Letteratura scientifica selezionata sul tema "Gruppo Amici della Musica"

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Articoli di riviste sul tema "Gruppo Amici della Musica"

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Spitzer, Jaclyn B., Dean Mancuso e Min-Yu Cheng. "Development of a Clinical Test of Musical Perception: Appreciation of Music in Cochlear Implantees (AMICI)". Journal of the American Academy of Audiology 19, n. 01 (gennaio 2008): 056–81. http://dx.doi.org/10.3766/jaaa.19.1.6.

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Abstract (sommario):
The purpose of this study was to develop a test to assess the ability of persons with cochlear implants (CIs) to interpret musical signals. Up to this time, the main direction in outcomes studies of cochlear implantation has been in relation to speech recognition abilities. With improvement in CI hardware and processing strategies, there has been a growing interest in musical perception as a dimension that could improve greatly users' quality of life. The Appreciation of Music in Cochlear Implantees (AMICI) test was designed to measure the following abilities: discrimination of music versus noise; identification of musical instruments (from a closed set); identification of musical styles (from a closed set); and recognition of individual musical pieces (open set). The first phase of the study was test development and recording. The second phase entailed presentation of a large set of stimuli to normal listeners. Based on phase 2 findings, an item analysis was performed to eliminate stimuli that were confusing or resulted in high error rates in normals. In phase 3, hearing-impaired participants, using cochlear Implants, were assessed using the beta version of the AMICI test. El propósito de este estudio fue desarrollar una prueba para evaluar la capacidad de las personas con implantes cocleares (CI) para interpretar señales musicales. Hasta ahora, el enfoque principal en estudios de desempeño de implantación coclear se ha concentrado las habilidades de reconocimiento del lenguaje. Con el mejoramiento del hardware y de las estrategias de procesamiento de los CI, ha existido un interés creciente en la percepción de la música, como una dimensión que podría incrementar importantemente la calidad de vida de los usuarios. La Prueba de Apreciación Musical en Implantados Cocleares (AMICI) fue diseñado para medir las siguientes aptitudes: discriminación de la música vs. ruido; identificación de instrumentos musicales (de un grupo cerrado); identificación de estilos musicales (de un grupo cerrado); y reconocimiento de piezas musicales independientes (grupo abierto). La primera fase de la prueba fue evaluar desarrollo y registro. La segunda fase involucró la presentación de un amplio grupo de estímulos a oyentes normales. Con base en los hallazgos de la fase 2, se realizó un análisis de ítems para eliminar estímulos que eran confusos o producían una alta tasa de errores en los normales. En la fase 3, los participantes hipoacúsicos, usando sus implantes cocleares, fueron evaluados usando la versión beta de la Prueba AMICI.
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Lagattolla, Fulvia, Carla Costanzo, Francesca Romito, Francesco Giotta e Vittorio Mattioli. "Musica, canto ed espressione emozionale durante la chemioterapia. Fanno stare meglio?" PSICOLOGIA DELLA SALUTE, n. 3 (dicembre 2012): 115–25. http://dx.doi.org/10.3280/pds2012-003007.

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Abstract (sommario):
Le pazienti oncologiche vivono elevati livelli di distress psicologico, in particolar modo durante le prime fasi di diagnosi e trattamento. Lo studio valuta l'efficacia di un intervento di terapie complementari, nel contenimento di ansia, depressione, rabbia e stress in pazienti oncologiche. 62 pazienti sono state randomizzate in gruppo sperimentale e di controllo. Il gruppo sperimentale ha partecipato ad una singola sessione di musicoterapia nella globalita dei linguaggi e holding psicologico in gruppo, durante l'infusione di chemioterapia ambulatoriale. Lo strumento di valutazione pre e post intervento e stato l'Emotional Thermometers Tool. Nel gruppo sperimentale i livelli di stress, ansia, depressione e rabbia, risultano ridotti in maniera significativa dopo l'intervento. Nel gruppo di controllo si riducono stress e ansia. La richiesta di aiuto risulta maggiormente soddisfatta nel gruppo sperimentale. L'intervento di gruppo di musicoterapia e holding psicologico si e dimostrato utile nel ridurre il distress emozionale durante l'infusione di chemioterapia. Andrebbe valutato l'impiego delle terapie complementari nei percorsi di umanizzazione.
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Schmitter, Philippe. "UNA BIOGRAFIA INTELLETTUALE E DI VITA DEL «MAESTRO-COMPOSITORE» JUAN J. LINZ". Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 33, n. 3 (dicembre 2003): 515–38. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200027441.

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Abstract (sommario):
IntroduzioneSe per «maestro» intendiamo qualcuno che mette insieme un ampio gruppo di subordinati e fa eseguire loro la musica di qualcun altro, Juan José Linz non è, e non è mai stato tale. È sempre stato un «compositore» — qualcuno che scrive e suona la propria musica. E, tuttavia, dato che ha spesso riunito un certo numero di collaboratori, e scritto e diretto musica insieme a loro, chiamiamolo il «maestro-compositore» della scienza politica.
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Vivo, Eleonora, Davide Mazzoni, Pamela Monteverdi e Elvira Cicognani. "Stili di assunzione e motivazioni all'uso di alcol in un gruppo di studenti universitari italiani. Uno studio qualitativo". PSICOLOGIA DELLA SALUTE, n. 1 (marzo 2012): 133–55. http://dx.doi.org/10.3280/pds2012-001008.

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Abstract (sommario):
L'abuso di alcol espone i giovani a numerosi rischi di natura sociale e psicofisica. L'obiettivo della presente ricerca era approfondire le motivazioni alla base dell'assunzione di alcol e i profili di consumo in un gruppo di studenti universitari italiani. Sono state condotte trentaquattro interviste con studenti di sesso maschile e femminile, di etŕ compresa tra i 19 e i 25 anni. Sul materiale testuale č stata effettuata l'analisi qualitativa ispirata alla grounded theory. I risultati evidenziano la presenza di molteplici motivazioni (gestire emozioni negative, ricercare sensazioni, motivazioni sociali, ricerca del gusto, richiamo culturale/ identitario, rimedio rispetto ad altre sostanze) e di diversi pattern di consumo che variano in funzione della condizione residenziale (fuorisede, residente, pendolare), dell'anno di corso, del genere, della rappresentazione del divertimento (convivialitŕ, sregolatezza) costruita all'interno del gruppo di amici e del significato che l'alcol assume nel contesto specifico. Alla luce della letteratura psicosociale, questi risultati sottolineano il ruolo giocato dal contesto universitario nel modulare il consumo di alcolici fra gli studenti.
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Meneghini, Anna Maria, e Riccardo Sartori. "Il ruolo della tendenza empatica nel motivare il nonobligatory helping: una ricerca su un gruppo di volontari". PSICOLOGIA DI COMUNITA', n. 2 (marzo 2012): 95–106. http://dx.doi.org/10.3280/psc2011-002009.

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Abstract (sommario):
L'empatia viene considerata capace di motivare all'aiuto, alla prosocialità e al volontariato. Da una prospettiva evoluzionistica, piů autori affermano che gli esseri umani hanno un'innata tendenza a prendersi cura di chi č bisognoso. Perché allora alcune persone si impegnano nel volontariato ed altre no? Lo studio attua un confronto tra volontari (n = 483) e non (n = 443) rispetto all'empatia emozionale, rilevata con la Balanced Emotional Empathy Scale. I risultati mostrano che i volontari presentano livelli di tendenza empatica verso gli estranei (outgroup) piů alti dei non volontari. Livelli simili, invece, emergono rispetto a familiari/ amici (ingroup). La tendenza empatica verso i membri dell'outgroup viene proposta come possibile componente della motivazione all'impegno volontario.
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Tomatis, Jacopo. "“This Is Our Music”: Italian Teen Pop Press and Genres in the 1960s". IASPM Journal 4, n. 2 (31 dicembre 2014): 24–42. http://dx.doi.org/10.5429/ij.v4i2.674.

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Abstract (sommario):
Popular music studies rarely consider genres as cultural concepts both historically and socially contingent. From a diachronic perspective, music journalistic discourse can be used to examine how music categories are created, named and negotiated between music industry, musicians, critics and fans, either for practical or aesthetic purposes. Italian teen pop magazines in the mid-1960s provide a valuable case study. This article will focus on two Italian teen publications, Ciao amici and Big, between 1964 and 1967, and will connect the rhetoric they used to the rise of youth community in the same period. The genre of musica nostra (music of our own) was introduced to describe the music teenagers were listening to, and suggested the pride of belonging to a community of peers. In the last section I will outline how such an ideology of youth community was connected to authenticity and to specific aesthetic values.
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Sartori, Riccardo. "Le ragioni per non dirlo. Studio su 17 pazienti maschi adulti omosessuali non dichiarati della provincia di Verona". RIVISTA DI SESSUOLOGIA CLINICA, n. 2 (gennaio 2011): 19–34. http://dx.doi.org/10.3280/rsc2010-002002.

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Abstract (sommario):
I vantaggi e gli svantaggi di fare coming out in famiglia e al lavoro, per gli omosessuali che vengono allo scoperto e per il gruppo di appartenenza (famiglia e organizzazione), sono ben documentati in letteratura. Mancano invece gli studi che analizzano vantaggi e svantaggi del non fare coming out, probabilmente per la difficoltŕ a reperire soggetti che, per loro natura, vivono nascosti. L'articolo presenta uno studio su 17 pazienti maschi adulti che vivono e lavorano a Verona e non sono dichiarati né in famiglia, né al lavoro, né tra gli amici eterosessuali. Le loro tre diagnosi principali (DSM-IV-TR) - Disturbo Dipendente di Personalitŕ (DDP), Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC) e Disturbo Narcisistico di Personalitŕ (DNP) - vengono messe in relazione con i tre ordini di ragioni portate dai pazienti per non dichiararsi, esemplificati nei seguenti tre slogan: 1. Vorrei ma non posso (DDP); 2. Dovrei ma non voglio (DOC); 3. Sono fatti miei! (DNP).
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Bartoli, Gabriella. "Psicologia, arte, attività espressive". RICERCHE DI PSICOLOGIA, n. 2 (ottobre 2021): 203–15. http://dx.doi.org/10.3280/rip2021oa12607.

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Abstract (sommario):
Viene ricostruito il clima culturale che favorì un primo accostarsi della psicologia accademica bolognese al fenomeno artistico. Tra i fattori facilitanti: gli stretti rapporti fra i maestri tedeschi della Gestalt e gli artisti del Bauhaus nel periodo 1911-1933; nonché, nei primi anni Sessanta, entro la scuola di Renzo Canestrari, gli scambi tra i gestaltisti italiani e gli esponenti di avanguardie artistiche come "Arte Programmata" e "Nuova Tendenza". Ne scaturirono iniziative di ricerca messe in opera da un gruppo di allievi nelle Università di Bologna e, in seguito, di Roma Sapienza e Roma Tre. Furono inoltre introdotte nel corso di laurea DAMS di Bologna due nuove discipline ("Psicologia dell'arte" e "Psicologia della musica"), poi attivate in altri atenei. In parallelo vennero condotti numerosi studi teorici e sperimentali sui linguaggi artistici e i processi creativi, d'invenzione e fruizione; studi i cui risultati sono stati apprezzati sul piano internazionale per l'integrazione dei metodi e l'interdisciplinarità delle competenze.
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Forti, Dario, e Paola Scalari. "Cantieri. Un maestro con lo sguardo bambino. Generare l'inedito". EDUCAZIONE SENTIMENTALE, n. 34 (gennaio 2021): 123–35. http://dx.doi.org/10.3280/eds2020-034012.

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Abstract (sommario):
Voglio condividere, attraverso alcune pennellate, le immagini che emergono dalla mia me-moria a seguito della morte di Francesco Berto (8 maggio 1934-8 luglio 2020), psicosocioa-nalista e già socio di Ariele. Fa da sfondo alla narrazione l'incontro tra Berto e Pagliarani. Su questo intreccio umano e professionale, intellettuale ed emotivo emergono gli ambiti del pensiero nei quali Berto ha applicato il pensiero psicosocioanalitico. Quelli principali sono il mondo scolastico, la consulenza ai genitori, la formazione degli operatori dei servizi socio-educativi. Ne sono testimonianza i molti libri sull'argomento. La ricerca teorica e applicativa di Berto dunque si è attestata in un modello di apprendimento psicosocioanalitico capace di far emergere l'inconscio e di utilizzare il gruppo per rielaborarlo. Molto ci ha insegnato. Ora a tutti noi far germinare la sua eredità. Per dare avvio a questo impegno nel testo sono riportate le parole di amici e colleghi, di allievi e studiosi, di psicoanalisti e psicosocioanalisti che, alla sua morte, mi hanno inviato una riflessione riconoscendo la potenza del suo modo di operare con grandi e piccini, in aula e nella polis, con l'individuo e con i gruppi.
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Colombo, Maddalena. "Apprendimenti non formali ed informali in un contesto educativo formale integrato con le arti performative in quattro scuole elementari del Canton Ticino". Swiss Journal of Educational Research 36, n. 3 (20 settembre 2018): 407–34. http://dx.doi.org/10.24452/sjer.36.3.5105.

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Abstract (sommario):
Il saggio riporta alcune considerazioni scaturite nell’ambito del progetto “Teatro e Apprendimento”, svolto dalla Scuola Teatro Dimitri di Verscio in Canton Ticino con il sostegno del FNS. Il progetto ha introdotto delle pratiche di apprendimento “qualitativo”, ovvero informale, secondo un approccio olistico, per il quale è molto rilevante la dimensione socio-culturale. In questa prospettiva il teatro fornisce una chiave d’accesso privilegiata al patrimonio culturale. Il piano di ricerca ha incluso: un percorso formativo con gli insegnanti di 4 scuole elementari ticinesi; dei laboratori di movimento, canto e musica, lavoro sul testo d’autore, recitazione, drammatizzazione e improvvisazione; 4 messe in scena con protagonisti i soli bambini. La raccolta e analisi dei dati qualitativi da parte di un’équipe scientifica, ha seguito alcune ipotesi circa il rapporto tra teatro e apprendimento, messe a punto per meglio descrivere il procedimento riflessivo informale (apprendere dall’esperienza): Ipotesi della motivazione, della differenziazione, dell’affinamento tecnico, dell’integrazione, dell’interezza, dell’efficacia comunicativa o dell’emozione. Il materiale narrativo raccolto (schede personali, diari di bordo, interviste qualitative) mostra come gli apprendimenti più significativi sono riconducibili alla accresciuta capacità dei bambini di portare a termine un apprendistato formale nelle discipline artistiche. L’attività sperimentale ha favorito l’espressione emozionale e la creatività, l’integrazione dei partecipanti nel gruppo, tra originalità e ripetizione, tra razionalità e corporeità.
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Tesi sul tema "Gruppo Amici della Musica"

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TAMPLENIZZA, CECILIA. "DO CANTO AO GESTO, DO CORPO AO TEXTO: DIALOGOS COM O GRUPPO DE COPOEIRA ANGOLA PELOURINHO". Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2017. http://hdl.handle.net/10281/180895.

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Abstract (sommario):
Essa tese é o resultado de uma pesquisa etnográfica realizada junto às atividades do Grupo de Capoeira Angola Pelourinho – GCAP – em Salvador (Bahia/Brasil) e em Cremona (Itália). Trata-se de narrativa centrada em experiência autoral nômade, que se fez oportunidade para investigar os processos culturais, artísticos, bem como as dinâmicas politíco-sociais que obras, marcadas por várias autorias, do final do século XIX aos dias atuais, trazem sobre a capoeira, com mudança de seu estatuto: de prática criminalizada (e sempre posta à margem) à Patrimônio Imaterial da Humanidade. Crítico em relação a esse projeto de institucionalização, o GCAP, orientado pelo Mestre Moraes (Pedro Moraes Trindade), vem desenvolvendo um projeto, interessado em compreender, no contexto atual, narrações orais e corporais, levando adiante princípios e práticas que distinguem essa arte em sua complexidade. Como transmitida no GCAP, a capoeira angola sugere um pensamento de entre-lugar, estimulando a constante busca por outras verdades, ancorado num aprendizado sem ponto final. Para ressaltar essa perspectiva, a narrativa de minha experiência etnográfica não tratou de aspectos meramente visíveis da capoeira – materialização que, pessoas com seus corpos, fazem da capoeira -, mas de como sua prática estimula emoções, interesses e conhecimentos. Minha experiência, em diálogo com outros integrantes do GCAP e suas produções, trouxe à tona a existência de uma tradição poética da capoeira angola, que chamei de poética mandinga, ressaltando sua ancestralidade africana. Essa poética envolve as diversas partes do ritual da capoeira - textuais-corporais-musicais-relacionais – e permite entender a capoeira angola como uma ambiência comunicacional, artístico e expressiva, divulgada e atualizada no encontro entre diferentes culturas.
Questa tesi è il risultato di una ricerca etnografica condotta frequentando le attività del Grupo de Capoeira Angola Pelourinho - GCAP - a Salvador (Bahia/Brasile) e a Cremona (Italia). É una narrativa centrata in un’esperienza d’autore nomade, che è diventata l'occasione per indagare i processi culturali e artistici, così come le dinamiche politiche e sociali che l’operato di diversi attori, della fine del XIX secolo ad oggi, ha prodotto sulla capoeira, cambiando il suo status: da pratica criminalizzata (e sempre marginalizzata) a simbolo del Patrimonio Immateriale dell'Umanità. Critico nei confronti di questo progetto di istituzionalizzazione, il GCAP, orientato da Mestre Moraes, Pedro Moraes Trindade, sviluppa un progetto interessato a comprendere, nel contesto attuale, narrazioni orali e corporali, portando avanti principi e pratiche che contraddistinguono quest’arte nella loro complessità. Como trasmessa nel GCAP, la capoeira angola suggerisce un pensiero del intermezzo (in-between), stimolando la costante ricerca di altre verità, ancorato in un processo di apprendimento privo di punto finale. Per sottolineare questo aspetto, la narrazione della mia esperienza etnografica non ha affrontato solo gli aspetti visibili della capoeira - materializzazione che le persone con i loro corpi fanno della capoeira -, ma di come questa pratica stimola emozioni, interessi e conoscenze. La mia esperienza, in dialogo con gli altri membri del GCAP e le sue produzioni, ha fatto emergere anche l'esistenza di una tradizione poetica della Capoeira Angola, che ho chiamato poetica mandinga, sottolineando la sua ascendenza africana. É importante accentuare che, dal XX secolo, questa manifestazione poetica ha iniziato ad essere registrata, sviluppando una conseguente produzione discografica accessibile a persone provenienti da diverse parti del mondo.
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CAVENAGO, MARCO. "ARTE SACRA IN ITALIA: LA SCUOLA BEATO ANGELICO DI MILANO (1921-1950)". Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2021. http://hdl.handle.net/2434/829725.

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Abstract (sommario):
Nell’ottobre del 1921 a Milano nacque la Scuola Superiore di Arte Cristiana Beato Angelico. Responsabili dell’iniziativa: don Giuseppe Polvara, l’architetto Angelo Banfi, il pittore Vanni Rossi, affiancati dallo scultore Franco Lombardi, dai sacerdoti Adriano e Domenico Bernareggi, dall’ingegner Giovanni Dedè, dal professor Giovanni Mamone e dall’avvocato Carlo Antonio Vianello. Gli allievi del primo anno scolastico furono nove, due dei quali (gli architetti don Giacomo Bettoli e Fortunato De Angeli) destinati a restare per lunghi anni nella Scuola come docenti: così avvenne anche col pittore Ernesto Bergagna, iscrittosi l’anno seguente. A partire da quell’avvenimento il contesto italiano dell’arte sacra poté contare su un elemento di indiscutibile novità, destinato nel giro di pochi anni a una rapida, diffusa e pervicace affermazione nella Penisola. La fondazione della Scuola Beato Angelico mise un punto fermo nell’annoso dibattito sul generale declino dell’arte sacra che andava in scena da lungo tempo in Italia così come nei principali Paesi europei. La formula ideata da don Polvara metteva a sistema le proprie esperienze personali, artistiche e professionali con la conoscenza del contesto internazionale, di alcuni modelli esemplari e il confronto con gruppi e singole figure (artisti, critici, uomini di Chiesa) animate dal comune desiderio di contribuire alla rinascita dell’arte sacra. A cento anni dalla sua nascita – e a settanta dalla scomparsa del suo fondatore – la Scuola Beato Angelico (coi laboratori di Architettura, Cesello, Ricamo, Pittura e Restauro) prosegue tuttora nel compito di servire la Chiesa attraverso la realizzazione di arredi e paramenti sacri contraddistinti da una particolare cura dell’aspetto artistico e liturgico, oggetto di ripetute attestazioni di merito e riconoscimenti in ambito ecclesiastico. Ciò che invece finora manca all’appello è un organico tentativo di ricostruzione delle vicende storiche che hanno segnato la genesi e gli sviluppi di questa singolare realtà artistica e religiosa. Scopo di questa tesi è quindi la restituzione di un profilo il più possibile dettagliato e ragionato della storia della Scuola Beato Angelico, tale da riportare questa vicenda al centro di una situazione storica e di un contesto culturale complesso, attraverso una prospettiva di lavoro originale condotta sul filo delle puntualizzazioni e delle riscoperte. Stante il carattere “pionieristico” di questa ricerca, la vastità dei materiali e delle fonti a disposizione e la conseguente necessità di assegnare un taglio cronologico riconoscibile al lavoro si è optato per circoscrivere l’indagine ai decenni compresi tra il 1921 e il 1950, ovvero tra la fondazione della Beato Angelico e la scomparsa di Giuseppe Polvara. Come si vedrà, il termine iniziale viene in un certo senso anticipato dall’esigenza di tratteggiare al meglio gli antefatti e il contesto da cui trae origine la Scuola (tra la fine del XIX e i primi decenni del XX secolo). L’anno assunto a conclusione della ricerca, invece, è parso una scelta quasi obbligata, coincidente col primo avvicendamento alla direzione della Beato Angelico oltre che dalla volontà di escludere dal discorso quanto andò avviandosi negli anni Cinquanta e Sessanta, ossia una nuova e diversa stagione nel campo dell’arte sacra (destinata, tra l’altro, a passare attraverso lo snodo rappresentato dal Concilio Vaticano II e dall’azione di S. Paolo VI), peraltro assai indagata dagli studi storico-artistici. Ciò che ha reso possibile la stesura di questa tesi è il fatto che essa si appoggi, in buona parte, su materiali archivistici inediti o, quantomeno, mai esaminati prima d’ora in modo strutturato. L’accesso ai materiali d’archivio più storicizzati e la loro consultazione (grazie alla disponibilità dimostrata dalla direzione della Scuola Beato Angelico) hanno condizionato in modo determinante la trattazione degli argomenti, la ricostruzione dei quali , in alcuni casi, è sostenuta esclusivamente dai documenti rinvenuti. La nascita della Scuola Beato Angelico non fu un accadimento isolato nel panorama della produzione artistica europea del tempo né un episodio estraneo a quanto, contemporaneamente, si andava dibattendo nel mondo ecclesiastico. La Scuola di Polvara nacque in un’epoca contrassegnata da grande fermento ecclesiale: si pensi agli Ateliers d’Art Sacré fondati da Maurice Denis e George Desvallières a Parigi nel 1919, solo due anni prima della Scuola milanese, i cui aderenti – tutti laici – professavano una religiosità intensa e devota. Ma, soprattutto, il modello determinante e più conosciuto da Polvara fu la Scuola di Beuron (Beuroner Kunstschule), nata nell’omonima abazia benedettina tedesca nell’ultimo quarto del XIX secolo a opera di padre Desiderius Lenz e sul cui esempio ben presto sorsero atelier specializzati nella produzione di arte sacra (arredi e paramenti a uso liturgico) in molte comunità benedettine dell’Europa centrale. L’affinità di Polvara con la spiritualità benedettina è un elemento-chiave della Scuola da lui fondata: dalla regola dell’ora et labora derivò infatti il concetto (analogo) di “preghiera rappresentata” (orando labora). L’organizzazione stessa della Scuola, impostata come in un’ideale bottega medievale dove maestri, apprendisti e allievi collaborano e convivono, riprende lo stile di vita monastico dei cenobi benedettini. Proprio al fine di conservare il più possibile il carattere della bottega medievale, il numero degli allievi ammessi alla Scuola non fu mai troppo elevato, così da mantenere un adeguato ed efficace rapporto numerico tra i discepoli e i maestri. Ancora, da Beuron la Beato Angelico trasse la particolare e inconfondibile forma grafica della lettera “e”, riconoscibile nelle numerose e lunghe epigrafi presenti in tante sue opere. Ultimo elemento in comune tra la Scuola milanese e quella tedesca – ma che si può imputare alla più generale fascinazione per l’epoca medievale – è l’unità di intenti che deve animare tutte le maestranze impegnate a creare un’opera collettiva e anonima ad maiorem Dei gloriam, dove il contributo del singolo autore rimane volutamente nascosto in favore del nome della Scuola. Ciò che differenzia, tuttora, la Scuola da analoghi centri di produzione di arte sacra è il fatto che essa poggi le fondamenta su una congregazione religiosa, la Famiglia Beato Angelico, un’idea a lungo coltivata da Polvara e approvata ufficialmente dall’autorità diocesana fra gli anni Trenta e Quaranta. Dalla comune vocazione alla creazione artistica sacra (“missione sacerdotale” dell’artista) discendono la pratica della vita comunitaria, la partecipazione ai sacramenti e ai diversi momenti quotidiani di preghiera da parte di maestri sacerdoti, confratelli e consorelle artisti, apprendisti, allievi e allieve. L’indirizzo spirituale tracciato dal fondatore per la sua Famiglia agisce ancora oggi a garanzia di una strenua fedeltà nella continuità di un progetto artistico e liturgico unico, messo in pratica da una comunità di uomini e donne legate fra loro dai canonici voti di povertà, castità e obbedienza ma soprattutto da un comune e più alto intento. Appunto per assicurare una prospettiva di sopravvivenza e futuro sviluppo della sua creatura, Polvara ebbe sempre chiara la necessità di mantenere unito l’aspetto della formazione (e quindi la didattica nei confronti degli allievi, adolescenti e giovani) con quello della produzione (spettante all’opera di collaborazione fra maestri, apprendisti e allievi). Dal punto di vista operativo le discipline artistiche, praticate nei vari laboratori in cui si articola la Scuola, concorrono, senza alcuna eccezione e nella citata forma anonima e collettiva, a creare un prodotto artistico organico e unitario, una “opera d’arte totale” che deve rispondere all’indirizzo dato dal maestro architetto (lo stesso Polvara), cui spettano devozione, rispetto e obbedienza. Alla progettazione architettonica viene dunque assegnata grande importanza e ciò comporta che le opere meglio rappresentative della Scuola Beato Angelico siano quegli edifici sacri interamente realizzati con l’intervento dei suoi laboratori per tutte o quasi le decorazioni, gli arredi, le suppellettili e i paramenti (come le chiese milanesi di S. Maria Beltrade, S. Vito al Giambellino, SS. MM. Nabore e Felice, o la chiesa di S. Eusebio ad Agrate Brianza e la cappella dell’Istituto religioso delle figlie di S. Eusebio a Vercelli). Quanto ai linguaggi espressivi impiegati dalla Scuola (il cosiddetto “stile”) si evidenziano la preferenza per il moderno razionalismo architettonico – un tema di stringente attualità, cui Polvara non mancò di dare il suo personale contributo teorico e pratico – e quella per il divisionismo in pittura, debitrice dell’antica ammirazione per l’opera di Gaetano Previati. Dall’interazione di queste due forme si origina un riconoscibile linguaggio, moderno e spirituale al tempo stesso, verificabile negli edifici come nelle singole opere, frutto di una profonda sensibilità che combina il ponderato recupero di alcune forme del passato (ad esempio l’iconografia paleocristiana reimpiegata nei motivi decorativi dei paramenti o nella foggia di alcuni manufatti, dal calice al tabernacolo, alla pianeta-casula) con lo slancio per uno stile moderno e funzionale adeguato ai tempi ma rispettoso della tradizione.
In October 1921, the Beato Angelico Higher School of Christian Art was born in Milan. Responsible for the initiative: Don Giuseppe Polvara, the architect Angelo Banfi, the painter Vanni Rossi, flanked by the sculptor Franco Lombardi, by the priests Adriano and Domenico Bernareggi, by the engineer Giovanni Dedè, by professor Giovanni Mamone and by the lawyer Carlo Antonio Vianello . There were nine pupils in the first school year, two of whom (the architects Don Giacomo Bettoli and Fortunato De Angeli) destined to remain in the School for many years as teachers: this also happened with the painter Ernesto Bergagna, who enrolled the following year. Starting from that event, the Italian context of sacred art was able to count on an element of indisputable novelty, destined within a few years to a rapid, widespread and stubborn affirmation in the Peninsula. The foundation of the Beato Angelico School put a stop to the age-old debate on the general decline of sacred art that had been staged for a long time in Italy as well as in major European countries. The formula conceived by Don Polvara put his personal, artistic and professional experiences into a system with the knowledge of the international context, some exemplary models and the comparison with groups and individual figures (artists, critics, men of the Church) animated by the common desire to contribute to the rebirth of sacred art. One hundred years after its birth - and seventy after the death of its founder - the Beato Angelico School (with the workshops of Architecture, Cesello, Embroidery, Painting and Restoration) still continues in the task of serving the Church through the creation of distinctive sacred furnishings and vestments. from a particular care of the artistic and liturgical aspect, object of repeated attestations of merit and acknowledgments in the ecclesiastical sphere. What is missing from the appeal so far is an organic attempt to reconstruct the historical events that marked the genesis and developments of this singular artistic and religious reality. The purpose of this thesis is therefore the return of a profile as detailed and reasoned as possible of the history of the Beato Angelico School, such as to bring this story back to the center of a historical situation and a complex cultural context, through an original work perspective conducted on thread of clarifications and rediscoveries. Given the "pioneering" nature of this research, the vastness of the materials and sources available and the consequent need to assign a recognizable chronological cut to the work, it was decided to limit the survey to the decades between 1921 and 1950, or between the foundation of Beato Angelico and the death of Giuseppe Polvara. As will be seen, the initial term is in a certain sense anticipated by the need to better outline the background and context from which the School originates (between the end of the 19th and the first decades of the 20th century). The year assumed at the end of the research, on the other hand, seemed an almost obligatory choice, coinciding with the first change in the direction of Beato Angelico as well as the desire to exclude from the discussion what started in the 1950s and 1960s, that is a new and different season in the field of sacred art (destined, among other things, to pass through the junction represented by the Second Vatican Council and by the action of St. Paul VI), which is however much investigated by historical-artistic studies. What made the drafting of this thesis possible is the fact that it relies, in large part, on unpublished archival materials or, at least, never examined before in a structured way. Access to the most historicized archive materials and their consultation (thanks to the availability shown by the direction of the Beato Angelico School) have decisively conditioned the discussion of the topics, the reconstruction of which, in some cases, is supported exclusively by documents found. The birth of the Beato Angelico School was not an isolated event in the panorama of European artistic production of the time nor an episode unrelated to what was being debated in the ecclesiastical world at the same time. The Polvara School was born in an era marked by great ecclesial ferment: think of the Ateliers d'Art Sacré founded by Maurice Denis and George Desvallières in Paris in 1919, only two years before the Milanese School, whose adherents - all lay people - they professed an intense and devoted religiosity. But, above all, the decisive and best known model by Polvara was the Beuron School (Beuroner Kunstschule), born in the homonymous German Benedictine abbey in the last quarter of the nineteenth century by father Desiderius Lenz and on whose example workshops specialized in the production of sacred art (furnishings and vestments for liturgical use) in many Benedictine communities in central Europe. Polvara's affinity with Benedictine spirituality is a key element of the School he founded: in fact, the (analogous) concept of "represented prayer" (orando labora) derived from the rule of the ora et labora. The very organization of the School, set up as in an ideal medieval workshop where teachers, apprentices and pupils collaborate and coexist, takes up the monastic lifestyle of the Benedictine monasteries. Precisely in order to preserve the character of the medieval workshop as much as possible, the number of students admitted to the School was never too high, so as to maintain an adequate and effective numerical ratio between disciples and masters. Again, from Beuron Fra Angelico drew the particular and unmistakable graphic form of the letter "e", recognizable in the numerous and long epigraphs present in many of his works. The last element in common between the Milanese and the German schools - but which can be attributed to the more general fascination for the medieval era - is the unity of purpose that must animate all the workers involved in creating a collective and anonymous work ad maiorem. Dei gloriam, where the contribution of the single author remains deliberately hidden in favor of the name of the School. What still differentiates the School from similar centers of production of sacred art is the fact that it rests its foundations on a religious congregation, the Beato Angelico Family, an idea long cultivated by Polvara and officially approved by the diocesan authority between the thirties and forties. From the common vocation to sacred artistic creation (the artist's "priestly mission") descend the practice of community life, the participation in the sacraments and the various daily moments of prayer by master priests, brothers and sisters artists, apprentices, pupils and pupils . The spiritual direction traced by the founder for his family still acts today as a guarantee of a strenuous fidelity in the continuity of a unique artistic and liturgical project, put into practice by a community of men and women linked together by the canonical vows of poverty, chastity. and obedience but above all from a common and higher intent. Precisely to ensure a prospect of survival and future development of his creature, Polvara always had a clear need to keep the training aspect (and therefore the teaching for students, adolescents and young people) united with that of production (due to the work of collaboration between teachers, apprentices and students). From an operational point of view, the artistic disciplines, practiced in the various laboratories in which the School is divided, contribute, without any exception and in the aforementioned anonymous and collective form, to create an organic and unitary artistic product, a "total work of art" which must respond to the address given by the master architect (Polvara himself), to whom devotion, respect and obedience are due. The architectural design is therefore assigned great importance and this means that the best representative works of the Beato Angelico School are those sacred buildings entirely made with the intervention of its laboratories for all or almost all the decorations, furnishings, furnishings and Milanese churches of S. Maria Beltrade, S. Vito al Giambellino, S. MM. Nabore and Felice, or the church of S. Eusebio in Agrate Brianza and the chapel of the religious institute of the daughters of S. Eusebio in Vercelli). As for the expressive languages used by the School (the so-called "style"), the preference for modern architectural rationalism is highlighted - a topic of stringent topicality, to which Polvara did not fail to give his personal theoretical and practical contribution - and that for Divisionism in painting, indebted to the ancient admiration for the work of Gaetano Previati. The interaction of these two forms gives rise to a recognizable language, modern and spiritual at the same time, verifiable in the buildings as in the individual works, the result of a profound sensitivity that combines the thoughtful recovery of some forms of the past (for example early Christian iconography reused in the decorative motifs of the vestments or in the shape of some artifacts, from the chalice to the tabernacle, to the chasuble-chasuble) with the impetus for a modern and functional style appropriate to the times but respectful of tradition.
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VALENTE, LAURA. "GREGORIO NAZIANZENO Eij" ejpiskovpou" [carm. II,1,13. II,1,10] Introduzione, testo critico, commento e appendici". Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11393/251619.

Testo completo
Abstract (sommario):
Invitato a Costantinopoli da una delegazione nicena, che ne chiedeva l’intervento a sostegno della comunità ortodossa locale, Gregorio di Nazianzo accantonò il desiderio di dedicarsi alla vita contemplativa e si recò nella Neja ÔRwvmh: non poteva certo immaginare che negli anni trascorsi nella capitale (dagli inizi del 379 al luglio del 381) avrebbe conosciuto, a distanza di breve tempo, l’apice e il fallimento della sua attività politico-ecclestiastica. Alla guida di un piccolo gruppo di fedeli, radunati in una sala udienze privata ribattezzata Anastasia, Gregorio esercitò con impegno i suoi doveri pastorali, spendendosi soprattutto nella lotta dottrinale contro l’eresia ariana. L’elezione come vescovo della città, avvenuta per volere dell’imperatore Teodosio, rappresentò il riconoscimento dei meriti del Cappadoce nella restaurazione e nel consolidamento dell’ortodossia nicena, ma, allo stesso tempo, aprì la strada a una stagione tutt’altro che scevra di asprezze, destinata a lasciare amari ricordi nel cuore dell’autore. Chiamato a presiedere il concilio episcopale del 381, indetto con l’obiettivo di risolvere lo scisma antiocheno e condannare le eresie del tempo, il Nazianzeno sperimentò sulla propria i conflitti interni ed i giochi di potere cui si era ridotto l’episcopato. Alla malattia, che debilitò il fisico dell’autore e ne ostacolò la partecipazione a svariate attività pubbliche, si aggiunse l’ostilità dei colleghi, in particolare di alcuni vescovi egiziani, che contestarono la legittimità della sua elezione sul seggio di Costantinopoli, in quanto già vescovo nella sede di Sasima. Stanco e malato, amareggiato dai continui scontri e dall’ennesimo attacco subito dagli avversari, Gregorio decise di farsi da parte e, rassegnate le dimissioni dalla cattedra episcopale, lasciò Costantinopoli, senza neppure aspettare la conclusione del sinodo. Nella natia Cappadocia, lontano fisicamente dal clima tumultuoso e dai dispiaceri della capitale, ma turbato dalle calunnie e dalle ingiustizie subite da coloro che riteneva amici, il Nazianzeno sfogò le proprie delusioni nella scrittura poetica. All’esperienza costantinopolitana e in particolare al contesto delle dimissioni dalla cattedra vescovile fanno riferimento i carmi oggetto di questa tesi di dottorato: II,1,10 (Ai sacerdoti di Costantinopoli e alla città stessa) e II,1,13 (Ai vescovi), rispettivamente di 18 distici elegiaci e 217 esametri. In essi si intrecciano più suggestioni: la meditazione e il riecheggiamento interiore degli eventi che hanno coinvolto l’autore, la difesa del suo operato, ma soprattutto la violenta invettiva contro i vescovi, scaturita non solo dal risentimento per le vicende personali, ma dallo sdegno dell’autore per la corruzione morale e l’impreparazione della gerarchia ecclesiastica. La tesi di dottorato si apre con una bibliografia ricca e aggiornata degli studi concernenti il Cappadoce; in essa sono indicati i diversi contributi, cui si fa riferimento nel mio lavoro. Segue un’ampia introduzione che presenta i carmi sotto molteplici aspetti. Dal momento che l’invettiva contro i vescovi costituisce l’argomento principale di entrambi i componimenti, ho approfondito innanzitutto questo aspetto, ripercorrendone le testimonianze nell’esperienza biografica e nell’opera letteraria dell’autore: da quanto emerso, la polemica contro la gerarchia ecclesiastica raggiunge certamente il suo apice negli eventi costantinopolitani, ma non va ad essi circoscritta, dal momento che se ne ha traccia anche negli scritti gregoriani riconducibili ai primi anni del sacerdozio e al periodo successivo al ritorno a Nazianzo. Si è cercato poi di stabilire la data di composizione dei carmi in analisi, che, dati i contenuti, furono sicuramente scritti dall’autore nel periodo di ritorno in patria, fase in cui gli studiosi collocano buona parte della produzione poetica del Cappadoce. Più precisamente ho individuato il terminus post quem nel luglio del 381, mese in cui la cattedra costantinopolitana lasciata vacante dal Nazianzeno fu affidata a Nettario: in entrambi i testi, infatti, si fa riferimento a questo personaggio, sebbene non sia menzionato esplicitamente. Segue un’analisi dettagliata della struttura compositiva e delle tematiche dei carmi, nella quale si mostra come, pur nella loro diversità, le due poesie presentino moltissime consonanze e parallelismi a livello strutturale, in particolare nella parte incipitaria, in cui si registra la condivisione dello stesso verso iniziale, e nella sezione conclusiva. Sempre nell’introduzione è affrontato lo studio della tradizione manoscritta e dei rapporti tra i codici: i carmi in oggetto risultano attestati in 34 manoscritti (di cui 17 fondamentali per la costituzione del testo) databili dall’XI al XVI secolo e riconducibili alle raccolte antiche Σ e Δ, nei quali sono traditi sempre uno di seguito all’altro: nello specifico II,1,13 precede immediatamente II,1,10. La parte centrale della tesi è costituita dal testo critico di ciascun carme, seguito da traduzione e commento. La tesi costituisce il primo lavoro di questo tipo per il carme II,1,13; II,1,10 è stato invece oggetto di studio di due recenti edizioni: quella dei primi undici poemata de seipso del Nazianzeno curata da Tuilier - Bady - Bernardi per LesBL ed edita nel 2004 e un’edizione commentata di Simelidis, pubblicata nel 2009. Suddetti lavori non hanno rappresentato un ostacolo al progetto. Nessuno di essi infatti ha previsto lo studio simultaneo dei due testi poetici, che, a mio giudizio, non possono essere compresi a fondo se svincolati l’uno dall’altro; non sono risultati immuni da pecche sotto il profilo della critica testuale; il commento è assente nell’edizione francese, scarno e non sempre condivisibile in quella del Simelidis. La tesi è infine corredata da tre appendici che permettono di seguire la fortuna dei componimenti poetici. La prima di esse è dedicata al Commentario di Cosma di Gerusalemme ai Carmi del Nazianzeno, collocato tra la fine del VII e inizio l’VIII secolo. Il commentario, tradito da un unico manoscritto, il Vaticanus graecus 1260 del XII secolo, ha visto la sua editio princeps nel 1839 a cura del cardinale Angelo Mai nel secondo volume del suo Spicilegium Romanum, ristampata con lievi modifiche nel volume 38 della Patrologia Graeca. Una più recente edizione è stata curata da Lozza nel 2000. Nell’opera di Cosma vengono analizzati trentaquattro versi di carme II,1,13 e due di carme II,1,10; l’ampiezza delle citazioni va da un minimo di un verso a un massimo di 5. Segue un’appendice dedicata alle parafrasi bizantine, che in alcuni manoscritti contenenti i carmi, accompagnano il testo poetico. Tali spiegazioni in prosa, composte in un momento non precisabile della trasmissione dell’opera gregoriana, sono anonime, di diverso livello letterario e da intendere come un testo in continua evoluzione, oggetto di modifiche da parte di ciascun copista. Nel caso dei testi in oggetto le parafrasi trasmesse sono tre, chiamate, sulla scia di studi precedenti, Paraphr. 1, Paraphr. 2, Paraphr. 3 e delle quali la tesi fornisce l’editio princeps. L’ultima appendice è costituita dalla traduzione latina dei carmi di Giacomo Oliva da Cremona, redatta nella seconda metà del XVI secolo per incarico del Cardinal Guglielmo Sirleto e testimonianza del grande interesse per il Cappadoce in questo periodo storico. Il lavoro dell’Oliva, rimasta inedito per la morte del committente e probabilmente anche per il suo scarso valore letterario, è trasmesso da due manoscritti autografi, il Vaticanus Barberinianus lat. 636 (B) e il Vaticanus lat. 6170 (V) e trova nella tesi la sua editio princeps.
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Libri sul tema "Gruppo Amici della Musica"

1

Mainardi, Matteo. Achille Cattaneo e i concerti nella Varese fascista: " ... e così si scrive la storia". Varese (Italy): Zecchini editore, 2015.

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2

Albani, Emiliano. Musica ad litteras: Lettermusica. Arquata del Tronto, [Ascoli Piceno]: Museo d'arte immanente, 1998.

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3

Müller, Johannes U. L' Associazione "Amici della musica" e l'origine delle istituzioni musicali fiorentine. [Fiesole?]: Cadmo, 2003.

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4

Isotta, Paolo. La virtù dell'elefante: La musica, i libri, gli amici e San Gennaro. Venezia: Marsilio, 2014.

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5

Bertoglio, Chiara. Voi suonate, amici cari: La musica di Mozart fra palcoscenico e tastiera. Torino: M. Valerio, 2005.

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6

Heine, E. W. Chi ha ucciso Mozart?: Chi a decapitato Haydn? Delitti per amici della musica. Roma-Napoli: Edizioni Theoria, 1989.

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7

Dessì, Giuseppe, e Mario Pinna. Tre amici tra la Sardegna e Ferrara. A cura di Costanza Chimirri. Florence: Firenze University Press, 2013. http://dx.doi.org/10.36253/978-88-6655-478-3.

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Abstract (sommario):
Una Sardegna riservata e lontana anima i testi di questo doppio carteggio, tra paesaggi arcaici e mitologie personali e letterarie nelle quali si inserisce ogni tanto la Ferrara degli anni giovanili degli autori, ricca di vita, di riviste («Primato» di Bottai, il «Corriere Padano» con la presenza di Bassani…), incontri serali nelle osterie o nelle camere in affitto, passeggiate lungo i Rampari, e l’uso di scherzosi soprannomi che sarebbe continuato oltre la giovinezza. Un mondo fatto di cose concrete, animato e vivificato da forti curiosità e passioni intellettuali, emerge dalle lettere, accuratamente trascritte e annotate da Costanza Chimirri, che ricostruiscono la vita e la storia di Giuseppe Dessí, Mario Pinna, Claudio Varese. La corrispondenza si apre con gli anni trascorsi a Ferrara – dopo Pisa momento cruciale per la loro formazione – e consente di ricostruire atmosfere ed ambienti, letture e lavoro, offrendo dall’interno un significativo spaccato dell’Italia del Novecento. Mai slegati tra loro, bensì uniti dal continuo richiamo alla triplice amicizia nel nome di Giuseppe Dessí, che è sempre presente, anche in assenza, nei discorsi degli altri, i carteggi hanno consentito anche di riportare alle luce testi inediti del più appartato del gruppo (Mario Pinna, accanito lettore di classici, ispanista, autore di poesie in dialetto logudorese e di brevi racconti ambientati in Sardegna), di rafforzare il ruolo da sempre ricoperto dal più ‘antico’ – per tutti maître-camarade – Claudio Varese; e di confermare ancora una volta quanto l’universo creativo di Dessí, profondamente segnato dalla componente biografica, abbia continuato a svilupparsi e alimentarsi sotto lo sguardo sapiente e affettuoso di amici fraterni, in uno scambio capace di dare vita a un vero e proprio immaginario collettivo.
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Pequeno, Guè, a cura di. La legge del cane. 2a ed. Torino: Add, 2010.

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Rupi, Jolanda. Sfogliando, sfogliando--: I programmi del Concorso polifonico nazionale e internazionale Guido d'Arezzo. Cortona (Arezzo): Calosci, 1997.

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10

Inchingolo, Ruggiero. Luigi Stifani e la pizzica tarantata: Studi sugli strumenti musicali, sulla musica numerica e sulle musiche eseguite dal gruppo di Luigi Stifani durante le cure rituali del morso della mitica taranta. Nardò (Lecce): Besa, 2003.

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Capitoli di libri sul tema "Gruppo Amici della Musica"

1

Forgetta, Emanuela. "2 • Natalia Ginzburg". In La città e la casa Spazi urbani e domestici in Maria Aurèlia Capmany, Natalia Ginzburg, Elsa Morante e Mercè Rodoreda. Venice: Fondazione Università Ca’ Foscari, 2022. http://dx.doi.org/10.30687/978-88-6969-586-5/003.

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Abstract (sommario):
Il secondo capitolo è dedicato a Natalia Ginzburg. Il primo paragrafo parla di Delia, una ragazza testarda che tenta, non riuscendovi, la fortuna in città. Il secondo paragrafo del capitolo è dedicato invece a Roma e a Princeton che emergono nello spazio attraverso un fascio di lettere; quelle che un gruppo di amici si scambia stabilendo diversi assi di connessione. In chiusura di capitolo troviamo altre due città, Roma e Bruges, che incarnano una medesima simbologia, quella della morte.
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