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Дисертації з теми "Capitali di rischio"

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1

Scarabino, Raffaella. "Rischio e gestione nelle società di capitali." Doctoral thesis, Luiss Guido Carli, 2011. http://hdl.handle.net/11385/200868.

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2

Boatto, Stefano <1973&gt. "Strumenti contrattuali di sostegno alla società fra capitale di debito e capitale di rischio." Doctoral thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2008. http://hdl.handle.net/10579/263.

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3

Razzini, Barbara. "Valutazione di start-up. Case study analysis: incubatori di primo miglio, Business Angels e Venture Capital. Metodi di investimento nel capitale di rischio." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2011. http://hdl.handle.net/10077/4786.

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Анотація:
2009/2010
Incoraggiare l’imprenditoria per uscire dalla crisi. E’ questo uno dei temi di primario rilievo per la ripresa dell’economia mondiale. Questa costituisce l’assumption da cui ha avuto origine il presente lavoro di ricerca attraverso il quale, nella prima parte, si è cercato di capire quali siano gli attori che intervengono nel processo di sviluppo di un’ impresa durante la sua fase di Start-up. Si è voluto analizzare attraverso dei case study quali sono i processi di investimento adottati e come venga ad instaurarsi una correlazione tra le figure individuate. Attraverso interviste specifiche si è, poi, cercato di cogliere quali siano i drivers e i principali fattori di rischio presi in considerazione dai diversi attori che sostengono le imprese nelle loro prime fasi evolutive investendo nel loro capitale di rischio. La seconda parte del lavoro, invece, si rivolge al vero e proprio problema legato alla valutazione delle Start-up, attraverso l’identificazione dei metodi di valutazione tradizionali ed alternativi proposti in letteratura. Si cercherà, per mezzo dell’applicazione di un caso pratico, di identificare quelle che sono le problematiche ed i limiti di tali modelli in relazione alle caratteristiche peculiari delle Start-up e del mercato italiano. Infine proporremo un metodo di valutazione attraverso un modello di rating che per le sue caratteristiche consente di risolvere problemi decisionali caratterizzati da svariati attributi tenendo conto di essi e del loro grado di importanza supportando i “decision maker” (incubatori di primo miglio, business angels, venture capital) nell’effettuare le loro scelte d’investimento in società in fase di Start up.
XXIII Ciclo
1980
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4

Preziuso, Massimo. "Finanza e Private Equity: infrastrutture e sostenibilità ambientale." Doctoral thesis, Luiss Guido Carli, 2009. http://hdl.handle.net/11385/200789.

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5

Buora, Maddalena <1992&gt. "Il business plan negli investimenti nel capitale di rischio." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2016. http://hdl.handle.net/10579/9305.

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Анотація:
Nella tesi si tratta del ruolo che il business plan, redatto dagli imprenditori, svolge negli investimenti nel capitale di rischio, in particolare nel processo di selezione e di valutazione delle imprese e di monitoraggio post-investimento. Nel primo capitolo, s’introduce la figura dell’investitore nel capitale di rischio, si tratta delle imprese in cui egli investe e delle fasi del processo d’investimento. Nel secondo capitolo, si analizzano nello specifico le principali fasi del processo decisionale. Si esamina il processo di selezione delle imprese ed i relativi criteri; si tratta, inoltre, della valutazione dell’impresa finalizzata al pricing della quota partecipativa dell’investitore. Infine, si esamina il monitoraggio post-investimento ed i round di finanziamento che l’investitore concede all’imprenditore in funzione del raggiungimento di obiettivi prefissati. Si analizza infine l’utilità del business plan in queste tre fasi principali del processo decisionale. Nel terzo capitolo, si presenta un caso attuale d’investimento nel capitale di rischio: la società d’investimento Red Seed Ventures. L’obiettivo della tesi è quello di mostrare l’utilità del business plan per gli investitori nel capitale di rischio nelle fasi principali del loro processo d’investimento: infatti, è lo strumento tramite il quale l’investitore coglie tutte le informazioni circa il business e le persone che lo vogliono portare al successo. Tramite ciò che viene indicato nel business plan, l’investitore può fare una valutazione complessiva dell’opportunità d’investimento e prendere una decisione consapevole.
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6

Montagnani, Riccardo <1994&gt. "Il rischio operativo secondo il framework di Basilea IV: impatti strategici e a livello di requisiti di capitale." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2019. http://hdl.handle.net/10579/16169.

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Анотація:
Con la presente tesi si vuole affrontare il problema relativo alle conseguenze a livello organizzativo e l'impatto in termini di requisiti patrimoniali, secondo la definizione di rischio operativo data dalla nuova regolamentazione di Basilea IV. I principali elementi del nuovo rischio operativo sono: Il Business Indicator (BI), il Business Indicator Component, la Loss Component e l’Internal Loss Multiplier. Il nuovo framework sembra agevolare dal punto di vista organizzativo le grandi banche, che hanno già struttura e processi interni in grado di sostenere la maggiore complessità del calcolo; tuttavia tali tipologie di banche risentiranno in misura maggiore degli aumenti dei requisiti patrimoniali rispetto alle piccole banche, e, per questo motivo, dovranno mettere in atto nuove strategie per far fronte a questo bisogno di capitale addizionale. E’, dunque, una revisione che può portare benefici e semplicità, oppure si sta ulteriormente complicando il quadro normativo e mettendo sempre più in difficoltà le banche, di qualsiasi dimensione esse siano?
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7

ROTONDI, VALENTINA. "Saggi di Economia dello Sviluppo." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2016. http://hdl.handle.net/10280/10042.

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Анотація:
Questa tesi utilizza metodologie differenti al fine di esplorare argomenti generalmente ascritti all'economia dello sviluppo. Il primo capitolo discute la letteratura sul capitale sociale scomponendolo nel suo componente strutturale, le reti, e cognitivo, la fiducia. Ogni componente è a sua volta scomposto in diverse sotto-dimensioni una delle quali, il particolarismo, è utilizzato nel secondo capitolo, sia a livello teorico che empirico, come determinante di forme di corruzione collusiva. Come previsto dalla teoria, il particolarismo ha un effetto positivo e causale sulla probabilità di offrire una tangente. Il terzo capitolo valuta l'impatto di un progetto di estensione agricola realizzato in Etiopia, volto ad introdurre la coltivazione di nuovi prodotti ortofrutticoli insieme ad alcune tecniche e strumenti innovativi. Empiricamente si utilizzano gli strumenti della valutazione d’impatto combinando confronti tra villaggi, attraverso una stima difference-in-differences, con una comparazione all'interno del villaggio usando uno studio controllato randomizzato. I risultati indicano che il progetto ha contribuito alla diversificazione produttiva ma non ha influenzato i ricavi ottenuti dalla vendita dei prodotti ortofrutticoli e, di conseguenza, il benessere delle famiglie. Il quarto capitolo mostra come meccanismi incentivati sufficientemente simili elicitino decisioni correlate in termini di avversione al rischio solo quando si tengono in considerazione altri atteggiamenti relativi al rischio. Inoltre si studia la correlazione tra l'avversione al rischio riportata e l'avversione al rischio ottenuta tramite lotterie. I risultati suggeriscono una misurata validità esterna dei due metodi studiati.
This dissertation makes use of several methodologies to explore topics ascribed to the field of development economics. Chapter 1 reviews the literature on social capital by presenting a decomposition of trust and networks -- the cognitive and the structural component of social capital, respectively--, in several sub-dimensions. One of this dimension is used in chapter 2 where we investigate, both theoretically and empirically, the role played by the cultural norm of particularism, as opposed to universalism, for collusive bribery. Consistent with the theory, particularism is found to have a positive causal effect on the probability of offering a bribe. Chapter 3 assesses the impact of a small-scale agricultural extension project implemented in rural Ethiopia aimed at introducing the cultivation of horticultural gardens. Empirically, a mixed impact evaluation design is used combining across-villages comparisons, through difference-in-differences estimations, with a within village randomized control trial. The findings indicate that the project contributes to production diversification while it does not influence total revenues from sales, household welfare and diet. Chapter 4 shows that similar incentivized mechanisms elicit similar decisions in terms of monetary risk aversion only if other risk-related attitudes are accounted for. Furthermore, it examines whether individuals' characteristics and a self-assessed measure of risk aversion relate to individuals' choices in lotteries. The findings suggest that there is some external validity of the two studied tasks as predictors of self-reported risk attitudes.
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8

ROTONDI, VALENTINA. "Saggi di Economia dello Sviluppo." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2016. http://hdl.handle.net/10280/10042.

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Анотація:
Questa tesi utilizza metodologie differenti al fine di esplorare argomenti generalmente ascritti all'economia dello sviluppo. Il primo capitolo discute la letteratura sul capitale sociale scomponendolo nel suo componente strutturale, le reti, e cognitivo, la fiducia. Ogni componente è a sua volta scomposto in diverse sotto-dimensioni una delle quali, il particolarismo, è utilizzato nel secondo capitolo, sia a livello teorico che empirico, come determinante di forme di corruzione collusiva. Come previsto dalla teoria, il particolarismo ha un effetto positivo e causale sulla probabilità di offrire una tangente. Il terzo capitolo valuta l'impatto di un progetto di estensione agricola realizzato in Etiopia, volto ad introdurre la coltivazione di nuovi prodotti ortofrutticoli insieme ad alcune tecniche e strumenti innovativi. Empiricamente si utilizzano gli strumenti della valutazione d’impatto combinando confronti tra villaggi, attraverso una stima difference-in-differences, con una comparazione all'interno del villaggio usando uno studio controllato randomizzato. I risultati indicano che il progetto ha contribuito alla diversificazione produttiva ma non ha influenzato i ricavi ottenuti dalla vendita dei prodotti ortofrutticoli e, di conseguenza, il benessere delle famiglie. Il quarto capitolo mostra come meccanismi incentivati sufficientemente simili elicitino decisioni correlate in termini di avversione al rischio solo quando si tengono in considerazione altri atteggiamenti relativi al rischio. Inoltre si studia la correlazione tra l'avversione al rischio riportata e l'avversione al rischio ottenuta tramite lotterie. I risultati suggeriscono una misurata validità esterna dei due metodi studiati.
This dissertation makes use of several methodologies to explore topics ascribed to the field of development economics. Chapter 1 reviews the literature on social capital by presenting a decomposition of trust and networks -- the cognitive and the structural component of social capital, respectively--, in several sub-dimensions. One of this dimension is used in chapter 2 where we investigate, both theoretically and empirically, the role played by the cultural norm of particularism, as opposed to universalism, for collusive bribery. Consistent with the theory, particularism is found to have a positive causal effect on the probability of offering a bribe. Chapter 3 assesses the impact of a small-scale agricultural extension project implemented in rural Ethiopia aimed at introducing the cultivation of horticultural gardens. Empirically, a mixed impact evaluation design is used combining across-villages comparisons, through difference-in-differences estimations, with a within village randomized control trial. The findings indicate that the project contributes to production diversification while it does not influence total revenues from sales, household welfare and diet. Chapter 4 shows that similar incentivized mechanisms elicit similar decisions in terms of monetary risk aversion only if other risk-related attitudes are accounted for. Furthermore, it examines whether individuals' characteristics and a self-assessed measure of risk aversion relate to individuals' choices in lotteries. The findings suggest that there is some external validity of the two studied tasks as predictors of self-reported risk attitudes.
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9

VALZER, AMEDEO. "Gli "ibridi finanziari": critica ad una categoria concettuale." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2007. http://hdl.handle.net/10280/92.

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Анотація:
L'autore contesta la classificazione degli strumenti finanziari partecipativi e non partecipativi nella categoria concettuale degli ibridi finanziari (o strumenti finanziari ibridi ). Rimarca le differenze tra l' investimento nella società e il finanziamento della società. dimostra che gli strumenti finanziari partecipativi (art. 2346 ult. comma c.c.) possano esser emessi solo a fronte di apporti di patrimonio non imputati a capitale sociale e che gli strumenti finanziari non partecipativi (quasi obbligazioni ex art. 2411 ult. comma c.c.) non possano esser dotati di diritti amministrativi.
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10

VALZER, AMEDEO. "Gli "ibridi finanziari": critica ad una categoria concettuale." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2007. http://hdl.handle.net/10280/92.

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Анотація:
L'autore contesta la classificazione degli strumenti finanziari partecipativi e non partecipativi nella categoria concettuale degli ibridi finanziari (o strumenti finanziari ibridi ). Rimarca le differenze tra l' investimento nella società e il finanziamento della società. dimostra che gli strumenti finanziari partecipativi (art. 2346 ult. comma c.c.) possano esser emessi solo a fronte di apporti di patrimonio non imputati a capitale sociale e che gli strumenti finanziari non partecipativi (quasi obbligazioni ex art. 2411 ult. comma c.c.) non possano esser dotati di diritti amministrativi.
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11

Guidone, Teresa <1991&gt. "L'espansione del capitale di rischio nelle principali economie. Proposte per lo sviluppo in Italia." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2016. http://hdl.handle.net/10579/9386.

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Анотація:
L'elaborato verte sullo studio e il confronto del capitale di rischio come strumento nelle varie economie mondiali, studiando come questo abbia inciso sul mercato. Si affronta un analisi economica, legislativa e fiscale per il Private Equity e Venture Capital in Italia, Europa, America e Asia. Infine verranno portate alla luce problematiche relative nostre Paese e si proporranno possibili soluzioni.
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12

MAINI, Elisa. "Il ruolo del capitale umano e degli strumenti di gestione del rischio nei processi di transizione verso l’agricoltura multifunzionale." Doctoral thesis, Università degli studi di Cassino, 2020. http://hdl.handle.net/11580/75205.

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Анотація:
Research activity focused on the role of human capital in directing agricultural activity towards multifunctional models. This role is analyzed through the use of probabilistic models, in particular this probability is calculated through a logistic regression model with random effects which for different levels of education returns the probability distribution of multifunctional production models (quality, biological production etc. ). In the literature, a gap has been highlighted which is intended to be filled with the thesis work and which concerns different degrees of risk inherent in the transition towards multifunctional models. The transition to multifunctionality presupposes a process of company diversification that could expose the farm to a considerable risk. If, on the one hand, the literature considers diversification as a tool for reducing risk, on the other hand, it was felt that the transition to multifunctionality also incorporates different levels of risk. Our hypothesis, in fact, maintains that switching to multifunctional models constitutes an innovation which, by definition, is subject to the risk of failure. The use of risk management policies and financial instruments would prove to be an instrument for managing this risk even in the presence of a diversification strategy. The insurance coverage on production losses could fill the gaps that cannot mitigate diversification or that derive directly from diversification. When the public institution intervenes which sustains any production and therefore income losses through a contribution on the premium for the policies taken out to cover the risk, the sector operators begin to evaluate this alternative. It was very interesting to investigate the propensity of farmers to protect their diversification strategy with subsidized insurance. The analysis, therefore, was focused on estimating the probability of moving towards multifunctional agriculture models considering the territorial variable and the presence or absence of insurance policies against adverse weather conditions.
L’attività di ricerca si è focalizzata sul ruolo del capitale umano nell’indirizzare l’attività agricola verso modelli multifunzionali. Tale ruolo viene analizzato attraverso il ricorso a modelli probabilistici, in particolare tale probabilità viene calcolata attraverso un modello di regressione logistica ad effetti casuali che per livelli differenziati d’istruzione restituisce la distribuzione di probabilità di modelli produttivi multifunzionali (produzioni di qualità, biologiche etc.). Nella letteratura è stato evidenziato un gap che si intende colmare con il lavoro di tesi e che riguarda diversi gradi di rischio insito nella transizione verso i modelli multifunzionali. Il passaggio alla multifunzionalità presuppone un percorso di diversificazione aziendale che potrebbe esporre l’azienda agricola ad un rischio notevole. Se, infatti, da un lato, la letteratura considera la diversificazione come uno strumento di riduzione del rischio, d’altro canto si è d’avviso che anche la transizione alla multifunzionalità incorpori diversi livelli di rischio. La nostra ipotesi, infatti, sostiene che passare a modelli multifunzionali costituisce un’innovazione che, per definizione, è soggetta a rischio di fallimento. Il ricorso alle polizze e agli strumenti finanziari di gestione del rischio si rivelerebbe strumento di gestione di tale rischio anche in presenza di una strategia di diversificazione. La copertura assicurativa sulle perdite di produzione potrebbe colmare i vuoti che non riesce a mitigare la diversificazione o che derivano direttamente dalla diversificazione. Nel momento in cui interviene l’istituzione pubblica che sostiene eventuali perdite di produzione e quindi di reddito attraverso un contributo sul premio per le polizze stipulate a copertura del rischio, gli operatori del settore iniziano a valutare tale alternativa. E’ stato molto interessante indagare sulla propensione degli agricoltori a tutelare la propria strategia di diversificazione con l’assicurazione agevolata. L'analisi, dunque, è stata incentrata sulla stima della probabilità di transitare verso modelli di agricoltura multifunzionale considerando la variabile territoriale e la presenza o meno di polizze assicurative contro avversità atmosferiche.
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13

Principi, Silvia. "Il ruolo dell’investimento istituzionale nel capitale di rischio delle family business: review empirica internazionale e caso italiano." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2012. http://hdl.handle.net/10077/7856.

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Анотація:
2010/2011
L’obiettivo della tesi di dottorato è duplice: a. offrire un quadro sinottico della letteratura empirica internazionale sul ruolo dell’investimento istituzionale nel family business (FB), ponendo particolare attenzione al fenomeno dell’investimento da parte dei fondi di private equity (PE); b. verificare empiricamente su un campione di imprese familiari italiane qual è stato il ruolo nel periodo 2001-2010 del PE in termini di governance, struttura finanziaria e perfomance. La tesi si giustifica per l’esiguità degli studi italiani nel filone di studi inquadrato, per altro, sono studi focalizzati solo su alcuni aspetti e che non hanno periodi di indagine abbastanza recenti. Un’ulteriore giustificazione è da ricercarsi nelle peculiarità del mercato italiano sia in termini di caratteristiche delle imprese che di mercato del private equity.
La struttura industriale italiana è caratterizzata da un largo numero di imprese di dimensione medio-piccola per anni ritenuta una delle ragioni del successo economico dell’Italia; inoltre, il mercato dei capitali Italiano è sottodimensionato, sia in termini di capitalizzazione media che di numero di contrattazioni, rispetto a quello degli Stati Uniti, ma anche di altri Paesi europei. La combinazione dei due aspetti è ritenuto da più parti la causa di restrizioni finanziarie che possono limitare gli investimenti delle imprese e, in ultimo, la loro crescita. Non mancano, però, studi che evidenziano come causa della ridotta dimensione la riluttanza del proprietario che spesso è anche manager a condividere il controllo con membri non familiari. L’essere impresa familiare accentua tali criticità, ad esempio, poiché tradizionalmente sono imprese con scarsa capacità nel ricorso al finanziamento e all’apertura del capitale ad esterni non familiari, ridotta propensione innovativa e natura ereditaria dei ruoli di governance. Tali aspetti e punti deboli sono da relazionarsi anche ai molteplici bisogni di un patrimonio complesso come quello familiare, fatto di componenti tangibili ed intangibili: l’esigenza principale dell’impresa familiare è proteggere e gestire il capitale da rischi ed incertezze per assicurare continuità e sviluppo. Ciò conferma il notevole impatto della struttura istituzionale e proprietaria delle imprese all’accesso ai finanziamenti e soprattutto alle caratteristiche dello stesso debito bancario continua ad essere ritenuta la più importante fonte di finanziamento esterno per le imprese familiari (Sandri, Bigelli, Mengoli, 2001; Monteforte e La Rocca, 2003; Guiso, 2003; Sapienza, 1997; Venanzi, 2003, 2005; Nardi, 2008; Chiesa et al., 2009).
L’investimento istituzionale si può inquadrare quale valida alternativa all’indebitamento poichè ritenuto da più parti in grado di sopperire alle debolezze di quest’ultimo. In questo periodo più che mai il PE appare una valida alternativa: gli effetti della crisi che ha colpito i mercati finanziari si stanno manifestando nell’economia finanziaria e reale portando, tra le altre conseguenze, il fenomeno del credit crunch, come dimostrano le numerose e diffuse testimonianze imprenditoriali, che lamentano la lenta ed inesorabile riduzione degli affidamenti da parte delle banche, un più difficile utilizzo delle linee di credito in essere e l'impossibilità di avere nuove assegnazioni di fidi e finanziamenti. Il dibattito nella letteratura internazionale è molto vivo in considerazione sia della crescente diffusione del fenomeno del PE sia delle conclusioni non univoche raggiunte in merito al ruolo svolto da tali investitori ed agli effetti prodotti sulle imprese target. La letteratura accademica sembra essere orientata all’impatto positivo degli investitori istituzionali per le imprese e il tessuto imprenditoriale dei vari paesi, anche se ciò non può essere generalizzabile. Gli studi internazionali (tra i più recenti si citano Harris, Siegel, Wright, 2005; Strömberg, 2008; Wright, Amess, Weir, Girma, 2009; Wright, Bacon, Amess, 2009; Wright, Jackson, Frobisher, 2010), infatti, sono in prevalenza di origine anglosassone e si basano quindi su assunti e considerazioni di base differenti rispetto al contesto italiano e/o europeo: i differenti sistemi e condizioni istituzionali, economici e di governance non permettono a priori l’estensione dei risultati anche nel nostro Paese, considerando oltretutto l’ulteriore peculiarità italiana inerente il grande sviluppo di piccole e medie imprese, in prevalenza di natura familiare.
Oltre a tali motivazioni, la necessità di ulteriori sviluppi nella ricerca circa l’investimento istituzionale è anche avvalorata dal fatto che in Italia la letteratura è piuttosto scarna di lavori empirici. Recentemente il tema è tornato all’attenzione degli studiosi e diversi sono i contributi, anche se in prevalenza di natura teorica, che ampliano tale argomento (si citano tra gli altri le pubblicazioni dell’AIFI, Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital; Bollazzi e Soldati, 2005; Gervasoni e Bollazzi, 2007; Bronzetti e Sicoli, 2008; Covello e La Rocca, 2008; Buttignon et al., 2009; Conca, 2009; Fidanza, 2010; Conca, 2007, 2011). Comunque la diffusione e lo sviluppo della letteratura a livello italiano appaiono ancora lontani dai livelli raggiunti nei principali paesi europei ed anglosassoni, a maggior ragione per quanto riguarda l’ambito del family business. Nell’attuale contesto italiano si ha che, da un lato, le imprese, soprattutto quelle a carattere familiare, cominciano ad apprezzare in maniera positiva l’apporto di risorse, finanziarie e non, da parte degli investitori istituzionali e sono disposte ad allentare le forme di potere che per lungo tempo le hanno caratterizzate. Dall’altro lato si nota, però, uno scarso sviluppo di contributi empirici che, essendo ancora poco numerosi, non permettono un’analisi approfondita ed un quadro chiaro circa l’effetto dell’investimento istituzionale nel capitale di rischio delle imprese italiane in generale e delle imprese familiari in particolare. Carenza evidente soprattutto a fronte del fatto che le FB costituiscono un target di primaria importanza per gli operatori istituzionali rappresentando circa l’85% delle operazioni in capitali per lo sviluppo (fonte PEM; Gervasoni e Bollazzi, 2007). La precedente letteratura empirica italiana (Buttignon et al., 2005; Gervasoni e Bollazzi, 2007; Buttignon et al., 2009) sembra confermare l’impatto positivo dell’investimento istituzionale nell’ambito delle imprese familiari, supportando la tesi che i PE sono in grado di generare sviluppo e reddito nelle FB, anche se con risultati piuttosto differenziati.
Il presente lavoro di dottorato contribuisce a colmare la lacuna presente nell’ambito delle ricerche sull’impatto degli investitori istituzionali nelle imprese familiari e trova giustificazione, oltre che per l’ampliamento degli studi sul tema, anche nell’analisi dello stato attuale del fenomeno in Italia. Infatti i lavori italiani precedenti si fermano, come ultimo anno di acquisizione, al 2004 ovvero l’ultimo anno analizzato in cui avviene il deal è il 2004 ed il periodo di indagine post deal si ferma al 2006. La tesi si struttura in due parti. La prima parte più teorica e descrittiva contiene una review degli studi italiani ed internazionali distinti rispetto ai due seguenti temi di studi: - la corporate governance - si analizza soprattutto la concentrazione proprietaria e la proprietà manageriale, l’impatto non univoco sulla performance e gli effetti della struttura proprietaria sui diversi processi di governance e tematiche d’impresa, e successivamente la corporate governance e struttura finanziaria nelle imprese familiari (capitolo 1); - l’investimento istituzionale nel capitale di rischio - si illustra inizialmente definizione, modalità di intervento, classificazioni e motivazioni (capitolo 2) e poi si analizzano i legami tra investitori istituzionali e corporate governance e tra questi e la performance (capitolo 3). La seconda parte (capitolo 4) è dedicata all’analisi empirica. L’indagine è stata condotta su un campione di 65 imprese familiari italiane e di 35 imprese non familiari selezionate tra le imprese target di PE negli anni 2004, 2005, 2006 e 2007. Inoltre, per avere un quadro più completo del fenomeno italiano, è stato selezionato ed analizzato anche un campione di 72 imprese familiari comparabili non oggetto di PE. Gli obiettivi sono far emergere lo stato attuale del fenomeno dell’investimento istituzionale ed il trend delle operazioni negli ultimi anni, quali sono le caratteristiche delle target e le modalità di intervento, l’influenza che i PE hanno sulla corporate governance e l’impatto sui più importanti indicatori di perfomance operativa ed economica.
Da quanto è emerso nella presente indagine, appare confermarsi le ipotesi originariamente fatte, circa l’esistenza di differenze tra le strutture di corporate governance adottate dalle FB oggetto di PE e quelle presenti nelle FB comparabili. In particolare si può confermare sia l’ipotesi 1, in cui si afferma che le FB target adottano differenti strutture di corporate governance rispetto alle imprese familiari non oggetto di PE, che l’ipotesi 1a, ovvero le proxy delle caratteristiche del CdA assumono livelli più alti/bassi tra FB target e FB comparabili. L’ipotesi 2 (le imprese familiari target si comportano diversamente dalle imprese target non familiari), invece, non può essere confermata in tutte le variabili di governance in quanto le imprese familiari target non si comportano sempre diversamente dalle imprese target non familiari. In riferimento al turnover dell’AD, nel presente lavoro non si possono confermare le ipotesi testate. L’ipotesi 3 (il free cash flow precedente l’ingresso del PE è correlato positivamente con la probabilità di turnover dell’amministratore delegato dopo il deal) non può essere supportata in quanto il coefficiente di regressione relativo al free cash flow non risulta significativo. I risultati non supportano l’ipotesi 4 (il leverage precedente l’ingresso del PE è correlato negativamente con la probabilità di turnover dell’amministratore delegato dopo il deal), infatti il coefficiente di regressione positivo non conferma l’ipotizzata correlazione negativa tra il leverage precedente l’ingresso del PE e la probabilità di turnover dell’amministratore delegato dopo il deal. Per quanto riguarda l’analisi dell’impatto del PE sulla performance delle imprese target ed in particolare delle family business, in seguito all’ingresso dell’investitore istituzionale si registra una prevalente diminuzione di alcune variabili di performance, mentre vi è un miglioramento della performance sotto il profilo occupazionale, in quanto l’occupazione migliora con l’entrata del PE. Come prevedibile, in quanto imprese oggetto di investimento istituzionale, vi è un incremento del leverage (D/E ratio) e dell’equity. Dal confronto con le imprese non familiari target si evince che nelle FB gli effetti del PE sono più accentuati, mentre dal confronto con le imprese familiari non oggetto di PE emergono delle differenze tra i valori medi dei due sottocampioni.
XXIV Ciclo
1984
Стилі APA, Harvard, Vancouver, ISO та ін.
14

Giacomin, Eleonora <1993&gt. "IL CREDIT REAL ESTATE LOAN RISK MODEL – Analisi del rischio immobiliare nel calcolo dei requisiti di capitale delle banche." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2018. http://hdl.handle.net/10579/12770.

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Il settore creditizio negli ultimi anni ha subito un’evoluzione della regolamentazione sotto il profilo del rischio, che ha portato ad una maggior attenzione in particolar modo a seguito della crisi finanziaria del 2008. Uno dei rischi che - alla luce dei fatti accaduti - occorre tenere in considerazione è il rischio immobiliare, seppur continuino a sussistere elementi di criticità, assieme ad alcune lacune regolamentari in materia. L’elaborato apre con un’introduzione al mercato abitativo, sotto il profilo connesso al mercato creditizio destinato ad un approfondimento dei mutui immobiliari e della relazione che si instaura tra banche e immobili posti a garanzia. Data la commistione tra i due settori, capace di creare un potenziale rischio nel recupero degli insoluti, si propone di valutare il modo in cui il rischio immobiliare, all’interno del rischio di credito, impatti a catena sulla rischiosità degli enti creditizi. Sono quindi approfondite le normative cui sono sottoposti gli istituti di credito ed i modelli di gestione del rischio imposti dall’architettura di Basilea III, regolazione vigente in materia. A tale scopo viene infine analizzato il modello empirico sul Credit Real Estate Loan Risk (RER), sviluppato dall’agenzia Moody’s, sotto scenari di mercato alternativi, in modo tale da valutarne i possibili sviluppi e la coerenza delle indicazioni normative con i riscontri rilevati.
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15

CHIODI, Simonetta. "La gestione dei rischi nei Paesi in via di sviluppo: il ruolo del capitale sociale e della microfinanza." Doctoral thesis, Università degli studi di Bergamo, 2014. http://hdl.handle.net/10446/30374.

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Developing countries are characterized by vulnerability: instable, social, economic, political and environmental conditions, expose these countries to several risks. Among them, natural shocks are very significant, since the agricultural activity is often the most important one and it is mainly rain-fed. The population in developing countries has its own strategies to face, adapt to and mitigate exposure to natural risks, based on traditional tools, coming from long experiences, and help received from government and international institutions. Poor families living in rural areas, however, don’t have adequate assets to absorb natural shocks and they risk to fall into poverty trap. So, local social capital is considered a form of insurance against climatic risks, because the networks of relations among families and groups can help to prevent and afford natural shocks. Social capital is defined by relations and interactions among individuals, families, groups, and can assume different forms, can be regulated or informal. Another possible strategy to mitigate risk exposure is access to microfinance, i.e. the financial system alternative and parallel to traditional banking which offers financial services (credit, savings, money transfer) to people usually excluded from the traditional banking system, for lack of the requested features. This research aims to analyze the presence social capital in three rural Ethiopian villages, in terms of relations among families and participation to groups, trust among villagers and group members, and circulation of information. A focus is devoted to the analysis of willingness to buy microinsurance products. Finally, a model analyzing the relation between variation in consumption and social capital is developed, to understand if consumption smoothing can be positively influenced by social capital.
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TANDA, ALESSANDRA. "Le decisioni di capitale delle banche: il ruolo del quadro regolamentare e dei meccanismi di corporate governance in Europa (2006-2010)." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2013. http://hdl.handle.net/10280/1692.

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La tesi esamina il tema del capital management nelle banche, con particolare riferimento all’impatto della regolamentazione e della corporate governance sulle decisioni in tema di patrimonializzazione ed esposizione al rischio. La letteratura evidenzia come l’attuale framework regolamentare possa produrre effetti indesiderati, inducendo le banche ad assumere un livello di rischio non coerente con il patrimonio disponibile; anche con riferimento alla corporate governance i contributi empirici evidenziano risultati contrastanti. Partendo dai risultati di tale review, nella tesi si analizza il comportamento di un vasto campione di banche europee tra il 2006 e il 2010, tenendo conto delle variabili principali che determinano le scelte sul livello di patrimonializzazione e di rischio. In particolare, nel primo capitolo si valuta l’impatto della pressione regolamentare sulle variazioni di capital ratio ed esposizione al rischio in un vasto campione di banche europee. I risultati suggeriscono che il comportamento delle banche sembra dipendere dalla definizione di patrimonio utilizzata, ossia dalla qualità degli strumenti ricompresi nei coefficienti di solvibilità. Il secondo capitolo si concentra su un campione di grandi banche europee: tale analisi consente di rilevare come la regolamentazione e i meccanismi di corporate governance costituiscano fattori rilevanti e complementari nel determinare alla relazione tra patrimonializzazione e rischio.
This thesis examines capital management in banks, with special reference to the impact of regulation and corporate governance on the decisions on capital and risk exposure. Past literature highlights how the present regulatory framework might produce unwanted effects, inducing banks to take a level of risks not consistent with their capital base; also with reference to corporate governance, past empirical contributions present controversial results. On the basis of the review of the literature, this study analyses the behaviour of a wide sample of European banks between 2006 and 2010, taking into consideration the main variables that influence the decisions on capital and risk. In particular, the first chapter evaluates the impact of regulatory pressure on changes in capital ratio and risk for a wide sample of European banks. Results suggest that banks behaviour depends on the capital ratio considered, i.e. on the quality of the instruments included in the capital base. The second chapter focuses on a sample of large European banks: such analysis suggests that regulation and corporate governance mechanisms are crucial and act complementarily in determining the relationship between capital and risk.
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TANDA, ALESSANDRA. "Le decisioni di capitale delle banche: il ruolo del quadro regolamentare e dei meccanismi di corporate governance in Europa (2006-2010)." Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2013. http://hdl.handle.net/10280/1692.

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La tesi esamina il tema del capital management nelle banche, con particolare riferimento all’impatto della regolamentazione e della corporate governance sulle decisioni in tema di patrimonializzazione ed esposizione al rischio. La letteratura evidenzia come l’attuale framework regolamentare possa produrre effetti indesiderati, inducendo le banche ad assumere un livello di rischio non coerente con il patrimonio disponibile; anche con riferimento alla corporate governance i contributi empirici evidenziano risultati contrastanti. Partendo dai risultati di tale review, nella tesi si analizza il comportamento di un vasto campione di banche europee tra il 2006 e il 2010, tenendo conto delle variabili principali che determinano le scelte sul livello di patrimonializzazione e di rischio. In particolare, nel primo capitolo si valuta l’impatto della pressione regolamentare sulle variazioni di capital ratio ed esposizione al rischio in un vasto campione di banche europee. I risultati suggeriscono che il comportamento delle banche sembra dipendere dalla definizione di patrimonio utilizzata, ossia dalla qualità degli strumenti ricompresi nei coefficienti di solvibilità. Il secondo capitolo si concentra su un campione di grandi banche europee: tale analisi consente di rilevare come la regolamentazione e i meccanismi di corporate governance costituiscano fattori rilevanti e complementari nel determinare alla relazione tra patrimonializzazione e rischio.
This thesis examines capital management in banks, with special reference to the impact of regulation and corporate governance on the decisions on capital and risk exposure. Past literature highlights how the present regulatory framework might produce unwanted effects, inducing banks to take a level of risks not consistent with their capital base; also with reference to corporate governance, past empirical contributions present controversial results. On the basis of the review of the literature, this study analyses the behaviour of a wide sample of European banks between 2006 and 2010, taking into consideration the main variables that influence the decisions on capital and risk. In particular, the first chapter evaluates the impact of regulatory pressure on changes in capital ratio and risk for a wide sample of European banks. Results suggest that banks behaviour depends on the capital ratio considered, i.e. on the quality of the instruments included in the capital base. The second chapter focuses on a sample of large European banks: such analysis suggests that regulation and corporate governance mechanisms are crucial and act complementarily in determining the relationship between capital and risk.
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CANNA, GABRIELE. "Capital allocation: standard and beyond." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2021. http://hdl.handle.net/10281/307648.

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La tesi affronta il problema dell'allocazione del capitale. Dopo una breve rassegna della letteratura e dei metodi standard, vengono considerati i problemi di allocazione del capitale rispetto ad una particolare classe di misure di rischio, ovvero quelle di Haezendonck-Goovaerts (HG) [13, 46]. Per prima cosa, generalizziamo la regola di allocazione del capitale (CAR) introdotta da Xun et al. [66] per i premi al rischio di Orlicz [47], utilizzando due diversi approcci, al fine di coprire le misure di rischio di HG. Forniamo poi versioni robuste delle CAR introdotte, sia considerando il caso dell’ambiguità sul modello probabilistico che quello di una molteplicità di funzioni di Young, seguendo lo schema di [12]. Successivamente, introduciamo un nuovo approccio per affrontare i problemi di allocazione del capitale dal punto di vista degli insiemi di accettazione, definendo il concetto di famiglia di insiemi di sotto-accettazione. Studiamo le relazioni tra le nozioni di sotto-accettabilità e accettabilità di una posizione rischiosa e il loro impatto sull'allocazione del capitale. Definiamo la nozione di regola di contributo al rischio e mostriamo come in questo contesto sia interpretabile come uno strumento per valutare il contributo di un sotto-portafoglio a un dato portafoglio, in termini di accettabilità, senza necessariamente coinvolgere una misura di rischio. Inoltre, indaghiamo per quali condizioni, su una regola di contributo al rischio, vale una rappresentazione in termini di insiemi di accettazione della regola di contributo al rischio stessa, estendendo così a questa contesto l'interpretazione, classica nella teoria delle misure di rischio, di importo monetario minimo richiesto per rendere una posizione accettabile. Infine, discutiamo alcune ulteriori estensioni del problema dell'allocazione del capitale. In particolare, discutiamo la possibilità di estendere quest'ultimo al contesto delle misure di rischio intrinseco [36]. In primo luogo, rivediamo brevemente le nozioni e i risultati principali sulle misure di rischio intrinseco, fornendo un confronto con quelle tradizionali. Successivamente, discutiamo l'idoneità del problema dell'allocazione del capitale in questo contesto, così come quello delle proprietà da richiedere alle regole di allocazione del capitale, considerando sia l’approccio standard che quello basato sugli insiemi di accettazione. Deriviamo risultati simili al caso delle misure di rischio tradizionali.
The thesis deals with the problem of capital allocation. After a brief review of the literature and of the standard methods, capital allocation problems with respect to a particular class of risk measures, namely the Haezendonck-Goovaerts (HG) ones [13, 46], are considered. We first generalize the capital allocation rule (CAR) introduced by Xun et al. [66] for Orlicz risk premia [47], using two different approaches, in order to cover HG risk measures. We then provide robust versions of the introduced CARs, both considering the case of ambiguity over the probabilistic model and the one of multiple Young functions, following the scheme of [12]. Further on, we introduce a new approach to face capital allocation problems from the perspective of acceptance sets, by defining the family of sub-acceptance sets. We study the relations between the notions of sub-acceptability and acceptability of a risky position and their impact on the allocation of risk. We define the notion of risk contribution rule and show how in this context it is interpretable as a tool for assessing the contribution of a sub-portfolio to a given portfolio, in terms of acceptability, without necessarily involving a risk measure. Furthermore, we investigate under which conditions on a risk contribution rule a representation of an acceptance set holds in terms of the risk contribution rule itself, thus extending to this setting the interpretation, classical in risk measures theory, of minimal amount required to hedge a risky position. Finally, we provide a discussion on some possible further extensions of the capital allocation problem. In particular, we discuss the possibility of extending the latter to the framework of intrinsic risk measures [36]. We briefly review the notions and results on intrinsic risk measures, providing a comparison with traditional ones. We later discuss the suitability of the capital allocation problem in this context, as well as that of the properties related to capital allocation rules, considering both the standard setting and the one based on acceptance sets. We derive some results similar to the case of traditional risk measures.
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BIZZARRI, LAURA. "Il Finanziamento dell'innovazione nell'economia della conoscenza." Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2009. http://hdl.handle.net/2108/733.

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Il passaggio da un’economia basata sulla produzione industriale ad una orientata all’informazione e successivamente alla conoscenza ha accresciuto il peso dell’innovazione quale fattore di sviluppo sociale, industriale ed economico e le ha riconosciuto un ruolo determinante nei processi di affermazione dei modelli di sviluppo dei singoli Paesi in scenari sempre più complessi ed integrati. Il paradigma operativo che può agevolare questo processo evolutivo comporta l’individuazione di un approccio capace di mettere a sistema i produttori di tecnologie innovative, i consumatori di tali tecnologie e le risorse disponibili verso settori knowledge based. Nel processo di strutturazione di tale modello di sviluppo il sistema finanziario riveste un ruolo centrale, come lasciano sottintendere numerose evidenze empiriche relative al legame tra il livello di sviluppo del sistema finanziario e la capacità di crescita dell’economia reale. Il presente lavoro intende affrontare il tema del finanziamento all’innovazione, con particolare riferimento alla connessione esistente tra la variabile finanziaria, quale main driver della crescita economica, e l’innovazione stessa, seguendo un approccio olistico attraverso il quale cogliere le numerose sfaccettature di cui si compone un problema tanto complesso. In particolare, l’obiettivo principale del presente lavoro consiste nell’analisi del ruolo della variabile finanziaria nei processi di sviluppo, a partire dalla relazione tra innovazione ed investimenti in ricerca, e nella valutazione dell'efficacia delle diverse fonti di approvvigionamento delle risorse.
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Basta, Sabina. "Il finanziamento delle imprese." Thesis, 2009. http://hdl.handle.net/10955/202.

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RECCHI, Simonetta. "THE ROLE OF HUMAN DIGNITY AS A VALUE TO PROMOTE ACTIVE AGEING IN THE ENTERPRISES." Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11393/251122.

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Ogni azienda che si riconosca socialmente responsabile deve occuparsi dello sviluppo delle carriere dei propri dipendenti da due punti di vista: quello individuale e personale e quello professionale. La carriera all’interno di un’azienda coinvolge, infatti, la persona in quanto individuo con un proprio carattere e una precisa identità e la persona in quanto lavoratore con un bagaglio specifico di conoscenze e competenze. L’azienda ha, quindi, il compito di promuovere carriere professionalmente stimolanti che si sviluppino in linea con i suoi stessi valori, la sua visione e la sua missione. Nel panorama moderno, aziende che sviluppano la propria idea di business nel rispetto dei lavoratori proponendo loro un percorso di crescita, si mostrano senza dubbio lungimiranti. Un tale approccio, però, non basta a far sì che vengano definite socialmente responsabili. I fattori della Responsabilità Sociale d’Impresa sono infatti numerosi e, ad oggi, uno dei problemi principali da affrontare è quello del progressivo invecchiamento della popolazione. Dal momento che la forza lavoro mondiale sta invecchiando e che si sta rispondendo al problema spostando la linea del pensionamento, tutte le aziende sono obbligate a mantenere le persone il più a lungo possibile attive e motivate a lavoro. L’età è spesso visto come un fattore di diversità e di discriminazione, ma nello sviluppare la mia argomentazione, cercherò di dimostrare che una politica del lavoro che supporti l’idea dell’invecchiamento attivo può trasformare questo fattore da limite in opportunità. Il rispetto degli esseri umani, a prescindere dalle differenze legate all’età, dovrebbe essere uno dei valori fondanti di ogni impresa. Nel primo capitolo della tesi, svilupperò il tema della dignità umana così come è stato concepito a partire dalla filosofia greca fino alla modernità. La dignità intesa come valore ontologico, legato all’essenza dell’uomo, diventerà con Kant il fattore di uguaglianza tra tutti gli esseri viventi, la giustificazione del rispetto reciproco. Il concetto di dignità verrà, poi, definito nel secondo capitolo come il principale valore che deve ispirare l’azione sociale delle imprese, come l’elemento che garantisce il rispetto di ogni dipendente che prima ancora di essere un lavoratore è un essere umano. La dignità è ciò che rende l’essere umano degno di essere considerato un fine in se stesso piuttosto che un mezzo per il raggiungimento di un fine esterno. Nell’era della globalizzazione, dove il denaro è il valore principale, gli esseri umani rischiano di diventare un mezzo al servizio dell’economia. A questo punto, il rispetto della dignità deve divenire il fondamento di un ambiente di lavoro che promuove la crescita e la fioritura dell’essere umano. Nel secondo capitolo cercherò quindi di dimostrare come l’idea di dignità possa promuovere un management “umanistico” centrato sul rispetto dell’essere umano. Un’impresa socialmente responsabile può promuovere il rispetto di ogni lavoratore se fa propri i valori di dignità e uguaglianza. Attraverso la teoria dello Humanistic Management che veicola tali valori, il lavoro diventa un luogo in cui l’uomo può esprimere se stesso, la sua identità, le sue conoscenze e competenze. Inoltre, dal momento che la popolazione sta invecchiando, le aziende devono farsi carico della forza lavoro più anziana, come è emerso sopra. A questo punto, nel terzo capitolo, il concetto della Responsabilità Sociale d’Impresa sarà analizzato nel suo legame con i temi dell’invecchiamento attivo e della diversità sul posto di lavoro. Conosciamo diverse ragioni di differenza a lavoro: genere, cultura, etnia, competenze, ma qui ci concentreremo sul fattore età. È naturale che i lavoratori anziani abbiano un’idea di lavoro diversa da quella dei giovani e che le loro abilità siano differenti. Ma questa diversità non deve essere valutata come migliore o peggiore: essa dipende da fattori che analizzeremo e che l’impresa socialmente responsabile conosce e valorizza per creare un ambiente di lavoro stimolante e collaborativo, eliminando possibili conflitti intergenerazionali. Alcune delle teorie che permettono di raggiungere tali obiettivi sono il Diversity Management e l’Age Management: ogni impresa può promuovere pratiche per valorizzare gli anziani, permettendo loro di rimanere più a lungo attivi e proattivi a lavoro e di condividere le proprie conoscenze e competenze. L’ultimo capitolo della tesi si concentrerà su un caso di azienda italiana che ha sviluppato uno strumento di valorizzazione di collaboratori over 65. Sto parlando della Loccioni, presso cui ho svolto la ricerca applicata e che promuove il progetto Silverzone, un network di persone in pensione che hanno conosciuto l’azienda nel corso della loro carriera e che continuano a collaborare con essa ancora dopo il pensionamento. Per capire l’impatto qualitativo e quantitativo che il progetto ha sull’azienda, ho portato avanti un’analisi qualitativa dei dati ottenuti grazie a due tipi di questionari. Il primo ha visto il coinvolgimento dei 16 managers della Loccioni a cui sono state sottoposte le seguenti domande: 1. Chi sono i silver nella tua area di business? Quali i progetti in cui essi sono coinvolti? 2. Qual è il valore del loro supporto per l’azienda? E, allo stesso tempo, quali sono le difficoltà che possono incontrarsi durante queste collaborazioni? 3. Qual è la frequenza degli incontri con i silver? 4. Perché l’azienda ha bisogno di questo network? Successivamente, ho sottoposto un altro questionario agli 81 silver della rete. Di seguito i dettagli: 1. Qual è il tuo nome? 2. Dove sei nato? 3. Dove vivi? 4. Qual è stato il tuo percorso formativo? 5. Qual è stata la tua carriera professionale? 6. Come e con chi è avvenuto il primo contatto Loccioni? 7. Come sei venuto a conoscenza del progetto Silverzone? 8. Con quali dei collaboratori Loccioni stai lavorando? 9. In quali progetti sei coinvolto? 10. Potresti descrivere il progetto in tre parole? 11. Che significato ha per te fare parte di questa rete? 12. Nella tua opinione, come deve essere il Silver? 13. Che tipo di relazioni hai con i collaboratori Loccioni? 14. Quali dimensioni umane (dono, relazione, comunità, rispetto) e professionali (innovazione, tecnologia, rete) emergono lavorando in questo progetto? Il progetto Silverzone è sicuramente una buona pratica di Age Management per mantenere più a lungo attivi i lavoratori over 65. I progetti in cui i Silver sono coinvolti hanno un importante impatto economico sull’impresa, in termini di investimento ma anche di guadagno. Ad ogni modo, qui la necessità di fare profitto, stando a quanto è emerso dai risultati delle interviste, è subordinata al più alto valore del rispetto dei bisogni umani che diventa garante di un posto di lavoro comfortable, dove si riesce a stringere relazioni piacevoli, collaborative e produttive.
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