Littérature scientifique sur le sujet « Sindrome Coronarica »

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Articles de revues sur le sujet "Sindrome Coronarica"

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Carfora, Vincenzo, et Agostino Lopizzo. « Dissezione coronarica spontanea, quanto conta la familiarità ? » Cardiologia Ambulatoriale 30, no 3 (9 décembre 2022) : 184–89. http://dx.doi.org/10.17473/1971-6818-2022-3-7.

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Résumé :
La dissezione coronarica spontanea (SCAD) rappresenta una causa importante di sindrome coronarica acuta (SCA) nelle giovani donne senza classici fattori di rischio cardiovascolare. La coronarografia non sempre riesce a riconoscere le diverse tipologie di dissezioni coronariche spontanee dovendo pertanto ricorrere all’imaging intracoronarico per poterla diagnosticare. Il trattamento prevede l’approccio non invasivo con terapia farmacologica ricorrendo all’angioplastica coronarica solo nelle forme instabili. Viene descritto il caso di una donna di 55 anni, ipertesa in buon controllo farmacologico e senza altri fattori di rischio cardiovascolare che durante angioplastica coronarica su arteria interventricolare anteriore va incontro a dissezione retrograda dell’arteria interventricolare anteriore prossimale e del tronco comune trattata con approccio multistent. La modalità con cui si è verificata la dissezione retrograda, il sesso, l’età della paziente, la rivalutazione dell’angioplastica primaria praticata due mesi prima sull’asse arteria circonflessa-ramo marginale ottuso e l’anamnesi familiare hanno indotto a prendere in considerazione la SCAD come diagnosi più probabile ed il fenomeno dello “squeezing” come causa della dissezione retrograda a seguito della pre-dilatazionedella lesione coronarica. L’imaging intracoronarico sarebbe stata l’unica metodica in grado di diagnosticare la SCAD consentendo quindi di ricorrere all’approccio farmacologico piuttosto che l’angioplastica coronarica.
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Zito, Giovanni Battista. « Duplice terapia antiaggregante dopo sindrome coronarica acuta. Per quanto tempo ? » Cardiologia Ambulatoriale, no 2 (13 décembre 2017) : 75–78. http://dx.doi.org/10.17473/1971-6818-2017-2-2.

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Di Lullo, Luca, Antonio De Pascalis, Antonio Bellasi, Emiliana Ferramosca, Rodolfo Rivera et Mario Timio. « Report della 1a Riunione Nazionale del Gruppo di Studio di Cardionefrologia della Società Italiana di Nefrologia ». Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi 25, no 2 (6 novembre 2013) : 153–54. http://dx.doi.org/10.33393/gcnd.2013.1025.

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Résumé :
La consueta rubrica di Cardionefrologia viene sostituita, solo per questo numero del Giornale, dagli Atti di “Cardionefrologia 2013”, la 1a Riunione del Gruppo di Studio di Cardionefrologia della SIN. Il convegno si è incentrato sulle principali tematiche cardiovascolari (scompenso cardiaco, complicanze cardiovascolari dell'iperparatiroidismo secondario, cardionefropatie da accumulo) e su una vivace sessione di comunicazioni libere ed è stato poi ulteriormente arricchito da letture magistrali sulla sindrome coronarica acuta, sull'imaging cardiovascolare e sui rapporti interdisciplinari tra nefrologi e cardiologi.
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Salvia, Roberto et Vacca , Michele. « Tessuto adiposo epicardico. Epifenomeno della sindrome metabolica o concausa della patologia coronarica ? » Cardiologia Ambulatoriale, no 1 (2016) : 67–72. http://dx.doi.org/10.17473/1971-6818-arca16-1_9.

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Lucioni, C., S. Mazzi, M. Gozzo et C. Lazzeri. « Valutazione economica di ticagrelor vs Clopidogrel nel trattamento di pazienti con sindrome coronarica acuta ». PharmacoEconomics Italian Research Articles 13, no 2 (juillet 2011) : 53–64. http://dx.doi.org/10.1007/bf03320684.

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Perna, Gian Piero, Roberto Ravasio et Antonio Ricciardelli. « Analisi di Budget Impact di Ticagrelor nel Trattamento di Prevenzione in Pazienti con Sindrome Coronarica Acuta ». Global & ; Regional Health Technology Assessment : Italian ; Northern Europe and Spanish 4, no 1 (janvier 2017) : grhta.5000255. http://dx.doi.org/10.5301/grhta.5000255.

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Bertrand, C., C. Jbeili, H. Auger, A. Ladka, C. Ammirati, P. Cristofini, J. E. De la Coussaye et E. Teiger. « Catena di gestione dell’infarto del miocardio in fase acuta (sindrome coronarica acuta con sopraslivellamento persistente del segmento ST) ». EMC - Urgenze 11, no 1 (janvier 2007) : 1–9. http://dx.doi.org/10.1016/s1286-9341(07)70038-8.

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Farilla, Cosima, Sante Minerba, Salvatore Scorzafave, Giulia Stola, Vito Guerra et Gregorio Colacicco. « La resilienza del sistema cardiologico nella pandemia SARS-CoV-2 e le proposte riorganizzative nella ASL Taranto ». CARDIOLOGIA AMBULATORIALE 30, no 4 (22 mars 2022) : 10–238. http://dx.doi.org/10.17473/1971-6818-2021-4-4.

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Résumé :
Le malattie cardio-cerebrovascolari, nonostante la diminuzione della mortalità registrata negli ultimi anni, continuano a rappresentare in Italia una delle principali cause di morbosità, invalidità e mortalità. Secondo i dati Istat del 2017, il 10.4% di tutti i decessi è stato attribuito a malattie ischemiche del cuore (11.3% negli uomini e 9.6% nelle donne) e il 9.2% ad eventi cerebrovascolari (7.6% negli uomini e 10.7% nelle donne). Le Malattie Cardiovascolari sono tuttora anche la prima causa di ricovero ospedaliero in Italia (14.5% di tutti i ricoveri, circa 1 milione di ricoveri/anno). L’impatto della pandemia da coronavirus 2 della sindrome respiratoria acuta severa (SARS-CoV-2) in ambito cardiovascolare è stato particolarmente rilevante con un drastico calo di circa il 30-40% dei ricoveri per sindrome coronarica acuta (SCA) e scompenso cardiaco con conseguente grave ritardo nel ricorso alle cure. Si sono più che dimezzate anche le attività ambulatoriali penalizzando i follow-up dei pazienti post-SCA e di quelli con scompenso cardiaco, il monitoraggio dei pazienti con fibrillazione atriale ed in trattamento anticoagulante. L’impatto della Pandemia da SARS-CoV-2 nella ASL di Taranto è stato evidente con una riduzione degli accessi per eventi acuti e ricoveri (– 24%), e calo delle indagini cardiologiche (– 34%). Da un’analisi dei ricoveri in area cardiologica si è evidenziato un incremento degli exitus in età < 60 anni. La valutazione dei fattori di rischio cardiovascolari degli assistiti ha indicato la necessità di un territorio organizzato per la prevenzione di eventi acuti cardiovascolari. Tutto ciò ha reso necessario dei cambiamenti sugli assetti strutturali, organizzativi e tecnologici.
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Ravasio, Roberto. « Analisi di costo-efficacia di prasugrel rispetto a clopidogrel nel trattamento di pazienti con sindrome coronarica acuta e intervento di angioplastica per via percutanea programmato ». Giornale Italiano di Health Technology Assessment 3, no 2 (septembre 2010) : 55–63. http://dx.doi.org/10.1007/bf03320733.

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Morandini, Margherita, et Alessandro Berto. « Valutazione dell’impatto organizzativo di una troponina ad alta sensibilità (hs-cTn) nella rete cardiologica di Area Vasta per la diagnosi di sindrome coronarica acuta (SCA) ». La Rivista Italiana della Medicina di Laboratorio - Italian Journal of Laboratory Medicine 13, no 3-4 (décembre 2017) : 187–93. http://dx.doi.org/10.1007/s13631-017-0171-9.

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Thèses sur le sujet "Sindrome Coronarica"

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QUAGLIANA, Angelo. « TROMBECTOMIA INTRACORONARICA CON NeVA STENT RETRIEVER IN PAZIENTI AFFETTI DA SINDROME CORONARICA ACUTA : ESPERIENZA MULTICENTRICA FIRST-IN-MEN ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Palermo, 2021. http://hdl.handle.net/10447/479107.

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MALOBERTI, ALESSANDRO. « RUOLO DELL’ACIDO URICO NELLA CARDIOPATIA ISCHEMICA ACUTA : RISULTATI DALLA COORTE DEI PAZIENTI CON SINDROME CORONARICA ACUTA DELL’OSPEDALE NIGUARDA ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2020. http://hdl.handle.net/10281/262315.

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Résumé :
Background: l’acido urico (AU) nei pazienti che si presentano con SCA è stato riconosciuto come fattore determinante la mortalità intra-ospedaliera. Inoltre esso è anche correlato con le complicanze intraospedaliere in termini di recidiva precoce di altri eventi cardiovascolari non fatali e altri outcome intermedi interpretabili come segni di decorso intra-ospedaliero complicato (l’utilizzo di contropulsatore aortico o di ventilazione non invasiva, un maggior tempo di degenza ed una maggior frequenza di sanguinamenti ma anche la presentazione con un quadro di scompenso cardiaco acuto o con FA all’ingresso in unità coronarica). Scopo dello studio: scopo principale del nostro studio è quello di valutare il ruolo dell’AU misurato in acuto come possibile determinante di mortalità intraospedaliera (outcome primario) e di complicanze durante la degenza (outcomes secondari). Scopo secondario è stato anche quello di individuare il miglior cut-off per tale associazione. Oltre all’individuazione di uno specifico cut-off è stata anche valutata la performance diagnostica, in termini di sensibilità e specificità, del cut-off classico oggi utilizzato per definire l’iperuricemia (> 6 mg/dL nelle femmine e 7 mg/dL nei maschi) e di un cut-off più basso individuato dalla letteratura più recente (5.26 mg/dL per le femmine e 5.49 mg/dL per i maschi). Metodi: Per fare questo sono stati analizzati i dati di 563 pazienti ricoverati presso l’Unità di Cure Intensive Cardiologiche (UCIC) dell’ospedale Niguarda Ca’ Granda. Gli outcome considerati sono la mortalità intraospedaliera per tutte le cause, il re-infarto, la trombosi intrastent, la nuova rivascolarizzazione non programmata, i sanguinamenti, gli stroke, la presentazione con scompenso cardiaco, la presentazione con FA, l’utilizzo di inotropi, contropulsatore aortico e ventilazione non invasiva, l’evidenza di coronaropatia trivasale alla coronarografia e la FE in ingresso ed in dimissione dall’UCIC. Risultati: i pazienti presentavano un’età media di 66.5 ± 12.3 anni, nel 79.2% dei casi erano maschi e nel 49.9% dei casi accedevano per STEMI. Con entrambi i cut-off i soggetti iperuricemici erano più anziani e presentavano più frequentemente FRCV e pregresso infarto miocardico. Essi morivano più frequentemente durante la degenza, giungevano al ricovero in FA o con scompenso cardiaco, presentavano con maggior frequenza coronaropatia trivasale ed utilizzavano più frequentemente contropulsatore aortico e NIV. Infine i valori di FE sia all’ingresso che in dimissione dall’UCIC erano più bassi rispetto al gruppo dei non iperuricemici. All’analisi multivariata l’AU resisteva come determinante significativo di tutti gli outcomes (esclusa la coronaropatia trivasale) in un modello contenente età, genere, precedente infarto miocardico, anamnesi positiva per ipertensione arteriosa, Charlson Comorbidity Index e creatinina. Entrambi i cut-off erano in grado di discriminare in modo statisticamente significativo l’incrementata mortalità dei pazienti iperuricemici anche se in entrambi i casi la performance in termini di Sensibilità (Sn) e Specificità (Sp) presentava alcuni problemi. Abbiamo infine provato ad individuare un cut-off ideale per questa specifica popolazione che è stato di 6.35 mg/dL con un’area sotto la curva complessiva di 0.772 e con una Sn ed una Sp di 70.3% ed 81.8%. Conclusioni: in conclusione AU risulta determinante indipendente della mortalità intraospedaliera per tutte le cause e di variabili indicative di peggior presentazione al momento dei ricovero (scompenso cardiaco, FA ed FE all'ingresso), di complicanze intra-ricovero (utilizzo di contropulsatore aortico e NIV) e di un peggior risultato sulla ripresa della funzione ventricolare sinistra (FE in dimissione). Ulteriori studi con valutazione longitudinale dell'andamento dell'AU sono necessari per chiarire definitivamente la direzionalità delle relazioni individuate.
Background: Uric acid (UA) has been related to in-hospital mortality in ACS patients. Furthermore, it has been related to early relapse of non-fatal cardiovascular events and to intermediate outcome such as use of intra-aortic balloon pump, noninvasive ventilation, longer inward stay, bleeding but also clinical presentation with AF or heart failure. Aim of the study: principal aim of our study was to evaluate the role of UA as a possible determinants of in-hospital mortality (primary outcome) and in hospital complications (secondary outcomes). Secondary aim was to identify the best cut-off and to evaluate diagnostic performance of already used cut-off (the classic one of > 6 mg/dL in female and 7 mg/dL in males, and a recently described one with 5.26 mg/dL in females and 5.49 mg/dL in males). Methods: we analyze data of 563 patients admitted for ACS at the Cardiological Intensive Care Unit of the Niguarda Ca’ Granda Hospital. We consider as outcome in-hospital mortality, inward myocardial infarction, instent thrombosys, bleeding, stroke, clinical presentation with heart failure of AF, inotropes, intra-aortic balloon pump and non-invasive ventilation uses during hospital stay, three vessels coronaric involvement at the coronary angiogram and EF both at admission and at discharge. Results: mean age was 66.5 ± 12.3 years, 79.2% of the patients were males and 49.9% of the ACS were STEMI. With both cut-off hyperuricemic subjects were older, with more prominent cardiovascular risk factor and previous myocardial infarction. Furthermore, they more frequently died during hospital stay, they present more frequently heart failure and AF as clinical presentation, have more commonly three vessels disease and use more frequently intra-aortic balloon pump and non-invasive ventilation. Finally, also EF at admission and discharge were lower in hyperuricemic patients. At multivariate analysis UA was a significant determinants of primary and secondary outcomes (except for three vessels coronaric disease) in a model with age, gender, previous myocardial infarction, arterial hypertension, Charlson Comorbidity Index and creatinine as covariates. Both cut-off can significantly discriminate in-hospital mortality but with only fair results in term of Sensibility (Sn) and Specificity (Sp). Finally, we identify 6.35 mg/dL as the best cut-off for this specific population with an area under the curve of 0.772, Sn 70.3% and Sp 81.8%. Conclusions: in conclusion UA was an independent determinants of in-hospital mortality and of variables suggestive of worst clinical presentation (heart failure, AF and admission EF), in-hospital complications (intra-aortic balloon pump and non-invasive ventilation uses) and worst recovery (discharge EF). Further study with longitudinal evaluation of UA during ACS are needed in order to better clarify directionality of detected relationship.
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CORRADO, Egle. « Aldosterone e sindromi coronariche acute : ruolo nel follow-up a breve e medio termine ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Palermo, 2014. http://hdl.handle.net/10447/91213.

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CILIBERTI, GIUSEPPE. « Characteristics and prognosis of patients with acute myocardial infarction in the absence of obstructive coronary artery disease (MINOCA) ». Doctoral thesis, Università Politecnica delle Marche, 2020. http://hdl.handle.net/11566/273411.

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Résumé :
L'infarto miocardico in assenza di coronaropatia ostruttiva (MINOCA) è definito dall'evidenza di infarto miocardico acuto spontaneo e dalla documentazione angiografica di stenosi coronariche <50%. Negli ultimi anni, sono stati fatti grandi progressi nei campi dell'epidemiologia, patofisiologia, diagnosi, stima della prognosi e terapia di questa condizione. Finora, tuttavia, la definizione di MINOCA è piuttosto eterogenea in quanto condizioni specifiche come la miocardite e la sindrome di Takotsubo sono state spesso incluse, generando così risultati contrastanti. Questa tesi di dottorato si articola in quattro parti: parte I, Introduzione; parte II, Caratteristiche e prognosi; parte III, MINOCA e morte cardiaca improvvisa; parte IV, MINOCA e terapia farmacologica. Lo scopo di questo lavoro è di valutare alcuni degli aspetti più controversi relativi a questa condizione, in particolare per quanto riguarda la prognosi e la terapia farmacologica per i pazienti affetti da MINOCA.
Myocardial infarction and non-obstructed coronary arteries (MINOCA) is defined by the evidence of a spontaneous acute myocardial infarction and angiographic documentation of coronary stenosis <50% in any potential infarct related artery, after having excluded clinically overt causes for the acute presentation. The introduction of this new concept was meant to fill a gap in knowledge and to encourage discovery of putative pathophysiological mechanisms. In recent years, great advances have been made in the fields of epidemiology, pathophysiology, diagnosis, prognosis estimation and therapeutics of this condition. So far, however, the definition of MINOCA is rather heterogeneous as specific cardiac conditions such as myocarditis and Takotsubo syndrome are included thus generating conflicting results. This doctoral dissertation is divided in four sections: part I, Introduction; part II, Characteristics and Prognosis; part III, MINOCA and Sudden Cardiac Death; part IV, MINOCA and Pharmacological Therapy. The aim of this work is to assess some controversial aspect of this condition, in particular with regards to the prognosis and pharmacological therapy for patients affected by MINOCA.
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COSTA, GEETA GIULIA. « SIGNIFICATO PROGNOSTICO DEL PRECONDIZIONAMENTO NELL'INFARTO MIOCARDICO ACUTO : RUOLO DELL'ANGINA PRE-INFARTUALE ». Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2011. http://hdl.handle.net/11577/3421676.

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Résumé :
Historical Background. “Angina pectoris” has been known since in ancient Egyptian time. Ebers Papyrus (1500 BC) wrote in a passage ".... If you examine a man for heart disease, he complains of pain in the arm, chest and part of the heart ....". This is the beginning of the long journey that takes us to the 1912 description of the myocardial infarction by coronary thrombosis by James Herrick, the 1962 subsequent birth of the first coronary care unit by Desmond Julian and finally in 1981 to the most modern Chest Pain Unit. Research continues to evaluate new aspects that could lead to the discovery of new strategies to reduce mortality rate of this disease. Background and aims. Preinfarction angina (defined as angina onset within 24 hours from the myocardial infarction) gives protection to the myocardium by reducing infarct size, and limiting left ventricular remodeling. The purpose of this study was to evaluate patients with acute coronary syndrome with ST elevation, and in particular subgroups. We compared patients with preinfarction angina (API +) to those without preinfarction angina (API-) with regard to ventricular function, end-diastolic volume and in-hospital clinical outcome. All these patients are followed up for one year under echocardiography and clinical settings, in order to assess whether any protective effects that are present during the hospital stay persist after one year. Methods and results. We evaluated over a period of two years 448 consecutive patients admitted to the Coronary Care Unit for acute coronary syndrome with ST elevation. Regardless of treatment received, of these patients we analyzed in greater detail a homogeneous subgroup, which had a significant lesion on left anterior descending coronary artery. Of these patients we performed a clinical and echocardiographic follow-up to a year. This study excluded patients enrolled in other studies. Our population was divided as follows: 112 patients, representing 25%, had suffered preinfarction angina (API +) within 24 hours from myocardial infarction, the remaining 336 (75%) had had no angina in the last 24 hours (API-). The two groups compared (API + versus API-) showed no significant differences in age, sex, risk factors (hypertension, high cholesterol, diabetes, family history of coronary artery disease, smoking). With regard to the treatment we found that the API + group had been treated more frequently with primary angioplasty compared to the API- group (88% vs 79%, p = 0.025). With regard to the in-hospital outcome group API+ compared to API- had a significantly reduced length of stay (9 ± 4 days vs 11 ± 9 days, p = 0.004), lower presence of arrhythmias (20% vs 32%, p = 0.015 ), less presence of heart failure (6% vs 14%, p = 0.035) and with regard to data echocardiography: ventricular function was better in group API + (ejection fraction 51 ± 7 % vs 48 ± 9%, p = 0.003) in correspondence to a lower end-diastolic volume (58 ± 11 ml/m2 vs 62 ± 17 ml/m2, p = 0.005) In a one year clinic follow up the number of admissions in other departments was significantly reduced (15% vs 25% p= 0.04) in the group API+, there is no statistical difference regarding the other parameters evaluated between outcome and preinfarction angina even if they are suggestive of a better prognosis in presence of the latter (one year survival 98% in API+ vs 93% in API-). So, considering the well known benefits of revascularization with primary angioplasty and thinking that they may cover the benefits of preinfarction angina, we evaluated a very homogeneous subgroup of 277 patients who had a critical lesion on the left anterior descending coronary artery. Of these, 30% was API +, while the remaining 70% were API-. There were no significant differences with regard to clinical variables. There were no significant differences with regard to the treatment received, while confirming the data of better in-hospital prognosis of group API + compared to API- with reduced hospital stay (9 ± 4 days vs 13 ± 10 days, p = 0.01), a lower presence of arrhythmias (20% vs 32%, p = 0.03), less presence of heart failure (7% vs 17%, p = 0.029) and also with regard to echocardiography: ventricular function was greater in the API + (50 ± 8% vs 46 ± 9%, p = 0.00) at a lower end-diastolic volume (59 ± 12 ml/m2 vs 64 ± 18 ml/m2, p = 0.018). Survival at one year did not differ significantly in the two groups (API + 97% vs API- 94%), it remained an improved ejection fraction (52 ± 9 % vs 48 ± 9 %, p = 0.010) without significant differences in relation to the end-diastolic volume (67 ± 16 ml/m2 vs 69 ± 18 ml/m2). Preinfarction angina by multivariate analysis was an independent predictor of lower presence of arrhythmias (OR 0.48 with 95% CI 0.25-0.93, p = 0.03), fewer episodes of heart failure (OR 0.33 with 95% CI 0.12-0.91, p = 0.03) and reduced hospital stay (in-hospital decreased of -2.62 ± 1.21 days, p = 0.03). Concerning to the echocardiographic data obtained at the discharge preinfartion angina was also protective, with better ventricular function (higher left ventricular ejection fraction 3.21 ± 1.14%, p = 0.01), and reduced diastolic volume (decreased end diastolic volume -5.20 ± 2.26 ml/m2, p = 0.02). Multivariate analysis of the data obtained during the follow up has shown a better ventricular function also at the echocardiography performed at 1 year (2.96 ± 1.44, p = 0.03). At the clinical follow-up at one year we have seen that the presence of preinfarction angina has played a protective role with regard to new episodes of acute coronary syndrome (6 cases vs. 22, OR 0.27) and episodes of heart failure (0 cases vs 5). Conclusions. Preinfarction angina has a certain protective effect with regard to in-hospital outcome, as it is associated with a lower presence of arrhythmias, fewer episodes of heart failure and reduced hospitalization, API+ patients, in despite of equal treatment, also have better sistolic ventricular function with less volume than API- patient . At the echocardiography obtained during the follow up ventricular function is improved in the API + group and our data show a protective role of preinfarction angina even with regard to new episodes of acute coronary syndrome and new episodes of heart failure.
Premessa storica. Già al tempo degli egizi, nel papiro di Ebers (1500 a.C.) è riconoscibile la descrizione dell'angina pectoris da un passo che dice: “.... se esamini un uomo per malattia del cuore, egli si lamenta per dolore al braccio, al petto e ad una parte del cuore....”. Da qui ha inizio il lungo cammino che ci porterà alla descrizione dell’infarto nel 1912 da trombosi coronarica da parte di James Herrick, alla successiva nascita delle prime Unità coronariche nel 1962 per opera di Desmond Julian e le più moderne Chest Pain Unit nel 1981. La ricerca continua a valutare nuovi aspetti che possano portare al rinvenimento di nuove strategie per ridurre la mortalità causata da questa malattia. Background e obiettivi. L’angina preinfartuale (intesa come angina comparsa nelle 24 ore precedenti l’infarto miocardico acuto) conferisce una protezione al miocardio riducendo le dimensioni dell’infarto, e limitando il rimodellamento ventricolare sinistro. Lo scopo di questo studio è valutare i pazienti che si presentano con sindrome coronarica acuta con sopraslivellamento del tratto ST, e in particolare alcuni sottogruppi, confrontando i pazienti con angina pre-infartuale (API+) e quelli senza (API-) per quanto riguarda la funzione ventricolare, il volume telediastolico e gli outcome clinici intraospedalieri e a distanza di un anno, per poter valutare se gli eventuali effetti protettivi presenti durante la degenza si mantengano anche nel tempo. Metodi e risultati. Abbiamo valutato in un arco temporale di due anni 448 pazienti consecutivi ricoverati in Unità Coronarica per sindrome coronarica acuta con ST sopraslivellato (SCA ST sopra) indipendentemente dal trattamento ricevuto. Di questi abbiamo poi analizzato più approfonditamente un sottogruppo omogeneo, che presentava lesione emodinamicamente significativa su ramo discendente anteriore della coronaria sinistra. Di questi pazienti è stato eseguito un follow-up clinico ed ecocardiografico ad un anno. Sono stati esclusi dal presente lavoro pazienti arruolati per altri studi. La nostra popolazione risultava così suddivisa: 112 pazienti, corrispondenti al 25 %, avevano presentato angina pre-infartuale (API+) nelle 24 ore precedenti l’infarto miocardico, i restanti 336 (75 %) non avevano avuto episodi anginosi nelle ultime 24 ore (API-). I due gruppi confrontati ( API+ vs API-) fra di loro non hanno dimostrato differenze significative per quanto riguardava l’età, il sesso, i fattori di rischio (ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, diabete, familiarità per coronaropatia, fumo). I due gruppi sono stati confrontati per quanto riguarda il trattamento ed è risultato che il gruppo API+ era stato trattato più frequentemente con angioplastica primaria rispetto al gruppo API- (88% vs 79% con p=0.025). Per quanto riguarda l’outcome intraospedaliero nel gruppo API+ rispetto a quello API- è risultata significativamente ridotta la durata della degenza (9±4 giorni vs 11±9 giorni con p=0.004), la presenza di aritmie ( 20% vs 32% con p= 0.015), la presenza di scompenso (6% vs 14% con p=0.035) e per quanto riguarda i dati ecocardiografici: la funzione ventricolare era migliore nel gruppo API+ (frazione di eiezione 51±7% vs 48± 9% con p= 0.003) in corrispondenza di un minor volume telediastolico (58 ± 11 ml/m2 vs 62 ± 17 ml/m2 con p = 0.005). Nel follow up ad un anno è risultato significativamente ridotto il numero di ricoveri in altro reparto (15% vs 25% con p=0.04), non vi è significatività statistica per quanto riguarda gli altri parametri valutati tra outcome e angina pre IMA anche se sono suggestivi di una migliore prognosi nel caso di angina pre IMA (sopravvivenza ad un anno API+ 98% vs API- 93%). Considerando i noti vantaggi legati alla rivascolarizzazione con angioplastica primaria e pensando che questi potessero offuscare i vantaggi legati all’angina-preinfartuale, abbiamo valutato un sottogruppo particolarmente omogeneo di 277 pazienti che avevano come caratteristica una lesione critica su discendente anteriore. Di questi il 30% aveva presentato API+, mentre il restante 70% era API-. Anche in questo gruppo non vi erano differenze significative per quanto riguardava età, sesso, fattori di rischio associati (ipertensione arteriosa, diabete, ipercolesterolemia, familiarità per coronaropatia, fumo) e malattie concomitanti (insufficienza renale cronica, broncopneumopatia cronica ostruttiva). Non risultavano differenze significative per quanto riguarda il trattamento ricevuto, mentre si confermavano i dati di miglior prognosi intraospedialiera nel gruppo API+ rispetto a quello API- con ridotta degenza ospedaliera (9±4 giorni vs 13±10 giorni, con p=0.01), la presenza di aritmie ( 20% vs 32% con p= 0.03), la presenza di scompenso (7% vs 17% con p=0.029) e anche per quanto riguarda i dati ecocardiografici: la funzione ventricolare era maggiore nel gruppo API+ (frazione d’eiezione 50± 8% vs 46± 9% con p = 0.00) in corrispondenza di un minor volume telediastolico (59 ± 12 ml/m2 vs 64 ± 18 ml/m2 con p = 0.018). Nel follow up ad un anno la sopravvivenza non presentava differenze statisticamente significative nei due gruppi (API+ 97% vs API- 94%), mentre si manteneva una miglior frazione di eiezione (52± 9 % vs 48± 9 % con p = 0.010) senza differenze significative per quanto riguarda il volume telediastolico (67 ± 16 ml/m2 vs 69 ± 18 ml/m2). All’analisi multivariata l’angina pre-infartuale risultava predittore indipendente di minor presenza di aritmie (OR 0.48 con 95%CI 0.25-0.93, p=0.03), minori episodi di scompenso (OR 0.33 con 95%CI 0.12-0.91, p=0.03) e ridotta degenza (degenza ridotta di -2.62±1.21 giorni con p=0.03). Risultava protettiva anche per quanto riguarda i dati ecocardiografici ottenuti in dimissione con miglior funzione ventricolare (frazione di eiezione aumentata di 3.21±1.14 % con p=0.01), e minor volume telediastolico (volume telediastolico ridotto di -5.20±2.26 ml/m2 con p=0.02). L’analisi multivariata dei dati ottenuti nel follow up ha dimostrato come si mantenga predittore di migliore funzione ventricolare anche nell’ecocardiogramma eseguito ad 1 anno (frazione di eiezione aumentata 2.96±1.44 % con p=0.03). Per quanto riguarda il follow up clinico ad 1 anno abbiamo visto che la presenza di angina pre-infartuale ha svolto un ruolo protettivo per quanto riguarda nuovi episodi di sindrome coronarica acuta (6 casi vs 22, OR 0.27) e per episodi di scompenso cardiaco (0 casi vs 5). Conclusioni. L’angina pre-infartuale risulta avere un effetto protettivo certo per quanto riguarda l’outcome intraospedaliero, in quanto porta ad una minor presenza di aritmie, minori episodi di scompenso e minori giorni di degenza, inoltre i pazienti API+ hanno a parità di trattamento una migliore funzione ventricolare con minor volume telediastolico rispetto ai pazienti API-. Per quanto riguarda il follow up ad un anno la funzione ventricolare risulta migliore nel gruppo API+ e i nostri dati mostrano un ruolo protettivo dell’angina pre-infartuale anche per quanto riguarda nuovi episodi di sindrome coronarica acuta e nuovi episodi di scompenso.
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Carrillo, Suárez Xavier. « Diagnóstico y pronóstico de la cardiopatía isquémica asociada al consumo de cocaína ». Doctoral thesis, Universitat Autònoma de Barcelona, 2017. http://hdl.handle.net/10803/457526.

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Résumé :
Introducción: El consumo recreacional de cocaína ha aumentado en los últimos años en Europa, siendo España uno de los principales países consumidores de cocaína. La cocaína tiene múltiples efectos sobre el sistema cardiovascular, entre ellos ser desencadenante de un Síndrome Coronario Agudo (SCA). Método: Estudio observacional prospectivo, entre 2001 y 2014, en pacientes con SCA menores de 50 años que ingresaban en la unidad coronaria. Se realizó una anamnesis específica del consumo de cocaína y una determinación de los metabolitos de cocaína en orina. Nuestra hipótesis de trabajo fue “El consumo reciente de cocaína asociado a un síndrome coronario agudo (SCA-ACC) tiene un impacto pronóstico deletéreo a corto y largo plazo respecto al SCA no debido a cocaína”. Se definió el SCA-ACC en aquellos pacientes con SCA y determinación positiva de metabolitos de cocaína en orina o consumo reciente de cocaína por anamnesis. Resultados: Se incluyeron 1002 pacientes menores de 50 años con SCA. El 15.1% reconocían haber consumido cocaína alguna vez en su vida (el 41.7% eran exconsumidores, el 33.1% eran consumidores ocasionales y el 25.2% eran consumidores habituales de cocaína). Observamos un incremento en la prevalencia de consumo de cocaína des del 6.6% en 2002 hasta un pico del 21.7% y 20.5% en 2008 y 2009. Obtuvimos una determinación de metabolitos en orina en 864 pacientes (86.2%), siendo positiva en 52 (6%). Presentaban un SCA-ACC 59 pacientes (6.8%). Los pacientes con antecedentes de consumo de cocaína presentaban un mayor consumo de tóxicos además de cocaína como el tabaco, el alcohol y las otras drogas. En los pacientes con SCA-ACC observamos una mayor frecuencia de presentación como SCA con elevación del segmento ST (SCAEST). Los pacientes con SCA-ACC recibieron menos tratamiento con betabloqueantes en la fase aguda (40.7 contra 78.1%, p<0.001) y también al alta (59.6 contra 84.2%, p<0.001). Sin diferencias en los tratamientos de reperfusión realizados a los pacientes con SCAEST, únicamente una menor utilización de stents farmacoactivos (17.6 contra 34.5%, p=0.043). Durante la fase hospitalaria los SCA-ACC presentaron mayores complicaciones hospitalarias como la taquicardia ventricular (16.9 contra 4.7%, p<0.001), shock cardiogénico (6.8 contra 2.2%,p=0.032) y trastorno agudo de la conducción intraventricular (6.8 contra 1.5%,p=0.004) y una tendencia a mayor mortalidad hospitalaria (3.4 contra 1.0,p=0.097). El seguimiento realizado al 92.4% de los pacientes (mediana de 2381 días) observamos una mayor mortalidad en los pacientes con SCA-ACC (12.3 contra 5%,p=0.020) y también mortalidad cardiaca (7 contra 1.2%,p<0.001). El evento combinado de muerte, infarto o revascularización (MACE) también fue superior en SCA-ACC (35.1 contra 18.8%,p=0.003). El análisis multivariado de supervivencia por Coxx ajustado por la clasificación de killip y el tratamiento al alta presentó una HR de 2.126 ([IC 0.926-4.881],p=0.075) para mortalidad global, 4.038 ([IC 1.151-14.168],p=0.029) para mortalidad cardiaca y 2.015 ([IC 1.247-3.255],p=0.004) para MACE. Conclusiones: El tratamiento administrado en los pacientes con SCA-ACC es diferente al SCA-NACC, utilizando una menor proporción de fármacos betabloqueantes, así como de stents liberadores de fármaco en los procedimientos de intervencionismo coronario. Los pacientes con SCA-ACC tienen una peor evolución al seguimiento que los pacientes con SCA-NACC con una mayor incidencia de trombosis del stent, una mayor mortalidad (global y especialmente la de causa cardiaca) y tienen mayores eventos isquémicos, principalmente el infarto de miocardio. En nuestro medio se confirma nuestra hipótesis y los pacientes con síndrome coronario agudo asociado al consumo reciente de cocaína presentan un peor pronostico hospitalario con mayor numero de complicaciones hospitalarias y un peor pronostico a largo plazo con mayor mortalidad y infarto de miocardio al seguimiento.
Background: Recreational cocaine consumption in European countries has increased in recent years, and Spain is one of the main cocaine-using country in Europe. Cocaine has several effects on the cardiovascular system, being a trigger for Acute Coronary Syndrome (ACS). Methods: A prospective observational study was conducted between 2001 and 2014 in patients admitted to our coronary unit younger than 50 years old who suffered from an ACS. A detailed history of cocaine use and a determination of the metabolites of cocaine in urine were performed. Our working hypothesis was "Recent cocaine use associated with an acute coronary syndrome (ACS-ACC) has a deleterious short- and long-term prognostic impact on ACS not due to cocaine." Recent cocaine use associated with ACS (ACS-ACC) was defined as positive determination of cocaine metabolites in urine or admitting recent cocaine consumption prior to admission in the anamnesis in those patients who suffered an ACS. Results: 1002 patients younger than 50 years with ACS were included. 15.1% reported having consumed cocaine at least once in their lifetime (41.7% were former users, 33.1% occasional users and 25.2% current users). We observed an increase in prevalence of cocaine use from 6.6% in 2002 to a peak of 21.7% and 20.5% in 2008 and 2009. Determination of metabolites was obtained in 864 patients (86.2%), being positive in 52 (6%). A total of 59 patients (6.8%) presented a ACS-ACC. Patients with a history of cocaine use had a higher consumption of other substances, such as tobacco, alcohol, and other. Higher frequency of ACS with ST segment elevation was observed in cocaine users. The group of patients with ACS-ACC received less treatment with beta-blockers in the acute phase (40.7 vs 78.1%, p<0.001) and also at discharge (59.6 vs 84.2%, p<0.001). Differences in reperfusion treatments for patients with ACS-ACS were not observed in spite of a lower lower use of drug-eluting stents (17.6 vs 34.5%, p=0.043). During hospitalization, patients with ACS-ACC presented higher complications such as ventricular tachycardia (16.9 vs 4.7%, p<0.001), cardiogenic shock (6.8% vs 2.2%, p=0.032) and acute intraventricular conduction abnormalities (6.8 vs 1.5%,p=0.004) as well as a trend towards a higher hospital mortality (3.4 vs 1.0, p=0.097). Higher mortality in patients with ACS-ACC was observed (12.3% vs 5%, p=0.020) and also cardiac mortality (7% vs. 1.2%, p<0.001). The combined event of death, infarction or revascularization (MACE) was also higher in ACS-ACC (35.1 vs 18.8%, p = 0.003). Coxx survival multivariate analysis adjusted for killip classification and treatment at discharge showed a HR of 2.126 ([IC 0.926-4.881], p = 0.075) for overall mortality, 4,038 ([1,151-14,168], p = 0.029) for cardiac mortality and 2.015 ([1.247-3.255], p=0.004) for MACE. Conclusions: The treatment given in patients with ACS-ACC differs from patients with ACS-NACC, with lower proportion of beta-blocking drugs being used during admission and at discharge as well as a higher implantation of drug-eluting stents in coronary intervention procedures. Patients with ACS-ACC have a worse outcome at follow-up than patients with ACS-NACC with more incidence of stent thrombosis, higher mortality (overall and especially cardiac cause) and higher ischemic events, mainly miocardial infarction. Our hypothesis is confirmed in our setting, and patients with acute coronary syndrome associated with recent cocaine use have worse hospital prognosis with greater number of hospital complications, worse long-term prognosis with higher mortality and myocardial infarction at follow-up.
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Parejo, Montell Martín. « Impacto de una medida de intervención en la precocidad de tratamiento del sindrome coronario agudo ». Doctoral thesis, Universitat de València, 2006. http://hdl.handle.net/10803/10028.

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Résumé :
Hipótesis de trabajo: la aplicación de una maniobra de intervención a nivel de la opinión pública repercutirá en un mejor reconocimiento de la sintomatología propia de la enfermedad coronaria aguda y en una precoz aplicación del tratamiento específico para cada caso.Objetivos: principal: comparar la precocidad en el tratamiento específico del Síndrome Coronario Agudo en la población sobre la que se realiza la intervención respecto a la que no la recibe. Secundarios: 1.- La identificación de los síntomas por parte de la población, cuantificado por el retraso entre el inicio de los síntomas y la solicitud de asistencia sanitaria; 2.- La precocidad y lugar de administración de ácido acetilsalicílico como primera medida terapéutica útil; 3.- El retraso producido entre la solicitud de asistencia y la llegada al centro hospitalario (retraso extrahospitalario); 4.- Los retrasos producidos desde la llegada al hospital hasta la pauta de tratamiento fibrinolítico (retraso intrahospitalario). 5.- La utilización de los distintos medios de asistencia médica extrahospitalaria en el Síndrome Coronario Agudo.Material y método: diseño quasi-experimental tipo pre-test post-test con grupo control no equivalente. Población diana que recibe la intervención: Población adulta mayor de 30 años del área sanitaria 03. Población que no recibe la intervención: Población adulta mayor de 30 años del área sanitaria 11. Grupo estudio: Paciente mayores de 30 años con infarto agudo de miocardio atendidos en la UMI del Hospital de Sagunto.Grupo control: Pacientes mayores de 30 años con infarto agudo de miocardio atendidos en la UMI del Hospital de Gandía. Intervención comunitaria: dirigida a toda la población adulta, de tal manera que tanto una persona como su entorno personal sean capaces de reconocer los síntomas y solicitar la atención sanitaria de la manera más efectiva. Contará con acciones a dos niveles: Educación comunitaria: prensa, radio, televisión, charlas en centros cívicos, grandes empresas, entidades recreativas..... Educación individual: Consejo individual a pacientes con antecedentes de cardiopatía isquémica o con factores de riesgo. Mensajes: reconocimiento de síntomas y tipo de respuesta ante la aparición de estos.Conclusiones: Principal: la intervención realizada en el ámbito comunitario junto a la coordinación de los medios sanitarios en el área de estudio, redujo el retraso en la administración de tratamiento fibrinolítico, siendo significativa la reducción tras la llegada al hospital. En el grupo control no se produjo esta disminución. Secundarios: 1.- En el grupo estudio la intervención redujo el tiempo desde el inicio de los síntomas hasta la solicitud de asistencia sanitaria. Esta reducción es significativa en los pacientes que acudieron por medios propios. 2.- En el grupo estudio la intervención incrementó la proporción de pacientes con tratamiento prehospitalario de AAS, aunque de forma no significativa. El componente principal de dicho incremento se debió a automedicación. 3.- En el grupo estudio aumenta significativamente el retraso desde el primer contacto prehospitalario hasta la llegada del paciente al hospital. 4.- El retraso desde la llegada del paciente al hospital hasta la administración del fibrinolítico, disminuyó de forma significativa en el grupo estudio. 5.- La intervención en el grupo estudio ha propiciado un aumento significativo de la utilización del sistema prehospitalario por parte de los pacientes. El primer contacto se establece con preferencia en el centro de salud, que incrementa significativamente su utilización. Este hecho se da con independencia de la edad, sexo o antecedentes de cardiopatía isquémica de los pacientes.
Background: application of an intervention in public relation level will rebound in better recognition of symptomatology of coronary disorder and in early application of specific treatment.Objectives: main: compare earliness in specific treatment of acute coronary syndrome in population where intervention is made opposed to that who doesn't receive it. Secondary: 1- Identification of symptoms by population valued by delay between beginning of symptoms and request of health assistance. 2- Precocity and place of administration of acetylsalicylic acid as first therapeutic measure.3- The delay produced since first assistance request and admission.4- The delay produced since admission until fibrinolysis5- Usage different means of medical assistance. Method and material: quasi-experimental design (pre-test post-test type) with control group not equivalent. Population receiving intervention: population over 30 sanitary area 03.Population not receiving: population over 30 sanitary area 11Study group: over 30 with acute heart attack attended in Sagunto Hospital UMI.Control group: over 30 with acute heart attack attended in Gandia Hospital UMI.Comunitary intervention: aimed all adult population. Community education: through media, speeches in civic centres, large enterprises, etc. Individual education: advice to patients with isquemic cardiopaty background with risk factor.Messages: identifying symptoms and different types of answers.Conclusions: main: the intervention carried out in a community range reduced delay administrating fibrinolysis with significant reduction after admission. In the control group it didn't decrease.Secondary:1- In study group intervention reduced time between beginning of symptoms until assistance request. This reduction is significant in patients were admitted by their own means.2- In study group, intervention increased proportion of patients with AAS pre-hospital treatment although in non significant way. 3- In study group there's a significant increase in delay since first pre-hospital contact until admission.4- Delay since admission until administration of fibrinolysis decreased in a significant way in study group.5- Intervention in the study group provided significant increase in use of pre-hospital system by patients. First contact was established preferably with Health Center which increases significantly its use. This fact is given irrespective of the age, sex or isquemic cardiopathy record of patients.
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RAZZINI, CINZIA. « Valutazione non invasiva mediante TC multislice delle sindromi coronariche acute senza sopraslivellamento del tratto ST ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2009. http://hdl.handle.net/2108/740.

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Résumé :
Scopo: Il quadro clinico dei pazienti con sindrome coronaria acuta (SCA) può essere atipico, con enzimi miocardiospecifici normali ed elettrocardiogrammi non diagnostici. Una percentuale dei pazienti (2-8%) con SCA giunti in pronto soccorso, viene erroneamente dimessa. Spesso i pazienti con angina instabile (UA) o infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST (NSTEMI) possono presentare malattia coronarica multivasale o lesioni critiche dei rami principali prossimali; è importante quindi una stratificazione del rischio per la scelta del timing terapeutico ottimale. Scopo del nostro studio è stato quello di valutare il ruolo della TCMS nella stratificazione del rischio di questi pazienti, confrontando tale tecnica con un’analisi clinica, biochimica e di funzionalità miocardica. Materiali e Metodi: Sono stati arruolati nello studio 47 pazienti consecutivi (34 maschi, 13 femmine; età media 63.3 ± 11,6 anni) con NSTEMI (94%) o UA (6%). E’ stata effettuata una valutazione clinico-anamnestica, biochimica, elettrocardiografica ed ecocardiografica. Entro 12 ore dall’ingresso tutti i pazienti sono stati sottoposti ad esame TCMS 64-strati e suddivisi in monovasali, bivasali, trivasali, con patologia e del tronco comune e con stenosi < 50%. Successivamente tutti i pazienti sono stati sottoposti ad esame coronarografico. Risultati: La TCMS ha mostrato una sensibilità nell’identificare malattia coronarica del 97%, una specificità dell’83%, un valore predittivo negativo dell’83%, un valore predittivo positivo del 97% ed un’accuratezza diagnostica del 95%. Un solo paziente con malattia coronarica, con un’importante componente vasospastica, non è stato identificato alla TCMS. La concordanza della TCMS con l’esame coronarografico nell’identificazione di pazienti monovasali, bivasali, trivasali, con malattia del tronco comune e con stenosi < 50% è stata rispettivamente dell’83%, 81%, 82%, 78%, 80%. Nessuno dei parametri clinici, biochimici, elettrocardiografici ed ecocardiografici ha invece mostrato una correlazione con l’estensione della malattia coronarica. Il 58% delle lesioni culprit aveva una componente lipidica, l’11% calcifica, il 30% mista. La TCMS ha identificato la lesione culprit della SCA nell’86% dei casi (densità media della placca: 76 ± 41 HU, densità minima: 50,9 ± 29 HU) e il vaso responsabile nel 92%. Conclusioni: La TCMS è risultata affidabile nella stratificazione del rischio di pazienti con NSTEMI e UA, avendo correlato con l’estensione della malattia, avendo identificato i pazienti con malattia coronarica nel 97% dei casi e avendo identificato e caratterizzato la lesione responsabile. I dati clinici, elettrocardiografici, enzimatici ed ecocardiografici invece non si sono dimostrati utili strumenti nella stratificazione del rischio in tale gruppo di pazienti.
Rationale and Objectives: Clinical presentations in acute coronary syndrome (ACS) are sometimes atypical consisting in normal initial cardiac enzymes and nondiagnostic electrocardiogram. Previous studies have found that between 2% and 8% of patients with ACS who present to the emergency department are inappropriately discharged home. Unstable angina and non-ST elevation myocardial infarction (NSTEMI) patients have usually multivessel disease or proximal coronary vessel disease and a non invasive coronary evaluation could be useful for risk stratification and for an optimal therapeutic strategy timing. The aim of our study was to evaluate multislice computed tomography (MSCT) role in risk stratification of ACS without ST elevation, comparing this technique with a clinical, biochemical and echocardiographic analysis. Materials and Methods: Forty-seven consecutive patients (34 male, 13 female; mean age: 63.3 ± 11,6 years) admitted because of ACS [NSTEMI (94%), UA (6%)] were enrolled. All patients underwent a clinical, biochemical, electrocardiographic, echocardiographic evaluation. Sixty-four MSCT coronary angiography was performed in all patients within 12 hours of acute event. In a patient-based analysis all subjects were divided in 5 groups: 1-vessel, 2-vessels, 3-vessels, left main and non significant disease. Selective coronary angiography was performed within 12 hours after MSCT. Results: Sensitivity, specificity, negative predictive value, positive predictive value and accuracy of MSCT for detecting coronary artery disease (CAD) were 97%, 83%, 83%, 97% and 95%, respectively. Only one patient with CAD and a vasospastic component was non identified by MSCT. MSCT correlation with coronary angiography in the identification of 1-vessel, 2-vessels, 3-vessels, left main and non significant disease patients was respectively 83%, 81%, 82%, 78%, 80%. Clinical, biochemical, electrocardiographic, echocardiographic parameters were not able to correlate with CAD severity and extension. Culprit lesion composition was lipidic in 58% of cases, calcified in 11%, mixed in 30%. MSCT identified ACS culprit lesion in 86% of patients (mean plaque density 76 ± 41 HU, minimum plaque density 50,9 ± 29 HU) and culprit vessel in 92% of cases. Conclusions: In the majority of cases, MSCT definitively and non invasively establishes or excludes CAD as the cause of chest pain. Our results show that 64-slice CT is an accurate non invasive technique to detect CAD in NSTEMI/UA patients, useful for risk stratification, assessing CAD extension and culprit lesion composition. Clinical, biochemical, electrocardiographic, echocardiographic parameters resulted not useful in risk stratification in this group of patients.
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Mendez, Roberto Della Rosa 1978. « Fatores individuais determinantes da realização de atividade fisica pelos pacientes com sindrome coronaria aguda apos a alta hospitalar ». [s.n.], 2008. http://repositorio.unicamp.br/jspui/handle/REPOSIP/311799.

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Résumé :
Orientadores: Roberta Cunha Matheus Rodrigues, Maria Cecilia Bueno Jayme Gallani
Dissertação (mestrado) - Universidade Estadual de Campinas, Faculdade de Ciencias Medicas
Made available in DSpace on 2018-08-11T21:31:16Z (GMT). No. of bitstreams: 1 Mendez_RobertoDellaRosa_M.pdf: 7384004 bytes, checksum: a5895a9ceaaad535753b2f8f2ff15232 (MD5) Previous issue date: 2008
Mestrado
Mestre em Enfermagem
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Meroño, Dueñas Oona. « Comorbilidades en los pacientes con síndrome coronario agudo : nuevas evidencias de la anemia nosocomial y del déficit de hierro ». Doctoral thesis, Universitat Autònoma de Barcelona, 2017. http://hdl.handle.net/10803/457624.

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Résumé :
El síndrome coronario agudo (SCA) es la principal complicación de la cardiopatía isquémica y se produce como consecuencia de la inestabilización de las placas de aterosclerosis de las arterias coronarias. Se sabe que la inflamación juega un papel importante en todas las fases de la enfermedad aterosclerosa; en el inicio de la formación de la placa, en la progresión de la misma y es máxima en el momento de inestabilización y aparición del SCA. Los objetivos de esta tesis son analizar el papel e implicaciones clínicas de la anemia adquirida intrahospitalariamente y del déficit de hierro (DH) en pacientes con SCA y su posible relación con la inflamación. Para responder a estos objetivos se realizaron dos registros prospectivos de pacientes que ingresaron de manera consecutiva por un SCA en nuestro centro. Para el análisis de la anemia nosocomial se incluyeron 221 pacientes entre el 2009 y 2010 y para el análisis del DH se incluyeron, entre el 2012 y 2015, a otros 244. Se observó que la anemia nosocomial sin sangrado evidente sucede en el 25% de los pacientes con SCA, que su aparición se relaciona con un estado inflamatorio marcado indicado por valores de proteína C reactiva >3.1mg/dl y que es un predictor de morbi-mortalidad a largo plazo. Así mismo, también se observó que el DH se encuentra en más del 50% de los pacientes con SCA, que se relaciona con un estado inflamatorio marcado indicado por niveles elevados de Interleucina-6 y que su persistencia a los 30 días tras el evento coronario implica una peor capacidad funcional y una peor calidad de vida.
The Acute Coronary Syndrome (ACS) is the main complication of ischemic cardiovascular disease and it’s caused by Coronary atherosclerotic plaque instability. It is known than Inflammation plays a key role in all phases of atherosclerosis; at the beginning of plaque formation, in its progression and reaches maximum levels at the time of ACS onset. The objectives of the present thesis are to analyze the role and clinical implications of in-hospital acquired anemia and iron deficiency (ID) in patients with ACS and their possible relationship with inflammation. In order to respond to these objectives, we performed two prospective registries of patients consecutively admitted for an ACS in our center. For the first analysis, 221 patients were included between 2009 and 2010, and for the ID analysis 244 were included between 2012 and 2015. Nosocomial anemia was observed in 25% of patients with ACS and was a strong predictor of cardiovascular morbidity and mortality in the long-term follow-up. A > 3.1mg/dl value of C-reactive protein was highly predictive of developing nosocomial anemia. In the other hand, ID was registered in more than 50% of ACS patients; its presence was related to a marked inflammatory status indicated by high levels of Interleukin-6 and its persistence 30 days after the coronary event resulted in a poorer mid-term functional recovery, as measured by exercise capacity and quality of life.
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Livres sur le sujet "Sindrome Coronarica"

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Sindrome Coronarica Acuta. Milano : Springer Milan, 2005. http://dx.doi.org/10.1007/88-470-0369-5.

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Massari, Ferdinando Maria. Sindrome Coronarica Acuta, un nuovo modo di fare diagnosi, un nuovo modo di impostare la terapia. Springer, 2005.

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Massari, Ferdinando Maria. Sindrome Coronarica Acuta, un Nuovo Modo Di Fare Diagnosi, un Nuovo Modo Di Impostare la Terapia. Springer London, Limited, 2007.

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Llevadot, Joan. Sindromes Coronarios Agudos. Elsevier Espana, 2003.

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