Littérature scientifique sur le sujet « Ragione e Fede »

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Articles de revues sur le sujet "Ragione e Fede"

1

Pasquale, Gianluigi. « Fede e ragione ». Služba Božja 59, no 3 (13 septembre 2019) : 233–51. http://dx.doi.org/10.34075/sb.59.3.1.

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Résumé :
L’articolo sviluppa cinque tesi innestate nella più lunga Lettera Enciclica scritta da San Giovanni Paolo II (1920-2005) esattamente a vent’anni dalla sua promulgazione (1998-2018), «Fides et ratio» inerente i rapporti intercorrenti tra fede e ragione. Alcune vennero intercettate durante il ventennio trascorso, altre sono inedite. Con la prima si ribadisce la completa autonomia della filosofia rispetto alla teologia cristiana, quale scienza della fede che pensa se stessa, motivo per il quale il sapere teologico non sposa nessun tipo di filosofia, ovvero la utilizza «qua talis». Con la seconda si ribadisce che la fede senza la «recta ratio» – oggi intorbidita e indebolita dalla società della tecnica – non potrebbe nulla senza il logos di cui si è attrezzata fin dall’inizio. Così, con la terza tesi si (di)mostra che, onde evitare che il pensiero riproducente se stesso prosegua all’infinito, essi trovi nella forma incarnata del logos – Gesù Cristo – l’unica «saturazione» del proprio ricercare. La quarta tesi rivela qualcosa che era sfuggito fino a qualche mese fa, ossia l’insistenza di «Fides et ratio» ad aprirsi ad altre culture, oltre a quella cristiana piuttosto secolarizzatasi, tipo quella indiana o asiatica, essendovi una «ratio». Con la quinta tesi, ugualmente inedita, si ravvisa che solo una «ragione etica» ovvero amicale, responsabile, fiduciale, appunto, può permettere alla fede di raggiungere quel livello rivelativo cui anela: nella persona di Gesù Cristo.
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2

Gehl, Liana. « Faith and Reason in Thomas Merton : the “Unified Heart” – a Monk’s Solution ? » Studia Universitatis Babeș-Bolyai Theologia Catholica 65, no 1-2 (30 décembre 2020) : 91–106. http://dx.doi.org/10.24193/theol.cath.2020.04.

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Résumé :
"Fede e ragione in Thomas Merton: il “cuore unificato” – la soluzione di un monaco? L’articolo prende l’avvio da uno scambio di lettere tra il monaco americano Thomas Merton ed il filosofo francese Jacques Maritain sul rapporto fede-ragione. Dopo aver considerato l’approccio mertoniano, avvicinandolo ad una posizione simile riscontrata in un carteggio anteriore tra Jacques Maritain ed il Beato Vladimir Ghika (un altro corrispondente affiattato del filosofo francese), l’articolo prosegue suggerendo che per Merton il problema non consistette tanto nel conciliare i dati della scienza con i dogmi della fede, quanto nel raggiungere quell’ “unificazione del cuore” auspicata dal filosofo Martin Buber come il vero cammino dell’uomo. Parole-chiave: fede e ragione, Thomas Merton, Vladimir Ghika, Jacques Maritain, Martin Buber, hasidismo, neotomismo, monachesimo, intelligenza, intuizione"
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Ceccarini, Luigi. « La ragione e la fede ». MAGAZZINO DI FILOSOFIA, no 17 (mars 2010) : 195–216. http://dx.doi.org/10.3280/maf2010-017013.

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Migliorini, Damiano. « Lineamenti di cristeologia. «Fede critica» e umiltà epistemica : il rapporto ragione-fede al confine tra meta-teologia, metodologia e vita ». TheoLogica : An International Journal for Philosophy of Religion and Philosophical Theology 1, no 1 (19 juillet 2017) : 94–147. http://dx.doi.org/10.14428/thl.v1i1.103.

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Résumé :
Il rapporto tra fede e ragione è la questione meta-teologica per eccellenza. L’autore si propone dunque d’indagare se il modello oggi prevalente di “ragione umile” – basato su fallibilismo e umiltà epistemica – sia il più adeguato per esprimere le verità teologiche, anche alla luce del dibattito interno al teismo contemporaneo (teologia razionale). Per rispondere a questa domanda è necessario esaminare lo statuto epistemologico della verità umana e della verità di fede, per poter elaborare un metodo comune alle discipline scientifiche, filosofiche e teologiche, capace di trovare un equilibrio tra fideismo e positivismo teologico. Dopo una breve panoramica storica dei rapporti tra fede e ragione nel pensiero occidentale (con particolare attenzione alla dottrina dei praeambula fidei), l’articolo cercherà di mostrare come, nel paradigma della verità relazionale e del fallibilismo sia necessario integrare il problema delle fonti, dell’autorità, del concetto di ispirazione e della nozione di “rivelazione”, giacché contraddistinguono la teologia rispetto alla filosofia. Si mostrerà infine come la dimensione comunitaria e della scelta (appello alla libertà) siano connaturate alla teologia intesa come fede critica, la cui peculiarità è di collocarsi senza nostalgie nel mezzo tra fideismo, razionalismo e un certo relativismo. Dal percorso emergerà infine la proposta di una nuova cristeologia.
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Zordan, Davide. « Ma cosa vedono gli "occhi della fede" ? Considerazioni sulla dimensione immaginativa del credere ». SOCIETÀ DEGLI INDIVIDUI (LA), no 35 (septembre 2009) : 21–36. http://dx.doi.org/10.3280/las2009-035002.

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Résumé :
- Riflettere sulla natura del credere tenendo conto della globalitÀ dell'umano e dell'attivitÀ immaginativa della coscienza non č mai stato un compito facile per la teologia. Oggi come ieri essa preferisce, di norma, affidarsi a criteri apologetici piů rassicuranti. Tuttavia č possibile individuare, nell'antica e inconsueta metafora degli ‘occhi della fede', una modalitÀ unitaria di comprensione della fede fondata su un implicito riferimento alla tensione fra vedere e immaginare, che renda possibile il credere come atto pienamente umano. I tentativi di Pierre Rousselot e di John H. Newman di reintrodurre questi temi nella teologia cattolica moderna meritano attenta considerazione. Essi offrono elementi ancora validi per l'autocomprensione dei credenti e per rendere ragione della persistenza delle fedi in una societÀ secolarizzata.
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6

Sabetta, Antonio. « Annunciare la gioia del Vangelo nell’areopago della contemporaneità. Conoscere l’“a chi” ci rivolgiamo per meglio comunicare il “Chi” ». Služba Božja 60, no 3 (21 septembre 2020) : 319–46. http://dx.doi.org/10.34075/sb.60.3.1.

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Résumé :
Viviamo un cambiamento d’epoca che sta radicalmente trasformando sia l’identità dell’Occidente sia ponendo nuove e radicali sfide al cristianesimo chiamato ad inculturarsi di nuovo in una realtà che da esso si sta progressivamente allontanando. L’articolo in una prima parte ricostruisce alcuni tratti salienti della postmodernità e dell’esperienza religiosa postmoderna per poi soffermarsi su alcune questioni decisive per l’annuncio credibile del vangelo. Preso atto dell’inadeguatezza di alcune rappresentazioni trasmesse di Dio, della Chiesa, e della fede, l’articolo cerca di valorizzare alcune istanze della sensibilità contem-poranea. Soprattutto insiste sulla necessità di rimettere al centro la domanda di senso e su-perare la crisi della ragione per ritrovare per ricostruire l’alleanza tra fede e ragione ricono-scendo nel logos lo strumento per annunciare il vangelo e dialogare con le culture.
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7

Giorgini, Giovanni. « OAKESHOTT E IL RAZIONALISMO IN POLITICA ». Il Politico 254, no 1 (7 juin 2021) : 131–33. http://dx.doi.org/10.4081/ilpolitico.2021.568.

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Résumé :
L’attacco al razionalismo in politica costituisce il fulcro degli interessi teorici, e delle preoccupazioni pratiche, di Oakeshott negli anni Cinquanta. Con il termine razionalismo egli intende il supposto uso senza vincoli e senza pregiudizi della ragione e la fede che in questo modo si arriverà a un sicuro miglioramento della condizione umana. Nella sua ricostruzione, il primo autore a proporre l’uso della ragione, acuminata dal metodo induttivo e purificata da pregiudizi, come strumento della conquista della natura da parte dell’uomo fu Francis Bacon; una ragione strumentale che aveva fatto tabula rasa dei pregiudizi derivanti dalla società, dal principio di autorità, dalle opinioni comuni (i vari tipi di idola).
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8

Oleksowicz, Michał. « Ragionevolezza della fede. Rapporto tra fede e ragione in Tommaso d’Aquino ». Scientia et Fides 3, no 1 (30 mai 2015) : 139. http://dx.doi.org/10.12775/setf.2015.012.

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Gurashi, Dario. « Religione e ideologia nel giovane Agrippa : Appunti sulla vocazione intellettuale ». Mediterranea. International Journal on the Transfer of Knowledge 5 (20 mars 2020) : 153–92. http://dx.doi.org/10.21071/mijtk.v5i.12250.

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Résumé :
La riforma della cultura promossa da Cornelio Agrippa richiede una riorganizzazione della teologia tradizionale. Recuperando la prisca theologia, Agrippa mira ad emancipare l’esegesi delle Scritture dalla filosofia scolastica, responsabile di aver corrotto il significato autentico della Parola di Dio tramite un impiego indisciplinato della ragione a scapito della fede. Ripensare l’approccio alla Bibbia significa allora ridefinire il concetto di teologia: in quanto meditazione sulla parola divina, essa dovrà abbandonare le dispute dialettiche per tradursi in uno stile di vita contrassegnato dalla virtù e dall’integrità della fede in Cristo. Il programma di Agrippa, dunque, intende dimostrare l’incompetenza dei teologi scolastici e allo stesso tempo rivendica per il pensatore laico la libertà di interpretare le fonti della vera sapienza.
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10

Fiore, Vincenzo. « Fede e ragione in Manzoni dal 1817 alla Morale cattolica ». Филолог – часопис за језик књижевност и културу 17, no 17 (30 juin 2018) : 443–55. http://dx.doi.org/10.21618/fil1817443f.

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Thèses sur le sujet "Ragione e Fede"

1

Bischi, Barbara. « La buona fede del diritto privato e del diritto pubblico : dalla ragione dell'origine alla cultura della dicotomia ». Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2012. http://hdl.handle.net/11577/3421746.

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Résumé :
This paper aims to analyze the various facets that bona fides has in public and civil law in the current legal system. Whilst in civil law this clause provides the necessary extrajudicial criteria instrumental to justice and fairness, in addition to those provided by positive law, which are lacking per se, in public law bona fides is often confused with the principle of "non-contradiction" in administration and takes on the connotations of the principle of reasonableness, which governs the discretionary activities of public administration and is closely linked to and regulated according to the constitutional principles enshrined in article 97. This analysis starts with a historical reconstruction of bona fides, illustrating the reasons that gave life to this rule under Roman and canon law, while offering possible explanations to the current internal contradictions characterizing bona fides in Italian law. This paper has underscored the formal virtuality of legal language and its categories and calls upon jurisprudence to reflect upon those implications that risk creating a chasm between law and relations among citizens as well as those between citizens and social entities, which should reflect, through law, the individuals forming it and their needs.
“La buona fede del diritto privato e del diritto pubblico: dalla ragione dell’origine alla cultura della dicotomia”, è un contributo che ha interessato la ricerca in varie discipline giuridiche; il diritto romano, quello canonico, la storia del diritto italiano e straniero, anche in chiave comparativa, la buona fede del diritto civile e la buona fede del diritto amministrativo. Il motivo delle tematiche affrontate nel testo è fondato sul tentativo di ricomporre, dove possibile, l’aspetto aporetico che connota, nell’ordinamento giuridico contemporaneo, la clausola della buona fede, la quale si propone in modo antitetico come buona fede del diritto privato e buona fede del diritto pubblico, seppure entrambe siano riconducibili sotto lo stesso nomem iuris. Quest’unità ‘formale’, tuttavia, presuppone l’unità ontologica della clausola generale, che viene ricostruita nella prima parte del lavoro e la circostanza dimostra come le attuali interpretazioni, così distanti tra loro, siano il prodotto di ragioni diverse e contrapposte, maturate in una certa parte della storia del diritto, ovvero con la nascita dello Stato moderno. E’ con questa consapevolezza che sono stati assegnati i nomi dei primi due capitoli che compongono il lavoro, quindi, buona fede ‘la ragione dell’origine’ e ‘la cultura della dicotomia: storia e dibattiti’, nel tentativo di mettere a confronto due diverse letture della clausola generale. La prima, che evidenzia come la buona fede sia espressione della dimensione etica della natura umana, funzionale al buon esito di ogni relazione intrapresa e naturalmente destinata a regolamentarne gli effetti, prima e oltre il testo normativo; la seconda fondata sulla intervenuta frattura tra la dimensione umana e il diritto statale, dove la buona fede spesso si contrappone alla forza autoritativa della norma giuridica con esiti problematici e contraddittori, che il contributo si propone di analizzare e, se possibile, di ricomporre. La parte iniziale del lavoro tiene in particolare considerazione il contributo, dato all’argomento, da L. Lombardi Vallauri, grazie al quale si evidenzia come ogni possibile predicato riferito al sostantivo fides, nel corso dell’evoluzione della civiltà romana, si giustifichi e possa essere ricondotto all’eticità che governa la relazione umana, sia tra pari, sia tra impari. La fides dell’origine, legata ai concetti di lealtà, credenza, fiducia reciproca, è regola dei rapporti poiché espressione della stessa virtù dell’uomo, tanto che la sua eventuale violazione è motivo di biasimo da parte della collettività, in ragione del rispetto portato ai valori cui il sostantivo rimanda non anche, o non prevalentemente, poiché la loro violazione possa essere perseguita legalmente o nel processo. Da qui la congenita forza integrativa della fides che si sviluppa in bona fides, obbligando le parti ad agire conformemente a ciò che hanno veramente voluto oltre la lettera dell’accordo formalmente concluso tra loro; d’altro canto la fides, definita publica, vincola l’azione del potente alla temperanza nella sua esecuzione, in un contesto in cui nemmeno il sottoposto al potere altrui (nexus, cliens, pupillus) può essere violato sol perché in posizione di disuguaglianza rispetto al superiore. La fides, matrice unitaria delle diverse connotazioni assunte dal sostantivo e delle quali il testo dà conto, si rispecchia nei tria precepta iuris di Ulpiano, nel pensiero di Platone, Aristotele, Agostino e Tommaso, dove l’uomo era naturalmente teso alla socialità e al bene comune, oltre i limiti della natura o del peccato, tanto che il lavoro dimostra come, nella civiltà giuridica romana (ci si riferisce alla monarchia e alla repubblica) e medievale, la clausola sia regola di convivenza civile alla quale l’ordinamento attinge perché a essa è destinato e a essa appartiene. La nascita dello Stato moderno, al contrario, affievolisce la ragione dell’uomo ‘virtuoso’ e la stessa capacità di trarvi parametri cogenti di condotta: prevale la figura del ‘suddito’ o del ‘cittadino’, asservita alla potenza invasiva del diritto statale, che sussume in esso ogni condotta umana per regolarla in via eteronoma e autoritativa. Il lavoro, a tal proposito, dimostra come la dicotomia che coinvolge la buona fede del privato e del pubblico sia fondata sul segnalato cambiamento di rotta, teso a circoscriverne la relazione e gli effetti entro l’ipotesi di ordinate fattispecie astratte generalmente applicabili anche tramite la sanzione. Dare conto della cultura della dicotomia, com’è chiamata nel testo, ha condotto la ricerca verso i pensieri di Hobbes, Locke, Rousseau, ma per la verità anche a quelli di Kant, di Kelsen, di Ross: l’ipotesi dello stato di natura, si sostiene, fonda il sapere scientifico moderno, il quale sta alla base della denunciata ‘virtualità’ del diritto che, per quanto emergerà nel seguito, giustifica la deriva scientifica sulla quale si stanziano le due categorie della buona fede a discapito della ragione unitaria che l’ha vista nascere. Neppure l’introduzione della Carta Costituzionale italiana, contribuisce a ricomporre il valore unitario assegnato alla fides dell’origine; le parti del lavoro dedicate al diritto civile e al diritto amministrativo rilevano la difficoltà che la dottrina incontra nell’interpretare la clausola in senso unitario, laddove, al contrario, la buona fede è assorbita da precetti costituzionali di diverso segno e diversa finalità. Se la buona fede del diritto privato è ricondotta, dalla dottrina, al dovere di solidarietà di cui all’art. 2 della Costituzione, viceversa, sul fronte del diritto amministrativo, essa è collocata nell’ambito dell’art. 97 e diventa strumento di attuazione della legittimità, del buon andamento e della imparzialità amministrativa ai quali l’esercizio del potere è vincolato. Sul fronte della giurisprudenza, tuttavia, la divisione rappresentata si presenta non priva di fratture: il giudice, tramite la clausola della buona fede, può accedere a un’idea di giustizia dove il divieto evangelico e agostiniano, che impone di non fare agli altri ciò che non si vorrebbe ricevere, continua a mantenere unito il piano umano delle relazioni con quello dell’ordinamento giuridico, seppure la circostanza sia più facilmente giustificata alla luce della forza integrativa di mutevoli valori sociali e della storia, piuttosto che sulla base del riconoscimento di un’innata ragione umana nell’ambito della quale si collocano principi di giustizia imperituri e naturale virtù. Il testo evidenzia, tuttavia, la vitalità del diritto naturale che spesso integra e reinterpreta la legge statale: gli esempi forniti, a questo proposito, si riferiscono all’abuso del diritto o, dal punto di vista della più giovane dottrina del diritto amministrativo, alle nuove interpretazioni che hanno ad oggetto l’eccesso di potere, il quale si presenta come violazione di una legalità non formale e spesso riconducibile alla clausola della buona fede. Sono molti gli esempi forniti dal contributo per evidenziare il limite del diritto positivo rispetto alla forza giuridica dei valori praeter legem ai quali la buona fede rimanda: si farà riferimento, ad esempio, alla particolare interpretazione assegnata al comando di cui all’art. 1175 del c.c. e, d’altra parte, alle recenti modificazioni che hanno coinvolto la legge sul procedimento amministrativo. In entrambi i casi l’obbligo di correttezza nelle relazioni tra pari e tra impari può considerarsi preesistente all’ordine normativo del privato e del pubblico, giacché strettamente legato al dovere di solidarietà reciproca al quale ogni tipo di relazione deve ispirarsi: di tal guisa, ad esso può essere riconosciuta forza precettiva, propulsiva, integrativa e correttiva delle distinte discipline giuridiche, nella speranza che al fenomeno segnalato segua un’interpretazione giuridica senza contraddizioni. Da questa prospettiva, de iure condendo, la divisione tra il piano umano delle relazioni e quello dei rapporti giuridici, la conseguente distinzione tra fatti umani e fattispecie normativa, sembra superabile, al fine di realizzare quell’idea di giustizia in concreto, che l’esistenza della legge statale, alla quale riferire il caso controverso, da sola non può garantire. Difatti, nel diritto civile, non senza difficoltà e defezioni, la validità della regola di condotta, ancorché extragiuridica, è ammessa con minor sforzo (si citeranno i pensieri di Betti, Messineo, Natoli, Levi, Rodotà, Castronovo ecc.) e la circostanza valorizza la tendenza verso quell’uniformità d’interpretazione dei fenomeni a valenza giuridica ai quali, per dirla con F. Gentile o con E. Opocher, la filosofia non può rimanere estranea. Il lavoro denuncia, tuttavia, la preclusione ideologica che spesso è opposta al ragionamento prospettato, che non trova immuni nemmeno le teoriche più all’avanguardia in argomento: il rischio che viene evidenziato è, nella migliore delle ipotesi, quello di circoscrivere la buona fede nelle dinamiche dell’evoluzione della società e dei costumi, laddove spesso il valore della giustizia coincide con il quantum di giustizia possibile, mentre la buona fede, per sua natura, sovverte il peso della convenzione in favore del particolare, sovverte l’assetto di un ordinamento iniquo in favore di ogni essere umano di fatto violato. Le conclusioni del lavoro, ripercorrono i temi in breve anticipati e, molto semplicemente, legano il superamento della dicotomia che coinvolge la regola della buona fede a un profondo ripensamento dell’idea del diritto, laddove il piano giuridico delle relazioni dovrà essere ricondotto alla realtà dell’incontro, fondato sulla fiducia nella virtù dell’uomo.
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2

Morais, Hernandes José de. « Absurdo, fé e existência em kierkegaard (segundo Johannes Climacus e Johannes de Silentio) ». Universidade Federal de Juiz de Fora, 2013. https://repositorio.ufjf.br/jspui/handle/ufjf/1037.

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A presente pesquisa investiga, na esfera da existência humana, uma compreensão para a possível relação entre as categorias kierkegaardianas absurdo e fé, a partir das obras pseudonímicas Temor e Tremor (1843), Migalhas Filosóficas (1844) e Pós-escrito conclusivo não-científico às Migalhas Filosóficas (1846), do dinamarquês Søren Aabye Kierkegaard. O trabalho mostra que é nas condições próprias da subjetividade humana que se instaura a abertura para a experiência da fé, quando da presença do homem perante o paradoxo absoluto. É na sua subjetividade que o indivíduo compreende que a verdade interior deverá ser constantemente atualizada. Categorias como a verdade, a não-verdade, o aprendiz, o discípulo, o mestre, o salto, o pecado, o instante, o paradoxo, o absurdo, o cavaleiro da resignação, o cavaleiro da fé e o duplo movimento são amplamente discutidas. Elas representam o esforço realizado para explicar o que Kierkegaard diz a respeito do paradoxo que é a fé quando vivida por força do absurdo. Para atingir esse objetivo a investigação apresenta o paradoxo na existência, descreve os limites da razão, o processo de sua desestruturação e uma posterior abertura para a fé, a qual é capaz de ressignificar a própria razão e a existência humanas.
La presente ricerca svolge un‟indagine, nella sfera dell‟esistenza umana, una comprensione della possibile relazione tra le categorie kierkegaardiene assurdo e fede, da queste opere pseudonimiche Timore e Tremore (1843), Briciole di Filosofia (1844) e Postilla conclusiva non scientifica alle “Briciole Filosofia” (1846), del danese Soren Aabye Kierkegaard. Il lavoro fa vedere che è nelle condizioni proprie della soggettività umana che s‟instaura l‟apertura per l‟esperienza della fede, quando della presenza dell‟uomo davanti al paradosso assoluto. È nella sua soggettività che l‟individuo capisce che la veritá interiore dovrà essere costantemente aggiornata. Categorie come la verità, la non verità, l‟apprendista, il discepolo, il mastro, il salto, il peccato, l‟istante, il paradosso, l‟assurdo, il cavaliere della rassegnazione, il cavaliere della fede, e il doppio movimento sono ampiamente discussi. Esse rappresentano lo sforzo realizzato per spiegare quello che Kierkegaard dice riguardo al paradosso che è la fede quando vissuta per forza dell‟assurdo. Per raggiungere questo obiettivo l‟indagine presenta il paradosso nell‟esistenza, descrive i limiti della ragione, il processo di rottura della sua struttura e una posteriore apertura per la fede, fede capace di dare un nuovo significato alla propria ragione e all‟esistenza umana.
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3

BALLARDIN, MARCO. « La droite raison jointe à la foi : prospettive cartesiane nella riflessione teologica di dom Desgabets ». Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2009. http://hdl.handle.net/10280/601.

Texte intégral
Résumé :
La tesi si propone di illustrare quella peculiare forma di interpretazione del cartesianesimo elaborata dal lorenese dom Robert Desgabets (1610-1678). In costante dialogo con i dibattiti teologici, filosofici, epistemologici e scritturali del secondo Seicento, il lavoro si concentra in maniera particolare sull’analisi di alcuni manoscritti teologici del benedettino, conservati nella Biblioteca municipale di Epinal, in Francia. Il serrato confronto con questi inediti permette di dare voce ad una lettura del pensiero di Cartesio assai lontana da quella veicolata dalla storiografia tradizionale, che enfatizza, viceversa, gli stretti legami tra le premesse cartesiane e le conclusioni di Spinoza. La produzione gabetiana, infatti, preferisce piuttosto ricondurre il cartesianesimo a quella secolare “philosophia christiana”, che ebbe in Agostino, Anselmo, Bernardo e nei migliori esponenti della Scolastica i suoi più illustri rappresentanti. Fulcro di questa interpretazione è, in particolare, l’esaltazione della collaborazione e della reciprocità di ragione e fede, in un continuo slancio apologetico in favore della ragionevolezza della religione cristiana.
The doctor degree thesis investigates Desgabets’s peculiar form of Cartesianism, particularly focusing on theological manuscripts conserved in the Municipal Library of Epinal, France. In constant dialogue with theological, philosophical, epistemological and scriptural debates of the second half of the 17th century, the perspective of the Benedictine illustrates an interpretation of Cartesian thought far from those transmitted from the traditional philosophical historiography, which emphasizes, on the contrary, the bond between Descartes’s premises and Spinoza’s conclusions. Desgabets’s works, in fact, prefer to lead back Cartesianism to that secular Christian philosophy, which had in Augustin of Hippo, Anselm of Canterbury, Bernard of Clairvaux, and the best authors of Scholasticism as well, its most illustrious representatives. The main element of this interpretation, in particular, is the emphasis on the fecund relationships between faith and reason, united to a continuous apologetic tension in favour of the reasonableness of the Christian religion.
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BALLARDIN, MARCO. « La droite raison jointe à la foi : prospettive cartesiane nella riflessione teologica di dom Desgabets ». Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2009. http://hdl.handle.net/10280/601.

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Résumé :
La tesi si propone di illustrare quella peculiare forma di interpretazione del cartesianesimo elaborata dal lorenese dom Robert Desgabets (1610-1678). In costante dialogo con i dibattiti teologici, filosofici, epistemologici e scritturali del secondo Seicento, il lavoro si concentra in maniera particolare sull’analisi di alcuni manoscritti teologici del benedettino, conservati nella Biblioteca municipale di Epinal, in Francia. Il serrato confronto con questi inediti permette di dare voce ad una lettura del pensiero di Cartesio assai lontana da quella veicolata dalla storiografia tradizionale, che enfatizza, viceversa, gli stretti legami tra le premesse cartesiane e le conclusioni di Spinoza. La produzione gabetiana, infatti, preferisce piuttosto ricondurre il cartesianesimo a quella secolare “philosophia christiana”, che ebbe in Agostino, Anselmo, Bernardo e nei migliori esponenti della Scolastica i suoi più illustri rappresentanti. Fulcro di questa interpretazione è, in particolare, l’esaltazione della collaborazione e della reciprocità di ragione e fede, in un continuo slancio apologetico in favore della ragionevolezza della religione cristiana.
The doctor degree thesis investigates Desgabets’s peculiar form of Cartesianism, particularly focusing on theological manuscripts conserved in the Municipal Library of Epinal, France. In constant dialogue with theological, philosophical, epistemological and scriptural debates of the second half of the 17th century, the perspective of the Benedictine illustrates an interpretation of Cartesian thought far from those transmitted from the traditional philosophical historiography, which emphasizes, on the contrary, the bond between Descartes’s premises and Spinoza’s conclusions. Desgabets’s works, in fact, prefer to lead back Cartesianism to that secular Christian philosophy, which had in Augustin of Hippo, Anselm of Canterbury, Bernard of Clairvaux, and the best authors of Scholasticism as well, its most illustrious representatives. The main element of this interpretation, in particular, is the emphasis on the fecund relationships between faith and reason, united to a continuous apologetic tension in favour of the reasonableness of the Christian religion.
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BONVICINI, Laura. « Compimento e rischio nell'accadimento della fede.Il contributo critico di Bernhard Welte all'approfondimento della comprensione della fede a partire da Karl Jaspers e alla luce dell'ermeneutica della fatticità di Martin Heidegger, in riferimento soprattutto al ciclo di lezioni su "cattolicità e ragione" tenute presso l'Università di Freiburg ». Doctoral thesis, 2010. http://hdl.handle.net/11562/344000.

Texte intégral
Résumé :
Quale può essere oggi il rapporto tra fede rivelata e pensiero dell’uomo? Come si può conciliare la fede rivelata con la libertà di coscienza? E’ possibile credere e continuare a mantenersi liberi di pensare? Per tentare di individuare delle possibili risposte a questi interrogativi, nel presente lavoro si è fatto riferimento al contributo fornito da Bernhard Welte, pensatore che ha lavorato e insegnato a Freiburg i. Br. (Germania) fino all’inizio degli anni Ottanta del XX secolo. Ci si confronta in particolare con un ciclo di lezioni tenuto da costui nel 1949 e oggi conservato nell’Archivio dell’Università di Freiburg, dal titolo Cattolicità e ragione (B. WELTE, Nachlass, Bestand E 8, Nr. 15: Katholizität und Vernunft, Einstündige publice Vorlesung Sommersemester 1949). Il tema del presente lavoro è rappresentato dalla fede religiosa, intorno alla quale si vuole dipanare una riflessione che possa giustificarne la validità razionale e la coerenza con un’idea di uomo inteso come essere capace di mantenersi entro una dimensione di libertà spirituale. Ciò che la filosofia è chiamata a fare in questo campo consiste primariamente nel giungere alla definizione concettuale della dimensione originaria dell’essere-uomo, in modo da valutare perché, come e in che misura il fondamento raggiunto può ragionevolmente accordarsi con una decisione di tipo religioso. Mantenendosi reciprocamente indipendenti, fede e filosofia possono trovare dei punti di contatto di importanza decisiva. Ciò può avvenire in particolare quando il ragionamento rigoroso diventa autocritico e, riflettendo sui suoi limiti, contribuisce a fare luce sulla ragionevolezza di una scelta, quella di fede appunto, che va oltre l’ambito della sola razionalità. In questo lavoro, i termini della questione vengono considerati da un punto di vista fenomenologico. E’ infatti a partire dalla domanda intorno all’essenza dell’uomo (chi è l’uomo?) e intorno al significato della realtà (perché, in generale, esiste qualcosa e non nulla?) che, nel tentativo di liberarsi di tutti i presupposti e di tutte le anticipazioni ingiustificate, si prova ad osservare le cose stesse (l’uomo e il mondo, appunto) ed a mettere in luce la natura intenzionale e relazionale del primo e la sua struttura fondamentalmente storica, che determina il modo di essere nel mondo, inteso come luogo in cui l’essere si apre. In tal modo si intende mostrare che la fede può divenire una risposta coerente con lo stato delle cose, o anche un atteggiamento che non va contro le esigenze proprie dello spirito dell’uomo, ma piuttosto tenta di darvi una risposta. Se a monte di questa sensibilità descrittiva (degli elementi che costituiscono la struttura essenziale della fede intesa come fenomeno) e se alle spalle del ritorno alle cose (e al loro significato originario) c’è il contributo del pensiero di Husserl, l’analisi di Welte è però in grado di ampliarsi e comprendere l’ottica heideggeriana, grazie alla quale la relazione dell’uomo con il mondo è fortemente caratterizzata in senso storico. Il tempo ridimensiona pertanto i suoi caratteri di misurabilità e regolarità, per riacquistare la sua valenza connessa con l’esistenza, e quindi per rivelarsi come evento in grado di provocare la domanda di senso riguardo all’essere in generale, e in particolare riguardo all’essere dell’uomo. All’interno di questo orizzonte, che mira a portare il pensiero fino al suo fondamento, vengono individuati anche alcuni significativi punti di contatto tra il pensiero di Welte e quello di Levinas, grazie al comune ambito filosofico di riferimento, costituito in particolare dal pensiero di Husserl e da quello di Heidegger. Un confronto più approfondito e dettagliato è quello istituito con il pensiero di Jaspers, a partire dal fatto che Welte, nel ciclo di lezioni preso in esame, risulta essersi impegnato proprio in un “dialogo”, a tratti quasi serrato, con talune provocazioni messe in campo dal collega residente a Basilea, in particolare nell’opera Von der Whrheit (Piper, München 19833), dove un paragrafo è dedicato proprio al rapporto tra cattolicità e ragione. Il tema della fede filosofica proposto da Jaspers, insieme al suo atteggiamento decisamente critico nei confronti delle religioni storiche, e in particolare di quella cattolica, fanno sì che Welte metta in discussione le sue personali convinzioni e ricerchi il modo in cui la fede rivelata possa garantire comunque all’uomo la libertà che gli è necessaria per potersi definire tale. Il fatto di non decidersi per una fede determinata anche in senso storico, ma di rimanere su un piano più ampio e indistinto quale quello della fede filosofica, non consente, secondo Welte, di mettere in gioco se stessi in modo incondizionato, e dunque di fare esperienza dell’Assoluto proprio in virtù della realtà concreta e limitata che caratterizza l’uomo in quanto tale. La fede filosofica di Jaspers, nella sua indeterminatezza, mantiene infatti l’uomo in uno stato di sospensione che non può costituire una forma di decisione, e piuttosto sancisce l’impossibilità di compiere una scelta precisa, se non quella di non scegliere. Alla base della riflessione di Welte intorno alla fede filosofica di Jaspers è possibile riconoscere lo stesso genere di obiezioni che Heidegger avanza nei confronti del modo con cui il collega di Basilea intende la realtà, modo che non si discosterebbe da una concezione statica e distaccata, tipica del pensiero scientifico di stampo cartesiano. Quello pensato da Jaspers nei termini di fede filosofica è pertanto (secondo Welte) un esito inevitabile, per quanto le sue dichiarazioni di intenti vadano in senso del tutto contrario; egli non riesce infatti a liberarsi da una concezione della realtà in linea con quella della metafisica tradizionale, da lui stesso accusata di mantenersi al di qua di una autentica comprensione del mondo, e di limitarsi eventualmente a una sua spiegazione. Jaspers tenta infatti di comprendere la realtà a partire dall’uomo inteso come entità auto-referenziale distinta e indipendente rispetto al suo contesto storico, in quanto quest’ultimo va superato nell’atto del trascendere; l’uomo non è pertanto pensato come realtà che trascende proprio grazie al suo essere storicamente determinato. L’esistenza concreta non consiste pertanto in una risorsa primaria nel cammino di comprensione della realtà. La concezione del mondo secondo cui esso è qualcosa di indipendente dall’uomo, a sua volta pensato come ente in grado di elevarsi al di sopra dell’orizzonte storico e di trascenderlo, non può permettere di fare della concretezza storica – e della limitatezza dell’esperienza di ognuno – se non un ostacolo da superare ai fini del cammino verso la comprensione del tutto. In tali termini sono dunque pensati da Jaspers (nell’ottica sicuramente “heideggeriana” di Welte) gli elementi che caratterizzano la scelta per la fede filosofica, ossia l’uomo e la realtà. Una volta che si rinuncia a riconoscere lo spessore storico dei due termini della questione (cioè uomo e mondo), spessore che ne costituisce la struttura essenziale, la fede filosofica jaspersiana risulta essere una risposta vaga, tale da non poter rendere conto, sempre secondo Welte, del carattere limitato e temporale delle scelte dell’uomo. E’ solo la decisione per una fede storicamente determinata che consente invece di non doversi creare un’immagine astratta e atemporale di uomo. Ciò che conta in questo contesto è mettere in luce da una parte la necessità che la fede venga intesa in ogni caso come una scelta di affidamento storicamente determinata, e dall’altra la natura relazionale, in quanto per essenza intenzionale, dei termini implicati nell’esperienza religiosa, cioè l’uomo nella sua realtà concreta da un lato, e l’Assoluto dall’altro. In questo modo si intende mostrare come la fede possa essere una scelta non solo coerente con le altre componenti della persona, ma anche la risposta a un’esigenza strutturale dell’uomo in quanto tale.
What kind of relationship could there be between revealed faith and the man's thought today? How can it be combined with the freedom of consciousness? Is it possible to believe, remaining free to think? In order to try to find possible answers to these questions, I referred to the contributions of Bernhard Welte, who has worked and taught in Freiburg (Germany) since the 80s of the 20th century. I especially referred to a cycle of lessons he held in 1949, Catholicism and Reason, (B. WELTE, Nachlass, Bestand E 8, Nr. 15: Katholizität und Vernunft, Einstündige publice Vorlesung Sommersemester 1949). Today, these lessons are kept at the archive of the University of Freiburg. The topic of this work is represented by religious faith. This is the starting point for a reflection that could justify its rational validity and its coherence with the idea of a spiritually free human being. In such a context, philosophy is called to reach the conceptual definition of the original dimension of being a man, in order to evaluate why, how and how much the result could reasonably match a religious decision. Maintaining themselves mutually independent, faith and philosophy could reach extremely important meeting points. This can especially happen when rigorous reasoning becomes self-critical and, while considering its limits, contributes to the understanding of a choice -faith- that goes beyond the sphere of sole rationality. In this work, the matter is considered from a phenomenologic point of view. The starting points are the question about the essence of the man (who is “the man”?) and the question about the meaning of reality (why do things exist?); in order to get rid of all unjustified assumptions and anticipations, we try to observe things (the man and the world) and to highlight the intentional and relational nature of man. His historical structure determines the way the world (intended as the place where the being opens) is. This is intended to show that faith can become either a coherent answer to the state of things, or an attitude that aims to answer the needs of the spirit of the man, without contrasting them. Husserl's thought contributed to this descriptive sensitivity (about the elements that build up the essential structure of faith, intended as a phenomenon) and to a return to the original meaning of things. Anyway, Welte's analysis is wider and it includes Heidegger's perspective. Heidegger defines the relationship between the man and the world with historical poignancy. Time resizes its main features -being measurable and regular- in order to regain its connection to existence and reveal itself as an event that can provoke the question related to the being in general and in particular to the being of man. Important matching points between the thoughts of Welte and Levinas have been found thanks to their common philosophical field, that was especially built by the thoughts of Husserl and Heidegger. The aim is to lead the thought to its foundation. Welte made a deeper and more detailed comparison with Jaspers. In his cycle of lessons, he committed himself to an -at times strict- “dialogue” with some provocations made by his colleague, who lived in Basil, in particular in his work Von der Whrheit (Piper, München 19833), where a paragraph deals with the relationship between catholicism and reason. Jasper's theme of philosophical faith and his critical attitude towards historical religions, Catholicism in particular, made Welte doubt his personal beliefs and made him research how revealed faith can guarantee the man the freedom he needs to define himself such. According to Welte, not choosing a determined faith in order to stick to philosophical faith doesn't give the possibility to unconditionally question oneself. It prevents form experiencing the Absolute, because of the concrete and limited reality that typifies the man. Jasper's philosophical faith holds the man down to a state of suspension that cannot constitute any kind of decision. It determines the impossibility to make a precise choice; the only possible choice would be not choosing. The objections underlying Welte's considerations about philosophical faith are similar to the ones Heiddegger had about the way his colleague from Basel intends the reality. This way of describing the reality is not so different from the static and detached conception, that is typical of Cartesio's scientific thought. According to Welte, what Jaspers thought about philosophical faith is an unavoidable result, even if the declarations of his purposes are very different; he can't get rid of a conception of reality that is similar to traditional metaphysics, even if he had accused traditional metaphysics not to be able to authentically understand the world, only giving an explanation. Jaspers tries to understand the reality starting from the concept of man as an self-referential entity that is independent from his historical context. The historical context has to be outpaced while trascending; because the man is historically determined, it cannot be seen as a trascending entity. Concrete existence is not a primary resource of the process where we try to understand reality. Historical concreteness is an obstacle that has to be overcome in order to be able to understand everything. In such a way and from Welte's heideggerian point of view, Jaspers considers the elements that characterize the choice for philosophical faith, man and reality. Once we surrender and stop trying to recognize the historical aspect of the man and the world, Jaspers' philosophical faith appears to be a vague answer that, according to Welte, cannot explain the limited and temporal choices of the man. Only the decision to follow an historically determined faith allows us not to create an image of an abstract and atemporal man. In such a context, it is important to highlight two main aspects: the first is that faith has to be intended as an historically determined choice; the second is the relational nature of the two entities involved in the religious experience: the man in his concrete reality and the Absolute. Faith can be a choice that is coherent with all the other aspects of a person and it can be the answer to a structural need of the man.
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6

Tadini, Samuele. « Il problema di Dio nella metafisica Rosminiana ». Doctoral thesis, 2014. http://hdl.handle.net/11562/683560.

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Résumé :
Lo scopo del presente lavoro consiste nell’esporre il pensiero metafisico rosminiano in relazione al problema di Dio e nel rispondere al problema concernente la possibilità di elaborare una teologia naturale dopo Kant. Il percorso attraverso l’esperienza teoretica rosminiana, contestualizzata nell’ambito della filosofia italiana della prima metà dell’Ottocento, ci conduce oggi a risultati stimolanti che aprono ad un panorama metafisico che definisco “ontoprismatico”.
The purpose of this work is to expose the Rosmini’s metaphysical thought in relation to the problem of God and in answering to the question concerning the possibility of a natural theology after Kant. The path through the rosminian theoretical experience, contextualized within the Italian philosophy of the first half of the nineteenth century, leads us today to interesting results which open to a metaphysical view which I call "ontoprismatic".
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Livres sur le sujet "Ragione e Fede"

1

Zoffoli, Enrico. Galileo : Fede nella ragione, ragioni della fede. Bologna : Edizioni Studio domenicano, 1990.

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Furia, Valori, et Mirri E, dir. Fede e ragione. Napoli [etc.] : Edizioni scientifiche italiane, 2002.

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3

Mauro, Mantovani, Thuruthiyil Scaria et Toso Mario, dir. Fede e ragione : Opposizione, composizione ? Roma : LAS, 1999.

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4

Petriglieri, Ignazio. L'avventura della fede, ovvero, L'intellectus fidei tra ragione e ragioni. Roma : Armando, 2010.

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5

1902-1982, Lombardo Ester, dir. Cena con Gesù : Fede e ragione. Milano : A. Mondadori, 1985.

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6

Benvenuto, Edoardo. Fede e ragione : Scritti per "Bailamme". Genova : Marietti, 1999.

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7

Lavatori, Renzo. Il diavolo tra fede e ragione. Bologna : EDB, 2000.

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8

Tra ragione e fede : Interventi buddisti. Milano : Mimesis, 2012.

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9

Negri, Luigi. Fede e ragione in Tommaso Campanella. Milano : Massimo, 1990.

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10

Fede nella ragione : Ragionamenti sul credere. Venezia : Marcianum Press, 2010.

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Chapitres de livres sur le sujet "Ragione e Fede"

1

Molinari, Enrico. « Fede e ragione di fronte al dolore innocente : conversazione con Vito Mancuso ». Dans Psicologia clinica del dolore, 111–27. Milano : Springer Milan, 2010. http://dx.doi.org/10.1007/978-88-470-1469-5_10.

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2

Gavin, John. « La «fede nuda» e il «Regno» di Dio. La ragione, la fede e la divinizzazione dell’uomo secondo Massimo il Confessore ». Dans The Medieval Paradigm, 209–19. Turnhout : Brepols Publishers, 2012. http://dx.doi.org/10.1484/m.nutrix-eb.1.101239.

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3

Conti, Alessandro D. « Filosofia aristotelica e ragioni della fede nel secolo xiv : il pluralismo (metodo)logico di Robert Holcot ». Dans The Medieval Paradigm, 769–88. Turnhout : Brepols Publishers, 2012. http://dx.doi.org/10.1484/m.nutrix-eb.1.101261.

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