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1

Ribeiro, Luiz Gustavo Gonçalves, et Romeu Thomé. « LA PROTEZIONE PENALE DELL’AMBIENTE COME DIRITTO UMANO COSTITUZIONALE ». Veredas do Direito : Direito Ambiental e Desenvolvimento Sustentável 14, no 28 (7 juin 2017) : 33–71. http://dx.doi.org/10.18623/rvd.v14i28.1014.

Texte intégral
Résumé :
L’ambiente, oggi consacrato dottrinalmente come diritto umano di terza generazione e contemplato con disposizioni costituzionali che lo innalzano alla condizione di diritto fondamentale nell’ambito di diversi Paesi, è bene giuridico atto a essere effettivamente tutelato dal diritto penale che, tuttavia, richiede modificazioni nella sua dogmatica individualista secolare per la difesa di un diritto che è, allo stesso tempo, individuale e diffuso. Il testo contempla, sotto il ragionamento logico-deduttivo e con ricerca bibliografica, la garanzia dell’ambiente dal diritto penale e presenta proposte per la migliore tutela ambientale, esse corrispondendo, oltre alla predisposizione di norme penali più adeguate, alla creazione di un Tribunale Internazionale competente per le richieste penali legate all’ambiente e all’ammissione della responsabilità penale delle persone giuridiche. Si riconosce, nell’ambiente, una reale garanzia di tipo costituzionale, non soltanto diffusa, ma anche individuale, giacché direttamente legata alla qualità di vita dei singoli esseri e che ha avviato, negli ultimi decenni, la consacrazione di documenti internazionali e costituzionali di effettiva tutela.
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2

Macri, Francesco. « VIOLENZA DOMESTICA E MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA : l’art. 572 del codice penale ». Revista Direitos Sociais e Políticas Públicas (UNIFAFIBE) 9, no 1 (2 avril 2021) : 888. http://dx.doi.org/10.25245/rdspp.v9i1.884.

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Résumé :
In questa sede, si analizzerà la fattispecie dell'art. 572 c.p. da una prospettiva “integrata”, inquadrandola come parte di un apparato di tutela penale nei confronti della violenza sessuale, fisica e psicologica nei confronti delle donne. Si conclude che la figura criminosa summenzionata è reato abituale proprio ed ha il dolo generico come elemento soggettivo. Vi sono problemi di concorso (reale o apparente) di reati con quelli di lesioni personali (art. 582 e – per quelle gravi e gravissime – 583 c.p.), e di atti persecutori (art. 612-bis), con il quale si individuano controversie di rilievo. I livelli sanzionatori prevedibili indicano la possibilità, per gli autori, di beneficiare frequentemente della sospensione condizionale della pena, o dell'affidamento in prova ai servizi sociali. Ciò si traduce in un apparato di tutela penale non sempre perfettamente coerente e, soprattutto, efficace.
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3

Viglianisi Ferraro, Angelo. « L’art. 1 del Primo Protocollo alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e la sua “turbolenta” applicazione in Italia ». Revista Justiça do Direito 34, no 1 (30 avril 2020) : 106–30. http://dx.doi.org/10.5335/rjd.v34i1.11067.

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L’articolo si concentra sulla tutela in Italia del diritto di proprietà, sancito nell’art. 1 del Primo Protocollo Addizionale alla Convenzione europea per la protezione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) e reso effettivo dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (che ha il potere di ritenere gli Stati responsabili di un mancato rispetto dei diritti contenuti nella Convenzione). L’Italia è stata più volte condannata dalla Corte di Strasburgo per le continue violazioni dell’art. 1 del Primo Protocollo Addizionale alla Convenzione europea. Al fine di garantire una reale efficacia del sistema CEDU, è necessario rafforzare e rendere effettiva a livello nazionale l’applicazione dei diritti proclamati nella Convenzione.
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4

Seveso, Laura. « L'affido familiare come strumento di buon trattamento ». MALTRATTAMENTO E ABUSO ALL'INFANZIA, no 3 (décembre 2010) : 57–75. http://dx.doi.org/10.3280/mal2010-003004.

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Résumé :
Premessa una breve analisi della normativa vigente in materia di affido e di alcuni dati statistici, nell'articolo si vuole evidenziare la necessitŕ, affinché detto intervento possa avere un'efficacia effettiva anche dal punto di vista riparativo sul bambino vittima di maltrattamento, che l'affido sia preceduto dalla formulazione di un progetto che, tenuto conto della valutazione effettuata su minore e famiglia di origine, possa rappresentare la "sceneggiatura" sulla base della quale si potranno muovere in modo organico e integrato i diversi soggetti dell'affido. Si sottolinea, anche, l'importanza per l'effettivo funzionamento del progetto di una reale interazione tra i diversi soggetti istituzionali coinvolti nel progetto di affido, alla base della quale non puň che esservi una cultura comune in materia di tutela dell'infanzia, frutto di percorsi di formazione condivisi.
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5

Ansel, Dario. « Nazionalismo politico e nazionalismo sindacale nei Paesi Baschi, 1911-1936 ». ITALIA CONTEMPORANEA, no 264 (mars 2012) : 466–79. http://dx.doi.org/10.3280/ic2011-264008.

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Résumé :
Il saggio prende in esame il complesso rapporto fra il Partido nacionalista vasco (Pnv) e l'organizzazione sindacale di riferimento del movimento nazionalista in Euskadi, Solidaridad de obreros vascos (Sov), dal 1933 Solidaridad de trabajadores vascos (Stv). Sulla base dell'esame di fonti a stampa e fonti archivistiche, l'autore pone una serie di interrogativi volti a indagare la reale natura delle relazioni fra nazionalismo politico e nazionalismo sindacale dal 1911, anno della fondazione di Sov, sino allo scoppio della guerra civile, nel 1936. La tesi di fondo č che, nonostante la stretta dipendenza che caratterizzň la relazione partito-sindacato durante gli anni dieci, a partire dai primi anni venti e in particolare durante la Seconda Repubblica (1931- 1936), l'organizzazione operaia nazionalista si affrancň progressivamente dalla tradizionale tutela esercitata dal Pnv. Nel corso degli anni trenta, Sov-Stv si trasformň in un moderno sindacato di massa e fu interessata da un intenso processo di radicalizzazione classista che contribuě alla definizione di un'identitŕ sindacale e politica autonoma.
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Fravolini, G., A. Mencarelli et E. Mazzeo. « L'eutanasia in Olanda : risposta legislativa ad una prassi iniqua ». Medicina e Morale 43, no 6 (31 décembre 1994) : 1093–106. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1994.999.

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Résumé :
L'articolo prende in esame la situazione normativa sull'eutanasia in Olanda, cercando di sottolineare il significato e la reale portata della innovazione legislativa al fine di contenere le errate interpretazioni secondo le quali sarebbe stata legalizzata l'eutanasia in tale Paese. Considerando, infatti, che in Olanda a partire dal gennaio 1994, l'eutanasia è stata inclusa fra le cause di morte che debbono essere espressamente specificate dal medico al momento del decesso del paziente, sono stati analizzati i tempi e i modi in cui la pratica dell'eutanasia può essere messa in atto. Si sono quindi osservate le modalità secondo le quali la suddetta prassi diventerebbe ex-lege atto non perseguibile per il medico, presentando i requisiti di legittimità e parimenti le ipotesi in cui comunque il sanitario curante potrebbe incorrere in un procedimento penale dal momento che il reato di omicidio resta immodificato nel codice penale, essendone tal une evenienze scriminanti di punibilità. Gli Autori concludono, infine, che ad ogni modo una codificazione normativa in tale ambito ed in tal senso non può garantire la tutela dell'assistito né essere immune da rischi per chi la realizza e, pertanto, ne risulterebbe inopportuna l'ipotesi di attuazione nel nostro Paese.
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7

Carrieri, Mimmo, Giovanni Pino, Caterina Valeria Sgrò, Fabio Paolucci et Silvia Mancini. « Lo sciopero generale dopo la delibera n. 3/134 del 2003 ». GIORNALE DI DIRITTO DEL LAVORO E DI RELAZIONI INDUSTRIALI, no 174 (septembre 2022) : 275–93. http://dx.doi.org/10.3280/gdl2022-174005.

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Résumé :
L'articolo si propone di ricostruire il percorso attraverso il quale la Commissione di garanzia ha analizzato il fenomeno del cosiddetto sciopero "general", partendo dagli interrogativi ini-ziali che hanno condotto l'Autorità ad adottare la delibera n. 3/134, in un'ottica di contempe-ramento tra l'esigenza delle organizzazioni sindacali di proclamare una manifestazione di pro-testa che potesse coinvolgere tutti i settori pubblici e privati, come individuati dall'art. 1 della l. 146 del 1990 e s.m.i., con la necessità di salvaguardare le prestazioni indispensabili a tutela dei diritti dei cittadini utenti, di cui la legge stessa si fa analogamente garante. Tuttavia, il mutare del panorama sindacale e della natura stessa dello sciopero "generale", sempre meno utilizzato dalle Confederazioni, è divenuto strumento di pressione che, soprattutto nel corso degli ultimi anni, ha consentito a sigle sindacali di insediamento limitato di produrre un "effetto annuncio" il più delle volte inversamente proporzionale all'effettivo dato percentuale di adesione. L'intensificarsi di tale fenomeno ha indotto, dunque, la Commissione di garanzia ad un riesa-me delle regole esistenti all'esito del quale, pur nell'ambito nella disciplina di riferimento, è stato possibile individuare nuovi strumenti atti a consentire all'Autorità una "percezio-ne/misurazione" quanto più possibile corrispondente alla reale partecipazione dei lavoratori allo sciopero "generale".
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Di Pietro, Maria Luisa, et Maria Beatrice Fisso. « Donna e lavoro : considerazioni etico-giuridiche sulla prevenzione del rischio riproduttivo ». Medicina e Morale 44, no 3 (30 juin 1995) : 447–87. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1995.980.

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Résumé :
E' oramai noto che le attività lavorative possono influenzare, in modo diretto o indiretto, la salute: da questa consapevolezza ha avuto origine, nel tempo, una sempre maggiore attenzione nei confronti degli effetti nocivi di sostanze "sospette" in ambiente di lavoro. In questo articolo viene affrontato un aspetto particolare del rischio lavorativo, cioè il rischio a seguito dell'esposizione della donna a sostanze chimiche o ad agenti fisici o biologici che possono alterare la sua capacità riproduttiva o essere causa di gravi danni alla prole che è stata o verrà concepita. Dopo aver fatto distinzione tra rischio riproduttivo (la possibilità che una sostanza possa interferire con o impedire il concepimento) e rischio di sviluppo (la possibilità di produrre nel nascituro o successivamente nel nato fino alla pubertà anomalie strutturali, deficit funzionali o la morte), e aver analizzato il meccanismo di azione delle sostanze chimiche e degli agenti fisici e biologici più di frequente presenti in ambiente di lavoro, e precisato il momento di interferenza (la oogenesi, la gravidanza, l'allattamento), le Autrici individuano ed esaminano criticamente le possibili modalità di prevenzione del rischio riproduttivo e di sviluppo. Dall'individuazione delle situazioni a rischio alla messa a punto delle misure di controllo necessarie per ridurre o eliminare l'esposizione dei lavoratori, all'informazione dello stesso sull'esistenza e sull'entità del rischio: un'analisi che, in un'ottica personalistica, vorrebbe indicare - anche alla luce delle normative vigenti - nuove strade perché si possa attuare una reale tutela della lavoratrice e una vera politica di protezione fetale.
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Spagnolo, Spagnolo, N. Magnavita, A. R. Morgani, F. Tortoreto et E. Sgreccia. « Responsabilità etico-deontologiche del medico del lavoro di fronte all’infezione da HIV ». Medicina e Morale 46, no 4 (31 août 1997) : 665–88. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1997.870.

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Résumé :
Fra i problemi etico-sociali che l’infezione da HIV ha sollevato, quello delle ripercussioni in ambito lavorativo è certamente rilevante, sia per l’aumento della sieropositività fra la popolazione lavorativa sia per il possibile verificarsi di condotte discriminanti come l’ingiustificato rifiuto di un posto di lavoro o l’allontanamento da esso. Fra le molte responsabilità coinvolte e correlate fra loro, la riflessione e lo studio degli autori si incentrano su quella del medico del lavoro che, infatti, è chiamato a valutare situazioni delicate come la reale entità del rischio di infezione connesso con lo specifico lavorativo e con la presenza di lavoratori infetti, l’influenza negativa dell’ambiente lavorativo su tali lavoratori, la loro idoneità ai compiti lavorativi specifici. La funzione valutativa del medico del lavoro, dunque, esige competenza scientifico-professionale ma implica anche una dimensione di responsabilità etico-deontologica, strettamente connessa a particolari aspetti della infezione da HIV come quello della riservatezza, della discriminazione, della imposizione di procedure non scientificamente fondate, dell’attività di prevenzione e di formazione. Dopo un’analisi della normativa italiana ed auropea a riguardo, gli autori descrivono un’indagine conoscitiva svolta fra i medici del lavoro della regione Lazio, invitati a fornire le proprie opinioni circa alcuni aspetti cruciali dell’infezione da HIV, tramite un questionario di quindici domande. Dalla calutazione e dalla discussione dei dati emersi da tale indagine scaturiscono necessarie considerazioni che in conclusione portano gli autori a delineare gli obiettivi prioritari da perseguire in materia di infezione da HIVnell’ambiente di lavoro: 1) tutela dei diritti dei soggetti colpiti dall’infezione; 2) informazione e formazione dei lavoratori; 3) salubrità dell’ambiente di lavoro.
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Giacobello, Maria Laura. « Il paradigma dell’ecologia integrale e i fondamenti epistemologici della bioetica globale di Van Potter ». Medicina e Morale 70, no 4 (21 décembre 2021) : 433–45. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2021.950.

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Résumé :
L’ambiente è oggi gravemente ferito dalla crisi epocale in atto: tra le voci che si levano a tutela della Casa Comune emerge quella della Chiesa, attraverso lo sguardo di Papa Francesco che, con l’espressione ‘ecologia integrale’, fa esplicito riferimento alla consapevolezza che nella realtà tutto è connesso. A partire dall’urlo di ribellione della natura, l’ecologia integrale si assume, dunque, l’onere di promuovere un’istanza di rinnovamento radicale, che possa investire le categorie etiche ordinarie, fino a estendersi a quelle antropologiche e gnoseologiche poste alla base della prevalente cultura occidentale, fondata sul paradigma meccanicistico. Nell’ampia cornice di un ripensamento dei tradizionali confini dell’etica, l’ecologia integrale può rappresentare un paradigma culturale alternativo, reale espressione dello spirito del tempo. A tal proposito, si rivela particolarmente interessante e proficuo avviare una riflessione sulla straordinaria convergenza fra la prospettiva dell’ecologia integrale e quella della bioetica globale di Van Potter: già negli anni Settanta del Novecento, infatti, lo scienziato americano gettava i fondamenti epistemologici per una diversa visione etica. L’idea di un approccio sistemico volto a valorizzare la relazione delle singole parti tra di loro e col tutto, sia pure generata da presupposti evidentemente diversi, accomuna inequivocabilmente le due prospettive. E, in verità, la riflessione di Potter prende le mosse dalla stessa consapevolezza situata alla base dell’ecologia integrale, quella del profondo radicamento dell’uomo nell’ecosistema: mediante l’assunzione di una visione sistemica, che passa attraverso l’articolazione del concetto di biocibernetica, lo scienziato offre una valida rappresentazione del carattere interattivo dell’organizzazione strutturale che presiede al funzionamento dell’ambiente naturale.
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Silva, José Wellington Parente, et Rogério Portanova. « O DIREITO COMO LIMITADOR DO PODER DO ESTADO ». Revista Brasileira de Tecnologias Sociais 4, no 2 (16 avril 2018) : 103. http://dx.doi.org/10.14210/rbts.v4n2.p103-116.

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A presente pesquisa teve como objeto o estudo do Direito como um dos principais fatores limitadores do poder do Estado, uma vez que os seres humanos precisavam de normas que disciplinassem suas condutas. Assim, sentiu-se a necessidade de analisar como a civilização antiga se organizou para o surgimento do Estado. Dessa maneira, vários autores buscaram criar teorias para explicar quando e como os homens criaram a figura estatal. Desde uma concepção de contrato social até uma teoria mais moderna de sua gênese. Da mesma maneira, procurou-se entender os direitos que o Estado tutela diante das ações individuais, uma vez que ele busca disciplinar as ações humanas e essas ações são reflexos dos poderes que o possui, por não se possuir um poder absoluto, uma vez que os entes, quando possuem vários poderes, tendem a abusar desses poderes. Por esse motivo, o direito entra em cena para tentar limitar o poder absoluto do ente estatal, pois como se sabe, esse poder é representado por pessoas e possuem uma carga enorme de opiniões e subjetivismo. Assim, é por meio do Direito que se restringe o direito do estado diante da coletividade. Dessa maneira, para que se conseguisse uma reafirmação da ideia ora lançada, houve consulta a Kelsen (1999), a Reale (2001), a Dallari (2012), a Mendes (2009), entre outros, para que, a partir dos pensamentos desses autores renomados no assunto, se pudesse entender a melhor aplicabilidade das normas jurídicas na sociedade, assim como se buscar o respeito social por meio do poder do Estado, que disciplina os seres humanos e respeita os direitos individuais, coletivos e sociais.
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Porena, Massimo. « Urologia funzionale : Nuove acquisizioni scientifiche al servizio della clinica ». Urologia Journal 79, no 1 (janvier 2012) : 5. http://dx.doi.org/10.1177/039156031207900101.

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Résumé :
Questo seminar monografico di Urologia, dedicato all'urologia funzionale del basso tratto urinario, ospita quattro articoli che aprono a nuove prospettive sulla comprensione della fisiopatologia dei LUTS e del loro trattamento, alla luce delle recenti acquisizioni neurofisiologiche, di imaging e di biologia molecolari. Il progressivo allungarsi della vita media registratosi nell'ultima metà del secolo è destinato a diventare un fenomeno caratteristico della nostra epoca, portando all'attenzione dell'urologo nuovi contesti precedentemente considerati di scarso rilievo. L'intera comunità scientifica, e la comunità urologica nello specifico, appare oggi unanime nel considerare necessario incrementare i propri sforzi verso un costante supporto verso la qualità di vita. Questa volontà è particolarmente evidente per quelle patologie, come i disturbi del baso tratto urinario, che non minacciano direttamente la quantità di vista del singolo soggetto, ma minano profondamente la sua realizzazione individuale e sociale determinando profonde alterazioni qualitative. Succede così che dopo aver saputo opporsi con efficacia e prontezza inaspettate all'attacco di patologie infettive e neoplastiche, l'urologo si confronta oggi con altre sfide. I quattro lavori presentati in questo volume testimoniano l'impegno e il contributo dell'urologia funzionale italiana che con instancabile dedizione alla causa della salute dei propri pazienti, verso le patologie funzionali del basso tratto urinario. La comprensione che l'urotelio, in passato considerato alla stregua di una semplice barriera fisica, che separava le urine dal corpo, partecipi alla regolazione neurologica periferica del riflesso minzionale, che cellule epiteliali assumano la capacità di svolgere un ruolo sensorio afferenziale e che da questo ne derivi una nuova prospettiva terapeutica, rappresentano i principali avanzamenti nella gestione del paziente con vescica neurologica. Se in passato la correzione anatomia del difetto/descensus degli organi pelvici costituiva la prima ed unica soluzione, oggi siamo consapevoli che la correzione anatomica è un momento chirurgico che deve guardare ed ottenere un miglioramento dei sintomi. I quattro lavori, scritti da autori il cui valore è riconosciuto a livello nazionale ed internazionale, ci fanno comprendere come l'aumento dei valori relativi agli anni di vita media nei paesi più industrializzati sia un bene incompleto se non è accompagnato da un miglioramento della qualità di vita stessa delle persone. Come urologi, abbiamo motivi di ritenere — certo ognuno potrà considerare dentro di sé quanto tutto ciò sia reale — che la tutela della qualità di vita rappresenti il problema di primaria ed imprescindibile importanza in ogni nostro reparto ed è per questo che siamo orgogliosi di ospitare su Urologia un contributo clinico-scientifico in tal senso.
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FEIJOO, Ana Maria Lopez Calvo de, et Myriam Moreira PROTASIO. « Os desafios da clínica psicológica : tutela e escolha ». PHENOMENOLOGICAL STUDIES - Revista da Abordagem Gestáltica 16, no 2 (2010) : 167–72. http://dx.doi.org/10.18065/rag.2010v16n2.5.

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Many approaches may be used for basis of psychological practice. Stemming from the philosophies of Kierkegaard and Heidegger, the phenomenological-existential perspective can establish its position in the fact that the clinic exists in the realm of self-conquest. Our intention in this article is to examine Kierkegaard’s position related to how science, knowledge of life and self-help prescribe what a man should do to avoid boredom, repetitiveness and idleness. In Heidegger, we discuss the affective tonality of anguish and boredom, emphasizing that before we attempt to amuse ourselves, in order to avoid confronting the aforementioned states of mind, it is necessary to be aware of such states, as they open the possibility of a break from the phatic sedentary realm, which leads us to believe that with science, the knowledge of life and self-help we can transform the contingencies according to the sovereignty of will.
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Rodriguez Vallejos, Jose Luis. « EL EJERCICIO ABUSIVO DE DERECHO DEL ACREEDOR Y SU INCIDENCIA EN EL PROCESO DE EJECUCIÓN DE GARANTÍAS ». IUS : Revista de investigación de la Facultad de Derecho 9, no 1 (29 juillet 2020) : 101–22. http://dx.doi.org/10.35383/ius-usat.v9i1.329.

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La presente investigación tiene como finalidad realizar una adecuada interpretación del artículo 690-D del Código Procesal Civil, a efectos de incluir el abuso de derecho como sustento de contradicción de los procesos de ejecución de garantías reales, otorgándose así una adecuada tutela jurisdiccional al ejecutado, y generándose un criterio judicial sistemático para su identificación y posterior sanción.
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Bartoli, Roberto. « Il diritto penale dell'immigrazione : strumento di tutela dei flussi immigratori o mezzo di esclusione e indebolimento dello straniero ? » QUESTIONE GIUSTIZIA, no 2 (juin 2011) : 17–32. http://dx.doi.org/10.3280/qg2011-002003.

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1. Quale l'atteggiamento del giurista davanti a un diritto "punitivo" sempre piů illiberale? / 2. Dal diritto "punitivo" dell'annientamento e del nemico al diritto "punitivo" dell'esclusione e dell'indebolimento / 3. I caratteri strutturali del diritto "punitivo" dell'esclusione e dell'indebolimento / 4. Il rapporto tra scienza penalistica e diritto dell'immigrazione e la difficoltŕ ad affrontare i "reali" problemi di garanzia (4.1. I problemi di legittimitŕ costituzionale posti dal diritto "punitivo" dell'esclusione / 4.2. I problemi di legittimitŕ costituzionale posti dal diritto "punitivo" dell'indebolimento) / 5. I mezzi di tutela: tra giudici dei diritti e giudice delle leggi.
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Iglesias Campos, Manuel Ángel, M. Núria Avecilla Palau et Marta Llach Berné. « Conservación y mantenimiento del patrimonio inmueble : la Cruz de Término de El Masnou ». Ge-conservacion 7 (15 juin 2015) : 24–36. http://dx.doi.org/10.37558/gec.v7i0.249.

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La conservación y el mantenimiento del patrimonio inmueble tiene un coste económico que debe ajustarse a los presupuestos de las instituciones responsables de su tutela, y aún más en la actualidad. Adaptar los estudios a las necesidades reales de la intervención y obtener información suficiente para el seguimiento posterior es de vital importancia y permite actuar según los criterios establecidos. En este trabajo se expone un ejemplo de colaboración entre instituciones en el que se adecuaron los medios técnicos y los recursos disponibles para plantear la intervención y establecer un protocolo detallado de seguimiento. Sistematizando las necesidades reales, a partir de los primeros análisis visuales, se realizó un estudio previo sencillo que facilitó información esencial para efectuar los trabajos y proponer unos controles periódicos. Tras más de un año del inicio del proyecto, la racionalización de los objetivos y la colaboración y el compromiso entre las instituciones y las personas implicadas, han permitido alcanzar los propósitos programados.
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Escudero Soliz, Jhoel. « La legitimación activa “popular” y la tutela efectiva en la acción de inconstitucionalidad en Ecuador ». Jurídicas 18, no 1 (1 janvier 2021) : 56–73. http://dx.doi.org/10.17151/jurid.2021.18.1.4.

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Résumé :
El artículo analiza la legitimación activa y la tutela judicial efectiva de la acción pública de inconstitucionalidad en Ecuador. El estudio demostró que la ciudadanía y los colectivos no tenían posibilidades reales para que sus demandas de inconstitucionalidad sean aceptadas por la Corte Constitucional. A partir de los métodos cuantitativos y cualitativos, se examinaron las demandas presentadas y las sentencias expedidas entre 2008 y 2018; información que permitió revisar los desarrollos jurisprudenciales de acción popular concebida como amplia y sin restricciones. Al contrastar los datos con los contenidos de la jurisprudencia, los resultados fueron incompatibles, los ciudadanos no lograron efectivizar el control constitucional en favor de sus derechos a pesar de que las sentencias hacen alusión a lo popular de la acción. De otro lado, se verificó que las acciones presentadas por las empresas y el Estado sí fueron efectivas, resultando favorables a sus intereses económicos y potestades públicas.
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Escudero Soliz, Jhoel. « La legitimación activa “popular” y la tutela efectiva en la acción de inconstitucionalidad en Ecuador ». Jurídicas 18, no 1 (1 janvier 2021) : 56–73. http://dx.doi.org/10.17151/jurid.2021.18.1.4.

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El artículo analiza la legitimación activa y la tutela judicial efectiva de la acción pública de inconstitucionalidad en Ecuador. El estudio demostró que la ciudadanía y los colectivos no tenían posibilidades reales para que sus demandas de inconstitucionalidad sean aceptadas por la Corte Constitucional. A partir de los métodos cuantitativos y cualitativos, se examinaron las demandas presentadas y las sentencias expedidas entre 2008 y 2018; información que permitió revisar los desarrollos jurisprudenciales de acción popular concebida como amplia y sin restricciones. Al contrastar los datos con los contenidos de la jurisprudencia, los resultados fueron incompatibles, los ciudadanos no lograron efectivizar el control constitucional en favor de sus derechos a pesar de que las sentencias hacen alusión a lo popular de la acción. De otro lado, se verificó que las acciones presentadas por las empresas y el Estado sí fueron efectivas, resultando favorables a sus intereses económicos y potestades públicas.
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Ponce Correa, Patricio. « Afectación de la propiedad privada por la incautación de bienes y otras medidas cautelares reales en la jurisprudencia de la Corte Interamericana de Derechos Humanos ». Revista Derecho del Estado, no 47 (20 août 2020) : 287–317. http://dx.doi.org/10.18601/01229893.n47.09.

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El presente artículo trata acerca de la jurisprudencia de la Corte Interamericana de Derechos Humanos en materia de afectaciones al derecho de propiedad privada, derivadas de la actividad judicial interna de los Estados miembros, con ocasión de incautaciones de bienes y otras medidas cautelares reales. Con este propósito, el autor analiza las sentencias de fondo relativas a esta materia dictadas por la Corte en causas contenciosas desde el año 1993 en adelante, las que se presentan en forma cronológica y acompañadas de una revisión doctrinaria. El objetivo de este trabajo es determinar la visión de la Corte sobre los límites y condiciones a que debe sujetarse el ejercicio de la tutela cautelar estatal para no transgredir la garantía a la propiedad consagrada en la Convención Americana sobre Derechos Humanos.
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García Ramírez, Sergio. « Reconocimiento y tutela de derechos humanos. Pluralidad y diversidad en la sociedad democrática ». Boletín Mexicano de Derecho Comparado 1, no 160 (15 juin 2021) : 191. http://dx.doi.org/10.22201/iij.24484873e.2021.160.15974.

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Résumé :
En este artículo se subraya que el orden público nacional e internacional, sustentado en valores y principios acogidos en ambos planos de la normativa jurídica, entraña la vigencia del principio de igualdad entre todas las personas, que es garantía para los individuos y principio rector de la función del Estado. Sin perjuicio de este postulado, es preciso observar las diferencias reales que existen entre los individuos y los grupos en el seno de una misma sociedad nacional, y garantizar el respeto a esa diversidad, en varios ámbitos y con múltiples consecuencias. Esto entraña la existencia y aplicación de otro principio, que complementa al de igualdad: especificidad, que no significa, en modo alguno, discriminación. En la sociedad contemporánea hay múltiples factores de diversidad y pluralidad. De hecho, la sociedad democrática es una sociedad heterogénea, en la que florecen múltiples requerimientos, intereses, convicciones y opiniones. De todo ello deriva un derecho a la diversidad: la posibilidad de “ser diferente” y la consecuente facultad de existir y convivir dentro de la pluralidad social, fijando y alcanzando el destino particular libremente elegido. Asimismo, esta situación es el fundamento de los deberes específicos del Estado para el respeto y la garantía de los derechos individuales. El presente artículo revisa esta materia desde la perspectiva de la jurisprudencia de la Corte Interamericana de Derechos Humanos (Corte IDH). El tribunal regional ha adoptado criterios de gran importancia y trascendencia sobre esta materia, con sustento en buen número de instrumentos interamericanos, invocados en el artículo al que corresponde este resumen. Esos criterios figuran en un amplio conjunto de opiniones consultivas y sentencias emitidos por la Corte IDH. Las vertientes de la pluralidad y la especificidad que aquí se examinan están relacionadas con la situación de grupos (mujeres, indígenas, parejas, familias, por ejemplo) y con el ejercicio de derechos básicos (identidad, convicción, expresión, opción política, también, por ejemplo). Se pasa revista a los deberes del Estado garante y se pone énfasis en la aplicación de los derechos económicos, sociales, culturales y ambientales.
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Díaz Crego, María. « ¿Tomando la justicia cautelar en serio ? : Las medidas provisionales en la jurisprudencia del Tribunal Europeo de Derechos Humanos ». Teoría y Realidad Constitucional, no 42 (30 janvier 2019) : 425. http://dx.doi.org/10.5944/trc.42.2018.23631.

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Résumé :
La justicia cautelar debe permitir a todo tribunal garantizar de forma provisional los derechos de las partes, evitando situaciones irreversibles que puedan convertir en papel mojado su decisión final sobre el fondo del litigio. Para alcanzar esos objetivos, la tutela cautelar debe ser ágil y ha de concederse en todos aquellos casos en los que el daño pueda devenir irreversible. En los últimos años, la tutela cautelar de los derechos reconocidos en el Convenio Europeo de Derechos Humanos se ha convertido en uno de los buques insignia del sistema europeo de protección de los derechos fundamentales. El objetivo de este trabajo es valorar la práctica y la jurisprudencia en la materia del Tribunal Europeo de Derechos Humanos a fin de determinar si estamos ante una justicia cautelar efectiva, que garantice derechos reales y no teóricos e ilusorios.Interim relief pursues a vital role as its purpose is not only to enable an effective examination of the case at hand, but also to ensure that the protection afforded to the claimant is effective. In order to achieve those aims, interim measures need to be adopted in a very short period of time and when the claimant faces an irreparable harm. In the last years, interim relief has become a distinctive feature of the European System of Human Rights. Thus, the purpose of this paper is to evaluate the European Court of Human Right’s practice and case-law in order to determine whether it is truly guaranteeing rights that are real and effective through its interim measures.
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Diego-Fernández Sotelo, Rafael. « El aparato de gobierno y justicia indiano a partir de las reformas ovandinas ». Allpanchis 40, no 71 (14 juin 2008) : 13–44. http://dx.doi.org/10.36901/allpanchis.v40i71.436.

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Résumé :
Tres son los momentos constitutivos del gobierno indiano desde finales del siglo XV al XVI. En una primera instancia, bajo la tutela de los Reyes Católicos, se fijan sólidamente los pilares políticos del edificio indiano a partir de las bulas papales, los tratados internacionales entre Castilla y Portugal, y las capitulaciones de descubrimiento, conquista y colonización; en una segunda etapa, con la creación del Consejo de Indias por Carlos V, en 1524, se fundan la mayor parte de las Reales Audiencias indianas, que serán la base de la división político-territorial del Nuevo Mundo; finalmente, Felipe II encomendará a Juan de Ovando la visita al Consejo de Indias en 1568, que luego presidirá entre 1571 y 1575, cuando se termina de constituir el aparato de gobierno indiano que se mantendrá hasta que la dupla de Carlos III y José de Gálvez introduzcan las llamadas reformas borbónicas.
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Lopes, Rogério. « Filosofia como forma de vida : o embate com o ceticismo moderno ». Cadernos Nietzsche 38, no 3 (décembre 2017) : 125–80. http://dx.doi.org/10.1590/2316-82422017v3803rl.

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Resumo O objetivo deste artigo é mostrar que o modo como Pascal reage à tentativa de Montaigne de retomada da filosofia como forma de vida a partir de uma releitura de certos elementos da tradição cética terá um impacto considerável no modo como o próprio Nietzsche, mais de dois séculos depois, procura retomar este mesmo projeto em suas obras do período intermediário (seção III). Segundo o diagnóstico de Nietzsche, a crise do cristianismo no início da modernidade não significou o desenvolvimento de uma vida contemplativa emancipada das ilusões religiosas, mas a degradação, para não dizer a supressão pura e simples, do ideal da vida contemplativa e a imersão no ativismo moderno (cf. GC 359, ABM 58). A conhecida trilogia consagrada aos espíritos livres é em grande medida uma tentativa de se contrapor a essa tendência e recuperar um sentido não religioso da vida contemplativa no improvável contexto da sociedade burguesa da segunda metade do século XIX. O que tentarei mostrar é que partir de Aurora, Pascal se converterá em seu mais ilustre oponente. Mas inicialmente, (I) apresento o modo como Montaigne transforma a herança do ceticismo antigo, e na sequência (II) ofereço uma exposição de como Pascal reage à sua própria época, em especial ao projeto de retomada do ideal de vida contemplativa sem a tutela do cristianismo, projeto este que encontra em Montaigne seu principal representante.
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Pasquale, Gianna. « L'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati in Italia : ambivalenze normative e istanze educative ». EDUCATION SCIENCES AND SOCIETY, no 1 (juin 2020) : 306–45. http://dx.doi.org/10.3280/ess1-2020oa9793.

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Résumé :
I minori stranieri non accompagnati rappresentano una componente significativa dei flussi migratori in Italia non solo dal punto di vista numerico, ma anche per le caratteristiche e le peculiarità che li contraddistinguono. Nel presente lavoro si fornisce, innanzitutto, un resoconto dell'evoluzione statistica del fenomeno dei minori stranieri soli. Successivamente, viene esaminata la complessa condizione di questi minori sotto il profilo giuridico e socio-educativo per capire quali sono i loro reali bisogni da soddisfare per garantire accoglienza e soprattutto un'effettiva integrazione. In questa prospettiva, vengono analizzate le ultime leggi riguardanti i minori stranieri non accompagnati per evidenziarne le problematicità e le ambivalenze che devono essere superate al fine di realizzare un sistema di accoglienza efficace. Infine, viene presa in esame la figura del tutore volontario, previsto dall'attuale normativa come garante della tutela del minore, che, secondo l'autore, dovrebbe assumere anche una valenza educativa e che perciò dovrebbe acquisire specifiche competenze educative e interculturali per comprendere i bisogni del minore e promuovere la sua piena integrazione.
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Goldenberg, Juan Luis. « Herramientas del big data y del fintech para prevenir y aliviar el sobreendeudamiento del consumidor : una propuesta ». Revista Chilena de Derecho y Tecnología 8, no 2 (31 décembre 2019) : 5. http://dx.doi.org/10.5354/0719-2584.2019.54051.

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Résumé :
El presente trabajo explora la posibilidad de utilizar las herramientas del Big Data y del FinTech para dar cumplimiento a los deberes de consejo y adecuación, propias del modelo del préstamo responsable, como mecanismos para evitar el endeudamiento excesivo o aliviarlo una vez constatado. Con estas formas de procesamiento de información, pueden resolverse ciertos problemas constatados en la dinámica de la regulación tutelar del consumo financiero, tales como las deficiencias en la configuración de modelos de receptores de la información (el “consumidor medio”), la superación de los deberes de información y su necesaria reformulación como deberes de consejo o de advertencia y las formas de promoción de instancias de renegociación de la deuda para el ajuste a las reales posibilidades de pago del deudor.
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Quiñonez, Elizabeth. « Ofelia Uribe:Insurgencia de la subjetividad y la ciudadanía de las mujeres ». Revista Historia de la Educación Latinoamericana 17, no 24 (30 janvier 2015) : 263. http://dx.doi.org/10.19053/01227238.3333.

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Ofelia Uribe de Acosta, nacida en Oiba, Santander, el 22 de diciembre de 1990, fue una de las pioneras que en el siglo XX contribuyeron, de manera decisiva, a construir la subjetividad de las mujeres en objeto de debate público. Para apreciar en sus reales dimensiones su contribución a la causa de las mujeres, recordemos que en esos tiempos nuestras connacionales todavía estaban relegadas a la minoría de edad porque no se les reconocía la facultad de discernimiento y raciocinio propio de todo ser consciente: no tenían derecho a poseer bienes ni a realizar contratos, estaban bajo la tutela del padre o del marido, no tenían derecho al voto y enfrentaban obstáculos culturales para acceder a la educación superior. Fue Ofelia Uribe una de las primeras personas QUE EVIDENCIÓ, DESDE UNA visión feminista, la conexión entre la vida individual, las relaciones del poder al interior de la familia y la pareja y el ejercicio del poder social, anticipando la reflexión actual sobra la relación entre los ámbitos público y privado.
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Berrotarán, José Ignacio. « Publicidad de las medidas cautelares judiciales inherentes a la propiedad, posesión o tenencia de las cosas. » Revista de Derecho Notarial y Registral │Universidad Blas Pascal, no 4 (2017) (29 avril 2020) : 9–22. http://dx.doi.org/10.37767/2362-3845(2017)001.

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Résumé :
I. Los derechos patrimoniales, su aceptación social de legitimidad, y su tutela por el poder del estado. II. Las medidas cautelares como resguardo del cumplimiento de una sentencia futura. III. La evolución de las medidas cautelares judiciales. IV. Otros avances de la recepción de las medidas judiciales en el nuevo CCCN V. Las medidas judiciales como obligaciones inherentes a la propiedad, posesión o tenencia de cosas determinadas. Vl. Las medidas judiciales como obligaciones inherentes a la cosa, afectan tanto a sus poseedores como a sus tenedores. VII. Las medidas judiciales ¿son deberes u obligaciones inherentes a la cosa? VIII. La naturaleza esencialmente procesal de las medidas cautelares. IX. La oponibilidad de las medidas judiciales a los terceros adquirentes dependerá de que las mismas tengan una publicidad adecuada. X. En el conflicto entre el tercero adquirente que recibe la posesión de la cosa inmueble, la inscripción de su derecho sobre la misma, y la anotación de un embargo, prevalece lo que primero haya sucedido. XI. Evolución de la publicidad registral de los derechos reales sobré inmuebles. XII. La publicidad registral en el CCCN vigente y sus leyes complementarias. XIII. Estado actual de la publicidad de los derechos reales: registros declarativos y registros constitutivos XIV. Publicidad registral y buena fe. XV. El conflicto entre las medidas cautelares judiciales y el derecho constitucional de propiedad. XVI- El caso de la cautelar judicial inhibición general de bienes. XVII. Otras particularidades de la inhibición general de bienes.
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Bignamini, Angelo A. « Il rischio calcolato e la relazione con l’assistito : aspetto ambivalente della medicina ». Medicina e Morale 52, no 6 (31 décembre 2003) : 1175–202. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2003.658.

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Résumé :
I medici ed i loro assistiti sono sottoposti a pressioni perché venga regolarmente valutato il rischio di patologie future e vengano applicate misure di prevenzione primaria e secondaria. Si rilevano alcuni problemi relativi a questa politica, che investono l’affidabilità degli algoritmi e la difficoltà a raggiungere gli obiettivi fissati. A partire dall’osservazione di dati reali da uno studio osservazionale, viene discusso l’impatto sulla giustificazione etica dei meccanismi di screening di popolazione, dell’applicazione sistematica delle misure di prevenzione raccomandate dalle linee guida, e più in generale sulla cosiddetta “cultura della prevenzione”. I punti critici evidenziati sono la necessità di considerare che il singolo soggetto non è il rappresentante medio della popolazione, ma un soggetto individuale con caratteristiche, bisogni, e sensibilità proprie; la consapevolezza che la prevenzione può essere efficace sulla popolazione ma non necessariamente sul singolo; la presa di coscienza che gli obiettivi da raggiungere per la riduzione del rischio devono essere raggiungibili nella realtà mettendo in gioco la libertà-responsabilità del soggetto al di là delle raccomandazioni delle linee guida, e che comunque non può garantire un esito favorevole. Viene infine sottolineato che l’insistenza sulle misure di prevenzione sono anche l’espressione della perdita del senso del limite al diritto alla vita e alla tutela della salute, cioè un’espressione del rifiuto del significato della malattia e della morte.
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Dallmayr, Fred R. « Beyond autistic politics ». Philosophy & ; Social Criticism 43, no 10 (4 avril 2017) : 987–97. http://dx.doi.org/10.1177/0191453717695854.

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Résumé :
Western modernity is frequently praised as a process of emancipation liberating individuals from external tutelage. While in the early phases of modernity, individual autonomy was still socially nurtured and embedded, subsequent developments put the premium steadily on negative liberty, thus pushing individuals into private self-enclosure. Autonomy thus became divorced from social and political agency. In psychoanalysis such divorce is called autism or narcissism. The article first examines Zygmunt Bauman’s discussion of the pathology in his The Individualized Society. Next to show the progressive globalization of the malaise, the article turns to an analysis of contemporary Indian society by Ashis Nandy. Finally, the article considers a possible remedy for the pathology: the restoration of a ‘public realm’ as recommended by Hannah Arendt.
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Hayes, Lauren. « Sound, Electronics, and Music : A Radical and Hopeful Experiment in Early Music Education ». Computer Music Journal 41, no 3 (septembre 2017) : 36–49. http://dx.doi.org/10.1162/comj_a_00428.

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Résumé :
Discussions of pedagogical approaches to computer music are often rooted within the realm of higher education alone. This article describes Sound, Electronics, and Music, a large-scale project in which tutelage was provided on various topics related to sound and music technology to around 900 schoolchildren in Scotland in 2014 and 2015. Sixteen schools were involved, including two schools for additional support needs. The project engaged several expert musicians and researchers to deliver the different areas of the course. Topics included collective electroacoustic composition, hardware hacking, field recording, and improvisation. A particular emphasis was placed on providing a form of music education that would engender creative practice that was available to all, regardless of musical ability and background. The findings and outcomes of the project suggest that we should not be restricting to the university level the discussion of how to continue to educate future generations in the practices surrounding computer music. We may be failing to engage an age group that is growing readily familiar with the skills and vocabulary surrounding new technologies.
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Gallo, Anna, et Sergio Leon Guerrero. « Juan María Montijano. » Revista Eviterna, no 10 (28 septembre 2021) : 55–66. http://dx.doi.org/10.24310/eviternare.vi10.12956.

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Résumé :
A partire da una riflessione maturata da Juan María Montijano riguardo la natura metafisica del design, intesa quale custode del reale significato degli oggetti che ci circondano, lo studio approfondisce il ‘valore immateriale dei prodotti materiali' con l’intento di invitare a porre attenzione non solo sul binomio forma-funzione ma anche sulla stratificazione intangibile che lo sostiene. Una dimensione considerata privilegiata in quanto qui si incontrano il processo progettuale e l’esperienza d’uso contribuendo entrambi a liberare gli oggetti dall’anonimato della standardizzazione e dai rischi della spersonalizzazione, dotandoli di una sorta di ‘biografia’. In questo modo le cose si trasformano in storie, linguaggi, relazioni. A supporto della tesi della ‘metafisica del disegno’, il terzo paragrafo indaga il pensiero di studiosi del Novecento – da Barthes, Baudrillard, Selle, Kopytoff, De Fusco, le cui ricerche convergono da prospettive differenti verso l’idea di una dimensione culturale del quotidiano costruita mediante i significati e i segni appartenenti alle sue componenti piccole e grandi. In tal senso anche il termine ‘patrimonio’ viene considerato nell’accezione inglese di Cultural Heritage, ovvero come giacimento attivo da continuare ad alimentare nel tempo attraverso strumenti in grado di valorizzarne i contenuti aggiornandoli e rendendoli accessibili e fruibili. Tra questi la tecnica dello storytelling, canale narrativo che pone in evidenza in particolar modo l’immateriale, ritrovando quindi nei contenitori culturali come archivi e biblioteche delle dimensioni in grado di favorire lo sviluppo di azioni strategiche finalizzate a incrementare conoscenza e cultura. Da qui la parte finale del testo è dedicata ad esaminare l’opera di valorizzazione portata avanti da Juan María Montijano per oltre quindici anni nella Biblioteca e nell’Archivio del san Carlo alle Quattro Fontane a Roma al fine di tutelare, raccontare e trasmettere nel tempo la memoria storica custodita al suo interno.
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Ziolkowski, Adam. « Was Agrippa's Pantheon the temple of Mars in Campo ? » Papers of the British School at Rome 62 (novembre 1994) : 261–77. http://dx.doi.org/10.1017/s0068246200010084.

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Résumé :
ERA IL PANTHEON DI AGRIPPA IL TEMPIO DI MARS IN CAMPO?Il Pantheon di Agrippa non era un reale pantheion, essendo questo appellativo unicamente legato a motivi storici. Non si tratta di un santuario dinastico, perchè uno dei suoi dei tutelari, Marte, non fu mai considerate un antenato divino degli Iulii. Un indizio per la sua interpretazione viene dalla sua collocazione topografica. Assieme alla basilica di Nettuno (un memoriale alle vittorie navali di Agrippa, in particolare Actium) esso formava un complesso di due edifici simili che si aprivano su una piazza posta fra di loro. Le divinità di Actium erano Apollo, divinità personale di Augusto, e due esperti militari divini, Marte e Nettuno. Il pantheon di Agrippa avrebbe dovuto quindi essere dedicato a Marte e commemorare le vittorie terrestri del suo fondatore. Ciò è corroborato dai Fasti Fratrum Arvalium del 23 settembre, che citano feste dedicate a: Marti, Neptuno in Campo, Apollini e theatrum Marcelli. I tempii di Marte e Nettuno in Campo, fondati sotto Augusto nella zona delle attività costruttive di Agrippa e dedicati ad Augusto nel giorno del suo compleanno insieme al tempio di Apollo, erano sicuramente memoriali per Actium. Poichè la Basilica di Nettuno viene anche riferita come τὸ Ποσειδώνιον, il che rende inevitabile la sua identificazione con il tempio di Nettuno in Campo, il Pantheon di Agrippa avrebbe dovuto essere il tempio di Marte in Campo. Questi tempii, costruiti su terreni privati ed assenti dal calendario ufficiale, costituivano sacra privata. Ciò facilitò la loro reinterpretazione, nel successivo periodo dei Giulio-Claudii, discendenti di Marco Antonio, rispettivamente di mal definito pantheion (non una aedes publica, poichè le iscrizioni conservate da Adriano non citano alcuna divinità) e di basilica.
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Furiosi, M. Loredana. « Etica della pace e bioetica ». Medicina e Morale 51, no 4 (31 août 2002) : 667–709. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2002.689.

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Résumé :
Esiste una connessione tra l’etica della pace e la bioetica? Lo scritto, muovendo da questo interrogativo, analizza dapprima le problematiche che coinvolgono strettamente tanto l’etica della pace quanto la bioetica. Lungo tre direttrici fondamentali che contemplano il rispetto dei diritti umani fondamentali, la giustizia sociale globale e lo sfruttamento della natura, si sono voluti evidenziare non soltanto le grandi sfide e i pericoli per l’attuazione della pace nel nostro tempo, ma anche la sfida e l’impegno concreto per la bioetica. Bioetica che, dal canto suo, come etica della vita e per la vita e come disciplina in dialogo con diversi saperi interessati al problema della vita umana e della biosfera, può dare un oggettivo contributo nel delineare delle coordinate etiche che possano permettere o quanto meno coadiuvare e corroborare il recupero di valori fondamentali per garantire la pace, il ripristino delle condizioni di dialogo per la pace, laddove siano state smarrite, la prevenzione della guerra, la efficace attività di educazione degli animi alla solidarietà, che porta a riconoscere l’altro come un altro me stesso pur nelle fenomeniche diversità. In tale direzione si è inteso analizzare come in particolare la bioetica personalista, basata su una fondata ontologia e specifica antropologia, possa, lontano da gratuite ingenuità e paralizzanti scetticismi, aiutare a costruire una “cultura di pace”, ponendo proprio alla sua base la centralità del valore della vita ed il bene integrale della persona. Nell’ultima sezione del lavoro si è volta poi l’attenzione a delineare quali possano essere i punti di contatto e di confronto tra l’etica della pace e l’etica medica, essendo il confine tra le due aree non invalicabile, anzi quanto mai, almeno per certi aspetti, sovrapponibile ed intersecabile. Si è posto l’accento su come l’etica medica in particolare e la bioetica possano essere strumenti di promozione alla pace, ovvero come il medico, il bioingegnere siano per loro intrinseca natura per la pace, proprio in virtù del fatto che sono anzitutto uomini di scienza a servizio dell’uomo stesso. Infine si è evidenziato come la medicina possa contribuire non soltanto alla costruzione della pace, soprattutto sul piano della prevenzione, ad esempio riguardo alle situazioni di guerra e di soccorso in caso di catastrofe e nel negare l’uso della stessa scienza medica per scopi sbagliati e abusi delle conoscenze, ma anche nell’ottica di un nuovo “giuramento” che vada oltre quello ippocratico, che tuteli tanto l’uomo sano quanto quello malato, nella più ampia prospettiva non soltanto di riumanizzare tutto il sistema sanitario, ma di garantire una reale giustizia sanitaria: entrambi punti nodali per la costruzione di una trama sociale egalitaria e pacifica.
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Semplici, Stefano. « Accesso equo, qualità appropriata. Venti anni dopo la Convenzione di Oviedo / Equitable access, appropriate quality. Twenty years after the Oviedo Convention ». Medicina e Morale 66, no 6 (25 janvier 2018) : 763–78. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2017.519.

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Résumé :
Il diritto alla tutela della salute, che include l’accesso ai servizi sanitari, è sancito in molte Dichiarazioni e altri documenti normativi a livello internazionale. Il riferimento all’equità è solitamente introdotto per affrontare i vincoli delle risorse disponibili e non eludere la realtà di persistenti diseguaglianze. Il riferimento all’adeguatezza è volto a sottolineare il ruolo delle competenze professionali e della conoscenza e dei progressi scientifici al fine di soddisfare esigenze reali, ma anche di ottimizzare l’utilizzo delle risorse. L’articolo 3 della Convenzione di Oviedo mira a proteggere i diritti umani e la dignità della persona umana e offre ancora un proficuo punto di partenza per continuare a sviluppare alcuni dei più preziosi strumenti concettuali e giuridici fra quelli perfezionati in questi ultimi decenni per affrontare questa sfida: il principio della realizzazione progressiva, che può innescare e rafforzare una dinamica emancipatrice; l’esercizio del bilanciamento di principi, interessi e beni sia nella giurisprudenza delle Corti costituzionali sia nelle politiche di settore; il concetto del contenuto essenziale del diritto ai servizi sanitari. Queste soluzioni si confrontano ora con le applicazioni dei progressi nuovi e senza precedenti della scienza biomedica, come la medicina di precisione. Allo stesso tempo, il riferimento della Convenzione alla giurisdizione delle Parti (gli Stati) come quadro istituzionale entro il quale gli obblighi sono assunti deve essere ulteriormente articolato misurandosi con l’orizzonte globale dell’impegno a “proteggere” la dignità umana e i diritti umani. ---------- The right to protection of health, which includes access to health care services, is enshrined in many Declarations and other normative documents at the international level. The reference to equity is usually meant to deal with the constraint of available resources and not elude the reality of persisting inequalities. The reference to appropriateness is to underline the role of professional competence and scientific knowledge and progress in order to fit real needs, but also to optimize the use of resources. Article 3 of the Oviedo Convention aims at protecting both human rights and the dignity of the human being and still offers a fruitful starting point to elaborate on some of the most valuable conceptual and juridical tools that have been refined over these last decades to address this challenge: the principle of progressive realization, which can trigger and strengthen an emancipatory dynamic; the exercise of balancing principles, interests and goods both in the case law of Constitutional Courts and in policies; the concept of the core content of the right (entitlement) to health care services. These solutions are now confronted with the applications of new, unprecedented advancements of biomedical science, such as precision medicine. At the same time, the reference by the Convention to the jurisdiction of the Parties (the States) as the institutional framework within which obligations are undertaken needs to be further articulated against the global scope of the commitment to ‘protect’ human dignity and human rights.
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Arce, Elena, Francisco Zayas-Gato, Andrés Suárez-García, Álvaro Michelena, Esteban Jove, José-Luis Casteleiro-Roca, Héctor Quintián et José Luis Calvo-Rolle. « Experiencia blended learning apoyada en un laboratorio virtual para educación de materias STEM ». Bordón. Revista de Pedagogía 74, no 4 (20 décembre 2022) : 125–43. http://dx.doi.org/10.13042/bordon.2022.95592.

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INTRODUCCIÓN. La reciente pandemia provocada por la COVID-19 ha supuesto numerosos cambios en los protocolos de salud pública, así como un profundo impacto socioeconómico. Políticas como el distanciamiento social y los confinamientos han condicionado las relaciones interpersonales y derivado en consecuencias dramáticas para muchas empresas y trabajadores. Concretamente, en el marco educativo, las universidades se han visto obligadas a adaptar las metodologías docentes a causa de las políticas de control implantadas por las autoridades. Por ello, el uso de herramientas para la docencia online, combinadas con experiencias en docencia presencial (blended learning, BL), constituye un interesante enfoque dentro de este contexto. MÉTODO. BL permite la reducción de la ratio de estudiantes por aula, evitando la supresión total de la presencialidad, y permitiendo también aprovechar las ventajas de ambas modalidades. En este sentido, una interesante propuesta es la implementación de un entorno de simulación virtual para estudiantes de ingeniería, cuyo objetivo es la emulación de un sistema real de control de nivel de líquido, disponible en los laboratorios de la Escuela Politécnica de Ingeniería de Ferrol, de la Universidad de A Coruña. Con el objetivo de evaluar el efecto de la metodología BL en el rendimiento académico del alumnado, se compararon las calificaciones obtenidas en el trabajo tutelado en dos cursos académicos. RESULTADOS. Para llevar a cabo este trabajo, se propone una experiencia BL apoyada en un laboratorio virtual construido a partir de la integración de dos novedosas la frase correcta sería: “herramientas de software”. Factory I/O como sistema de virtualización y emulación de escenas y plantas industriales reales y Node-RED como entorno de programación para el diseño de sistemas de control y comunicación. Con base en los resultados académicos, se concluye que esta metodología tiene un efecto positivo en el rendimiento de los estudiantes. DISCUSIÓN. Este entorno realista de simulación y de visualización 3D en tiempo real aporta flexibilidad a los estudiantes facilitando la organización de sus tareas y les permite trabajar de forma autónoma aplicando los conceptos base de la ingeniería de control. Además, esta experiencia BL ayuda a los estudiantes a desarrollar competencias básicas (duras) y transferibles (blandas).
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DE MARTINIS, PAOLO. « Da una tutela “relativa” ad una tutela “reale” dei beni culturali ». Cultura e diritti, no 2 (2016). http://dx.doi.org/10.12871/97888674165613.

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De Martinis, Paolo. « Da una tutela "relativa" ad una tutela "reale" dei beni culturali ». Cultura e diritti, 2016, 59. http://dx.doi.org/10.12871/9788867413.

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Donati, Alessandra. « Quando l'artista disconosce la propria opera d'arte : ricadute e implicazioni giuridiche ». ECONOMIA E DIRITTO DEL TERZIARIO, no 1 (août 2017). http://dx.doi.org/10.3280/edt1-2017oa5145.

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Installazioni da riattivare, opere realizzate con materiali che si degradano rapidamente, opere in continuo divenire: molte delle nuove forme di espressione dell'arte contemporanea hanno reso più complesso il rapporto tra l'artista e l'opera d'arte, chiamando l'artista ad un ricorrente intervento del suo momento creativo.Quali sono le ragioni di interesse dell'artista alla tutela dell'integrità dell'opera se l'opera è soggetta a continue modifiche? Quali nuovi presupposti giuridici per la dichiarazione di disconoscimento da parte dell'artista dell'opera d'arte effimera e in divenire non correttamente riattivata o conservata? E, d'altra parte, quali sono i limiti del diritto del proprietario di tutelare l'identità e integrità dell'opera inizialmenteacquistata o di distruggere l'opera della quale voglia disfarsi? Il diritto reale di proprietà attenua la peculiare caratteristica di assolutezza a fronte di una sopravvivenza più significativa dell'apporto creativo dell'artista?Tutela dell'integrità, garanzia di autenticità, diritto al disconoscimento e diritto di distruzione: si delinea una nuova relazione tra diritto d'autore e diritto di proprietà.Deriva da tutto ciò la necessità di ridefinire principi e criteri della tutela e della disciplina giuridica delle opere figurative contemporanee con adeguamento della nozione di tutela dell'integrità, di autenticità, di conservazione e di restauro delle stesse.
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« IL DUELLO NEL RINASCIMENTO E IL RIPENSAMENTO ETICO SUL DUELLO DI FRANCESCO PATRIZI ». Studia Polensia 01, no 01 (15 novembre 2012) : 9–29. http://dx.doi.org/10.32728/studpol/2012.01.01.01.

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In questa prima parte del saggio ci soff ermeremo in modo particolare al periodo che intercorre tra la seconda metà del XV secolo e la prima metà del XVI secolo, in quanto è in questo lasso di tempo che si trovano serie e chiare testimonianze riguardanti la questione del duello. E questo sia nelle opere letterarie che in quelle riguardanti la precettistica. Per quanto riguarda quelle di precettistica, oltre al gran numero di trattati, è da tener presente anche il gran numero delle loro riedizioni, specialmente di quelli più famosi. Dove, oltre all'immancabile comunanza d’interessi fra poeti epici e trattatisti del duello, si noterà anche una sostanziale identità terminologica - per esempio sia i poeti sia i trattatisti ritengono che il duello sia una ‘prova’ di giudizio fi nale. Questo non comporta, nel contempo, una convergenza di convinzioni fi losofi che, in quanto, come si vedrà, il duello letterario diff erisce da quello reale proprio per la sua diversa comprensione fi losofi ca del combattere. Pertanto con la presente relazione si cercherà di dispiegare la problematica che questo istituto di per sé ha comportato nel periodo storico preso in considerazione. Il duello infatti si configurava come una questione sociale tutt'altro che irrilevante per la sua connotazione ambivalente di ordalia – quale forma particolare di rapporto fra uomo e sacro – e di inculpata tutela – quale forma particolare di ricorso alla violenza privata a tutela di un fondamentale diritto naturale. In tutti e due i casi si tratta di una forma di onore, sia individuale sia nobiliare, del quale il Patrizi ne discuterà la fondatezza interpretandolo specialmente in qualità di virtù. In questa defi nizione dell'onore – che il Patrizi aff ronta con un gusto platonico – si possono scorgere questioni di alta portata politica, che ponevano sotto varia forma la questione dei rapporti tra individuo e Stato. In tal modo il duello d’onore assumeva un aspetto decisivo per quanto riguardava le sue connotazioni sociali e politiche inserendosi nel più ampio dibattito comprendente il problema dell'uso della violenza e dei confi ni fra violenza privata e violenza pubblica, fra faida e bellum iustum.
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Iadecola, Gianfranco. « Rifiuto delle cure e diritto di morire ». Medicina e Morale 56, no 1 (28 février 2007). http://dx.doi.org/10.4081/mem.2007.331.

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Lo scritto intende sottolineare la difficile problematicità, dal punto di vista legale, del tema del rifiuto di cure salvavita da parte del paziente e del rilievo che una tale volontà (sempre che libera e cosciente) ha per il medico. In tale prospettiva, si dà conto di come, nella questione, interferiscano (ed entrino in contrasto) due interessi fondamentali, entrambi protetti dall’ordinamento, ossia quello della libertà morale della persona e quello della vita, osservandosi come siffatta situazione conflittuale si tragga proprio (anche) dal recente provvedimento giudiziale sulla vicenda “Welby”. Il tribunale di Roma, infatti, dopo aver ampiamente evidenziato la univoca protezione garantita dall’ordinamento giuridico alla libertà di autodeterminazione del malato, non può non registrare la indiscutibile ed assoluta tutela assicurata al bene della vita, in sostanza individuando in essa l’adempimento al riconoscimento della vincolatività, per il medico, di una volontà di cessazione delle cure idonee al mantenimento in vita, espressa dal paziente. Si osserva come, nella prima (reale) disamina specifica del problema (dei limiti di rilevanza della volontà del malato rispetto alla posizione di garanzia del medico) da parte di un giudice nazionale, venga condivisa – di contro alle opinioni dominanti nel dibattito dottrinale – la posizione secondo cui la indisponibilità del bene fondamentale della vita si ponga, anche allo stato normativo attuale, come limite al riconoscimento – del rifiuto consapevole di cure mediche salvavita – quale situazione giuridica soggettiva tutelata, sempre e comunque, dall’ordinamento. ---------- The writing intends to underline the difficult problematic nature, under the legal point of view, of life support care refusal matter by the patient and of the relief that such a will (provided that be free and conscious) has for the physician. In such perspective, it gives an account of how, in the matter, interfere (and enter contrast) two fundamental interests, both protected by the order, i.e. that of person’s moral freedom and that of life and it explains as such conflictual situation concerns really (also) about the recent judicial provision on the “Welby” case. The court of Rome, in fact, later have widely highlighted the univocal protection ensured by the legal system to the patient self-determination freedom, has to take into account the indisputable and absolute tutelage assured to the good life, basically identifying the fulfilment to the recognition of bond, for the physician, of a will of cessation of the cares suitable to the maintenance in life, expressed by the patient. One observes as, in the first (real) close examination of the problem (of the limits of importance of the will of the patient compared to the guarantee position of the doctor) by a national judge, is shared - against to the opinions ruling in the doctrinal debate, the position according to which the unavailability of the fundamental life good places, also according to the current normative state, as limit to the recognition - of the refusal aware of sustaining-life treatments - as subjective juridical situation protected, always and anyway, by the order.
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Calenda, Giorgio, et Umbro Sciamannini. « Le tecnologie tutte italiane per la prevenzione delle infezioni nosocomiali ». Journal of Advanced Health Care, 24 août 2019. http://dx.doi.org/10.36017/jahc1908-013.

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Prevenire il 30% delle infezioni contratte dai pazienti durante e dopo il ricovero ospedaliero è l’obiettivo di medici, politici e associazioni di pazienti per arginare quest’emergenza sanitaria, che conta mezzo milione di casi all’anno e che uccide -numeri alla mano- più degli incidenti stradali: ogni anno le regioni pagano indennizzi milionari alle famiglie che hanno subito danni nella sanità. Una tecnologia innovativa tutta italiana è stata messa a punto per porre una valida ed efficace barriera, sulle infezioni e sepsi d’organo, in ambito delle strutture Ospedaliere ad alta tecnologia. La gamma è denominata ABT 9000 ed ABT 3000 realizzate dopo circa 20 anni di ricerca. Da una attenta analisi emerge la necessità di tutela prima, durante e dopo l’attività lavorativa in ambito sanitario: mettere a disposizione degli operatori tecnologie sempre innovative per la loro protezione, per quella ambientale e, in sostanza, generare automaticamente l’innalzamento della qualità lavorativa e –più in generale- di tutto l’ambiente. Il controllo del rischio biologico-chimico reale, effettivamente validato in ABT, diminuisce lo stress professionale, migliora il microclima di lavoro, abbatte i costi delle gravissime infezioni o sepsi d’organo con meno utilizzo di antibiotici e relativa antibiotico resistenza, dovuta all’uso sempre maggiore di antimicrobici sofisticati ad alto peso. Altro aspetto migliorativo –non meno importante– è quello di poter ottenere un elevato miglioramento dei tempi di lavoro. In tal senso, una sola apparecchiatura ABT 9000 si stima possa catturare circa 24 tonnellate annue (ipotizzando un pieno al giorno) e inertizzare con un’azione biologica (denaturazione/inibizione) i nuclei interni alle Rna resistenti, presenti nel Dna. Inoltre, viene garantita la difesa ambientale nel rispetto degli accordi stato-regione tra Ministero della Salute e quello dell’Ambiente -la tecnologia soddisfa infatti l’art. 214 del dLg 152/2006 inerente la riduzione di rifiuti speciali e la loro gestione in sicurezza- oltre che il risparmio che la Struttura ottiene non dovendo affidare i rifiuti liquidi a ditta specializzata per il loro smaltimento. Il sistema è unico ed esclusivo, dotato di due patent PCT internazionali e realizzato nel rispetto delle recenti normative ISO 62366 Usability al servizio delle risorse umane impiegate. La nuova proposta “ABT” fornisce ulteriori vantaggi sulla gestione delle risorse umane, migliorando le condizioni psico-fisico-relazionali e organizzative che ne caratterizzano il lavoro all’interno delle aziende sanitarie.
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Bignamini, Angelo A., et Daniela Bignamini. « Registri, studi osservazionali e consenso informato ». Medicina e Morale 55, no 5 (30 octobre 2006). http://dx.doi.org/10.4081/mem.2006.344.

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Le procedure di informazione e consenso sono garanzia primaria di corretto svolgimento delle ricerche cliniche. Quando applicate al puro utilizzo di dati già conferiti, sono considerate garanzia di confidenzialità. Tuttavia, si rileva che la macchinosità e complessità delle procedure di informazione e consenso al puro impiego dei dati medici in forma anonima, nel contesto di studi osservazionali e di registri, introducono un errore sistematico nella raccolta dei dati. Ciò può rendere inutile lo studio per la popolazione in genere e, nel caso di registri di patologie croniche o recidivanti, anche per lo stesso soggetto, sia che conferisca, sia che scelga di non conferire i dati. Le procedure attualmente impiegate negli studi osservazionali, che sono direttamente mutuate da quelle in uso per gli studi intervenzionali, non sembrano quindi adeguate a garantire il migliore interesse del soggetto e della collettività. A ciò si aggiungono i problemi generati dalla legislazione di tutela della riservatezza, che non sembrano tenere conto della reale possibilità che venga tutelata - con adeguate procedure - la completa anonimità dei dati clinici personali, pur mantenendo la possibilità di verifica a pubblica garanzia della credibilità. Una possibile soluzione potrebbe essere almeno la estrema semplificazione delle procedure, o meglio il conferimento al Comitato di Etica competente della possibilità di autorizzare l’impiego aggregato di dati già esistenti nei documenti dell’istituzione, senza necessità di consenso specifico individuale. Queste ipotesi, tuttavia, potrebbero essere considerate solo in studi puramente osservazionali (registri di popolazione, registri per patologia o studi osservazionali analoghi). Per studi simili, quali i registri per farmaco (che richiedono informazione specifica e potrebbero implicare procedure aggiuntive) o gli studi di fase IV (che potrebbero anche essere intervenzionali e quindi richiedere specifica informazione o procedure aggiuntive), il Comitato di Etica dovrebbe comunque valutare studio per studio quali procedure di informazione e consenso siano più adeguate. ---------- Information and consent procedures are the main guarantee that clinical investigations are correctly performed. When applied to the exclusive aggregation of already recorded data, are considered guarantee of confidentiality. However, the complexity and intricacy of information and consent procedures to the pure aggregation of anonymously conferred data, within the context of observational studies and of registries, is found to introduce a bias in data collection. Such bias can render useless the investigation, for the population in general and, in the case of registries of chronic or recurrent diseases, for the very subject who confers or chooses not to confer the data. The procedures which are currently in use in observational studies, directly derived from those used in the interventional studies, do not appear therefore appropriate to guarantee the best interest of the subject and of the community. Additional problems derive from the legislation designed to safeguard the privacy. This appears not to account for the true possibility that complete anonymity of personal clinical data can be ensured - with appropriate procedures - still maintaining the possibility of verification to provide public guarantee of credibility. A possible solution could be at least an extreme simplification of the procedures or, even better, the responsible Ethics Committee could be made accountable for authorising the aggregate use of data already existing in the Institution’s documents, without the need for a specific individual consent. These hypotheses, however, can only be considered within the frame of purely observational studies (population registries, illness registries and similar observational studies). For analogous studies such as the drug registries (that might need specific information and additional monitoring procedures) or the phase-IV studies (that may also be interventional and require specific information or additional procedures), the Ethics Committee should evaluate study by study which information and consent procedures are most appropriate for the individual investigation.
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Mainardi, Sandro. « El ordenamiento italiano y la «tutela creciente» frente a los despidos improcedentes ». Revista de Trabajo y Seguridad Social. CEF, 7 décembre 2015, 45–64. http://dx.doi.org/10.51302/rtss.2015.2764.

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Este artículo analiza la reforma de los despidos en Italia, introducida por el Decreto Legislativo núm. 23/2015. Este importante cambio en el Derecho del Trabajo fue adoptado por el Gobierno italiano sobre la base de la Ley núm. 183/2014. Este nuevo Decreto Legislativo se aplica solo a los empleados contratados después de su entrada en vigor, de modo que los despidos anteriores a la reforma se regirán por la normativa precedente, incluido el artículo 18 de la Ley núm. 300/1970 (el famoso Statuto dei Lavoratori). En particular, el Decreto Legislativo núm. 23/2015 cambió el régimen de sanciones aplicables a los empleadores en todos los tipos de despidos improcedentes: despidos discriminatorios o, en todo caso, nulos; despidos disciplinarios insuficientemente motivados; despidos motivados ilegalmente por razones relacionadas con el empleado individual (por ejemplo, para las bajas por enfermedad que no excedan de los límites legales); despidos individuales y colectivos en los procedimientos de las empresas, por crisis o exceso de personal. Las innovaciones más importantes consisten en una fuerte reducción de las sanciones por despidos ilegales de los empleados contratados por los empleadores con más de 15 empleados. Antes de esta reforma, en bastantes casos de despido improcedente, los empleados tenían derecho a la reincorporación en el lugar de trabajo y en los casos restantes a una indemnización a tanto alzado de un importe determinado por el tribunal que sigue siendo alta (12 a 24 meses de salario). De acuerdo con el Decreto Legislativo núm. 23/2015, en cambio, la readmisión en el lugar de trabajo ya no es la regla general, pero es una excepción aplicable en caso de discriminación, en supuestos de nulidad del despido y en aquellos en que el despido disciplinario fue motivado con base en una acusación basada en hechos inexistentes. En todos los demás casos de despido improcedente, incluyendo todos los casos de despido por razones económicas, el empleado tiene derecho únicamente a una indemnización a tanto alzado por daños equivalente a 2 meses de salario por cada año de duración de la relación laboral, con un mínimo de 4 meses de salario para las relaciones de trabajo de menos de 2 años y un máximo de 24 meses de sueldo para las relaciones que duraron más de 12 años (las cantidades medias reales serán probablemente menores, puesto que también se introdujo un incentivo fiscal parcial a fin de alentar llegar a una solución extrajudicial antes de plantear litigios en los tribunales laborales). Después de ofrecer una visión general del Decreto Legislativo núm. 23/2015, el autor analiza las principales dificultades en la interpretación de las nuevas normas, y, finalmente, llega a la conclusión de que esta reforma, muy significativa, parece una continuación de las reformas del Derecho laboral de los últimos años, ya que tiene como objetivo proteger a los empleadores más en el mercado de trabajo que en la relación laboral, debido a que reduce el poder discrecional de los tribunales laborales.
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Bolaños Alfaro, John Diego. « Gestor Integral del Recurso Hídrico, un experto necesario ante la vulnerabilidad socio-natural ». InterSedes 18, no 38 (8 mars 2018). http://dx.doi.org/10.15517/isucr.v18i38.32672.

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El presente artículo denota el trabajo de la Comisión elaboradora de la propuesta curricular y todo el trabajo realizado para establecer los principios fundamentales reales y naturales provenientes de las ciencias naturales y sociales tendientes a la resolución de problemas y actividades propias del agua, rompiendo con los paradigmas de gestión actuales. Se presenta el profesional como un recurso humano indispensable para el mercado nacional con la capacidad de realizar nuevas prácticas de gestión, educación ambiental, participación comunitaria y el saneamiento del agua. Ante una crisis de gobernabilidad del recurso hídrico clara y evidente, con la vulnerabilidad y escasez agua visible en varias comunidades del país, se espera que el profesional, mejore la tutela, el aprovechamiento, la protección y el uso sostenible del recurso hídrico, utilizando la perspectiva de manejo de cuenca hidrológica, como unidad básica de planificación y gestión del recurso hídrico. Finalmente, se denota el proceso constructivo de la nueva carrera y su atinencia a nivel país, teniendo como principal empleador a los entes encargados de la administración del agua a nivel público o privado.
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Alcantara Infantes, María Inés. « LOS CONTRATOS CONSENSUALES Y SU FALTA DE OBLIGATORIEDAD PARA SU INSCRIPCIÓN ». REPOSITORIO DE REVISTAS DE LA UNIVERSIDAD PRIVADA DE PUCALLPA 1, no 03 (13 avril 2017). http://dx.doi.org/10.37292/riccva.v1i03.33.

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El presente articulo cientifico empirico, sobre la obligatoriedad de la formalidad de los Contratos de Compra Venta de bienes innmuebles en el Perú, tiene el propósito de hacer conocer, que la informalidad de la inscripcion de los contratos consensuales de compra -venta ante registros publicos, pone en peligro la seguridad jurica del trafico inmobiliario. En este contexto, nuestro objetivo principal fue determinar en qué medida las normas jurídicas obligan a las partes contratantes de la compra – venta de inmuebles a formalizar su voluntad consensual ante los registros públicos; también se establece de qué manera la costumbre de solo otorgar documento privado de la compra-venta de bienes inmuebles desprotege los derechos y las obligaciones de las partes contratantes, ya que la mala aplicación del derecho real conjuntamente con el derecho registral podría generar indefensión a legítimos propietarios, ya sea por su grado de cultura, conocimiento y situación económica, tanto del comprador como vendedor, donde la parte perjudicada tendrá recurrir al órgano jurisdiccional competente en busca de tutela procesal. El Problema está al no existir la obligatoriedad de extender el título a quien adquiere la propiedad de acuerdo a lo que dispone el Art. 749 del Código Civil y 1532 1er párrafo; 1362 y 1412 del mismo texto, por lo que este puede perderla porque a otro comprador que exige el título, sea por mas precio o circunstancia le va extender la escritura y el que compró primero pueda perder su propiedad, debido a que el derecho registral da prioridad al titular que inscribió primero según Art. del C.C 2016 “la prioridad en el tiempo de la Inscripción determina la preferencia de los derechos que otorga el Registro”; y así mismo el Art. 2022º “ Oposición de Derechos reales”: Para oponer derechos reales sobre inmuebles a quienes también tienen derechos reales sobre los mismos ,es preciso que el derecho que se opone este Inscrito con anterioridad al de aquel a quien se opone y por lo tanto la compraventa debiera hacerse directamente en el Registro Público para dar seguridad Jurídica y evitar el Fraude Registral como se ha venido dando. PALABRAS CLAVERegistros públicos, derecho registral, derecho real, comprador, vendedor, contrato consensual.
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Worsley, Peter John. « Some Thoughts About Genre in Old Javanese Literature ». Jumantara : Jurnal Manuskrip Nusantara 12, no 2 (2 décembre 2021). http://dx.doi.org/10.37014/jumantara.v12i2.1148.

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Robson in 1983 and 1988 in his reconsideration of the poetics of kakawin epics and Javanese philology drew readers’ attention to the importance of genre for the history of ancient Javanese literature. Aoyama in his study of the kakawin Sutasoma in 1992, making judicious use of Hans Jauss’s concept of “horizon of expectation”, offered the first systematic discussion of the genre of Old Javanese literary works. The present essay offers a commentary on the terms which mpu Monaguna and mpu Prapañca, authors of the thirteenth century epic kakawin Sumanasāntaka and the fourteenth century Deśawarṇana, themselves, employ to refer to the generic characteristics of their poems. Mpu Monaguna referred to his epic poem as a narrative work (kathā), written in a prakṛt, Old Javanese, and rendered in the poetic form of a kakawin and finally as a ritual act intended to enable the poet to achieve apotheosis with his tutelary deity and his poem to be the means of transforming the world, in particular to ensure the wellbeing of the readers, listeners, copyists and those who possessed copies of his poetic work. Mpu Prapañca described his Deśawarṇana differently. Also written in Old Javanese and in the poetic form of a kakawin—he refers to his work variously as a narrative work (kathā), a chronicle (śakakāla or śakābda), a praise poem (kastawan) and also as a ritual act designed to enable the author in an ecstatic state of rapture (alangö), and filled with the power and omniscience of his tutelary deity, to ensure the continued prosperity of the realm of Majapahit and to secure the rule of his king Rājasanagara. The essay considers each of these literary categories.
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Myrick, Florence, Anne Phelan, Connie Barlow, Russ Sawa, Gayla Rogers et Debb Hurlock. « Conflict in the Preceptorship or Field Experience : A Rippling Tide of Silence ». International Journal of Nursing Education Scholarship 3, no 1 (24 janvier 2006). http://dx.doi.org/10.2202/1548-923x.1202.

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A major component of the educative process in the professional disciplines is the field education/preceptorship experience in which students are afforded opportunities to develop professional competence under the tutelage of a practising professional and/or a university instructor. During this time students are exposed to competing discourses about what it means to think and act as nurses, teachers, doctors and social workers. Frequently, field teaching is characterized by conflictual situations involving students, field instructors and university faculty. Such conflict is poorly understood as indicated by the lack of literature available in the professional disciplines. The purpose of this study was to explore the phenomenon of conflict within the context of field teaching in professional education. Pivotal to this study was the issue of making sense of the conflict that prospective nurses, teachers, social workers and doctors experience in professional education within the practice realm and how such discourses shape their professional identities, practices and ultimate social values. At issue is the social construction of meaning that takes place within professional education. This study was conducted from the perspective of four professional programs including education, medicine, nursing and social work. The researchers focused on the final year of each program at a time when students were engaged in a major field / preceptorship experience in hospitals, schools, communities and social agencies. The experiences derived from the nursing data are presented in this paper.
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D'Cruz, Glenn. « Darkly Dreaming (in) Authenticity : The Self/Persona Opposition in Dexter ». M/C Journal 17, no 3 (10 juin 2014). http://dx.doi.org/10.5204/mcj.804.

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This paper will use the popular television character, Dexter Morgan, to interrogate the relationship between self and persona, and unsettle the distinction between the two terms. This operation will enable me to raise a series of questions about the critical vocabulary and scholarly agenda of the nascent discipline of persona studies, which, I argue, needs to develop a critical genealogy of the term “persona.” This paper makes a modest contribution to such a project by drawing attention to some key questions regarding the discourse of authenticity in persona studies. For those not familiar with the show, Dexter portrays the life of a serial killer who only kills other serial killers. This is because Dexter, under the tutelage of his deceased father, develops a code that enables him to find a “socially useful” purpose for his homicidal impulses—by exclusively targeting other killers he rationalises his own deadly acts. Dexter necessarily leads a double life, which entails performing a series of normative social roles that conceal his true identity, and the murderous activities of his “dark passenger.” This apparent split between “true” self and “false” persona says a lot about popular conceptions of the performative nature of the self in contemporary culture, and provides a useful framework for unpacking some of the aporias generated by the concept of persona.My aim in the present context is to substantiate the argument that persona studies needs to engage with the philosophical discourse of “self” and “authenticity” if it is to provide a convincing account of the status and function of persona today. The term “persona” derives from the classical Latin word for mask, and has its roots in the theatre of ancient Greece. The Oxford English Dictionary defines the term thus:1. An Assumed character or role, especially one adopted by an author in his or her writing, or by a performer.2.a. as the aspect of a person’s character that is displayed to or perceived by others.b. Psychol. In Jungian psychology: the outer or assumed aspect of character; a set of attitudes adopted by an individual to fit his or her perceived social role. Contrasted with anima.For Jung the persona is “a complicated system of relations between individual consciousness and society, fittingly enough a kind of mask, designed on the one hand to make a definite impression upon others, and, on the other, to conceal the true nature of the individual” (305). We can see that all these usages share a theatrical or actorly dimension. Persona is something we adopt, display, or assume. Further, it is an external quality, which masks, presumably, that which is not assumed or displayed—the private self. Thus, persona is predicated on an opposition between inside and outside. Moreover, it is not a value neutral concept, but one, I will argue, that connotes a sense of “inauthenticity” through suggesting a division between self and role. The “self” is a complicated word with a wide range of usages and connotations. The OED notes that when used with reference to a person the word refers to an essential entity.3. Chiefly Philos. That which in a person is really and intrinsically he (in contradistinction to what is adventitious); the ego (often identified with the soul or mind as opposed to the body); a permanent subject of successive and varying states of consciousness.Of course both terms are further complicated by the way they function within specific specialised discourses. Jung’s use of the term “persona” is part of a complex psychological theory of personality, and the term “self” appears in a multitude of forms in a plethora of scholarly disciplines. The “self” is obviously a key concept in psychology and philosophy, where it is sometimes conflated with something called the subject, or discussed with reference to questions of personal identity. Michel Foucault’s project to track “the constitution of the subject across history which has led us up to the modern concept of the self” (202) is perhaps the most complex and rich body of work with which persona studies must reckon if it is to produce a distinctive account of the relationship between persona and self. In broad terms, this paper advocates a loosely Foucauldian approach to understanding the relationship between self and persona, but defers a detailed encounter with Foucault’s work on the subject (which requires a much larger canvas).For the moment I want to focus on the status of authenticity in the self/persona relationship with specific reference to world of Dexter, which provides an accessible forum for examining a contemporary manifestation of the self/persona relationship with specific reference to the question of authenticity. Dexter conveys the division between authentic inner self and persona through the use of a first person narrative voice that provides a running commentary on the character’s thoughts, and exposes the gap between Dexter’s various social roles and his real sociopathic self. Dexter Morgan is, of course, an unreliable narrator, yet he is acutely aware of how others perceive him, and his narrative voice-over functions as a device to bind the viewer to the character’s first-person perspective. This is important because Dexter is devoid of empathy—he lacks the ability to feel genuine emotion, and conform to the social conventions that govern everyday activities, yet he is focus of audience identification. This means the voice-over must perform the work of making Dexter sympathetic.The voice-over narration in Dexter is characterised by an obsession with the presentation of self, and the disparity between self and persona. In an early episode, Dexter’s narrative voice proclaims a love of Halloween because it is “the one time of year when everyone wears a mask—not just me. People think it's fun to pretend you're a monster. Me, I spend my life pretending I'm not. Brother, friend, boyfriend—all part of my costume collection” (Dexter “Let’s Give the Boy a Hand”).Dexter develops a series of social masks and routines to disguise his “real” self. He is compelled to develop a series of elaborate ruses to appear like a regular guy—a “normal” person who needs to perform a series of social roles. He thus becomes a studious observer of everyday life, and much of the show’s appeal lies in the way he dissects the minutiae of human behavior in order to learn how be normal. Indeed, because he does not comprehend emotion he must learn how to read the external signs that convey care, love, interest, concern and so on—“I just don't understand all that emotion, which makes it tough to fake,” he declares (Dexter, “Popping Cherry”). Each social role requires a considerable degree of actorly preparation, and Dexter demonstrates what we might call, with Erving Goffman, a dramaturgical approach to everyday life (2).For example, Dexter enters into a relationship with Rita, an ostensibly naïve, doe-eyed single mother of two children and a victim of domestic violence—he chooses her because he believes that she is as damaged as he is, and unlikely to challenge him too strongly—“Rita's ex-hubby, the crack addict, repeatedly raped her, knocked her around. Ever since then she's been completely uninterested in sex. That works for me!” (Dexter “Dexter”). Rita provides the perfect cover because she facilitates Dexter’s construction of himself as a normal, heterosexual family man. However, in order to play this most paradigmatic normative role, he must learn how to play with children, and feign affection and intimacy. J. M. Tyree observes that Dexter “employs a fake-it-till-you-make-it strategy for imitating normal life” (82). Of course, he cannot maintain the role too long before Rita becomes suspicious, and aware of Dexter’s repeated lies and evasions.In short, Dexter dramatises what Goffman calls impression management—the character of Dexter Morgan must consistently “give off” signs of normativity (80). Goffman argues that we are all compelled to perform social roles in the manner of Dexter, and this perhaps accounts for why the show appealed to such a wide audience. In many ways, Dexter exposes normative behavior as an “act” that nobody can sustain no matter how hard they try. Dexter’s struggle to decode the conventions that govern everyday life make him a sympathetic character despite his obviously sociopathic tendencies. In other words we are all a little bit like Dexter insofar we must all perform social roles we may not find comfortable. Of course, the whole question of impression management in Dexter becomes even more complex if one considers Michael C. Hall’s celebrity persona and his performance as the titular character, but I do not have the space to pursue this line of inquiry in the present context.So, Dexter is a consummate actor within his “everyday” world, and neatly, perhaps too neatly, confirms Goffman’s “dramaturgical” theory of the “self.” In his essay, “Letter to a Poor Actor” David E. R. George provides a fascinating critique of Goffman from the perspective of a theatre studies scholar. George provocatively claims that Goffman was attracted to theatrical metaphors because of the “anti-theatrical prejudice” embedded within the western tradition. George cites Jonash Barish’s authoritative tome on this topic, which argues “that with infrequent exceptions, terms borrowed from the theatre—theatrical, operatic, melodramatic, stagey, etc.—tend to be hostile or belittling” (1).Barish cites instances of this prejudice from Plato through to St Augustine and beyond, and George situates Goffman within this powerful tradition. He writes,the theatrum mundi metaphor has always been a recipe for paranoia, and in this respect Goffman appears merely to be continuing a long philosophical tradition: the actor-as-paranoiac puts on the maximum number of masks to protect a threatened and fragile self against the daily threat of intimacy, disrespect, deception. (353)It is hardly surprising, then, that Dexter, a paranoid sociopath, stands as an exemplary instance of Goffman’s dramaturgical conception of the self, for Dexter is a show that consistently presents narratives about the relationship between the need to protect the “fragile” self through the construction of various personae. George also argues, with Lyman and Scott, that a “dramatistic” approach to understanding the world produces a cynical perspective because drama is predicated on the split between appearance and reality, nothing is what it appears to be, and nobody is what they appear to be (7). The actor, traditionally, has always worn a mask in some form or another. From the literal masks worn by the actors in ancient Greece to the sophisticated make-up and prosthetic devices worn by today’s thespians, actors, even when they are supposedly playing themselves, expose the gap between self and persona. Arguably, the most challenging and provocative aspect of George’s theory of the actor for persona studies lies in his thesis about how the reviled art of the theatre, which has been pilloried for so many centuries, can function as a paradigm for authenticity. He cites Artaud and Grotowski as examples of two iconic figures that view the theatre as a sacred space that facilitates ‘close encounters of the authentic kind (George 361).George attempts to rescue an authentic core identity, which he perceives to be under siege from the likes of Goffman, who proffers an “onion” model of the self. In George’s reading, Goffman produces a self without an essential, authentic core. This is hardly surprising given Goffman’s background. As an advocate of symbolic interactionism, a school of sociology that proposes that the self is produced as a result of various acts of socialisation, Goffman’s dramaturgical account of the self reinforces George Herbert Mead’s belief that “when a self does appear it always involves an experience of another; there could not be an experience of the self simply by itself” (195).Dexter not only dramatises this self/other dynamic, but also underscores the extent to which we, to use the terminology of Benita Luckmann, inhabit a series of “small life-worlds.” In other words, we lead a series of part-time lives in part-time worlds—modern life, for Luckmann writing in 1970, unfolds on multiple stages that are not necessarily connected or operate according to the same regulatory principles. She writes,The multi-world existence of modern man requires frequent ‘gear-shifting.’ As he moves from one small world into the next, he is faced with at least marginally different expectations, requiring different role performances in concert with different sets of people. (590)Dexter must negotiate a variety of different social roles, each with different requirements and demands. He must, therefore, cultivate a professional persona as a blood-splatter analyst, and perform the personal roles of brother, lover, husband, and so on. Each of these roles occurs in a different “life world” and requires a different presentation of self. Luckmann’s analysis of modern life remains compelling despite being written more than 40 years ago, and she raises one of the most crucial questions for persona studies: what “self,” if any, functions as the executive “gear-shifter?” In Dexter, the narrative voice, the voice behind the masks implies such an essential entity—the true, authentic self, which is consistent with Jung’s account of the relationship between self and persona.Despite a welter of critical theory that debunks the possibility of an essential, self-identical, authentic self (from Adorno’s anti-Heideggerean argument in The Jargon of Authenticity to various post-structuralist theories of subjectivity, especially Judith Butler’s conception of performativity) the idea of sovereign self stubbornly persists in everyday discourse. One of the tasks of persona studies must be to examine these common notions of self and authenticity. On one level, most people experience the “self” as something that refers to what we might call a singular sense of being, and speak about when the feel “most like themselves.” For some, the self emerges within the private realm, the “backstage” areas to use Goffman’s terminology (3). Others speak of feeling most like themselves in executing a social role or some kind of professional occupation. For example, take this extract from a contemporary self-growth web site:Are you feeling like you don’t know who you are anymore? Or maybe you feel like you never really knew yourself. Perhaps you’ve gone through most of your life living by other people’s agendas or ideas of who you should be, and are just now realizing that you really don’t know yourself, your dreams, or your purpose. (Ewing 2013)From the Platonic exhortation to “know thyself” through to the advice dispensed by self-help gurus, the self emerges as a persistent, if elusive, trope in scholarly and everyday discourse. Persona studies needs to reckon with the scope and breadth of the deployment of the self. Indeed it is the very ubiquity of terms like self, authenticity, and persona that require genealogical analysis in the Foucauldian sense of the term. This task entails looking for and uncovering the conditions of possibility for talking about the self across a wide range of contexts.In summary, then, I contend that persona studies needs to carefully examine the relationship between various theories of self and the discourse of authenticity, and establish the extent to which Goffman’s apparently cynical account for the self challenges the assumed authenticity of the self in the Jungian paradigm. Of course, there are many other approaches one could take to this question. For example, Sartrean existentialism problematises any simple opposition between self and persona in its insistence that the self is the product of the others’ perceptions of the subject. This position is captured in his famous maxim that “hell is other people.” This is not because other people are inherently antagonistic or hostile, but that one’s sense of self is in the hands of others. Sartre dramatises this conundrum elegantly in his 1944 play, No Exit.Sartre’s philosophy also engages with the discourse of authenticity, which it borrows from Heidegger’s Being and Time. Existentialism, in its many guises, dominated continental philosophy up until the 1960s and popularised the idea of “authenticity” as an ideal, which enables one to avoid the tyranny of the “They” and avoid the pitfalls of living in bad faith. There is a possibility that the nascent discipline of Persona Studies, as articulated by P. David Marshall and others, risks ignoring the crucial relationship between the discourse of authenticity and the presentation of self by concentrating on the “presentational self” as a set of pragmatic, tactical techniques designed to maximise the impact of impression management within a variety of social and professional contexts (Marshall “Persona”; Barbour and Marshall “Academic”). A more detailed and direct engagement with Foucault’s account of the emergence and constitution of the modern subject, as well as with theories of performativity and authenticity that challenge the arguments and verities of Goffman, and Jung, can provide a richer account of how the concept of persona operates today with reference to, say, “the networked self” (Papacharissi; Barbour and Marshall).So, I would like to conclude by returning to Dexter and the question of authenticity. Dexter can never really manage to identify his authentic self—his “gear-changing” core.It’s there always, this Dark Passenger. And when he’s driving, I feel alive, half sick with the thrill of complete wrongness [...] lately there are these moments when I feel connected to something else... someone. It’s like the mask is slipping and things... people... who never mattered before are suddenly starting to matter. (Dexter, “An Inconvenient Lie”)In this speech, he paradoxically identifies his “dark passenger” as the driver (Luckmann’s “gear-changer”) but then feels “the mask” slipping. There is something beyond what he assumed to be his dark core—the innermost aspect of being that makes executive decisions. Moreover, the status of Dexter’s “dark passenger” is unclear in this speech—is he ‘”he self” or some external agent impelling Dexter to commit murder. Either way Dexter questions the motives and authenticity of this “dark passenger” and those of us with a stake in the nascent discipline of persona studies would do well to be equally skeptical about the status of our key terms.References Adorno, Theodor. The Jargon of Authenticity. Trans. Tarnowski, Knut and Will, Fredric. London and New York: Routledge, 2009.“An Inconvenient Lie.” Dexter. Season 2, Episode 3. DVD Showtime, 2007.Barbour K and Marshall P. D. “The Academic Online: Constructing Persona through the World Wide Web.” First Monday 17.9 (2012). 16 May 2014 http://firstmonday.org/ojs/index.php/fm/article/view/3969/3292.Barish, Jonas. The Anti-Theatrical Prejudice. University of California Press, 1981.Butler, Judith. Gender Trouble. London and New York: Routledge, 1990.“Dexter.” Dexter. Season 1, Episode 1. DVD Showtime, 2006.Ewing, Catherine. ‘Do You Feel Like a Stranger to Yourself?’ 17 April 2014 ‹ http://reawakenyourdreamer.com/2013/09/feel-like-stranger/ ›.Foucault, Michel. “About the Beginnings of the Hermeneutics of the Self: Two Lectures at Dartmouth.” Political Theory (1993): 198-227.George, David E.R. “Letter to a Poor Actor.” New Theatre Quarterly 2.8 (1986): 352-362.Goffman, Erving. 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Mello, Oswaldo Aranha Bandeira de. « Tribunais de contas – natureza, alcance e efeitos de suas funções ». Revista de Direito Administrativo e Infraestrutura - RDAI 5, no 16 (9 janvier 2021). http://dx.doi.org/10.48143/rdai/16.bandeirademello.

Texte intégral
Résumé :
O orçamento é o ato jurídico em que se faz a previsão da receita, autorizando a sua arrecadação, e a fixação da despesa, autorizando, outrossim, a sua execução, relativas a determinado exercício financeiro. Embora o conteúdo do orçamento diga respeito à matéria de Direito Financeiro, pertinente à disciplina da receita e da despesa, a natureza jurídica da fiscalização da execução do orçamento se mantém no campo do Direito Administrativo, não obstante se utilize das normas de contabilidade pública e de técnica econômico-financeira para levá-la a cabo. Destarte, permanece no Direito Administrativo o estudo dos órgãos de controle do Estado quanto a atividade dos ordenadores da despesa e pagadores de contas, e os atos jurídicos de efetivação desse controle. Esse controle da execução do orçamento se faz através do Poder Executivo, por órgão do Ministério da Fazenda ou das Finanças, que acompanham a gestão financeira dos diferentes órgãos do Estado, e se denomina fiscalização interna; e, através do Poder Legislativo, valendo-se de pareceres de suas Comissões de Finanças ou Tomadas de Contas, e, especialmente, de órgão administrativo, autônomo, de cúpula colegiada ou individual, seu delegado, e auxiliar, ou melhor, colaborador, na verificação das contas dos órgãos do Estado, independente do Poder Executivo, e esse controle se denomina fiscalização externa. Ao Legislativo compete não só a aprovação do orçamento como a fiscalização última da sua fiel execução. Objetiva garantir o efetivo cumprimento do orçamento, quanto a receita e despesa. Sem a devida tomada de contas, os orçamentos se constituiriam em formalidades inúteis e seria impossível a apuração de responsabilidade dos agentes ordenadores e pagadores da despesa. Como órgão auxiliar do Legislativo nessa tarefa de controle de contas do Executivo se cogitou, nos países latinos da Europa, do Tribunal de Contas, também denominado Conselho de Contas ou Corte de Contas, cujos membros, chamados Ministros ou Conselheiros, gozam de imunidades que asseguram a sua independência. Esse órgão, apesar de exercer uma função administrativa, repita-se, a efetiva em caráter autônomo, e sem qualquer liame com o Chefe do Executivo. Já na Inglaterra e nos Estados Unidos da América do Norte, dito controle se faz através de Auditoria, General Accounting Office superintendida por Auditor-Geral, General Comptroller and Auditor, com garantias equivalentes às que se atribuem à magistratura, e, outrossim, em posição de absoluta independência dos órgãos governamentais controlados, inclusive do Chefe do Executivo. O exame das contas pode ser feito através de três processos diferentes que originaram os sistemas de exame prévio absoluto ou relativo, e do exame posterior. O exame prévio absoluto é aquele em que o veto do órgão fiscalizador externo impede os órgãos executivos e ativos a efetuarem a despesa em negando o seu registro, e, então, não pode ser feita. Esse veto absoluto é utilizado nos casos de falta de verba para essa despesa ou ter sido cogitada por verba imprópria. É o sistema acolhido pelo Tribunal de Contas da Itália, e, por isso, denominado de tipo italiano. Já o exame prévio relativo é aquele em que o veto do órgão fiscalizador externo, em considerada ilegal a despesa, nega-lhe o registro, e devolve a documentação aos órgãos executivos ativos com as razões do veto. Se os órgãos superiores do Executivo não se conformarem com o veto, solicitam ao órgão fiscalizador externo que faça o registro sob protesto. Após essa formalidade, ele dá ciência ao Legislativo do ocorrido, para que apure a responsabilidade dos órgãos executivos ativos, que levaram a efeito a despesa. Foi o sistema escolhido pelo Tribunal de Contas da Bélgica, e, por isso denominado de tipo belga. O exame posterior é o que a verificação da despesa se faz ao depois de efetuada. Elas não são evitadas pelo órgão de fiscalização externa, a quem cabe apenas providenciar em última análise, a punição dos culpados. Foi o sistema escolhido pelo Tribunal de Contas da França, e, por isso, denominado de tipo francês. O sistema do exame prévio absoluto adotado é conciliável com os outros dois, conforme a legislação, com referência a ato da Administração Pública de que resulte obrigação de pagamento pelo Tesouro Nacional ou por conta deste. Isto se verifica quando a recusa de registro tiver outro fundamento que a falta de verba ou disser respeito a verba imprópria, e, então, a despesa pode efetuar-se sob reserva ou protesto do órgão controlador externo, em determinada pelo Executivo a sua realização. Outrossim, ocorre o controle posterior quando, nos termos da legislação, o órgão controlador externo tem o encargo de exame do orçamento, após a sua execução, na apreciação das contas do Executivo, mediante relatório a ser oferecido ao Legislativo. Por seu turno, o sistema do veto relativo adotado é conciliável com o do exame a posteriori dos atos da Administração Pública, como seja, valendo-se do mesmo exemplo acima, quando compete ao órgão controlador externo a apresentação de relatório das contas do Executivo, em apreciando a execução por ele do orçamento, a ser, depois do exercício financeiro, encaminhado ao Legislativo. Tem o Congresso Nacional a função de fiscalizar os atos do Poder Executivo, bem como da administração indireta, e com as prerrogativas que lhe reconheça e lhe dê a lei, consoante dispõe o art. 45, da Magna Carta de 69, e, destarte, a Câmara dos Deputados e o Senado ou o próprio Congresso Nacional podem criar comissões de inquérito para a devida fiscalização a respeito. O Tribunal de Contas nasceu, realmente, na ordem jurídica pátria, somente com o Dec. 966-A, de 7.9.1890, que adotara o modelo belga. Isso logo após a proclamação da República, por ato do Governo Provisório. Ao Tribunal fora atribuída não só a fiscalização das despesas e de outros atos que interessem às finanças da República, como o julgamento das contas de todos os responsáveis por dinheiros públicos de qualquer Ministério a que pertencessem, dando-lhes quitação, ou ordenando-os a pagar o devido e quando isso não cumprissem, mandava proceder na forma de direito. A Constituição de 1891, simplesmente previu, ao dispor, no art. 89, sobre a instituição de um Tribunal de Contas, para liquidar as contas de receita e despesa e verificar a sua legalidade, antes de serem prestadas ao Congresso. Relegou, porém, para a Legislação ordinária a sua inteira organização. Posteriormente, todas as Constituições Republicanas o inseriram entre os seus dispositivos. Já as demais estabeleceram as linhas fundamentais desse órgão governamental. Valendo-se de autorização que lhe dera o Congresso Nacional pela Lei 23, de 30.10.1891, para organizar os serviços dos Ministérios, e pela Lei 26, de 30.12.1891, para organizar as repartições da Fazenda, o Poder Executivo promulgou o Dec. 1.166, de 17.12.1892, em que cogitou o Tribunal de Contas previsto pelo texto constitucional citado. Deu-lhe a competência de exame prévio das contas do Executivo e poder de veto absoluto, quanto às despesas, e, outrossim, conferiu-lhe a atribuição de julgar as contas dos responsáveis por dinheiros ou valores públicos, emprestando às suas decisões força de sentença, uma vez lhe reconhecia nessa função atuava como Tribunal de Justiça. E essa situação não se alterou na legislação posterior, até a promulgação da Constituição de 1934. Porém, essa última competência, qual seja, de julgar as contas dos responsáveis por dinheiros ou valores públicos, consoante demonstração do Prof. Mário Masagão (cf. “Em face da Constituição Federal, não existe, no Brasil, o Contencioso Administrativo”, pp. 137 a 175, Seção de Obras do Estado de S. Paulo, S. Paulo, 1927), em completo estudo sobre o contencioso administrativo no Brasil, devia ser havida como inconstitucional, isso porque a Constituição de 1891 revogara, diretamente, esse instituto estabelecendo a jurisdição una, afeta, em exclusividade, ao Poder Judiciário, ex vi do seu art. 60, “b” e “c”. Aliás, nesse sentido, já haviam se manifestado Ruy Barbosa (cf. Comentários à Constituição, coligidos por Homero Pires, vol. IV, pp. 429 e ss) e Pedro Lessa (cf. Do Poder Judiciário, p. 149). Como órgão de função administrativa, preposto do Poder Legislativo, como seu auxiliar, na verificação da gestão financeira do Estado, na verdade, pela sua própria natureza, não podia ter funções jurisdicionais. Aliás, o art. 89, citado, da Constituição de 1891, só lhe confiara aquela atribuição administrativa. Inconstitucional seria, portanto, através de lei ordinária, não só diminuí-la, como, e, principalmente, aumentá-la, dando-lhe função jurisdicional. As Constituições que se seguiram à Constituição de 1891, como salientado, mantêm o Tribunal de Contas por esta instituído e lhe dão as linhas mestras da sua organização, especificam o sistema de controle das contas adotado, e definem as suas competências. As Constituições de 1934 (cf. §§ 1.º e 2.º do art. 101) e de 1946 (cf. §§2.º e 3.º do art. 77) adotaram o sistema italiano de controle da conta, ou melhor, do veto prévio absoluto, proibitivo, com referência às despesas pretendidas em que houvesse falta de saldo no crédito ou que tivessem sido imputadas a crédito impróprio, e do veto prévio relativo, quando diverso fosse o fundamento da recusa, quanto à despesa em causa, e, ainda, o controle a posteriori relativamente a outras obrigações de pagamento. No caso de veto prévio relativo a despesa poderia efetuar-se após despacho do Presidente da República, feito, então, o registro sob reserva, com recurso de ofício à Câmara dos Deputados, segundo a Constituição de 1934, e ao Congresso Nacional, conforme a Constituição de 1946. Já as Constituições de 1937, 1967 e 1969 silenciam a respeito. Mencionam apenas as atribuições do Tribunal de Contas sem cogitar do regime de controle. Contudo, dos termos das Constituição de 1967 (art. 71, e parágrafos, e §4.º do art. 73) e Magna Carta de 1969 (art. 70 e parágrafos, e §4º do art. 72) se conclui que optaram, em princípio, pelo sistema francês, do controle a posteriori, com ligeiras restrições, ao admitirem a faculdade de o Tribunal, de ofício, ou mediante provocação do Ministério Público, ou das autoridades financeiras e orçamentárias, e demais órgãos auxiliares, verificar a ilegalidade de qualquer despesa, inclusive as decorrentes de contratos. A auditoria financeira e orçamentária será exercida sobre as contas das unidades administrativas dos três Poderes da União, que, para esse fim, deverão remeter demonstrações contábeis ao Tribunal de Contas, a que caberá realizar as inspeções que considerar necessárias (art. 79, §3.º de 69). Esses são os elementos necessários para as inspeções levadas a efeito pelo Tribunal de Contas, através dos seus órgãos de auditoria, e compreendem perícias, apuração de pagamento e de sua pontualidade, verificação do cumprimento das leis pertinentes à atividade orçamentária e financeira. Todas essas normas de fiscalização aplicam-se às autarquias, que consistem em pessoas jurídicas criadas pelo Estado, com capacidade específica de direito público na realização de objetivo administrativo (§5.º do art. 70 de 69). Por isso, como seus órgãos indiretos se acham enquadrados no todo estatal, embora seres distintos do Estado, ante a sua personalidade. Formam com ele uma unidade composta. Têm atributos de império, obrigação de agir, são criados por processo de direito público, sem objetivo de lucro e se sujeitam à fiscalização estatal. Distinguem-se em autarquias associativas e fundacionais (cf. Princípios Geral de Direito Administrativo, vol. II, p. 233). Deverá o Tribunal de Contas, em face da Constituição e no caso de concluir tenha havido qualquer irregularidade a respeito: a) assinar prazo razoável para que o órgão da administração pública adote as providências necessárias ao exato cumprimento da lei; b) sustar, se não atendido, a execução do ato impugnado, exceto em relação a contratos; c) solicitar ao Congresso Nacional, em caso de contrato, que determine a medida prevista na alínea anterior ou outras necessárias ao resguardo dos objetivos legais. Observe-se, a sustação do ato que refere a alínea “b” poderá ficar sem efeito se o Presidente da República determinar a execução, ad referendum do Congresso Nacional, sujeitando, portanto, essa ordenação apenas a controle a posteriori do Congresso Nacional (cf. Constituição de 1967, §8.º, do art. 73; de 1969, §8.º do art. 72). O Congresso Nacional deliberará sobre a solicitação de que cogita a alínea “c”, no prazo de 30 dias, findo o qual, sem pronunciamento do Poder Legislativo, será considerada insubsistente a impugnação (cf. Constituição de 1967, §5.º, “a”, “b” e “c”, e §6.º do art. 73; de 1969, §5.º, “a”, “b” e “c”, e §6.º do art. 72). Merece crítica as disposições que têm como insubsistente a falta de pronunciamento legislativo no prazo legal a ele cominado. A solução devia ser exatamente a outra, isto é, tornando a sustação definitiva, adotada, aliás, pela Constituição Paulista no seu art. 91, III. Igualmente, a orientação adotada em admitindo a possibilidade do Presidente da República de ordenar a execução do ato considerado pelo Tribunal de Contas ilegal, submetendo-o ao referendum do Congresso, mas só depois de perpetrada a ilegalidade, outrossim, merece crítica. Envolve, sem dúvida, completa falência do controle do Tribunal de Contas. Por outro lado, regulam a Constituição de 1967 e a Magna Carta de 69 do controle interno da execução do orçamento. Realmente, dispõem que o Poder Executivo manterá sistema de controle interno, a fim de: I – criar condições indispensáveis para assegurar eficácia ao controle externo e regularidade à realização da receita e da despesa; II – acompanhar a execução de programas de trabalho e a do orçamento; e III – avaliar os resultados alcançados pelos administradores e verificar a execução dos contratos (1967, art. 72; de 1969, art. 71). Mas, as censuras acima feitas mostram ser de nenhum efeito essas pretendidas cautelas, pois indiretamente com os textos anteriormente criticados, nulificam, como salientado, o real controle de resultados práticos do Tribunal de Contas. A respeito dos textos criticados, a Constituição de 1934 dispunha que os contratos que, por qualquer modo, interessassem imediatamente à receita ou à despesa, só se reputariam perfeitos e acabados, quando registrados pelo Tribunal de Contas, e que a recusa de registro suspendia a sua execução até o pronunciamento do Poder Legislativo (art. 100). Igual preceito constava na Constituição de 1946 (art. 77, §.1º). Texto semelhante impunha-se tivesse sido acolhido pela Constituição da República Federativa do Brasil e das Constituições dos Estados. Destarte, estariam libertas das críticas anteriormente feitas a respeito. Tendo a Carta de 1937 deixado a completa organização do Tribunal de Contas à lei ordinária (parágrafo único do art. 114) apenas dispôs que competiria a ele acompanhar, conforme já dispunha a de 1934, diretamente ou por delegações organizadas, de acordo com a lei, a execução orçamentária; julgar as contas dos responsáveis por dinheiros ou bens públicos; e da legalidade dos contratos celebrados pela União. Essa tríplice competência foi repetida pelas Constituições que se lhe sucederam de 1946 (art. 77, I, II e III), de 1967 (§1.º do art. 72, §§ 5.º e 8.º do art. 73), e de 1969 (§1.º do art. 71, §§5.º e 8.º do art. 73), e de 1969 (§1.º do art. 71, §§5.º e 8.º do art. 73). E a elas se acrescentou a de julgar a legalidade das aposentadorias, reformas e pensões. Salvo a Carta Magna de 37, todas elas cogitam do parecer prévio do Tribunal de Contas, no prazo de 30 dias, segundo a Constituição de 1934 (art. 102) e de 60 dias segundo as demais (de 1946, §4.º, do art. 77; de 1967, §2.º do art. 71; de 1969, §2.º do art. 70) sobre as contas que o Presidente da República deve prestar, anualmente, ao Congresso Nacional. E, se elas não lhe forem enviadas no prazo da lei, comunicará o fato ao Congresso Nacional, para os fins de direito, apresentando-lhe num e noutro caso, minucioso relatório do exercício financeiro encerrado. Sem dúvida a Constituição de 1967 e a Magna Carta de 1969 através dos seus textos retrogradaram quanto a fiscalização de maior relevo que deve caber ao Tribunal de Contas, qual seja a de fiscal da administração financeira, como preposto do Legislativo. Sem o veto absoluto nos casos de falta de saldo no crédito e nos de imputação a crédito impróprio, a atuação do Tribunal de Contas deixa de ter sua razão de ser. Sem sentido se nos afigura a opinião de alguns que declaram terem sido aumentados os poderes do Tribunal de Contas, pelos textos da Constituição de 67 e Magna Carta de 69, ante a possibilidade que lhe cabe hoje de acompanhamento do desenvolver do orçamento, mediante inspeções especiais, levantamentos contábeis, e representação, que lhe compete, ao Poder Executivo e Congresso Nacional, sobre irregularidades e abusos, inclusive as decorrentes de contrato, pois lhes falta a possibilidade de impedir, de forma coercitiva e absoluta, despesas irregulares. Disse com razão Ruy Barbosa: não basta julgar a administração, denunciar o excesso cometido, colher a exorbitância ou a permissão para punir. Circunscrita a estes limites essa função tutelar dos dinheiros públicos será, muitas vezes, inútil por omissa, tardia ou impotente. Não é de outro sentir Dídimo da Veiga quando afirmou: “O exame a posteriori ou sucessivo deixa consumar-se a despesa para depois fiscalizar a legalidade da mesma, sendo de todo o ponto ilusória a responsabilidade do ordenador, que nunca se torna efetiva, e a do pagador, sempre que a despesa paga for de cifra tão elevada que exceda o valor da caução prestada e dos bens do responsável; a fazenda pública vê-se lesada, fica a descoberto de qualquer garantia, o que, de per si só, é suficiente para coordenar o regimem da contrasteação ex post facto”. (Relatório do Tribunal de Contas de 1899, p. 13). É de lamentar-se essa restrição aos poderes do Tribunal de Contas, muito ao gosto das ditaduras e dos governos de fato. É de lamentar-se, mais ainda, que as Constituições estaduais tenham seguido essa mesma orientação. Vale a pena recordar-se que quando se quis extinguir a fiscalização prévia, com veto absoluto, no Governo Floriano Peixoto, seu Ministro da Fazenda, Seserdelo Correia, pediu exoneração do cargo, e teve oportunidade de dizer em carta ao Presidente a respeito do veto impeditivo. “Longe de considerá-lo um embaraço à administração, eu o considerava o maior fiscal da boa execução do orçamento”. E prosseguia acertadamente: “Se a despesa está dentro do orçamento, se existe verba ou se tem recurso a verba, o Tribunal não pode deixar de registrá-la. Se não existe ou está esgotada, é o caso dos créditos extraordinários ou suplementares”. O registro sob protesto, isto é, do veto relativo não basta para essas hipóteses retro apontadas, para conter os abusos dos governantes e evitar desmandos financeiros. Claro, quando a recusa do registro tiver outro fundamento ele se explica, e então o registro se faz sob reserva. O controle posterior se tem aplicado como elemento complementar, na apreciação de comportamento dos ordenadores e pagadores de despesa para efeito de parecer sobre as contas ao Congresso, e consequente apuração de responsabilidade. Em que pese opiniões em contrário, se nos afigura perfeitamente possível, sem que ocorra a pecha de inconstitucionalidade, adotem os Estados federados e os Municípios, o veto absoluto e o relativo, conforme as hipóteses, na organização dos seus Tribunais de Contas, no exercício das respectivas autonomias, asseguradas pelos arts. 13 e 15, respectivamente, da Emenda 1/1969. As matérias pertinentes aos Tribunais de Contas se enfocam em dois ramos jurídicos: o Direito Financeiro e o Direito Administrativo. As matérias de Direito Financeiro, na verdade, são de competência prevalente da União, ex vi do art. 8.º, XVIII, “c”, da Magna Carta de 69, ou seja, de estabelecer, através de textos legislativos, normas gerais sobre orçamento, despesa e gestão patrimonial e financeira de natureza pública, e, pois aos Estados compete apenas legislar, supletivamente, sobre elas, segundo o parágrafo único do citado art. 8.º, XVII, “c”. Já as matérias de Direito Administrativo, em especial sobre a organização dos seus órgãos, cabem aos Estados pois assistem-lhes todos os poderes que não lhes foram vedados, por texto constitucional. Incumbe-lhes, então, e tão-somente, respeitar os princípios constitucionais, na Magna Carta de 69. Por conseguinte, afora as competências que lhes foram proibidas, hão de obedecer apenas as limitações que defluem dos princípios estruturais do regime pátrio, constantes da Constituição Federal. Portanto, cumpre aos Estados federados, ao organizarem o respectivo Tribunal de Contas, a observância do princípio de prestação de contas da administração, segundo art. 10, VII, “f” e mais elaboração do orçamento, bem como a fiscalização orçamentária, conforme o art. 13, IV. A conjugação desses dois princípios faz com que para efetivá-los devam instituir Tribunais de Contas, com as restrições expressas de que os seus membros não poderão exercer, ainda que em disponibilidade, qualquer outra função pública, salvo um cargo de magistério e nos casos previstos nesta Constituição; receber, a qualquer título e sob qualquer pretexto, percentagens nos processos sujeitos a seu despacho e julgamento, e não deverão exceder de sete, em consonância com o art. 13, IX da CF. Afora essas delimitações aos poderes dos Estados Federados, constantes dos textos suprarreferidos, nenhuma outra foi prevista, e como a eles são conferidos todos os poderes que, explícita ou implicitamente, não lhes tenham sido vedados pela Constituição Federal, como dispõe o §1.º do art. 13, é indiscutível, a nosso ver, ao organizarem os seus Tribunais de Contas, podem fazê-lo com liberdade, em escolhendo para efeito do controle financeiro o sistema que mais lhes convenha. Assim o de veto prévio absoluto quanto as despesas em que inexista verba ou esta seja imprópria. Certo, o art. 188 da Constituição de 67, reproduzido no art. 200 da Carta de 69, invocado pelos que negam essa possibilidade, não configura o referido impedimento. Realmente, os artigos em apreço dispõem que as disposições nela constantes ficam incorporadas, no que couber, ao direito constitucional legislado pelos Estados. Com isso se pretendeu, na melhor das hipóteses, que os Estados devem adotar, no mínimo, o modelo imposto pela Carta Federal, com referência ao controle financeiro, os princípios básicos constantes dessas Constituições em referência. Eles constituem o paradigma mínimo a serem obedecidos pelos Estados, tendo em atenção o modelo federal. Mas, nada impedem melhorem o sistema federal de controle das contas estaduais e o torne mais severo. Não lhe impuseram completa simetria de organização, o que seria absurdo em um Estado federal, de grande extensão territorial, e em que as unidades federativas são de áreas díspares e com diversidade de população, e de civilização e cultura distintas. Assim sendo, deverá o Tribunal de Contas do Estado, como mínimo tão-somente: I – exercer o controle externo da administração financeira do Poder Executivo e entes autárquicos, como colaborador da Assembleia Legislativo neste mister; II – apreciar, em parecer, as contas anuais da Administração Pública, e elaborar relatório quanto ao exercício financeiro, mediante a ajuda de auditoria, tomar as contas dos administradores e outros responsáveis pelo dinheiro público, e verificar da legalidade das aposentadorias, reformas e pensões; III – gozar de autonomia interna corporis dos Tribunais Judiciários e desfrutar os seus membros de situação equiparável aos magistrados dos Tribunais de Justiça; IV – satisfazer a nomeação dos seus membros os requisitos previstos para nomeação dos magistrados; V – representar ao Poder Executivo e à Assembleia Legislativa dando notícia de atos irregulares ou abusos verificados quanto a administração financeira e orçamentária; VI – sustar os atos da administração financeira quando exaurido o prazo a ela assinado para sua regularização, bem como solicitar à Assembleia Legislativa, em casos de contratos firmados pela administração, as medidas para resguardo da regularidade dos objetivos legais, acaso desrespeitados. Aliás, se realmente fosse negado aos Tribunais de Contas Estaduais ampliar e melhorar o sistema adotado pela União, a fim de torna-los mais aptos, à consecução da sua função, quanto a organização do próprio órgão e a sua ação fiscal, seria praticamente anular a autonomia dos Estados, assegurada pelo art. 13 da Magna Carta de 69, e, consequentemente, ter como revogada a Federação, firmada no art. 1.º dela, e cuja abolição, mediante reforma constitucional, sequer pode ser objeto de deliberação proposta nesse sentido, ante o art. 47, §1.º. Em consequência, são livres de organizar o órgão e a sua ação desde que respeitem, no mínimo, quanto a organização as normas dispostas pela União e quanto a sua ação ao figurino mínimo pertinente ao controle fiscal estabelecido pela União. Parece absurdo sustentar-se que está o Estado, pela Carta de 69, impedido de melhorar a organização de seu Tribunal e de tornar mais efetiva a sua fiscalização financeira. Como já salientado, a Magna Carta de 69 assegurou no art. 15 a autonomia dos Municípios. Admitiu a intervenção do Estado nos seus negócios quando deixarem de respeitar princípios insertos no §3.ª desse artigo. E entre eles, está o de prestação das contas devidas nos termos da lei, conforme já previsto no inc. II do citado art. 15. Consequentemente, no art. 16 estabeleceu que a fiscalização financeira e orçamentária será exercida mediante controle externo da Câmara Municipal e controle interno do Executivo municipal, instituídos por lei. E no §1.º dispõe: “O controle externo da Câmara Municipal será exercido com o auxílio do Tribunal de Contas do Estado ou órgão estadual a que for atribuída essa incumbência”. Destarte, admitiu o Estado entregue tal encargo ao seu Tribunal de Contas ou a órgão estadual para tanto criado e a quem caberá essa competência. Embora em caráter de colaboração à Câmara Municipal, o parecer prévio desses órgãos estaduais só deixará de prevalecer, segundo o §2.º desse artigo, mediante decisão de 2/3 daquela. Dessa forma ficaram postas balizar aos abusos das Câmaras Municipais sob a força de pressão da política. Restrições maiores comprometeriam a autonomia do Município. Para evitar esses abusos dos governantes municipais, sem tolher a autonomia, está na adoção pelos Estados do veto prévio absoluto e relativo, com referência aos Municípios nos termos que devem ser preconizados para o Tribunal de Contas do próprio Estado, com referência ao seu controle financeiro. Discute-se sobre a possibilidade de, em existindo Tribunal de Contas nos Estados, haver possibilidade de ser por ele criado órgão estadual com o encargo de proceder a fiscalização financeira dos Municípios, como auxiliar do controle externo das Câmaras Municipais. Entendem uns a dejuntiva ou do texto constitucional faz com que só se possa admitir a criação desse órgão em inexistindo Tribunal de Contas do Estado. Já outros sustentam a permissibilidade da criação desse órgão para efeito de descongestionar os Tribunais estaduais. Estes restringiram o seu controle contábil financeiro às contas do Estado federado, e o outro órgão se destinaria a igual controle dos Municípios. Aliás, só desse sentido se pode compreender a palavra “ou” intercalada entre as duas hipóteses, isto é, uma “ou” outra. Afigura-se-nos mais consentânea com a verdade a tese da última corrente, não obstante tenha havido pronunciamento do Supremo Tribunal Federal em favor da outra. Aliás há também decisão desse Tribunal em outro sentido. A fiscalização se fará por um ou outro órgão pertinente. Adotada a primeira orientação, ainda há de ter-se como sem sentido a previsão constitucional de outro órgão, além do Tribunal de Contas, para o referido controle, porquanto todos os Estados, obrigatoriamente, devem ter Tribunais de Contas, ex vi do art. 13, IX, da CF, completado pelo art. 200 que determina a incorporação, no que couber, das disposições constantes da Carta Federal, ao direito constitucional dos Estados. Demais, o trabalho que fica a cargo dos Tribunais de Contas dos Estados, quanto ao controle fiscal da sua atuação, pode perturbar o serviço desse Tribunal para efetivar, realmente, o controle financeiro dos Municípios, e, então, se explica a criação desse órgão especial distinto dos Tribunais de Contas, a critério do legislador estadual. Esse órgão autônomo estadual, no entanto, deverá gozar de regalias que assegurem a sua independência quanto a força de pressão política, a fim de poder exercer, com absoluta isenção, a sua atividade de auditoria, seja ele colegiado ou sob a orientação singular de um auditor-chefe. Contudo, os municípios, ante o §3.º, do art. 16, da Magna Carta de 69, com população superior a dois milhões de habitantes e renda tributária acima de quinhentos milhões de cruzeiros novos, podem eles próprios instituir Tribunais de Contas. E estes devem respeitar, na sua organização e ação, os princípios mínimos adotados pela Constituição Federal nos arts. 72 e parágrafos e mais outras normas aperfeiçoando-os, como seja o veto absoluto nos casos de falta de verba ou de verba imprópria, e o veto relativo quanto a outras despesas. Já o Município de São Paulo, em virtude do art. 191, ficou assegurado, e tão-somente a ele, a continuidade do seu Tribunal de Contas, salvo deliberação em contrário da respectiva Câmara, enquanto os demais Tribunais de Contas Municipais foram declarados, por esse mesmo termo, extintos. O Tribunal de Contas do Município de São Paulo pode ser reorganizado, e quanto a sua ação, como os novos Tribunais de Contas em outros Estados, dos respectivos Municípios em que vierem a ser criados, satisfazendo as exigências do §3.º do art. 16. Além de obedecerem ao modelo federal, nos seus contornos mínimos, cumpre aos Tribunais Municipais obedecerem aos textos mínimos dispostos na Constituição Estadual e na Lei Orgânica dos Municípios. Mas podem estabelecer controle mais extenso a eles quanto ao orçamento, conforme salientado. Afinal, pondere-se: é incrível que a Constituição Paulista haja, no art. 75, disposto que nenhuma despesa será ordenada ou realizada sem que exista recurso orçamentário ou crédito votado pela Assembleia, e tenha deixado de, expressamente, prever o veto absoluto do Tribunal de Contas, tanto do Estado como do Município da Capital, ao dispor sobre as suas competências a respeito. A expressão julgar as contas dos responsáveis pelos dinheiros e bens públicos, bem como da legalidade dos contratos e das concessões iniciais de aposentadorias, reformas e pensões, ensejou dúvidas na doutrina e na jurisprudência, qual seja, se ao empregar a expressão “julgar” os constituintes cogitaram de atribuir ao Tribunal de Contas funções jurisdicionais ou não. Quanto à última, de julgar da legalidade dos contratos, firmou-se orientação de que se tratava de função administrativa, empregada impropriamente a palavra “julgar” no texto, porquanto a decisão do Tribunal de Contas só tinha o efeito de suspender a sua execução até que se pronunciasse a respeito o Congresso Nacional. Funcionava, destarte, como órgão auxiliar do Poder Legislativo, sem caráter jurisdicional, mas tão-somente administrativo. Já quanto à primeira, de julgar as contas, prevaleceu a orientação de que se tratava de função jurisdicional, atribuída ao Tribunal de Contas. Procurou-se distinguir a expressão “julgar da legalidade” da de “julgar as contas”, por empregado o verbo em regência diversa pelos constituintes. Ora, o “julgar” no sentido de lavrar ou pronunciar sentença não pede objeto direto, diz-se “julgar do direito de alguém”. Já o “julgar” no sentido de avaliar, entender, pede objeto direto, diz-se “julgo” que tem razão (cf. Cândido de Figueiredo, verbete “julgar”, in Novo Dicionário da Língua Portuguesa, 3.ª ed., vol. II, Portugal-Brasil, s/d). Por conseguinte, a alteração da regência prova contra a tese dos que pretendem a expressão “julgar as contas” corresponda à de sentenciar, ou seja, de exercício da função jurisdicional. Na verdade, essa regência do verbo, ao contrário da outra de “julgar da legalidade”, autoriza a conclusão de que a expressão “julgar as contas” se refere ao significado de avaliá-las, entendê-las, reputá-las bem ou mal prestadas, jamais no sentido de sentenciar, de decidir a respeito delas. Observe-se, as Constituições de 1967 e 1969 separaram em dispositivos diferentes as duas atividades quais sejam: de julgar da legalidade dos contratos; e de julgar da legalidade das concessões iniciais de aposentadoria, reformas e pensões, juntos no mesmo item da Constituição de 1945. Quanto à primeira, isto é, legalidade dos contratos estabeleceram o princípio do recurso de ofício ao Congresso Nacional da sua deliberação. Já relativamente à segunda, ou seja, legalidade da aposentadoria, reformas e pensões, nada dispuseram a respeito, com referência à sua deliberação. Entretanto, nesta última hipótese, também, não se teve como definitiva a decisão do Tribunal de Contas. Se deixada de ser registrada pelo Tribunal de Contas, isso não impediria a sua efetivação, em mantido o ato pelo Executivo. Então, far-se-ia o registro sob protesto desses atos. Poderia, ainda, sem dúvida, em face dos textos constitucionais (1946, art. 77, III, §3.º e art. 141, §4.º; 1967, art. 73, §5.º, “b”, e art. 151, §4.º; e 1969, art. 72, §§5.º, “b”, e 8.º) o interessado interpor recurso ao Judiciário para defesa de seu direito individual acaso desconhecido, se entendesse ter direito à aposentadoria ou reforma e a sua família, se negada a pensão. Os adeptos da competência jurisdicional do Tribunal de Contas, no caso de julgar as contas dos responsáveis pelos dinheiros e bens públicos, sustentam que o fato do reconhecimento do alcance pelo Tribunal de Contas há de ser aceito sem discussão pelo Poder Judiciário. Concordam, no entanto, que a recusa na aceitação das contas, envolve apenas o reconhecimento, pelo Tribunal de Contas, de alcance por parte do ordenador da despesa ou seu pagador, pois a condenação, por crime de peculato, depende de sentença judicial do Poder Judiciário, e a condenação cível do débito, para efeito de indenização ao Poder Público, depende, também, de sentença judicial do Poder Judiciário. Destarte, ao Tribunal de Contas cabe decisão prejudicial sobre o fato. Porém, a condenação, pela prática do ilícito penal ou civil, na verdade, cabe ao Poder Judiciário, e mais a execução da sentença. Data venia, desses mestres, há de entender-se que, em ambas as hipóteses, o Tribunal de Conta só possui função administrativa de acompanhar a execução orçamentária e apreciar as contas dos responsáveis por dinheiros ou bens públicos. Com isso se não diminui o relevo do Tribunal de Contas, ao contrário se projeta na sua específica função de implantar a moralidade pública, de ordem administrativa, na fiscalização do orçamento. Na organização jurídica do Estado todos os órgãos são de igual importância no exercício de suas respectivas funções, cada uma imprescindível ao Estado de Direito. E de tal realce é a do Tribunal de Contas, que se encontra fora da concepção tríplice dos três poderes, e a quem cabe a fiscalização econômico-financeira da atividade de todos eles. Não teve o texto em causa, no entanto, o objetivo de investi-lo no exercício de função judicante, quando se expressou que lhe caberia julgar as referidas contas. Visou apenas lhe conferir a competência final na ordem administrativa sobre o assunto. Se tida como bem prestadas, está encerrado o trabalho pertinente à sua apuração, com a quitação que mandaria passar a favor dos que as ofereceram. Ao contrário, se entender caracterizado alcance quanto a dinheiro ou bem público, no exercício dessa função, determinará que paguem o considerado devido, dentro do prazo fixado, e, não satisfeita a determinação, lhe caberá proceder contra eles na forma de direito. Argui-se que, em as considerando o Tribunal de Contas irregulares, essa questão não poderia ser reaberta pela Justiça Comum, a quem caberia o processamento e julgamento do crime, consequência do alcance verificado. Portanto, caracterizado pelo Tribunal de Contas o alcance, na ação de peculato, esse pronunciamento obrigaria a Justiça Criminal Comum. Então, esta, quer dizer, a Justiça Comum, terá de aceitar dito pronunciamento sobre as contas do réu, como apuração de fato necessária à integração do delito, isto é, como apuração preestabelecida e requisito da ação, sob pena de um novo Juiz rejulgar o que tinha sido julgado por outro, incorrendo em injustificável bis in idem, em inútil nova apreciação, que resultaria em mero formalismo. Igual consideração se faz quanto à Justiça Comum, em ação executiva proposta pelo Estado, para cobrança de alcance e haver a correspectiva reposição patrimonial. Não se trata de rejulgamento pela Justiça Comum, porque o Tribunal de Contas é órgão administrativo e não judicante, e sua denominação de Tribunal e a expressão julgar ambas são equívocas. Na verdade, é um Conselho de Contas e não as julga, sentenciando a respeito delas, mas apura da veracidade delas para dar quitação ao interessado, em tendo-as como bem prestadas, ou promover a condenação criminal e civil do responsável verificando o alcance. Apura fatos. Ora, apurar fatos não é julgar. Julgar é dizer do direito de alguém em face dos fatos e relações jurídicas, tendo em vista a ordem normativa vigente. Se simplesmente apura fatos, sob a imprópria cognominação de julgar, não exerce função jurisdicional. E essa apuração poderá ser objeto de prova contrária em Juízo. Não deve constituir por isso prejudicial a ser aceita pelo Poder Judiciário sem qualquer exame. A Justiça Comum não pode ficar presa a ela, uma vez a Constituição não atribui expressamente a força de sentença as conclusões do Tribunal de Contas sobre o fato. E a quem cabe dizer do direito de alguém, em princípio, cabe a verificação do fato, em última análise. Logo, a Justiça Comum, ao dizer daquele, deve poder apreciar este. Inexiste bis in idem, porquanto uma coisa é a apreciação administrativa e outra a judicial de dado fato. Sem dúvida, a apuração do fato do alcance pelo Tribunal de Contas será uma prejudicial necessária para a propositura da ação, civil ou penal, como pressuposição do ilícito civil ou penal. Essa apuração prévia sempre se faz necessária. E, em princípio, será aceita pelo Poder Judiciário, seja no executivo fiscal para reposição patrimonial, ou na ação criminal contra o agente público. Isso porque documentalmente comprovada no procedimento levado a efeito pelo Tribunal de Contas. Contudo, se o agente público, réu em uma dessas ações, arguir cerceamento da defesa nessa apuração e trouxer para os autos provas convincentes da improcedência da apuração de ilícito civil ou penal contra ele, não pode o Poder Judiciário, que vai condená-lo, e, em seguida, executar a sua sentença, deixar de examinar essa alegação e verificar da sua procedência, se no bojo dos autos constarem elementos para admitir-se a veracidade do alegado contra o pronunciamento do Tribunal de Contas. Se os constituintes tivessem atribuído ao Tribunal de Contas função jurisdicional, deveriam tê-lo integrado no Poder Judiciário. Isso não fizeram, e, ao contrário, o colocaram entre os órgãos de cooperação nas atividades governamentais, como auxiliar do Poder Legislativo. Por outro lado, a Constituição de 91 havia abolido o contencioso administrativo. Por conseguinte o seu restabelecimento só se poderá admiti-lo, mesmo parcial, para julgamento das contas, dos responsáveis por dinheiros e bens públicos, quando tal viesse dito no texto de modo indiscutível, o que se conseguiria declarando-se que a decisão do Tribunal de Contas nessa matéria teria força de sentença. Poder-se-á contra-argumentar que se dera o título de Ministro aos seus membros, e a sua nomeação se faz nos moldes das dos demais Ministros da Corte Suprema e gozam das mesmas garantias destes, de vitaliciedade, de irremovibilidade e irredutibilidade de vencimentos, bem como quanto à organização do Regimento Interno e da Secretaria, tem o Tribunal de Contas as mesmas atribuições dos Tribunais Judiciários. Ora, o argumento prova demais. Isso se fez para assegurar a independência dos seus membros perante o Executivo no fiscalizar a sua gestão financeira, jamais para julgar das suas contas com força de sentença, de modo a obrigar, por exemplo, o Poder Judiciário a considerar como caracterizado o alcance de alguém, sem poder reapreciar essa apuração, e dever, portanto, aceitar como definitivo o julgamento do Tribunal de Contas. Não parece razoável obrigar o juiz criminal ou civil, reduzido a uma função formal a condenar alguém por provas que não o convencem ou não puder verificar de sua procedência, quando nos autos há elementos que as contestam. As leis ordinárias, que, na vigência da Constituição de 91, embora devendo ser havidas como inconstitucionais, quiseram atribuir ao Tribunal de Contas competência jurisdicional, o fizeram de forma expressa. Deram às suas decisões força de sentença. Isso não fizeram os textos constitucionais. Portanto, os textos em causa, constitucionais, devem ser interpretados como tendo em mira usar a palavra julgar no sentido restrito, atrás sustentado, isto é, dentro da órbita administrativa, pois do contrário atribuiriam a esse julgamento a força de sentença. Aliás, não se compreende que se interprete a expressão “julgar da legalidade” como restrita à órbita administrativa e “julgar as contas” se estenda ao âmbito jurisdicional. A alteração de regência do verbo não muda o sentido da função, passando-a de administrativa para jurisdicional, e, ao contrário, a regência direta não é a própria para o emprego da palavra no sentido de sentenciar, como se viu. Ambos os textos devem ser entendidos em sentido estrito, embora ao “julgar da legalidade” haja apreciação de matéria de direito, porém sem caráter definitivo, mero exame administrativo, relegada ao Judiciário a função jurisdicional. Demais, dita interpretação amolda-se à natureza do Tribunal de Contas, Tribunal Administrativo, de verificação de contas, e jamais Tribunal de Justiça, de julgamento afinal dos agentes públicos pelas contas não prestadas ou malprestadas. Aliás, não se confunde o julgar das contas com o julgamento dos responsáveis por elas. A função de julgar, no seu verdadeiro sentido, de dizer do direito em face dos fatos, diz respeito a alguém, ou melhor, a uma pessoa de direito, natural ou jurídica. No caso, o agente público que ordenou ou fez a despesa, natural, relativa ao alcance, de natureza penal, e a reparação patrimonial, de natureza civil, ou melhor, o responsável pelas contas. Já a expressão “julgar as contas” não contém qualquer função jurisdicional de dizer do direito de alguém, mas administrativo-contábil de apreciação do fato da sua prestação. Julgamento se faz dos agentes responsáveis pelas contas, jamais das contas. Estas se apreciam, como se disse, sob o aspecto administrativo-contábil. São insuscetíveis de julgamento. O Tribunal de Contas julga as contas, ou melhor, aprecia a sua prestação em face de elemento administrativo-contábil, e, outrossim, a legalidade dos contratos feitos, bem como das aposentadorias e pensões. A Justiça Comum julga os agentes públicos ordenadores de despesas e dos seus pagadores. E ao julgar os atos destes, sob o aspecto do ilícito penal ou civil, há de apreciar, também, os fatos que se pretendam geraram esses ilícitos. Repita-se, a função jurisdicional é de dizer o direito em face dos fatos. Jamais de apreciar fatos simplesmente. Mesmo se aceitasse como definitiva essa apreciação, não corresponderia a uma função de julgar. A certidão do Tribunal de Contas em afirmando o alcance do agente público, como documento de instrução do processo judicial tem tão-somente a presunção de verdade juris tantum, ante o texto constitucional e não juris et juri. Isso porque não possui força de sentença judicial e isso não pode ter, a menos que lhe fosse atribuída a competência de julgar o próprio ilícito civil e penal, atribuído aos agentes ordenadores da despesa e seus pagadores, isto é, os agentes responsáveis pelas contas. As sucessivas Constituições pátrias, expressamente, conferiram aos Juízes da União (cf. 1934, art. 81, “a”, e parágrafo único; 1937, arts. 107, 108 e parágrafo único; 1946, art. 201 e §§1.º e 2.º; 1967, art. 119, I, e 1969, art. 125, I) competência para processar e julgar as causas em que a União for interessada como autora ou ré, assistente ou opoente, e só excepcionaram dessa competência a competência da Justiça local nos processos de falência e outros em que a Fazenda Nacional, embora interessada, não intervenha como autora, ré, assistente ou opoente, e ressalvaram, ainda, a competência da Justiça Eleitoral, Militar e do Trabalho. Nada disseram quanto às contas dos responsáveis por dinheiro ou bem público. Ao contrário, as Constituições de 34 (art. 81, “i”), de 46 (art. 104, II, “a”, art. 105, depois de promulgado o AI/2, art. 6º), de 67 (art. 119, I e IV), e 69 (art. 125, I e IV), sem qualquer ressalva em favor do Tribunal de Contas, atribuíram aos Juízes Federais competência para processar e julgar, em 1.ª instância, os crimes praticados em detrimento de bens, serviços ou interesse da União ou de entidades autárquicas ou empresas públicas, ressalvadas tão-somente a competência da Justiça Militar, do Trabalho e Eleitoral. Se pretendessem excluir da competência dos Juízes Federais o julgamento dos responsáveis por dinheiro ou bens públicos, dando força de sentença à decisão do Tribunal de Contas a respeito das suas contas, deveria ter isso dito, ou, ao menos, feito remissão a esse artigo. Ao contrário, silenciaram. Não tendo excluído essa matéria da competência dos Juízes federais, ela lhes deve caber, ex vi dos artigos das diferentes Constituições pátrias, e não só a competência formal de condenar os cujas contas forem rejeitadas e havidas como tendo cometido delito, ou civilmente responsáveis, como apreciar o mérito desse ilícito penal e civil, que lhe fosse imputado. E essa competência, ora foi conferida em grau de recurso, ao Supremo Tribunal Federal (Constituição de 34, art. 76, II, “a”, c/c art. 79, parágrafo único, §1.º, 101, II, 2.ª letra “a” e art. 109 (parágrafo único); ora, aos Tribunais Federais para julgar privativa e definitivamente (Constituição de 1946, art. 104, II “a”; 67; art. 117, II, e parágrafo único; 69, art. 122, II, e parágrafo único), exceto as questões de falência, e as sujeitas à Justiça Eleitoral, à Militar e à do Trabalho. E nenhum Tribunal julga privativa e definitivamente uma questão se não puder apreciá-la, tanto no seu aspecto formal como material. Observe-se, considera-se como crime de responsabilidade dos Ministros de Estado não só os que praticarem ou ordenarem, como, ainda, os relativos a despesas do seu Ministério, a que lhes incumbe dirigir, como orientador, coordenador e supervisor dos seus órgãos, pois respondem por elas e o da Fazenda, além desses, como os pertinentes à arrecadação da receita, por lhe estar afeto ainda esse encargo. Portanto, como se poderá entender que a expressão constitucional “julgará as contas dos responsáveis por dinheiros ou bens públicos” equivale à outorga de função jurisdicional ao Tribunal de Contas? A que fica a mesma função entregue à Justiça Política e depois à Justiça Comum, nos casos de crimes de responsabilidade do Presidente da República e conexos dos Ministros de Estado, e à Corte Suprema, nos de responsabilidade dos Ministros, os quais respondem não só pelos atos que ordenarem ou praticarem, como pelas despesas do seu Ministério, e, o da Fazenda, além disso, pela arrecadação da receita? E como se processaria a responsabilidade posterior dessas autoridades, civil e criminal, perante a Justiça Comum, ao depois de condenados pela perda do cargo? Ora, nem uma palavra existe sobre o Tribunal de Contas. Considerado por este ato do Presidente da República e dos Ministros de Estado a ela conexos como tendo atentado contra a probidade administrativa ou a execução do orçamento, ficará o Tribunal Político preso aos pronunciamentos do Tribunal de Contas? Então, o órgão auxiliar do Congresso, de Fiscalização financeira e orçamentária, se sobreporá, nas suas conclusões, a ele? Não terá a Câmara dos Deputados a liberdade de apreciar da existência ou não do apontado atentado à probidade administrativa por parte do Presidente para apresentar a denúncia contra ele, e o Senado ficará obrigado a aceitar como provado esse atentado, objeto de denúncia, sem apurar a veracidade, formando por si próprio o Juízo a respeito? Consequência última a se tirar é a anteriormente preconizada, qual seja, a de que a expressão “julgar” as contas conferida ao Tribunal de Contas, aliás impropriamente, se restringe à órbita administrativa, com o objetivo de poder dar quitação ou mandar apurar a responsabilidade das contas dos responsáveis por dinheiros ou bens públicos. E, ainda, com esse mesmo sentido é dado à palavra julgar, como correspondendo a apreciar as contas tão-somente se encontra quando se atribui nas Constituições de 1934 (art. 40, “c”), 1946 (art. 65, VIII), 1967 (art. 47, VIII) e 1969 (art. 44, VIII) ao Congresso Nacional competência privativa para julgar as contas do Presidente da República. Isso porque o Presidente da República deverá apresentar ao Congresso Nacional dentro de 60 dias as suas contas relativas ao ano anterior, após a abertura da Assembleia Legislativa, ex vi do art. 81, XX, com parecer prévio do Tribunal de Contas, em 60 dias do seu recebimento. Como consideração última, pondere-se que em face das Constituições pátrias, desde a de 1946, sempre se assegurou, entre os direitos individuais dos cidadãos, e entre eles estão os agentes públicos, ordenadores de despesas e seus pagadores, que não poderia ficar excluída do Poder Judiciário qualquer lesão de direito individual, o que lhe seria assegurado por lei. Ora, em entendendo o agente público, cujas contas deixaram de ser aceitas pelo Tribunal de Contas, que com isso se acarretou lesão ao seu direito de defesa e de que a comprovação de fato arguido não é verdadeira, há de permitir-se ao Judiciário, sempre, o seu exame, sob pena de lesão desse direito individual deles, seja na arguição de ilícito civil ou criminal. Portanto, o Tribunal de Contas não exerce função jurisdicional e tão-somente administrativa de tomada de contas. Tal ponto de vista é igualmente defendido por Guimarães Menegale (cf. Direito Administrativo e Ciência da Administração, pp. 219-226, Borsói, Rio, 1957) e por José Afonso da Silva (cf. Do Recurso Extraordinário no Direito Processual Brasileiro, pp. 265-268, Livro 114, Ed. RT, 1963). Clenício da Silva Duarte (cf. Anais do VIII Congresso de Tribunais de Contas do Brasil, vol. II, pp. 441-477, João Pessoa, 1976). Em conclusão I – A função por excelência do Tribunal de Contas é o controle do orçamento, a fim de assegurar a moralidade pública. II – Os Tribunais de Contas não exercem, na verdade, função jurisdicional, mas de apreciação de contas apenas, cuja atividade a respeito é de especial relevo. III – O Tribunal de Contas na Constituição de 67 e Carta de 69 teve os seus reais poderes restringidos e assim prejudicado o exercício da sua precípua função. IV – Só o veto absoluto contra despesas sem verba ou verba imprópria permite o efetivo controle do orçamento, reservado o veto relativo para outras despesas e o controle a posteriori para a apuração final de responsabilidades dos seus ordenadores e pagadores. V – Os tribunais de Contas dos Estados e Municípios podem adotar, em face dos arts. 13 e 15 da Carta de 69 c/c o art. 1.º, o veto absoluto e relativo e o controle a posteriori nos termos acima enunciados, para garantia do cumprimento do cumprimento do orçamento. VI – Os Estados, nos Municípios em que inexiste Tribunal de Contas, podem exercer o controle dos orçamentos municipais, através dos seus Tribunais de Contas ou de órgão criado para esse fim.
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