Articles de revues sur le sujet « Rapporto medico »

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Petrosino, Luigi M. « Etica medica e onorario dei medici ». Medicina e Morale 42, no 3 (30 juin 1993) : 539–63. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1993.1055.

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Résumé :
Lo studio, partendo dalla constatazione dell'attuale complessità del rapporto medico-paziente, focalizza l'attenzione sull'onorario medico. L'Autore approfondisce i seguenti interrogativi: qual è l'impatto socio-economico dell'onorario; quale la sua incidenza psicologica negli interessati ed, infine, entro quali limiti etici e religiosi può configurarsi. Il lavoro inquadra le possibili soluzioni sotto una duplice ottica: da una parte quella che fa riferimento alla deontologia professionale, con una cernita dei documenti specifici al riguardo e l'analisi dei tariffari nazionali del1966, 1989,1992; dall'altra in prospettiva etica.
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2

Von Engelhardt, Dietrich. « Il rapporto medico-paziente in mutamento : ieri, oggi, domani ». Medicina e Morale 48, no 2 (30 avril 1999) : 265–99. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1999.805.

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Résumé :
L’articolo illustra l’evoluzione del rapporto medico-paziente in diverse epoche storiche: l’Antichità, il Medioevo, l’Epoca Moderna. L’Autore sottolinea l’importanza che ha la Storia della Medicina nel prevenire il pericolo di una tecnicizzazione del rapporto medico paziente e nell’arricchire questo stesso rapporto delle dimensioni antropologica, cosmologica e metafisica. Nell’illustrare tale percorso l’Autore si avvale di alcune raffigurazioni artistiche. Le opere d’arte possiedono forza terapeutica: “ cultura e medicina umana sono profondamente intrecciate. Ogni forma d’arte può essere di aiuto alla diagnostica, alla terapia, alla prevenzione e alla riabilitazione e può offrire diverse forme di aiuto nel rapporto con la malattia, con la morte e con il dolore”. Il rapporto medico-paziente non dipende soltanto alla medicina, ma è anche espressione della cultura e della società alle quali appartiene la medicina stessa. Per contribuire all’umanizzazione della medicina, dell’assistenza e dell’ospedalizzazione è necessario tener presente il panorama culturale, perché la medicina non si pone fuori dalla società, sebbene abbia una sua dinamica autonomia. L’Autore sottolinea che l’obbiettivo della medicina del futuro deve consistere nel ristabilire un collegamneto tra l’antropologia, la cosmologia, la metafisica e la scienza. Non deve essere una separazione tra una medicina di tipo sperimentale, “scientifica” da un lato, e una medicina che si avvale dell’antropologia della cosmologia e della metafisica dall’altro. A questo riguardo il rapporto medico-paziente è il nodo centrale nel quale si può realizzare l’incontro tra le scienze naturali con le scienze umanistiche.
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3

D’Alessandro, Simone. « Sociologia relazionale e rapporto medico-infermiere-paziente ». SALUTE E SOCIETÀ, no 1 (janvier 2018) : 159–75. http://dx.doi.org/10.3280/ses2018-001011.

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4

Pegoraro, Renzo. « Comunicazione della verità al paziente ». Medicina e Morale 41, no 3 (30 juin 1992) : 425–46. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1992.1100.

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Résumé :
La comunicazione della verità al paziente assume il carattere di un caso paradigmatico per il coinvolgimento sia del teologo moralista sia del medico, a livello di riflessione teoretica e di prassi. Nella prospettiva di un possibile dialogo interdisciplinare, l'autore, in questa seconda parte, traccia le linee per una miglior comprensione del rapporto tra medico e paziente in termini di alleanza, basata sulla fiducia e il rispetto reciproci. Tale contesto di fedeltà rende possibile una relazione e comunicazione autentiche, seguendo un cammino di gradualità che conduce il malato verso la piena verità sulla sua condizione. La veracità del medico saprà assumersi tale responsabilità valutando il senso delle singole affermazioni e dei silenzi, nelle diverse circostanze e situazioni, per il rispetto della dignità del paziente e della stessa professione medica.
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Eijk, Willem J. « Il Rapporto 2001/2002 sulla prassi dell’eutanasia nei Paesi Bassi : considerazioni critiche ». Medicina e Morale 52, no 6 (31 décembre 2003) : 1137–50. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2003.656.

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Résumé :
Nel mese di giugno di 2003 è stato pubblicato il terzo Rapporto sulla prassi di eutanasia nei Paesi Bassi. Lo scopo dell’indagine era, fra l’altro, di verificare se i medici rispettino la regolamentazione sull’eutanasia. Dal 1998 tutti i casi di eutanasia e suicidio medicalmente assistito devono essere denunciati dal medico alle Commissioni Regionali di Controllo sull’Eutanasia. Questa procedura è stata poi mantenuta nella Legge sul “Controllo della Cessazione della Vita a Richiesta e dell’Assistenza al Suicidio” (2001) secondo cui l’eutanasia e il suicidio medicalmente assistito sono legali a condizione che il medico abbia rispettato una serie di adempimenti. Uno di essi richiede che il medico denunci casi di eutanasia e suicidio medicalmente assistito. Dal Rapporto, invece, risulta che - sebbene la percentuale di casi di eutanasia e suicidio medicalmente assistito denunciati sia aumentata dal 41% nel 1995 fino al 54% nel 2001, il numero totale tende a calare dal 2000. Il numero dei casi di cessazione intenzionale della vita senza richiesta del malato è rimasto praticamente invariato nel 2001/2002. Siccome i medici denunciano appena questi casi, il controllo sociale su essi è praticamente escluso. Molti casi di cessazione intenzionale della vita sono velati come casi di sedazione terminale. Rimane inoltre la domanda se il 13% di tutti i decessi (circa 18.200 in totale) in cui una terapia non è stata iniziata o continuata allo scopo esplicito di accelerare la morte, non sia equivalente alla cessazione intenzionale della vita dal punto di vista etico. La prassi dell’eutanasia nei Paesi Bassi non risulta quindi essere controllata, contrariamente a quanto voluto dal legislatore. Un dato significativo è che l’introduzione delle cure palliative (CP) in Olanda ha avuto luogo abbastanza tardi (nella seconda meta degli anni Novanta del XX secolo), l’introduzione dell’eutanasia invece presto (cioè negli anni Settanta). Medici che svolgono il ruolo di consultatori in casi di eutanasia nei Paesi Bassi, hanno costatato che la frequenza di richieste di eutanasia è diminuita considerevolmente dopo l’introduzione delle CP. La conclusione è che l’applicazione delle CP costituisca la garanzia migliore per un trattamento adeguato della condizione di fine vita e un efficace antidoto contro la richiesta eutanasica.
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Conti, Adelaide. « Trasferimento sperimentale del nervo ulnare sull'arto inferiore : aspetti medico-legali ed etici ». Medicina e Morale 43, no 6 (31 décembre 1994) : 1161–71. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1994.1003.

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Résumé :
L'Autore, prendendo spunto da un caso di sperimentazione chirurgica giunto all'esame del Comitato Etico (CE) degli Spedali Civili di Brescia, analizza le problematiche etiche inerenti a tale pratica medica. Consapevoli del fatto che ogni caso clinico rappresenta una sperimentazione, l'attenzione è rivolta all'ambito chirurgico, che ha come principale scopo l'apporto di un beneficio per il paziente fruitore del trattamento "nuovo". Dapprima vengono considerati i principi generali eticamente validi applicabili alla sperimentazione; in particolare il principio di beneficità, owero di non maleficienza e il principio di autonomia. In un secondo momento viene esaminato il caso clinico proposto al CE. E' proposta una tecnica chirurgica da effettuare su pazienti paraplegici: il trasferimento del nervo ulnare con le sue tre branche motrici sui nervi dei muscoli grande gluteo, medio gluteo, retto anteriore. Tale sperimentazione ha lo scopo di consentire la deambulazione usando apparecchi di ortesi dal ginocchio in giù. I problemi etici che emergono sono numerosi: in primis è rilevante il fatto che la sperimentazione effettuata solamente su animali non è priva di incognite. In secondo luogo i principi fondamentali dell'etica non sono rispettati e, non ultimo, il rapporto medico-paziente notevolmente trascurato. In tal senso i CE si pongono come "intermediari" in questa relazione che sottende numerose problematiche. L'etica della sperimentazione deve in tal modo essere verificata in rapporto al paziente in quanto persona con le sue peculiarità.
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Timio, Mario. « Nefrologia clinica : dalla stretta di mano all'EBM attraverso la bioetica ». Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi 26, no 3 (30 septembre 2014) : 278–80. http://dx.doi.org/10.33393/gcnd.2014.920.

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Résumé :
La stretta di mano è un gesto essenziale nell'approccio al binomio medico-malato. Sociologi, psicologi medici e bioeticisti ne sottolineano l'importanza nella gestione iniziale della malattia: piccolo gesto per il medico, grande per il malato. Apparentemente controcorrente in un mondo in cui tutto è fast, la stretta di mano viene considerata la chiave giusta per aprire la porta della bioetica in medicina coniugata alla comunicazione medico-malato. Come testimonianza viene riportata la storia clinica di tre pazienti con problemi nefrologici, che fanno emergere la valenza della bioetica nella loro risoluzione ed il significato umano della sua assenza. Viene sottolineato il valore della comunicazione, come il disvalore del silenzio e del non-ascolto nel rapporto medico-paziente. Il non-ascolto mina dalle fondamenta la comunicazione tra uomini sani e malati. Al contrario l'ascolto del dializzato è il presupposto di un vero dialogo, di ogni piena comunicazione. Sono presentate le categorie della medicina narrativa ed il loro utilizzo nella bioetica nefrologica. (Bioethics)
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Pascali, V. L., E. Bottone et Angelo Fiori. « Problemi bioetici, deontologici e medico-legali della medicina perinatale ». Medicina e Morale 41, no 1 (28 février 1992) : 43–58. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1992.1113.

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Résumé :
I quattro livelli (tecnico-professionale in senso stretto, giuridico, deontologico e bioetico) nei quali si inscrive il rapporto medico-paziente comportano problemi diversi nel consenso informato e nelle prestazioni per la diagnosi e cura delle malattie fetali e di quelle del neonato. Di tali problemi, esaminati principalmente nell'ottica delle norme giuridiche e deontologiche italiane, gli autori tracciano le linee essenziali.
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Casini, Marina, et Antonio G. Spagnolo. « Aspetti giuridici, deontologici ed etici della prescrizione medica degli estroprogestinici a scopo contraccettivo ». Medicina e Morale 51, no 3 (30 juin 2010) : 429–51. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2002.692.

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Résumé :
Di fronte alla richiesta della donna, la prescrizione di sostanze estroprogestiniche con funzione contraccettiva è da considerarsi un atto cui il medico è tenuto, oppure al medico è lasciato uno spazio di libertà per opporsi alla richiesta e seguire i dettami della propria coscienza? La questione venuta alla ribalta con una sentenza del Tribunale di Milano (1997) è affrontata a partire da un’indagine ricognitiva di carattere giuridico relativa all’introduzione nel nostro ordinamento della contraccezione. Viene poi fatta la triplice distinzione: c.d. “contraccezione d’emergenza”, contraccettivi che potrebbero avere un’efficacia abortiva e contraccezione vera e propria. Mentre nel primo caso è possibile ricorrere all’art. 9 L. 194/1978 (obiezione di coscienza all’aborto), nel secondo e nel terzo la lettera e la ratio dell’art. 9 conducono ad una sua non applicabilità. Questo tuttavia non significa obbligare il medico a prestazioni contrarie alla propria coscienza o al proprio convincimento clinico. Alla luce di alcune norme della legislazione sanitaria e del codice deontologico emerge il ruolo centrale della fiducia rapporto medico-paziente e il criterio della libera scelta che presiede tale rapporto. Il carattere fiduciario basato sulla libera scelta, comprende anche la sfera delle convinzioni morali del medico. Questi può dunque contare su un margine di libertà per esprimere contrarietà a quanto richiesto da paziente e il paziente può avvalersi della sua libertà di cambiare medico.
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Sala, Roberta. « Autonomia e consenso informato. Modelli di rapporto tra medico e malato mentale. » Medicina e Morale 43, no 1 (28 février 1994) : 30–72. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1994.1026.

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Résumé :
Lo studio si propone di analizzare il difficile rapporto tra medico e paziente psichiatrico nell'ambito della più generale crisi della medicina in questo secolo. Dopo aver tracciato un profilo della critica filosofica novecentesca al concetto di scienza ed aver illustrato le difficoltà che incontrano i modelli tradizionali di medicina (p.e. paternalistico, contrattuale), l'Autore considera i vari modi di intendere la malattia mentale e la relazione medico-paziente psichiatrico con un particolare sguardo sulla comunicazione della verità all'all'ammalato in psichiatria e sui problemi relativi al consenso informato.
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Babini, Valeria. « Pandemia o pandemonio ? Libere associazioni di una ex filosofa prestata alla storia della scienza ». RIVISTA SPERIMENTALE DI FRENIATRIA, no 2 (septembre 2021) : 99–107. http://dx.doi.org/10.3280/rsf2021-002008.

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Résumé :
Senza alcuna pretesa di verità l'autrice mette a fuoco riflessioni, contraddizioni, paradossi e inaspettate esperienze umane che hanno attraversato il nostro pianeta e la nostra epoca durante la sconvolgente pandemia di Covid-19. Cercando nella storia e nella psicoanalisi freudiana argomenti che consentano di credere nella possibilità di una solidarietà umana che sola, peraltro, potrà risultare vincitrice, l'autrice auspica che la sfida imposta dalla pandemia alla scienza medica richiami l'attenzione sulla centralità del rapporto umano tra medico e paziente nonché su una concezione realistica e non fideistica del potere della scienza e dei suoi avanzamenti.
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De Caprio, Lorenzo, et Annalisa Di Palma. « La medicina e la morte ». Medicina e Morale 46, no 6 (31 décembre 1997) : 1139–54. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1997.862.

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Résumé :
La morte ha occupato in ogni epoca una posizione centrale nella medicina, e la sua stessa storia dimostra come l’impegno del medico a difendere ad oltranza la vita sia una peculiarità della moderna medicina scientifica. D’altra parte, nel passaggio da una società retta da valori tradizionali a quella moderna, gli storici registrano profondi mutamenti nel rapporto tra l’uomo e la morte. Mentre la cultura dominata dalla tradizione religiosa, pur difendendo la vita, accettava la morte come limite dell’uomo e parte integrante della condizione umana; la cultura della Modernità, nella sua ansia di dominare il mondo, ha rimosso e combattuto la morte. Quindi, solo interventi tesi ad introdurre valori umani e morali nella formazione del medico potrebbero riportare “senso” in una pratica medica che rispecchia fedelmente l’ideologia ed i valori di una società dominata dalla ragione tecnico-scientifica. I1 progresso tecnologico ha messo a disposizione dei medici mezzi capaci di salvare vite umane, ma, per l’oblio di misure umane e morali, con gli stessi mezzi, i medici si accaniscono prolungando inutilmente l’agonia del morente. I1 progresso tecnologico sembra così ritorcersi contro l’uomo. I1 dibattito bioetico aspira a ridare dignità al morente, ma s’è arrestato sul lacerante problema dell’eutanasia. Gli autori giudicano grave e pericolosa questa situazione di stallo; infatti, in un’epoca di limiti nelle risorse, la decisione sulla vita e sulla morte s’avvia ad essere condizionata unicamente da valutazioni d’ordine economico.
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Pinciara, Barbara. « Risvolti etici in psichiatria ». CHILD DEVELOPMENT & ; DISABILITIES - SAGGI, no 1 (janvier 2011) : 33–42. http://dx.doi.org/10.3280/cdd2010-001004.

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Résumé :
Da sempre la Medicina sente il bisogno di darsi delle regole e dei codici di comportamento a protezione del paziente. Ciň richiede ad ogni operatore di mettersi in gioco con autenticitŕ, apertura e costanza nel tempo: compito non facile, come testimonia il fatto che spesso la comunicazione con il paziente affetto da malattia psichica č carente o assente. Le maggiori difficoltŕ in questo senso si manifestano nelle "zone grigie" del rapporto medico-paziente: ad esempio nelle situazioni di criminalitŕ connesse alla patologia psichiatrica, nelle quali la tutela del paziente č spesso in contrasto con la necessitŕ di attuare misure protettive a livello sociale. Il medico che lavora con pazienti psichiatrici si trova spesso a dover prendere decisioni che condizionano la sua libertŕ: pensiamo ad esempio ai casi a rischio di suicidio, alla prescrizione di farmaci in grado di influenzare la qualitŕ di vita in senso medico e sociale (come gli antipsicotici), all'allontanamento da famiglie maltrattanti. Anche eventi quali l'innamoramento e la sessualitŕ tra medico e paziente pongono in primo piano la questione del rapporto personale che si instaura all'interno di questa diade tanto complessa. Per far fronte a queste difficoltŕ č necessario promuovere la comunicazione e l'alleanza terapeutica, fondate sul rispetto e sulla fiducia tra i terapeuti e con il paziente. Questo richiede all'operatore sanitario non solo di agire in modo etico, ma di "essere etico" come persona.
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Pasquandrea, Sergio. « Uso del linguaggio tecnico e rapporto medico-paziente : un'analisi in contesti interculturali ». SALUTE E SOCIETÀ, no 1 (mars 2013) : 76–93. http://dx.doi.org/10.3280/ses2013-001007.

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Oppes, Mario. « La Deontologia medica all’inizio del ’900 : i principi del primo Codice italiano ». Medicina e Morale 52, no 6 (31 décembre 2003) : 1203–12. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2003.659.

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Résumé :
Il Codice di Etica e di Deontologia dell’Ordine dei medici della provincia di Sassari, pubblicato nel 1903, rappresenta il primo esempio in Italia di Codice di deontologia medica. A cento anni di distanza dalla sua promulgazione appare interessante valutare i principi in esso contenuti e confrontarli con quelli inseriti nei successivi codici. Attraverso il percorso storico della deontologia è possibile infatti comprendere il significato che essa ha avuto nel determinare i comportamenti dei medici nell’esercizio della professione, ma soprattutto si può scoprire, il vero significato da attribuire alla deontologia stessa. Infatti negli ultimi trent’anni, con l’avvento della bioetica, si è assistito ad una vera e propria crisi della deontologia che ha portato persino alla perdita di una concezione condivisa del suo significato all’interno della categoria professionale dei medici. Dall’analisi del testo del codice emerge la sottolineatura del dovere di ottenere il consenso del paziente per ogni atto operativo, inattesa per quei tempi, caratterizzati da un rapporto medico-paziente di tipo paternalistico. Vi è inoltre un ripetuto richiamo alla necessità di curare tutti i malati con lo stesso impegno, indipendentemente dalla classe sociale di appartenenza, e ciò assume particolare rilevanza se si considera che all’epoca non esisteva un servizio sanitario nazionale in grado di garantire uniformi livelli di assistenza. In gran parte del codice ci si sofferma poi ai rapporti fra colleghi e negli articoli dedicati a tale problematica si evidenzia una particolare sensibilità verso la correttezza fra professionisti, oggi decisamente disattesa, tanto che tale esigenza non trova particolari sottolineature nell’ultimo codice nazionale. Infine è significativo il richiamo esplicito a tutti gli associati al rispetto delle regole deontologiche, pena la comminazione di sanzioni disciplinari e ciò assume particolare rilevanza se si pensa che cento anni fa gli Ordini dei medici non avevano ancora ottenuto il riconoscimento giuridico, che arriverà solo nel 1910.
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Spinsanti, Sandro. « La sociologia della salute nell'orizzonte delle Medical Humanities ». SALUTE E SOCIETÀ, no 2 (septembre 2009) : 164–66. http://dx.doi.org/10.3280/ses2009-su2011.

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Résumé :
- Remembering Achille Ardigň's collaboration at the establishments of a magazine dedicated to the Medical Humanities, are highlighted the contributions that health sociology can lead to recovery of all sizes that good medicine should provide. The main objective of a humanistic project in medicine was for Ardigň the passage of the subject from allured to patient, not in the sense of passive expectation, but as the bearer of control and self care.Keywords: Medical Humanities, sociology of health, empowerment of citizens, the relationship between humanities and natural sciences, health professions, patient-physician relationship.Parole chiave: Medical Humanities, sociologia della salute, empowerment del cittadino, rapporto tra scienze umane e scienze della natura, professioni della salute, rapporto medico-paziente.
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Ferruta, Anna. « Affidarsi/Isolarsi. Una figura combinata del rapporto curanti/malati in epoca Covid ». EDUCAZIONE SENTIMENTALE, no 34 (janvier 2021) : 39–47. http://dx.doi.org/10.3280/eds2020-034004.

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Résumé :
I curanti, proprio nel momento in cui venivano esposti al contagio del Covid, si sono trovati isolati: loro, i curanti, gli altri, i malati. I ruoli tra sanitari e pazienti si sono divisi in modo netto, sia per il tipo di patologia (il disturbo del respiro e l'intubazione impediscono di parla-re e mascherano la mimica emotiva reciproca) sia per il distanziamento a cui tutti erano sot-toposti. È venuta così a scarseggiare quella dinamica relazionale curante/paziente, nella qua-le lo scambio di parole, di sguardi, di proteste, di sorrisi, crea quel tessuto di reciprocità che alimenta la vita psichica di entrambi. L'esperienza dei Gruppi Balint ci ha insegnato che a curare è la relazione medico-paziente nei due sensi, anche in quello riferito al medico, che nell'ascolto delle emozioni suscitate dall'incontro con il paziente attinge conoscenze e nutri-mento per sé e per l'altro. Prendersi cura è uno dei fondamenti antropologici della condizio-ne umana, riguarda tutti, non solo per riparare a un deficit, ma per la consapevolezza che senza questo alimento relazionale qualsiasi competenza si inaridisce.
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Casini, C., M. Casini et M. L. Di Pietro. « Legge n. 40/2004 e disciplina del consenso informato ». Medicina e Morale 53, no 4 (31 août 2004) : 695–736. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2004.630.

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Résumé :
L'art. 4 della Legge n. 40/2004 sulla "procreazione medicalmente assistita" (PMA) considera il consenso informato uno dei principi fondamentali - insieme al principio di gradualità nell'uso delle tecniche - dell'intera normativa. L'art. 6 - il più ampio e dettagliato della legge - entra in merito al consenso informato e si sofferma su una serie di disposizioni particolari che vanno ad integrarne la disciplina. Lo spazio riservato a questo profilo della materia si spiega alla luce della riflessione, maturata negli ultimi anni, sia in campo etico sia deontologico e giuridico, circa il fondamento dell'atto medico. Accanto alle disposizioni di legge e allo stato di necessità, non vi è dubbio che il consenso informato del paziente è la prima fonte di legittimazione dell'intervento medico sanitario. Il contributo, infatti, muove proprio dalla considerazione del significato del diritto all'informazione per giungere all'esame di ciò che più direttamente riguarda il rapporto medico-paziente nell'ambito delle tecniche di PMA, così come risultano nell'articolato della Legge n. 40/2004. La legge si fonda sul “principio di destinazione alla nascita” come risulta sin dall’art. 1 che, qualificando il concepito soggetto titolare di diritti, suppone, evidentemente, il suo diritto alla vita. In particolare, l’irrevocabilità del consenso una volta avvenuta la fecondazione, porta gli Autori a soffermarsi su alcuni profili ampiamente dibattuti: il rapporto tra la legge sulla PMA e la Legge n. 194/1978 sull'interruzione volontaria di gravidanza e la questione della diagnosi genetica preimpianto.
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Mohamed Ahmed, Neama Abdelaty. « L'atto linguistico del silenzio in "Un medico in famiglia". Studio pragmatico ». Lingue e culture dei media 6, no 2 (28 février 2023) : 58–76. http://dx.doi.org/10.54103/2532-1803/19895.

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Résumé :
Il presente studio si propone di analizzare le funzioni pragmatiche degli atti di silenzio utilizzati in Un medico in famiglia e di indagare il rapporto tra silenzio e cortesia. Più specificamente, si concentra sulla super strategia di non fare l’atto minaccioso proposta da Brown e Levinson (1987) ed esplora la misura in cui il silenzio può realizzare le altre principali strategie di cortesia per affrontare gli atti minacciosi per la faccia. Nel quadro teorico abbiamo fatto riferimento alla tipologia del silenzio e al modello di cortesia di Brown e Levinson (1987). Poi abbiamo classificato gli atti di silenzio raccolti dal corpus seguendo lo schema di Saville Troike (1985), abbiamo calcolato la frequenza del silenzio psicologico e di quello proposizionale. Le conclusioni includono i risultati dello studio.
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Reale, Maria Cristina. « Il diritto di non curarsi. Ancora uno scontro tra doveri medici e libertŕ di autodeterminazione ». SOCIOLOGIA DEL DIRITTO, no 2 (juillet 2012) : 159–68. http://dx.doi.org/10.3280/sd2012-002009.

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Résumé :
Il conflitto tra il diritto degli individui di decidere come curarsi e il dovere dei sanitari di adempiere ai propri obblighi di cura richiama questioni note e delicate quali la definizione del concetto di vita e di salute, del tipo di rapporto che si instaura tra medico e paziente e della sussistenza di limiti al diritto di rifiutare le cure. Sebbene tale diritto trovi ampio riconoscimento a livello tanto normativo (pur in assenza di una legge ad hoc) quanto giurisprudenziale, un recente caso di imposizione forzata di un trattamento, dai medici considerato salvavita, ad un soggetto che a tale trattamento si opponeva in modo reiterato, pienamente consapevole delle eventuali conseguenze, ha nuovamente evidenziato le difficoltŕ che insorgono quando si tratta di tutelare in giudizio il pieno rispetto della volontŕ del paziente.
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Woodall, George John. « Medicina veritatis : The Multi-Faceted Relationship between Truth and Medicine ». Medicina e Morale 46, no 4 (31 août 1997) : 739–59. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1997.873.

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Résumé :
Il lavoro cerca di valutare il rapporto tra la verità e la medicina. Parte dal riconoscimento dell’importanza fondamentale della verità e della veracità nella tradizione cristiana e nella promozione della dignità umana e nello sviluppo della società più generalmente. Il dibattito in seno alla teologia morale cattolica circa la veridicità in casi di conflitto fornisce il retroscena per l’analisi della responsabilità del personale medico, dei parenti e degli altri per la comunicazione della verità al paziente. La veridicità appare quale realtà pluri-dimensionale, che tocca tutte le sfere dell’attività medica e della ricerca scientifica in campo medico. In questo contesto si dà un’attenzione esplicita alla ricerca clinica. La scelta di focalizzare sull’oncologia scaturisce dalla percezione pastorale che tante vite umane ammalano di tumore ed anche il fatto che le questioni morali in gioco emergono più chiaramente una volta che si tratti di patologie potenzialmente letali. I contributi principali del testo sarebbero la dimostrazione della multiforme maniera in cui la verità e la veracità influiscono e dovrebbero influire sulla medicina e sostenere che la verità stessa funge da medicina al livello intrapersonale, interpersonale e trascendentale della vita umana dolente.
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Robert, Elisabetta, Graziella Sinaccio et A. G. Spagnolo. « Bioetica e nursing : Il ruolo dell'infermiere nella sperimentazione clinica ». Medicina e Morale 42, no 3 (30 juin 1993) : 575–84. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1993.1057.

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Résumé :
Gli Autori considerano i problemi etici che l'infermiere può incontrare durante l'attivazione e lo svolgimento delle sperimentazioni cliniche. Alla luce dei principi di Bioetica vengono affrontati l'informazione, il consenso, la comunicazione della diagnosi, il rapporto medico/infermiere/paziente, il coinvolgimento delle famiglie, la qualità della vita, il Comitato Etico, che costituiscono importanti temi di riflessione critica e rappresentano altresì problematiche delicate con le quali l'infermiere deve spesso confrontarsi nella ricerca e nella vita di corsia.
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Catananti, Cesare. « L’antropologia alla base della medicina : un dibattito antico ed attuale ». Medicina e Morale 45, no 6 (31 décembre 1996) : 1135–50. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1996.894.

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Résumé :
La storia della medicina è stata costantemente punteggiata da un vivace dibattito su quelli che sono i contenuti del sapere medico, su quello che è il corretto esercizio applicato di quel sapere e sul se e sul come quel sapere e quell’agire si integrino in un’ottica antropologica. Questo costante richiamo ad una umanizzazione dell’assistenza medica tradisce il profondo bisogno di una medicina centrata sull’uomo e non sulla malattia. Un bisogno molto antico dato che già nel V sec. a.C. le divergenze tra la scuola medica di Cos e quella di Cnido vertevano proprio su tale questione. L’autore dopo aver ripercorso brevemente in questa prospettiva la storia della medicina, mette in luce come con l’individuazione e la diffusione del metodo scientifico, quantitativo, nel XVII sec. gli aspetti tecnici, economici, sociologici hanno prevalso su quelli relazionali. Mentre, a suo giudizio, è nella ricerca delle integrazioni psico-biologiche che il medico doctus ed expertus potrà far valere la sua sapientia, scientia e sapienza cordis tra loro amalgamate; falitando così il suo rapporto con il paziente il quale sarà caratterizzato non da un atteggiamento paternalistico o autoritario ma di paritaria empatia. Si tratta allora di costruire una tecnè che poggi in maniera armonica ed equilibrata su due pilatri: quello della conoscenza scientifica e quello dell’ethos umanitario. una medicina, quindi, che faccia coincidere antropologia e tecnologia.
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Carraro, Mara, et Antonio G. Spagnolo. « Bioetica e Nursing. Il ruolo dell'infermiere nei trapianti d'organo ». Medicina e Morale 43, no 2 (30 avril 1994) : 333–47. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1994.1023.

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Résumé :
L'articolo intende esaminare da una parte il ruolo infermieristico nei confronti dei familiari di un potenziale donatore di organi e dall'altra quello tra infermiere e malato ricevente. Nel primo caso l'infermiere svolge una duplice funzione: il momento di raccordo tra medici e familiari dopo che questi sono stati informati sulle condizioni del loro congiunto; l'assistenza al cadavere per cercare di conservare gli organi da donare fino all'espianto. Anche nel caso del rapporto tra l'infermiere ed il paziente ricevente, l'infermiere è chiamato a dare ulteriori informazioni e conferme al dialogo tra medico ed ammalato sia nella fase pre- che post-operatoria. Occorre, perciò, ma sono rari gli esempi, un protocollo d'intesa tra medici ed infermieri in modo da fornire all'ammalato una risposta integrata e completa. Nella professione infermieristica, fatta non solo di mansioni e compiti, ma anche di prestazioni relativamente autonome, si pone una domanda di eticità e di rettitudine dell'operato. Tenendo conto che all'infermiere si chiede un'assistenza attenta agli aspetti umani e relazionali della cura, è necessario allora che egli abbia un quadro di riferimento etico-deontologico, tale che lo aiuti ad acquisire. con altre complesse competenze, la capacità di orientare eticamente il suo lavoro. Tale quadro si individua nel modello etico personalistico. Rintracciato, allora, nel delicato rapporto tra i principi di autonomia e di beneficialità il nodo etico dell'assistenza infermieristica, questa risulterà eticamente adeguata quando opera con il pieno consenso del paziente ottenendo il miglior risultato terapeutico e nella consapevolezza che l'uomo è il valore massimo da tutelare.
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Mingardo, Letizia. « È morto Ippocrate, lunga vita a Ippocrate. Per una rivalutazione del paradigma medico ippocratico ». Medicina e Morale 68, no 3 (15 octobre 2019) : 249–63. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2019.585.

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Résumé :
Nel panorama bioetico contemporaneo trova credito l’idea per cui la tradizione ippocratica sarebbe ormai irrimediabilmente anacronistica ed inevitabilmente superata, come, ad esempio, sostengono autori quali Veatch, Riha, Heubel e Mori. Le ragioni profonde di questa ostilità rimandano al divieto di pratiche abortive e di atti finalizzati a provocare la morte, contenuti nel Giuramento di Ippocrate, nonché, più in generale, alla commistione con l’etica cristiana che la storia dell’ippocratismo racconta. Nel presente contributo intendo mostrare come il movimento anti-ippocratico contemporaneo si nutra di una nozione di ippocratismo affetta da una certa stereotipia, e così ricostruita allo scopo di accreditare l’opposto paradigma pro-choice. Il mio intento finale è quello di offrire alcuni spunti per una riconsiderazione del paradigma medico ippocratico, alla luce dell’apprezzamento di quelli fra suoi elementi costitutivi che possono definirsi “classici”. Dopo un breve ritorno alle origini storiche dell’ippocratismo, mi soffermerò sul primo Aforisma di Ippocrate, in quanto manifesto epistemologico della medicina ippocratica, e sul Giuramento, in quanto manifesto deontologico della professione medica ippocratica. A traghettarmi dall’Aforisma al Giuramento, a cavallo tra epistemologia e deontologia, sarà una specifica riflessione sulla concezione ippocratica del rapporto tra medico e paziente, così come emergente anche da altre fonti antiche. Nel compiere questo percorso, sarò supportata da autorevoli voci, che, nell’odierno panorama nazionale e internazionale, contribuiscono ad alimentare una sempre più attenta rivalutazione della tradizione ippocratica, sotto il profilo etico e deontologico.
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Eusebi, Luciano. « Il diritto penale di fronte alla malattia ». Medicina e Morale 50, no 5 (31 octobre 2001) : 905–28. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2001.736.

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Résumé :
Viene discusso il ruolo del consenso rispetto alla qualificazione giuridicopenale del trattamento medico-chirurgico. Si sostiene che il principio di autodeterminazione non può costituire unico criterio orientativo per risolvere le problematiche etiche e giuridiche oggi emergenti in ambito biomedico, configurandosi altrimenti il pericolo di una medicina puramente contrattualistica e difensiva, ovvero concepita non come scienza (umana), ma come mero insieme di abilità tecniche. Sono in questo senso evidenziate varie situazioni in merito alle quali il riferimento al consenso è impossibile o inadeguato. Si mette in luce, del resto, come sia coessenziale al concetto moderno di democrazia il confronto teso a definire convergenze su ciò che risulti fondamentale per la tutela della dignità umana, e dunque a definire linee-guida condivise circa settori di attività particolarmente delicati. In particolare vengono sviluppate motivazioni pertinenti anche in un contesto laico e pluralista al fine di mantenere fermo il divieto giuridico dell’eutanasia sia passiva che attiva, nell’ottica di un approccio solidaristico alla sofferenza: approccio che dalle normative favorevoli all’eutanasia risulta inevitabilmente compromesso. In questo senso, è individuato un limite intrinseco al diritto nell’impossibilità di autorizzare giuridicamente una relazionalità inter-soggettiva – come quella fra medico e paziente – giocata per la morte. La questione dell’eutanasia viene tenuta distinta, ovviamente, dai problemi attinenti all’accanimento terapeutico e alla proporzionalità dell’intervento medico. In rapporto alla permanente validità giuridica del principio di indisponibilità della vita uno specifico approfondimento è dedicato all’interpretazione dell’art. 32, 2° comma, della Costituzione italiana. Sono altresì presi in considerazione problemi concernenti i soggetti incapaci, il ruolo della norma sullo stato di necessità, i compiti assolti dai comitati etici ospedalieri (anche con riguardo alla responsabilità dei relativi membri) e la necessità di nuovi modelli giuridici intesi alla prevenzione degli eventi medici “avversi”.
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Maletta, Sante. « Vulnerabilità umana e razionalità pratica. Una prospettiva bioetica macintyriana ». Medicina e Morale 68, no 3 (15 octobre 2019) : 297–312. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2019.588.

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Questo articolo prende in esame alcuni testi di Alasdair MacIntyre, compresi in un arco temporale di circa trent’anni, a partire dai quali si può ricostruire una prospettiva bioetica che fa perno su un’etica delle virtù. Tale prospettiva “ricentra” la bioetica sulla medicina come pratica sociale e quindi sul rapporto paziente/medico considerato all’interno della concreta trama sociale nella quale agiscono forme di dipendenza tanto alienanti quanto liberanti. Il perseguimento del bene umano non passa quindi attraverso un’utopica emancipazione da ogni forma di dipendenza ma bensì attraverso la pratica delle virtù etiche e dianoetiche resa possibile dai rapporti di dipendenza biologica e razionale. L’esercizio della razionalità pratica indipendente, che costituisce un fattore importante della realizzazione del bene, non viene intesa come autonomia assoluta ma piuttosto come capacità di dar conto delle proprie scelte e azioni dal punto di vista narrativo. In tale prospettiva bioetica la disabilità, in quanto manifestazione della dipendenza e della vulnerabilità umane, diviene un’opportunità per l’esercizio delle “virtù del dare e del ricevere” che realizzano il bene individuale e il bene comune e quindi spinge nella direzione di un ripensamento della condizione umana e della natura del legame sociale e dei suoi criteri di giustizia.
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Lodi, Elisa, Federica Donati, Letizia Reggianini et Maria Grazia Modena. « La questione genere in medicina e in cardiologia ». CARDIOLOGIA AMBULATORIALE 30, no 1 (31 mai 2022) : 6–10. http://dx.doi.org/10.17473/1971-6818-2022-1-2.

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Nella storia la figura della donna medico ha attraversato fasi alterne, arrivando per questo a trovarsi, nel XXI secolo, ancora penalizzata e questo ha avuto un indubbio impatto sull’approccio della medicina alle differenze di genere. Mentre il sesso definisce l’identità cromosomica e ormonale, il genere, che ci condiziona dalla nascita a fine vita, deriva dal rapporto del sesso con l’ambiente, la società, il costume, la religione. Per troppo tempo la salute della donna è stata guardata con un approccio “a bikini” (focalizzata cioè sull’apparato riproduttivo e sui caratteri sessuali secondari), ignorando le differenze dei sintomi, dell’incidenza e prevalenza delle malattie cardiovascolari, di molti tumori non legati al sesso, di malattie broncopolmonari non esclusivamente legate al fumo. Come molte campagne di screening sono state tarate sulla donna, altrettante sono state tarate esclusivamente sull’uomo, non considerando l’esistenza di patologie non solo sesso-correlate, ma anche genere-correlate. Bisognerebbe che l’approccio a una medicina di genere fosse condiviso anche da medici e operatori sanitari uomini, come sarebbe auspicabile che la Medicina fosse insegnata con un approccio di genere.
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Agrusta, M. « Digital health : the new necessary skills. Medical-patient communication through technological tools ». Journal of AMD 24, no 4 (février 2022) : 264. http://dx.doi.org/10.36171/jamd21.24.4.4.

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Résumé :
La telemedicina si affaccia in diabetologia agli inizi degli anni Ottanta con un impiego limitato alla trasmissione di dati metabolici fra medico e paziente; nel tempo le aree di applicazione nella cura del diabete si sono moltiplicate ed i progetti attuali sono finalizzati nella gestione terapeutica ed educazionale Tutti gli operatori del sistema sanitario devono, oggi, comprendere che esercitare la professione sanitaria vuol dire non solo curare le persone, ma prendersi anche cura dei loro dati, e che le due cose non sono più scindibili. Altro problema delicato e centrale, che si pone la telemedicina, è quello di non ridurre il rapporto medico paziente ad una fredda interlocuzione attraverso un video o ad un impersonale messaggio, ma al contrario è quello di costruire intorno al paziente una rete fatta di servizi che non solo siano in grado di assisterlo nella malattia, ma anche di garantire quella buona qualità di vita che spesso è inficiata in una patologia complessa quale il diabete. PAROLE CHIAVE telemedicina; buona relazione; buona qualità della vita; setting a distanza; colloquio clinico.
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Ducci, Gea. « L'impatto dei social media sul rapporto medico-paziente : ambivalenze nell'uso di WhatsApp da parte dei diabetologi in Italia ». SALUTE E SOCIETÀ, no 1 (février 2020) : 127–42. http://dx.doi.org/10.3280/ses2020-001010.

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Rufini, Maria Teresa. « "Abitare nella possibilitŕ". Eros e spiritualitŕ nel lavoro clinico ». STUDI JUNGHIANI, no 32 (février 2011) : 59–76. http://dx.doi.org/10.3280/jun2010-032004.

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Résumé :
Dopo una breve premessa sul concetto di Spirito, si afferma che per Jung il fondamento della psiche č religioso, perché si basa sulle risposte arcaiche dell'uomo di fronte all'ignoto. La teoria della struttura psichica non č stata dedotta da miti e fiabe, ma si basa su esperienze e osservazioni condotte nell'ambito della ricerca medico-psicologica e soltanto secondariamente essa ha trovato conferma nello studio comparativo dei simboli, in campi lontanissimi dalla pratica psicoterapeutica. Da tale premessa consegue che un terapeuta junghiano, forse inconsapevolmente, ha un atteggiamento spirituale, anche laico. Seguono alcune considerazioni sulle vicissitudini del rapporto analitico, sul setting, si paragonano per contiguitŕ relazioni fondate su eros e spiritualitŕ. A conclusione, alcune considerazioni sulla spiritualitŕ di oggi.
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Pravettoni, Gabriella, et Ilaria Cutica. « I contributi di Marcello Cesa-Bianchi alla psico-oncologia ». RICERCHE DI PSICOLOGIA, no 1 (mai 2021) : 153–65. http://dx.doi.org/10.3280/rip1-2021oa11612.

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Résumé :
Nell'ambito del vastissimo corpus di scritti e di ricerche di Cesa-Bianchi sulla psicologia della salute, si possono ritrovare alcuni concetti cardine della ricerca e della pratica in psico-oncologia, quali il ruolo della psicologia e dello psicologo in ambito sanitario, l'importanza del rapporto medico-paziente, il ruolo centrale della comunicazione, e la necessità di tener presenti nella cura le caratteristiche psicologiche del malato, in particolare quando questi deve confrontarsi con una malattia ad esito potenzialmente infausto.Questo capitolo descrive l'importanza dei suoi principali contributi su questi aspetti della psico-oncologia, sottolineando la sua capacità di cogliere in anticipo i cambiamenti, che si sono susseguiti negli anni, dei paradigmi teorici in psicologia della salute.
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Guerra, Giovanni. « La relazione medico paziente : dialogo tra psicologia e medicina sull'adattamento ». RICERCHE DI PSICOLOGIA, no 1 (mai 2021) : 137–51. http://dx.doi.org/10.3280/rip1-2021oa11606.

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Résumé :
Il rapporto medico-paziente, tema ampiamente dibattuto in letteratura, viene qui proposto indicando l'adattamento come terreno di incontro nel quale medicina e psicologia possano dialogare, condividendo lo stesso punto di osservazione, pur mantenendo le loro specificità di lettura dei fenomeni e di intervento.La vita è un continuo processo adattativo la cui storia è il risultato deterministico e imprevedibile del gioco delle risorse, delle possibilità, dei vincoli, dei limiti, delle occasioni propri sia del soggetto sia della realtà.Questa formulazione dell'adattamento si applica tanto allo sviluppo biologico quanto allo sviluppo psicologico e, pur nella differenza dei "materiali" osservabili, offre un comune vertice di osservazione.La malattia è un evento quasi inevitabile della vita e coinvolge il soggetto in tutta la sua complessità bio-psico-sociale. Da qui, la sollecitazione a includere il malato con la sua soggettività (valori, storia, emozioni, fantasie …) all'interno del campo clinico. Tale inclusione, peraltro, pone due domande: da una parte, sulle ragioni dell'eclissi dell'interesse per la soggettività e, da un'altra parte, sul potenziale valore aggiunto apportato dalla presenza della soggettività del paziente nel campo clinico.La logica dello sviluppo del sapere e delle tecniche in medicina spiega le ragioni del progressivo disinteresse per la soggettività, ma lo stesso sviluppo implica la valorizzazione dell'individualità biologica. L'individualità non è, di per sé, la soggettività ma costituisce indubbiamente la via per prendere in considerazione la singolarità dei processi adattativi alla malattia.L'inclusione della soggettività se appare evidentemente vantaggiosa per il paziente, offre anche al clinico il vantaggio di una partecipazione attiva e di adesione ai percorsi diagnostici e terapeutici. Nella narrazione che il paziente fa della storia della malattia, infatti, si può rintracciare e comprendere anche la sua strategia adattativa. In particolare, si avanza la proposta di lettura della narrazione ipotizzando il vissuto della malattia e le aspettative nei confronti del curante come organizzatori della narrazione.
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Posteraro, Nicola. « Il “problema” del consenso informato : dai diritti del malato alla spersonalizzazione del rapporto medicopaziente / The “problem” of the informed consent : from the rights of the patient to the depersonalization of his relationship with the doctor ». Medicina e Morale 66, no 3 (3 juillet 2017) : 371–87. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2017.497.

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Il lavoro analizza il tema del diritto al consenso informato. Si parte con un’analisi generale del “nuovo” concetto di salute, per poi passare a trattare più dettagliatamente del diritto de quo. Ci si sofferma in particolare sulla informazione quale requisito atto a renderlo valido e si affronta il tema del nuovo rapporto medico-paziente; infine, si svolgono delle considerazioni critiche rispetto alla cd. spersonalizzazione di tale relazione medicale. ---------- The work deals with the process of the informed consent. It analyzes the “new” right to health; then, it focalizes its attention on the right to be informed before conducting a healthcare. At the end, it considers the theme of the relationship between the doctor and the patient and investigates the problem of its depersonalization.
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Federspil, G., et C. Macor. « L'etica del procedimento clinico ». Medicina e Morale 43, no 6 (31 décembre 1994) : 1107–14. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1994.1000.

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L'articolo affronta il problema del rapporto tra sapere scientifico e pratica clinica. La medicina è una disciplina che persegue sia la conoscenza di numerosi fenomeni biologici che la possibilità di modificarli. Essa possiede, quindi, sia aspetti teorici che operativi. E questi, in realtà, sono solo apparentemente diversi, poiché il "fare" della tecnica non è un "fare" qualsiasi, ma un "fare efficace", che nasce dalla conoscenza di una serie di procedure operative progettate al fine di raggiungere determinati obiettivi. Dopo avere sottolineato che il "sapere razionale", nato durante la civiltà ellenica, trova un suo culmine nel XVII secolo con la nascita della scienza sperimentale, gli Autori iiiustrano la nascita della medicina moderna, quale scienza applicata, che è in grado - superando l'empirismo - di fornire le ragioni per le quali si agisce in un certo modo. Dopo avere argomentato sulla necessità dell'etica nella scienza, viene affrontata la medicina come scienza applicata, il cui fine è la salute dell'uomo. Pertanto il medico deve attenersi correttamente alle regole consolidate del procedimento clinico, metodologicamente e nei contenuti; inoltre è chiamato ad esercitare la scienza medica in modo da raggiungere gli scopi che costituiscono tale disciplina, adeguandosi alle conoscenze scientifiche più aggiornate e consolidate.
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Marniga, Brunella. « Per una revisione critico-filosofica ed epistemologica della medicina contemporanea ». Medicina e Morale 47, no 5 (31 octobre 1998) : 989–1006. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1998.822.

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Le urgenti questioni bioetiche che la medicina deve affrontare e la sempre maggiore richiesta di “umanizzazione” della stessa, sono i motivi che giustificano una necessaria revisione critico-filosofica della medicina allo scopo di ridefinire metodi, essenza, limiti e valori, attraverso un’analisi epistemologica. Tale riflessione critica deve necessariamente avvalersi di un’indagine filosofica che “va oltre la mera competenza della singola scienza”. La medicina occupa un posto particolare nell’ambito delle scienze empirico-sperimentali, perché si occupa di un oggetto peculiare, l’uomo malato, che non è riconducibile alla sola dimensione dell’oggettivazione. La figura del medico ricorda Jaspers, deve avere “da un lato la conoscenza scientifica e l’abilità tecnica, dall’altro l’ethos umanitario”. Altro punto da considerare è la relazione interpersonale medico-paziente che va intesa non solo come atto terapeutico, ma anche come processo conoscitivo dell’uomo malato e della sua biografia, mantenendo un’apertura al dialogo al fine di mantenere un rapporto più umanitario, attento ai bisogni del paziente. L’incontro tra medicina e filosofia nasce dall’esigenza della comprensione e della contraccezione tralasciata dalla scienza. In conclusione, l’articolo si sofferma sui vantaggi di un’umanizzazione della medicina volta a realizzare una riflessione etica che consideri l’altro nella sua dimensione olistica.
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Szpingier, Beata Katarzyna. « Relazioni tra il lessico medico e lessico di altri livelli della lingua in rapporto all’italiano contemporaneo – alcuni casi interessanti ». Studia Romanica Posnaniensia 40, no 3 (1 janvier 2013) : 105. http://dx.doi.org/10.14746/strop.2013.403.009.

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Presutti, Michelle, Giorgio Soro, Giulia Cnapich et Sara Giordano. « SENSEMAKING E CURA DEL DIABETE : MAPPE COGNITIVE DI MEDICI E PAZIENTI A CONFRONTO ». International Journal of Developmental and Educational Psychology. Revista INFAD de Psicología. 2, no 1 (25 juin 2016) : 323. http://dx.doi.org/10.17060/ijodaep.2015.n1.v2.262.

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Résumé :
Karl Weick, esponente del cognitivismo costruttivista, considera il sensemaking come un insieme di processi cognitivi in continua costruzione, a posteriori, di significati e di senso della realtà in cui viviamo.Il sensemaking è un processo continuo di creazione di senso quotidiano: le persone percepiscono selettivamente le informazioni su sé stessi e sull’ambiente in cui vivono, tali informazioni vengono elaborate cognitivamente attraverso un processo di selezione e ritenzione in memoria delle mappe cognitive costruite.Pertanto il sensemaking costituisce un’appropriata chiave di lettura dei fenomeni comportamentali in cui sono in gioco le rappresentazioni di un problema, soprattutto quando è di estrema necessità trovare punti di contatto in merito ai rapporti causali tra gli elementi che costituiscono le diverse mappe cognitive degli individui che ne prendono parte. L’analisi delle mappe cognitive può essere utile soprattutto al fine di individuare e condividere con maggiore chiarezza quali potrebbero essere le strade per un corretto ed efficace intervento risolutivo o di trattamento del problema.Dare senso alla malattia significa, sia per il medico che per il paziente, organizzare una mappa cognitiva (connessioni causali di elementi di significato) della realtà (della malattia) in un processo continuo di esperienza.Un flusso continuo che a partire da una percezione soggettivamente selettiva degli elementi disponibili (conoscenze, esperienze, eventi,etc.), organizza tali elementi in una mappa e li traduce in uno schema operativo di comportamento. Secondo Weick la realtà individuale si costruisce, mentre l’ambiente, il contesto, sono costruiti a priori.Le mappe cognitive che gli individui costruiscono influenzeranno le successive esperienze che si troveranno a dover fronteggiare nell’ambito dello stesso problema, in questo caso inerenti alla malattia diabetica.L’utilizzo del sensemaking applicato all’analisi dei processi di cura, pertanto, può diventare utile in particolare nei contesti di trattamento in cui la compliance e l’aderenza alle cure costituisce un fattore determinante nella gestione della patologia cronica, che prevede un modello di rapporto medico- paziente protratto nel tempo e centrato sulla possibilità di confronto rispetto alle modalità di cura e riuscita della stessa.La ricerca si è proposta pertanto di indagare attarverso la somminisrazione di interviste a medici e pazienti e attarverso al successiva analisi del testo e delle ricorrenze lingusitiche elaborate attraverso appositi software di ricostruire e mettere a confronto le rispettive mappe cognitive che stanno alla base delle rappresentazioni della malattia e della sua gestione e quindi dei comportamenti conseguenti di chi cura e di chi è curato.
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Puca, Antonio. « Il caso di Nancy Beth Cruzan ». Medicina e Morale 41, no 5 (31 octobre 1992) : 911–32. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1992.1091.

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L'eutanasia costituisce un nodo bioetico "caldo" in un dibattito che si svolge a vari livelli: medico, bioetico, legale, di mass-media. Il presente lavoro affronta, al riguardo, uno dei casi più noti di pratica eutanasica: quello di Nancy Cruzan, la donna statunitense che, in seguito a grave incidente nel 1983, è rimasta in stato vegetativo persistente attaccata alle macchine di supporto vitale, fino alla morte nel 1990 avvenuta in seguito alla decisione di un giudice - su richiesta dei familiari - distaccarla dai citati strumentati. Dopo una premessa storica della vicenda, il lavoro si addentra nell'iter giudiziario che ha preceduto il "caso Cruzan" e prende in esame le affermazioni del magistero cattolico sull'eutanasia ed il dibattito teologico in atto. Lo studio affronta, inoltre, la valutazione etica dell'eutanasia argomentando una serie di quesiti: se staccare i tubi dell'alimentazione/idratazione sia eutanasia; se il proseguirla sia accanimento terapeutico; se l'alimentazione/idratazione siano trattamenti medici o cure; il rapporto costi-benefici; il valore della volontà del paziente ed il ruolo dei familiari; il valore della vita. Il lavoro si conclude con l'affermazione che nel "caso Cruzan" siano state privilegiate l'opinione e l'interesse proprio rispetto alla verità. Segno eloquente il silenzio che è seguito alla morte di Nancy.
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Rinaldi, Niccolň. « Un tč afgano ». FUTURIBILI, no 1 (mars 2011) : 91–101. http://dx.doi.org/10.3280/fu2011-001007.

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L'Autore mette in risalto come la conoscenza, la disponibilitŕ e il dialogo del conoscere sono le condizioni per capire veramente l'afgano e la sensibilitŕ afgana. E ciň č quello che manca in chi, straniero, si occupa dell'Afghanistan: diplomatico, militare, funzionario, volontario, tecnico medico, che arrivano, pensano di risolvere i problemi, per poi tornare presto in patria con un aumento di stipendio e di carriera. L'Autore richiama invece alcuni esempi di persone che entrano dentro all'animo afgano: Alberto Cairo č il piů citato per la sua opera e i suo libri che riproducono questo rapporto con la vita quotidiana e l'identitŕ afgana. Infine l'articolo riporta esperienze dirette dell'Autore, che si concentrano nell'incontro con Abdullah, il venditore di meloni, con il quale passa ore, sorbendo tč afgano, a parlare di vita quotidiana, di politica, a cominciare da Karzai.
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Pascual, Fernando. « Platone, maestro di bioetica ? » Medicina e Morale 49, no 4 (31 août 2000) : 677–711. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2000.763.

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Platone, un filosofo che ah considerato molti dei problemi antropologici fondamentali, può servire come punto di riferimento per giudicare argomenti in ambito bioetico? Il presente lavoro tenta di rispondere a tale quesito. Si presenta, inizialmente, la cosmovisione globale e l’antropologia di Platone (prima parte). Queste risultano necessarie sia per inquadrare la concezione platonica della medicina, della salute e dell’agire medico (seconda parte), sia per conoscere le sue proposte circa argomenti attuali, come l’aborto, l’eutanasia e l’eugenismo (tersa parte). Si cerca quindi di offrire un giudizio il più possibile preciso delle affermazioni platoniche per illuminare alcuni discussioni attuali in ambito bioetico. Secondo i risultati ottenuti, si possono segnalare due limiti di fondo delle proposte del fondatore dell’Accademia: l’individualismo e l’utilitarismo. Questi limiti conducono sia all’accettazione dell’eutanasia passiva neonatale (prassi purtroppo normale nel mondo antico), sia dell’aborto per motivi di controllo demografico, e dia dell’abbandono alla loro sorte dei malati inguaribili. Viceversa, alla luce dei testi considerati, Platone non sembrerebbe essere un difensore dell’eutanasia “attiva” degli anziani e degli infermi terminali né avrebbe proposto l’eliminazione dei malati mentali. Ugualmente, Platone non sembra essere riuscito ad individuare un’ottimale tipologia di rapporto medico-paziente, anche se lascia uno spazio importante all’opera di persuasione da parte del medico (sapiente) verso l’individuo malato (bisognoso della terapia e, in questo, dipendente dall’agire sanitario). Solo con l’arrivo della fede cristiana l’umanità è riuscita a scoprire il senso del dolore e il suo valore sia per la crescita della persona, sia per il bene dell’intero corpo sociale. In questo modo ha potuto superare le spinte eugenetiche, abortistiche ed eutanasiche del mondo antico che. Tuttavia, rinascono proprio oggi per la perdita di quei valori che erano stati assunti dal mondo occidentale grazie al Cristianesimo.
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Marinelli, Massimiliano. « La Medicina Narrativa, pratica comunicativa che orienta la cura verso la persona ». Medicina e Morale 70, no 1 (12 avril 2021) : 55–71. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2021.929.

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È urgente dirigere la relazione medico paziente verso la persona, per evitare che essa scada in senso riduzionistico e tecnicistico e che si concentri sugli aspetti biomedici della malattia, mettendo a repentaglio la dignità stessa del paziente. Tale direzione, tuttavia, non può essere avviata senza strumenti in grado di rispondere alle esigenze di questo rinnovato rapporto. Questo saggio ritiene che la Medicina Narrativa disponga di tali strumenti in quanto pratica comunicativa che orienta la cura verso la persona. Secondo tale definizione la Medicina Narrativa si pone ontologicamente in ogni relazione di cura, in quanto la cura si dà attraverso atti comunicativi in una determinata atmosfera etica. Il riconoscimento della narrazione come elemento essenziale in ogni relazione di cura è un’operazione densa di implicazioni epistemologiche. Attraverso l’ermeneutica e la fenomenologia, il saggio analizza le implicazioni legate al significato del narrativo per la persona, al carattere riflessivo del sé e all’identità personale. L’analisi effettuata fa emergere uno statuto epistemologico di una pratica comunicativa che riconosce il primato della persona e il fine della cura, da realizzare attraverso il dialogo interpersonale, alla ricerca di una concordanza. La Medicina Narrativa, inoltre, presenta un punto di vista particolare sull’altro, che non è mai un estraneo, sia perché è necessario conoscerne la prospettiva, sia perché la sua presenza entra costitutivamente nella identità stessa del medico. Infine, la dimensione narrativa induce a considerare la relazione come un valore da perseguire e da difendere e, di conseguenza, fa approdare la Medicina Narrativa verso un’etica della cura.
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Gambino, Gabriella. « Il corpo de-formato tra cultura diagnostica e “geneticizzazione” della medicina ». Medicina e Morale 50, no 3 (30 juin 2001) : 477–90. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2001.725.

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Résumé :
Nei Paesi anglo-americani la tradizionale concezione antropologica ed ontologica della corporeità, proveniente dall’eredità classica del continente europeo, sta gradualmente subendo una profonda e radicale trasformazione, che si sta manifestando nell’approvazione sociale di pratiche bio-mediche di intervento e manipolazione della capacità riproduttiva dell’uomo e della vita prenatale, come la fecondazione artificiale, la clonazione, la diagnosi e la terapia genica. Tali pratiche, lungi dal condurre a risultati efficaci per la cura delle innumerevoli patologie che ancora affliggono l’umanità, contribuiscono piuttosto a modificare il rapporto dell’uomo moderno con la propria corporeità, con i concetti di salute, di malattia, di procreazione e genitorialità. In particolare, tra le svariate possibilità bio-mediche che la genetica offre alle coppie che desiderano un figlio, la diagnosi genetica prenatale di malformazioni congenite nel concepito è diventata negli ultimi decenni una pratica “di routine”, che sta radicalmente modificando il rapporto della donna con la propria maternità e con il figlio desiderato. Le conseguenze di questa trasformazione non sono sempre positive: essa si colloca, infatti, nell’ambito di un contesto socio-culturale dominato dall’immagine antropologica di una corporeità biologicamente e geneticamente perfetta, funzionale e pienamente rispondente ai bisogni indotti dalla società produttivistica del nostro tempo. La letteratura scientifica anglo-americana evidenzia in maniera peculiare questo fenomeno, che in termini epistemologici e culturali incide sui concetti di “normalità”, di malattia, di qualità della vita, aprendo facilmente la strada ad una medicina “eugenetica” e selettiva nei confronti degli individui geneticamente imperfetti. La genetica diviene così, sempre più, la lente attraverso la quale osservare l’uomo, lo strumento potente che riduce l’individuo ai suoi geni e ai suoi tratti genetici difettosi. In questo contesto, diventa allora fondamentale far riemergere la coscienza di una dimensione etica della conoscenza diagnostica, che possa guidare lo scienziato e il medico nel lungo e difficile cammino per scoprire e combattere le malattie genetiche che affliggono l’umanità, nella piena consapevolezza del valore inestimabile di ogni esistenza umana, per quanto colpita dalla sofferenza e dalla malattia.
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Spaziante, Ermenegildo. « L’aborto provocato : dimensioni planetarie del fenomeno ». Medicina e Morale 45, no 6 (31 décembre 1996) : 1083–134. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1996.893.

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Résumé :
La concentrazione del dibattito sulla liceità etica dell’aborto terapeutico espone al rischio di trascurare la realtà molto più consistente e diffusa dell’abortività provocata volontariamente e legalmente non per ragioni mediche, ma per libera opzione personale (aborto volontario), o per il controllo demografico delle nascite (aborto sociale). L’autore con questo studio si propone di fornire una visione globale del fenomeno abortivo su basi essenzialmente statistiche che consenta una migliore conoscenza delle dimensioni epidemiologiche e dell’estensione planetaria dell’abortività provocata così da evidenziarne il rapporto sia con l’evoluzione demografica sia con le prospettive di contenimento e prevenzione. La pratica abortiva è di fatto una acquisizione del costume corrente in ampi strati della popolazione in molti Paesi, mentre è sovente coperta in altri Paesi da un silenzio ingiustificato, ma significativo. Con ogni probabilità - ritiene l’autore - l’evoluzione culturale porterà ad evidenziare sempre più il carattere rozzo e disumano dell’aborto, come si è verificato per altri problemi sociali. La conoscenza oggettiva del problema medico e sociale dell’aborto indotto è auspicabile che solleciti normative e programmi tesi al suo massimo contenimento ed alla sua eliminazione; ma si tratterà di un’evoluzione lenta, progressiva e determinata ancor prima che dalle norme di legge emanate, dalla maturazione della coscienza civile, morale e sanitaria delle popolazioni.
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Rodi, M. N., et C. Mura. « Qualità della vita misurata attraverso il Kidney Disease Quality of life-Short Form (KDQOL-SF) : differenze in relazione al trattamento dialitico ». Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi 23, no 4 (24 janvier 2018) : 34–37. http://dx.doi.org/10.33393/gcnd.2011.1497.

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Résumé :
Nel 1985 il New England Journal of Medicine pubblicò un rapporto relativo alla Qualità della vita (QdV) nei pazienti dializzati: forse per la prima volta si poneva l'attenzione alla sfera più intima di chi doveva convivere con una patologia cronica. Recentemente gli studi deputati a cogliere i principali aspetti emotivi e psicologici di chi vive una reale “esperienza di malattia”, hanno assunto nuova consistenza, scoprendo importanti fattori che influenzano il paziente fin dalla prima fase di pre-dialisi. Nonostante i progressi fatti, manca ancora una routine di valutazione della QdV che, se strutturata, potrebbe diventare un valore aggiunto per il paziente; spesso a una eccellente gestione clinica non si accompagna, infatti, un'attenta analisi del grado di soddisfazione del malato. L'obiettivo della ricerca è capire se esistano differenze in ambito di QdV tra i pazienti che sono sottoposti a emodialisi rispetto a quelli in dialisi peritoneale. Alla luce dei risultati si evincono aspetti importanti: fattori come la sessualità, l'attività sociale, percezione della vicinanza dello staff, hanno punteggi migliori negli emodializzati. La conclusione è che la normale frustrazione legata all'essere “dipendenti” dal reparto e dal suo staff medico venga ben compensata dal senso di protezione e dai legami umani che lì si creano.
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Gainotti, Sabina, et Antonio G. Spagnolo. « Test genetici : a che punto siamo in Europa ? A margine del Rapporto e delle Raccomandazioni della Commissione Europea sugli aspetti etici, giuridici e sociali dei test genetici ». Medicina e Morale 53, no 4 (31 août 2004) : 737–66. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2004.631.

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Résumé :
Il 6 e 7 maggio 2004 a Bruxelles ha avuto luogo un congresso organizzato dalla Commissione Europea per stimolare la riflessione sulle implicazioni etiche, sociali e giuridiche legate allo sviluppo e all’utilizzo dei test genetici. Gli Autori riferiscono sulle conclusioni di quelle due giornate, dedicate alla lettura ed alla discussione di 25 raccomandazioni proposte da un gruppo di lavoro multidisciplinare composto da politici, accademici, rappresentanti dell’industria e di organizzazioni volontarie di pazienti di vari paesi dell’Unione. La qualità dei test genetici disponibili, l’accuratezza dei loro risultati, le condizioni di accesso ai test e ai trattamenti (soprattutto per le persone con malattie rare), l’utilizzo appropriato dei campioni e dei dati, il consenso informato ed il rispetto della privacy, il counselling genetico pre e post test, il rischio di discriminazioni sulla base del genere e dell’etnia: questi sono solo alcuni dei problemi emersi in sede congressuale. Le 25 raccomandazioni della Commissione Europea si differenziano per certi versi da altri documenti e dichiarazioni internazionali, soprattutto per quanto riguarda lo “statuto” assegnato ai dati genetici (“eccezionalità” genetica); secondo il Gruppo di lavoro che ha scritto le raccomandazioni l’informazione genetica non è diversa dagli altri dati medici, e dunque dovrebbe essere trattata allo stesso modo. È pur vero però, che i test genetici offrono nuove informazioni e conoscenze che potranno complicare non solo il rapporto tra medico e paziente, ma anche quello tra paziente e familiari. Con l’aumento dei test genetici ci sarà bisogno di riferimenti chiari ed accettabili per tutte le parti coinvolte: medici, pazienti e familiari avranno bisogno di riferimenti per risolvere problemi pratici, per conciliare i vari diritti dei pazienti (ad es. i diritti di sapere o di non sapere, di condividere le informazioni o meno), e doveri dei medici (dovere di mantenere il segreto professionale e proteggere la privacy, ma talvolta anche il dovere di avvertire). Il consenso informato dovrà aiutare le persone a comprendere in modo adeguato tutte le implicazioni di un test, dalle sue possibili conseguenze a livello familiare e sociale, alla classificazione e all’uso dei suoi dati clinici e genetici per le ricerche future. Quando poi l’ “oggetto” di studio non è più il singolo individuo, ma gruppi ristretti di persone (ad es., negli screening genetici), sarà necessario un “consenso di gruppo”, mentre gli studi sulle popolazioni riguarderanno le società in senso lato. Infine rimane un interrogativo importante: tutti questi cambiamenti aumenteranno il livello di costo della sanità? Molti sono gli scenari e gli sviluppi possibili, ma questi non dipendono solo dai progressi della scienza. Per far si che i benefici di queste innovazioni superino i rischi corsi dagli individui e dalla società, sarà importante creare un quadro normativo responsabile, che sappia accompagnare e misurare le varie attività di implementazione dei test genetici, sia a livello dei singoli Stati, sia a livello dell’Unione Europea.
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Carrasco de Paula, Ignacio. « Etica e Salute : due quesiti, due compiti ». Medicina e Morale 51, no 6 (31 décembre 2002) : 1039–46. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2002.679.

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Etica e salute pur essendo due componenti di ogni singolo uomo sono lette spesso come realtà inconciliabili. Il diritto alla salute occupa un posto di rilievo tra le conquiste della modernità. Tuttavia, nonostante la ben nota definizione di salute che ha dato l’OMS, definizione tendente a precisare, più che una realtà, un potere d’intervento da parte dell’istituzione stessa, è ancora necessario chiarire con che cosa si identifichi, nella pratica, tale diritto: non si tratta di mera sopravvivenza, ma neppure del godimento della pienezza somatica e funzionale del proprio corpo, e comunque non si può prescindere dal considerare in questo contesto anche il benessere spirituale della persona. Il centro dell’attenzione va posto sull’uomo sofferente. Diviene inoltre prioritario affrontare la minaccia della discriminazione nell’accesso ai servizi indispensabili per la difesa della salute stessa. Quest’ultimo aspetto si pone come una questione di giustizia e si gioca a due livelli: quello della giustizia commutativa, nel contesto di un rapporto medico-paziente ridotto a prestazione professionale meramente contrattuale, fondata sull’informazione più che su una reale comunicazione. C’è poi la questione della giustizia distributiva che prevede che a ciascuno venga dato quanto gli spetta. Questa deve essere guidata dal principio di sussidiarietà, dove il sussidio non deve divenire un surrogato pena l’impossibilità da parte dello Stato di farsi carico dei bisogni di tutti. Nell’allocazione delle risorse il rispetto della giustizia distributiva si gioca a tre livelli di responsabilità molto precisi: quello delle politiche sanitarie, quello della professione medica e quello gestione locale delle risorse e dei servizi. Il perseguimento del bene comune trova però un limite nella centralità e preziosità di ogni singola persona, sana o malata che sia, la cui dignità rappresenta un limite invalicabile, neppure nel nome della giustizia.
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Binetti, Paola. « Etica della relazione terapeutica in psichiatria ». Medicina e Morale 49, no 1 (28 février 2000) : 85–102. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2000.751.

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Résumé :
L’etica pone alla psichiatria una serie di interrogativi molto precisi, che possono essere sintetizzati in una triade così strutturata definizione del quadro antropologico di riferimento: identificazione dei criteri di qualità della relazione terapeutica; consapevolezza che il contesto in cui il paziente inserito è contestualmente fattore di sofferenza e risorsa irrinunciabile. Le tre domande rispondono ad un’ottica multifocale che assume di volta in volta come punto di vista privilegiato Chi è il paziente; il Chi siamo del rapporto medico paziente; il Chi sono del contesto socio-familiare. Dalla conoscenza e dal rispetto reciproco scaturiscono modelli decisionali eticamente accettabili perché centrati su di una comune tensione verso il bene reciproco. Il rischio della manipolazione nella relazione terapeutica in psichiatria è però costantemente in agguato e scaturisce dalla sostanziale diffidenza nelle capacità dell’altro, sia sul piano della comprensione degli eventi che su quello della loro corretta gestione. Verità ed errore in psichiatria vanno analizzati nella concretezza delle situazioni individuali e vanno collocati nell’ottica della gradualità e della progressività con cui l’uomo si accosta alla conoscenza, sempre attraverso tentativi ed errori. Un aspetto etico irrinunciabile nella relazione in psichiatria è quello che permette al soggetto malato di potersi esprimere con piena autenticità, evitando sostituzioni indebite si da parte dei familiari che del personale sanitario. L’autenticità come espressione singolare della propria identità, accettata da sé stesso e sa chi prede incarico la sua sofferenza è un fattore terapeutico dei più importanti ed efficaci. Una decisione per essere eticamente valida deve essere presa in piena libertà e nel pieno rispetto della coscienza soggettiva, per questo è essenziale l’aiuto offerto al paziente perché esprima le sue scelte e gradatamente ne comprenda la rilevanza attraverso le conseguenze operative. La libertà nella relazione con il paziente psichiatrico va sempre intesa come una conquista continua, che lo psichiatra presidia senza manipolazioni falsificazionistiche. Il problema del rapporto tra eticità come responsabilità personale ed oggettività come referente normativo universale si chiarisce solo se ci si pone nell’ottica dei diritti umani: diritto a conoscere la verità, diritto a formulare scelte coerenti, diritto a ricevere l’aiuto necessario a riscattare la propria libertà da condizionamenti di vario tipo e genere. Ossia assumendo il principio della autonomia personale come fondamento della relazione di aiuto psico-terapeutico, anche quando l’autonomia presente come diritto va sostenuta fino al punto di acquisizione come altro nome quello della responsabilità verso sé stesso e verso gli altri.
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Guidantoni, Ilaria. « Chirurgia estetica e culto della bellezza nella società contemporanea ». Medicina e Morale 44, no 1 (28 février 1995) : 59–90. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1995.991.

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Résumé :
L'Autrice dell'articolo, dopo aver sottolineato le questioni etiche del ricorso alla Chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica, argomenta la tesi secondo la quale l'ossessione per la bellezza muoverebbe da un disagio affettivo legato ad una cultura violenta ed artificiale dell'eros, che spinge l'individuo a mutare la propria fisicità perché teme una comunicazione autentica oltre lo scambio delle immagini. Lo studio, che si muove nell'ambito di una ricerca etico-sociale e psicologica, evidenzia l'universalità del mito della bellezza nella cultura umana e l'emergenza attuale della Chirurgia plastica estetica (CPE). Questa viene analizzata dal punto di vista dell'impatto sociale e tecnico-scientifico, con particolare attenzione al rapporto specialista-paziente. L'Autrice, dopo aver fatto cenno alle problematiche medico-legali specifiche ed aver illustrato la odierna visione della corporeità - fortemente basata sull'ideale di salute e di eros -, affronta la discussione etica sulla liceità ed i limiti della CPE. Questa, secondo l'articolo, sconterebbe una crisi di valori affettivi, soprattutto all'interno della vita di coppia, crisi che ha promosso l'idolatria del corpo, a tal punto da divenire un'ossessione e la conditio sine qua non per essere amati. Eticamente illeciti, poi, vengono definiti gli interventi di chirurgia plastica in ordine alla riassegnazione del sesso, alla modificazione dei tratti del viso per persone ricercate dalla legge o l'alterazione dei tratti somatici tipici di una razza. L'articolo si conclude riaffermando la necessità di un recupero dell'unitotalità dell'essere persona in relazione alla corporeità ed al concetto di bellezza.
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Di Raimondo, F., G. A. Palumbo, P. Fiumara, G. Amato, D. Buglio et R. Giustolisi. « Emangioma, plasmocitoma e mieloma multiplo del rachide ». Rivista di Neuroradiologia 15, no 4 (août 2002) : 445–50. http://dx.doi.org/10.1177/197140090201500414.

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Résumé :
Nel mieloma multiplo (MM) le lesioni osteolitiche interessano prevalentemente lo scheletro assiale e la colonna vertebrale è la sede più frequente. Tipicamente la lesione erode l'osso spugnoso lasciando relativamente intatta la corticale. Alle immagini RM sono stati descritti tre pattern che in ordine decrescente sono: focale, diffuso e variegato. La patogenesi delle lesioni osteolitiche è legata ad una azione locale delle plasmacellule e delle cellule midollari non neoplastiche, le quali producono una vasta gamma di citochine che in ultima analisi stimolano gli osteoclasti. Recenti ricerche hanno dimostrato che il rapporto RANKL/OPG è critico per l'attivazione osteoclastica mentre un altro importante fattore osteoclastogenico, il MIP-1α, sembra agire attraverso una via differente. La modalità migliore per valutare le lesioni osteolitiche rimane la semplice radiografia, anche se la RM ha mostrato una maggiore sensibilità e viene usualmente impiegata nei pazienti asintomatici per predire la possibilità di fratture o di progressione di malattia. Sul piano terapeutico, la chirurgia classica non riveste un ruolo importante, mentre la nuova metodica della vertebroplastica si sta facendo strada in tutte le istituzioni. La radioterapia è confinata ad alcuni casi particolari. Il presidio medico più impiegato è costituito dai bisfosfonati, sopratutto quelli di ultima generazione che hanno dato un contributo significativo alla terapia di supporto ed hanno sicuramente migliorato la qualità di vita di questi pazienti. Esistono inoltre rari tumori costituiti da vasi sanguigni aberranti che vanno sotto il nome di emangiomi o emangioteliomi. Sono per la maggior parte benigni, ma se ne conoscono anche di diversi gradi di malignità con tendenza a recidivare. Spesso sono asintomatici e costituiscono un reperto occasionale. Presentano un aspetto radiologico abbastanza tipico. Sono sensibili alla radioterapia e possono anch'essi giovarsi della vertebroplastica.
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