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Bonon, Camilla. « La tipicità del fatto colposo nel diritto penale del lavoro. Tra principi generali in tema di colpa e nuove esigenze di tutela ». Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2015. http://hdl.handle.net/11577/3423943.

Texte intégral
Résumé :
The theme of the research project assigned to the writer regards "The peculiarity of the fact culpable in criminal law of labor. Between general principles concerning fault and new protection requirements”. The work is basically divided into three parts: the first part concerning the classical concept of guilt in his profiles philosophical, dogmatic and existential; a second, which concerns the introduction of the precautionary principle in our legal and its impact on the classical concept of guilt; a third part, which concerns the reflection of this principle in the specific area of criminal law of work through an excursus both normative jurisprudential. The present work is, therefore, the deepening of the specific theme consists of the importance of the precautionary principle in contexts that involve variously safety and reflections of the same in the specific area of criminal law of the work with reference to the evolution of the classical concept of criminal guilt. The research carried out, therefore, in the first phase was concerned with the study of the classical concept of guilt. Then I analyzed the different conceptions of guilt developed in doctrine and the basic elements of the judgment negligent liability, namely the unwillingness of the fact, the precautionary rules, the c.d. concretization of risk, predictability and avoidance detrimental event and, finally, the enforceability by the party's agent alternative behavior lawful. In a second step was carried out, then, the study of the c.d. precautionary principle as a criterion of risk management in terms of scientific uncertainty. On the theme, on the one hand, sources, assumptions and fields of application of that principle were analyzed, the other the legitimacy of that under criminal law, identifying the differences between the criminal law of prevention and precaution, from 'more deformations that following the entry of this principle in our system are undergoing causation and guilt criminal with particular reference to the evolution of the concept of predictability of the event. On the basis of the deepening made you come to the conclusion that this principle, pending the generic prescriptive that characterizes it, is likely to conflict with the character of certainty of the criminal standard and lends itself to play a role as a potential factor in the expansion of the categories of classical criminal law. It could, in fact, affect two fundamental factors for the configuration of the typical fact: first, on the objective level of causation, exploiting the probabilistic structure and turning it into a "nexus of risk"; secondly on the subjective level of guilt deforming in its more recognizable cognitive risk and predictability of the result. Finally, the third part of the research project has been directed towards the study of reflexes that the precautionary principle has had in the specific field of criminal law of work through an excursus both normative jurisprudential. The matter of safety at work, the expected legal interests protected by primary degree, you are, indeed, characterizing a transition from rule to rule precautionary precautionary: that fact marks the release of preventing the event from the conduct conforms to the rule previously identified by placing, consequently, in the crisis the same function garantistic rule precautionary. In this sector, indeed, one might come to affirm the responsibility culpable of a subject matter a concrete verification about the actual effectiveness of the predictive rule remand in relation to the specific offense to the legal interest protected by the rule, so as to impute the event even where there is only the possibility that the detrimental effects occur, with direct and obvious impact on the subjective level of predictability and avoidance, which are no longer subject to a specific event, but rather a class or kind of events. Emblematic on the subject, and object of study, some judgments regarding the exposure of workers to asbestos or harmful substances such as vinyl chloride monomer. In response, in fact, the protection of victims and the needs of substantial justice, we are witnessing an obvious flexibility of the paradigm of guilt and criminal liability from asbestos, offering a rich case law, constitutes a particular field of reflection for what concerns the evolution of the classical dogmatic categories of criminal law for charging the damaging event. Jurisprudential analysis performed, it seems, indeed, take off a micro-penal system from occupational exposures, where the deconstruction of guilt, through the distortion of the value of the regulatory rule precautionary determines an instance of absolute protection of the victim, with a corresponding load iperdeterrece for the author, called to bear risks criminal gravitating outside its sphere of recognition.
Il tema oggetto del progetto di ricerca assegnato alla scrivente concerne “La tipicità del fatto colposo nel diritto penale del lavoro. Tra principi generali in tema di colpa e nuove esigenze di tutela”. Il lavoro è sostanzialmente suddiviso in tre parti: una prima parte avente ad oggetto il concetto classico di colpa nei suoi profili filosofici, dogmatici ed esistenziali; una seconda, che concerne l’introduzione nel nostro ordinamento del principio c.d. precauzionistico ed i suoi riflessi sul concetto classico di colpa; una terza parte, infine, che concerne i riflessi di detto principio nel settore specifico del diritto penale del lavoro attraverso un excursus sia normativo sia giurisprudenziale. Il presente lavoro costituisce, quindi, l’approfondimento dello specifico tema costituito dalla rilevanza del principio di precauzione in contesti che involgono a vario titolo la sicurezza e dai riflessi dello stesso nel settore specifico del diritto penale del lavoro con riferimento all’evoluzione del concetto classico di colpa penale. L’attività di ricerca svolta, quindi, nella prima fase ha avuto ad oggetto lo studio del concetto classico di colpa. Si sono, pertanto, analizzate le diverse concezioni di colpevolezza sviluppatesi in dottrina e gli elementi fondanti il giudizio di responsabilità colposa, ossia la non volontà del fatto, le regole cautelari, la c.d. concretizzazione del rischio, la prevedibilità ed evitabilità dell’evento lesivo ed, infine, l’esigibilità da parte del soggetto agente del comportamento alternativo lecito. In una seconda fase si è proceduto, poi, allo studio del c.d. principio precauzionistico quale criterio di gestione del rischio in condizioni di incertezza scientifica. Sul tema, sono stati analizzati in primo luogo, le fonti, i presupposti e i campi di applicazione di detto principio, in secondo luogo la legittimazione dello stesso nell’ambito del diritto penale, individuando le differenze tra diritto penale della prevenzione e della precauzione, ed infine, le deformazioni che a seguito dell’ingresso di tale principio nel nostro ordinamento stanno subendo il nesso di causalità e la colpa penale con particolare riferimento all’evoluzione del concetto di prevedibilità dell’evento. Sulla base dell’approfondimento effettuato, si è giunti alla conclusione che tale principio, attesa la genericità precettiva che lo caratterizza, rischia di confliggere con il carattere di determinatezza della norma penale e si presta a giocare un ruolo di potenziale fattore di espansione delle categorie classiche del diritto penale. Esso potrebbe, infatti, incidere su due fattori fondamentali per la configurazione del fatto tipico: innanzitutto, sul piano oggettivo del nesso di causalità, sfruttandone la struttura probabilistica e trasformandolo in un “ nesso di rischio”; in secondo luogo sul piano soggettivo della colpa deformandone gli aspetti propriamente cognitivi di riconoscibilità del rischio e prevedibilità del risultato. Infine, la terza parte del progetto di ricerca concerne lo studio dei riflessi che il principio precauzionistico ha avuto nell’ambito specifico del diritto penale del lavoro attraverso un excursus sia normativo sia giurisprudenziale. La materia della sicurezza sul lavoro, attesi i beni giuridici tutelati di grado primario, si sta, invero, caratterizzando da un passaggio dalla regola cautelare alla regola precauzionale: tale circostanza segna lo sganciamento della prevenzione dell’evento dalla condotta conforme alla regola previamente individuata ponendo, conseguentemente, in crisi la stessa funzione garantistica della regola cautelare. In tale settore, quindi, si potrebbe giungere ad affermare la responsabilità colposa di un soggetto a prescindere da una concreta verifica circa l’effettiva efficacia predittiva della regola cautelare in relazione alla specifica offesa al bene giuridico tutelato dalla norma, così da imputare l’evento anche ove sussista soltanto la possibilità che le conseguenze dannose si verifichino, con diretti ed evidenti riflessi sul piano soggettivo della prevedibilità ed evitabilità, che non hanno più ad oggetto un evento specifico, bensì una classe o genere di eventi. Emblematiche sul tema, ed oggetto di studio, alcune sentenze relative all’esposizione dei lavoratori all’amianto o a sostanze nocive quali il cloruro di vinile monomero. A fronte, infatti, della tutela delle vittime e di esigenze di giustizia sostanziale, si assiste ad un’evidente flessibilizzazione del paradigma della colpa e la responsabilità penale da amianto, offrendo una ricca casistica giurisprudenziale, costituisce un particolare campo di riflessione per quel che concerne l’evoluzione delle categorie dogmatiche classiche del diritto penale ai fini dell’imputazione dell’evento lesivo. Dall’analisi giurisprudenziale effettuata, sembra, invero, prendere il largo un micro-sistema penale da esposizioni professionali, in cui la destrutturazione della colpa, per il tramite dello snaturamento della valenza regolamentare della regola cautelare, determina un’istanza di tutela assoluta della vittima, con un corrispondente carico di iperdeterrenza per l’autore, chiamato a sopportare rischi penali che gravitano al di fuori della sua sfera di riconoscibilità.
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DONATI, GAIA. « LA «VERITA'» DEL DIRITTO PENALE NELLA «CHIARA LUCE» DEI PRINCIPI. PROVE DI RESISTENZA AL POPULISMO PUNITIVO ». Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2022. http://hdl.handle.net/10280/117009.

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Résumé :
Nella coscienza ferita tardo-moderna, il sentimento generale di impotenza e di depressione antropologica riscontra una inedita proiezione in ambito penalistico, congiungendo il senso di inquietudine alla criminalità. In un clima generalizzato di hybris, lo ius criminale è chiamato a compensare le insufficienze dei legami fiduciari, con conseguenze distorsive sulla produzione legislativa, sull’interpretazione giurisprudenziale e sugli stessi rapporti sociali. La presente analisi si propone di esaminare l’odierna tendenza a reagire, rispetto ai più eterogenei problemi individuali e sociali, con una «risposta ‘accusatoria’» e di comprendere quella preoccupante strategia securitaria cui si attribuisce l’icastica denominazione di ‘populismo penale’. Terreno elettivo per una valutazione in merito alle sollecitazioni che sottopongono a torsione i principi fondamentali si rivela l’articolato ‘arcipelago’ dei delitti contro la pubblica amministrazione, con specifico riferimento a quelli preposti al contrasto alla corruzione. L’ambizioso obiettivo della ricerca è quello di fornire risposte al primario quesito su come debba procedersi per evitare che il settore penalistico perpetui la propria natura di «fabbrica delle illusioni». Per favorire un virtuoso cambio di paradigma, viene valorizzata l’esigenza, oltre che di un ripensamento critico del proprio ruolo da parte del legislatore e della magistratura, della promozione di una crescita culturale di tutte le componenti della collettività.
In the wounded late-modern consciousness, the general feeling of impotence and anthropological depression finds an unprecedented projection in the penal field, linking the sense of unease to criminality. In a generalized climate of hybris, the criminal law is called to compensate for the inadequacies of bonds of trust, with distorting consequences on production of legislation, interpretation of jurisprudence and social relations. This analysis aims to examine the current tendency to react, with respect to the most heterogeneous individual and social problems, with an «accusatory ‘response’» and to understand that worrying securitarian strategy called ‘penal populism’. An elective terrain for an evaluation of the solicitations that distort the fundamental principles is the articulated ‘archipelago’ of crimes against the public administration, with specific reference to those designed to combat corruption. The purpose of this research is to provide answers to the question of how to proceed to avoid that the criminal justice sector perpetuates its own nature of «factory of illusions». To promote a virtuous change of paradigm, it is emphasized the need of not only a critical rethinking of their role by the legislature and the judiciary but also the promotion of a cultural growth of all components of the community.
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Bigi, G. « I principi generali di diritto e il diritto internazionale penale ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2009. http://hdl.handle.net/2434/61733.

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SPRICIGO, BIANCAMARIA. « La "riflessione critica" sull'illecito commesso alla luce dei principi costituzionali e della teoria generale del reato : problemi e prospettive ». Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2013. http://hdl.handle.net/10280/1797.

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Résumé :
La tesi si occupa del concetto di “riflessione critica” dell’autore di reato sull’illecito commesso. Secondo l’art. 27 d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, essa consiste in una riflessione dialogica concernente le condotte antigiuridiche e colpevoli, le correlate motivazioni, le conseguenze che discendono per l’autore medesimo e le possibili azioni di riparazione attuabili nella fase di esecuzione. La ricerca si sviluppa in cinque momenti: il primo capitolo focalizza l’attenzione sullo studio di un fondamento costituzionale del concetto di “riflessione critica”, anche al fine di una rinnovata lettura del finalismo rieducativo; il secondo capitolo mette in luce i punti di intersezione tra “riflessione critica” sull’illecito commesso e “teoria generale del reato”; il capitolo successivo offre una panoramica degli ostacoli e dei problemi operativi che impediscono la piena predisposizione di un modello responsabilizzante e che sollecitano ipotesi di riforma del sistema penale e penitenziario; nel quarto capitolo ci si sofferma sull’approfondimento delle premesse di un modello dialogico e riparativo di giustizia; quindi, il capitolo conclusivo si dedica a un’esplorazione dei confini e delle congruenze dei concetti di “rehabilitation” e “restorative justice”, per muovere oltre verso la considerazione di un modello di giustizia ispirato all’idea di “responsività” [John Braithwaite] e di “restorative justice dialogue” [Mark S. Umbreit]. In sostanza, lo studio mira a proporre un modello che faciliti, in modo dialogico e inclusivo, forme di responsabilità attiva nel settore penale.
The dissertation examines how offenders deal with “critical rethinking” on their crimes. According to art. 27 d.P.R. 30 June 2000, n. 230, it consists in a dialogical reflection on the wrongdoings they committed, their motivations, the consequences that follow on for the offenders themselves, and the possible reparations during the post-sentencing phase. The study is divided into five chapters. The first chapter focuses on the research for a constitutional basis of the “critical rethinking” and for a renewed understanding of the “finalismo rieducativo” (equivalent to the rehabilitative goal). The second chapter highlights the points of intersection between the “critical rethinking” and the “general theory of crime”. The third chapter summarizes the obstacles and the operative problems that hamper the implementation of this dialogical reflection and describes hints for a possible reform of the criminal justice system, particularly with regard to the post-sentencing phase. The fourth chapter proposes an in-depth analysis of some of the basic key-concepts for the introduction of a dialogical-restorative model of justice. Finally, the fifth chapter investigates the relationship between “rehabilitation” and “restorative justice” and takes into consideration a justice model that is inspired by “responsivity” [John Braithwaite] and “restorative justice dialogue” [Mark S. Umbreit]. By means of that, the study aims at providing a framework for an active assumption of responsibility in a more dialogical and inclusive culture.
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SPRICIGO, BIANCAMARIA. « La "riflessione critica" sull'illecito commesso alla luce dei principi costituzionali e della teoria generale del reato : problemi e prospettive ». Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2013. http://hdl.handle.net/10280/1797.

Texte intégral
Résumé :
La tesi si occupa del concetto di “riflessione critica” dell’autore di reato sull’illecito commesso. Secondo l’art. 27 d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, essa consiste in una riflessione dialogica concernente le condotte antigiuridiche e colpevoli, le correlate motivazioni, le conseguenze che discendono per l’autore medesimo e le possibili azioni di riparazione attuabili nella fase di esecuzione. La ricerca si sviluppa in cinque momenti: il primo capitolo focalizza l’attenzione sullo studio di un fondamento costituzionale del concetto di “riflessione critica”, anche al fine di una rinnovata lettura del finalismo rieducativo; il secondo capitolo mette in luce i punti di intersezione tra “riflessione critica” sull’illecito commesso e “teoria generale del reato”; il capitolo successivo offre una panoramica degli ostacoli e dei problemi operativi che impediscono la piena predisposizione di un modello responsabilizzante e che sollecitano ipotesi di riforma del sistema penale e penitenziario; nel quarto capitolo ci si sofferma sull’approfondimento delle premesse di un modello dialogico e riparativo di giustizia; quindi, il capitolo conclusivo si dedica a un’esplorazione dei confini e delle congruenze dei concetti di “rehabilitation” e “restorative justice”, per muovere oltre verso la considerazione di un modello di giustizia ispirato all’idea di “responsività” [John Braithwaite] e di “restorative justice dialogue” [Mark S. Umbreit]. In sostanza, lo studio mira a proporre un modello che faciliti, in modo dialogico e inclusivo, forme di responsabilità attiva nel settore penale.
The dissertation examines how offenders deal with “critical rethinking” on their crimes. According to art. 27 d.P.R. 30 June 2000, n. 230, it consists in a dialogical reflection on the wrongdoings they committed, their motivations, the consequences that follow on for the offenders themselves, and the possible reparations during the post-sentencing phase. The study is divided into five chapters. The first chapter focuses on the research for a constitutional basis of the “critical rethinking” and for a renewed understanding of the “finalismo rieducativo” (equivalent to the rehabilitative goal). The second chapter highlights the points of intersection between the “critical rethinking” and the “general theory of crime”. The third chapter summarizes the obstacles and the operative problems that hamper the implementation of this dialogical reflection and describes hints for a possible reform of the criminal justice system, particularly with regard to the post-sentencing phase. The fourth chapter proposes an in-depth analysis of some of the basic key-concepts for the introduction of a dialogical-restorative model of justice. Finally, the fifth chapter investigates the relationship between “rehabilitation” and “restorative justice” and takes into consideration a justice model that is inspired by “responsivity” [John Braithwaite] and “restorative justice dialogue” [Mark S. Umbreit]. By means of that, the study aims at providing a framework for an active assumption of responsibility in a more dialogical and inclusive culture.
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GUARDAMAGNA, CHIARA. « I principi generali nell'esperienza giuridica. Prospettive di diritto pubblico dell'economia ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2013. http://hdl.handle.net/10281/42375.

Texte intégral
Résumé :
I principi generali compongono una categoria concettuale indefinita. Per indagarne la posizione e il ruolo nell’esperienza giuridica occorre fare i conti con la loro ambivalente natura di norme che incorporano valori. Infatti, proprio l’essere sospesi tra il puro diritto e la dimensione metagiuridica delle regole assiologiche appartenenti all’etica e alla morale rende i principi generali un unicum difficile da incasellare. A questo unicum, indeterminato fin che si vuole, l’ordinamento attribuisce effetti giuridici. Da qui, ossia dal fatto che il diritto si serva dei principi perché ai principi riconosce delle funzioni, occorre muovere per dare ai principi se non una definizione almeno un senso giuridico. Un senso che va oltre quel che la legge “dice” sui principi generali e si delinea più che altro nella considerazione complessiva del giuridico come sistema unitario, per quanto non sempre ordinato ed omogeneo. Un senso, allora, che si rivela e si riassume nell’utilità che i principi rivestono per e nel sistema giuridico. È l’inadeguatezza del diritto positivo, sempre più frammentato e incerto, ad avvalorare il senso giuridico dei principi generali, quella loro attitudine ad affiancarsi alla norma scritta per migliorarla. Talché, se sul piano dogmatico i principi generali sono concetto trasversale all’intero diritto, ciò nondimeno la loro importanza pratica è tanto maggiore in rapporto a quegli ambiti di disciplina più toccati dall’inflazione legislativa e dalle varie manifestazioni di quella che suole chiamarsi crisi del diritto. Da ciò si deduce la ragione di affiancare i principi generali, argomento classico di teoria generale, allo studio del diritto dell’economia che è tra i settori più colpiti dai fenomeni di ipertrofia della produzione normativa. L’idea di fondo è che nei principi generali sia possibile trovare quell’ancoraggio che la sola norma positiva non è in grado di imprimere all’ordine economico.
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Magnani, Rino. « Nuove prospettive sui principi generali nel sistema delle fonti del diritto internazionale / ». [Milano] : Mursia, 1997. http://www.gbv.de/dms/spk/sbb/recht/toc/280262140.pdf.

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Messina, Cecilia <1993&gt. « "Tradizione romanistica" e principi generali del diritto : Il dibattito italiano tra Otto e Novecento ». Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2022. http://amsdottorato.unibo.it/10186/1/Tesi.dottorato.di.ricerca.2022..pdf.

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Résumé :
Il presente lavoro verte sul ruolo svolto dal diritto romano e – più in generale – dalla “tradizione romanistica” all'interno del sistema giuridico nazionale posteriore alla codificazione civile del 1865. L'attenzione è rivolta principalmente all'art. 3 delle Disposizioni preliminari del Codice del 1865 con il suo riferimento ai 'principi generali del diritto' e, dunque, all'analogia iuris. La prima parte dello studio si concentra sull'analisi di alcune voci della scienza giuridica italiana tra Otto e Novecento, nei loro diversi approcci – laddove riscontrabili – rispetto allo studio e al recupero (in chiave moderna) del diritto romano. La seconda parte è invece dedicata all'esame della prassi giudiziaria e, più specificamente, delle Corti di Cassazione. In questa fase si persegue un duplice obiettivo: da un lato, verificare se, ed eventualmente in che misura, il diritto romano possa ancora svolgere un ruolo nella (moderna) giurisprudenza di legittimità; dall'altro, valutare la concreta possibilità, prospettata da una parte della scienza giuridica, di ricorrere in Cassazione per impugnare una sentenza asseritamente contraria ai principi generali del diritto sanciti dall'art. 3 co. 2 delle Preleggi. L'analisi prende dunque le mosse dal contenuto delle singole decisioni della Cassazione, per poi passare all'esegesi dei frammenti di volta in volta richiamati; infine, si concluderà con un'operazione di sintesi volta a valutare, per ciascun caso, la coerenza (giuridica) del ragionamento analogico.
The research deals with some aspects of the reuse of Roman sources, and of their modern tradition, within the national legal system after the civil codification. The attention is directed mainly to art. 3, Preliminary provisions of the Code of 1865 with its reference to the ‘general principles of law’ in order to the analogia iuris. Based on this research approach, the study focuses on the analysis of some specific voices of Italian legal science from both nineteenth and twentieth centuries. The second part of the study is devoted to an examination of judicial practice and, more specifically, of the Supreme Courts. At this stage we pursue a twofold objective: on the one hand, to ascertain whether, and if so to what extent, Roman law could still play a role in the (modern) jurisprudence of legitimacy; on the other hand, to assess the concrete possibility, envisaged by a part of legal science, of appealing to the Supreme Court to challenge a judgment allegedly contrary to the general principles of law laid down in Art. 3 par. 2 of the Prelaws. The analysis thus starts from the content of the individual decisions of the Supreme Court, then moves on to the exegesis of the fragments referred to each time; finally, we will conclude with a summary operation aimed at assessing, for each case, the (legal) consistency of the analogical reasoning.
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Piratti, Marianella. « SUL CONTRIBUTO DEL DIRITTO DI MATRICE ISLAMICA ALLA COSTRUZIONE DEI PRINCIPI GENERALI DI DIRITTO NELL'€™ORDINAMENTO INTERNAZIONALE ». Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2016. http://hdl.handle.net/11577/3424807.

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Résumé :
Abstract English International law originates from the Western history and legal culture. If this is a fact established, a research on the contribution of Islamic law to the construction of the general principles of law in the International legal system, requires the consideration of a cultural and legal tradition other from the Western one and, by extension, other than that which informed the international legal phenomenon. The need for such a consideration is held then in several respects: first, under a methodological point of view, to determining whether the methodology of International Law is itself as a whole to be ascribed to the Western legal tradition or whether it is given to find an Islamic methodological approach to the study of International law. Hence are then outlined the main features of the Islamic political theory and legal system. A second level of analysis is carried out on the elaboration of the international theory between the late nineteenth and the first half of the twentieth century, to frame what the conception of the international community was at the time, in relation to the then recent phenomenon of inclusion in the family of Nations of States with a cultural, legal and religious background, other than that in which the States of Western tradition recognized themselves. If the principle of the sovereign equality of States is not formally challenged, the legal traditions of domestic law other than those marked by the European legal tradition, are considered an obstacle to the full recognition of States in International law. It followed that the adjustment of domestic law to European standards, was considered by the international theory as a necessary condition to the full recognition of the international subjectivity. These considerations were carried out with particular reference to the Ottoman Empire, that means a State of Islamic tradition. The different legal, cultural and religious traditions that characterize the various States, appear to be absorbed in International Law in what can be defined as an "neutral order", i.e. the Western legal, cultural and religious tradition. An attempt to overcome this setting, will be establish by the international teaching only in the second half of the twentieth century. The discourse on the contribution of Islamic law to the construction of the general principles of law in the International legal system, is thus incardinated in this context. Since the first formalization of the general principles of law in Article 38. 1 c) of the Statute of the Permanent Court of International Justice, according to which the Court applies "the general principles of law recognized by civilized nations", the detection of general principles was made mostly following an axiomatic technique of detection, i.e. without verifying the implementation of the principles set out in the various legal systems of the world. Such a mode of detection was plausible in an international community substantially homogeneous as to the national legal systems. When, from the second half of the twentieth century, the social base of international society has expanded, thus including States with legal traditions different than the Western one, an axiomatic detection of the general principles should have been no longer considered plausible and general principles of law should have been detect from a survey of comparative law. If this need has been considered by the teachings of the publicists since the sixties of the last century, it should be noted that the domestic law of the States of Islamic tradition, is excluded from the comparative analysis. If there are only a few examples of legal cases in which, in general terms, is possible to find some references to the Islamic legal tradition, for a number of converging factors a strengthened interest of international legal theory on the Muslim law system, has been observed after the end of the bloc politics. From a theoretical point of view, the acknowledgment of the principles of the domestic law of States of Islamic tradition, reveals a specific complexity due to the fact that they are mixed systems, i.e. systems in which coexist both elements derived from European and Islamic law. A preliminary synthesis of these two factors should be the necessary condition for the recognition of the general principles of law in International law, which considers also the legal systems of the States of Islamic tradition, as it may not be assumed that the principles of Islamic law should be acknowledged from the traditional Muslim law, that is just one of the components of the legal systems of the contemporaries Islamic States. Additional considerations are carried out on what is believed to be the nature of the general principles of law in the previous phase and the phase following the adoption of the Charter of the United Nations. The final part, dedicated to the recognition of the various instruments of International law in which the general principles are formalized, explores some aspects of the Rome Statute, relevant to the detection of the general principles also from the system of Islamic law.
abstract Italiano Il diritto internazionale trae origine dalla storia e dalla cultura giuridica occidentale. Se questo è un dato assodato, una ricerca sul contributo del diritto di matrice islamica alla costruzione dei principi generali di diritto in diritto internazionale, richiede la considerazione di una tradizione culturale e giuridica altra da quella occidentale e quindi per estensione, altra da quella che ha informato il fenomeno giuridico internazionale. L’esigenza di una tale considerazione è svolta quindi sotto diversi profili: innanzitutto sotto un profilo metodologico, per appurare se la metodologia giuridica in diritto internazionale sia anch’essa nel complesso da ascriversi alla tradizione giuridica occidentale o se sia dato rinvenire un approccio metodologico di matrice islamica allo studio del diritto internazionale. Di qui sono quindi tratteggiati i principali tratti distintivi della teoria politica e del sistema giuridico della tradizione islamica. Un secondo piano d’analisi, è svolto sull’elaborazione dottrinale tra la fine del XIX e la prima metà del XX secolo, per inquadrare quale fosse la concezione della comunità internazionale dell’epoca, in rapporto all’allora recente fenomeno dell’affacciarsi nella comunità delle Nazioni, di Stati con un sostrato culturale, giuridico e religioso, diverso da quello in cui si riconoscevano gli Stati di tradizione occidentale. Se il principio della sovrana uguaglianza degli Stati non è formalmente messo in discussione, le tradizioni giuridiche di diritto interno diverse da quelle improntate alla tradizione giuridica europea, vengono considerate un ostacolo al pieno riconoscimento degli Stati in diritto internazionale. Ne conseguiva che l’adeguamento del diritto interno a degli standard europei, fosse considerato dalla dottrina una condizione necessaria al fine del pieno riconoscimento della soggettività internazionale. Tali considerazioni dottrinali sono svolte con particolare riferimento all’Impero ottomano, uno Stato quindi di tradizione islamica. Le diverse tradizioni giuridiche, culturali e religiose di cui sono portatori gli Stati, paiono essere assorbite in diritto internazionale in quello che può essere definito come un “ordine neutro”, vale a dire la tradizione giuridica, culturale e religiosa occidentale. Un tentativo di superamento di tale impostazione, si affermerà in dottrina solo nella seconda metà del XX secolo. Il discorso sul contributo del diritto di matrice islamica alla costruzione dei principi generali di diritto in diritto internazionale, è dunque incardinato in questo contesto. Dal momento della formalizzazione prima dei principi generali di diritto nell’articolo 38. 1 c) dello Statuto della Corte permanente di giustizia internazionale, secondo cui la Corte applica “i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili”, la rilevazione dei principi generali è avvenuta per lo più seguendo una tecnica di rilevazione assiomatica, ossia senza una verifica dell’operatività dei principi richiamati nei diversi sistemi giuridici del mondo. Una simile modalità di rilevazione era plausibile in una comunità internazionale sostanzialmente omogenea quanto ai sistemi di riferimento di diritto interno. Quando la base della società internazionale si è allargata a partire dalla seconda metà del XX secolo, includendo quindi Stati con tradizioni giuridiche diverse da quella occidentale, una rilevazione assiomatica dei principi generali non si sarebbe più dovuta considerare plausibile e i principi generali di diritto si sarebbero dovuti rilevare a partire da un’indagine di diritto comparato. Se tale esigenza è avvertita dalla dottrina a partire dagli anni sessanta del secolo scorso, va rilevato che il diritto interno degli Stati di tradizione islamica è escluso dall’analisi comparatistica. Se sono pochi gli esempi della prassi in cui si rinvengono in termini generali dei riferimenti alla tradizione giuridica dell’Islam, un maggior interesse della dottrina internazionalistica verso il sistema di diritto islamico, si è potuto osservare, per una serie di fattori convergenti, all’indomani della fine della politica dei blocchi. Sotto un profilo teorico la rilevazione dei principi di diritto interno degli Stati di tradizione islamica rivela una particolare complessità dovuta al fatto che si tratta di sistemi misti, in cui cioè coesistono sia elementi di diritto di derivazione europea che elementi di diritto islamico. Una preliminare sintesi tra questi due fattori dovrebbe essere la condizione necessaria per la rilevazione dei principi generali di diritto in diritto internazionale, che consideri anche gli ordinamenti degli Stati di tradizione islamica, non potendo assumere che i principi di diritto islamico debbano rilevarsi a partire dal diritto musulmano classico che è solo una delle componenti degli ordinamenti degli Stati di tradizione islamica contemporanei. Ulteriori considerazioni sono svolte su quella che si ritiene essere la natura dei principi generali di diritto, nella fase precedente e nella fase successiva all’adozione della Carta delle Nazioni Unite. La parte conclusiva, dedicata alla ricognizione dei diversi strumenti di diritto internazionale in cui sono formalizzati i principi generali, approfondisce alcuni aspetti dello Statuto di Roma, rilevanti ai fini della rilevazione dei principi generali anche a partire dal sistema di diritto islamico.
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Lobba, Paolo <1983&gt. « Il volto europeo del reato di negazionismo tra richieste di incriminazione UE e principi fondamentali CEDU ». Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2013. http://amsdottorato.unibo.it/5980/1/Lobba_Paolo_tesi.PDF.

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Résumé :
La presente indagine mira ad esaminare, in chiave innovativa, i rapporti tra l’Europa ed un reato prettamente europeo: il negazionismo. Sviluppatosi in maniera assolutamente predominante nel nostro continente, le ragioni della sua diffusione sono molteplici. Al di là della lotta a razzismo ed antisemitismo, il motivo principale va identificato nel ruolo “fondativo” che riveste la memoria dell’Olocausto in Europa, collocata nel cuore dell’universo valoriale su cui si reggono i due principali attori europei, ovverosia l’Unione europea e la Corte europea dei diritti dell’uomo. La ricerca, dunque, ruota attorno a due poli tematici. Da un lato, sono state esaminate le politiche normative dell’Unione europea in materia di razzismo e xenofobia, entro cui spicca la promozione dell’incriminazione del negazionismo “allargato”, cioè esteso alle condotte di negazione non solo dell’Olocausto, ma anche degli altri crimini internazionali. Dall’altro lato, l’analisi della trentennale giurisprudenza della Corte di Strasburgo in materia ha evidenziato come, con riguardo alle manifestazioni negazioniste, sia stato elaborato uno “statuto speciale”, che si risolve nel perentorio diniego di tutela per questa categoria di opinioni, sottratte a monte all’ordinario giudizio di bilanciamento in quanto giudicate incompatibili con i valori sottesi alla CEDU. Lo scopo di questo lavoro riposa nel tentativo di individuare le interazioni tra questi due sistemi istituzionali, per interpretare una tendenza che converge con nettezza verso un incremento della repressione penale della parola. Da questo complesso intreccio di norme e principi, di hard law e soft law, sarà possibile enucleare la natura giuridica ed il contenuto delle richieste di incriminazione rivolte agli Stati membri. Una volta appurato che agli Stati è concesso di restringere il campo di applicazione del reato di negazionismo, adottando degli indici di pericolosità delle condotte, sarà analizzata la tenuta di questi “elementi opzionali del reato” alla luce dei principi penalistici di tassatività, materialità, offensività e laicità.
The present study aims to analyse the legal treatment of the crime of denialism by the two main European actors, namely the European Union (‘EU’) and the European Court of Human Rights (‘ECtHR’). These two systems find themselves in a delicate position that raises a need for deep investigation. They have to cherish and protect the memory of a historical event that is central to their own identity, whereas at the same time promoting the respect of fundamental rights such as freedom of speech. The first section seeks to identify the obligations stemming from the EU legal system, the institutional mandate of which is to harmonise criminal legislation of Member States by setting some basic common elements. Notably, the impact on domestic systems of the Framework Decision 2008/913/JHA on racism and xenophobia shall be assessed. The second part of the present research shall turn to the jurisprudence of the ECtHR to examine the relationship between Holocaust denial as a crime and the right to freedom of expression, with a view to deducing the principles with which States have to comply in the criminalisation of this kind of utterance. The overall goals shall be to identify: a) the interactions between these two systems; b) whether their policies on denialism may be better portrayed in terms of contrast or mutual support; c) the legal nature and content of the obligations originating for the Member States; d) whether a Europe-wide criminal prohibition on denialism appears likely to occur, whether it would be desirable and, if so, under which conditions.
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Lobba, Paolo <1983&gt. « Il volto europeo del reato di negazionismo tra richieste di incriminazione UE e principi fondamentali CEDU ». Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2013. http://amsdottorato.unibo.it/5980/.

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Résumé :
La presente indagine mira ad esaminare, in chiave innovativa, i rapporti tra l’Europa ed un reato prettamente europeo: il negazionismo. Sviluppatosi in maniera assolutamente predominante nel nostro continente, le ragioni della sua diffusione sono molteplici. Al di là della lotta a razzismo ed antisemitismo, il motivo principale va identificato nel ruolo “fondativo” che riveste la memoria dell’Olocausto in Europa, collocata nel cuore dell’universo valoriale su cui si reggono i due principali attori europei, ovverosia l’Unione europea e la Corte europea dei diritti dell’uomo. La ricerca, dunque, ruota attorno a due poli tematici. Da un lato, sono state esaminate le politiche normative dell’Unione europea in materia di razzismo e xenofobia, entro cui spicca la promozione dell’incriminazione del negazionismo “allargato”, cioè esteso alle condotte di negazione non solo dell’Olocausto, ma anche degli altri crimini internazionali. Dall’altro lato, l’analisi della trentennale giurisprudenza della Corte di Strasburgo in materia ha evidenziato come, con riguardo alle manifestazioni negazioniste, sia stato elaborato uno “statuto speciale”, che si risolve nel perentorio diniego di tutela per questa categoria di opinioni, sottratte a monte all’ordinario giudizio di bilanciamento in quanto giudicate incompatibili con i valori sottesi alla CEDU. Lo scopo di questo lavoro riposa nel tentativo di individuare le interazioni tra questi due sistemi istituzionali, per interpretare una tendenza che converge con nettezza verso un incremento della repressione penale della parola. Da questo complesso intreccio di norme e principi, di hard law e soft law, sarà possibile enucleare la natura giuridica ed il contenuto delle richieste di incriminazione rivolte agli Stati membri. Una volta appurato che agli Stati è concesso di restringere il campo di applicazione del reato di negazionismo, adottando degli indici di pericolosità delle condotte, sarà analizzata la tenuta di questi “elementi opzionali del reato” alla luce dei principi penalistici di tassatività, materialità, offensività e laicità.
The present study aims to analyse the legal treatment of the crime of denialism by the two main European actors, namely the European Union (‘EU’) and the European Court of Human Rights (‘ECtHR’). These two systems find themselves in a delicate position that raises a need for deep investigation. They have to cherish and protect the memory of a historical event that is central to their own identity, whereas at the same time promoting the respect of fundamental rights such as freedom of speech. The first section seeks to identify the obligations stemming from the EU legal system, the institutional mandate of which is to harmonise criminal legislation of Member States by setting some basic common elements. Notably, the impact on domestic systems of the Framework Decision 2008/913/JHA on racism and xenophobia shall be assessed. The second part of the present research shall turn to the jurisprudence of the ECtHR to examine the relationship between Holocaust denial as a crime and the right to freedom of expression, with a view to deducing the principles with which States have to comply in the criminalisation of this kind of utterance. The overall goals shall be to identify: a) the interactions between these two systems; b) whether their policies on denialism may be better portrayed in terms of contrast or mutual support; c) the legal nature and content of the obligations originating for the Member States; d) whether a Europe-wide criminal prohibition on denialism appears likely to occur, whether it would be desirable and, if so, under which conditions.
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TROMBETTI, OLGA. « L'UNIFORMAZIONE DEL DIRITTO PRIVATO EUROPEO : IL PROBLEMA DEI PRINCIPI GENERALI, CON PARTICOLARE RIGUARDO AL SISTEMA GIURIDICO ARGENTINO ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2013. http://hdl.handle.net/2434/217945.

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Résumé :
La tesi analizza i principi generali del diritto privato europeo, così come elaborati nei principali progetti di uniformazione quali la Proposta di Regolamento su un diritto comune europeo della vendita, il Draft Common Frame of Reference, il Code Européen des Contrats. Finalità dell’analisi è quella di verificare se essi, quali valori comuni posti a fondamento degli ordinamenti giuridici europei, trovino o meno effettiva rispondenza nelle scelte di ordine politico-strutturale adottate dalle Istituzioni comunitarie. L’analisi viene svolta in un’ottica di raffronto tra: a) la Proposta di Regolamento su un diritto comune europeo della vendita, presentata dalla Commissione europea al Parlamento ed al Consiglio con la Comunicazione 11 ottobre 2011 n.635; b) il Draft Common Frame of Reference (Bozza di Quadro Comune di Riferimento) presentato tra il 2008 ed il 2009 da una rete di esperti incaricata dalla Commissione europea di redigere un quadro regolatorio di principi, definizioni e regole modello del diritto contrattuale; c) il Code Européen des Contrats, realizzato dall’ Accademia dei Giusprivatisti Europei, da applicarsi ai contratti tra imprenditori, a quelli tra consumatori ed a quelli tra imprenditore e consumatore. Caratteristica del progetto dell’Accademia è che l’opera armonizzatrice si fonda sull'utilizzo di una tecnica di stampo legislativo e conseguente elaborazione non di principi indeterminati ma di regole vere e proprie. Vengono esaminati in particolare i principi generali del diritto contrattuale quali l’autonomia contrattuale, la buona fede e la correttezza, ed il principio di collaborazione. La prima, strettamente connessa alla natura opzionale della proposta presentata dalla Commissione europea, starebbe a fondamento della scelta delle parti dello strumento regolativo da applicare alla negoziazione. Il medesimo principio viene sancito anche dal Code Europeèn des Contrats art. 2 e dal DCFR art. II.-1:102: le parti godono dunque della libertà di determinare il contenuto del contratto o di consentire ad un terzo di determinarlo e altresì stabilire che gli effetti del contratto si dispieghino verso un soggetto non coinvolto nell’attività di negoziazione. Tra i principi generali rileva quello della buona fede, e del suo corollario della trasparenza del contenuto contrattuale, regola fondamentale dell’acquis communautaire. Nel Code il dovere di correttezza è disciplinato dall’art. 6, dove si ha specifico riguardo alla condotta delle parti durante le trattative precontrattuali. Il dovere di informazione, puntualmente disciplinato dal Code all’art. 7, trova applicazione nel corso delle trattative ma anche dopo l’eventuale conclusione del contratto, Il principio viene affermato in via generale anche dal DCFR all’art. I.-1:103, Book I, dove con buona fede e correttezza si intende uno standard di condotta connotata da onestà, chiarezza e considerazione degli interessi della controparte della trattativa o del rapporto in questione. Il dovere di osservare un comportamento conforme a buona fede è in particolare sancito dal DCFR, nel capitolo 3, Book II, «Marketing and pre-contractual duties», rispetto alle trattative individuali, e nella Section 4 del capitolo 9, Book II, con riferimento alle clausole vessatorie. La proposta di Regolamento per un diritto comune sulla vendita, dopo aver introdotto in forma generale il principio di buona fede e correttezza (art. 2), ne disciplina il momento applicativo nella fase delle trattative precontrattuali. Il Capo II, della Parte II, avente ad oggetto la disciplina della conclusione di un contratto vincolante, è infatti intitolato «Informazioni precontrattuali». Rilievo particolare assume anche il dovere di collaborazione tra le parti, sancito in via generale dall’art. 3 della Proposta di regolamento e dall’art. III.-1.104 del DCFR. La verifica dell'effettiva operatività dei principi generali è oggetto di valutazione anche allo scopo di consentire la corretta interpretazione teleologica del corpus normativo di cui essi si pongono a fondamento. Viene, dunque, accertato se oltre alla finalità di miglioramento delle condizioni per l'instaurazione e per il funzionamento del mercato interno, siano riscontrabili – in base ad esigenze solidaristiche, ispirate ad un criterio di giustizia sociale - anche esigenze di tutela dei soggetti cd. Deboli del mercato (consumatori e PMI). In tal senso, il concetto di principio generale viene associato, nel diritto europeo dei contratti, al concetto di diritto fondamentale: così ad esempio il Draft Common Frame of Reference, che dedica un intero capitolo del Libro II al diritto/principio di non discriminazione. Viene infine esaminata la problematica centrale del legislatore attuale, quella cioè di realizzare un diretto collegamento tra i principi ordinanti del diritto dei contratti ed i diritti fondamentali, contenuti dalla Carta europea dei diritti fondamentali. Tre sono le possibilità messe in luce dalla dottrina: a) realizzazione di un diretto richiamo, senza l’esplicita riproduzione di essi; b) interpretazione/applicazione dei testi di diritto privato europeo alla luce di tali principi così come previsti dalla Carta europea dei diritti fondamentali; c) considerazione dei principi fondamentali quali norme imperative. In quest’ultima ipotesi tali norme sarebbero oggetto di futura applicazione. L'analisi sarà approfondita dalla riflessione sul recente progetto di codice civile e commerciale argentino, presentato nel marzo 2012. L'idea offerta dal progetto menzionato è di particolare interesse in vista del processo di unificazione attualmente in corso in Sud America, solo per alcuni aspetti simile a quello europeo.
The thesis analyzes the general principles of European private law elaborated in the uniformization projects of European contract law such as the Proposal for a Regulation on a Common European Sales Law, the Draft Common Frame of Reference, the Code Européen des Contrats. The purpose of the analysis is to check if these principles, as common values of European legal systems, are in compliance with the policies and structural choices adopted by UE Institutions. The analysis is carried out comparing: - the Proposal for a Regulation on a Common European Sales Law - (hereinafter CESL), presented by the European Commission to the European Parliament and the Council with the Communication of 11th October 2011 n. 635; - the Draft Common Frame of Reference, presented between 2008 and 2009 by a networks of experts appointed by the European Commission to draw up a toolbox and a frame of reference containing principles, definitions and model rules of European contract law; - the Code Européen des Contrats, presented by the Academy of European Private Lawyers. The project should to be applied to B2B contracts, to C2C contracts and to B2C contracts. The Code’s peculiarity is that the harmonization is not based on vague and undetermined principles, but rather on the use of a legislative type technique which allows for proposing clear, determined rules. Specific principles, such as freedom of contract, good faith and fairness, cooperation are analyzed. The freedom of contract, strictly connected with the optional nature of Proposal of the CESL, is the basic principle of the parties choice to determine the regulatory instrument of their contract. The same principle is also laid down in the Code Européen des Contrats art. 2 and in art. II.-1: 102 DCFR. The parties can determine the content of the contract, or exercise their freedom to allow a third party to determine the content or they can choose to direct the effects of the contract to a person not involved in it. Between general principles of European contract law detects the good faith, and its corollary the transparency of the contractual content, fundamental rule of the acquis communautaire. In the Code Europèen des Contrats, the general principles of fairness is established by the art. 6, on the precontractual duties. The duty to disclose, governed by art. 7, is applied during the negotiations but even after the conclusion of the contract. The same principles is established by art. I.-1:103, Book I, DCFR, where good faith and fairness are conduct standard characterized by honesty, clarity and consideration of the interests of the other party in the contractual relationship. The duty of good faith is established by the DCFR, in Chapter 3, Book II, "Marketing and pre-contractual duties" with regard to individual negotiations, and in Section 4 of Chapter 9, Book II, with regard to the unfair terms. The CESL introduces the general principle of good faith with its art. 2, setting specific application in precontractual duties in Part II, Chapter 2, about «Precontractual information». Particular attention should have the cooperation, established by art. 3 of the CESL and by art. III.-1104 of the DCFR. The check of effectiveness of general principles is aimed to allow a teleological interpretation of the set of rules, in which they are incorporated. It’s necessary clarify if, in addition to the purpose of improving the conditions for the establishment of the internal market, is possible to comply - on the basis of a solidarity inspired by a social justice criteria - also the needs of protect for the weak subjects of internal market. In this sense, the concept of the general principle is associated, in European contract law, to the concept of fundamental right, as well as in the Draft Common Frame of Reference, where is possible to find a specific chapter of Book II on right / principle of non-discrimination. Finally, the thesis examines the central question of the current legislature, that is how to create a direct link between the principles of contract law and fundamental rights, as referred to by the European Charter of Fundamental Rights. The academics highlight three possibilities: a) a direct reference, without the explicit reproduction of them; b) interpretation / application of the texts of European private law in the light of these principles as laid down in the European Charter of Fundamental Rights; c) qualification of fundamental principles as mandatory rules, necessarily to be applied.The analysis will be deepened by reflection on the recent project of argentine civil and commercial code, presented in March 2012. The idea offered by the mentioned project is of particular interest in view of the unification process currently in South America, only in some respects similar to the European one.
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Vitale, Simona. « L’armonizzazione europea nella lotta al riciclaggio : un’indagine sullo spazio riservato ai diritti e ai principi del diritto penale ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Palermo, 2019. http://hdl.handle.net/10447/374691.

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FACCO, JAVIER HUMBERTO. « Modulaciones operativas de la buena fe en el sistema jurídico romanista ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2009. http://hdl.handle.net/2108/201921.

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Résumé :
Questa ricerca, innanzitutto, si occupa di descrivere criticamente lo svolgimento della buona fede, in alcune delle sue svariate declinazioni operative nel ambito contrattuale, ora come semplice fides nel diritto romano arcaico ora come bona fides (poiché si è verificata la specificazione tecnico-processuale della nozione). La indagine comprende anche le manifestazioni più significative della buona fede durante il diritto medioevale e moderno fino ad includere le grandi codificazioni latinoamericane ed europee entrate in vigore nei secoli XIX-XX. Si esaminano persino le tendenze attuali del principio di buona fede, a partire del analisi dei progetti di armonizzazione legislativa in materia contrattuale (c.d. Lando, Pavia, UNIDROIT, ecc.). La prospettiva che orienta la ricerca cerca di mettere in evidenza le funzioni che effettivamente la buona fede ha svolto durante i diversi periodi considerati. Così, dal punto di vista funzionale, possono distinguersi due ruoli principali della buona fede: a) come limite ed criterio correttore dei comportamenti negoziali tuttora essi si rivelino contrari alle esigenze di lealtà che stanno alla base del diritto dei contratti; b) come principio che serve alla integrazione del contratto propendendo al arricchimento dei suoi effetti, cioè colmando eventuali lacune che possono ostacolare la piena realizzazione della finalità perseguita dalle parti. La metodologia storico-comparativa adoperata non si esaurisce nello studio diacronico e sincronico della buona fede, anzi essa consente di valutare ed individuare le soluzioni più idonee ed adeguate ai bisogni di giustizia che oggi reclamano soddisfazione nella disciplina contrattuale. Peraltro, dato che queste soluzioni sono presenti, in modo esplicito o implicito, nel complesso di esperienze consultate all’interno del Sistema giuridico romanistico, il compito del giurista consiste nella prudente ricerca e scelta di esse. In questo senso, in occasione di esporre le conclusioni finali di questa indagine, si include una sintesi propositiva elaborata con la intenzione di fare un piccolo contributo alle iniziative di armonizzazione legislativa attualmente in corso in America Latina.
This research, in the first place, aims to describe critically the developments of good faith, in some contractual functions, sometimes as a simple fides in a the archaic Roman Law, sometimes as bona fides (after the procedural and technical specification of the notion). The investigation also includes the most significant manifestations of good faith during the medieval and modern law until the great codifications in Latin American and Europe (XIX-XX centuries). Also, it examines current trends of the principle of good faith, from the analysis of projects of harmonization in the contract law field (so-called Lando, Pavia, UNIDROIT, etc.). The perspective that guides the research seeks to highlight the roles that the good faith has played during the different periods. So, from a functional point of view, it is possible to distinguish two main roles of good faith: a) as the limit and corrective standard of negotiation actions, when the parties breach the duties of loyalty which is the basic principle in the contract law; b) as a principle that serves to integration of the contract leant to enrich its effects, filling in gaps that may impede the full realization of the objective pursued by the parties. The comparative-historical methodology used does not drain away in diachronic and synchronic study of good faith, but it allows to take into effect the most appropriate solutions and suitable to meet the needs of justice. Moreover, as all of these solutions are present, explicitly or implicitly, in the whole experience of Roman Law System, the work of the jurists is to study and select them with attention. In this sense, after evaluating the final conclusions of this research, it includes by an executive summary prepared with the intention of making a small contribution to the current harmonization in the contract law field in Latin America.
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PUGLISI, GIUSEPPE. « Legalità convenzionale e crimini internazionali. Contributo allo studio della clausola di Norimberga ». Doctoral thesis, 2019. http://hdl.handle.net/11570/3146768.

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Il lavoro intende approfondire i profili strutturali e applicativi della c.d. clausola di Norimberga, disposizione contenuta all'art. 7, par. 2, C.e.d.u. e relativa ai crimini internazionali. A tale fine, il primo capitolo ricostruisce lo stato del principio nullum crimen, nulla poena sine lege all'indomani del secondo conflitto mondiale, mediante l'analisi delle esperienze di giustizia di transizione più significative: il processo di Norimberga, in sede internazionale, e l'impiego della formula di Radbruch, nell'ordinamento tedesco. Il secondo capitolo prende in considerazione la struttura della previsione convenzionale, con particolare riguardo ai principi generali del diritto riconosciuti dalle nazioni civili e al ruolo da essi rivestito nel moderno diritto penale. Il terzo capitolo, infine, passa in rassegna la giurisprudenza della Corte e.d.u., evidenziando un sostanziale mutamento di paradigma nel modo di intendere il principio di legalità internazionale. All'esito dell'indagine si osserva che il principio di legalità, oramai concepito come diritto fondamentale dell'individuo, attribuisce all'art. 7, comma 2, C.e.d.u. una funzione "mnestico-monitoria". Pertanto, una sua "ri-attivazione" non è più immaginabile, anche in virtù dei progressi compiuti dal diritto penale della comunità internazionale.
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FACHIN, STEFANO. « Il diritto nella prospettiva della Scuola di Marburgo. Principi, relazione, atti ». Doctoral thesis, 2022. https://hdl.handle.net/11573/1662732.

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Il presente studio si propone di analizzare il fenomeno della giuridicità a partire dalle tesi teoretiche sviluppate dalla scuola di Marburgo e dai suoi autori di riferimento (Hermann Cohen, Paul Natorp, Ernst Cassirer). Definito prioritariamente il ruolo (e lo scopo) del diritto che si evidenzia nei percorsi speculativi dei tre filosofi, il presente lavoro si snoda attraverso tre tematiche principali: i principi giuridici (tra cui, i principi "primi'" di libertà e causalità), visti nella loro chiave funzionale in una connotazione logico-trascendentale, enucleati come momenti fondativi del diritto; la relazione giuridica, declinata come relazione di determinazione e di possibilità determinativa in generale; gli atti della giuridicità, osservati come veri punti di emersione del giuridico nell'esistenza sociale, in contrasto con la teorizzazione fenomenologica dell'intenzionalità propugnata da Husserl.
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GUIDI, Arianna. « Il reato a concorso necessario improprio ». Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11393/251080.

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Oggetto del presente lavoro è stata la tematica dei reati a concorso necessario (detti anche plurisoggettivi): una categoria penalistica scarsamente presa in considerazione da parte della dottrina e giurisprudenza più recenti, eppure dai risvolti sistematici di un certo rilievo, in quanto coinvolge profili sia di parte generale che speciale del diritto penale. L’indagine è partita dal piano definitorio e classificatorio: sono state riportate dettagliatamente le diverse tesi dottrinali sviluppatesi sul tema (suddivisibili in due macrocategorie, quella dei sostenitori di una concezione ampia di reato a concorso necessario e quella dei sostenitori di una concezione ristretta dello stesso), nonché le pronunce della Cassazione ritenute maggiormente significative. Un’attenzione particolare è stata dedicata alla delimitazione – in negativo – del campo d’indagine, tracciando le differenze intercorrenti fra i reati a concorso necessario (o plurisoggettivi, a seconda della terminologia impiegata) ed istituti ritenuti erroneamente contigui, primo fra tutti quello del concorso eventuale di persone nel reato. Dopodiché, all’interno del secondo capitolo si è scelto di riflettere sulle questioni maggiormente rilevanti e problematiche attinenti ai reati a concorso necessario impropri: in primis, la ratio che giustifica l’esenzione dalla pena in capo ad un soggetto; secondariamente, la possibilità di punire o meno la condotta tipica, nonché le eventuali condotte atipiche, poste in essere dal soggetto non punibile per mezzo dell’applicazione degli artt. 110 ss. c.p. in funzione incriminatrice. La panoramica di orientamenti dottrinali e giurisprudenziali quanto mai oscillanti e fra loro divergenti su questioni di particolare importanza, non è stata solo funzionale ad offrire al lettore una dettagliata ricognizione in generale, piuttosto, da questa è scaturita una vera e propria esigenza di (ri)considerare l’intera materia in modo organico e chiarificatore. Per tale ragione, nel terzo capitolo è stata introdotta una nuova definizione, in sostituzione a quella maggiormente impiegata da dottrina e giurisprudenza: “fattispecie incriminatrici normativamente plurisoggettive”. Una definizione idonea a ricomprendere tutti quegli illeciti penali che, a livello astratto, presentano caratteristiche simili: il riscontro di una pluralità di soggetti e di condotte quali elementi costitutivi del fatto tipico. Pertanto, si è cercato di individuare i confini della categoria assumendo quale criterio di partenza il piano normativo astratto, in considerazione del fatto che ciò che il legislatore ha scelto di codificare come tipo criminoso è dato dall’insieme degli elementi oggettivi e soggettivi, i quali compaiono nella descrizione della norma incriminatrice. La visione d’insieme ha permesso di non limitare l’attenzione al solo soggetto punibile, bensì di spostarla anche sul soggetto non punibile, il quale, con la sua condotta rientrante fra gli elementi oggettivi del fatto tipico, contribuisce alla configurabilità del reato. Infine, all’interno del quarto capitolo si è proceduto all’analisi dei principali reati classificati da parte della dottrina come a concorso necessario impropri, per verificare, tenuto conto della nuova definizione proposta, se possano o meno essere qualificati come fattispecie incriminatrici normativamente plurisoggettive improprie. Il confronto con la parte speciale ha permesso di evidenziare l’estrema delicatezza dell’operazione d’individuazione di fattispecie incriminatrici normativamente plurisoggettive (in senso lato): anzitutto, perché non sempre la pluralità di soggetti e di condotte costitutive del fatto tipico è oggetto di descrizione espressa, risultando alle volte ricavabile solo a seguito di un attento esame della tipologia e del significato delle parole impiegate dal legislatore; secondariamente, perché alle volte è facile lasciarsi confondere dal piano naturalistico della realtà concreta, mentre l’individuazione di una fattispecie incriminatrice in termini di plurisoggettività normativa dovrebbe avvenire, secondo l’impostazione adottata, a partire dal piano normativo astratto. Da ultimo, ci si è soffermati sul ruolo del soggetto non punibile che tenga rispettivamente la condotta tipica o una condotta ulteriore e diversa da quella descritta, cercando di offrire una possibile soluzione al problema. Nel primo caso, si è concluso per l’impossibilità di applicare l’art. 110 c.p. in funzione incriminatrice, pena la violazione delle garanzie proprie del sistema penalistico. Nel secondo, invece, si è concluso in senso affermativo, precisando che l’interprete è tenuto a prestare attenzione a diversi aspetti, fra cui il tipo d’equilibrio intercorrente fra le condotte dei soggetti parte della fattispecie incriminatrice normativamente plurisoggettiva impropria, nonché l’alterità effettiva della condotta atipica rispetto a quella descritta, pena la violazione dei principi di legalità, tipicità e certezza del diritto.
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