di tutela internazionale dei diritti umani. Lo studio che qui ci si accinge a svolgere ha lo scopo di offrire un quadro complessivo dell’evoluzione che il ruolo della CEDU ha subito negli ultimi anni nell’ordinamento interno, in modo da basare su questo percorso le riflessioni sull’applicabilità diretta della Convenzione europea. A tal fine, si è scelto di suddividere l’indagine in tre capitoli per analizzare l’oggetto di studio da una prospettiva diversa, ma collegata. In primo luogo, si ripercorrerà la giurisprudenza della Corte costituzionale, vista la funzione centrale che la stessa svolge nel nostro ordinamento e le posizioni determinanti che ha assunto in materia di rapporti tra norme CEDU e diritto interno. Le sentenze del Giudice delle leggi, infatti, rappresenteranno il punto di partenza di questo studio investigativo non solo perché hanno tracciato le linee guida generali del “percorso convenzionale” nel nostro ordinamento, ma anche perché le sentenze “gemelle” del 2007 hanno costituito la svolta giurisprudenziale nel modo di rapportarsi alla CEDU, di cui tutt’oggi gli operatori del diritto, nella quasi totalità dei casi, tengono conto per la definizione del rapporto tra norme convenzionali e norme interne. In secondo luogo, ci si sposterà sul piano astratto delle norme di diritto positivo, nazionali ed europee, a cui è possibile ricollegare un nesso con la CEDU: da una parte, infatti, le norme interne verranno esaminate alla lettera per consentire un ragionamento di ispirazione formale che non escluda soluzioni favorevoli (laddove possibile) al riconoscimento costituzionale delle disposizioni convenzionali; dall’altra, le norme introdotte dal Trattato di Lisbona costituiranno la novità da cui partire per illustrare il futuro intreccio dei due ordinamenti, dallo stesso previsto, con tutte le problematicità che tale “progetto” comporta. In terzo luogo, ci si dedicherà al contributo offerto dalla magistratura di legittimità e di merito, la quale si è dimostrata, proprio in materia di attuazione dei diritti umani, la più audace poiché è l’unica ad essere firmataria di alcune pronunce, sebbene prive delle ripercussioni proprie di una decisione costituzionale, in cui si è riconosciuta alla CEDU una posizione pari a quella del diritto comunitario, diversamente da quanto affermato dalla Corte costituzionale. Infine, lo studio del tema dell’interpretazione della CEDU inevitabilmente condurrà a delle riflessioni sul ruolo fin qui svolto dai giudici nazionali nell’attuazione dei diritti umani, chiamati sempre più spesso ad operare in una prospettiva non solo strettamente nazionale. In particolar modo, tale circostanza e la possibilità futura, prevista dal Protocollo n. 16 annesso alla CEDU, per i giudici (di ultima istanza) di richiedere il parere non vincolante alla Corte europea ai fini di un’interpretazione autentica del diritto convenzionale costituiranno degli input per ragionare sull’attuale modello di giustizia costituzionale italiano: per una serie di elementi che si avrà modo di sottolineare, sembrano, infatti, emergere alcuni sintomi di una crisi del giudizio di costituzionalità, che da accentrato nelle mani della Corte costituzionale pare avviarsi verso uno – almeno in parte – “diffuso” tra quelle dei giudici comuni.
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PETRINI, Maria Celeste. "IL MARKETING INTERNAZIONALE DI UN ACCESSORIO-MODA IN MATERIALE PLASTICO ECO-COMPATIBILE: ASPETTI ECONOMICI E PROFILI GIURIDICI. UN PROGETTO PER LUCIANI LAB." Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11393/251084.

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Con l’espressione “marketing internazionale” ci si riferisce a quell’insieme di attività adottate dall’impresa al fine di sviluppare o perfezionare la propria presenza sul mercato estero. Oggetto della presente ricerca è l’analisi degli aspetti problematici che tali attività sollevano sul piano giuridico: attraverso un approccio basato sull’integrazione della cultura economica del marketing d’impresa con quella più propriamente giuridica, l’indagine mira ad individuare le fattispecie di marketing rilevanti sotto il profilo giuridico e giuspubblicistico, ad analizzarne i profili che risultano più critici per l’impresa e proporre soluzioni concrete. La ricerca è stata condotta in collaborazione all’azienda Gruppo Meccaniche Luciani, che oltre ad essere un affermato fornitore di stampi per calzature, progetta design innovativi attraverso una sua articolazione organizzativa creativa, denominata Luciani LAB. L’impresa investe molto nell’innovazione, ed in questo senso, particolarmente significativo è stato l’acquisto di una potente stampante 3D, tecnologicamente all’avanguardia, che ha consentito all’azienda di progettare diversi prodotti, tra cui una borsa, realizzarli in prototipazione rapida, e successivamente renderli oggetto di specifiche campagne promozionali, illustrate nel presente lavoro. Viene evidenziato come queste rispecchino la peculiarità dell’approccio al marketing da parte della piccola/media impresa, descritto dalla dottrina maggioritaria come intuitivo ed empirico, distante da quello teorico e strategico del marketing management. La collaborazione con l’impresa partner del progetto ha costituito il riferimento principale per l’elaborazione del metodo con cui condurre la ricerca: l’azienda ha promosso i propri prodotti mediante diverse strumenti di marketing, come inserti pubblicitari su riviste, campagne di e-mail marketing e fiere di settore. Queste attività si distinguono tra esse non solo rispetto alle funzioni, alle differenti modalità con cui vengono impiegate e al pubblico cui si rivolgono, ma anche e soprattutto rispetto alla disciplina giuridica di riferimento: ognuna di esse infatti è regolata da un determinato complesso di regole e solleva questioni che si inseriscono in una specifica cornice giuridica. Al fine di giungere ad una sistematica trattazione dei profili giuridici connessi, si è scelto di classificare le diverse azioni di marketing in tre gruppi: quelle riferite alla comunicazione, quelle inerenti l’aspetto del prodotto e quelle che si riferiscono al cliente Per ognuna di queste aree si individua una precisa questione critica per l’impresa, e se ne trattano i profili problematici dal punto di vista giuridico. In relazione al primo gruppo, ovvero la comunicazione pubblicitaria d’impresa, si evidenziano le criticità connesse alla possibilità di tutelare giuridicamente l’idea creativa alla base del messaggio pubblicitario: si mette in discussione l’efficacia degli strumenti giuridici invocabili a sua tutela, in particolare della disciplina del diritto d’autore, della concorrenza sleale e dell’autodisciplina. Si prende come riferimento principale il contesto italiano, considerando la pluralità degli interessi pubblici, collettivi ed individuali coinvolti. Il secondo profilo d’indagine riguarda la disciplina giuridica riconducibile all’e-mail marketing, uno degli strumenti più diffusi di comunicazione digitale. L’invasività di questo sistema nella sfera personale dei destinatari impone l’adozione di adeguati rimedi da parte delle imprese per evitare di incorrere nella violazione delle disposizioni a tutela della privacy. Si trattano le diverse implicazioni derivanti dall’uso di tale strumento, in particolare quelle riferite al trattamento dei dati personali alla luce della normativa vigente in Italia e nell’Unione Europea, e connesse alle modalità di raccolta degli indirizzi e-mail dei destinatari potenzialmente interessati. Infine, la costante partecipazione alle fiere di settore da parte dell’azienda dimostra quanto l’esteriorità del prodotto costituisca uno strumento di marketing decisivo per la competitività aziendale, dunque grande è l’interesse dell’impresa a che il suo aspetto esteriore venga protetto dall’imitazione dei concorrenti. Il tema giuridico più significativo che lega il processo di marketing al prodotto dell’azienda è proprio la protezione legale del suo aspetto, ovvero la tutela del diritto esclusivo di utilizzarlo, e vietarne l’uso a terzi. L’aspetto di un prodotto può essere oggetto di protezione sulla base di diverse discipline che concorrono tra loro, sia a livello nazionale che sovranazionale, dei disegni e modelli, del marchio di forma, del diritto d’autore e della concorrenza sleale. Si è scelto di concentrare il lavoro, in particolare, sulla prima: si ricostruisce il quadro normativo e l’assetto degli interessi implicati dalla fattispecie, per arrivare ad evidenziare le principali criticità nell’interpretazione delle norme, sia a livello nazionale, che nell’Unione Europea. Si approfondiscono gli orientamenti di dottrina e giurisprudenza di alcune disposizioni chiave per l’applicazione della disciplina, quali gli artt. 6 e 7 del Regolamento CE, n. 6/2002, concernenti rispettivamente il «carattere individuale» e la «divulgazione», i due requisiti fondamentali per ottenere la registrazione e conseguente protezione giuridica del disegno. Tali nozioni sono soggette ad interpretazioni parzialmente difformi da parte dei giudici dei diversi Stati membri, e ciò contribuisce a minare l’applicazione omogenea della disciplina in tutto il territorio UE. In questo senso, viene messo in evidenza il ruolo chiave dell’orientamento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nell’interpretazione di tali concetti, avente l’effetto di uniformare l’approccio degli Stati. La Direttiva 98/71/CE ha introdotto la possibilità di cumulare la protezione conferita all’aspetto del prodotto dalla disciplina dei disegni e modelli con quella riconosciuta dalle altre normative. Tale previsione solleva questioni di rilievo sistematico e concorrenziale: ci si interroga su quali problemi di tipo sistematico e di concorrenza vengano sollevati dal riconoscimento su uno stesso prodotto della protezione sia come disegno che come marchio di forma, e sia come disegno che come opera dell’ingegno. In particolare nell’ambito del diritto dei marchi d’impresa e del diritto d’autore, le tutele hanno durata potenzialmente perpetua, diversamente dalla registrazione come disegno o modello, che garantisce la titolarità del diritto di utilizzare il proprio disegno in via esclusiva per un periodo limitato di massimo 25 anni. Questa differenza temporale rende il cumulo problematico sia a livello di coordinamento, che di concorrenza, poiché incentiva il sorgere di “monopoli creativi” sulle forme del prodotto. Il presente lavoro ha come obiettivo l’ampliamento della conoscenza sul tema del marketing con particolare riferimento ai profili giuridici che si pongono, con riguardo alla promozione del prodotto nell’ambito dell’Unione Europea. Si ritiene che il valore aggiunto e l’aspetto più originale della ricerca consista nella sua forte aderenza alla realtà della piccola/media impresa: tramite l’integrazione della ricerca giuridica e dello studio dei fenomeni di marketing si delineano i problemi pratici che questa si trova a dover affrontare nell’implementazione delle attività quotidiane di marketing. Tale indagine vuole essere utile a tutte le piccole/medie imprese che si trovano impreparate nell’affrontare le sfide poste dal marketing e nel conoscere le implicazioni giuridiche che da questo derivano.
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SCOLARI, BALDASSARE. "State Martyr Representation and Performativity of Political Violence." Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11393/251176.

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L’indagine prende in esame l’uso e la funzione politica della figura del martire nello spazio pubblico contemporaneo. La ricerca, pur nel riferimento consapevole alla consolidata letteratura ormai classica sull'argomento, ha tra i propri riferimenti filosofici specificatamente la teoria del discorso di Michel Foucault, con la sua metodologia dell’analisi discorsiva, e segue un approccio transdiscipli¬nare fra scienze culturali e filosofia. Essa ha come punto di partenza, come caso di studio, la rappresentazione mediale del politico e statista democristiano Aldo Moro quale martire di stato durante e dopo il suo assassinio per opera delle Brigate Rosse nel 1978. La ricerca si sviluppa sulla scorta dell’ipotesi di una connessione fra procedure di legittimazione dell’autorità politica e delle strutture di potere e l’emergere della figura del martire di Stato. Le rappresentazioni martirologiche sono considerate pratiche discorsive performanti, attraverso le quali la morte di Moro viene ad assumere il significato di un martirio per lo Stato, la Repubblica Italiana e i valori democratici. L’ipotesi di lavoro è che, attraverso l’allocazione dello statuto di martire, la morte di Moro acquisisca il significato di un atto (volontario) di testimonianza della verità assoluta e trascendentale dei diritti umani, garantiti dalla costituzione (in particolare articolo 2 della Costituzione Italiana), così come della necessità dello Stato come garante di tali diritti. Attraverso questa significazione, la figura di Moro assurge inoltre a corpo simbolico dello Stato-nazione, legittimando lo stesso e fungendo da simbolo d’identificazione collettiva con la nazione. Si tratta qui di mettere in luce il rapporto intrinseco fra la figura del martire e una narrazione mitologica dello Stato, dove mito sta a indicare un «assolutismo del reale» (Absolutismus der Wirklichkeit). La ricerca vuole altresì mettere in luce la dimensione strumentale delle rappresentazioni martirologiche di Aldo Moro, le quali hanno mantenuto e tuttora mantengono un’efficacia performativa nonostante il chiaro ed evidente rifiuto, espresso da Moro stesso, di essere sacrificato «in nome di un astratto principio di legalità.» La ricerca si propone di dimostrare la valenza di tale ipotesi di lavoro attraverso l’analisi dell’apparizione e diffusione delle rappresentazioni martirologiche di Aldo Moro in forme mediali differenti nell’intervallo temporale di quattro decenni. Il corpus delle fonti preso in esame include: articoli di giornali e riviste, i documenti prodotti da Moro e della Brigate Rosse durante i 55 giorni di sequestro, trasmissioni televisive (documentari e reportage), opere letterarie e cinematografiche. La teoria discorsiva e l’analisi archeologico-genealogica sviluppate da Michel Foucault fungono da base teorico-metodologica del lavoro. Il taglio transdisciplinare dell’indagine rende necessaria la distinzione di due diversi piani di ricerca. In primo luogo, ci si pone come obiettivo di individuare e analizzare le diverse rappresentazioni come elementi di una formazione discorsiva il cui tema comune è la morte di Aldo Moro. Si tratta di operare una ricognizione, attraverso il lavoro empirico, dei modi di rappresentare l’uccisione di Aldo Moro e di individuare le regole che determinano ciò che può essere detto e mostrato a tale riguardo. In secondo luogo, a partire da qui, ci si propone di fare un’analisi critica dell’uso e della funzione del linguaggio e della simbologia di matrice religiosa all’interno della forma¬zione discorsiva presa in esame. L'obiettivo è di mettere così in luce non solo il dispositivo di legittimazione politica che presiede alla costruzione della figura del martire, ma anche la sua polivalenza.
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