Thèses sur le sujet « Storia di Roma »

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1

Pierini, Anna <1995&gt. « I Giardini Segreti di Villa Borghese a Roma. Storia e gestione ». Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2020. http://hdl.handle.net/10579/16954.

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Résumé :
L’obiettivo che questo lavoro si propone è quello di presentare e far conoscere le vicende che hanno interessato i Giardini Segreti di Villa Borghese a Roma. Il lavoro effettuato si suddivide in due parti distinte ma correlate ai fini di una maggiore comprensione del caso. La prima sezione, che comprende i capitoli II, III e IV, si incentra sulla ricerca storico-artistica che indaga le origini e le trasformazioni dei Giardini Segreti dalla loro creazione, che risale al 1609, al restauro storico, di alcuni di essi, avvenuto nel 2016. Nel dettaglio la trattazione inizia con l’analisi di alcuni aspetti riguardanti lo sviluppo del parco della Villa e di coloro che l’hanno posseduta, utilizzata e trasformata, dal XVII secolo ad oggi. Prosegue successivamente con la ricerca sul collezionismo botanico della famiglia che tocca l’apice nella prima del Seicento con il capostipite Scipione Caffarelli Borghese ma che propone interessanti spunti di riflessione anche con altre personalità che hanno ereditato, oltre la proprietà, questa particolare passione. Si conclude infine questa prima parte con un’indagine storica relativa ai Giardini cosiddetti Segreti: dalla loro creazione, sempre agli albori del Seicento, sino all’acquisizione di essi da parte dello Stato nel 1903, il quale poi li diede in gestione al Comune di Roma.La seconda parte, che comprende i capitoli V e VI, è, invece, di ambito economico e consiste in un’analisi della gestione dei sopracitati Giardini e delle particolari modalità operative che hanno permesso il loro restauro tramite il finanziamento e la collaborazione della Onlus “Mecenati della Galleria Borghese”.
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2

DI, CARPEGNA GABRIELLI FALCONIERI TOMMASO. « Il clero urbano di Roma nei secoli IX-XII ». Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano, 1996. http://hdl.handle.net/11576/2507133.

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3

Testa, Sara <1990&gt. « I Trattati di Roma sulla stampa italiana, 1955-1958 ». Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2019. http://hdl.handle.net/10579/15205.

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Résumé :
La tesi, tramite l’utilizzo sia di letteratura che fonti primarie, presenta la copertura dei negoziati e della firma dei Trattati di Roma (1957) da parte di alcune tra le principali testate giornalistiche italiane di portata nazionale (l’“Avanti!”, “l’Unità” e “La Stampa”), coprendo il periodo dalla Conferenza di Messina del 2 giugno 1955 alle elezioni nazionali del 25 maggio 1958. L’analisi, sia di tipo quantitativo che qualitativo, compara la copertura mediatica del processo di "integrazione europea" dell'Italia e le modalità con cui le diverse testate esposero i fatti.
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4

Cadelo, Maria <1987&gt. « Modelli femminili di beneficenza a confronto nell'eta dell'emancipazione ebraica : le opere pie di Roma e di Torino ». Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2020. http://amsdottorato.unibo.it/9323/1/tesi_Cadelo.pdf.

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Résumé :
Il presente lavoro ripercorre la vicenda storica di alcuni istituti di beneficenza, operanti a Roma e a Torino tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo, attraverso le carte di archivi rimasti finora inesplorati. L’attenzione è stata posta sul ruolo femminile, risultato determinante nell’improntare l’attività di tali enti. L’esclusione della donna dalla vita comunitaria sancita dalla tradizione, non impedì che durante la fase dell’emancipazione delle minoranze religiose, vi fosse una graduale ridimensionamento della tradizionale separazione dei ruoli. Questo aspetto è da porsi in rapporto con la necessità spesso avvertita dalla donna di contribuire al sostentamento economico del nucleo familiare. L’incremento della povertà fu motore anche dell’iniziativa delle donne borghesi che vennero coinvolte sempre più frequentemente in attività filantropiche, pertanto dimensione lavorativa e attività di beneficenza furono i sentieri privilegiati a partire dai quali il femminile fece il proprio ingresso nella dimensione sociale. La storia delle istituzioni, ricostruita principalmente attraverso i Pinqasim, si inquadra in un sistema reticolare di beneficenza che assume una particolare valenza nella fase successiva all’emancipazione ebraica. Il modello filantropico sotteso all’intervento educativo, incorpora il tradizionale concetto di tzedakah, ma assolve anche alla funzione cruciale di preservare il legame di coesione tra i membri interni della comunità. La storia delle associazioni costituisce un punto di partenza per comprendere la situazione economica e sociale delle università romana e torinese e dei suoi complessi rapporti con la realtà esterna.
The work traces the story of some Jewish charities societies, operating in Rome and Turin between the end of the 19th century and the beginning of the 20th century through the archival documents unexplored. Attention was focused on the female role. The exclusion of women from community life enshrined in tradition did not prevent a gradual reduction of the traditional separation of roles during the phase of emancipation of religious minorities. The increase in poverty was also the engine of the initiative of the bourgeois women who were increasingly involved in philanthropic activities, therefore work dimension and charity activities were the privileged paths from which the female made its entry into the social dimension. The history of the institutions, reconstructed mainly through the Pinqasim, is part of a network system of charity that takes on particular significance in the phase following Jewish emancipation. The philanthropic model underlying the educational intervention incorporates the traditional concept of tzedakah, but also fulfills the crucial function of preserving the bond of cohesion between the internal members of the community. The history of the associations is a important starting point for understanding the economic and social situation of the Roman and Turin universities and its complex relations with the external reality.
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5

CASELLA, VALENTINA. « Roma reale, Roma immaginata. L'Urbe come grande scenografia della letteratura di età augustea (Virgilio, Orazio e Properzio) ». Doctoral thesis, Università degli studi di Genova, 2018. http://hdl.handle.net/11567/929141.

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6

Santini, Ilaria <1992&gt. « La comunità cinese nel quartiere Esquilino di Roma ». Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2019. http://hdl.handle.net/10579/14230.

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Résumé :
La mia tesi analizza la presenza di residenti della Repubblica popolare cinese nel quartiere Esquilino di Roma; la ricerca si è svolta attraverso una raccolta di dati statistici demografici e un attività sul campo tramite interviste ad istituzioni e personalità coinvolte nell'accoglienza. Con questa ricerca di tipo qualitativo ho raccolto dati e informazioni riguardanti l'integrazione, l'istruzione, la sanità e l'importanza della figura di un mediatore culturale e di un dialogo transculturale rivolto agli stranieri e in particolare alla popolazione cinese in ambito sanitario. Il primo capitolo della mia tesi offre un panorama generale dell'immigrazione cinese nel mondo, in Europa, in Italia e una caratterizzazione delle principali comunità cinesi nella penisola. Il secondo capitolo descrive la presenza migratoria a Roma e presenta gli aspetti demografici ed economici della collettività cinese nel quartiere Esquilino. Il terzo capitolo è dedicato invece all'integrazione e all'istruzione dei residenti cinesi del quartiere. Il quarto capitolo tratta della salute, in particolare in riferimento a iniziative e progetti di orientamento all'assistenza sanitaria e alla prevenzione, organizzati nel Rione Esquilino per la popolazione cinese ed immigrata del quartiere; realizzati grazie alla cooperazione della Caritas, del Poliambulatorio e dell'Asl presenti nella zona. In questo capitolo ho posto particolare attenzione all'importanza di tematiche come l'accoglienza e l'ascolto, evidenziando il ruolo essenziale del dialogo transculturale e della figura del mediatore culturale in ambito sanitario, in particolare nella definizione della comunicazione e del rapporto tra medico e paziente.
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7

RICCIONI, Stefano. « Scrittura e immagine nella Roma gregoriana : dottorato di ricerca in storia dell'arte, 14. ciclo, Università di Roma “La Sapienza”, A.A. 2002-2003 ». Doctoral thesis, Università degli Studi La Sapienza - Dipartimento di Storia dell'arte, 2004. http://hdl.handle.net/10278/36264.

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Résumé :
La tesi di dottorato propone una ricerca interdisciplinare su documenti figurativi ed epigrafici prodotti a Roma (e nel territorio adiacente), durante il periodo della cosiddetta “Riforma Gregoriana” (metà secolo XI - metà del secolo XII). Si tratta di un lavoro che è insieme di storia dell’arte figurativa, di storia delle ideologie e delle culture (e perciò di autori e testi), nonché di paleografia epigrafica. La ricerca è stata organizzata in tre parti. La prima è un’introduzione alla storia e al contesto sociale di Roma nonché all’organizzazione ecclesiastica durante la Riforma gregoriana. L’esigenza di un rinnovamento interno alla Chiesa, volto all’emancipazione dal potere imperiale, comportò un diverso atteggiamento nei confronti delle immagini rispetto alla tradizione. In questa sede sono stati esaminati gli scritti di Bruno di Segni (Sententiae). Essi hanno svelato la presenza di una “teoria artistica riformata”, nonché elementi fondamentali per la comprensione della simbologia connessa all’edificio ecclesiastico, alle immagini e alle scritture. Lo status del testo scritto si è rivelato, infatti, significante anche dal punto di vista “iconico” poiché la scrittura aveva un valore autenticante, oltre ad essere uno strumento mnemonico e liturgico. Nella seconda parte della ricerca è stato proposto un inedito esame delle “scritture esposte” di Roma (secc. XI-XII). In questa sezione sono state esaminate le iscrizioni d’apparato librarie (nelle Bibbie Atlantiche e nei rotoli di Exultet), le epigrafi su supporto lapideo (lastre di dedica, di consacrazione, etc.) e le iscrizioni presenti nei manufatti artistici monumentali (cicli pittorici e mosaici). Il lavoro ha messo in luce le diverse tipologie scrittorie presenti nella Roma gregoriana, in gran parte improntate alla capitale d’imitazione classica e influenzate da modelli librari. Il confronto tra la capitale tipizzata delle Bibbie Atlantiche e le epigrafi lapidee dell’età di Gregorio VII ha dimostrato l’intervento della committenza pontificia nella formazione di un modello grafico da esporre al pubblico, quale “manifesto” della Riforma. Inoltre, le stringenti relazioni formali tra le scritture librarie e le iscrizioni degli apparati figurativi hanno evidenziato gli scambi “culturali” tra gli esecutori e i committenti dei cicli dipinti (o a mosaico) e gli scriptoria monastici, in particolare quello di Montecassino. Ad esempio, sono emerse le connessioni tra le scritture dei cicli pittorici della chiesa inferiore di S. Clemente, di S. Anastasio a Castel S. Elia e dell’Immacolata di Ceri, consentendo di precisarne la cronologia. Tali scambi hanno inoltre rivelato che la concezione e l’organizzazione del registro visivo erano improntate sui principi della composizione “retorica”, che guidava le pratiche di lettura, la scrittura dei codici e dei rotoli liturgici. La terza parte propone due casi esemplari del metodo interdisciplinare adottato: i mosaici absidali di S. Clemente e di S. Maria in Trastevere. Dal mosaico di S. Clemente è emersa la particolare costruzione “retorica” dell’iconografia, frutto di una stretta connessione tra il testo delle iscrizioni, la loro realizzazione grafica, e le immagini. La complessità del programma figurativo ha rivelato due diversi orientamenti di lettura, uno rivolto ai canonici riformati, l’altro alla congregazione dei fedeli. Il rapporto tra testi e immagini, improntato sulle pratiche liturgiche e cultuali, fu, infatti, funzionale alla selezione del pubblico. L’esame del mosaico di S. Maria in Trastevere ha, d’altro canto, evidenziato il mutamento della strategia propagandistica della Chiesa. Il messaggio trionfale del mosaico, espresso dal tema simbolico dello sposalizio di Maria desunto dal Cantico dei Cantici, mira alla celebrazione del trionfo ecclesiastico e di Innocenzo II nella qualità di Vicarius Christi. L’analisi del mosaico ha fatto emergere numerosi elementi di novità connessi, ad esempio, all’uso simbolico del colore e delle tipologie grafiche, nonché alla loro interazione in chiave iconologica. La ricerca è stata completata da un censimento delle epigrafi romane prodotte tra i secoli XI e XII, dove sono state raccolte le inedite informazioni che hanno costituito la base del lavoro.
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8

Cerioli, Lucilla <1987&gt. « La cultura possibile : nuove ipotesi di gestione economica e trasmissione di saperi. Il caso del teatro Valle di Roma ». Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2012. http://hdl.handle.net/10579/1985.

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Résumé :
L'oggetto del lavoro di tesi che intendo analizzare ed approfondire ruota intorno all'esperienza di un nuovo tipo di gestione economica di un teatro storico, il più antico di Roma: il Teatro Valle. Questo processo, iniziato con l'occupazione del teatro stesso nel giugno scorso in seguito alla riduzione del Fondo Unico per lo Spettacolo (FUS) e allo scioglimento dell'Ente Teatrale Italiano (ETI), ha portato e sta portando ad una modalità di autogestione e organizzazione che coinvolge attivamente la collettività e numerosi lavoratori del mondo teatrale e artistico, uniti nell'intento di dare vita ad uno spazio pubblico, aperto, dove la cultura, possa costituire un elemento unificante, democratico e accessibile per tutti. In particolar modo sarei interessata ad analizzare questa esperienza dal punto di vista economico-giuridico, come modello che, nel caso riuscisse a realizzarsi, costituirebbe un'iniziativa importante di azionariato collettivo e popolare che mira a dare una nuova vita e una nuova forma ad una realtà, quella teatrale, dello spettacolo e della cultura in generale, troppo spesso posta in secondo piano. La volontà del comitato del teatro di costituire una fondazione (Fondazione Teatro Valle Bene Comune per le Drammaturgie Italiane e Contemporanee) con uno statuto partecipativo che si propone come frutto di una reale collaborazione di tutti i cittadini, costituirebbe, nell'intento degli organizzatori, un segno importante, un tentativo di democratizzazione e di avvicinamento degli individui a un bene comune, il teatro stesso, così come al diritto alla formazione e alla conoscenza, spesso non sempre alla portata di tutti. Sotto un profilo organizzativo mi piacerebbe analizzare l'esperienza del teatro Valle come nascita di un nuovo tipo di assetto sociale, che si dichiara lontano dalle logiche privatistiche e dalle leggi del mercato, ma che allo stesso tempo necessita di inserirsi all'interno del tessuto urbano della città, con cui deve essere in grado di instaurare un dialogo proficuo nel lungo periodo. É proprio l'aspetto culturale e di offerta formativa che questa esperienza sta portando alla luce che ritengo interessante studiare: per analizzare la pluralità dei settori culturali coinvolti, il dialogo che una vicenda forte come questa e sicuramente “estrema” sotto molti punti di vista è riuscita a costruire con la collettività e se e in che modo si sta pensando di portarlo avanti in maniera proficua. Nondimeno risulta particolarmente interessante osservare le dinamiche e gli sviluppi che si sono necessariamente creati all'interno del gruppo in un'ottica di lungo periodo. I diversi punti di vista, le riflessioni e i dibattiti costituiscono uno spunto interessante per analizzare come i propositi e le motivazioni iniziali incontrino possibili naturali cambiamenti e di quanto la nuova “piccola” realtà costruita all'interno del teatro si discosti da una realtà più “istituzionale”. Trovo particolarmente stimolante occuparmi di questa esperienza e delle ragioni che ne stanno alla base perché rappresenta l'ultima di una lunga serie di forme di autogestione e coesione sociale che si stanno verificando in questi anni nel nostro Paese. Il Teatro Valle si caratterizza come punto di partenza cui sono seguite nuove forme di riappropriazioni di spazi pubblici come il Teatro Marinoni di Venezia, il Teatro Coppola di Catania e la tre giorni di dibattiti ai Cantieri Culturali della Zisa di Palermo.
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Bufalo, Maria Rosa <1990&gt. « Esperienze pedagogiche in Roma antica : casi esemplificativi di progresso e censura ». Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2018. http://hdl.handle.net/10579/12858.

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Il tema del lavoro è l’educazione, quella impartita dalla famiglia e quella più specificatamente scolastica. Dopo un parallelo con il sistema di istruzione greco, viene delineato come si organizzava quello romano, diviso, come oggi, in scuole primarie, secondarie e superiori. Il ludus litterarius era diretto dal magister, che si occupava principalmente di impartire l’insegnamento della lettura e della scrittura. La scuola secondaria era presieduta dal grammaticus, che leggeva testi di autori autorevoli della tradizione per insegnare la recte loquendi scientia, cioè il parlare bene. La scuola del rethor infine dava la possibilità agli studenti di affinare la propria preparazione nell’oratoria, fondamentale per coloro che avessero ambito ad una carriera illustre. Posto che, rispetto al sistema scolastico greco, le scuole romane non introducono particolari cambiamenti, il focus dello studio si concentra su dei casi esemplificativi di scuole del I sec. a.C. che, al contrario, avevano portato forme di innovazione nel loro programma e negli insegnamenti che offrivano. La particolarità di queste scuole sta nel fatto che esse vennero chiuse, in apparenza perché portatrici di novitas, ma in realtà per motivi politici: si tentava di screditare coloro che aprivano queste scuole o personaggi ancora più influenti a loro legati, come nei casi di Plozio Gallo e di Cecilio Epirota, usando come pretesto il fatto che questi incoraggiavano un ambiente in cui circolavano idee pericolose per la pars politica al potere.
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Campini, Ruben <1995&gt. « Il Mito di Ravenna nell'Ottocento. L'Imago Civitatis tra il Congresso di Vienna e Roma Capitale ». Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2020. http://hdl.handle.net/10579/17222.

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Résumé :
L'Ottocento costituì per Ravenna un momento di profonda trasformazione, scandito da due fondamentali eventi politici, il Congresso di Vienna, a seguito del quale la città rientrò a far parte dei territori dello Stato della Chiesa dopo il ventennio di dominazione napoleonica, e l'Unità d'Italia. In questo periodo, Ravenna, considerata già dal secolo precedente una città morta, poco visitata, priva di un'economia e di un'industria fiorenti, niente più che una città di second'ordine, cercò faticosamente di giocare un nuovo ruolo all'interno del suo contesto territoriale, attraverso la fondazione e la valorizzazione di una nuova identità basata sul suo antico passato di Capitale, materializzato nei suoi monumenti di V e VI secolo. Tale processo si configura come il frutto di un dialogo locale, nazionale ed internazionale, che aveva portato all'elaborazione di diverse interpretazioni della città e delle sue memorie e che si esplicitò in azioni materiali sui monumenti antichi, finalizzate all'allineamento della città reale con quella del mito. Il presente studio si propone dunque di ricostruire questo dialogo e costituisce la prima parte di un più ampio progetto realizzato in collaborazione con la Dott.ssa Annalisa Moraschi, che estenderà l'analisi della percezione e della trasformazione della città e dei suoi monumenti fino alla vigilia della Prima Guerra Mondiale.
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GIULIANO, LUCIA. « Italien und Deutschland : storia di una rivista della Goethezeit ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2010. http://hdl.handle.net/2108/202619.

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Résumé :
Il presente studio prende in esame la rivista artistico-letteraria Italien und Deutschland in Rücksicht auf Sitten, Gebräuche, Litteratur und Kunst (Italia e Germania. In considerazione di usi, costumi, letteratura e arte), pubblicata tra il 1789 e il 1793 dalla casa editrice della prestigiosa Accademia delle Arti e delle Scienze di Berlino. Il periodico fu ideato e curato dallo scrittore Karl Philipp Moritz che, durante il suo soggiorno romano (1786-1788), coinciso con quello di Goethe, ebbe la possibilità di collaborare con figure che si rivelarono determinanti per l’esportazione del modello classico in Germania. Tra queste, l’archeologo Aloys Hirt, secondo collaboratore della rivista e vera anima della stessa. Italien und Deutschland funge in primis da osservatorio privilegiato per cogliere i molteplici livelli della circolazione artistica italo-tedesca tra fine Settecento e inizi Ottocento. Il solo titolo si prefigura quale formula volta empaticamente a sintetizzare l’unione di due nature diverse e a evocare la sintesi di principî artistici altrettanto differenti. All’interesse di tipo comparativo si unisce poi quello antropologico che fa del giornale uno strumento utile a tratteggiare la fisionomia dell’Italia della Spätaufklärung, nei modi e nelle forme della socialità. Tuttavia, nonostante le numerose sfaccettature di un’opera dalla vita forse troppo breve perché se ne potesse decretare il successo, Italien und Deutschland è stata ingiustamente e inspiegabilmente dimenticata tanto dalla critica dell’epoca, quanto da quella attuale. Ad oggi non sono stati condotti studi o ricerche scientifiche sulla rivista e la pressoché assente letteratura critica in proposito non aiuta a far luce sui molti punti oscuri che la interessano. L’unica eccezione è offerta dai saggi di due studiosi, Jürgen Zimmer e Claudia Sedlarz, protagonisti, negli ultimi decenni, di un primo significativo passo in direzione della riscoperta del periodico, cui hanno cercato di restituire nuova importanza, sottolineando la grande lacuna che l’indifferenza nei suoi confronti ha finora rappresentato . È inoltre degno di nota il fatto che, soltanto con il progetto avviato nel 1987 dall’Accademia delle Scienze di Göttingen, il nome di Italien und Deutschland figuri in un elenco degli organi di recensione della Germania dell’Illuminismo . Tale indice, monitorato da una banca-dati in continuo aggiornamento, contenente i titoli di 195 riviste in lingua tedesca, è stato in seguito trasformato in materiale liberamente consultabile in rete dall’Università di Bielefeld che, con il programma intitolato Retrospektive Digitalisierung wissenschaftlicher Rezensionsorgane und Literaturzeitschriften des 18. und 19. Jahrhunderts aus dem deutschen Sprachraum, si è proposta di eseguire la digitalizzazione di ciascun periodico individuato da Göttingen. Della seconda fase del progetto (2006-2008) fa parte l’inserimento di Italien und Deutschland, disponibile quindi online dal febbraio 2008 nell’edizione presente presso la Staatsbibliothek di Berlino. Il giornale di Hirt e Moritz ha così dovuto attendere due secoli per vedersi finalmente riconosciuto quel posto ufficiale nel novero degli organi periodici della Spätaufklärung tedesca, che gli era stato negato da tutti i preesistenti elenchi di riviste letterarie del XVIII secolo - si ricordano, tra gli altri, Die Zeitschriften des Deutschen Sprachgebietes von den Anfängen bis 1830 di Joachim Kirchner Hiersemann, il testo di Jürgen Wilke (1978), Literarische Zeitschriften des 18. Jahrhunderts (1688–1789), e infine le Zeitschriften der Berliner Spätaufklärung del 1979, di Paul Hocks e Peter Schmidt . Neppure assegnando al giornale lo status specifico di «rivista artistica» si ha una qualche probabilità di trovarne tracce negli studi dedicati all’argomento, primo fra tutti il testo canonico di Ernst Herbert Lehmann sulla storia della Kunstzeitschrift in Germania . In un’unica occasione le pagine di Italien und Deutschland hanno conosciuto l’onore di essere pubblicamente esposte, per di più in un contesto prestigioso come quello del museo. Nella mostra Auch ich in Arkadien. Kunstreisen nach Italien 1600-1900, allestita presso lo Schiller-Nationalmuseum di Marbach nel 1966, fu presentato un esemplare del frontespizio del primo numero del giornale, nonché una copia dell’incisione in rame raffigurante le sculture di Dannecker e Scheffauer, le due promesse dell’arte tedesca attive a Roma, cui Hirt dedica un articolo della rivista . Si è indotti a credere che la scarsa attenzione di cui Italien und Deutschland fu oggetto sin dall’epoca della sua uscita sia strettamente legata al più generale disinteresse della critica nei confronti della persona e dell’opera dei due autori. […] die Auslese aus dem deutschen 18. Jahrhundert [scheint] im Deutschland des 19. Jahrhunderts […] besonders einseitig betrieben worden zu sein […]. Reduziert wurde […] das Werk der Klassiker […]. Besonders reduziert wurde damit auch das Werk des Berliner Spätaufklärers Karl Philipp Moritz. Auf ein Werk - die Abhandlung »Über die bildende Nachahmung des Schönen« - hatte die Geistgeschichte am Ende des 19. Jahrhunderts die rund fünfzig von Moritz in siebenunddreißig Lebensjahren publizierten Titel reduziert, und [...] wurde auch dies dem Goetheschen Kopfe zugeschlagen . Sebbene a questa affermazione Anneliese Klingenberg faccia seguire la constatazione del grande lavoro di riscoperta ruotato attorno all’opera di Moritz nel secolo scorso, la studiosa non manca di sottolineare come, malgrado ciò, si sia continuato a tralasciare larga parte della sua produzione . In effetti, nonostante il grande interesse odierno per gli scritti di quest’autore, solo durante la seconda metà del Novecento la sua poliedrica e interessante personalità, dopo essere stata a lungo trascurata, è tornata ad attirare l’attenzione della critica. Probabilmente proprio a causa dell’ampio spettro di generi con cui Moritz osò cimentarsi e del carattere frammentario e disomogeneo della sua vasta opera - che la mancanza di un lascito e di manoscritti ha reso spesso difficile da reperire -, solo di recente si è potuta concretizzare la messa a punto di un’edizione critica completa dei suoi scritti . Gran parte della produzione del romanziere, filosofo e saggista tedesco, che pure aveva conosciuto, sul finire del Settecento, una discreta notorietà, grazie al saggio citato dalla Klingenberg e ad altri titoli fortunati , - che gli procurarono l’ammirazione di grandi protagonisti del primo romanticismo, quali Jean Paul, Tieck e Wackenroder -, passò nei decenni a venire quasi del tutto inosservata. Le insinuazioni riguardanti la subalternità e la dipendenza da Goethe - primo assertore della novità dei suoi testi, nonché affezionato amico -, pronte a mettere in discussione l’originalità delle sue teorie estetiche, non giovarono poi alla rivalutazione dello scrittore. Tra le opere presto dimenticate, anche i Viaggi di un tedesco in Italia - a cui è strettamente legato il lavoro alla rivista -, rivalutati solo in epoca attuale, ma nondimeno frutto di un’esperienza di assoluto rilievo per l’evoluzione del pensiero estetico e filosofico di Moritz. Considerato ciò, non stupisce che gli studiosi abbiano sempre dimenticato di far menzione, se non marginalmente ed esclusivamente in rapporto al resoconto del suo soggiorno romano, di Italien und Deutschland. Moritz tuttavia, com’è noto, seppure riabilitato solo recentemente dalla critica, che gli ha altresì conferito la qualifica di «precursore» («precusore di Kant», «precursore dei romantici» ), ha potuto ritagliarsi il suo spazio in quell’olimpo dei classici, che non riuscì a scalare invece Hirt, il quale già in vita perse molta della sua celebrità, per essere poi quasi completamente dimenticato dopo la morte. Eppure le sue ricerche potrebbero definirsi oggi interdisciplinari. Durante il suo lungo soggiorno romano si confrontò, da autodidatta, con l’arte antica e moderna come mai nessuno aveva fatto prima a Berlino: fu studioso dell’antico, teorico e critico d’arte e archeologia, architetto dilettante, direttore teatrale ed esponente di spicco della politica culturale della corte prussiana. In quest’ambito si fece promotore del primo museo pubblico del regno, ottenne l’incarico di consigliere artistico per l’allestimento dei castelli reali, fu nominato membro dell’Accademia delle Scienze, di quella delle Arti e della Bauakademie e in ultimo gli venne assegnata la prima cattedra di archeologia presso l’Università di Berlino che, nel 1810, aveva contribuito a fondare. Nelle opere rimaste, comprendenti monografie e trattati pubblicati in piccole edizioni, insieme a decine di recensioni e saggi usciti nel corso della sua lunga carriera su periodici e giornali, si rintracciano tutte le forme della pubblicistica del XVIII secolo: dal resoconto di viaggio, anche in forma epistolare, allo scritto accademico erudito, fino al racconto aneddotico. Nonostante la ricchezza della sua produzione, l’importanza delle sue teorie e l’impegno profuso negli ambiti più diversi, Hirt dovette condividere con molti suoi contemporanei, altrettanto meritevoli di aver dato impulso alla vita culturale del tempo e di aver fatto conoscere ai connazionali le novità artistiche che fiorivano in Italia, la triste sorte della Vergessenheit. Sebbene la scomparsa dell’autore dal firmamento culturale e artistico della sua epoca non sembra essere in alcun modo giustificabile, si ritiene di poter rintracciare nel cambiamento dei tempi una prima ragione di tanta noncuranza: il classicismo restauratore, di cui Hirt si faceva portavoce, dovette risultare troppo rigido alla generazione dei suoi primi allievi che, proiettati ormai in un’ottica già completamente romantica, non riuscirono a scorgere la grande carica innovativa del suo pensiero. È stato ancora una volta grazie all’opera di Zimmer e della Sedlarz che, solo pochi anni fa, si è cercato di fissare il profilo scientifico di Hirt e di valutare la sua incidenza sulla cultura berlinese . Il presente lavoro prende le mosse proprio dall’invito che i due studiosi hanno rivolto alla ricerca: quello di dedicare a Italien und Deutschland e alla sua storia un’analisi approfondita, in grado di gettare nuova luce su un periodico rimasto troppo a lungo nell’ombra. Una prima linea di indagine sarà quella volta a ricostruire la rete di stimoli, di interessi culturali e di rapporti che si intrecciò tra i protagonisti di questa vicenda: le circostanze insomma che portarono alla nascita del sodalizio tra Moritz e Hirt. Si cercherà in primo luogo di risalire alle origini del progetto, di cui non rimane traccia alcuna se non i pochissimi riferimenti indiretti presenti nella corrispondenza di Goethe. Il carteggio tra i due autori è andato perduto, così come qualsivoglia altra testimonianza in grado di attestare lo scambio di idee intercorso fra loro e di far luce sui motivi che portarono all’improvviso abbandono della collaborazione da parte di Hirt e alla fine stessa del periodico. Si passerà di qui a valutare in che misura, nell’edizione finale del giornale, ci si sia discostati dall’idea contenuta nel programma originario. Tale questione pone, a sua volta, un problema di classificazione relativo al genere testuale della rivista. Nel tentativo di delinearne il profilo, così da attribuirle uno status specifico, si cercherà di evidenziare la novità insita nell’idea di una pubblicazione giornalistica organica volta a privilegiare lo scambio fra i due paesi, che già alcuni contemporanei di Hirt e Moritz avevano invano cercato di mettere in piedi. Capire quanta parte dell’attualità italiana venisse trasmessa, in quegli anni, ai lettori d’oltralpe rappresenterà un punto di riferimento importante per comprendere quale fosse la domanda culturale a cui Italien und Deutschland intendeva rispondere, soprattutto rispetto a una visione della penisola, diffusa nella Germania del tardo XVIII secolo, legata esclusivamente alle idealità classiche. Il riferimento al dato attuale e l’attenzione per tematiche nuove come quelle riguardanti la contemporanea produzione artistica europea rappresenteranno il primo indicatore di una problematizzazione del richiamo unilaterale al classico, che sul finire del secolo le spoliazioni napoleoniche contribuiranno a mettere ulteriormente in crisi. In effetti, le confische francesi provarono duramente l’identità culturale italiana, che si vide così depredata del suo ruolo di centro propulsore dell’arte. Ad essere messo in discussione fu il primato stesso dell’antico, cui si iniziò a preferire il fermento di Londra e Parigi, sempre più avvertite come vera alternativa alla «decadente» Roma. Si ribalta così un concetto che fino ad allora era stato predominante: quello per cui la magnificenza della «Roma antica» era tale da annullare il volto degradato della «Roma moderna», alla quale in primo luogo il sistema politico ed ecclesiastico, avvertito come corrotto dalla maggior parte dei viaggiatori stranieri, aveva impedito di rinnovarsi . Nella rivista risulta evidente proprio come, accanto all’immagine dell’Italia quale terra in cui fare l’esperienza massima dell’antico, stesse iniziando a prendere forma in questo periodo l’idea di un paese dove potersi finalmente confrontare anche con i vari aspetti della modernità. Si vedrà come anche lo stesso Moritz cominci a proiettarsi verso una tale ottica. La sua visione dell’Italia non ruotava, come per Goethe, in maniera totalizzante attorno alla rievocazione di un mondo classico, che pure rimane un punto fermo nella costituzione della propria coscienza artistica, ma poneva al centro dell’indagine l’elemento vitale della contemporaneità. Uno degli intenti che questo studio vuole perseguire è allora quello di dimostrare come la vera novità del periodico risieda nel grande interesse rivolto dai suoi autori al linguaggio artistico della «Roma moderna», fino ad allora influenzato, come detto, dal forte pregiudizio sulla decadenza italiana che aveva spinto molti tedeschi a misconoscerne il valore . Si vorrà inoltre provare che l’inizio di un ripensamento del richiamo unilaterale al classico in Italien und Deutschland risulta altresì testimoniato dall’apertura a tematiche che, quand’anche non di argomento contemporaneo, restavano comunque estranee al canone del tempo. Ciò troverà esemplificazione, tra gli altri, nel saggio sull’architettura delle basiliche paleocristiane e nello scritto che sancirà la riscoperta di un artista del primo rinascimento quale Giovanni da Fiesole, rimasto, al pari di molti suoi contemporanei, all’ombra di quei maestri come Michelangelo, Tiziano e Raffaello che, soprattutto in virtù delle teorie di Raphael Mengs, avevano oscurato il resto del panorama quattrocentesco. Dopo aver inserito il lavoro al progetto dei due autori nell’ambito dei loro rispettivi percorsi di vita, da cui non si può prescindere, soprattutto tenuto conto di quanto in essi si rifletta l’epoca di transizione cui Hirt e Moritz appartengono, si procederà alla presentazione dell’opera. Dapprima verrà dato conto dell’organizzazione generale della rivista, mentre nella seconda parte del lavoro si cercherà, in maniera più dettagliata, di restituire alla specificità dei singoli interventi la loro funzione centrale e comunicativa, disegnando, attraverso alcuni di quelli più significativi, la mappa dei motivi e dei temi offerta dal giornale ai suoi lettori. Prima ancora però l’indagine sarà indirizzata alla ricostruzione della fortuna di Italien und Deutschland, cercando di valutare quanto e quale interesse una rivista del genere abbia potuto suscitare nel pubblico dell’epoca, e che tipo di risultati concreti poté sortire l’opera sul mercato letterario. Un’ultima linea di ricerca sarà, infine, quella dedicata al confronto tra i contributi pubblicati da Moritz nel periodico e la loro riproposizione all’interno del suo diario di viaggio. In questa sede, dopo una breve ricostruzione della genesi delle Reisen, si procederà all’analisi delle varianti contenutistiche delle due stesure, cui seguirà l’esame delle modifiche sintattiche, stilistiche e ortografiche, apportate di volta in volta in entrambe le versioni dei testi moritziani. Fine ultimo della ricerca è dunque quello di salvare dall’oblio Italien und Deutschland, mostrando, attraverso la grande varietà dei riferimenti che è possibile rintracciare a partire dalle sue pagine, come questa sconosciuta rivista della Goethezeit rappresenti un mondo tutto da scoprire
Gegenstand meiner Dissertation ist die von Karl Philipp Moritz und Aloys Hirt herausgegebene Kunst- und Literaturzeitschrift Italien und Deutschland in Rücksicht auf Sitten, Gebräuche, Litteratur und Kunst, die in den Jahren 1789-1792 im Verlag der akademischen Buchhandlung in Berlin erschien. Es handelt sich dabei um ein zweibändiges Werk, das insgesamt aus sechs Heften besteht: vier im ersten und zwei im zweiten Band. Die sechste und letzte Nummer wurde 1793 posthum von unbekannten Gelehrten ediert. Das Forschungsinteresse dieses Periodikums der Goethezeit liegt u.a. in der Konstruktion und Verbreitung eines spezifischen Italienbilds im Deutschland des späten 18. Jahrhunderts. Der Titel beschwört emphatisch sowohl die Synthese zweier unterschiedlicher Kunstgrundsätze als auch die Vielfalt der Themen, die den kulturellen Austausch kennzeichnen. Italien und Deutschland fungiert also als Beobachtungsstelle für die verschiedenen Motive des deutsch-italienischen Kulturaustauschs im 18. Jahrhundert und spiegelt die Auseinandersetzung mit vielen sozialen und anthropologischen Aspekten Italiens wider. Die Forschung hat sich bisher nicht näher mit dieser Zeitschrift beschäftigt, obwohl sie aus dem in Rom um Goethe entstandenen Freundeskreis hervorgegangen ist. Italien und Deutschland erscheint aber auch nicht in den verschiedenen Listen der deutschen Zeitschriften des 18. Jahrhunderts . Erst mit dem Projekt der Akademie der Wissenschaften zu Göttingen, 1987 entstanden, taucht das Periodikum offiziell in einem Index zu deutschsprachigen Rezensionsorganen des 18. Jahrhunderts auf. Die Universität Bielefeld hat dann alle Periodika dieses Registers im Rahmen der Retrospektiven Digitalisierung wissenschaftlicher Rezensionsorgane und Literaturzeitschriften des 18. und 19. Jahrhunderts aus dem dt. Sprachraum online gestellt. Seit Februar 2008 - der zweiten Phase dieses Projekts - ist Italien und Deutschland somit in digitaler Form verfügbar. Der Grund dafür, dass sie bislang nicht Gegenstand der Forschung geworden ist, liegt zunächst bestimmt in der besonderen Forschungs- und Editionssituation der Schriften der beiden Herausgeber und Hauptautoren. Tatsächlich ist die Wiederentdeckung von Moritz’ Schöpfungen relativ neu, obwohl seine Schriften eine differenziertere Neueinschätzung von Aufklärungstendenzen möglich machen. Sein Werk liegt erst seit 1997 in einer vollständigen kritischen Werkausgabe vor. Besonders begrenzt scheint das Interesse der Wissenschaftler für seine Redaktionsarbeit zu sein: Das Journal Italien und Deutschland wird in der Tat von der Forschung nur im Zusammenhang mit seinen Reisen eines Deutschen in Italien erwähnt. Und doch war es neben dem Reifewerk eine weitere Folge seines Italienaufenthalts. Noch unglücklicher war das Schicksal Aloys Hirts, dessen Name lediglich mit der Vorgeschichte der Berliner Museen verbunden ist. Seine Figur ist bald ins Abseits geraten, und daher gibt es nur verstreute und unvollkommene Informationen und Meinungen über ihn bzw. über seine Schriften. Eine umfassende Forschung über sein literarisches Schaffen fehlt noch, obwohl er für einen vielseitigen Gelehrten gehalten werden kann: Er war Archäologe, »Altertumsforscher, Lehrer, dilettierender Architekt, Kunstschriftsteller, Bildungspolitiker, Schauspielintendant, Kunst- und Architekturtheoretiker, Kunstkritiker und Repräsentant der Preußischen Hofkultur« . Umfangreich war auch seine schriftstellerische Produktion, obwohl viele Exemplare seiner Werke dezimiert wurden oder nur schwer zugänglich sind. Erst in den letzten Jahren wurden zwei Aufsätze über Italien und Deutschland veröffentlicht: Die Abhandlungen der Kunsthistorikerin Claudia Sedlarz, die die Arbeitsstelle Berliner Klassik der Akademie der Wissenschaften zu Berlin leitet, und die des Archäologen Jürgen Zimmer . Beide halten die Gleichgültigkeit gegenüber dem Periodikum für ein großes Versäumnis der Kunstgeschichte. Deswegen hoffen sie auf eine gründliche Untersuchung der Zeitschrift, die sich aber aus verschiedenen Gründen nicht so einfach durchführen lässt. Zunächst bleiben bei der Rekonstruktion ihrer Geschichte bedeutende Fragen noch offen: Unter welchen Umständen und auf welchen Grundlagen entstand die Zusammenarbeit von Moritz und Hirt sowie das Projekt des Journals? Welches war das ursprüngliche Programm? Aus welchem Grund unterbrach Hirt seine Mitarbeit abrupt? Wie kann das plötzliche Ende der Zeitschrift erklärt werden? Auf all diese Forschungsprobleme gehe ich in dieser Arbeit an, obwohl sie sich in manchen Fällen leider nur schwer und partiell lösen lassen, weil dafür wesentliche Elemente noch fehlen. Dazu zählen eine editorische Einleitung und Absichtserklärung, ein Register und, noch wichtiger, ein Briefwechsel zwischen den beiden Herausgebern. Da man über keine Quellen aus erster Hand verfügt, kann man sich nur auf Erwähnungen und Andeutungen stützen, die in der Korrespondenz von Zeitgenossen der beiden Autoren enthalten sind, obwohl auch hier die Informationen gering bleiben. Im Vordergrund steht natürlich Goethe und sein Briefwechsel mit Freunden und Kunstgenossen in Italien. Nur dank dieser Grundlage konnte man in der Forschung auf die Ursprünge des Projekts und der Zusammenarbeit seiner Autoren schließen. Im ersten Teil meiner Arbeit versuche ich die Entstehungsgeschichte von Italien und Deutschland zu rekonstruieren und darüber hinaus auch die verschiedenen, oben genannten, dunklen Seiten ihrer Entwicklung, wie z. B. die Gründe für den Originalitätsmangel im zweiten Teil des Organs, für das Ende der Mitarbeit Hirts, für den Abbruch der Zeitschrift und die Veröffentlichung der letzten Nummer von »einigen« anonymen Gelehrten, aufzuklären. Über den ursprünglichen Plan des Journals kann man wohl vermuten, dass es das Ergebnis einer gleichen, jeweils unabhängig voneinander entstandenen Idee beider Autoren war, die wahrscheinlich zuerst von Goethe zusammengebracht worden waren. Was Moritz betrifft, stand er vor dem Problem, seinen Romaufenthalt selber finanzieren zu müssen. Das Geld, das er von dem Braunschweiger Verleger Joachim Heinrich Campe für die Fassung einer italienischen Reisebeschreibung bekommen hatte, reichte nicht aus und so versuchte Moritz sich weitere Finanzierungen zu beschaffen. Zu diesem Zweck unterbreitete er dem Verleger Göschen ein Zeitschriftprojekt . An dieser Stelle muss aber gesagt werden, dass der Schriftsteller bei fast allen Berliner Verlegern als »säumiger, unzuverlässiger und stets honorarbedürftiger Autor« bekannt war. Also setzte er seine Hoffnungen auf zwei Männer, zu denen er persönliche Beziehungen hatte: eben auf Campe und Göschen. Da aber Göschen verreist war und auf seinen Brief nicht geantwortet hatte, musste Moritz sein Projekt sehr wahrscheinlich zurückstellen. Erst in der letzten Phase seines Romaufenthalts wurde der Plan Moritz’ von Goethe selbst unterstützt. Der ‚Vater’ des Werthers hatte inzwischen bereits kurz nach seiner Ankunft in Rom die Dienste Hirts in Anspruch genommen und ihn in einem Brief an Wieland als »ein trockner, treuer fleißige Deutscher, der schon recht schöne historische Kenntniße von Rom und von der Kunst hat[e]« bezeichnet. Seine Absicht war, den jungen Fremdenführer als festen Mitarbeiter des Deutschen Merkurs zu etablieren. Aus Angst, das Profil seiner Zeitschrift zu ändern, lehnte Wieland dies allerdings ab und machte Goethe den Vorschlag, dass Hirt »seinen Plan in einem eigenen KunstJournal ausführen soll[te]« , wozu er ihm einen guten Verleger zu verschaffen hoffte . Wie man den Worten Wielands entnehmen kann, hatte Hirt - wie Moritz - vor, eine Kunstzeitschrift zu gründen, die »eine dauernde Verbindung zwischen Deutschland und Italien« schaffen könnte. Wahrscheinlich wollten sie also ursprünglich in ihrem Organ zwei Dinge zusammenführen: die Berichterstattung über zeitgenössische Kunst und die Unterrichtung in Kunstgeschichte, ohne die ein Studium der Kunst nicht vollständig sein konnte . Obwohl Moritz 1789 von der Akademie der Künste in Berlin gerade aus dem Grunde angestellt worden war, künstlerische Kenntnisse zu verbreiten, beschäftigt sich nur Hirt in der Zeitschrift mit Kunstthemen . Moritz dagegen konnte seine eigenen Ausführungen über römische Kunstwerke für andere Publikationen aufheben. Er veröffentlichte seine Abhandlungen über Kunst vor allem in der Monatsschrift der Akademie der Künste und mechanischen Wissenschaften zu Berlin, mit der unser Journal zusammen gesehen werden muss. Da ihm also für seine eigene Zeitschrift nicht mehr viel Zeit blieb, kam er auf die Idee, Berichte über das Land, in dem er die Kunst vorfand, zu liefern. Die von Claudia Sedlarz aufgestellte These einer Planänderung kann nur durch den Wechsel des Titels des Periodikums bestätigt werden . In den zwei Briefen, die der Kupferstecher Johann Heinrich Lips - der schweizerische Künstler, der vier der wunderbaren Illustrationen der Zeitschrift schuf - an Goethe schrieb, wird der ursprüngliche Name des Werkes bekannt gegeben: »Die Platten zu den Ephemeriden der Kunst für Moritz und Hirt sind jez fertig« . Der Übergang zu dem nicht speziellen Italien und Deutschland in Rücksicht auf Sitten, Gebräuche, Litteratur und Kunst lässt auch an einen Wechsel des Inhalts denken. An dieser Stelle kann man nur vermuten, dass Hirt von der Entscheidung seines Kollegen sehr enttäuscht war und dass auch er wegen dieser zunehmenden Interesselosigkeit Moritz’ für das Projekt den Plan fallen ließ. Seine anfängliche Begeisterung und seine folgende Enttäuschung kommen sehr deutlich in dem einzig erhaltenen Brief an Goethe, in denen Hirt über die Zeitschrift schreibt, vor: Ich habe bereits alle Artikel für das erste Heft der periodischen Schrift fertig, die Herr Professor Moritz und ich zusammen herausgeben wollen. Lips hat auch schon eine Platte hiezu gestochen, nemlich die Predigt aus der Kapelle des Fra Giovanni Angelico von Fiesole, wovon ich die Beschreibung machte. Er wird nun an den Marius von Drouais gehen, mit deßen Lebensbeschreibung ich nun beschäftiget bin. Mein Artikel hiezu von der Architektur sind historisch-architektonische Beobachtungen über die christlichen Kirchen, die wie ich glaube mir nicht übel gelungen. Der chevalier d’Agincourt war sehr mit meinem Plan zufrieden, und auf sein Verlangen übertrage ich nun den ganzen Aufsaz ins französische. Ich habe die Briefform zum Vortrag gewählt, und wünschte sehr, Ihren Namen voranzusezen, aber ohne Ihre Erlaubniß, oder die Erlaubniß des Herrn Herders in Ihrem Namen werde ich mir so viele Freyheit nicht nehmen . Die ursprüngliche geplante Kunstzeitschrift verwandelte sich also in ein Journal, das nicht nur aus kunstgeschichtlicher, sondern auch aus literaturwissenschaftlicher, anthropologischer und philologischer Sicht analysiert werden kann. In diesem Sinn ist der neue Titel und besonders der Untertitel des Periodikums zu verstehen. Die Formel »Sitten und Gebräuche, Litteratur und Kunst« könnte man heute mit dem Begriff „Kultur“ ausdrücken . In dieser Hinsicht kann Italien und Deutschland als die erste deutsch-italienische kulturvermittelnde Zeitschrift betrachtet werden. Nach Michele Cometas Meinung liefert sie eine vollkommen anthropologische Darstellung der italienischen Phänomene der Kultur, denn sie konzentriert sich nicht nur auf die Kunst, sondern auch auf die Sitten des Volkes . Was aber noch bedeutender zu sein scheint, ist sicherlich die Aufmerksamkeit beider Autoren auf die aktuelle Wirklichkeit Italiens, die durch eine ansehnliche deutsche Delegation bestimmt war. Das verbreitete Bild Italiens als Wiege der Antike macht einer fortschrittlicheren Anschauung der Dinge Platz, wo unsere Halbinsel zu einem Land der Modernität wird. Hier fand die größte künstlerische Erneuerung statt, die auch durch die Vermittlung der deutschen aus Italien berichtenden Periodika für die preußischen kulturellen Reformen der Zeit von großer Bedeutung werden sollte. Auch wenn der anfänglichen Idee des Journals nicht mehr entsprochen werden konnte, stellt Italien und Deutschland einen in die Tat umgesetzten Gedankens dar, dessen Verwirklichung in der Spätaufklärung schon oft angestrebt war . Auf solche geplante und nicht ausgeführte Zeitschriften werde ich auch in meiner Analyse eingehen. Es geht um die gescheiterten Pläne von Wilhelm Heinse, Friedrich Müller und den Brüdern Genelli, die mit der Herausgabe eines solchen Magazins nicht nur den kulturellen Austausch zwischen den zwei Ländern pflegen wollten, sondern dadurch auch ihre schlechte finanzielle Lage aufzubessern hofften. Was die Struktur des Periodikums betrifft, das also die Beiträge zweier Autoren versammelt, sind die ersten drei Hefte nahezu ausschließlich von Hirt und Moritz selber geschrieben worden. Außer ihnen hat für den ersten Band nur der Maler Johann Gottlieb Puhlmann einen kleinen Aufsatz geliefert. Die Artikel sind aber stilistisch und inhaltlich sehr unterschiedlich und dadurch wird auch die Erwartung eines folgerichtigen Inhalts enttäuscht. Auch die Abfolge der einzelnen Beiträge ist durch kein festes Kompositionsprinzip geregelt. Der Verzicht auf ein systematisches bzw. methodisches Vorgehen und der Wechsel von erzählerischen zu brieflichen oder anekdotischen Formen kommen aber dem stilistischen und thematischen Eklektizismus, wie ihn Hirt und Moritz betrieben, entgegen. Die Erlaubnis dazu ist auch von der Literaturform „Zeitschrift“ selbst auf gewisse Weise gegeben. Trotzdem zeugt dieser erste Teil des Journals von beträchtlichem Elan. Die folgenden Nummern bieten dagegen keine Originalbeiträge und keine Berichte aus dem aktuellen Kunstleben in Rom mehr, sondern nur Reisebeschreibungen aus anderen Gegenden sowie Übersetzungen und Nachdrucke. Außerdem endet, wie gesagt, Hirts Mitarbeit 1790, obwohl er vorher die treibende Kraft von Italien und Deutschland gewesen zu sein scheint. Die unterschiedlichen Inhalte und Vorgehensweisen der Autoren kommen in der Dissertation ebenfalls zur Sprache. Im Allgemeinen liefert Moritz in der Zeitschrift kuriose und unterhaltsame Artikel, in denen er sich u. a. als „Menschenbeobachter“ erweist. Im Gegensatz dazu schreibt Hirt, wie es seinem Interesse entsprach, intellektuelle Abhandlungen, die das Ziel haben, objektive Berichte darzustellen. Ich werde dabei auf die methodologischen Unterschiede der beiden Autoren bei der Behandlung ähnlicher Themen eingehen und insbesondere einige Themenschwerpunkte der Zeitschrift herausarbeiten. Innerhalb des Journals stellt z.B. Moritz dem Artikel Hirts über den tragischen frühen Tod des französischen Malers Drouais den Beitrag über den früh gestorbenen deutschen Künstler August Kirsch gegenüber. Es gibt aber auch enge Parallelen zwischen einigen Abhandlungen Hirts und Passagen der Reisebeschreibung Moritz’, die ähnliche Themen behandeln, wie z.B. der Bericht über die Trockenlegung der Pomtinischen Sümpfe. Besonders wertvoll ist die Untersuchung der Beiträge Hirts, die in vielen Fällen innovativ und sich daher für die Entwicklung der Kunstgeschichte und der Architekturtheorie als sehr bedeutend erweisen. Unter seinen Texten finden sich Themen, die keineswegs zum klassizistischen Kanon gehörten. Die ausführliche Beschreibung der in Vergessenheit geratenen „Cappella Niccolina“ im Vatikan, die mit den Fresken von Fra Giovanni da Fiesole ausgemalt worden war, ist z. B. als nicht dem Klassizismus zuzuordnen. Ebenso neu ist das Thema des Goethe gewidmeten Artikels über den frühchristlichen Kirchenbau, der als Zeichen wachsender Aufmerksamkeit für Modernität zu verstehen ist. Die große Auswahl der in diesem Blatt behandelten Gegenstände bietet überdies genug Material, um die unterschiedlichen Positionen zweier Herausgeber hinsichtlich ihrer jeweiligen ästhetischen Konzeption eingehend zu behandeln. Auch der Aspekt der Rezeption muss einen der wesentlichsten Punkte der Forschung darstellen. Vermutlich ist das Periodikum lange Zeit kaum von der Wissenschaft rezipiert worden, weil zunächst einmal seine Verbreitung eher gering und kaum bewiesen war. Otto Harnack, der die Zeitschrift bestimmt gut gekannt hat , bemerkt: »[W]enigstens hatten weder die später von Hirt und Moritz gemeinsam herausgegebene Zeitschrift, noch sogar Goethe’s Propyläen sich der Gunst des Publikums zu rühmen« . Von drei Rezensionsorganen der Zeit wurden die Artikel der ersten Hefte kurz rezensiert . Darüber hinaus wurde der Quellenwert der Zeitschrift erst in jüngerer Zeit von einigen Architekturtheoretikern wahrgenommen . In der Arbeit stelle ich auch die wichtigen Informationen vor, die ich aus den verschiedenen Bibliotheken des deutschen Sprachraums, welche Exemplare von Italien und Deutschland besitzen, gesammelt habe. Meistens war es nicht möglich, Auskünfte über die Erwerbung der Hefte zu bekommen, da darüber keine Aufzeichnungen vorhanden sind. In manchem Fall lässt es sich aber durch den Besitzstempel auf dem Titelblatt oder durch einige handschriftliche Vermerke ungefähr rekonstruieren, wann und auf welchem Wege die Bände in den Besitz der jeweiligen Bibliotheken gelangten. Darüber hinaus ist ein Teil der Arbeit dem Vergleich zwischen Moritz’ Journalistenbeiträgen - den Vorabdrucken in Italien und Deutschland - und den entsprechenden Aufsätzen in seinem italienischen Tagebuch gewidmet. Etliche Artikel, die Moritz in der Zeitschrift publizierte, wurden ab 1792 zusätzlich in seinen Reisen eines Deutschen in Italien gedruckt. Sie enthalten Reiseeindrücke, Auseinandersetzungen mit dem Fremden und zentrale Fragen ästhetisch-erkenntnistheoretischer Natur. Nachdem ich mich zuerst kurz mit den Hintergründen zur Entstehung der Tagebuchfassung beschäftigt habe, werde ich auf Varianten hinsichtlich des Inhalts eingehen. Anschließend werden weitere Änderungen im Bezug auf syntaktische, stilistische und orthographische Merkmale aufgezeigt. Dabei kann man nicht davon ausgehen, dass die Reisen-Ausgabe mit der Zeitschrift-Fassung vollkommen identisch ist. Die beiden Versionen von Moritz’ Schriften weisen erhebliche Unterschiede auf, die auf verschiedene Gründe zurückzuführen sind. Im Hinblick auf stilistische und wörtliche Veränderungen dienen die Abweichungen grundsätzlich dazu, Unstimmigkeiten vielerlei Art auszubessern. Daraus lässt sich folgern, dass die Artikel aus Italien und Deutschland wohl als Vorabdrucke der Reisen eines Deutschen in Italien betrachtet werden können. Das findet seine Bestätigung auch in der Modernisierung der Reisen-Texte, die nicht einheitlich durchgeführt wurde (stellenweise ist die originale Schreibung, höchstwahrscheinlich aus Versehen, gehalten). Daraus kann man schließen, dass die Zeitschriftartikel den Tagebuchbriefen vorausgehen. In inhaltlicher Hinsicht spielt das Medium eine entscheidende Rolle. Außer der notwendigen Anpassung der Texte an die jeweilige literarische Form, unterscheidet sich die Buch- von der Zeitschrift-Fassung durch die Einschränkung der Reflexionen über die Wahrnehmung Italiens. Obwohl das Journal für sein fragmentarisches Wesen nur einige Skizzen Italiens liefern kann, ist hier das Bild des gelobten Landes viel realistischer. Durch seine Kritik, die auf viele Aspekte der italienischen Kultur gerichtet ist, relativiert Moritz das Traumbild von Italien als Paradies, das in der größeren Reisebeschreibung einen ungebrochen positiven Charakter bekommt . Der Endzweck der vorliegenden Studie besteht darin, die Zeitschrift Italien und Deutschland der Vergessenheit zu entreißen und die Vielfalt ihrer Bezüge herauszuarbeiten. Kurz gesagt möchte ich zeigen, dass dieses unbekannte Organ der Spätaufklärung eine noch zu entdeckende Welt darstellt
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Saveleva, Aleksandra <1979&gt. « L'immagine di Roma nella cultura russa tra fine XVIII secolo e inizio XIX secolo ». Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2014. http://amsdottorato.unibo.it/6642/1/SAVELYEVA_ALEXANDRA_TESI.pdf.

Texte intégral
Résumé :
Nella tesi si osserva come nella cultura russa cambiava l’immagine di Roma. Se ancora alla fine del settecento l’antichità romana poteva risultare solamente uno strumento retorico-filologico da utilizzare per fare il proprio discorso più convincente, la generazione dei decabristi la stessa antica romanità la accostava alla cultura e storia russe tramite gli elevati ideali civici. La romanità ora risultava uno strumento di analisi della esperienza storica e politica della Russia anche nel contesto europeo. Da qui nasceva una serie di modelli russi legati all’antica Roma: il Catone di Radiscev, il Bruto dei decabristi, ecc. Vi attingeva generosamente anche una corrente di lirica russo-antica con i suoi ricchi riferimenti agli autori classici, Ovidio, Tacito, Orazio. Nasceva così una specie di Roma antica russa che viveva secondo le sue regole etiche ed estetiche. Con il fallimento dell’esperienza decabrista cambia anche l’approccio alle antichità: ci si distacca dalla visione storico-morale dell’antico, Roma non è più una categoria da emulare, ma una storia a sé stante e chiusa in sé stessa come ogni periodo storico. Essa smette di essere un criterio universale di giudizio etico e morale. Allo stesso tempo, una parte integrante della cultura russa all’epoca era il viaggio a Roma. I russi cresciuti con interesse e amore verso la Roma antica, impazienti ed emozionati, desideravano ora di vedere quella patria dei classici. Era come se fosse un appuntamento fra gli amici di vecchia data. Si affrettava a verificare di persona le muse di storia e di poesia. E con tutto questo si imparavano ad amare tutti i defetti della Roma reale, spesso inospitale, la Roma del dolore e della fatica. La voce importante nel racconto romano dei russi era anche la Roma del cristianesimo, dove ritrovare e ricoprire la propria “anima cristiana”.
In the thesis we observe how in Russian culture was changing the image of Rome. If still at the end of the Eighteenth century the Roman antiquity could only be rhetorical and philological tool to use to make your speech more convincing, the generation of the “Decembrists” used the same Roman images to approach the Russian culture and history through high civic ideals. The Roman antiquity now appeared a tool for the analysis of historical and political experience of Russia also in the European context. In this way was born a series of Russian cultural models related to ancient Rome: the Cato of Radiscev , the Brutus of the Decembrists , etc. . There were rich references to classical authors, Ovid, Tacitus, Horace also in the Russian literature. Thus was born a kind of ancient Russian Rome that lived by its own ethical and aesthetic rules. With the failure of the Decembrist experience also changes the approach to antiquity: the moral - historical vision of ancient Rome is no longer a category to emulate, but a part of History. It ceases to be a universal standard of moral and ethical judgment. At the same time, an integral part of Russian culture was the journey to Rome. The Russians who have grown with interest and love for the ancient Rome, eager and excited, wanted to see the homeland of the classics. It was as if it were a meeting between old friends. They wanted to see for themselves the muse of history and poetry, trying to lean also the real Rome, often inhospitable, the Rome of pain and fatigue. One of the major items in the Russian journey to Rome was also the Christian Rome, where to regain the own christian soul.
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Saveleva, Aleksandra <1979&gt. « L'immagine di Roma nella cultura russa tra fine XVIII secolo e inizio XIX secolo ». Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2014. http://amsdottorato.unibo.it/6642/.

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Résumé :
Nella tesi si osserva come nella cultura russa cambiava l’immagine di Roma. Se ancora alla fine del settecento l’antichità romana poteva risultare solamente uno strumento retorico-filologico da utilizzare per fare il proprio discorso più convincente, la generazione dei decabristi la stessa antica romanità la accostava alla cultura e storia russe tramite gli elevati ideali civici. La romanità ora risultava uno strumento di analisi della esperienza storica e politica della Russia anche nel contesto europeo. Da qui nasceva una serie di modelli russi legati all’antica Roma: il Catone di Radiscev, il Bruto dei decabristi, ecc. Vi attingeva generosamente anche una corrente di lirica russo-antica con i suoi ricchi riferimenti agli autori classici, Ovidio, Tacito, Orazio. Nasceva così una specie di Roma antica russa che viveva secondo le sue regole etiche ed estetiche. Con il fallimento dell’esperienza decabrista cambia anche l’approccio alle antichità: ci si distacca dalla visione storico-morale dell’antico, Roma non è più una categoria da emulare, ma una storia a sé stante e chiusa in sé stessa come ogni periodo storico. Essa smette di essere un criterio universale di giudizio etico e morale. Allo stesso tempo, una parte integrante della cultura russa all’epoca era il viaggio a Roma. I russi cresciuti con interesse e amore verso la Roma antica, impazienti ed emozionati, desideravano ora di vedere quella patria dei classici. Era come se fosse un appuntamento fra gli amici di vecchia data. Si affrettava a verificare di persona le muse di storia e di poesia. E con tutto questo si imparavano ad amare tutti i defetti della Roma reale, spesso inospitale, la Roma del dolore e della fatica. La voce importante nel racconto romano dei russi era anche la Roma del cristianesimo, dove ritrovare e ricoprire la propria “anima cristiana”.
In the thesis we observe how in Russian culture was changing the image of Rome. If still at the end of the Eighteenth century the Roman antiquity could only be rhetorical and philological tool to use to make your speech more convincing, the generation of the “Decembrists” used the same Roman images to approach the Russian culture and history through high civic ideals. The Roman antiquity now appeared a tool for the analysis of historical and political experience of Russia also in the European context. In this way was born a series of Russian cultural models related to ancient Rome: the Cato of Radiscev , the Brutus of the Decembrists , etc. . There were rich references to classical authors, Ovid, Tacitus, Horace also in the Russian literature. Thus was born a kind of ancient Russian Rome that lived by its own ethical and aesthetic rules. With the failure of the Decembrist experience also changes the approach to antiquity: the moral - historical vision of ancient Rome is no longer a category to emulate, but a part of History. It ceases to be a universal standard of moral and ethical judgment. At the same time, an integral part of Russian culture was the journey to Rome. The Russians who have grown with interest and love for the ancient Rome, eager and excited, wanted to see the homeland of the classics. It was as if it were a meeting between old friends. They wanted to see for themselves the muse of history and poetry, trying to lean also the real Rome, often inhospitable, the Rome of pain and fatigue. One of the major items in the Russian journey to Rome was also the Christian Rome, where to regain the own christian soul.
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Naccari, Sara <1990&gt. « Le mogli di Cesare come strumento politico.Il ruolo della donna nella Roma tardo repubblicana ». Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2017. http://hdl.handle.net/10579/10408.

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Il presente lavoro prevede la ricerca e l'analisi di fonti antiche, prevalentemente storiografiche, che ci testimoniano il rapporto e l'importanza dei legami matrimoniali di Giulio Cesare. Il matrimonio utilizzato come strumento politico per la scalata al potere mettendo in rilievo anche quello che era il ruolo sociale delle matrone nella roma tardo-repubblicana. Saranno prese in considerazione quattro figure femminili, rispettivamente, Cossuzia, Cornelia, Pompea e Calpurnia facendo intrecciare la loro origine famigliare con la vita del dittatore. Si concluderà con una raccolta di schede dove saranno riportate tutte le fonti che ci parlano di queste figure.
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Checchi, Guido <1983&gt. « Roma 1572 : la "fiammata mistica" di Anthonie Blocklandt, El Greco e Giovanni de' Vecchi ». Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2017. http://amsdottorato.unibo.it/8206/1/Checchi_Guido_tesi.pdf.

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Nel libro Pittura e Controriforma: l’arte senza tempo di Scipione da Gaeta, edito nel 1957, Federico Zeri affronta, tra i primi in Italia, la questione delle immagini nella crisi religiosa del XVI secolo causata dalla Riforma. A quel processo di semplificazione formale dell’arte sacra secondo i precetti tridentini, si accompagna anche un’inquieta e fremente vena mistica in alcuni artisti, espressione di una spiritualità più complessa. Zeri sottolinea che questa tendenza nasce con Giovanni de’ Vecchi (1543-1615), El Greco (1541-1614) e l’olandese Anthonie Blocklandt van Montfoort (1533 ca-1583). Il loro probabile incontro nel 1572 a Roma alla corte del cardinal Alessandro Farnese avrebbe acceso la “fiamma suprema del misticismo pittorico del cinquecento”. I tre pittori dimostrano di avere in comune assonanze stilistiche, nonostante la diversa provenienza e formazione. Il più maturo Blocklandt potrebbe aver contribuito al visionario linguaggio di El Greco toledano. Questa complessa ipotesi non è mai stata verificata approfonditamente anche se nel corso degli anni vi sono stati numerosi contributi alle figure di questi tre artisti, contributi sempre però apportati separatamente l’uno dall’altro, dove la questione della relazione fra i tre è stata solo sfiorata. La ricerca ha attraversato gli studi sui tre diversi artisti con gli aggiornamenti dell’ultimo sessantennio, insieme ad un approfondimento del contesto storico e religioso attorno al 1572, e ad un‘analisi delle opere attorno al 1570-1575 di Blocklandt, El Greco e de’Vecchi.
In Pittura e Controriforma: l’arte senza tempo di Scipione da Gaeta, edited in 1957, Federico Zeri is among the first in Italy to discuss the question of images in the religious crisis caused by the Reformation in the XVI century. Above the process of formal simplification and touching pietism, another trend appears made of dramatic and trembling mystic traits of some artists, symptom of more complex spirituality. Zeri highlights how this tendency born with Giovanni de’ Vecchi (1543-1615), El Greco (1541-1614) and the Dutch Anthonie Blocklandt van Montfoort (1533 ca-1583). The “fiamma suprema del misticismo pittorico del cinquecento”, the mystic blaze, was lit up in 1572 by the encounter of three painters in Rome at the court of cardinal Alessandro Farnese. These artists unexpectedly show stylistic assonances, despite their different background and training. The elder and mature Blocklandt might have helped the visionary language of El Greco’s Spanish period. This complex hypothesis has never been thoroughly verified, even though, along the years, the studies about three artists have given many contributions. But, they were made separately from each other, where the question of the relationship among the three was only touched lightly. The research has gone through studies on the three different artists with updates over the last sixty years, jointly with a deepening of the historical and religious context around 1572, and an analysis of paintings around 1570-1575 made by Blockland, El Greco and de’Vecchi.
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Quarantini, Irene <1995&gt. « La X Quadriennale di Roma e il sistema delle mostre internazionali nell'era del Glocal ». Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2019. http://hdl.handle.net/10579/16133.

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Résumé :
La tesi si propone di indagare i rapporti fra la X Quadriennale di Roma e il sistema delle mostre internazionali. Partendo dall’analisi del contesto storico politico, si valuteranno le conseguenze dei tentativi di riforma dei grandi enti espositivi italiani (Biennale di Venezia, Triennale di Milano, Quadriennale di Roma), seguite dallo studio delle principali tendenze artistiche e dalla descrizione di due mostre cardine svoltesi all’esterno dell’ambito istituzionale fra il 1970 e il 1971: Vitalità del Negativo e Gennaio’70. La volontà di riforma degli enti e dei loro statuti si concretizza nella struttura differente conferita alla X Quadriennale romana non più concentrata in un singolo appuntamento, ma strutturata in cinque diverse mostre che vanno dal 1972 al 1977, abbracciando tutti i settori delle arti dal figurativo al non figurativo, fino alla ricerca estetica. Inoltre, diversamente da quanto accaduto nel passato si aggiungono due ulteriori sezioni dedicate ai giovani artisti emergenti e agli artisti stranieri operanti in Italia. La tesi tratterà poi della Biennale di Venezia, unico ente ad aver portato a termine la riforma del proprio statuto entro il 1973, nello specifico della XXVI edizione del 1972, realizzatasi sulle linee guida che ispireranno gli emendamenti dell’anno successivo e guidata dal tema Opera o Comportamento. L’elaborato si concluderà con la ricostruzione delle mostre organizzate dalla Quadriennale fuori dal contesto nazionale, dell’origine del sistema delle mostre internazionali tese fra spinte locali e ambizioni globali e con la trasposizione dell’intervista realizzata con il curatore della futura Quadriennale del 2020 Stefano Collicelli Cagol.
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Moraschi, Annalisa <1994&gt. « Il Mito di Ravenna nell’Ottocento : l’Imago Civitatis tra Roma Capitale e la Grande Guerra ». Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2020. http://hdl.handle.net/10579/17227.

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Résumé :
Questa ricerca costituisce la seconda parte di un più ampio progetto realizzato in collaborazione con il Dottor Ruben Campini, che si propone di analizzare la storia della percezione della città di Ravenna dal Congresso di Vienna fino alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. L’obiettivo del presente studio è quello di esaminare, attraverso un’analisi comparativa, le diverse percezioni della città e dei suoi monumenti novellate nei resoconti dei viaggiatori stranieri tra il 1871 ed il 1914, di come esse abbiano contribuito alla nascita del mito di Ravenna e siano state infine stimolo per lo sviluppo di una nuova percezione locale, nazionale e internazionale. Particolare attenzione è rivolta al conseguente processo di determinazione dell’identità cittadina che comporta anche l’alterazione della morfologia cittadina tramite i restauri ai monumenti.
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Bruzzesi, Marco <1977&gt. « La ricostruzione dell'assetto topografico della VI regio augustea di Roma dal periodo repubblicano all'età tardoantica ». Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2013. http://amsdottorato.unibo.it/6070/1/Bruzzesi_Marco_tesi.pdf.

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Résumé :
La VI regio augustea di Roma rappresenta uno dei settori urbani maggiormente investiti dalle modifiche radicali compiute dall’uomo nel processo di urbanizzazione della città che ne hanno modificato profondamente la situazione altimetrica e la conformazione originaria. Questi notevoli cambiamenti ebbero origine sin dall’età antica, ma si intensificarono profondamente soprattutto nel periodo rinascimentale quando a partire da Pio IV e soprattutto con Sisto V, attivo in tante altre zone della città, si svilupparono numerose opere di rinnovamento urbanistico che incisero notevolmente sul volto e sulle caratteristiche della zona in esame. A partire dal Rinascimento fino ad arrivare ai grandi scavi della fine del 1800 tutto il quartiere incominciò a “popolarsi” di numerosi edifici di grande mole che andarono ad intaccare completamente le vestigia del periodo antico: la costruzione del Palazzo del Quirinale e dei vari palazzi nobiliari ma soprattutto la costruzione dei numerosi ministeri e della prima stazione Termini alla fine dell’800 comportarono numerosi sventramenti senza la produzione di una adeguata documentazione delle indagini di scavo. Questa ricerca intende ricostruire, in un’ottica diacronica, la topografia di uno dei quartieri centrali della Roma antica attraverso l’analisi dei principali fenomeni che contraddistinguono l’evoluzione del tessuto urbano sia per quanto riguarda le strutture pubbliche che in particolar modo quelle private. Infatti, il dato principale che emerge da questa ricerca è che questa regio si configura, a partire già dal periodo tardo-repubblicano, come un quartiere a vocazione prevalentemente residenziale, abitato soprattutto dall’alta aristocrazia appartenente alle più alte cariche dello Stato romano; oltre a domus ed insulae, sul Quirinale, vennero costruiti lungo il corso di tutta l’età repubblicana alcuni tra i più antichi templi della città che con la loro mole occuparono parte dello spazio collinare fino all’età tardoantica, rappresentando così una macroscopica e costante presenza nell’ingombro dello spazio edificato.
The Augustan VI Regio of Rome is one of the most urban areas hit by man-made radical changes in the process of urbanization of the city that have fundamentally altered the situation altitude and the original conformation. These remarkable changes originated from the age old but deeply intensified especially during the Renaissance when starting Pius IV and above with Sixtus V, active in many other areas of the city, developed numerous works of urban renewal that they recorded significantly on face and on the characteristics of the area. Since the Renaissance up to the large-scale excavations in the late 1800s around the neighborhood began to "populate" to many buildings of great size that went to undermine completely the vestiges of the ancient period: the construction of the Palazzo del Quirinale and the various palaces but especially the construction of numerous ministries and the first station Termini to the 800 behaved numerous eventrations without the production of a proper documentation of investigations of excavation. This research aims to reconstruct, in a diachronic way, the topography of one of the central districts of ancient Rome through the analysis of the main phenomena that characterize the evolution of the urban fabric both in terms of public buildings especially private ones. In fact, the main result that emerges from this research is that regional configuring, starting as early as the late Republican period, as a vocation mainly residential district, inhabited mainly by the high aristocracy belonging to the highest offices of the Roman state; as well domus and insulae, on the Quirinal, were built along the course of the republican age some of the oldest temples of the city with their size of the space occupied hill until Late Antiquity, representing a macroscopic and constant presence overall size of the space center.
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Crea, Luigi <1993&gt. « Il mercato dell'arte dall'antiquariato all'arte contemporanea : Le Gallerie W. Apolloni e del Laocoonte di Roma ». Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2019. http://hdl.handle.net/10579/15281.

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Résumé :
La tesi si apre con una introduzione sulla storia del collezionismo, per indagare come è cambiato il ruolo e l'importanza della figura del mercante d'arte e dell'antiquario dall'Ottocento ad oggi, in particolare nell'ambito romano. L'elaborato si incentra sull'analisi della storia della Galleria d'antiquariato W. Apolloni, fondata nel 1926, affrontandone la storia, le mostre e le donazioni. A questo si aggiunge uno studio sulla galleria che nasce dalla W. Apolloni ma che si occupa di arte figurativa di primo Novecento, la Galleria del Laocoonte. Attraverso lo studio incrociato delle strategie espositive e promozionali delle due gallerie l'elaborato intende mettere in risalto le differenze gestionali tra le gallerie antiquariali e quelle contemporanee.
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ALBERTI, ALESSIA. « L'INDICE DI ANTONIO LAFRERY : ORIGINI E RICOSTRUZIONE DI UN REPERTORIO DI IMMAGINI A STAMPA NELL'ETA' DELLA CONTRORIFORMA ». Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2010. http://hdl.handle.net/10280/749.

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Résumé :
L’Indice di Antonio Lafrery (1512-1577) è il catalogo della sua produzione editoriale fino alla metà degli anni settanta del Cinquecento. In questo studio vengono identificate le opere in esso citate. Le novità che emergono riguardano soprattutto le corrispondenze tra le sezioni in cui l’Indice è strutturato e le raccolte in volume pubblicate da Lafrery, portandone a conoscenza di nuove rispetto ai noti “Speculum Romanae Magnificentiae” e “Tavole Moderne di Geografia”. Sono poi indagati i contatti dell’editore con umanisti, collezionisti e mecenati.
The Antonio Lafrery ‘s “Indice” (1512-1577) is the catalog of his editorial production until the mid-seventies of the sixteenth century. In this study the works cited therein are identified. The news that emerge mainly concern the correspondence between the sections in which the index is structured and collected in a volume published by Lafrery, leading to new knowledge in relation to known "Speculum Romanae Magnificentiae" and " Tavole Moderne di Geografia ". Then are studied the editor’s contact with humanists, collectors and patrons.
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ALBERTI, ALESSIA. « L'INDICE DI ANTONIO LAFRERY : ORIGINI E RICOSTRUZIONE DI UN REPERTORIO DI IMMAGINI A STAMPA NELL'ETA' DELLA CONTRORIFORMA ». Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2010. http://hdl.handle.net/10280/749.

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Résumé :
L’Indice di Antonio Lafrery (1512-1577) è il catalogo della sua produzione editoriale fino alla metà degli anni settanta del Cinquecento. In questo studio vengono identificate le opere in esso citate. Le novità che emergono riguardano soprattutto le corrispondenze tra le sezioni in cui l’Indice è strutturato e le raccolte in volume pubblicate da Lafrery, portandone a conoscenza di nuove rispetto ai noti “Speculum Romanae Magnificentiae” e “Tavole Moderne di Geografia”. Sono poi indagati i contatti dell’editore con umanisti, collezionisti e mecenati.
The Antonio Lafrery ‘s “Indice” (1512-1577) is the catalog of his editorial production until the mid-seventies of the sixteenth century. In this study the works cited therein are identified. The news that emerge mainly concern the correspondence between the sections in which the index is structured and collected in a volume published by Lafrery, leading to new knowledge in relation to known "Speculum Romanae Magnificentiae" and " Tavole Moderne di Geografia ". Then are studied the editor’s contact with humanists, collectors and patrons.
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Farina, Arianna <1985&gt. « «La città più ornata di tutto il mondo» : facciate decorate a Roma fra XV e XVI secolo ». Doctoral thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2015. http://hdl.handle.net/10579/8364.

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Résumé :
Il progetto si propone di indagare una diffusa pratica decorativa della Roma rinascimentale: l’uso cioè di dipingere le facciate di edifici civili del centro storico con apparati iconografici e tecniche variegate. La ricostruzione documentaria delle decorazioni dei prospetti, andati in gran parte perduti, andrà integrata con uno studio topografico, con documenti su modelli, genealogie e committenze per far luce su fenomeni e prospettive artistiche, storiche e macro-culturali ancora ‘aperte’ alla ricerca. Inoltre, si analizzeranno le possibilità di ripristino mnemonico e visivo di questo patrimonio: dalle fonti bibliografiche e iconografiche reperite alle possibilità offerte dalla nuove tecnologie applicate all'arte con i suoi molteplici strumenti.
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Pietrangeli, Giovanni. « La fabbrica e la politica. Produzione e lavoro alla Voxson di Roma (1951-1980) ». Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2014. http://hdl.handle.net/11577/3424665.

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Résumé :
This work reconstructs the history of electronic appliances’ production in post-war Italy. This sector particularly prosperous during the 50s and 60s, can be considered as one of the most representative of the Italian industry in the “miracolo economico”. Civil electronics is characterized by scarce industrial concentration, with several enterprises active in the country. For two decades this industry symbolises the push towards innovation in production and the growing private consumes in Italy and Europe. Electronics factories employ thousands of youngsters who are trained in a professional-oriented educational establishments. Throughout the 70s, with the spreading of transistor technology, tv-color and IT, the need for investments and human capital in the production system becomes more urgent, although the scarce industrial concentration and the absence of a public research plan cannot sustain it. Big multinational corporations from America, Japan and Northern Europe dominate the market of electronic appliances thanks to public demand, national innovation and specialised organization systems. The international competition gradually marginalises Italian brands in global markets. The Roman firm Voxson, the case-study presented in this research, lives a two-decade expansion, being acquired in 1972 by United Kingdom corporation Emi Ltd. After a brief period, Emi Ltd. sells Voxson to a financial company, which radically reorganizes the enterprise, separating specific divisions. However, this reorganization happens at a critical moment for the whole industry in Italy. Because of relevant losses, the new ownership in 1980 proposes a temporary receivership, that carries the enterprise to definitive closure and bankruptcy, which is nowadays still ongoing. Voxson is active inside a rich industrial network, although it is weakened by the complex urban fabric of Rome. It is one of the biggest and prosperous factories of the Capital city. It employs between 1.500 and 2.000 people, as technicians, employees and workers, mainly women. This research focuses unions activities, inside and outside the factory gates, with particular attention to political cultures, the relationship between unions and new social entities and to the claims that emerge from these controversial dynamics.
Il lavoro ripercorre la storia della produzione di apparecchi radio-televisivi in Italia nel secondo dopoguerra. Questo settore, particolarmente florido negli anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo, può essere considerato uno dei più rappresentativi dell’industria italiana durante il “miracolo economico”. Caratterizzato da una scarsa concentrazione industriale, con decine di imprese attive su quasi tutto il territorio nazionale, l’elettronica civile riassume per oltre due decenni le spinte all’innovazione nel mondo della produzione e la crescita dei consumi privati, in Italia e in Europa. All’interno delle fabbriche elettroniche trovano impiego migliaia di giovani formati all’interno di un sistema scolastico che tende a valorizzare competenze immediatamente spendibili nel tessuto industriale nazionale. Negli anni Settanta, con l’avvento del transistor, del colore televisivo e dell’informatica, si fa più pressante l’esigenza di investimenti rilevanti nel ciclo produttivo e nel capitale umano, una condizione che non può essere garantita dalla scarsa concentrazione industriale e dall’assenza di un piano nazionale di investimento nella ricerca applicata. Il mercato internazionale degli apparecchi elettronici vede imporsi le grandi compagnie multinazionali americane, giapponesi e nordeuropee, sostenute dalla domanda pubblica e da sistemi nazionali di investimento e organizzazione settoriale. I marchi italiani vengono progressivamente emarginati dalla concorrenza internazionale. Anche la Voxson di Roma, caso studio presentato in questa ricerca, vive un ventennio di espansione e nel 1972 viene acquisita da una multinazionale del Regno Unito, la Emi Ltd. Questa, dopo pochi anni, la cede a una società finanziaria, che ne ristruttura radicalmente l’impianto organizzativo, scorporando singole lavorazioni e comparti. Il tentativo di ristrutturazione arriva tuttavia in un momento critico per l’intero settore in Italia. Le ingenti perdite costringono quindi la nuova proprietà a richiedere nel 1980 l’amministrazione controllata, che accompagna l’azienda alla chiusura definitiva e ad un procedimento fallimentare tutt’ora in corso. Attiva all’interno di un tessuto industriale ricco, ma indebolito dalla complessa struttura urbanistica della città di Roma, la Voxson è una delle più grandi e floride industrie della Capitale. Al suo interno lavorano tra le 1.500 e le 2.000 persone, tra tecnici, impiegati e operaie, per lo più donne. Questa ricerca dedica grande attenzione all’attività sindacale, sia dentro che fuori i cancelli della fabbrica, concentrandosi sulle culture politiche, sulle relazioni tra sindacato e nuovi soggetti sociali e sulle rivendicazioni che, a partire da questo controverso rapporto, prendono corpo nel corso dei tre decenni di attività della fabbrica.
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Marletta, Angelo. « L'arte del contemperare. Storia e progetto nell opera 'Il Campo Marzio dell antica Roma' di Giovanni Battista Piranesi ». Doctoral thesis, Università di Catania, 2012. http://hdl.handle.net/10761/944.

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Résumé :
Il presente lavoro ha come oggetto di studio l opera Il Campo Marzio dell antica Roma (1762) di Giovan Battista Piranesi, un volume composto da un testo scritto e da una vasta raccolta di stampe all acquaforte ottenute mediante il processo di incisione di matrici in rame. Il tema della pubblicazione è la ricostruzione ipotetica di una vasta zona della città antica di cui viene analizzata la storia, l evoluzione e la decadenza nelle diverse fasi dell età romana, allo scopo di restituirne l aspetto in pianta e attraverso molteplici vedute. Lo studio è finalizzato alla comprensione della storia della rappresentazione e all analisi grafica del repertorio figurativo, nel tentativo di inquadrare l opera all interno dell intera produzione artistica piranesiana, anche allo scopo di distinguere gli elementi che garantiscono una continuità con le realizzazioni precedenti, dalle novità introdotte dall artista sia sul piano compositivo, che su quello dei contenuti. La ricerca delle fonti storiche, grafiche e cartografiche assunte come riferimento per la realizzazione dell Ichnographia Campi Martii, ed il confronto con i principali modelli icnografici esistenti a quel tempo - come la Forma Urbis e la Nuova Pianta di Roma pubblicata nel 1748 da Giovan Battista Nolli - dimostrano come l elaborato oltrepassi nettamente i limiti della ricostruzione filologica, denunciando con forza il proprio carattere visionario. Un aspetto che viene evidenziato anche attraverso la comparazione delle due diverse tipologie di Vedute presentate dall autore all interno del suo volume. L analisi geometrica delle strutture planimetriche più importanti permette di individuare i principi compositivi messi in atto per la redazione dell Ichnographia, nonché di riconoscere i possibili riferimenti alle architetture antiche o ai disegni cinquecenteschi. Segue una lettura critica dell opera alla luce delle riflessioni condotte dalla storiografia ed in funzione delle teorie architettoniche e del dibattito ideologico settecentesco. L ultimo capitolo esamina l eredità dell opera del maestro veneziano in campo architettonico, dimostrando il carattere attuale del suo pensiero.
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Parisini, Laura <1977&gt. « Lavoro e identità sociale nella documentazione epigrafica della gente di mestiere di Roma (I secolo a.C. - III secolo d.C.). I professionisti del lusso (gioielleria, abbigliamento, cosmesi) ». Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2019. http://amsdottorato.unibo.it/8873/1/parisini_laura_tesi.pdf.

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Résumé :
Questa ricerca ha come oggetto la documentazione epigrafica relativa agli artigiani e ai commercianti di Roma (I sec. a.C. - III sec. d.C.) attivi in settori economici particolarmente prestigiosi e remunerativi come l'abbigliamento di lusso, la cosmesi e la gioielleria (Cap. I). Al centro dell'indagine si trovano pertanto aurifices, gemmarii, margaritarii, plumarii, purpurarii, sericarii, unguentarii e molte altre figure professionali attive a Roma nella produzione e nel commercio di beni esclusivi (Cap. II). Quello che si vuole sottolineare è il valore dell'epigrafia come espressione della forma mentis di una categoria sociale: in particolare, l'obiettivo primario della ricerca consiste nel mettere in luce il significato della registrazione epigrafica del lavoro, che nel mondo romano costituisce il fattore determinante dell'ascesa economica e sociale di singoli professionisti e di intere familiae, a dispetto della concezione prevalentemente negativa dell'artigianato e del commercio al dettaglio, attività che furono più volte condannate dalla letteratura moralista di stampo aristocratico (Cap. III).
This thesis analyzes the epigraphic sources relating to the artisans and merchants of Rome (1st century BC - III century AD), active in particularly prestigious and remunerative economic sectors such as luxury clothing, cosmetics and jewellery (Chapter I). At the center of the investigation are therefore aurifices, gemmarii, margaritarii, plumarii, purpurarii, sericarii, unguentarii and many other professionals active in Rome in the production and trade of exclusive goods (Chapter II). The aim of this work is to highlight the value of epigraphy as an expression of the forma mentis of a social category: in particular, the primary objective of the research is to highlight the meaning of the epigraphic recording of work, which in the Roman world constitutes the main factor in the economic and social ascent of individuals and families, in spite of the predominantly negative conception of craftsmanship and retail trade, activities that were repeatedly condemned by aristocratic moralistic literature (Chapter III).
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Palumbo, Michela <1998&gt. « La Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea di Roma : gli ordinamenti e l'attività didattica dal 1915 ad oggi ». Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2021. http://hdl.handle.net/10579/20456.

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Résumé :
Nel primo capitolo si tracceranno le origini della galleria (come è nata, il trasferimento nella sede di Valle Giulia e la progettazione dell’edificio ad opera di Cesare Bazzani) e si prenderanno in considerazione il primo ordinamento nella sede di Valle Giulia ad opera di Ugo Fleres nel 1915 e il secondo ordinamento ad opera di Roberto Papini nel 1938, analizzando in particolare l’attività di quest’ultimo e l’impegno nel promuovere la Galleria come centro di studio, stroncato dall’insorgere della Seconda Guerra Mondiale. Durante quegli anni fu fondamentale la direzione di Palma Bucarelli, alla quale sarà dedicato il secondo capitolo, in cui, in una prima parte si esamineranno gli ordinamenti da lei proposti, e, in una seconda parte la sua attività didattica, avviata anche grazie al sostegno da parte di critici di primo piano come Lionello Venturi e Giulio Carlo Argan, proponendo in ultimo un confronto con la parallela attività didattica promossa da Caterina Marcenaro in quegli anni a Genova. Nel terzo capitolo si prenderanno in considerazione gli ordinamenti degli anni Ottanta e Novanta, in particolare quello proposto da Sandra Pinto, proponendo un confronto con un'altra realtà italiana che si è inserita nella scena dell’arte contemporanea in quegli anni, il Castello di Rivoli. Infine nel quarto capitolo si metterà in luce l’ultimo ordinamento della Galleria, proposto da Cristiana Collu nel 2016, che ha rivoluzionato lo spazio espositivo, suscitando critiche ma anche numerose approvazioni, e si illustreranno i servizi educativi che la Galleria Nazionale propone oggi, come l’adesione al progetto «Museo per tutti» o altri progetti come «La memoria del bello» per persone affette da Alzheimer.
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LUCREZIO, MONTICELLI CHIARA. « Alle origini della polizia moderna : apparati di controllo ecclesiastici e nuovi sistemi di polizia nella Roma del primo Ottocento ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2009. http://hdl.handle.net/2108/794.

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Résumé :
Un’ampia storiografia ha analizzato gli apparati di polizia sorti tra XVIII e XIX secolo negli Stati europei come oggetto di studio ricco di implicazioni per la comprensione dei processi di modernizzazione. Negli anni più recenti l’interesse esclusivamente giuridico-istituzionale si è inoltre arricchito di un approccio maggiormente attento alle pratiche diffuse nella società, ai meccanismi di legittimazione popolare, alle culture amministrative e professionali del personale impiegato, restituendo così valore alla dimensione sociale in cui la storia di questa istituzione è immersa. La presente ricerca si colloca all’interno di questo contesto storiografico individuando nel periodo della Restaurazione romana la nascita di un modello di polizia con caratteristiche istituzionali, organizzative e operative comparabili alle coeve polizie diffuse in Italia e in Europa. Anche in una realtà peculiare come quella dello Stato pontificio, ancora fortemente legata a condizioni socio-politiche riconducibili all’ancien régime, penetrarono alcuni modelli di governo importati dai francesi nel corso delle occupazioni: un esempio fu proprio l’istituzione di una Direzione generale di polizia nel 1816. Questo nuovo organismo centralizzato, attraverso l’articolazione periferica sul territorio, si sovrappose alle preesistenti strutture di controllo ecclesiastico deputate, sin dal Concilio di Trento, allo svolgimento di molte funzioni analoghe. In special modo nella dimensione urbana di Roma, parroci e poliziotti si trovarono fianco a fianco nell’adempiere ad alcuni dei loro principali compiti di sorveglianza della popolazione (certificazioni anagrafiche, registrazione dei movimenti, rilascio passaporti) e del “buon costume” (precetti, ammonizioni, segnalazioni ai tribunali), facendo però capo a distinti apparati amministrativi, seppur sotto l’unica guida politica del sovrano-pontefice. A contrapporsi furono un progetto di “sacralizzazione” (culminato con la riforma delle parrocchie del 1824 e il Giubileo del 1825) ed uno di “secolarizzazione” della città, a cui corrisposero due concezioni distinte di governo della popolazione e del territorio che si confrontarono influenzandosi a vicenda. Se nel resto dei paesi cattolici l’istituzione della polizia, a partire dal riformismo settecentesco fino agli sviluppi ottocenteschi, coincise con l’abolizione dei tribunali ecclesiastici e dei sistemi di controllo connessi, nello Stato pontificio si sviluppò una particolare convivenza tra queste istituzioni che consente di incrociare le fonti da esse prodotte. La ricerca si pone l’obiettivo di individuare gli elementi di conflitto e collaborazione tra i diversi apparati al fine di meglio valutare i fattori di continuità e rottura nelle istituzioni e nella società della prima metà del XIX secolo. A tale scopo la prospettiva è incentrata su un triplice livello di questioni: l’assetto legislativo e normativo, i rapporti tra gli organismi nello svolgimento pratico delle rispettive funzioni, il grado di riconoscimento e legittimazione da parte della popolazione. L’ipotesi di fondo è quella di un’interazione tra strutture ecclesiastiche e nuova polizia nella definizione di un inedito campo di saperi e tecniche di controllo, registrazione e identificazione della popolazione. Allo stesso tempo il caso di studio considerato dimostra l’influenza esercitata dai sistemi ecclesiastici nella definizione di una moderna polizia, ponendo così il problema di estendere tale paradigma interpretativo ad altri contesti che conobbero forme più marcate di secolarizzazione nel corso dell’Ottocento.
The police apparatuses emerged in the European states of 18th-19th centuries have been widely studied as a subject particularly relevant to the understanding of modernization processes. In recent years new approaches to social practices, popular legitimization, administrative and professional cultures, have enriched traditional views based on institutional and judiciary studies. This research follows such new approaches, focussing on Rome in the era of Restoration, when a modern police was established with institutional and organizational characteristics quite similar to the Italian and European model. Even in such a peculiar context as the State of the Pope, strictly bound to the legacy of ancien regime, some models of government exported by the French were maintained. The General Police Department was clearly established in 1816 on the pattern of the French heritage. This new centralised body overlapped the former ecclesiastic control structures, created since the time of the Trento Council. Priests and policemen operated simultaneously in the urban territory of Rome for implementing their tasks of surveillance of the public order (identity certification, check of population mobility, release of passports) and of “buon costume” (bids, warnings, judiciary denounciations), depending however from different administrative bodies, although under the unified rule of the King-Pope. Consequently, two opposite approaches either toward increased “sacralisation” (based on parishes reform in 1824 and Giubileo in 1825) and toward “secularisation” of the city confronted each other, implying distinct concepts of government. But those two concepts also showed mutual influence. While in other countries of Catholic Europe, to begin from 18th century reforms, the establishment of centralised police led to the abolition of ecclesiastic law courts and of their own control systems, in the State of the Pope a coexistence emerged between old and new institutions. Such peculiarity allows the historian to examine and compare two different sets of sources. The research aims at assessing the elements of conflict and cooperation between the two police apparatuses, thus providing better knowledge of the balance between continuity and change in institutions and society during the first half of the 19th century. Three aspects have been particularly considered: the legal system, the relationship between different police bodies, the social perception and legitimization. The basic thesis here pointed out is that an interaction took place between church apparatuses and new police institutions in the field of control, registration and identification practices of the population. Our particular case study shows, at the same time, that ecclesiastic control mechanisms had some role in the formation of modern police. Such interpretative paradigm might reveal relevance to other European experiences, also presenting the persistence of ecclesiastic structures, even if underlying and less incumbent.
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Polizzi, Alessandro <1994&gt. « L’uso della divinazione nel contesto bellico in Roma antica. Alcuni casi di studio sulla connessione tra guerra, sacro e politica ». Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2021. http://hdl.handle.net/10579/19469.

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Résumé :
La presente tesi analizza l’uso della divinazione in ambito militare nell’antica Roma ed in particolare tra la fine della Repubblica e l’affermazione del Cristianesimo come religione di stato. Attraverso l’esame delle fonti antiche verrà approfondito l’utilizzo della mantica durante le campagne militari in una prospettiva diacronica, mettendo in evidenza i cambiamenti occorsi già alla fine dell’età repubblicana e indagandone le cause profonde. Tra queste verrà in particolare investigata la relazione esistente tra politica, guerra e sacro nel mutato assetto politico-militare del I sec. a.C., periodo nel quale si assiste all’uso, da parte di personalità di spicco, di tecniche divinatorie non tradizionali e più in generale il ricorso alla sfera religiosa per rafforzare il proprio ascendente sull’esercito e sul popolo al fine di conseguire prestigio e potere politico sempre maggiori. Tale cambiamento, in concomitanza con altri fattori quali l’espansione territoriale - che rese impraticabile l’utilizzo delle tecniche divinatorie più tradizionali a causa della distanza sempre maggiore dall’Urbe – e il contatto e l’assimilazione di popolazioni culturalmente differenti, produsse le evoluzioni che si consolidarono con l’avvento del principato e che si mantennero fino all’affermazione del Cristianesimo.
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Valeriani, Simona. « Kirchendächer in Rom : Zimmermannskunst und Kirchenbau von der Spätantike bis zur Barockzeit = Capriate ecclesiae : contributi di archeologia dell'architettura per la storia delle chiese di Roma / ». Petersberg : Imhof, 2006. http://swbplus.bsz-bw.de/bsz116553340inh.pdf.

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Carlesso, Lorenzo. « Dalla Brescia cattolica alla curia romana di Pio XI : l'itinerario biografico di Giovanni Battista Montini (1897-1939) ». Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2011. http://hdl.handle.net/11577/3427396.

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Résumé :
This Ph.D. thesis aims at illustrating the intellectual and spiritual education of G. B. Montini, the future Pope of the Roman Catholic Church under the name Paul VI (1963–1978). This research follows a biographical path, from his youth in Brescia to the long “Roman” experience in the Vatican Secretariat of State. Regarding the juvenile period spent in his hometown, I analysed the family context, essential for the education of the young Montini, and the Catholic circles of Brescia, which were, in those years, leading actors of several cultural and social initiatives. With regard to the “Roman” period, I focused on the action deployed by Montini within the “FUCI” (Italian Catholic University Federation) and the Vatican Secretariat of State during the pontificate of Pius XI (1922-1939) and Pius XII (1939-1958). Before starting his work in Vatican, Montini was involved in a diplomatic experience in the Nunciature of Warsaw. During his stay in Poland he had the possibility to get in touch with the reality of Polish Catholicism and to observe the success of Soviet Communism in Russia. The research was based primarily on Montini’s writings, taking into account also the previous historiography. Therefore, I collected archival sources for the analysis of the “Roman period” and the action deployed by Montini within the Vatican Secretariat of State. I also concentrated my research on the relations between G.B. Montini and four representatives of the Italian Catholic Church of that period, that is Father Agostino Gemelli, Don Giuseppe De Luca, Mons. Mariano Rampolla del Tindaro and the Italian philosopher Mariano Gentile.
La tesi ha per obiettivo lo studio della formazione intellettuale e spirituale G. B. Montini, futuro papa della Chiesa di Roma con il nome di Paolo VI (1963-1978). Il testo segue un indirizzo biografico: dalla giovinezza bresciana alla lunga esperienza romana presso la Segreteria di Stato vaticana. Per quanto riguarda il periodo giovanile trascorso nella città natale, sono stati analizzati il contesto familiare, fondamentale per la formazione del giovane Montini, e gli ambienti cattolici della città di Brescia, protagonisti in quegli anni di molteplici iniziative culturali e sociali. Per il periodo “romano” è stato studiato il lavoro svolto da Montini all’interno della FUCI (Federazione universitaria cattolica italiana), e della Segreteria di Stato nel corso dei pontificati di Pio XI (1922-1939) e Pio XII(1939-1958). Prima di entrare in Vaticano Montini svolse un’esperienza all’estero come minutante presso la Nunziatura di Varsavia. Nel corso del suo soggiorno ebbe la possibilità di conoscere la realtà del cattolicesimo polacco e di osservare l’affermazione del comunismo sovietico nella vicina Russia. La ricerca è stata condotta utilizzando gli scritti di G.B. Montini, e tenendo conto della storiografia precedente. Materiali d’archivio sono stati raccolti per il periodo romano in particolare per l’attività svolta da Montini all’interno della Segreteria di Stato. Altro spazio è stato riservato ai rapporti maturati dal futuro pontefice con quattro esponenti del cattolicesimo italiano di quel periodo, ovvero padre Agostino Gemelli, don Giuseppe De Luca, mons. Mariano Rampolla del Tindaro ed il filosofo Marino Gentile.
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Valentini, Alessandra <1982&gt. « Il partito degli sconfitti : la factio di Agrippina Maggiore all'esordio del principato ». Doctoral thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2013. http://hdl.handle.net/10579/3030.

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Résumé :
L’avvento del principato determinò la fine della libertà politica intesa in senso repubblicano e spostò la discussione dalle sedi tradizionali (senato e comizi) ad un nuovo luogo di decisione politica, la corte. Questo studio si propone di indagare le forme assunte dall’opposizione in età tiberiana, focalizzando l’attenzione sull’azione della nipote di Augusto. Attraverso la ricostruzione del profilo biografico di Agrippina Maggiore e dell’azione politica posta in essere dalla matrona e dal suo gruppo nonché la definizione dell’ideologia patrocinata dal circolo e delle forme di comunicazione con le basi del consenso si è potuto concorrere, nella più ampia prospettiva della funzione politica della corte, al riconoscimento dei gruppi che animavano la dialettica politica del tempo, alla definizione dell’identità degli aderenti e dei loro obbiettivi nonché a chiarire le dinamiche della partecipazione politica delle matrone nella prima età imperiale.
The foundation of the Principate brought to an end the political freedom of the Roman Republic and shifted the debate from the traditional places (senate and comitia) to a new site, the court. This research aims to investigate the opposition during the reign of Tiberius, focusing on Agrippina the Elder’s action. The reconstruction of the biography of Augustus’ granddaughter and of the political action put in place by the matron and by her entourage as well as the analysis of the ideas and of the ways of communicate used by the group with the basis of the consensus enabled to detect the groups and the members that during the reign of Tiberius animated the political debate, to determine their identity and their goals as well as to explain, in the broader perspective of the political role of the court, the dynamics of matrons’ political participation in the early empire.
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Morizio, Adolfo. « Eremitismo e monachesimo in Italia tra XIII e XIV secolo : i "Celestini" di fra Pietro del Morrone. Storia e documenti (metà sec. XIII-1320) ». Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2008. http://hdl.handle.net/11577/3425067.

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Résumé :
The thesis is divided into two parts. In the first part is analyzed the history of Celestini from its origins to 1320. In the second part lists the churches and monasteries, with bibliography and sources, and all documents of the period 1249-1320
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NOBILI, ELENA. « Alfredo Ildefonso Schuster a Roma (1880 - 1929) ». Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2011. http://hdl.handle.net/10280/1070.

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Résumé :
Alfredo Ildefonso Schuster (1880-1954), abate di San Paolo fuori le Mura e, successivamente, arcivescovo di Milano dal 1929 al 1954, ricoprì, durante il periodo romano, importanti incarichi sia all’interno dell’Ordine benedettino che della curia romana per volontà di Pio X, Benedetto XV e Pio XI. Egli diede un contributo decisivo in svariati ambiti: insegnò presso la Scuola di Musica sacra, fu consultore della Congregazione dei Riti, preside del Pontificio Istituto Orientale e presidente della Pontificia Commissione di arte sacra. Personalità particolarmente sensibile, fu in contatto con il mondo benedettino europeo, sostenne il movimento liturgico e si mostrò aperto verso la Chiesa ortodossa e gli ebrei. Dal punto di vista politico, infine, Schuster affermò con chiarezza la necessità che lo Stato riconoscesse l’importante azione sociale della Chiesa, denunciando le ingerenze e i soprusi commessi sia dal governo liberale che da quello fascista.
Alfredo Ildefonso Schuster (1880-1954) was a Benedictine monk at the Basilica of Saint-Paul-Outside-the-Walls in Rome and Archbishop of Milan from 1929 to 1954. During his stay in Rome he held high offices for both the Benedictine order and the Roman Curia thanks to Popes Pius X, Benedict XV and Pius XI. He provided decisive contributions to various fields: teacher at the Institute of Sacred Music, Consultor to the Sacred Congregation of Rites, President of the Pontifical Oriental Institute and President of the Commission for Sacred Art. Man with a highly sensitive personality, Cardinal Schuster got in touch with the European Benedictine community, promoted the Liturgical Movement and showed his openness to the Orthodox Church and the Jewish people. In the political field Schuster clearly stated the necessity of the State to admit the important social action carried on by the Church, while blaming interferences and abuses of both the Liberal and Fascist Government.
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NOBILI, ELENA. « Alfredo Ildefonso Schuster a Roma (1880 - 1929) ». Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2011. http://hdl.handle.net/10280/1070.

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Résumé :
Alfredo Ildefonso Schuster (1880-1954), abate di San Paolo fuori le Mura e, successivamente, arcivescovo di Milano dal 1929 al 1954, ricoprì, durante il periodo romano, importanti incarichi sia all’interno dell’Ordine benedettino che della curia romana per volontà di Pio X, Benedetto XV e Pio XI. Egli diede un contributo decisivo in svariati ambiti: insegnò presso la Scuola di Musica sacra, fu consultore della Congregazione dei Riti, preside del Pontificio Istituto Orientale e presidente della Pontificia Commissione di arte sacra. Personalità particolarmente sensibile, fu in contatto con il mondo benedettino europeo, sostenne il movimento liturgico e si mostrò aperto verso la Chiesa ortodossa e gli ebrei. Dal punto di vista politico, infine, Schuster affermò con chiarezza la necessità che lo Stato riconoscesse l’importante azione sociale della Chiesa, denunciando le ingerenze e i soprusi commessi sia dal governo liberale che da quello fascista.
Alfredo Ildefonso Schuster (1880-1954) was a Benedictine monk at the Basilica of Saint-Paul-Outside-the-Walls in Rome and Archbishop of Milan from 1929 to 1954. During his stay in Rome he held high offices for both the Benedictine order and the Roman Curia thanks to Popes Pius X, Benedict XV and Pius XI. He provided decisive contributions to various fields: teacher at the Institute of Sacred Music, Consultor to the Sacred Congregation of Rites, President of the Pontifical Oriental Institute and President of the Commission for Sacred Art. Man with a highly sensitive personality, Cardinal Schuster got in touch with the European Benedictine community, promoted the Liturgical Movement and showed his openness to the Orthodox Church and the Jewish people. In the political field Schuster clearly stated the necessity of the State to admit the important social action carried on by the Church, while blaming interferences and abuses of both the Liberal and Fascist Government.
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LADDAGA, FRANCESCO. « Uso e percezione della topografia nel Leggendario Romano ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2009. http://hdl.handle.net/2108/202641.

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Résumé :
Pur se il Leggendario Romano in passato è stato analizzato da diversi punti di vista e con finalità differenti, l’aspetto topografico non solo è stato spesso relegato ad un ruolo marginale, ma è stato prevalentemente affrontato in contributi incentrati solo su una parte del repertorio disponibile o su limitati settori di Roma o del suburbio; questa ricerca, che si inserisce in quel filone che negli ultimi anni ha visto tra gli altri Augusto Fraschetti e Lucrezia Spera attingere ad alcune passioni romane per chiarire questioni storiche ed archeologiche, ha invece inteso considerare il repertorio topografico del Leggendario Romano nella sua globalità (ad eccezione delle passioni in greco, quelle -numericamente irrilevanti- rielaborate su testi di II o III secolo e quelle interamente ambientate al di fuori dall’Urbe), prendendo in esame le 53 passiones latine tardo-antiche e altomedievali contenenti almeno un toponimo riferibile con certezza alla città di Roma. Il primo dei quattro capitoli riprende le fila del dibattito tra quanti pensano che l'inaffidabilità delle passioni ne infici completamente il valore come fonti storiche e quanti invece ne hanno dimostrato, soprattutto negli ultimi anni, il notevole potenziale informativo. Inserendosi in questo secondo gruppo, la ricerca ripercorre la storia degli studi sul Leggendario Romano illustrando la genesi delle passiones e commentando le diverse ipotesi in merito al periodo di redazione, ai destinatari e ai possibili autori. Questi ultimi vengono identificati con alcuni ecclesiastici romani, i quali, grazie alla loro conoscenza del territorio e dei contesti monumentali cristiani dell’Urbe, per dare maggiore credibilità alle loro ricostruzioni arricchirono il racconto agiografico di dettagli topografici. Segue quindi il capitolo dedicato ai testi, organizzati in schede e ordinati secondo l’ordine dei titoli tradizionali delle passiones. Le schede sono corredate da sintetiche introduzioni sulle figure dei martiri protagonisti, da note riepilogative degli studi sulle singole passioni e da un esaustivo apparato bibliografico. Grande spazio è dedicato al riassunto del testo, con utili rimandi ai paragrafi degli Acta Sanctorum, nel quale sono riportate, letteralmente e senza traduzione, le menzioni dei toponimi romani e suburbani. Nel terzo capitolo è presentato il repertorio dei toponimi: di ogni lemma è stata riportata la ricorrenza nei vari testi e l’eventuale similitudine esistente tra toponimi menzionati in differenti passioni. Questo tipo di analisi, oltre ad aver confermato l’esistenza di casi in cui le interrelazioni tra alcune passiones sono molto strette, è stato utilizzato come parametro per una migliore definizione della cronologia relativa tra le sopramenzionate passioni con caratteristiche affini. Tra le menzioni topografiche prese in esame, una particolare attenzione viene prestata a quelle non immediatamente associabili ad edifici o contesti noti per le quali viene puntualmente fornita un’ipotesi di localizzazione. Viene inoltre confermato, attraverso l’individuazione di casi di defunzionalizzazioni di edifici e di cambiamenti di destinazioni d’uso di alcune aree urbane, come le passioni possano fornire informazioni utili anche alla comprensione di alcune delle grandi trasformazioni avvenute a Roma in età tardo-antica. L’ultimo capitolo, riprendendo alcuni dei temi già trattati nei capitoli precedenti, concentra la sua attenzione sulle possibili finalità che avrebbero condizionato gli agiografi nell'utilizzo del repertorio topografico di Roma. Secondo la proposta avanzata gli autori delle passiones utilizzarono gli elementi topografici quasi sempre in modo strumentale; in base a tale convinzione sono state individuate 7 categorie nelle quali suddividere le intenzioni degli agiografi nel momento in cui introdussero elementi topografici nel racconto: • per mistificare la realtà storica con lo scopo di amplificare il prestigio dei luoghi ed edifici di culto; • per riconfigurare lo spazio in senso cristiano; • per ambientare in modo simbolico la narrazione; • per sviluppare la narrazione; • per adottare dei topoi della letteratura di genere; • per tracciare dei percorsi; • per accreditare la veridicità del racconto in relazione a tombe e santuari. In conclusione si suggeriscono alcune modalità attraverso le quali il repertorio topografico che emerge dal Leggendario Romano può essere utilizzato come preziosa fonte per ricerche di tipo storico, archeologico e/o agiografico
Although in the past, the Roman Legendary has been analyzed from different points of view and with different aims, not only the topography has often been relegated to a marginal role, but it was discussed with papers primarily focused on only part of the available repertoire or on limited areas of Rome; this research, which is part of that trend in recent years has seen among other Augusto Fraschetti and Lucrezia Spera, draw on some Roman passions to clarify historical and archaeological issues, but he intended to consider surveying the repertoire of the Roman Legendary in its entirety (with the exception of the passions in greek, the - numerically insignificant - revised texts of the second or third century, and those fully placed out from the Urbe), considering the 53 late ancient and high medieval Latin passiones containing at least one name referable with certainty to the city of Rome. The first of the four chapters resumes the debate between those who think that the unreliability of the passions completely cancels the value as historical sources, and among those who have shown however, especially in recent years, the considerable potential of information. By introducing this second group, the work traces the history of studies on the Roman Legendary, illustrating the genesis of passiones and commenting on various assumptions concerning the preparation period, recipients and potential authors. These are identified with some Roman ecclesiastics, who, thanks to their knowledge of the area and Christian monumental contexts of Rome, to give credibility to their accounts embellished the hagiographic story of topographical details Then follows a chapter devoted to the texts, organized into tabs and sorted in the order of the traditional titles of passiones. The cards are accompanied by synthetic introductions on the figures of martyrs characters, with notes of studies on individual passions and an exhaustive bibliography. Large space is devoted to the summary of the text, with useful references to sections of the Acta Sanctorum, in which, literally and without translation, the lists of Roman and suburban place names are contained. In the third chapter is presented the repertoire of place names: each word is was reported with the recurrence in different documents and with any similarity between place names mentioned in different passions. This type of analysis, in addition to confirming the existence of cases in which the interrelationships between some passiones are very narrow, was used as a parameter for a better definition of the relative chronology between the above mentioned passions with similar characteristics Among the studied topographical indications, particular attention is paid to those not immediately associated with known buildings with a hypothesis localization. It also confirmed, through the identification of cases of defunctionalization of buildings and changes of uses of some urban areas, such passions can provide useful information to the understanding of some of the great transformations that occurred in Rome in Late Antiquity. The last chapter, taking up some of the themes dealt with in previous chapters, focuses his attention on the possible purposes that would have affected the sacred writers to use the repertoire topography of Rome. According to the proposal, the authors used the topographical features of passiones almost always in an instrumental mode; based on this conviction, we identified 7 categories in which to divide the sacred writers' intentions when they introduced topographic elements in the story: • to mystify the historical reality in order to boost the prestige of the buildings and places of worship; • to reconfigure the space in the Christian sense; • in a symbolic way for the setting of the narrative; • to develop the narrative; • to adopt the topoi of genre literature; • to draw paths; • to authenticate the veracity of the story in relation to tombs and shrines. In conclusion, we suggest some ways in which the topography that emerges from the Roman Legendary may be used as a valuable source for historical, archaeological and / or angiographical research
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Marucci, Francesca <1980&gt. « I luoghi della politica - la politica dei luoghi : la topografia della comunicazione negli anni della 'Rivoluzione Romana' ». Doctoral thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2011. http://hdl.handle.net/10579/1119.

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Résumé :
Lo studio si concentra sulla topografia della comunicazione nel periodo della “Rivoluzione Romana” (133-31 a.C.) e verifica il valore semiotico di alcuni luoghi pubblici in cui si concentrano azioni politiche significative. A tale scopo si indagano le diverse strategie comunicative della tarda repubblica romana, associando le memorie delle fonti all’indagine sul valore culturale di quattro luoghi di Roma. Nel primo capitolo si ricostruisce la contesa politica intorno al culto, alla simbologia e al luogo dei Dioscuri (da pertinenza di una gens aristocratica a simbolo della factio popularis). L’oggetto del secondo capitolo è il tempio della Concordia: come spazio fisico (ma anche in quanto virtù politica e slogan) costituisce una dotazione permanente della factio degli optimates. Nel terzo capitolo si esaminano occasioni di interazione politica sviluppatesi in o sul teatro. La domus rostrata (IV capitolo), è indagata come elemento legittimante nell’ideologia pompeiana, un valore recepito anche dai successivi detentori della casa del Magno.
This dissertation focuses on the topography of communication during the “Roman revolution” (133-31 B.C.) and investigates the semiotic value of some public sites where highly significant political actions took place. The different strategies of communication at the time of the late Roman Republic are analysed by matching the memory of ancient sources to the investigation of the cultural value of four Roman sites. Chapter 1 reconstructs the political debate concerning the worship, the symbol and the site of the Dioscuri (from its association with an aristocratic gens to a symbol for the factio popularis). Chapter 2 revolves around the Temple of Concord, which constitutes as an actual place, as well as a political virtue and a slogan, a permanent endowment of the factio of the optimates. Chapter 3 examines cases of relationships developed in or on the theatre. The domus rostrata (Chapter 4) is taken as a legitimising element in the ideology of Pompeius, and one which was also appropriated by the subsequent proprietors of the house of Pompeius
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Speriani, Silvia. « Aiace, un eroe romano : storie e metamorfosi di un mito greco a Roma ». Doctoral thesis, Scuola Normale Superiore, 2019. http://hdl.handle.net/11384/86180.

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Résumé :
[...] La struttura di questo studio, volto a intessere un fil rouge del “modello Aiace” che si estende ben oltre le pur fondamentali attestazioni esplicite dell’eroe, si articola in una ripartizione tesa a seguire non tanto cronologicamente quanto “tematicamente” l’emergere e il mutare dei nodi di riflessione posti da questa figura mitica. Pur con le incursioni che il taglio tematico rende talvolta utili e necessarie, lo spazio temporale dell’analisi esclude tuttavia le realizzazioni letterarie più tarde di questo eroe che, intrise di valori cristiani, concentrati soprattutto sulla sua fine suicida, troppo si distaccano dalla compagine culturale dei precedenti “Aiace” romani. Il lavoro è stato suddiviso in tre ampie Parti, che seguono la vicenda mitica del Telamonio al fine di valutare gli esiti latini dei suoi tre volti sostanziali: quello militare, riconducibile soprattutto alla figura iliadica dell’eroe, quello retorico, espresso nella vicenda della contesa per le armi, e quello dell’ultima fase del suo mito, segnata dalla follia e dalla morte suicida. [...]
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ANDREOLI, JESSICA. « Storia e anatomia di una passione. Rosa Del Conte e la letteratura rumena ». Doctoral thesis, Università degli studi di Genova, 2023. https://hdl.handle.net/11567/1106540.

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Résumé :
Intitolata "Storia e anatomia di una passione. Rosa Del Conte e la letteratura rumena", la tesi di dottorato ha un carattere monografico, indagando il rapporto tra Rosa Del Conte (1907-2011) – docente universitario, critica letteraria e traduttrice – e la Romania della seconda metà del secolo scorso. L’intero elaborato è stato costruito a partire dai materiali d’archivio conservati presso il Fondo culturale italo-rumeno della prof.ssa Del Conte dell’Istituto di Studi Superiori Giuseppe Toniolo (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano): documenti, corrispondenza, prodotti culturali editi ed inediti, bozze, corsi universitari, note personali e appunti. Attraverso tali eterogenei materiali è stata messa in rilievo l’importanza del laboratorio emineschiano di Rosa Del Conte, un laboratorio di esegesi, traduzione e didattica che interessa sistematicamente la studiosa dalla fine degli anni Quaranta del Novecento ai primi anni Duemila. L’elaborato è suddiviso in tre macro-capitoli: il primo dedicato alla biografia (intellettuale) della docente, il secondo incentrato sull’analisi del corpus lirico emineschiano, il terzo, infine, imperniato sulla visione delcontiana sulla traduzione poetica.
Entitled "Storia e anatomia di una passione. Rosa Del Conte e la letteratura rumena" [History and anatomy of a passion. Rosa Del Conte and Romanian literature], the doctoral thesis has a monographic character, investigating the relationship between Rosa Del Conte (1907-2011) – university professor, literary critic and translator – and Romania in the second half of the last century. The entire work was built starting from archival materials preserved in the Italian-Romanian cultural Archive of Prof. Del Conte of the Giuseppe Toniolo Institute of Higher Studies (Catholic University of the Sacred Heart of Milan): documents, correspondence, published and unpublished cultural products, drafts, university courses, personal notes. Through these heterogeneous materials the importance of the Eminescian laboratory of Rosa Del Conte was highlighted. It was a laboratory of exegesis, translation and teaching that systematically interested the scholar from the end of the 1940s to the early 2000s. The thesis is divided into three macro-chapters: the first dedicated to the (intellectual) biography of the professor, the second focused on the analysis of Eminescu’s lyrical corpus, and finally the third focused on Del Conte’s vision of poetic translation.
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AGONI, MARIANNA. « IL VILLAGGIO DESERTO. Etnografia e storia di un insediamento rom nella Valacchia contemporanea ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2020. http://hdl.handle.net/10281/273417.

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Résumé :
Fântânele, comune di Cojasca, distretto di Dâmbovița, regione storica della Muntenia, Romania sud-orientale, a circa 40 chilometri da Bucarest, è un villaggio romeno abitato quasi esclusivamente da rom di madrelingua romaní e recentemente convertitisi alla fede pentecostale. A Fântânele ho trascorso nove mesi di ricerca (novembre 2017 - agosto 2018), combinando etnografia e ricerca d’archivio. L’elaborato che ne è risultato, è diviso in due parti. La prima parte del lavoro è dedicata al presente di Fântânele, alla situazione attuale di questo villaggio dove, dagli anni successivi alla caduta del regime di Ceaușescu (1989), le migrazioni, interne (Bucarest), ma soprattutto all’estero (Germania e Francia), hanno avuto e hanno tutt’ora un ruolo centrale nella ridefinizione della sua composizione, ma soprattutto delle vite quotidiane delle persone. Mi sono occupata, dunque, di documentare e delineare il posizionamento di Fântânele nell’ambito delle migrazioni internazionali dalla Romania, e l’ho fatto da una angolatura particolare, ovvero dal punto di vista di chi resta, di chi non può andarsene, di chi non vuole lasciare il proprio villaggio, di chi aspetta di partire, di chi è tornato a casa dopo aver trascorso un periodo più o meno lungo all’estero. Insieme alle persone conosciute a Fântânele, ho cercato di capire quale sia l’impatto delle migrazioni sul contesto e sulla comunità di origine, e quindi su quella parte della famiglia che resta al villaggio. Del resto, proprio le migrazioni all’estero rappresentano una delle dinamiche che oggi differenziano maggiormente Fântânele dagli altri villaggi che fanno parte dello stesso comune, ovvero Cojasca, abitato in gran parte da romeni, e Iazu, abitato in maggioranza da rudari, da dove non parte quasi nessuno. Come si è determinata questa differenza e quali sono le radici storiche delle diverse situazioni che caratterizzano i tre villaggi? Come si è strutturata questa tripartizione tra romeni, rudari e rom? Come è nato questo villaggio abitato quasi solo da rom, prima fierari e poi lăutari, accanto a un villaggio di contadini dediti ad agricoltura e allevamento? La seconda parte è dedicata a una ricostruzione storica della vita delle famiglie di questi villaggi, dalla nascita di Cojasca, Iazu e Fântânele, fino alla caduta del regime di Ceaușescu nel 1989. Facendo riferimento agli eventi storici e politici che hanno caratterizzato e trasformato la Romania, dall’asservimento ai boiari alla fine delle schiavitù degli țigani, dalle riforme agrarie del 1864 e della prima metà del XX secolo, che hanno lasciato le famiglie rom in una posizione di netto svantaggio rispetto a quelle romene, alla collettivizzazione e nazionalizzazione, dal regime socialista di Ceaușescu alla democratizzazione del Paese, racconto di come le famiglie di Fântânele hanno vissuto, si sono mosse, si sono adattate a questi cambiamenti, di come me ne hanno parlato, di come vedono la fine del socialismo e l’avvento della tanto agognata “libertà”.
Fântânele, Cojasca municipality, Dâmbovița country, historical region of Muntenia, southeastern Romania, about 40 kilometres away from Bucarest, is a Romanian, mostly inhabited by rom native Romaní speakers and recently converted to the Pentecostal faith. I have spent nine months of research in Fântânele, from November 2017 to August 2018, combining ethnography and archive researches. The present thesis is divided in two parts. The first part of the work is devoted to the present of Fântânele, where, since the fall of Ceaușescu’s regime in 1989, internal migrations towards Bucarest and, above all, migrations abroad towards Germany or France, have continued to play a central role both in the village composition and in everyday people’s lives. Therefore, I have documented and delineated the role of Fântânele in the international migrations from Romania within an original perspective, namely from the point of view of who stays, of people that cannot leave, of people refusing to leave their own village, of those who are still postponing the departure, and of those who came back home after a long or short period abroad. Together with people I met in Fântânele, I tried to understand the impact of migrations on the original contest and community, along with the part of the family that remains in the village. Besides, migrations to other countries represent one of the main dynamics that differentiate Fântânele from other villages of the municipality, namely Cojasca, mostly inhabited by Romanians, and Iazu, mostly inhabited by Rudari, from which almost nobody leaves. How this difference has been generated and which are the historical basis of the different situations characterizing the three villages? How did this tripartitions between romeni, rudari and rom originated? How this village almost exclusively inhabited by rom, firstly fierari and later lăutari, was born, close to a village of farmers engaged in agriculture and animal husbandry? The second part of this manuscript is devoted to a historical reconstruction of the life of families in those villages, since the foundation of Cojasca, Iazu and Fântânele, till the fall of Ceaușescu regime in 1989. I will refer to historical and political events that characterized and transformed Romania, from the enslavement from the boieri to the slavery (robie) of țigani, from agricultural reforms of 1864 e of the first half XX century, which put roma families in a position of disadvantages with respect to Romanian families, to the collectivization and nationalization, from the Ceaușescu socialist regime to the democratization of Romania. I will explain how families in Fântânele have experienced those events, how they moved and how they adapted to changes, I will report how they talked about those aspects and about their vision in regards the end of socialism and of the coming of the long-awaited “freedom”.
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MARTELLO, FABRIZIO. « Paterio, notarius ecclesiae Romanae, e il Liber testimoniorum : la redazione, il contesto di produzione e la trasmissione del primo florilegio esegetico gregoriano ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2009. http://hdl.handle.net/2108/1158.

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Résumé :
Il Liber testimoniorum del discipulus Gregorii Paterio è una raccolta di estratti esegetici dalle opere di papa Gregorio Magno (590-604), ordinati secondo loro originaria successione all'interno della Scrittura. Per le sue caratteristiche può essere considerato il primo florilegio esegetico monoautoriale noto nell'ambito della letteratura cristiana di lingua latina. La tesi dottorale di F. Martello prende in esame i precedenti letterari dell'opera; le attestazioni antiche relative alla sua diffusione entro il IX secolo e il problema dell'identificazione dell'autore con il notarius ecclesiae Romanae e secundicerius Paterio citato in più occasioni nel Registrum epistolarum gregoriano in qualità di cancelliere. Sulla base di tale identificazione, nell'intento di ricostruire l'identità biografica e professionale dell'autore e il contesto della sua attività, viene dedicato un lungo excursus alle origini e alle funzioni della categoria dei notarii ecclesiae Romanae, che vengono ricostruite attraverso il censimento (eseguito su base proposografica) e l'analisi delle testimonianze presenti nelle fonti edite (diplomatiche, epigrafiche, letterarie) fino alla metà del VII secolo. Uno spazio autonomo è dedicato alla discussione dei riferimenti presenti nel Liber pontificalis, nel Registrum gregoriano e negli Atti del sinodo lateranense del 649. L'esame diretto di una parte cospicua della tradizione manoscritta permette di precisare i confini e la struttura della parte originale pervenuta del Liber di Paterio (che comprende quattordici libri della Bibbia dalla Genesi al Cantico dei Cantici) liberandolo dalle interpolazioni che caratterizzano le edizioni a stampa, dovute all'impiego, per l'editio princeps del 1553, del codice I 360 inf della Biblioteca Ambrosiana di Milano. L'identificazione dei principali errori che caratterizzano i testimoni permette il loro raggruppamento in famiglie e la costituzione del nucleo centrale di uno stemma codicum. Al fine di ricostruire la storia del testo vengono esaminati i tentativi di integrazione e completamento del Liber compiuti nel corso del Medioevo. Alcuni di questi progetti, come il Gregorialis di Alulfo e il Supplementum Paterii di Bruno, pur nati con l'intento di imitare e proseguire il lavoro di Paterio si dimostrano opere con un proprio valore letterario. Nel caso dell'anonima raccolta dello Pseudo Paterio A si ha invece, probabilmente, la semplificazione e il riutilizzo di florilegi esegetici gregoriani precedenti (tra le sue fonti è possibile riconoscere anche una raccolta gregoriana inedita di Floro di Lione). La compresenza di tanti completamenti del Liber ha generato confusione nei suoi editori: vengono passate in rassegna le forme che l'opera assume nel corso delle successive edizioni a stampa. Contemporaneamente, si nota come la raccolta di Paterio inizi, dalla seconda metà del XVII secolo, ad assumere importanza rispetto alla definizione dei limiti della produzione da considerare autentica di Gregorio Magno. In epoca contemporanea il Liber testimoniorum, benché relegato in uno spazio estremamente marginale degli studi gregoriani, si è rivelato di estrema importanza nell'economia della tesi elaborata da Francis Clark circa la pseudoepigrafia dei Dialogi gregoriani. In realtà, nell'elaborare tale tesi e immaginare il ruolo avuto nella costruzione dell'opera dal cosiddetto "Dialogista" lo studioso è stato fortemente influenzato proprio dalla figura e dalle notizie sull'attività di Paterio. Molto scarso è stato finora l'interesse per l'opera anche nell'ambito degli studi sui florilegi di testi patristici, mentre, secondo la ricerca di Martello, il Liber avrebbe costituito un modello per il genere del florilegio esegetico che ha avuto grande sviluppo nei secoli successivi. L'analisi del prologo del Liber rivela l'impiego di immagini e stilemi gregoriani; si notano somiglianze con il linguaggio delle lettere del Registrum e con i Dialogi. L'analisi dei paragrafi dell'opera rivela invece le tecniche redazionali adottate da Paterio, che ha rielaborato i testi gregoriani di partenza per costruire delle unità esegetiche autonome sia dal punto di vista del significato che della sintassi, pronte per poter essere eventualmente riutilizzate in nuovi contesti. L'opera, nelle intenzioni del committente – Gregorio stesso –, doveva probabilmente costituire uno strumento di orientamento nella sua produzione, ad uso degli addetti allo scrinium romano, ma gli adattamenti ai testi messi in atto da Paterio fanno pensare che quest'ultimo intendesse costituire un repertorio esegetico con destinazione più ampia. La ricerca di Martello si completa con un censimento della tradizione manoscritta dell'opera e con la ricostruzione del testo del prologo e della sezione sul Cantico dei Cantici basata sul codice 220 della Biblioteca municipale di Amiens, il testimone che più sembra avvicinarsi all'archetipo almeno dal punto di vista strutturale, che viene confrontato con un gruppo di testimoni appartenenti a rami diversi della tradizione.
The late sixth century anthology known as Liber Testimoniorum by the discipulus Gregorii Paterius is probably the first, in Christian Latin literature, to collect exegetic excerpts from the works of one single Father – namely pope Gregory the Great (590-604) – and arrange them according to their order of appearance in the Scriptures. Fabrizio Martello's doctoral thesis explores the literary models the author might have been aware of, collects ancient evidence of the work's circulation until the ninth century and tackles the problem of identifying the author with a notarius Ecclesiae Romanae and secundicerius named Paterius, a writer of chancery documents quoted at various times in Gregory's Registrum Epistolarum. In order to reconstruct Paterius's biographical and professional identity as well as the context he worked in, a wide excursus in the dissertation is devoted to the origins and the tasks of the notarii Ecclesiae Romanae. The reconstruction is based on a prosopographic census of the references to papal notaries existing in published diplomatic, epigraphic and literary sources up to the first half of the seventh century. A closer examination is devoted to some of the sources involved in the enquiry, i.e. the Liber Pontificalis, the Gregorian Registrum and the Acts of the Lateran Synod of 649. Through the direct examination of a substantial part of circulating manuscript tradition, Martello is able to recognise the interpolations that characterize modern printed editions of the work (due to the use of Codex I 360 inf of the Ambrosiana Library in Milan in the context of the 1553 editio princeps), and is able to set the boundaries and to identify the structure of authentic Paterius extant work. This is represented by fourteen sections relating to as many books of the Old Testament, from Genesis to the Canticle of Canticles. The thesis also offers a core stemma codicum, based on the recognition of the main errors in the manuscript tradition. During the Middle Ages various attempts were made to complete or imitate the Liber Testimoniorum project: some of these, as the Gregorialis by Alulfus of Tournai and the Supplementum Paterii by the monk Bruno possess a literary value of their own. The anonymous collection by Pseudo-Paterius A, instead, is probably made up of previous Gregorian anthologies, summarised or simply reproduced in their entirety (among its sources we recognise an unpublished Gregorian collection by Florus of Lyon). The simultaneous existence of different recensions of the Liber has caused great confusion among modern editors. Martello examines the configurations the work displays throughout its various editions. In the meantime he notes how – from the second half of the seventeenth century – the Liber becomes increasingly important in the eyes of editors of Gregorian work intent on outlining the boundaries of Gregory's actual – authentic – literary production. Long exiled to the extreme fringe of Gregorian studies, the Liber Testimoniorum recently attracted the attention of scholars at the time of the debate generated by Francis Clark's thesis surrounding the authenticity of Gregorian Dialogues. It is appropriate to recall that while developing the idea of the so-called "Dialogist", Clark himself was deeply influenced by what is known about Paterius. Scholars' interest for this work in the context of studies on Florilegia of patristic texts has been so far rather low. However, Martello underlines, the Liber could have constituted the main pattern of the exegetic anthology genre itself, which would have largely developed in mediaeval times. The analysis of the work's Prologue reveals the use of Gregorian literary and stylistic figures. For example, strong similarities can be seen with the language of the Registrum letters and with the Dialogues. An examination of the exegetic paragraphs shows the editorial techniques adopted by Paterius, who elaborated Gregorian passages in order to construct exegetic units independent both in form and in meaning from the original context, and potentially usable elsewhere. In the intentions of its patron – Gregory himself – the anthology should probably become an index for his own literary production to be used mainly, if not exclusively, by Roman scrinium personnel. Adjustments to the excerpts by the author may however indicate that Paterius rather wanted to offer a gregorian exegetic repertory to a wider public. The research on the Liber Testimoniorum is completed by a census of the manuscript tradition and the reconstruction of two key portions of the work, the Prologue and the section pertaining to the Canticle of Canticles, based on the Amiens Municipal Library 220 manuscript – which seems to resemble the archetype most closely, at least from a structural point of view. This is collated with a group of manuscripts representing different branches of the tradition.
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CARINI, SARA. « Storia e memoria in Yo el Supremo di Augusto Roa Bastos ». Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2009. http://hdl.handle.net/10280/410.

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Résumé :
Pubblicato nel 1974, Yo el Supremo definisce l’idea di pensiero su parola e approccio alla storia di Augusto Roa Bastos. Sintesi del binomio oralità/scrittura che converge nel bilinguismo paraguaiano, sancisce l’impossibilità di creare un discorso assoluto attraverso il testo storico e il testo letterario. La parola scritta, elemento falsificatore e manipolatore della realtà in quanto portatrice del discorso ufficiale che si identifica con il discorso storico, viene decostruita attraverso dalla contrapposizione con la parola orale, portatrice della memoria viva, che mantiene il discorso collettivo del ricordo. Costruito su una pluralità di testi e voci che si sovrappongono e mostrano la realtà da diverse prospettive Yo el Supremo mette in continuo dialogo la volontà di potere del Supremo iscritta dalla Circular perpetua, con la volontà di libertà delle voci e dei testi che si contrappongono a tale discorso assoluto distruggendolo.
Published in 1974, Yo el Supremo defines the ideas on word and history that typify the work of Augusto Roa Bastos as a writer. The synthesis of the duality between orality and writing converges in paraguaian bilinguism and Yo el Supremo sanctions the impossibility of creating an absolutist discourse. The written word falsifies and manipulates the reality that is considered as the bringer of the official discourse of history and it is deconstructed by opposition with the oral word, keeper of the collective memory. Constructed on a plurality of texts and voices that superimpose and reveal reality from different perspectives, Yo el Supremo puts in continuous dialogue the will to power of the Supreme that is described in the Circular perpetua, with the will to freedom of the voices and texts that confront this discourse, destroying it.
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CARINI, SARA. « Storia e memoria in Yo el Supremo di Augusto Roa Bastos ». Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2009. http://hdl.handle.net/10280/410.

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Pubblicato nel 1974, Yo el Supremo definisce l’idea di pensiero su parola e approccio alla storia di Augusto Roa Bastos. Sintesi del binomio oralità/scrittura che converge nel bilinguismo paraguaiano, sancisce l’impossibilità di creare un discorso assoluto attraverso il testo storico e il testo letterario. La parola scritta, elemento falsificatore e manipolatore della realtà in quanto portatrice del discorso ufficiale che si identifica con il discorso storico, viene decostruita attraverso dalla contrapposizione con la parola orale, portatrice della memoria viva, che mantiene il discorso collettivo del ricordo. Costruito su una pluralità di testi e voci che si sovrappongono e mostrano la realtà da diverse prospettive Yo el Supremo mette in continuo dialogo la volontà di potere del Supremo iscritta dalla Circular perpetua, con la volontà di libertà delle voci e dei testi che si contrappongono a tale discorso assoluto distruggendolo.
Published in 1974, Yo el Supremo defines the ideas on word and history that typify the work of Augusto Roa Bastos as a writer. The synthesis of the duality between orality and writing converges in paraguaian bilinguism and Yo el Supremo sanctions the impossibility of creating an absolutist discourse. The written word falsifies and manipulates the reality that is considered as the bringer of the official discourse of history and it is deconstructed by opposition with the oral word, keeper of the collective memory. Constructed on a plurality of texts and voices that superimpose and reveal reality from different perspectives, Yo el Supremo puts in continuous dialogue the will to power of the Supreme that is described in the Circular perpetua, with the will to freedom of the voices and texts that confront this discourse, destroying it.
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Franceschetti, Andrea <1992&gt. « La capitale della "roba" : Vigevano : storie di scarpe e lavoro nella capitale della calzatura ». Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2019. http://hdl.handle.net/10579/14709.

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Résumé :
La tesi si propone di analizzare la storia del settore calzaturiero nella città di Vigevano, comune italiano situato nella provincia di Pavia, sulle rive del fiume Ticino. La ricerca, condotta in loco dal 23 ottobre 2017 al 9 febbraio 2018, ha tentato di stabilire se Vigevano sia stata la "capitale della scarpa", titolo attribuitole sin dai primi anni del '900, e di comprendere la relazione tra il "mito" della "capitale della scarpa" e le particolari auto-rappresentazioni della comunità odierna. Ho ricercato le “memorie del calzaturiero” attraverso la raccolta di documentazione d'archivio, interviste e la scrittura di un "diario etnografico" durante la mia permanenza in città, luogo in cui sono nato.
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Bricchese, Marta Paola <1993&gt. « Eva Perón e Cristina Kirchner : fra passato e presente, un populismo che si tinge di rosa ». Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2018. http://hdl.handle.net/10579/12604.

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Résumé :
Eva Perón e Cristina Fernández de Kirchner furono due importanti figure populiste femminili che caratterizzarono per anni la scena politica argentina, rompendo quella visione paternalistica tipica del populismo latinoamericano. Dopo aver delineato in termini generali cosa sia un fenomeno populista e quali siano le forme simboliche da esso utilizzate, verrà preso in esame il contesto culturale e politico argentino, in particolare gli anni relativi alla nascita del peronismo e del kirchnerismo. Solo a seguito di ciò, si potrà, infatti, capire il contesto in cui si ritrovarono ad operare Evita e Cristina, alle quali verranno dedicati, invece, i successivi capitoli. Attraverso l’analisi dei tratti più salienti delle loro vite e dei loro rispettivi populismi, si cercherà di mettere in evidenza quali furono le somiglianze e le differenze che caratterizzarono queste due importanti figure populiste femminili. In questo modo, sarà più facile delineare il mito di Evita, mito che venne spesso ripreso dalla stessa Cristina durante la sua ascesa al potere ed i suoi mandati. Lo scopo di questa tesi sarà, dunque, quello di analizzare in che modo il mito di Evita influenzò il populismo dell’ex Presidentessa argentina Cristina Kirchner.
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LEGE', ALICE SILVIA. « LES CAHEN D'ANVERS EN FRANCE ET EN ITALIE. DEMEURES ET CHOIX CULTURELS D'UNE LIGNÉE D'ENTREPRENEURS (I CAHEN D'ANVERS IN FRANCIA E IN ITALIA. DIMORE E SCELTE CULTURALI DI UNA DINASTIA DI IMPRENDITORI) ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2020. http://hdl.handle.net/2434/726976.

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Founding member of a banking network related to the actual BNP Paribas Group, Meyer Joseph Cahen (1804-1881), adopted the “d’Anvers” when he settled in Paris in 1849. Born in Bonn, of an Ashkenazi family, he made his fortune in the Belgian city to which he associated his name, and he continued his career in France. Owner of Nainville’s castle (Essonne) and of the Petit Hôtel de Villars (Paris), he became a naturalized French citizen in 1865. The next year, he obtained the title of Count, bestowed upon him by the King of Italy Victor-Emmanuel II, thanks to the economic support he offered to the Italian Unification. Nineteen years later, King Humbert I surpassed his predecessor and raised Meyer Joseph’s eldest son, Édouard (1832-1894), to the status of Marquis of Torre Alfina. If his siblings – Emma (1833-1901), Louis (1837-1922), Raphaël (1841-1900) and Albert (1846-1903) – enrooted their pathways in the French capital, the eldest lived between Florence, Naples and Rome: he was one of the great investors involved in the urban renovation of the Italian capital, after the fall of the papacy. In France, as well as in Italy, art, and especially architecture, served to legitimize the recent nobility of a family that wished to express the fullness of its civil rights. As targets of the anti-Semitic press, the Cahen d’Anvers family experienced the consequences of the Dreyfus Affair and the horrors of the racial laws. Before the latter, they adopted what could be defined as a “top-down model of integration”. This thesis focuses on its mechanisms and development. After tracing the patriarch’s origins, it analyses the family’s matrimonial policies and it continues with an exploration of Cahen d’Anvers’ “choices” in the vast field of culture. In their salons, the readers will meet Guy de Maupassant, Paul Bourget, Marcel Proust and Gabriele D’Annunzio, as well as Auguste Renoir and Léon Bonnat. Twelve mansions offered a perfect stage for these intellectual gatherings. As a public manifestation of the family’s economic and social power, the historicist eclecticism of these properties aimed to represent the owners as a new phalanx of the old nobility. While Forge-Philippe’s manor (Wallonia), Gérardmer’s chalet (Vosges) and Villa della Selva (Umbria) expressed a certain openness to the twentieth century novelties, the three residences rented by the family (Hôtel du Plessis-Bellière, Paris; Palazzo Núñez-Torlonia, Rome; Château de la Jonchère, Yvelines) and the two properties of Meyer Joseph, as well as Rue de Bassano’s mansion (Paris) or the castles of Champs (Seine-et-Marne), Bergeries (Essonne) and Torre Alfina (Latium) dressed up their nineteenth century spaces with Ancien Régime motifs. Thanks to their historical knowledge and taste, the architects Destailleur, Giuseppe Partini and Eugène Ricard, as well as the landscapers Henri and Achille Duchêne, were able to bend the Middle Age, the Renaissance and the 18th century’s “grammars” to their patrons’ taste and ambitions.
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Caputo, Federica. « Presenze femminili nell'Epistolario di Cicerone ». Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2018. http://hdl.handle.net/11577/3421810.

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Résumé :
The aim of this research work is to investigate all the female figures mentioned in Cicero's Letters, including anonymous ones. The topic is developed from three different perspectives: firstly, prosopographic profile of all the women in Cicero's Letters will be reconstructed, also considering other ancient sources on their account. The second aim of the study is to highlight the way in which Cicero relates to them, the way he describes them, the way he judges their profile and their action, as long as this can be deducted from the letters. Finally, we will try to underline their effective action in political, social, legal, economic and family affairs, in the context of a troubled and continuously changing reality such as the late-republican one. The obtained results allow to fill a gap both in the panorama of prosopographic collections of the Republican age and in the field of gender studies applied to antiquity.
Lo scopo del presente lavoro di ricerca è porre al centro dell'attenzione tutte le figure femminili menzionate all'interno dell'Epistolario ciceroniano, comprese le anonime. L'interesse nei confronti di queste donne è sviluppato secondo tre prospettive: in primo luogo si intende ricostruire il loro profilo prosopografico, considerando anche le menzioni sul loro conto provenienti da altre fonti antiche. In secondo luogo ci si propone di porre in rilievo il modo in cui l'arpinate si relaziona con loro, come le descrive, come giudica il loro profilo e la loro azione, nella misura in cui questo può essere dedotto. Infine si cercherà  di dare rilievo al loro effettivo agire in campo politico, sociale, giuridico, economico e familiare, nel contesto di una realtà  travagliata e colpita da cambiamenti come quella tardo-repubblicana. I risultati ottenuti consentono di colmare una lacuna sia nel panorama delle raccolte prosopografiche di età  repubblicana sia nel campo dei gender studies applicati all'antichità.
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FURFARO, FEDERICA. « Recezione e traduzione della pandettistica in Italia tra otto e novecento. Le note italiane al Lehrbuch des Pandektenrechts di B. Windscheid e il contributo di P.E. Bensa ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2014. http://hdl.handle.net/10281/49810.

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Résumé :
La tesi di dottorato analizza la recezione del modello pandettistico tedesco da parte della cultura giuridica italiana a cavallo tra Otto e Novecento. Particolare attenzione è riservata alle traduzioni italiane delle opere pandettistiche, sviluppatesi soprattutto grazie alla strategia “attualizzante” applicata da Filippo Serafini agli studi romanistici. La tesi include pertanto un repertorio dettagliato delle traduzioni e della manualistica italiana di diritto romano, che si svilupparono come filoni paralleli. Pure le traduzioni acquisirono progressivamente il valore di opere originali, soprattutto grazie all’inserimento di contributi personali dei traduttori italiani in forma di note, come si può notare in particolare nella versione italiana del Lehrbuch des Pandektenrechts di Bernhard Windscheid, realizzata da Paolo Emilio Bensa e Carlo Fadda. L’esame delle loro note in tema di interpretazione del diritto italiano, diritti della personalità e condizione giuridica della donna dimostra l’importanza della comparazione giuridica per lo sviluppo della scienza giuridica italiana.
This doctoral thesis analyses the influence of German Pandectist model on Italian legal culture between the 19th and 20th centuries. Particular attention is paid to Italian translations of Pandectist literature, whose development was especially due to the “revitalizing” strategy applied to Romanistic studies by Filippo Serafini. Therefore, the thesis includes also a detailed catalogue of Italian translations and original handbooks of Roman law, which developed as parallel literatures. The translations were turned into original works too, thanks to the personal contributions introduced by Italian translators through their notes. This can be seen especially in the Italian version of the Lehrbuch des Pandektenrechts by Bernhard Windscheid, written by Paolo Emilio Bensa and Carlo Fadda. The analysis of their notes on the matters of interpretation of Italian law, individual rights and juridical condition and rights of women shows the importance of legal comparison to the development of Italian legal studies.
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Zazzeron, Mauro. « Tra la Biennale, Ca' Pesaro e la Secessione romana. Per un catalogo ragionato dei dipinti di Umberto Moggioli ». Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2018. http://hdl.handle.net/11577/3424968.

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Résumé :
L’elaborato si propone di ripercorrere, attraverso una puntuale analisi storico-critica delle opere pittoriche, l’intera produzione di Umberto Moggioli, dagli esordi all’epilogo romano, entro un orizzonte temporale scalato tra il 1904 e il 1918. Non è stata oggetto di schedatura la produzione grafica e quella incisoria; ciò nonostante, per ciascun dipinto, si è tenuto conto di come e in che misura la prassi disegnativa abbia influito nella messa a punto del soggetto di volta in volta rappresentato. Per meglio comprendere le varie tappe che scandiscono il cammino pittorico dell’artista – i suoi tempi di crescita e i suoi mutamenti di rotta, la partecipazione alle esposizioni italiane (e veneziane in particolare) a cavallo delle due guerre, la rete di relazioni di cui egli fu parte – è stata fondamentale, da un punto di vista metodologico, l’analisi delle referenze e degli scambi epistolari da lui stesso promossi, nonché del carteggio tenuto dalla vedova Anna fra gli anni Venti e gli anni Cinquanta. A tal fine è stato riordinato e inventariato il materiale documentario custodito nell’Archivio privato degli eredi Moggioli, in parte confluito nell’Appendice documentaria; uno strumento di corredo, quest’ultimo, indispensabile per la disamina delle singole opere, poiché ha permesso di sciogliere nodi di carattere biografico, di ripensare tempi e modalità di esecuzione di alcuni dipinti – facendone avanzare o recedere nel tempo la genesi –, fornendo inoltre informazioni preziose per risalire alle provenienze. Al corpus di lettere, cartoline postali e telegrammi trascritti nell’Appendice si rinvia di frequente nelle singole schede, proprio per garantire alle opere pittoriche un coerente inquadramento filologico. Una sezione è stata dedicata ai dipinti ritenuti controversi sotto il profilo attributivo o dell’identificazione stilistica, privi cioè di quei parametri formali e stilistici che consentano di riconoscere con sicurezza la mano del pittore. Completa il lavoro un saggio introduttivo dedicato all’approfondimento di alcuni temi specifici: dalla fortuna critica dell’autore, a partire dalle figure e dalle esposizioni che più ne hanno seguito e indagato l’evoluzione stilistica, alla riconsiderazione del periodo formativo mediante la comparazione della documentazione rinvenuta nell’Archivio Storico dell’Accademia di Belle Arti di Venezia e le lettere scritte dal giovane artista ai familiari fra l’ottobre 1904 e il giugno 1907. Dalle ipotesi di ricostruzione “ambientale” delle mostre personali allestite a Ca’ Pesaro nel 1909 e nel 1912 (alle quali si lega il problema di riuscire a determinare la fisionomia delle opere esposte), fino a una breve riflessione sullo stile, la tecnica e i generi (la pittura di paesaggio, la ritrattistica, la natura morta) maggiormente affrontati dall’artista nell’arco della sua carriera.
The paper proposes to recall, through a precise historical-critical analysis of the paintings, the entire production of Umberto Moggioli, from the beginning to his roman epilogue, within a time horizon included between 1904 and 1918. The graphic and the engraving productions were not the object of cataloging; nevertheless, it was taken into account how and to what extent the design practice has influenced the development of the subject from time to time represented. To better understand the various stages that mark the artist’s pictorial journey – its growth times and changes of course, participation in Italian (and Venetian in particular) exhibitions straddle two World Wars, the network of relationships of which he was a part of – it was fundamental, from a methodological point of view, the analysis of references and exchanges of letters promoted by him, as well as the correspondence held by the widow Anna between the Twenties and the Fifties. To this end, the documentary material kept in the private archive of the Moggioli heirs, partly merged in the Documentary Appendix, was reorganized and inventoried; an instrument of support, this last, indispensable for the examination of individual works, as it has allowed to unravel biographical crux, to rethink times and modalities of execution of some paintings – making progress or recede in time the genesis – also providing valuable information to trace back to the origins. The corpus of letters, postcards and telegrams transcribed in the Appendix frequently refer to the individual sheets, precisely to guarantee a coherent philologic framing of the paintings. A section was dedicated to paintings considered controversial under the attributional profile or stylistic identification, that is, devoid of those formal and stylistic parameters that allow to recognize with confidence the painter’s hallmark. Complete the work an introductory essay dedicated to the deepening of some specific themes: from the author’s critical fortune, starting from the figures and the exposures that have followed and investigated the stylistic evolution, to the reconsideration of the training period through the comparison of the documentation found in the Historical Archives of the Academy of Fine Arts in Venice and the letters written by the young artist to the family between october 1904 and june 1907. From the hypothesis of “environmental” reconstruction of the personal exhibitions set up at Ca’ Pesaro in 1909 and in 1912 (which binds the problem of being able to determine the physiognomy of the exhibited works), up to a brief reflection on style, technique and genres (landscape painting, portraiture, still life) most addressed by the artist during hid career.
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NUCIFORO, BIAGIO. « «Ad unum velle et unum nolle». La Grande Congiura attraverso la diplomazia ribelle (1485-87) ». Doctoral thesis, Università degli studi della Basilicata, 2021. http://hdl.handle.net/11563/149902.

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Résumé :
Il progetto ReDiAr - Reti Diplomatiche Aragonesi (https://sites.google.com/unibas.it/rediar/home) offre un inventario digitale ad accesso aperto delle cartelle 246 e 247 (agosto 1485 - dicembre 1489) dell’Archivio di Stato di Milano, fondo Sforzesco Potenze Estere, risalenti al periodo della Grande Congiura ordita nel 1485-1487 da alcuni dei più importanti baroni e funzionari del Regno di Napoli contro re Ferrante I d’Aragona. La Congiura dei Baroni fu contrassegnata da diverse e numerose pratiche di ambasceria svolte per iniziativa degli stessi congiurati e del loro alleato più influente, papa Innocenzo VIII. Tra queste missioni sono annoverate quelle intrattenute con diverse potenze estere tra cui, appunto, quella pontificia, grazie alla quale fu possibile anche organizzare la ribellione de L’Aquila e dell’Abruzzo. Non vanno, inoltre, tralasciati i vari tentativi degli aristocratici di coinvolgere nel conflitto la Serenissima Repubblica di Venezia e il duca di Lorena Renato II, “vecchi” nemici della dinastia aragonese di Napoli. Senza contare, infine, il caso particolare rappresentato dal “Turco”, vero e proprio deterrente adoperato dalle varie parti in causa durante tutto il conflitto. In questo contesto, significativi sono anche gli scambi diplomatici tra i ribelli e la corte, che si manifestavano attraverso simulazioni e inganni, in cui la due parti ingaggiavano una vera e propria guerra diplomatica, fingendo un’apertura che in realtà, soprattutto da parte del sovrano, era necessaria per smascherare le intenzioni del nemico.
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FABRIZZI, FEDERICA. « L'ordinamento speciale di Roma Capitale ». Doctoral thesis, 2011. http://hdl.handle.net/11573/917533.

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