Teses / dissertações sobre o tema "Crucifixion in art"
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Harley, Felicity. "Images of the crucifixion in late antiquity : the testimony of engraved gems". Title page, contents and abstract only, 2001. http://web4.library.adelaide.edu.au/theses/09PH/09phh285.pdf.
Texto completo da fonteHorvath, Jennifer. "Resistance, Resurrection, Liberation: Beyond the Existing Readings of Marc Chagall's Crucifixion Paintings". University of Cincinnati / OhioLINK, 2015. http://rave.ohiolink.edu/etdc/view?acc_num=ucin1427980680.
Texto completo da fonteAnderson, Keith Edward. "An investigation of the theological questions raised by twentieth-century works of art which make use of the iconography of the crucifixion". Thesis, Oxford Brookes University, 2014. https://radar.brookes.ac.uk/radar/items/8e78f44e-8d37-4f6a-a078-75318d1b3a4a/1.
Texto completo da fonteRehlinger, Geneviève. "Jésus le Christ dans l'oeuvre de Marc Chagall : le motif du crucifié". Metz, 2006. http://docnum.univ-lorraine.fr/public/UPV-M/Theses/2006/Schmitt_Rehlinger.Genevieve.LMZ0607_1_2.pdf.
Texto completo da fonteTo determine the place of Jesus the Christ in the works of Chagall, we rely on a corpus of 365 artistic works with the motif of Christ crucified and different literary documents (such as letters, biography and poems). Among other things we refer to the different fields of the history of Art, Judaism (Shoah), and Christianity as well as the biblical exegesis. The first part specifies the critical and interpretative readings being influenced by the cultural and religious belonging of their author. The second part explores the different influences received by the artist from the cultural, artistic, ethnic, religious and historical point of view. It particularly focuses on the divergences between the Christian and Jewish communities concerning Jesus Christ. The third part puts forward the remarkable place of the motif of Christ crucified takes in an artist born of Judaism. It asks the question of the use of a Christian motif by a Jew. The fourth part introduces the place of the motif in the artist works, a place which is unknown, under-evaluated, and contested. A study of the topics and associated motives under the categories of “grotesque”, “report” and “deport” introduces the viewer to the path of a painter who discovers, appropriates and transcends a motif in Christian art. Consequently, the careful retrospective reading of the motif emphasizes the polysemic and pluri-religious side of the design which definitively makes a visionary of Chagall
Walker, Ashely Wilemon. "The Thirteenth-Century Fresco Decoration of Santa Maria Ad Cryptas in Fossa, Italy". Digital Archive @ GSU, 2009. http://digitalarchive.gsu.edu/art_design_theses/52.
Texto completo da fonteSmith, Tamytha Cameron. "Personal Passions and Carthusian Influences Evident in Rogier Van Der Weyden's Crucified Christ between the Virgin and Saint John and Diptych of the Crucifixion". Thesis, University of North Texas, 2006. https://digital.library.unt.edu/ark:/67531/metadc5245/.
Texto completo da fonteYang, Chuan-Tsing. "The Crucifixion". Thesis, University of North Texas, 1993. https://digital.library.unt.edu/ark:/67531/metadc501140/.
Texto completo da fonteOgden, Jenna Noelle. "The Leprous Christ and the Christ-like Leper: The Leprous Body as an Intermediary to the Body of Christ in Late Medieval Art and Society". Cleveland State University / OhioLINK, 2011. http://rave.ohiolink.edu/etdc/view?acc_num=csu1305075738.
Texto completo da fonteBalicka-Witakowska, Ewa. "La crucifixion sans crucifié dans l'art éthiopien : recherches sur la survie de l'iconographie chrétienne de l'Antiquité tardive /". Warszawa ; Wiesbaden : ZAŚ PAN, 1997. http://catalogue.bnf.fr/ark:/12148/cb39219741v.
Texto completo da fonteEwin, Kristan Foust. "The Argei: Sex, War, and Crucifixion in Rome and the Ancient Near East". Thesis, University of North Texas, 2012. https://digital.library.unt.edu/ark:/67531/metadc115076/.
Texto completo da fonteFoust, Kristan Ewin. "Exposing the Spectacular Body: The Wheel, Hanging, Impaling, Placarding, and Crucifixion in the Ancient World". Thesis, University of North Texas, 2017. https://digital.library.unt.edu/ark:/67531/metadc1062805/.
Texto completo da fonteFazio, Giuseppe. ""lo travo di lo crucifixo". L'esposizione e l'uso della croce negli edifici di culto siciliani fra il Regnum Normanno e il Concilio di Trento (1149-1555)". Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2015. http://hdl.handle.net/11577/3423918.
Texto completo da fonteNel 1992 la pubblicazione di un libro sulle croci dipinte in Sicilia (M. C. Di Natale, Le croci dipinte in Sicilia. L'area Occidentale dal XIV al XVI secolo, Flaccovio editore, Palermo 1992) metteva in evidenza un aspetto della produzione artistica isolana che dal Duecento fino alla metà del Cinquecento aveva tenuto impegnate le botteghe artistiche nell'incessante lavoro di soddisfare le esigenze cultuali e liturgiche di cattedrali, monasteri e parrocchiali, non potendo esistere infatti una chiesa cristiana senza la sua icone della croce (Concilio Niceno II). Dal testo, che prende le mosse comunque dagli studi precedenti soprattutto di Maria Grazia Paolini, che già nel 1959 aveva individuato le peculiarità della produzione siciliana di croci dipinte, si evince chiaramente che mentre nel resto d'Italia questo particolare genere pittorico si era estinto già sul finire del Trecento, in Sicilia esso si perpetua fin ben oltre la metà del XVI secolo, con un continuo rinnovamento del linguaggio figurativo da parte degli artisti ma restando legati alla tradizione medievale della tavola sagomata a croce, ornata da una ricca cornice intagliata che solo in rari casi si è conservata, dove spesso le figure sono costrette a forza entro i contorni serrati. "L'originalità delle croci siciliane a partire dal XV secolo è per altro anche quella di essere dipinte su entrambe le facce invece che soltanto nel recto, come erano gli esemplari romanici e gotici, ad eccezione delle croci astili e processionali, per altro più maneggevoli e di formato ridotto (dalla introduzione di Maurizio Calvesi). Nelle grandi croci stazionali della Sicilia, a differenza delle croci di piccolo formato spesso realizzate a fini devozionali e che prevedono una grande varietà di immagini diverse, l'iconografia si è inoltre consolidata su uno schema rispondente alla sua funzione liturgica e che, tranne in rari casi, rimane a lungo invariato. Esso prevede, nel recto, la figura del Crocifisso al centro, la Vergine e San Giovanni dolenti nei due capicroce ai lati, il Pantokrator ovvero l'Arbor vitae con il nido del Pellicano, emblema cristologico, in alto e la Maddalena ovvero la grotta con il teschio di Adamo in basso; nel verso troviamo invece la figura del Risorto al centro e gli emblemi dei quattro evangelisti nei capi-croce. Tuttavia in quella occasione venivano lasciate irrisolte numerose questioni inerenti soprattutto alcuni degli esemplari presentati che costituiscono ancora capitoli aperti della storia dell'arte medievale e moderna in Sicilia; basta citare per tutti la straordinaria croce della cattedrale di Piazza Armerina, name-piece per l'ancora anonimo maestro che l'ha dipinta. A quasi vent'anni da quella pionieristica pubblicazione è sembrato opportuno allora ritornare sull'argomento per cercare di chiarire i punti rimasti ancora in ombra e allargare il campo di indagine agli altri aspetti inerenti l'esposizione della croce all'interno degli edifici ecclesiastici siciliani e la sua fruizione da parte del clero e dell'assemblea dei fedeli. Si è pensato allora di estendere la ricerca sia ai modelli liturgici precedenti, ossia a partire da quando in Sicilia abbiamo contezza di un uso della croce sistematicamente inquadrabile con certezza, attraverso fonti scritte e iconografiche, e che corrisponde alle attestazioni di epoca normanna e protrarla fino alla metà del XVI secolo, quando le norme, ovvero le consuetudini e le interpretazioni, scaturite dal Concilio di Trento interromperanno la millenaria centralità della croce all'interno dell'aula ecclesiale; sia di includere le altre forme di esposizione della croce, focalizzando l'attenzione di volta in volta sulla diversità del medium, in termini di supporto e di materia utilizzati ma anche del cambiamento che esso provoca nella recezione del messaggio che si vuole trasmettere. I confini cronologici sono segnati da due date precise: nel 1149 viene redatto l'inventario dei beni mobili della Cattedrale Cefalù in cui si evince chiaramente, ed è una delle prime volte, l'uso normanno della croce processionale, che poi veniva staccata dalla sua asta e posta sull'altare, ovvero fissata nei pressi di esso; il 1555 è invece l'anno segnato sul verso dipinto della complessa macchina lignea al centro della navata della chiesa madre di Collesano, che rappresenta l'apogeo per le croci siciliane oltre che un caso unico in Italia di mantenimento di una simile struttura che focalizza tutto lo spazio liturgico. Nella rilettura delle fonti, dei documenti e della storiografia sull'argomento, fra cui si segnala la recente e corposa pubblicazione Manufacere et scolpire in lignamine, curata da Teresa Pugliatti, Salvatore Rizzo e Paolo Russo, dedicata alla scultura in legno siciliana, sono emerse non poche discordanze nell'interpretazione dei dati a nostra disposizione, che dal 1992 ad oggi, grazie a numerosi rinvenimenti documentari, hanno accresciuto la possibilità di avere un quadro più completo, anche se ancora parecchi rimangono i buchi da colmare con dati certi, ma a cui si tentato di dare comunque una risposta, seppure ipotetica. La ricerca si è avviata cercando di mettere a fuoco alcuni punti cardine che costituiscono lo scheletro su cui si è sviluppata tutta l'architettura delle argomentazioni: Le croci dipinte vanno inserite nel più ampio contesto dei Calvari stazionali, di cui esse rappresentano una particolarissima visione sintetica compiuta. I documenti e le fonti iconografiche suggeriscono infatti l'esistenza di una variegata possibilità di soluzioni per l'esposizione della croce: la sola croce dipinta, la croce dipinta e i dolenti rilevati a tutto tondo, la croce dipinta soltanto nel verso e con il Crocifisso scolpito nel recto, il solo Crocifisso scolpito, il gruppo del Calvario composto da tre statue a tutto tondo. La collocazione della croce all'interno dell'edificio ecclesiale. Gli studi precedenti si sono soffermati soltanto sull'aspetto verticale, disputando se in origine croci e crocifissi erano appesi sotto l'arco del presbiterio, piantate a terra o, più verosimilmente, poste al di sopra del tramezzo e più frequentemente della trabeazione chiamata nei documenti per l'appunto 'lo trabo' o 'la trabe' del crocifisso. Gli equivoci in questo senso nascono principalmente da una errata interpretazione sulla sistemazione della croce nella Cattedrale normanna di Cefalù. Nel tempio ruggeriano è infatti ancora presente una monumentale croce opistografa, la più grande della Sicilia con i suoi oltre cinque metri di altezza, attribuita da Genevieve Bresc Bautier, prima, e da Maria Andaloro, poi, a Guglielmo da Pesaro, che la dovette eseguire prima del 1468, anno in cui gli viene commissionata un'altra croce dipinta per il duomo di Monreale che il pittore doveva realizzare in conformità a quella già compiuta per Cefalù. Il vescovo Preconio, probabilmente, trasferisce la monumentale croce dipinta sotto la chiave di volta del grande arco che separa la navata dell'assemblea dal transetto riservato al clero, qui infatti la trova appesa un cronista del 1592, Bartolomeo Carandino, e questo come detto ha creato numerosi equivoci circa la collocazione in origine della croce cefaludese e delle altre in Sicilia; infatti le croci siciliane si distinguono anche per non avere una base d'appoggio propria, in molte però sono ancora riconoscibili il perno che permetteva di fissarle al tramezzo o alla trave e gli anelli per l'aggancio dei tiranti che permettevano di stabilizzarla. Ma sarà soltanto con le trasformazioni interne alle aree celebrative operate nel clima tridentino, durante il quale si è accentuata la centralità della custodia eucaristica rispetto alla croce, che essa viene spostata o all'apice dell'arco del presbiterio, per non "infastidire" la visione dei riti liturgici, oppure viene collocata su un altare laterale, equiparata alle altre immagini che si moltiplicano sulle pareti delle chiese. Gli stessi documenti ci dicono però della collocazione della croce 'in mezo di la ecclesia' accentuando di più l'aspetto orizzontale, rispetto a quello verticale. La funzione principale della croce era infatti quella di dividere la chiesa in due zone, una riservata al clero e alla celebrazione dei riti e una atta ad accogliere l'assemblea dei fedeli, rispecchiando così quanto Venanzio Fortunato, innografo del VI secolo, aveva espresso nel suo Vexilla Regis, il più famoso testo liturgico dedicato alla croce, che ad un certo punto, le si rivolge con queste parole: «del corpo suo sei fatta bilancia». La funzione liturgica del verso dipinto con l'immagine del Cristo Risorto. E' stato ipotizzato che la bi-frontalità delle croci siciliane servisse per esporre nel tempo di Pasqua l'effigie della resurrezione, rigirando la tavola su se stessa. Di questo rituale non si trova però nessuna traccia nelle fonti e comunque, se vero, esso appare più un'usanza devozionale post-tridentina che una prassi della spiritualità medievale. A questo si aggiunge che per alcuni esemplari di croce, di notevoli dimensioni e con predisposizioni logistiche che non permettevano la mobilità anche parziale dell'opera, una simile operazione risulta molto improbabile. Problemi legati a questioni stilistiche e attributive. Molte attribuzioni, sia delle croci dipinte che dei gruppi scultorei, non sono condivise unanimemente dalla critica come pure in alcuni casi, fra i quali il più interessante rimane quello del convenzionalmente detto Maestro della croce di Piazza Armerina, si è dibattuto sulla formazione culturale degli artisti e circa la loro provenienza estera o l'origine locale. Una parte della ricerca ha cercato di chiarire gli aspetti prettamente liturgico ' cultuali, innanzitutto con l'analisi delle fonti liturgiche e patristiche dei testi fondativi e prescrittivi sull'uso della croce nella liturgia romana e sulla sua presenza stazionale e monumentale all'interno degli edifici di culto. Le fonti latine sono riportate nella lingua originale, mentre quelle greche o in altra lingua antica in traduzione; inoltre alcune volte, quando si sono rilevati problemi di interpretazione, si è optato per la traduzione in nota in lingua corrente. Si sono prese in esame sia le fonti generali della Patrologia Latina sia le fonti liturgiche locali, quali il cosiddetto Messale Gallicano (fine XII-inizi XIII sec.) conservato nell'Archivio Storico Diocesano di Palermo, i testi liturgici della Biblioteca del Seminario di Messina (XII sec.) e quelli più recenti della Biblioteca Centrale della Regione Sicilia e dell'Abbazia benedettina di San Martino delle Scale, costatando che dal punto di vista normativo non esistevano in Sicilia prescrizioni peculiari rispetto al resto dell'Occidente cristiano. L'ordine dei capitoli non deve essere inteso allora soltanto come successione cronologica dei fatti e delle opere presentate, ma a questa si associano la diversificazione tipologica e funzionale di tutta la consistenza delle opere rimaste e le digressioni diacroniche di carattere generale sui diversi usi della croce nel tempo. Grande spazio è stato dato anche ai temi inerenti all'iconografia e all'iconologia delle immagini, poiché ritengo che la sola lettura formale e stilistica restituisca soltanto in senso parziale la contestualizzazione di questa particolare categoria di arredo liturgico. La lettura dei diversi sistemi di immagini e la ricerca del loro linguaggio semantico non si sono fermati alla semplicistica lectio faciliori, ma si è cercato di risalire alle fonti primigenie che sottendono a ciascuno di essi, le quali probabilmente con l'andare del tempo non furono percepite più come tali, ma rimangono pur sempre testimonianze di una tradizione figurativa ininterrotta. Una parte rilevante della ricerca è stata dedicata all'indagine documentaria, mettendo insieme e rileggendo univocamente la grande mole di documenti che da Gioacchino Di Marzo (seconda metà del XIX secolo) in poi sono venuti alla luce, non avendo tralasciato quando possibile l'integrazione con nuovi dati ricavati da documenti inediti o poco conosciuti. Il capitolo I è incentrato sull'uso della croce in Sicilia in epoca normanno-sveva, quando non è documentata nessuna presenza di croci monumentali ma soltanto di quelle piccole e preziose che venivano impiegate al contempo nelle processioni e quindi collocate presso l'altare; si è analizzata l'origine della croce posta nel contesto dell'altare e il suo legame con il sacrificio eucaristico e lo sviluppo della funzione fino alla cosiddetta croce stazionale, quella cioè che precedeva nei rituali liturgici e paraliturgici il papa e anche i vescovi che erano stati autorizzati; si sono passate in rassegna le superstiti opere prodotte dalle officine del Palazzo Reale di Palermo, delle quali nessuna è oggi conservata in Sicilia, e quindi le altre tipologie che vanno dalle croci in lamine metalliche a quelle a smalto di produzione limosina. Il capitolo II affronta il tema della croce monumentale posta al centro della chiesa, ne analizza l'origine e la diffusione e quindi si sofferma sui pochi esemplari due e trecenteschi che sono scampati al degrado del tempo, da quelle di importazione centro italiana a quelle riconosciute come produzione autoctona. Inoltre è presentato l'unico esemplare di crocifisso ligneo duecentesco a essere giunto fino a noi, quello del monastero di Rifesi, oggi nella chiesa madre di Burgio (Agrigento). Nel capitolo III si sviluppa il tema del crocifisso gotico a rilievo, diffusosi nel corso del XIV secolo e che viene considerato come la nascita del crocifisso devozionale, davanti al quale riversare propositi e speranze del fedele pentito dei propri peccati. Gli esemplari più famosi in Sicilia, due del tipo 'doloroso', a Palermo e a Trapani, e uno del tipo 'cortese', a Monreale, saranno oggetto di numerosissime repliche, che addirittura nel caso del devotissimo crocifisso palermitano arriveranno fino agli inizi del XX secolo. Il Capitolo IV tratta della ripresa nel Quattrocento della produzione di croci dipinte e della sua caratterizzazione distintiva più originale nelle croci opistografe, che presentano il Crocifisso da un lato e il Risorto dall'altro. Qui si è cercato di dare delle risposte, che ovviamente rispecchiano il punto di vista dello scrivente, sui molti aspetti ancora irrisolti circa le attribuzioni di alcune opere o la loro connotazione culturale, cercando di argomentarle sulla base di dati certi. Infine il V e ultimo capitolo è dedicato alle diverse alternative alla croce dipinta, che vanno da soluzioni semplici, come il crocifisso scolpito o la croce ibrida, con alcune parti dipinte e altre a rilievo, a quelle più complesse che prevedono l'uso di croci o crocifissi affiancati dalle immagini dei due dolenti, che hanno il loro apice nella grande macchina lignea di Collesano, datata 1555. La seconda parte del testo è dedicata alla classificazione delle opere esistenti, partendo dal buon repertorio di croci dipinte e crocifissi pubblicato nel 1992, integrandole con le opere allora non inserite, soprattutto della Sicilia Orientale, e aggiungendo le opere appartenenti alle altre tipologie analizzate. I risultati di tale investigazione sono confluiti in un catalogo ragionato dove di ogni opera si è registrato collocazione, materiali e supporto, misure, provenienza, iconografia, eventuali iscrizioni, datazione, autore. Per quanto riguarda la sezione V. del catalogo, ossia quella che riguarda i crocifissi e i gruppi scultorei del XV e XVI secolo, la classificazione si deve intendere come puramente esemplificativa e assolutamente non esaustiva, perchè, in mancanza di una catalogazione preliminare, troppo numerose sono le opere e troppo vasto il territorio per poter ipotizzare una ricognizione a tappeto.
Harley, Felicity. "Images of the crucifixion in late antiquity : the testimony of engraved gems / Felicity Harley". Thesis, 2001. http://hdl.handle.net/2440/21742.
Texto completo da fontev, 316 leaves., 17 p. of plates : ill. (some col.) ; 30 cm.
A study which takes as its focus five gemstones, each engraved with an image of the Crucifixion and previously dated to the Late Antique period. The study undertakes an examination of the gems' iconographic as well as compositional, physical and epigraphic evidence, and demonstrates the way in which critical information regarding the evolution of the Crucifixion image in Late Antiquity has been seriously obstructed in previous studies through the dismissal, misapplication and misinterpretation of the gems. Focusing on iconography, it presents a revised chronology for the gems, suggesting that only three are Late Antique, the fourth being early Byzantine.
Thesis (Ph.D.)--University of Adelaide, Centre for European Studies and General Linguistics, 2001
Béland, Caroline. "Les représentations chrétiennes et la culture juive dans l'art pictural moderne : le cas de Marc Chagall". Thèse, 2011. http://hdl.handle.net/1866/5267.
Texto completo da fonteMarc Chagall is a Jewish artist who challenged the Mosaic interdiction to represent the deity. He has among others in the modern period made several paintings on the theme of the Crucifixion, a particularly sensitive issue for an artist attached to his Jewish identity and practising an art with a strong autobiographical component. This dissertation examines the conditions which allowed the adoption and the development, by Chagall, of an important Christian subject whose iconography he freely revisited. Among the circumstances that facilitated the cultural hybridization in which Chagall engaged in his Crucifixion, we must point out the new freedom, both at the level of figurative devices and pictorial treatment, brought by modernism in the approach of major traditional genres to which religious painting belongs. On a quite different register, the dissertation examines the exceptional historic circumstances met by Chagall before and during the execution of the Crucifixions. These circumstances have exerted pressure that allowed the tragic experience of the Jews of the XXth century to find expression in images of universal significance.
Pour respecter les droits d’auteur, la version électronique de ce mémoire a été dépouillée de ses documents visuels et audio‐visuels. La version intégrale du mémoire a été déposée au Service de la gestion des documents et des archives de l'Université de Montréal.
Trojanová, Martina. "Kříž zv. královny Dagmar". Doctoral thesis, 2021. http://www.nusl.cz/ntk/nusl-447989.
Texto completo da fonte