Thèses sur le sujet « Poesia italiana contemporanea »

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1

FIORILLO, Alessandro. « Pasolini in controluce. Cinema, poesia, prosa ». Doctoral thesis, Scuola Normale Superiore, 2021. http://hdl.handle.net/11384/109484.

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2

Steffan, Paolo <1988&gt. « Una poesia di resistenza. Luciano Cecchinel tra ecologia e letteratura ». Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2014. http://hdl.handle.net/10579/4270.

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Résumé :
Uno studio della produzione dialettale e in lingua di Luciano Cecchinel, con particolare attenzione all’ultima raccolta “Sanjut de stran”, un percorso attraverso i referenti arborei e umani, alla ricerca delle istanze basilari della sua poetica e dei modelli più o meno espliciti, da Whitman a Pascoli, da Thoreau a Pasolini, con specifici affondi nei rapporti con Andrea Zanzotto, per arrivare a scoprire la persistenza di una vena resistenziale ed ecologica, che consente di leggere il poeta di Revine-Lago alla luce di linee ecocritiche di respiro globale, nell’era del disastro climatico. In appendice, una sezione fotografica restituisce visivamente alcuni dei paesaggi incontrati nello svolgimento.
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3

Giglio, Lorenzo <1988&gt. « «Il verso gettato al vento». Sulla poesia di Tommaso Landolfi ». Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2014. http://hdl.handle.net/10579/4452.

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Résumé :
Il presente lavoro si concentra sulla produzione poetica di Tommaso Landolfi che, pubblicando nel corso degli anni settanta le raccolte di liriche Viola di morte (1972) e Il tradimento (1977), porta a compimento un iter artistico estremamente variegato. La sua produzione letteraria comprende infatti, fino agli anni settanta, oltre a magistrali prove nel campo della narrativa (con la pubblicazione di racconti, romanzi ed elzeviri), anche incursioni nel teatro e sporadici tentativi nel campo della poesia in versi. La tesi, dopo aver descritto il rapporto e l'avvicendamento tra prosa e poesia all'interno dell'opera landolfiana, indaga le principali tematiche affrontate nelle due raccolte poetiche (come il linguaggio, la morte, la donna), le confronta con quelle ricorrenti in tutto il resto della produzione dello stesso, e tenta di individuare nella letteratura italiana e straniera, alcune fonti plausibili della sua poetica.
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4

PORTESINE, CHIARA. « Lo statuto dell’ecfrasi nella poesia della Neoavanguardia (1956-1979) ». Doctoral thesis, Scuola Normale Superiore, 2022. https://hdl.handle.net/11384/125223.

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5

FANTINI, SILVIA. « Il discorso metapoetico, metalinguistico e metatestuale nella poesia italiana del secondo Novecento e contemporanea ». Doctoral thesis, Università degli studi di Genova, 2021. http://hdl.handle.net/11567/1055938.

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Résumé :
This dissertation explores the metapoetic, metalinguistic and metatextual discourse along the Italian late 20th century and contemporary poetry. The first chapter carries out an examination of the terminology in use and an overview of the studies performed to date. It also presents the method employed, which consists, firstly, in mapping the metapoetic, metalinguistic and metatextual vocabulary of the whole poetic work of an author; and, secondly, in conducting a stylistic analysis of the poems including the characteristic terms of their poetry. In the following chapters this method is applied to the poetic works of Andrea Zanzotto, Adriano Spatola, and Vittorio Reta. Each monographic study covers one specific phenomenon, which is also investigated in the corresponding chapter of comparison. These last sections are respectively related to Giovanni Giudici; Corrado Costa, Giulia Niccolai, and Patrizia Vicinelli; Edoardo Sanguineti. In conclusion, the final chapter compares the stylistic devices and the intertextual references previously pointed out.
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6

Maccari, Chiara <1996&gt. « La figura femminile nella poesia crepuscolare : Guido Gozzano e altri poeti ». Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2021. http://hdl.handle.net/10579/19878.

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Résumé :
La tesi intende affrontare la figura femminile nella poesia crepuscolare: nella prima parte verranno esaminate le "Signore e Signorine" del poeta crepuscolare per eccellenza, Guido Gozzano, per poi soffermarsi sull'influenza che quest'ultima ha esercitato nei poeti del primo Novecento (quali Carlo Vallini, Giulio Gianelli, Nino Oxilia, Carlo Chiaves), andando a sottolineare le affinità e le divergenze che si possono incontrare tra le donne di questo vasto universo femminile. La tesi infine, facendo un rapido confronto tra due poesie caratteristiche (una di Guido Gozzano e una di un'altro poeta), toccherà i poeti che sembrano essere stati maggiormente influenti nella creazione della donna gozzaniana, quali Carlo Vallini, Giulio Gianelli, Cosimo Giorgieri Contri e Amalia Guglielminetti.
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7

Annovi, Gian Maria <1978&gt. « Altri corpi : temi e figure della corporalità nella poesia degli anni Sessanta ». Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2007. http://amsdottorato.unibo.it/32/1/Tesi_di_Dottorato_di_Gian_Maria_Annovi%2C_Italianistica_anno_2.pdf.

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8

Annovi, Gian Maria <1978&gt. « Altri corpi : temi e figure della corporalità nella poesia degli anni Sessanta ». Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2007. http://amsdottorato.unibo.it/32/.

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9

Catulini, Daria <1987&gt. « Tra "lacune di luogo" e "iperspazi" : poesia, percezione e immaginario in Andrea Zanzotto ». Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2018. http://amsdottorato.unibo.it/8658/1/TESI%20DOTTORATO%20Daria%20Catulini-xxx%20ciclo.pdf.

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Résumé :
Il titolo di questo lavoro, prendendo spunto da un verso tratto dalla raccolta La Beltà e alludendo a una mancanza («lacune di luogo»), intende darsi come dimostrazione di quella idea di negatività messa in luce da Agamben. Sin da subito, quando si studia la poesia di Andrea Zanzotto, ci si trova a dover affrontare una vera e propria topologia dell’irreale, che rende vani i tentativi di impiegare categorie come quelle di Natura o di paesaggio, da sempre considerati peraltro come i topoi prediletti dal poeta. Se da una parte Zanzotto dichiara costantemente l’inappropriabilità della “Cosa”, sia essa il paesaggio o l’essenza della lingua, dall’altra egli si ostina ad indicare la presenza di un reale non pienamente assimilabile al linguaggio.
As exemplified by recent works (Contro le radici; Rootedness; The philosopher’s plant), the image of the root recurs very often in contemporary metaphorology. This figure is used not only in politics in order to communicate a relationship between culture and groundedness, but also in other fields. More precisely, the vegetal metaphor is a paradigm through which contemporary philosophers and writers depict the relation between man and the world. This inquiry starts from Heidegger’s stance. According to him, a valuable work of art has to be rooted in the native land of the artist. The aim of this work is to highlight the controversial aspects of this statement through the work of Andrea Zanzotto. Although he is the most “rooted” poet in Italian literature, his poetics is related to a philosophical questioning that leads to doubt of the interdependence between authenticity and groundedness. Therefore, the discovery of a reality without any center is reflected by peculiar images and figures. The lexicon used to describe is very close to the botanical and geological metaphors used by philosophers like Deleuze, Guattari, Glissant. Thanks to a methodology founded on phenomenology and aesthetics, this survey wants to offer a new interpretation of Zanzotto’s poetry and prose.
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10

Vignati, Sara <1986&gt. « La teoria del piacere di Leopardi Un percorso intellettuale nello Zibaldone tra poesia e filosofia ». Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2013. http://hdl.handle.net/10579/3302.

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11

De, March Silvia. « La passione della realtà ». Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2012. http://hdl.handle.net/11577/3423612.

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Résumé :
The research has investigated the system in a mainly thematic way by tracking elements of mimesis in contemporary Italian poetry after the threshold of the new Millennium: places, tools, social figures, neo-coined terms, references to public events or to influences on the private sphere by economy and society. A realistic composition was not relevant in a descriptive sense: the various elements have become interesting when they have become a sign of the changes in the perception of reality by mankind. In the best cases their inclusion in the fabric of poetry is not only aiming to update the decor of the background of an lyrical-subjectivist action, and indeed those terms drawn from contemporary reality establish dialectics and dynamics which for some people are introspective, while for others are extra-projective until reaching real extra-subjective movements. Their instrumental function is then substantial, in order to escape from lyric speculation. The first part of the research, which is dedicated to the periodization of the Twentieth Century up to its extreme conclusion, allows us to place the compositions emerging after the new Millennium in their otherness or similarity compared to the previous background, both from the anthropological-perceptive and the stylistic point of view. In the second part I tried to reconstruct the meaning and the evolution of the concept of engagement, which has committed beyond measure many compositions that were looking out for what is real and which today can be re-used, if cleared from a definition which is exclusively ideological, nurtured by political or fideistic considerations. Even today it is possible to talk about engagement, passion for reality or commitment of the composition where these challenge the alienating and anomic aims of mass society through forms, not leaks, of attention for reality shaped by an ethical commitment. Once the meaning of a "poem committed to reality" is made clear, this is proposed as a possible solution to bring back poetry (or rather the lyric) from a marginal position to a new social position. Pusterla, De Signoribus, Magrelli are an emblematic example of this. Finally, monitoring and benchmarking of emerging voices led to define a small standard of contemporary poets: Gian Maria Annovi, Adriano Padua, Sara Ventroni, Giovanna Frene are the leading exponents of a miscellany of testimonies brought together by a similar inspiration towards reality. The case history was screened, both by a filter of ethical relevance, and by a formal value judgment, which is aware of the essential link existing between form and content. Forms that expressed consistency with the intents and the contents themselves were favored, without dealing with objects and situations of contemporary reality as mere referential elements. From the literary point of view we can find a consonance of style in an "icy" attitude, which is convinced and cohesive in its composition
La ricerca ha condotto un'indagine ad impianto prevalentemente tematico rintracciando elementi di mimesi della contemporaneità nella poesia italiana dopo la soglia del Duemila: luoghi, strumenti, figure sociali, termini di neoconiazione, riferimenti a fatti pubblici o a condizionamenti della sfera privata da parte di economia e società. Non interessava una scrittura realistica nel senso descrittivo: i vari elementi sono risultati interessanti quando spia di mutamenti della percezione della realtà da parte degli uomini. Nei casi migliori la loro inclusione nel tessuto poetico non si limita ad aggiornare l’arredo dello sfondo di un’azione lirico-soggettivistica; anzi, quei termini tratti dalla realtà contemporanea instaurano dialettiche e dinamiche per alcuni introspettive, per altri estroflesse fino a veri e propri movimenti extrasoggettivi. Sostanziale, dunque, è la loro funzione strumentale per fuoriuscire dalla speculazione lirica. La prima parte della ricerca, dedicata alla periodizzazione del Novecento fino alla sua estrema conclusione, consente di collocare le scritture emergenti dopo il Duemila nella loro alterità o filiazione rispetto al backgrund precedente, sia da un punto di vista antropologico-percettivo che stilistico. Nella seconda parte si è cercato di ricostruire il significato e l’evoluzione del concetto di engagement, che ha ipotecato oltre misura molte scritture attente al reale e che oggi può essere riutilizzato se sdoganato da una definizione esclusivamente ideologica, nutrita da corrispettivi politici o fideistici. Ancor oggi si può parlare di engagement, di passione per la realtà o di impegno della scrittura laddove questa sfidi le mire alienanti e anomiche della società di massa attraverso forme, non fughe, di attenzione al reale plasmate da un impegno etico. Fatta chiarezza sul significato di una “poesia impegnata nel reale”, questa viene proposta come possibile soluzione per ricondurre la poesia (o meglio la lirica) da una posizione marginale a una nuova collocazione sociale. Ne sono emblematici, esempi come Pusterla, De Signoribus, Magrelli. Infine, il monitoraggio e la valutazione comparativa di voci emergenti ha portato a definire un piccolo canone della contemporaneità: Gian Maria Annovi, Adriano Padua, Sara Ventroni, Giovanna Frene sono esponenti di punta di una miscellanea di testimonianze accomunate da un simile afflato nei confronti della realtà. La casistica è stata passata al vaglio, oltre che da un filtro di rilevanza etica, da un giudizio di valore formale, consapevole di un imprescindibile nesso tra forma e contenuto. Sono state predilette forme che esprimessero coerenza con gli intenti e con i contenuti stessi, senza trattare oggetti e situazioni della realtà contemporanea come meri elementi referenziali. Dal punto di vista letterario si è rilevato una consonanza stilistica in un’attitudine “algida”, persuasa e coesa nella propria scrittura
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DI, MARIA RAFFAELLA. « Poesia ai margini : Luigi Pirandello e le cupe gigantesche necessità ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2010. http://hdl.handle.net/2108/1436.

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Résumé :
La ricerca, postulando come importante punto di partenza la produzione poetica pirandelliana, vuole indagare come dalla prima arte poetica Luigi Pirandello abbia attinto non solo per dar vita a personaggi e immagini della sua opera successiva, ma anche agli elementi costitutivi della sua poetica. Nella prima parte di questo lavoro vengono presentate le raccolte poetiche di Pirandello pubblicate in volumi o su giornali e riviste attraverso un approccio ermeneutico sostenuto dalle parole dello stesso autore, presenti nei carteggi di quegli anni o attraverso un’analisi intratestuale per meglio contestualizzare i temi delle raccolte e descriverle cronologicamente; successivamente, nel secondo capitolo, si analizzano le liriche ponendole a confronto con la poetica dell’Umorismo mettendo in evidenza tutti quei componimenti che contengono tematiche quali: la dissociazione dell’io, la differenza tra il sentirsi vivere e il lasciarsi vivere, la perplessità e la riflessione; infine, con l'ultimo capitolo, si è cercato di giustificare il ritorno dell’autore alla poesia accostando il primo Pirandello poeta all’ultimo Pirandello poeta drammatico con un confronto tra le poesie giovanili e La nuova colonia, il Lazzaro e I giganti della montagna del maturo Pirandello, per offrire una riprova dell’importanza che la poesia ha rappresentato per l’autore nel corso di tutta la sua produzione artistica. Il titolo del lavoro non a caso ha voluto problematizzare il concetto della marginalità dell’opera poetica di Pirandello che può essere intesa come elemento relativo rispetto a qualcosa che ha più valore, e in questo caso si rientrerebbe nella sfera della critica che vede l’opera poetica dell’Agrigentino come qualcosa di inferiore rispetto alla produzione successiva. Ma parlare di margini significa, però, anche vedere qualcosa in cui è racchiuso qualcos’altro e in questo senso si rivaluta la poesia di Pirandello intravedendo in essa qualcosa che circonda, racchiude l’intera opera e, spesso, la alimenta. Partendo, infatti, da Mal giocondo, prima raccolta poetica e arrivando ai Giganti della montagna, che non a caso è il mito della poesia, si vuole offrire un sostegno a tutte quelle posizioni critiche che hanno trovato nella marginalità della poesia pirandelliana un plusvalore. L’analisi si propone proprio di mettere in risalto la circolarità dell’opera pirandelliana e il riuso di temi cari alla vita e all’ arte dell’Agrigentino, a partire però dalla poesia, attraverso proposte critiche e rinvii intratestuali sorretti da documenti, lettere, taccuini, articoli e interventi, per dare un contributo critico utile a legittimare nuovamente la poesia di un grande autore del Novecento che tanto successo ebbe come novelliere, romanziere e drammaturgo.
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Serio, Stefania <1997&gt. « «I suoi mondi, i suoi sfondi, i suoi sogni nei bordi dei fogli» Rap come poesia nella musica di Murubutu (Alessio Mariani) ». Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2022. http://hdl.handle.net/10579/21596.

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Résumé :
Il presente elaborato intende svolgere un’analisi tematica della produzione musicale di Murubutu (Alessio Mariani) a partire da una riflessione teorica che pone al centro la relazione tra musica e poesia. Dopo aver ripercorso la genesi e lo sviluppo del genere rap nel corso degli anni, verrà analizzata la scrittura di Murubutu a partire da alcune considerazioni riguardanti la tecnica dello storytelling, per poi passare ad una riflessione sulle teorie della narrazione e della ricezione applicate alla musica. La tesi si prefigge infine di svolgere un’analisi di tipo tematico di alcuni motivi e situazioni ricorrenti nella scrittura musicale di Murubutu. Si partirà analizzando la struttura degli album, concepiti come veri e propri racconti, per poi approfondire le tematiche specifiche di ogni singola raccolta musicale e gli altri contenuti ricorrenti all’interno della produzione dell’artista.
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RAMPAZZO, ELENA. « La poesia di Paolo Buzzi dagli esordi al Poema dei Quarantanni : temi e tensioni liriche fra tradizione e Futurismo ». Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2011. http://hdl.handle.net/10280/1036.

Texte intégral
Résumé :
La tesi analizza la poesia di Paolo Buzzi dalle "Rapsodie leopardiane" al "Poema dei Quarantanni" (1898-1922), individuando temi e strategie liriche presenti in tutto l'arco temporale esaminato. Poiché Buzzi è noto come poeta futurista, si analizza in particolare la sua produzione riferibile all'avanguardia, per comprendere come egli, considerate le istanze della prima raccolta, abbia inteso il futurismo.
The dissertation analyzes the Poetry of Paolo Buzzi from "Rapsodie leopardiane" until "Poema dei Quarantanni" (1898-1922), identifying lyrical themes and tensions present throughout the time period examined. Since Buzzi is known as a futurist poet, the dissertation analyzes in particular its production attributable to the forefront, to understand how he, considered instances of the first collection, was the intention of futurism.
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RAMPAZZO, ELENA. « La poesia di Paolo Buzzi dagli esordi al Poema dei Quarantanni : temi e tensioni liriche fra tradizione e Futurismo ». Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2011. http://hdl.handle.net/10280/1036.

Texte intégral
Résumé :
La tesi analizza la poesia di Paolo Buzzi dalle "Rapsodie leopardiane" al "Poema dei Quarantanni" (1898-1922), individuando temi e strategie liriche presenti in tutto l'arco temporale esaminato. Poiché Buzzi è noto come poeta futurista, si analizza in particolare la sua produzione riferibile all'avanguardia, per comprendere come egli, considerate le istanze della prima raccolta, abbia inteso il futurismo.
The dissertation analyzes the Poetry of Paolo Buzzi from "Rapsodie leopardiane" until "Poema dei Quarantanni" (1898-1922), identifying lyrical themes and tensions present throughout the time period examined. Since Buzzi is known as a futurist poet, the dissertation analyzes in particular its production attributable to the forefront, to understand how he, considered instances of the first collection, was the intention of futurism.
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Fantini, Enrico. « Stili personali. Uno studio della poesia italiana dal 1930 al 1956 ». Doctoral thesis, Scuola Normale Superiore, 2017. http://hdl.handle.net/11384/86096.

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Bergamin, Maddalena. « Il corpo nella lettera. Le tracce del femminile nella poesia italiana contemporanea : le voci di Anedda, Cavalli e Gualtieri ». Thesis, Paris 4, 2017. http://www.theses.fr/2017PA040158.

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Résumé :
Le travail de recherche ici présenté porte sur l’analyse de l’écriture poétique de trois femmes écrivains italiennes contemporaines : Antonella Anedda (1955), Patrizia Cavalli (1947) et Mariangela Gualtieri (1951). Nous avons décidé d’aborder ce corpus sur la base de certains acquis théoriques de la psychanalyse lacanienne. L’hypothèse de départ repose sur l’idée que le texte poétique, en raison de son statut particulier au sein du langage, nécessite d’être interrogé à partir d’une réflexion scrupuleuse à propos de la relation entre inconscient et langage. Nous avons développé une conception du texte poétique qui prend appui sur deux élaborations majeures de Jacques Lacan, à savoir l’inconscient comme espace du sujet manque-à-être et l’inconscient parlêtre. À partir de là, nous avons défini le texte comme lieu de coexistence de deux univers distincts : celui du Symbolique, qui relève du glissement incessant du sujet sur la chaîne signifiante ; celui du Réel, qui relève de la langue singulière, opaque et indéchiffrable qui habite tout être parlant. Il s’est par conséquent avéré nécessaire de questionner en profondeur les problématiques de l’énonciation et de l’interprétation. Le concept lacanien de pas-tout, étroitement lié à la question féminine, nous a guidé dans l’élaboration d’une éthique de la lecture du texte qui vise à ne pas négliger sa dimension réelle, corporelle et irréductible. Nous avons ensuite testé notre approche à travers l’analyse du corpus poétique choisi. Interroger le mode d’énonciation spécifique de chacune des trois poétesses convoquées, nous a permis de donner la parole à trois voix majeures de la poésie italienne contemporaine. Les écritures de Anedda, Cavalli et Gualtieri se sont ainsi imposées non seulement comme trois expériences tout à fait originales dans le panorama de la poésie italienne de ces dernières années, mais surtout comme trois réponses complexes et différentes par rapport à la problématique de la subjectivité contemporaine
The research presented here concerns the analysis of the poetic writing of three contemporary Italian women writers: Antonella Anedda (1955), Patrizia Cavalli (1947) and Mariangela Gualtieri (1951). We decided to approach this corpus on the basis of certain theories of Lacanian psychoanalysis. The starting hypothesis rests on the idea that poetic text, because of its particular status within language, needs to be examined on the basis of scrupulous reflection on the relation between the unconscious and language. We have developed a notion of poetic text that is based on two major approaches by Jacques Lacan, namely the unconscious as the space of the subject manque-à-être and the unconscious parlêtre. From this point on, we have defined the text as the place of coexistence of two distinct universes: that of the Symbolic, which refers to the incessant sliding of the subject on the chain of signifiers, and that of the Real, which is singular, opaque and indecipherable lalangue, which inhabits every speaking being. It has therefore proved necessary to question the issues of enunciation and interpretation in depth. The Lacanian concept of pas-tout, closely linked to the feminine question, has guided us in the formulation of an ethic of reading the text that aims not to neglect its real, corporeal and irreducible dimension. We then tested our approach through the analysis of the chosen poetic corpus. Examining the specific mode of enunciation of each of the three poets referred to has allowed us to give a voice to three major exemples of contemporary Italian poetry. The writings of Anedda, Cavalli and Gualtieri have thus established themselves not only as three completely original experiments in the panorama of Italian poetry of recent years, but above all as three complex and different answers in relation to the issues of contemporary subjectivity
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Grandelis, Alessandra. « «Come un Barbaro indecifrabile» : il tema del barbaro nella poesia e nella narrativa di Pasolini (1950-1975) ». Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2009. http://hdl.handle.net/11577/3426092.

Texte intégral
Résumé :
Pier Paolo Pasolini, undoubtedly one of the foremost literary and intellectual figures of our time, has been subjected to a somewhat misguided assessment of his oeuvre. It is a criticism which forces the eclectic poet into too rigid a category, which has from the outset discarded or at best undervalued not just multiple readings of his work but also his artistic innovations. After a remarkable period of indifference there has been a revival of interest in this writer which can be seen by the increasing number of publications which often confuse biography with literature and favour the former without any particular reason and neglect the merits of the writings themselves. It is therefore with a need to revaluate aspects of Pasolini’s work, liberating it from misconceived interpretations, that this paper will look at the recognition of the theme of the barbarian, or better the “marvellous barbarian” as Pasolini himself describes it, in the lyric and narrative, linking this directly to the writing itself and avoiding any preconceived ideas. This research has its roots in the famous study by Fabien S. Gérard published in 1981, Pasolini ou le mythe de la barbarie, which surveys Pasolini’s cinematic work. Without negating the importance of the barbarian in the films and how this is thematically revealed in its cinematic interpretation, it is necessary to go travel backwards before the history of cinema itself. The aim of this work is to reassess Pasolini’s multifaceted universe of the barbarian examining the poetical and narrative (not the dialectal) body of work which includes the interrelationship between the different artistic forms blended together, the numerous essays, reviews and when necessary the transcriptions of the screenplays and theatrical texts spanning the period between 1950 to 1975. It is between this period that the works are enriched and they renew the “simple” primitivism of Friuli, without being restricted to the periphery of Rome. In order not to betray Pasolini’s intentions it has been better to proceed taking two parallel courses. Firstly, the works of the writers Pasolini mentions himself or alludes to have been read. From this emerges a rich array of interesting personalities and literary tastes, ranging from the decadent and Dionysian influences which go on through the more mature work with its sensitivity towards the fascination of the irrational (mainly Rimbaud and Kavafis) including the ancient poverty of Belli, Tommaseo with his “exquisite coarseness”, as well as the inspirational muse, Morante, the mystery of Banti’s Godoari and Vico’s impressions and the magisterial influences of Leopardi. Furthermore, the opportunity to have access to Pasolini’s personal library, his workshop, preserved in Rome by his heir Graziella Chiarcossi has turned out to be essential for a real comparison between what he had read and his own created works. This type of research has proved to be fascinating because of the care Pasolini took in writing his own marginalia on the essays he was reading and based on this it has been possible to make connections between essays and literature. The anthropological passion, able to capture very well the sense of the primitive, wild and ancestral is reshaped by Pasolini according to the necessities of literature. A great part of this work has attempted to examine the motifs of the barbarian in a concrete and objective manner as it appears in Pasolini’s oeuvre, even starting from the etymology of the word. In this way a large amount of heterogeneous material has been put into a cohesive form and separated into the main themes which are the terminology chosen by the author from the exoticism of some lexical tessere to particular “manias” able to express the yearning for regression, up to the compilation of a “Pasolini Bestiary”; the language and its forms both verbal and of the body; Africa as a symbol of all the Souths of the world and finally the barbarian as a symbol of rebellion against the usual forms of literary expression, by means of new forms of communication. Examining his oeuvre from these perspectives, besides allowing one to address questions still open, has shown the reoccurring theme of the barbarian over time and in unimaginable variations which reveal an organic dimension, oxymoronically flowing with a dualism, positive and negative, of meanings. This has allowed one to read Pasolini’s writing in a refreshing way throwing new insights into the texts which have still much to reveal.
La figura di Pier Paolo Pasolini, di sicuro rilevo nel panorama letterario e intellettuale della nostra contemporaneità, è stata accompagnata da uno strano destino per quanto concerne la critica, che nasce già matura: l’immediata conseguenza di questa precocità è stata la costrizione dell’eclettico poeta dentro paradigmi interpretativi troppo rigidi che, spesso, hanno aprioristicamente scartato o sottovalutato non solo prospettive diverse di lettura dell’opera, ma anche capitoli innovativi della creazione artistica. Dopo periodi di notevole indifferenza, il rinnovato e fervido interesse per lo scrittore, osservato negli ultimi anni, ha prodotto un aumento esponenziale delle pubblicazioni, che sovente hanno confuso biografia e letteratura, e il voler a tutti i costi privilegiare senza ragione alcuna la prima, ha trascurato la concretezza delle parole. Nell’esigenza di una generale rivalutazione dell’opera pasoliniana, liberata da fuorvianti categorie interpretative, il presente lavoro desidera procedere a una ricognizione del tema del barbaro – o meglio, del «meraviglioso barbaro» così come ce lo descrive Pasolini stesso – nella lirica e nella narrativa, dentro l’alveo di quegli studi che si legano in modo indissolubile alla scrittura, senza lasciarsi condizionare da formule stereotipate. La ricerca ha le sue premesse in un noto studio di Fabien S. Gérard uscito nel 1981, Pasolini ou le mythe de la barbarie, che circoscrive il campo di indagine al solo ambito cinematografico. Senza negare quanto la rappresentazione della barbarie sia viva nei film e che una fase cruciale della tematizzazione del barbaro si rilevi nel momento della conversione cinematografica, si è manifestato necessario compiere un percorso a ritroso perché, appunto, il fascino arcaico del barbaro è anteriore alla magia della pellicola. Il lavoro ambisce, dunque, a ricomporre, nella sua colorata varietà, l’universo barbaro di Pasolini con un’analisi sul corpus poetico e narrativo (non dialettale) – a cui si sono affiancate, tenuto conto dell’osmosi che intercorre tra le diverse forme artistiche in cui si è cimentato, le innumerevoli pagine saggistiche, le recensioni e, quando necessario, le trascrizioni delle sceneggiature e i testi teatrali – compreso nell’arco cronologico che si estende dal 1950 al 1975: è in questo intervello temporale che la riflessione si arricchisce, con nuovi contributi al “semplice” primitivismo friulano e, nel contempo, senza rinchiudersi nel perimetro dell’inferno della Roma periferica. La volontà di non tradire gli intenti dell’autore, ha consigliato di procedere a un recupero delle fonti pasoliniane attraverso due strade parallele. Come prima cosa, si sono interrogati i testi, con un lavoro sui nomi citati o che si potevano chiaramente intuire, da cui è emersa una galleria ricca di personalità e di gusti letterari: dai primi influssi decadenti e dionisiaci che si protrarranno fin dentro gli esiti più maturi con la loro spiccata sensibilità verso il fascino dell’irrazionale e la felicità delle origini (sopra tutti Rimbaud e Kavafis), sino a comprendere la miseria arcaica del Belli, Tommaseo con la sua «rozzezza squisita», per poi approdare all’ispiratrice Morante, al mistero dei Godoari della Banti, alle suggestioni vichiane e agli apporti, anche in questo ambito, del magistero leopardiano. Inoltre, la possibilità di visionare la biblioteca personale di Pasolini, conservata a Roma dall’erede Graziella Chiarcossi, ha consentito di entrare nell’officina dello scrittore che si è dimostrata essenziale per un confronto reale tra testi letti e opera. Questo tipo di ricerca, qui al suo stadio aurorale, si è rivelata di massimo interesse; vista la cura pasoliniana nell’ “imprimere” la propria curiosità e interesse sulle pagine dei volumi saggistici, è stata fatta una selezione tra questi e si è istituito un rapporto diretto – testimoniato da un apparato iconografico – tra letteratura e saggi. In particolare, le passioni antropologiche, per loro natura in grado di catturare molto bene il senso del primitivo, del selvaggio e dell’ancestrale, vengono plasmate da Pasolini a guisa delle esigenze della letteratura. Poiché un tema, così quello del barbaro, lo si suppone, si è quindi voluto riservare una corposa parte del lavoro all’individuazione nell’opera – presa nella nuda oggettività – di motivi concreti legati alla sfera del barbaro, a partire dagli spunti offerti dall’etimo della parola. In questo modo, la grande quantità di materiale eterogeneo ha trovato un ordine, con l’individuazione degli argomenti principali: le pure scelte terminologiche operate dall’autore, dall’esotismo di alcune tessere lessicali, a particolari “manie” descrittive capaci di esprimere l’anelo alla regressione, sino alla compilazione di un “bestiario pasoliniano”; il linguaggio e le sue forme, quelle verbali insieme a quelle del corpo; l’Africa come simbolo di tutti i Sud del mondo; e infine il barbaro inteso come esigenza di ribellione alle usuali forme di espressione letteraria per ricercare, mediante lo straniamento stilistico, nuove possibilità di comunicazione. Lo scandagliare l’opera con questi presupposti, oltre a permettere di entrare in questioni interpretative ancora aperte, ha evidenziato la persistenza del tema del barbaro nel tempo e nelle variazioni più impensabili: esso mostra una sotterranea dimensione organica che vive, si radica sempre più evolvendosi, in un ossimorico e sempre nuovo dualismo di significati, positivo e negativo. Questo ha permesso di entrare nei testi con una prospettiva nuova che vorrebbe dare ossigeno alla scrittura di Pasolini, che ha ancora molto da regalare.
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RUSSO, ALBERTO. « LA POESIA DI ANDREA ZANZOTTO E IL REGISTRO LACANIANO DEL REALE ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2017. http://hdl.handle.net/2434/471113.

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Résumé :
This research aims to realize a critical reading of the work of the Italian poet Andrea Zanzotto through the perspective of the Lacanian Real. What is Lacan’s Real? The real is a domain that is outside language, “that which resists symbolization absolutely” (Lacan). The work is composed of three parts. In the first one, we shall go through the poetical itinerary in order to describe the relationship of the poet with the fundamental object of his poetical universe: the landscape. In the second part, entitled Textual analysis, we shall verify the hypothesis of the first part on four single texts, describing particularly the typical unstructured textuality of Zanzotto’s poetry. In the last part, we shall both pay attention on Zanzotto’s idea of reading and on the idea of the paratext. At this level, the analysis shows us the changes of the structural shapes facing the void and the lack of meaning from another point of view.
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Ottieri, Alessandra. « "Infanzia infera". Il mondo poetico-pittorico di Toti Scialoja ». Doctoral thesis, Universita degli studi di Salerno, 2014. http://hdl.handle.net/10556/1850.

Texte intégral
Résumé :
2011 - 2012
L’immagine che a tutt’oggi si ha di Toti Scialoja è quella di un pittore professionista, tra i più quotati esponenti dell’espressionismo astratto italiano, animato da «una grande voglia di poesia», come recita il titolo di un importante scritto auto-esegetico degli anni Ottanta. Si tratta di un’immagine semplicistica e pregiudiziale che fa torto al poeta e limita la piena comprensione del pittore, la cui attività artistica è strettamente correlata con quella poetica. Se confrontiamo le date, e crediamo a quanto ci ha raccontato nel corso degli anni lo stessoScialoja, la passione per la letteratura addirittura precede quella per la pittura («Ho cominciato a scrivere poesia verso i dieci anni. Erano strofette comico-grottesche, per lo più concentrate sugli animali. Sono stato pascoliano, crepuscolare, a diciott’anni ero innamorato di Ungaretti, a venti fui ipnotizzato da Mallarmé»). Tuttavia il giudizio sbrigativo e crudele di un amico “competente” (al quale il giovane Toti sottopone le sue prime prove poetiche) lo induce a cambiare rotta e a “virare” verso la pittura che dopo i vent’anni diviene l’interesse predominante. Scialoja, quindi, abbandona temporaneamente la poesia, ma continua a scrivere, pubblicando numerose recensioni e cronache d’arte su «Mercurio» (dopo la Liberazione) e più tardi su «Immagine» di Cesare Brandi. Il ritorno alla poesia si compie solo nel 1961, quando Scialoja, ormai artista affermato, si trasferisce a Parigi dove risiede fino al 1964. A partire da quegli anni il percorso poetico di Scialoja procede parallelamente a quello pittorico, caratterizzato quest’ultimo da una costante ricerca di nuovi stimoli e linguaggi, da continue “crisi” e “rinascite” che scandiscono un itinerario sofferto, articolato in almeno quattro fasi principali. Gli anni Trenta-Quaranta sono quelli dell’esordio, in cui l’artista frequenta l’ambiente della Scuola romana di Scipione e Mafai e si muove nell’alveo di un figurativismo di tipo morandiano. Gli anni Cinquanta sono quelli decisivi, della “svolta”: Toti si accosta alle sperimentazioni cubiste, approdando ad un nuovo concetto di spazio inteso come luogo della coscienza, dell’«esistere» fuori dalla contingenza temporale. Dopo il soggiorno a New York (1956-57), Scialoja rinuncia anche alla profondità ingannevole della prospettiva (con la sua illusione di trascendenza), preferendo la verità nuda e cruda della superficie «intesa […] come unico spazio e unico tempo possibile: il presente temporale, su cui inscrivere la traccia dell'esistenza, il ritmo […]» (Barbara Drudi). Abbandonato il pennello, l’artista imprime direttamente il colore sulla tela con fogli o stracci intrisi di pigmento alla maniera degli action painters statunitensi; tuttavia Scialoja sfugge all’automatismo assoluto di matrice surrealista, dei colleghi d’oltreoceano e riconduce la violenza anarchica del “gesto” all’interno della forma. Il gesto ribelle, infatti, trova un «freno» nella chiusura dell’“impronta”. A partire dal 1958 le “impronte” si moltiplicano sulla tela e si susseguono sulla superficie, con ritmo cadenzato. È proprio nell’ossessiva ricerca del ritmo – che in pittura significa riprodurre, attraverso la ripetizione dell’immagine stampata, l’assolutezza temporale dell’“evento” – che si riscontra una perfetta consonanza tra Scialoja pittore astrattista e Scialoja poeta, che negli anni Sessanta scrive molte delle sue poesie nonsensiche. Il ritmo, che sulla superficie della tela è ottenuto con la sequenza seriale delle “impronte” impresse secondo una precisa scansione temporale, è ricercato e ottenuto in poesia attraverso la sonorità martellante delle parole scomposte e anagrammate e il gioco insistito delle allitterazioni e delle rime. Il «metodo puramente linguistico automatico» che sorregge il gioco delle sillabe in poesia, corrisponde in pittura all’automatismo psichico delle “impronte" che si rincorrono e sfumano sulla tela. In entrambi i casi il dato naturalistico-referenziale è cancellato e si procede – con i colori così come con le parole – verso la creazione di una realtà altra, astratta, nonsensica, e dunque profondamente eversiva rispetto a quella data. Negli anni Settanta giungono i primi riconoscimenti autorevoli che “sdoganano” Scialoja poeta, ma sono anche gli anni più difficili per Scialoja pittore, segnati dalla ripresa dei moduli geometrici da tempo abbandonati e dal ritorno all’uso del pennello. Ma un viaggio a Madrid nel 1982 e la conseguente scoperta della forza espressiva della pittura di Goya inducono Scialoja a compiere la sua ultima, e definitiva, “metamorfosi”, da intendersi non come “strappo” rispetto alle esperienze passate, ma come naturale evoluzione e approfondimento delle precedenti “incarnazioni”. Nei dipinti della metà degli anni ’80 Toti ritrova, infatti, l’immediatezza e la spontaneità del “gesto” approdando definitivamente ad un espressionismo astratto in cui la superficie della tela (nuovamente di grandi dimensioni) viene “aggredita” fisicamente dalla mano, dal braccio del pittore, riempiendosi di macchie, di segni e colature di colore (secondo la tecnica del dripping). Le opere di Scialoja, ora, esprimono un’ansia di emancipazione totale da ogni forma di rappresentazione naturalistica, un desiderio di astrazione e di sintesi, un bisogno irrefrenabile di libertà espressiva che esploderà con ancora maggiore vitalismo nelle ultime tele degli anni ’90. Ora cos’è in realtà il nonsense? Né le stravaganze del Burchiello, né più tardi Lorenzo Lippi e Ludovico Leporeo coi loro bisticci allitterativi possono essere fatti rientrare nella sfera del nonsense. Con queste poche, ma convinte, parole Scialoja liquidava, nel 1986, ogni possibilità di far risalire alla tradizione burchiellesca (e, quindi, italiana e medievale) la sua passione per la poesia nonsensical e indicava in Lear e Carroll gli autori prediletti dell’infanzia e della prima giovinezza. Tuttavia, anche se Scialoja comprensibilmente prende le distanze dalle «stravaganze» del Burchiello e dai «bisticci allitterativi» dei poeti barocchi, preferendo apparentare la propria poesia con quella di area anglosassone, in anni recenti è emersa la possibilità di tracciare una mappa più antica e soprattutto italiana del nonsense che avrebbe la sua nascita ufficiale proprio nei sonetti del Burchiello che tanta fortuna ebbero nella seconda metà del ’400 e in tutto il ’500, in Italia e all’estero, in Inghilterra, in Spagna e in Francia. In Italia tuttavia la pesante eredità classicista e l’“eccesso di serietà” della nostra cultura ufficiale, cosiddetta “alta”, hanno in un certo senso bloccato il libero fiorire di una tradizione letteraria nonsensical. Alessandro Caboni ha tentato di individuare e circoscrivere un «filone carsico» della letteratura nonsensical in Italia che da Burchiello si snoderebbe attraverso Folengo, Berni, i poeti barocchi Giulio Cesare Croce e Anton Francesco Doni fino a Giambattista Basile. Ma è nel Novecento che quel filone semi-clandestino sembrerebbe venire alla luce ed entrare di diritto nel canone della letteratura ufficiale con Palazzeschi, Petrolini, Landolfi. Andrea Afribo avrebbe addirittura individuato tracce di nonsense in Montale, Caproni, Nelo Risi, Zanzotto. Ma preferiamo non allargare a dismisura la nozione di nonsense e restare nell’ambito di una nozione più ristretta del genere, per cui ci sembra più che mai giustificata l’affermazione di Italo Calvino che, al principio degli anni Settanta, indicava in Toti Scialoja l’unico caso italiano di poeta nonsense. Scialoja comincia a scrivere le sue poesie-filastrocche durante il soggiorno parigino degli anni 1961-1963. È dalla capitale francese, infatti che Scialoja indirizza al nipotino James lettere ricche di versi giocosi e scioglilingua Nel corso degli anni Settanta escono 5volumi di poesie (nati in un periodo di stasi sul piano della ricerca pittorica) che raccolgono l’intera produzione nonsensical di Scialoja, che si colloca negli anni 1961-1979. Sono poesie brevi, a volte di soli due versi accompagnati quasi sempre da disegni ingenui, volutamente infantili, alla maniera dei nonsense rhymes and pictures di Edward Lear, caratterizzati appunto dalla commistione di poesia e immagini. Le poesie “giocose” di Scialoja sono contrassegnate dal gioco insistito delle rime, delle allitterazioni, delle consonanze e assonanze, delle parole spezzate, ribaltate, anagrammate che creano «paesaggi di parole», popolati da bizzarri animali: topi, zanzare, lepri, tartarughe, corvi, rinoceronti, marmotte, ecc. Animali che parlano, danzano, mangiano, litigano animati dagli stessi comportamenti, vizi e virtù degli uomini. A ciascun animale è associato il nome di una nazione, di una città, di una piccola località, ma sono nomi scelti dal poeta solo per il loro potere evocativo, per la loro particolare sonorità e dunque per salvaguardare il gioco fonico e ritmico dei versi (i topi alle Termopili, le marmotte sul Mar Morto, le cimici in Cina o a Micene, la triglia di Marsiglia, la lucciola a Casamicciola, la mucca di Lucca, e così via). Non solo i luoghi, ma anche gli atteggiamenti, i sentimenti e le azioni degli animali sono dettati dalla fonetica del nome, come nel caso della «sarta tartaruga» che «non sogna che la fuga»,della«savia salamandra» che «siede sola in una sala /dove regna la penombra» e poi di una lunga serie di insetti dal comportamento anomalo: dalla zanzara sbronza, all’ape apatica, alla vespa pesta e così via. Il segreto di questi versetti è tutto nella particolare sonorità, nella “parola-melagrana” che contiene in sé e fa germinare i semi sillabici di tutte le altre. Ma il gioco linguistico di Scialoja non va interpretato come semplice girotondo di parole, virtuosismo verbale privo di implicazioni semantiche, è semmai «musica concettuale» generatrice di sensi plurimi che a volte possono “scartare” in direzioni alternative rispetto alle attese di chi legge e anche rispetto alle intenzioni iniziali di chi scrive. È la parola-suono che «accende l’epifania», che sprigiona significati inattesi, ma solo a patto che essa sia priva di «esperienza vissuta e personalistica», priva di «sofferenza lamentata», priva «di lordura». La parola della poesia non può essere quella logora, puramente connotativa, del linguaggio comune, né quella consunta, sovraccarica di memoria, propria della tradizione letteraria, deve essere parola “smemorata”, priva di sovrastrutture, di significati sedimentati, che ritrova il suo peso, la sua consistenza primitiva; è quindi pronta ad essere catturata e manipolata dal poeta, scomposta nei suoi semi sillabici e combinata con altre in virtù delle sue qualità puramente sonore. Quando parla di «smemoratezza» della parola o «infanzia della parola», tuttavia Scialoja sa di poter dar luogo a fraintendimenti. Da qui l’esigenza di chiarire, di meglio specificare il suo pensiero. Nulla a che vedere con il fanciullino pascoliano. L’infanzia di cui parla Scialoja non è luogo edenico, spazio della fantasia innocente, del riso, del gioco, della leggerezza, bensì «infernale regno delle apparizioni», insieme paradiso e inferno mescolati in un presente assoluto. Il bambino non ha coscienza della morte, conduce in modo “sfrontato” la sua esistenza («sfrontata perché aliena di morte»), vive ogni situazione con la massima intensità, non fa differenza tra il sogno e la realtà e si muove con disinvoltura tra le creature misteriose ed inquietanti che egli stesso è capace di suscitare. Ma non è forse questo l’identikit di Alice, lo straordinario personaggio uscito dalla penna di Lewis Carroll? Alice è catapultata in un mondo affascinante e terribile, si aggira tra personaggi stravaganti – animali e esseri umani sfuggenti o enigmatici o crudeli – senza minimamente scomporsi dinanzi all’assurda logica dei loro insensati ragionamenti. Gli animali che popolano le poesie nonsensiche di Scialoja, che compongono il suo fantastico bestiario, appartengono allo stesso mondo labirintico e allucinato di Alice, potrebbero tranquillamente stare in compagnia del Bianconiglio, di Bill la lucertola, del gatto del Cheshire, della lepre marzolina o del bruco blu che fuma il narghilè. Sono animaletti cinici o crudeli che divertono con i loro atteggiamenti folli ma non inteneriscono, appaiono e scompaiono dall’orizzonte visivo del lettore, spesso pronunciando frasi sconnesse. Gli animali di Scialoja fanno sorridere perché i loro comportamenti scartano dalla norma, sono inquietanti e maliziosi come la strana «bestia» di Ostia «coperta di nafta / che sputacchiava e basta», o come i «pessimi» passeri di Campobasso che con superbia militaresca «marciano tutti al passo / e soffiano nei pifferi / inciampando a ogni sasso», oppure come la «scema e maligna» scimmia di Signa che «appena mi vede / si copre col piede / il grugno e digrigna / i denti di mummia» (ivi, p. 82). Vi sono insetti che ammiccano al lettore e lo disorientano con i loro contegni imprevedibili e addirittura cani che si sbronzano al bar, litigano, o fumano il sigaro. Il nonsense, insomma, è un genere letterario «legato strutturalmente all’infanzia della parola», capace di produrre «una sorta di logica altra, che procede verso l’assurdo, una cancellazione del dato cognito», ma – e qui Scialoja mette in guardia i lettori meno avvertiti contro ogni tentativo di riduzione semplicistica e denigrativa – «chi interpreta la poesia nonsense come balordaggine, buffoneria, accozzaglia di termini eterogenei va fuori strada». Il gioco delle parole anagrammate o delle aggregazioni sillabiche mette in crisi il senso comune del lettore minacciando le fondamenta della sua logica cartesiana, costringendolo ad abbracciare una logica alternativa che «si affida ad un’idea allucinatoria del linguaggio». Negli anni ’80 e ’90 diviene più arduo procedere per riscontri e parallelismi: le “due anime” di Scialoja si dissociano e paiono prendere strade divergenti, se non addirittura contrastanti. Il filo che teneva unite l’esperienza pittorica e quella poetica sembra spezzarsi. Identica è l'ansia di rinnovamento e l'entusiasmo con cui l'anziano artista si cimenta in nuove sfide, con se stesso e con la propria arte, mostrando un inesausto desiderio di esplorare la realtà e di entrare in comunicazione con essa – profondamente diverse sono le direttrici del cambiamento. Giovanni Raboni – che ha definito l’artista romano «poeta-pittore dai destini incrociati» – ha interpretato forse nella maniera più semplice e corretta la «perfetta simmetria» esistente tra le due passioni di Scialoja, individuando nella «radicale estraneità al ricatto del senso comune» l’unico vero tratto unificante. All’estrema libertà di espressione e alla totale emancipazione dalla “prigione” della forma, cui giunge Scialoja nella sua ultima stagione pittorica, corrisponde in campo poetico la ricerca di massimo rigore formale e la necessità di calare l’invenzione verbale, sempre strepitosa, in rigide «gabbie metriche». Nemico dichiarato del verso libero, Scialoja compone negli anni Ottanta «poesie di metro molto breve (settenari, ottonari, novenari) e molto sintetiche»: di questo tipo sono le poesie raccolte in Scarse serpi (1983), Le sillabe della sibilla (1983-1985) e i Violini del diluvio (1986-1988). Eppure, verso la fine dei Violini, già appare qualcosa di mutato, di nuovo rispetto al passato: «un rallentamento del ritmo e un allungamento del verso. L’endecasillabo diventa, anche, in certi momenti, dodecasillabo, mai ipèrmetro però, mai sfiorando il verso libero». Una nuova poesia, dunque, dalla «metrica precisa e tuttavia rallentata». Dettagli del passato, larvate presenze femminili, ricordi nostalgici di estati trascorse al mare, cupi presagi di morte sono i nuovi elementi della poesia scialojana di questi anni, nella quale è evidente il «desiderio di raccontare più che di folgorare». Il bisogno di rallentare i tempi, «di raccontare più pacatamente, nei dettagli, cercando di prolungare il racconto», conduce Scialoja, nelle ultime raccolte degli anni Novanta – Rapide e lente amnesie (1994), Le Costellazioni (1997) e il volume postumo Cielo coperto (con poesie del biennio ’97-’98) – a recuperare addirittura l’esametro. In un’intervista rilasciata ad Antonella Micaletti, Scialoja si dichiara incantato dal «ritmo così gestuale e prolungato» di questa speciale forma metrica, ed anche nell’Avvertenza al volume ritorna (e sorprende) l’uso dell’aggettivo “gestuale” (che nella pittura informale, abbiamo visto, è sinonimo di azione cieca ed istintiva, non predeterminata) riferito alla “gabbia chiusa” dell’esametro che letteralmente “imbriglia” le parole nel verso. Imprevedibilità del gesto vs predeterminazione del metro: è, questa, una radicale antinomia che, prima facie, porrebbe l’artista-poeta di fronte alla necessità di operare una scelta, di stare da una parte o dall’altra: libertà o costrizione? In realtà la contraddizione è solo apparente se consideriamo il nuovo modo – consapevole e “controllato” – di intendere il gesto da parte di Scialoja pittore che, pur riprendendo, negli anni Novanta, la poetica esistenziale dell’espressionismo astratto di matrice americana, ne rinnova le premesse attraverso una personale opera di chiarificazione e di razionalizzazione. Come l’azione del pittore è tanto più libera quanto più è consapevole e “controllato” il suo gesto, così il poeta può raggiungere un’autentica libertà espressiva solo attraverso l’assunzione di regole che incanalano i suoni e i significati delle parole nella direzione da lui voluta. Ecco allora che nei versi delle ultime raccolte scialojane sono proprio i rigidi schemi della metrica barbara a rendere “gestuale” (nel senso di “libera”) l’ispirazione dell’anziano poeta: […] per me la poesia deve avere la rima, tutte le convenzioni e le restrizioni possibili. Più ne ha più la poesia è libera, per me. [a cura dell'autore]
XI n.s.
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BAIONI, PAOLA. « La nascita della poesia ermetica nelle riviste degli anni Trenta ». Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2007. http://hdl.handle.net/10280/186.

Texte intégral
Résumé :
Muovendo da una vasta ricognizione sulle riviste letterarie degli anni Trenta, la ricerca si è concentrata sui principali periodici a cui hanno collaborato poeti e critici ermetici: Interessanti si sono rivelati i rapporti epistolari tra i poeti e i direttori e redattori delle riviste: nella tesi sono state riportate le lettere più significative, con privilegio per quelle inedite. Sono stati riportati diversi documenti di natura critico-teorica, alcuni testi poetici rari di Mario Luzi (mai confluiti in una silloge e mai riproposti da alcuno studioso) e sono state antologizzate (con trascrizione dei testi e apparato in calce) le liriche di alcuni poeti che presentano varianti rispetto all'ultima edizione in volume: si tratta di versi di Mario Luzi, Umberto Saba, Carlo Betocchi, Giuseppe Ungaretti, Salvatore Quasimodo, Alessandro Parronchi. Almeno un terzo della tesi è dedicato a questo.
Starting from a wide investigation in the literary reviews in the '30s, the research has focused on the major magazines, for which hermetic poets and critics worked. The correspondence between poets and editors in chief and members of the editorial staff has proved extremely interesting; the most meaningful letters, especially the unpublished ones, are presented in the thesis. Many critic-theoretic documents and some rare poetries by Mario Luzi (never collected nor published by critics) are also reproduced. Moreover lyrics by various poets, such as Mario Luzi, Umberto Saba, Carlo Betocchi, Giuseppe Ungaretti, Salvatore Quasimodo, Alessandro Parronchi, have been anthologised (with text transcription and apparatus criticus below); all of them present some changes in text compared to the final version, printed in volume. This analysis represents, at least, the third part of the thesis.
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BAIONI, PAOLA. « La nascita della poesia ermetica nelle riviste degli anni Trenta ». Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2007. http://hdl.handle.net/10280/186.

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Résumé :
Muovendo da una vasta ricognizione sulle riviste letterarie degli anni Trenta, la ricerca si è concentrata sui principali periodici a cui hanno collaborato poeti e critici ermetici: Interessanti si sono rivelati i rapporti epistolari tra i poeti e i direttori e redattori delle riviste: nella tesi sono state riportate le lettere più significative, con privilegio per quelle inedite. Sono stati riportati diversi documenti di natura critico-teorica, alcuni testi poetici rari di Mario Luzi (mai confluiti in una silloge e mai riproposti da alcuno studioso) e sono state antologizzate (con trascrizione dei testi e apparato in calce) le liriche di alcuni poeti che presentano varianti rispetto all'ultima edizione in volume: si tratta di versi di Mario Luzi, Umberto Saba, Carlo Betocchi, Giuseppe Ungaretti, Salvatore Quasimodo, Alessandro Parronchi. Almeno un terzo della tesi è dedicato a questo.
Starting from a wide investigation in the literary reviews in the '30s, the research has focused on the major magazines, for which hermetic poets and critics worked. The correspondence between poets and editors in chief and members of the editorial staff has proved extremely interesting; the most meaningful letters, especially the unpublished ones, are presented in the thesis. Many critic-theoretic documents and some rare poetries by Mario Luzi (never collected nor published by critics) are also reproduced. Moreover lyrics by various poets, such as Mario Luzi, Umberto Saba, Carlo Betocchi, Giuseppe Ungaretti, Salvatore Quasimodo, Alessandro Parronchi, have been anthologised (with text transcription and apparatus criticus below); all of them present some changes in text compared to the final version, printed in volume. This analysis represents, at least, the third part of the thesis.
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Daraio, Martina. « Lo spazio della poesia. Il caso marchigiano negli anni della diaspora e della mobilità ». Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2016. http://hdl.handle.net/11577/3424813.

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Résumé :
The thesis aims to analyze the relationship between space and poetry in the current case of Marche region. Its structure consists of two interconnected parts: the first defines the terminological frame and describes socio-cultural path of the region in the light of international critical debate on the forms of representation of spatiality; the second part analyzes authors whose work took place on the second half of the 20th century (Paolo Volponi, Luigi Di Ruscio, Scataglini Franco), and authors who started writing in the 21st century (Luigi Socci, Renata Morresi, Massimo Gezzi, Franca Mancinelli). The transition from the diaspora to the mobility, which the title hints, refers to the idea of a transformation that has affected the ways of living, the poetic representation of places and, consequently, the efficacy of space as critical category.
La tesi intende approfondire il rapporto tra spazio e scrittura poetica nel caso marchigiano contemporaneo. La sua struttura si compone di due parti interconnesse: nella prima, dopo aver definito le coordinate terminologiche del lavoro, viene descritto il percorso socio-culturale della regione alla luce del dibattito critico internazionale sulle forme di rappresentazione della spazialità; la seconda parte presenta invece una selezione antologica in cui viene messo in relazione il lavoro poetico di tre autori nati attorno agli anni Trenta che hanno esordito a partire dagli anni Cinquanta (Paolo Volponi, Luigi Di Ruscio, Franco Scataglini), con l'opera di autori nati tra agli anni Settanta e Ottanta che hanno esordito a partire dagli anni Zero (Luigi Socci, Renata Morresi, Massimo Gezzi, Franca Mancinelli). Il passaggio dalla diaspora alla mobilità cui il titolo allude rimanda quindi all'idea di una trasformazione che ha interessato tanto le modalità dell'abitare, quanto quelle della rappresentazione poetica dei luoghi, quanto, infine, l'efficacia dello spazio come categoria critica.
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Tonon, Stefano <1983&gt. « Il "trobar leu" di Fernando Bandini ». Doctoral thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2014. http://hdl.handle.net/10579/4621.

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Manigrasso, Leonardo. « Capitoli autobiografici. Poeti traduttori a confronto tra terza e quarta generazione ». Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2012. http://hdl.handle.net/11577/3422087.

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Résumé :
Leonardo Manigrasso has focused his thesis on the history of French poetry translations made by poets born between the second decade and the early twenties of the 20th century. The aim is to explore uppermost the typologies of the first hermetic translations between the thirties and forties, secondly the history of their decline until the middle of the next decade, and finally the subsequent rise of translating strategies no longer inscribed in a koinè, but rather substantially freed from formal codes more stringent. The scope of investigation in this case is limited to the category of third and fourth generation of poets-translators born between 1910 and 1922, safeguarding, however, the right, when appropriate, to derogate from these boundaries mobilizing representative voices of other generations, such as for example, Diego Valeri and Giovanni Raboni. For this paper it was developed a comparative critical method, based on the comparison of different translations of the same source text (the so-called “inter-authorial variants”, from a minimum of two to a maximum of four variants at a time) in order to emphasize the dissonance, the technical experiments and, possibly, the similarities between the options chosen by each poet. For this purpose, the candidate has investigated: a) a “border” figure like Beniamino Dal Fabbro, whose translations of Rimbaud and Baudelaire - in comparison to those produced by Luzi and Parronchi - allow us to place him just outside the narrow circle of the hermetic translators universe; b) the “intergenerational” translations of the Nerval’s Delfica made by Valeri, Parronchi and Risi, that are an ideal platform to investigate the options opened up by the hierarchy of levels that the practice of translation inevitably involves, in between the boundaries of choice from the rhythmic-metric criterion elected by Valeri to the literal-semantic one chosen by Parronchi: special care was then directed to the declinations, loans and withdrawals that the Nerval's mythopoiesis had with the translators poems; c) the different versions of Baudelaire's Le crépuscule du matin developed by Parronchi and Fortini, which allow us to see how different conceptions of the relationship between the new text and the tradition of formal codes are ending up in the same challenge of contemporary ideologies; d) the two versions of Éluard's Ta chevelure d’oranges before Bigongiari and Fortini, both mouthpieces, the former of a hermetic way of the translating experience, based on the absoluteness of memory, and the second, as opposed to the first becouse founded on the principle underlying the antagonism between imagination and reality, and then the translations of the same text developed by Traverso and Zanzotto, on which we can observe two different modes of using the Petrarchan lexicon; e) Bigongiari and Sereni’s versions of Septentrion by Char, where we can test the influence of the proximity or distance from their own poetry from the translated author over the strategies of translation; f) the five translations of Baudelaire's La vie antérieure arranged by Luzi, Parronchi, Pagano and Raboni (two versions), by which we can see the irreversible weakening - between the forties and nineties - of the formal institutions of the arrival code of in the interest of some increasingly complex tactics of remuneration distributed along the various levels of text; g) the translations of Henri Michaux’s La cordillera de los Andes made by Luzi and Erba almost in the same period, including two different poetics related to the psychological and metageographic determination of the "here" and the “elsewhere”, which must be inscribed (especially for Luzi) into the frame of the consumed dissolution of the hermetic koinè; h) the versions of Erba and Caproni of Les canaux de Milan by Frénaud, in order to establish the distance between a conception of the translation act as a research for the ideal compromise between the expectations of the semantic and the phonic level of the hypotext and, the other hand, the poet's claim to the right to restoration; i) the comparison between the Risi and Caproni’s versions of Frénaud’s J’ai bâti l’idéale maison and Espagne, on which it can be experienced how the different treatment of the of the iterative scores source text involving tangible consequences at the semantic level. These samplings are also accompanied by the work Appunti per una storia della traduzione dall’ermetismo in poi, a survey of the main translations of these poets - in journal and volume - within a general overview of the poetry translations history from the beginnings of the forties; on the other hand, they are enhanced by an index of the major volumes representing the translation interest of these authors, among personal translators’ anthologies, miscellanies anthologies of foreign poetry and anthologies of "monographic" translations, dedicated to specific French authors
Il dott. Leonardo Manigrasso ha focalizzato la sua tesi sulla storia della traduzione di poesia francese ad opera di poeti nati tra il secondo decennio e i primissimi anni Venti del secolo. L’obiettivo è quello di sondare in primo luogo le forme del tradurre ermetico tra gli anni Trenta e Quaranta, poi la storia del suo declino almeno fino alla metà del decennio seguente, e infine il successivo imporsi di strategie traduttive non più inscritte in una koiné, ma anzi in linea di massima liberate dai codici formali più stringenti. Il perimetro di indagine è nella fattispecie circoscritto alla categoria dei poeti-traduttori di terza e quarta generazione nati tra il 1910 e il 1922, salvaguardando nondimeno il diritto, quando è il caso, di derogare ai questi confini mobilitando voci rappresentative di altre generazioni, quali ad esempio Diego Valeri o Giovanni Raboni. Il metodo critico adottato è quello comparatistico, basato sul raffronto di diverse traduzioni di uno stesso testo-fonte (le cosiddette “varianti inter-autoriali”, da un minimo di due a un massimo di quattro per volta) al fine di mettere in maggior rilievo le dissonanze, gli espedienti tecnici e, eventualmente, le analogie tra le opzioni messe in pratica dai vari poeti. A questo scopo ho indagato: a) una figura “di frontiera” come Beniamino Dal Fabbro, le cui traduzioni da Rimbaud e Baudelaire – poste a confronto con quelle di Luzi e Parronchi – consentono di collocarlo subito al di fuori della più stretta cerchia di traduttori dell’universo ermetico; b) le traduzioni “intergenerazionali” di Delfica di Nerval da parte di Valeri, Parronchi e Risi, piattaforma ideale per indagare le opzioni aperte dalla gerarchizzazione dei livelli che l’atto traduttivo fatalmente comporta, tra gli estremi della scelta del criterio rimico-metrico di Valeri e quello letterale-semantico di Parronchi: particolare attenzione poi è stata rivolta alle declinazioni, i prestiti e i prelievi che la mitopoiesi nervaliana ha intrattenuto con le opere in versi dei traduttori; c) le versioni di Le crépuscule du matin di Baudelaire messe a punto da Parronchi e Fortini, che permettono di verificare come diversissime concezioni del rapporto tra il nuovo testo e i codici formali della tradizione approdino a una stessa contestazione della società contemporanea; d) le versioni di Ta chevelure d’oranges di Éluard prima di Bigongiari e Fortini, portavoci l’una di una via ermetica all’esperienza del tradurre, basata sul tema dell’assolutezza della memoria, e l’altra di senso opposto in quanto fondata sul principio dell’antagonismo soggiacente tra immaginazione e realtà, e poi le traduzioni dallo stesso testo di Traverso e Zanzotto, sulle quali accertare due modalità diverse di ricorso al lessico petrarchesco; e) le versioni di Bigongiari e Sereni di Septentrion di Char, dove è possibile testare l’influenza sulle strategie del tradurre della prossimità o distanza della propria poetica da quella dell’autore tradotto; f) le cinque traduzioni di La vie antérieure ancora di Baudelaire allestite da Luzi, Parronchi, Pagano e Raboni (due stesure), attraverso le quali mettere a referto l’irreversibile indebolimento tra gli anni Quaranta e Novanta delle istituzioni formali del codice d’arrivo in favore di sempre più complesse tattiche di remunerazione distribuite lungo i vari livelli del testo; g) le versioni di La cordillera de los Andes di Henri Michaux operate da Luzi e Erba in anni quasi concomitanti, in cui confluiscono due diverse poetiche relative alla determinazione metageografica e psicologica del “qui” e dell‘ “altrove”, da inscriversi (soprattutto per Luzi) nel quadro della consumata dissoluzione della koinè ermetica; h) le versioni di Erba e Caproni di Les canaux de Milan di Frénaud, volte a stabilire la distanza tra una concezione dell’atto traduttivo come ricerca del compromesso ideale tra le aspettative del piano semantico e quello fonico dell’ipotesto e, al contrario, la rivendicazione da parte del poeta del diritto al rifacimento; i) la comparazione tra le versioni, ancora di Frénaud, di J’ai bâti l’idéale maison e Espagne di Risi e Caproni, sulle quali sperimentare come il diverso trattamento delle partiture iterative del testo di partenza implichi decisive conseguenze sul piano semantico. Queste campionature esemplari sono poi corredate e inquadrate da un lato dagli Appunti per una storia della traduzione dall’ermetismo in poi, una rassegna delle principali traduzioni di questi poeti – in rivista e in volume – all’interno di un bilancio generale della storia del tradurre poesia a partire dagli anni Quaranta; dall’altra da una indicizzazione dei principali volumi di interesse traduttivo di questi autori, tra antologie personali dei traduttori, antologie miscellanee di poesia straniera e antologie di traduzioni “monografiche”, dedicate ai singoli autori francesi
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Cardilli, L. « DAL LACANISMO ALL'ESEMPLIFICAZIONE TESTUALE : RIPENSARE L'OLTRANZA POETICA DI ANDREA ZANZOTTO ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2017. http://hdl.handle.net/2434/469498.

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Résumé :
Andrea Zanzotto’s poetic career can be regarded as an endless pursuit of linguistic experimentation. This concerns not only surface-level stylistic features, but also the innermost core of semantics. Over the decades, critics have been both attracted and challenged by the metalinguistic inclination of his verse, shaping an interpretation myth which laid the basis for an extremely positive evaluation of Zanzotto’s poetry and the precocious canonization that followed. According to such myth, Zanzotto forced the boundaries of poetic language by dismantling the dichotomy signifier/signified in accordance with structuralist and Lacanian theories. Even though this interpretation is in line with Zanzotto’s openly declared positions, it could prove not completely adequate to explain his poetry, not least because it may be too dependent on the self-assessment strategies embedded in his poetics. Furthermore, it is necessary to question and historicize Lacanian approaches to Zanzotto’s work, and decouple critical interpretations from the high-density poetics of the author, which was deeply influenced by the most cutting-edge innovations in the Human Sciences. My thesis advocates the need for a paradigm shift, based on the concept of Textual Exemplification developed by the literary theorist Franco Brioschi: Zanzotto’s stylistic options can be regarded as an intensive and radical strengthening of traditional literary devices, such as iterative chains and etymological proliferation. More than aiming to render the pure signifier, poetry seems to be an ingenious attempt to stretch literary language to the limit. In the first chapter, I examine the iterative structures within the syntax of Dietro il paesaggio (1951), Zanzotto’s first poetry collection. By means of a thorough investigation and cataloguing of iterative phenomena, it can be demonstrated that Zanzotto’s style heavily relies on reiteration, which results in the creation of an uninterrupted, seamless syntactic flux, while the meter tends, on the contrary, to establish a centripetal force. The second chapter deals with the figural syntax of Dietro il paesaggio, and contains an in-depth analysis of the of the major phenomena which involve the construction of poems as a series of images. Thus, the collection of poems of Dietro il paesaggio is shown to be built by means of a visual style; the poems call for a visual, non-linear reading with a parallel weakening of the ordinary reading mode. In the third chapter I discuss the theoretical core of my thesis: drawing on Pierre Bourdieu’s sociology of art, I describe Zanzotto’s position-taking in the literary field and the main features of his interactions with critics. I then analyse two essays by Stefano Agosti, the champion of the Lacanian interpretation, and I move on to show how Brioschi’s textual exemplification can be applied to the case of Zanzotto. Lastly, in the fourth chapter I exemplify the interpretive potential of the paradigm shift advocated in the previous part of thesis, by means of an in-depth analysis of Pasqua di maggio, a poem included in the collection Pasque (1973), which belongs to Zanzotto’s experimental period. Using methods taken from Text Linguistics, I show that Zanzotto stretches cohesive structures to breaking point, while building, at the same time, a supplementary coherence via iterative syntactic structures.
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Daino, L. « Una stilistica dell’usuale : gli esordi poetici di Giovanni Raboni tra ‘stile semplice’ e ‘grande stile’ (1950-1965) ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2010. http://hdl.handle.net/2434/236945.

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Résumé :
La ricerca si concentra sulla fase giovanile della parabola poetica di Giovanni Raboni, e in particolare sulla composizione di Gesta Romanorum (i cui testi risalgono ai primi anni Cinquanta) e di Le case della Vetra (pubblicato nel 1966). La principale prospettiva metodologica adottata è quella della stilistica e degli studi storico-linguistici applicati all’interpretazione dei fenomeni letterari. Uno degli obiettivi primari del lavoro è quello di indagare quale soluzione Raboni abbia proposto al problema capitale di dare forma a un linguaggio poetico non sovrapponibile e in molti casi nemmeno accostabile al codice lirico tradizionale, e tuttavia dotato di un quid in grado di distinguerlo dalla lingua di grado zero. Il primo capitolo (Lo stile semplice in poesia), che rappresenta la premessa teorica e storico-linguistica del lavoro, individua nei rivolgimenti della seconda metà degli anni Cinquanta, che hanno fatto dell’italiano una “lingua di tutti”, la premessa fondamentale della poesia di Raboni. Questi, infatti, si è precocemente inserito nella schiera dei poeti che hanno cercato di dare una risposta positiva agli stimoli provenienti da quella realtà in rapida mutazione, anzitutto avvicinando il linguaggio dei propri versi a quella che si stava imponendo come lingua comune. Nel secondo capitolo a ciascuna delle sezioni di Le case della Vetra è dedicato un paragrafo, nel quale una poesia (Risanamento; Canzone; Città dall’alto) è eletta a campione significativo a cui è possibile applicare la prospettiva d’indagine illustrata nelle pagine d’apertura. Viene in questo modo mostrato il lento cammino di Raboni verso una simulazione sempre più accorta del parlato in poesia. Il terzo capitolo illustra le ragione di fondo delle opzioni stilistiche precedentemente descritte. Il primo fattore significativo è individuato nella particolare attenzione che il giovane Raboni riservava alla letteratura modernista anglosassone. La ricerca si giova anche di un prezioso materiale finora pressoché ignorato dalla critica: i saggi letterari pubblicati da Raboni nella seconda metà degli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta, che contengono originali e acute letture e forniscono utili indicazioni per la comprensioni delle scelte raboniane in poesia. Il secondo fattore decisivo è individuato nella fenomenologia di Edmund Husserl filtrata attraverso i lavori di Enzo Paci, alla cui rivista, «aut aut», Raboni in quegli stessi anni collaborava intensamente. Tale ascendenza intellettuale dalla scuola fenomenologica rimarrà a fondamento del lavoro raboniano fin verso la metà degli anni Ottanta, quando il poeta milanese si è progressivamente avvicinato al marxismo critico di Franco Fortini. L’appendice della tesi affronta il nodo testuale costituito da Gesta Romanorum, un libro del quale Raboni non ha mai fornito una versione completa e attendibile. Muta l’approccio metodologico del lavoro, che ora si sposta sul piano della ricostruzione filologico-testuale. Vengono dapprima individuate tutte le liriche riconducibili a questo magmatico libro apparse a stampa nel corso di un cinquantennio. Viene inoltre dato conto di un ritrovamento effettuato nel corso della ricerca: tra le carte di Carlo Betocchi, conservate presso l’Archivio Contemporaneo Bonsanti di Firenze, ho ritrovato il dattiloscritto inedito – risalente al 1953 e considerato perduto sia Raboni, sia dalla critica raboniana – che contiene la prima e più articolata testimonianza del nucleo di Gesta Romanorum. Il fondo Betocchi contiene anche un’altra fondamentale testimonianza della poesia giovanile di Raboni: una plaquette di quindici testi intitolata La Passione secondo San Luca, fino a oggi ignota, ma nella quale va riconosciuta la più compiuta e matura testimonianza della prima produzione raboniana.
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MARCHESI, VALENTINA BARBARA. « LE PROSE CRITICHE DI EUGENIO MONTALE ». Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2011. http://hdl.handle.net/10280/1037.

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Résumé :
Eugenio Montale (1896-1981) ha esercitato la professione di critico letterario per tutta la vita. A partire dal 1920 e poi sino alla morte, Montale ha collaborato con numerosi periodici e con le più importanti riviste letterarie del suo tempo. Nel 1948 viene poi assunto al "Corriere della sera", a Milano: qui diventa giornalista per mestiere e si dedica alla divulgazione della letteratura italiana ed europea, con una particolare attenzione a quelle inglese e francese. La presente ricerca analizza le sue prose critiche, individuandone le linee principali: autori e libri recensiti, temi e questioni culturali che Montale analizza nel corso della sua attività. Alcune figure di scrittori, critici e filosofi (Sergio Solmi, Emilio Cecchi, Benedetto Croce, Roberto Bazlen) rappresentano i confini ideali di un'idea di poesia, che Montale mostra nelle sue prose: dialogando con questi personaggi, egli riflette infatti sui principali problemi della cultura e della letteratura contemporanee. Lo stile critico di Montale si colloca perciò tra il giornalismo e la saggistica. Nell'ultima parte della ricerca si è cercato di individuare alcune importanti intersezioni tra prosa critica, prosa narrativa e poesia, che convivono nell'attività montaliana.
Eugenio Montale (1896-1981) has been a literary critic as long as he lived. Since 1920 till death, Montale worked together with many newspapers and with the most important literary reviews of his period. In 1948 was assumed at «Corriere della sera», in Milan: here he became a journalist as a job and dedicated himself to disclosure Italian and European literature, with a particular attention for English and French ones. This essay analyzes his critical proses, identifying their main themes: authors and books reviewed, themes and cultural issues which Montale wrote about as long as he wrote. Some figures of writers, critics and philosophers (Sergio Solmi, Emilio Cecchi, Benedetto Croce, Roberto Bazlen) represent the ideal boundaries for an idea of poetry, which Montale points in his proses: communicating with these figures, he reflects upon the main issues of contemporary culture and literature. Montale’s critical style can infact be placed between journalism and literary criticism. In the last part of this essays it has been tried to find out some important junctions between literary essays, narrative proses and poetry, living all together in Montale’s activity.
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MARCHESI, VALENTINA BARBARA. « LE PROSE CRITICHE DI EUGENIO MONTALE ». Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2011. http://hdl.handle.net/10280/1037.

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Résumé :
Eugenio Montale (1896-1981) ha esercitato la professione di critico letterario per tutta la vita. A partire dal 1920 e poi sino alla morte, Montale ha collaborato con numerosi periodici e con le più importanti riviste letterarie del suo tempo. Nel 1948 viene poi assunto al "Corriere della sera", a Milano: qui diventa giornalista per mestiere e si dedica alla divulgazione della letteratura italiana ed europea, con una particolare attenzione a quelle inglese e francese. La presente ricerca analizza le sue prose critiche, individuandone le linee principali: autori e libri recensiti, temi e questioni culturali che Montale analizza nel corso della sua attività. Alcune figure di scrittori, critici e filosofi (Sergio Solmi, Emilio Cecchi, Benedetto Croce, Roberto Bazlen) rappresentano i confini ideali di un'idea di poesia, che Montale mostra nelle sue prose: dialogando con questi personaggi, egli riflette infatti sui principali problemi della cultura e della letteratura contemporanee. Lo stile critico di Montale si colloca perciò tra il giornalismo e la saggistica. Nell'ultima parte della ricerca si è cercato di individuare alcune importanti intersezioni tra prosa critica, prosa narrativa e poesia, che convivono nell'attività montaliana.
Eugenio Montale (1896-1981) has been a literary critic as long as he lived. Since 1920 till death, Montale worked together with many newspapers and with the most important literary reviews of his period. In 1948 was assumed at «Corriere della sera», in Milan: here he became a journalist as a job and dedicated himself to disclosure Italian and European literature, with a particular attention for English and French ones. This essay analyzes his critical proses, identifying their main themes: authors and books reviewed, themes and cultural issues which Montale wrote about as long as he wrote. Some figures of writers, critics and philosophers (Sergio Solmi, Emilio Cecchi, Benedetto Croce, Roberto Bazlen) represent the ideal boundaries for an idea of poetry, which Montale points in his proses: communicating with these figures, he reflects upon the main issues of contemporary culture and literature. Montale’s critical style can infact be placed between journalism and literary criticism. In the last part of this essays it has been tried to find out some important junctions between literary essays, narrative proses and poetry, living all together in Montale’s activity.
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TRIACHINI, STEFANIA. « MONALDO LEOPARDI "CAVALIERE CRISTIANO". L'ESPERIENZA LETTERARIA GIOVANILE TRA CULTURA GESUITICA E ACCADEMIE RECANATESI ». Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2018. http://hdl.handle.net/10280/46248.

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Résumé :
Il presente lavoro si propone di studiare la produzione letteraria giovanile di Monaldo Leopardi (1776-1847), padre del celebre poeta Giacomo, contestualizzandola entro una cornice di carattere storico-culturale che possa restituirne le origini e gli sviluppi. Si è in primo luogo ricostruito il legame di Monaldo Leopardi e della sua famiglia con la Compagnia di Gesù (secc. XVI-XVIII), mettendo in luce il modello del «cavaliere cristiano» che il conte recanatese fu chiamato a impersonare negli anni della sua scuola domestica di stampo gesuitico. Si è quindi analizzata l'attività letteraria (1800-1806) di Monaldo Leopardi declinandola attraverso tre esperienze: quella delle Accademie, con particolare attenzione a quella da lui fondata, i Disuguali Placidi Ravvivati (1801-1803), di cui si è ripercorsa la storia attraverso fonti d'archivio; quella delle scritture poetiche; quella dei testi teatrali. Il volume di riferimento sono state le "Opere del conte Monaldo Leopardi Gonfallonieri da Recanati" (1803). Di questa produzione, cristianamente connotata, si sono inoltre indagati gli sviluppi, mettendo a confronto la "letteratura" di Monaldo Leopardi con quella del figlio Giacomo e focalizzando, infine, l'attenzione sulla rivista "La Voce della Ragione" (1832-1835) e sulla corrispondenza che, in tale ambito, il conte intrattenne con il generale dei gesuiti Jan Philip Roothaan.
This work aims to study the first literary production of Monaldo Leopardi (1176-1847), Giacomo Leopardi’s father, according to a cultural and historical point of view. Initially, we rebuilt the relationship between Monaldo Leopardi and his family with the Society of Jesus (XVI-XVIII Century), pointing out the model of «Christian hero» he embodied during his jesuitical homeschooling. Then, we analysed Monaldo Leopardi’s literary production (1800-1806) considering three different aspects: first of all, the connection with the Italian Accademie that we investigated thanks to archives resources, with a special focus on the Accademia dei Disuguali Placidi Ravvivati (1801-1803) he founded; afterwards, we studied his poetic and theatrical works referring to the volume "Opere del conte Monaldo Leopardi Gonfallonieri da Recanati" (1803). Finally, we decided to examine the development of this literary production with main Christian traits, by comparing father’s and son’s literature and by focussing on the journal “La Voce della Ragione” (1832-1835) and the letters between Monaldo and the jesuitical general Jan Philip Roothaan.
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TRIACHINI, STEFANIA. « MONALDO LEOPARDI "CAVALIERE CRISTIANO". L'ESPERIENZA LETTERARIA GIOVANILE TRA CULTURA GESUITICA E ACCADEMIE RECANATESI ». Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2018. http://hdl.handle.net/10280/46248.

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Résumé :
Il presente lavoro si propone di studiare la produzione letteraria giovanile di Monaldo Leopardi (1776-1847), padre del celebre poeta Giacomo, contestualizzandola entro una cornice di carattere storico-culturale che possa restituirne le origini e gli sviluppi. Si è in primo luogo ricostruito il legame di Monaldo Leopardi e della sua famiglia con la Compagnia di Gesù (secc. XVI-XVIII), mettendo in luce il modello del «cavaliere cristiano» che il conte recanatese fu chiamato a impersonare negli anni della sua scuola domestica di stampo gesuitico. Si è quindi analizzata l'attività letteraria (1800-1806) di Monaldo Leopardi declinandola attraverso tre esperienze: quella delle Accademie, con particolare attenzione a quella da lui fondata, i Disuguali Placidi Ravvivati (1801-1803), di cui si è ripercorsa la storia attraverso fonti d'archivio; quella delle scritture poetiche; quella dei testi teatrali. Il volume di riferimento sono state le "Opere del conte Monaldo Leopardi Gonfallonieri da Recanati" (1803). Di questa produzione, cristianamente connotata, si sono inoltre indagati gli sviluppi, mettendo a confronto la "letteratura" di Monaldo Leopardi con quella del figlio Giacomo e focalizzando, infine, l'attenzione sulla rivista "La Voce della Ragione" (1832-1835) e sulla corrispondenza che, in tale ambito, il conte intrattenne con il generale dei gesuiti Jan Philip Roothaan.
This work aims to study the first literary production of Monaldo Leopardi (1176-1847), Giacomo Leopardi’s father, according to a cultural and historical point of view. Initially, we rebuilt the relationship between Monaldo Leopardi and his family with the Society of Jesus (XVI-XVIII Century), pointing out the model of «Christian hero» he embodied during his jesuitical homeschooling. Then, we analysed Monaldo Leopardi’s literary production (1800-1806) considering three different aspects: first of all, the connection with the Italian Accademie that we investigated thanks to archives resources, with a special focus on the Accademia dei Disuguali Placidi Ravvivati (1801-1803) he founded; afterwards, we studied his poetic and theatrical works referring to the volume "Opere del conte Monaldo Leopardi Gonfallonieri da Recanati" (1803). Finally, we decided to examine the development of this literary production with main Christian traits, by comparing father’s and son’s literature and by focussing on the journal “La Voce della Ragione” (1832-1835) and the letters between Monaldo and the jesuitical general Jan Philip Roothaan.
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BENIGNI, PAOLA. « Pensando a te nelle voluttuose spire, le sigarette della tua gentilezza. Lettere inedite di Mario Luzi a Giacinto Spagnoletti ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2009. http://hdl.handle.net/2108/1085.

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Résumé :
Mario Luzi e Giacinto Spagnoletti sono state due figure di spicco del milieu letterario del XX secolo ed il primo, in modo particolare, di quell’ambiente ermetico fiorentino di cui fu senz’altro uno degli esponenti principali e più rappresentativi. Data la levatura dei due personaggi è possibile già preliminarmente comprendere il valore storico-documentaristico del presente studio nel quale si vuole dar conto, per la prima volta integralmente, delle lettere inviate dal poeta di Castello al critico tarantino, che ricoprono un arco temporale molto lungo, all’incirca più di mezzo secolo, dal 1941 al 1993. A riprova di tale importanza basti pensare che alcune di esse sono state parzialmente utilizzate – citandole per brevi brani – da Stefano Verdino, curatore per la collana «I Meridiani» di Mondadori del volume Mario Luzi. L’opera poetica, pubblicato nel 1998, soprattutto per la ricostruzione del dettagliatissimo profilo biografico del poeta contenuto nella sezione Cronologia. I testi autografi, qui restituiti, sono tutti conservati, ma non ancora catalogati, presso la Fondazione Schlesinger, nella sede di Lugano. Il presente lavoro di ricerca si è rivelato particolarmente stimolante ed interessante soprattutto per quanto concerne la parte relativa alla contestualizzazione delle referenze, alla ricostruzione delle vicende e all’individuazione di opere e personaggi (quest’ultimi spesso indicati anche per soprannome) – di cui si è dato conto nelle note a piè di pagina e nella sezione Annotazioni (in calce ad ogni missiva) – operazioni per le quali si sono rivelati fondamentali non solo la lettura di alcuni carteggi di letterati coevi, ma anche lo spoglio delle più importanti riviste dell’epoca. Grazie a questo corredo di studi è stato possibile rendere, con la speranza di conservarle a futura memoria, nella loro interezza queste 163 lettere che oltre ad attestare una bella storia d’amicizia, durata all’incirca più di mezzo secolo, tra Luzi e Spagnoletti, forniscono utili informazioni anche sulle vicende e sugli altri protagonisti dell’entourage non solo letterario, ma anche più genericamente intellettuale dell’epoca (editoria, concorsi letterari, università, riviste e quotidiani, ecc.). Di particolare interesse critico-filologico si sono rivelate specialmente le lettere in cui Luzi, illustrando all’amico il proprio modus operandi, gli confessa in realtà le travagliate fasi della propria produzione, sia in versi che in prosa, fornendo quindi, anche a noi lettori, la chiave di volta per accedere all’interno della sua ricchissima ‘officina’. E parimenti importanti sono le missive in cui Luzi da poeta si trasforma in critico dell’operato del suo destinatario, autore non solo di antologie e recensioni ‘militanti’, ma altresì di romanzi e poesie di cui Luzi fu attento lettore e primo, a volte implacabile, mentore critico. Se a questi testi va, come si è detto, riconosciuto innanzi tutto un indubbio valore documentaristico e cronachistico in ambito storico letterario, va pure sottolineato, ad onor del vero, che essi rivestono un’estrema importanza anche per le notizie a carattere privato e familiare che – come notato da Giacinto Spagnoletti stesso, sebbene in altro contesto – «non conosceremmo da altra fonte» ed il cui vantaggio più immediato consiste nel fatto che esse permettono di integrare e corredare i dati contenuti nelle biografie ufficiali dei due corrispondenti, aiutando così tutti gli studiosi a comprendere meglio aspetti intimistici e autobiografici spesso in nuce nelle rispettive produzioni letterarie.
Mario Luzi and Giacinto Spagnoletti were major figures of the 20th century literary milieu. Luzi, in particular, was among the most important representatives of the Florentine Hermetic literary circle. Given the prestige of the two characters, it is possible to easily understand the documentary and historical value of the present study, whose aim is to report on the letters written by the poet from Castello to the critic from Taranto. The letters cover a time span of more than a half century, from 1941 to 1993, and are reported integrally for the first time. As proof of their importance, suffice it to say that some of the letters were partially quoted by Stefano Verdino, editor of the volume Mario Luzi. L’opera poetica [Mario Luzi. Poetical works] published in 1998 in the collection «I Meridiani» by Mondadori, containing a section entitled Cronologia in which Verdino quotes them in order to draw a very detailed biographical sketch of the poet. The reported autograph texts are kept, but not yet catalogued, in the library of the Schlesinger Foundation, in Lugano. The present research study has proved very challenging and interesting, especially the part concerning the contextualization of references, the reconstruction of events and the identification of works and characters, who are often referred to through nicknames (explained in the footnotes and in the section “Annotazioni” [‘Notes’] at the bottom of every letter). The reading of the correspondence between coeval literary characters and the consultation of the most important reviews of the time proved of primary importance for the analysis of the letters. The mentioned research made it possible to report integrally and, hopefully, to preserve for future memory, Luzi’s 163 letters, which, besides testifying a more than 50-year-long friendship between Luzi and Spagnoletti, provide useful information about relevant events and characters of the literary and, more generally, intellectual entourage of the time (publishing industries, literary competitions, universities, newspapers and journals, etc.). Of particular critical and philological interest proved the letters in which Luzi describes his modus operandi to his friend and reveals the tormented phases of his prose and poetic production, thus providing even the reader with the key to enter his precious literary ‘workshop’. Of the same relevance are the letters in which Luzi becomes a critic of the work of his addressee, who was not only an author of anthologies and ‘militant’ reviews, but also of novels and poems of which Luzi was an attentive reader and the first, sometimes unrelenting, critical mentor. If the great value of these texts is to be acknowledged firstly from a documentary and historic point of view, it must also be underlined that they are of great relevance because of the personal and private information they provide. In other circumstances Giacinto Spagnoletti himself stated that ‘we could not get [that information] from any other sources’ [“non conosceremmo da altra fonte”]; the most evident contribution given by the letters is to provide the scholars with information which integrate and complete the official biographies of the two writers, thus helping to better understand some autobiographical and intimist issues which can only be found in the embryonic phase in their literary production.
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Sartori, Enio. « Tra "bosco e non bosco". Ragioni poetiche e gesti stilistici ne "Il Galateo in Bosco" di Andrea Zanzotto ». Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2009. http://hdl.handle.net/11577/3426113.

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Résumé :
This critical operation hereby proposed aims to circumscribe and to identify the poetic reasons and the stylistic effort through wich Andrea Zanzotto creates hos unique relationship whith language and the poetic word and with the more complex theme of the place abnd the living
l'operazione critica che qui viene proposta si pone come obiettivo quello di circoscrivere ed individuare le ragionipoetiche e i gesti stilistici attraverso cui Andrea Zanzotto produce la sua singolare relazione con la lingua in generale, con la parola poetica e con il più complessivo tema del luogo e dell'abitare
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SACCONAGHI, CARLO. « VITTORIO SERENI TRADUTTORE DI EZRA POUND ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2017. http://hdl.handle.net/2434/471648.

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Résumé :
My dissertation focuses on Vittorio Sereni’s translations of eight poems from Pound’s "Lustra", and investigates the influence that these translations exercised on Sereni’s own poetry. The first chapter outlines the context in which the translations were conceived. I detail the main inputs through which Sereni approached Pound’s poems in the early 1950’s: Luciano Anceschi and the group of young poets — later organized in the Neo-Avant-Gardist “63 Group” — who considered Pound as a master; the praise for Pound that T.S. Eliot had stated on several occasions; and the “Pound case”, which stimulated political and poetical discussions among Italian intellectuals after his arrest, extradition and internment. In this context, Sereni translated some poems from Lustra at the insistence of Pound’s main Italian publisher, Vanni Scheiwiller. The second chapter concerns the critical edition and a commentary of Sereni’s translations. In this section I collate the manuscripts, drafts and editions curated by Sereni and I record the author’s variants, which show the creative process preceding the final text. An overall interpretation of each poem is followed by a detailed analysis of Sereni’s stylistic choices and his translational attitude, which fluctuates between the assimilation and rejection of Pound’s technique. The last chapter reveals how the translations of Pound’s poems inspired Sereni’s own poetry. While searching for a renewed poetic language, Sereni was deeply intrigued by Pound’s poems because of their original aesthetic paradigm. I identify several textual elements which show Pound’s influence on the poems that Sereni wrote immediately after his translations — such as the combination of different languages, the extension of the verses’ measure, the assimilation of rhetorical devices as the iteration, and also, according to Pound’s aesthetics habit, the insertion of literary references. These stylistic features are not present in Sereni’s writings which precede Pound’s translations, and they characterize Sereni’s third book, "Gli strumenti umani" (1965). In conclusion, my research reveals the contribution that the translations from Pound’s early poems gave to the poetical development of Vittorio Sereni, and it represents a significant case study of the impact that Anglo-American modernist poetry had on the Italian post-hermetic poetic progress.
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DI, MAIO FABRIZIO. « L'opera di Ottiero Ottieri ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2010. http://hdl.handle.net/2108/1284.

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Résumé :
Il candidato analizza, in questa tesi monografica, il percorso letterario di Ottieri Ottieri dal primo romanzo Memorie dell' incoscienza (1954) all' Irata sensazione di peggioramento (2002), ponendo l' attenzione sulle tre tematiche che emergono dalla poetica dell' autore: l' industria, la clinica e la politica. Il lavoro è strutturato in sette capitoli, ciascuno dedicato ad un tema ed un periodo specifico della produzione dello scrittore. Nell' introduzione si rilevano i caratteri della letteratura di Ottieri, inclassificabile e originale, il quale ha voluto concretizzare un progetto letterario di ampio respiro, attraverso trenta opere legate tra loro in un perpetuo intreccio di temi, motivi, riprese, rifacimenti che s' intersecano in diverse materie, dalla letteratura italiana ed europea alla storia, dalla psicologia alla filosofia, dalla psichiatria alla sociologia, dalla politica all'arte. Nel primo capitolo si affronta l' adesione giovanile di Ottieri al fascismo, in seguito definito " incosciente" , ed i ricordi ad esso legati nelle Memorie dell' incoscienza, romanzo autobiografico in cui un alter ego (espediente narrativo che Ottieri utilizzerà  in tutta la sua produzione letteraria) analizza sulla propria persona il disfacimento della patria. Nel secondo capitolo si affronta il tema dell' industria nella letteratura con l' analisi di quattro opere (i due romanzi Tempi stretti e Donnarumma all' assalto, il diario La linea gotica e la commedia I venditori di Milano) per le quali Ottieri viene considerato il pioniere della letteratura industriale in Italia. Dal terzo al quinto capitolo, la tematica predominante è la clinica dove le malattie mentali si presentano in molteplici aspetti tra cui la depressione, la schizofrenia, l' alienazione, che diventano, nel corso dei decenni, non solo materia letteraria ma soprattutto essenza vitale della letteratura di Ottieri. Il sesto capitolo affronta il tema politico mediante lo studio di due opere basilari: La storia del PSI ed Il poema osceno dove lo scrittore condensa cinquant' anni della storia dâ Italia dal fascismo adolescenziale all' illusione del socialismo fino alle soglie del Ventunesimo secolo. Il settimo capitolo riguarda gli ultimi romanzi di Ottieri che, cosciente della morte ormai imminente, riassume la sua vita di uomo borderline, di scrittore non di successo, di "caso letterario" rilevante nel panorama della letteratura italiana del secondo Novecento. Nell' appendice è presente un' antologia dell' epistolario giovanile di Ottieri, importante per comprendere le strette correlazioni tra le esperienze di vita dell' autore e le conseguenti elaborazioni letterarie.
The subject of this thesis concerns the Ottieriâ s literary work from his first novel Memorie dellâ incoscienza (1954) to Una irata sensazione di peggioramento (2002), analysing three themes which come over his poetry: industry, sanatorium and politics. The thesis is planned on seven chapters. In the introduction, the characteristics of Ottieriâ s novels are developed: original and unclassifiable, Ottieri has organized an extensive literary project through thirty works connected by a continuous plot of themes and leitmotivs which are linked on different subject as Italian and European literature, history, psychiatry, art, politics. In the first chapter, the Ottieriâ s youthful devotion to fascism is analysed in the light of his own memories (Memorie dellâ incoscienza), an autobiographic novel in which an alter ego (Lorenzo Bandini) analyses the dramatic issues of Italy during the Second World War. In the second chapter the emergent theme concerns the industrial world through four works (two novels: Tempi stretti and Donnarumma allâ assalto, the diary La linea gotica and the play I venditori di Milano) which allow him to be the â pioneerâ of Italian industrial literature. From the third to the fifth chapter, the principal theme which comes over is mental illness; depression, schizophrenia, alienation are bound to be the centre of his literary works and not only of his life. The sixth chapter studies two novels, La storia del PSI and Il poema osceno, which are the summary of his political ideas. The seventh chapter is about the last works of Ottieri; aware of his imminent death, the poet describes his life as a borderline individual and as an unsuccessful writer.
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CAPPELLO, MASSIMILIANO. « GIUDICI, ZANZOTTO, RABONI. AUTONOMIE ED ETERONOMIE DELLA PROSA ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2022. http://hdl.handle.net/2434/931625.

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Résumé :
This dissertation investigates the non-fiction production of three Italian poets of the second half of the twentieth century: Giovanni Giudici, Andrea Zanzotto, and Giovanni Raboni. Adopting a transdisciplinary approach, it shows how these writings, often considered a "secondo mestiere”, according to Montale's definition, do not play a merely ancillary or vicarious role in the interpretation of the poetical work of their authors, but they prove crucial for the understanding of their intellectual figures. Following an Introduction that provides essential contextual details and describes the aims, scope, and method of the dissertation, Part One looks at the post-1991 non-fiction writings of these three authors, linking them to the end of a whole Weltanschauung. What emerges is a sense of the awareness that literary criticism and essay writing in general developed of political dynamics in the contemporary world. Part Two identifies and scrutinises this textual corpus from its beginnings, datable between the Liberation and the Economic Boom, considering Giudici, Zanzotto, and Raboni’s non-fiction and literary criticism books as macro-texts and a means of verification of the season they were written in. The Third and final Part analyses some newly-recovered unpublished, scattered, or unsigned essays and highlights their significance by framing them as part of the intellectual reflection of their authors.
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Toppani, Valentino <1989&gt. « Il mito del Fanciullino pascoliano nella produzione poetica di Pierluigi Cappello ». Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2018. http://hdl.handle.net/10579/12995.

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Feltrin, Laura <1993&gt. « La poetica di Guido Gozzano da La Via del rifugio a I Colloqui ». Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2018. http://hdl.handle.net/10579/12615.

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Résumé :
L'elaborato si sviluppa a partire dallo studio preliminare di biografia, formazione letteraria e del ruolo di Guido Gozzano all'interno del movimento crepuscolare. Questa analisi è volta all'introduzione delle principali linee tematiche che saranno approfondite nei capitoli successivi. Questi ultimi si occuperanno di analizzare i principali nuclei tematici/stilistici delle due raccolte poetiche principali dell'autore nell'ottica di evidenziarne il rapporto. L'obiettivo è quello di mettere in luce il percorso di crescita umana e poetica affrontata da Gozzano.
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TANTALO, LUCIA. « PADRE LUIGI PIETROBONO COMMENTATORE DELL'OPERA POETICA DI GIOVANNI PASCOLI. CON UN'APPENDICE DI LETTERE A MARIA PASCOLI ». Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2018. http://hdl.handle.net/10280/46249.

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Résumé :
Il presente lavoro si pone l'obiettivo di analizzare la produzione critica di ambito pascoliano del Pietrobono, con una particolare attenzione per l’influsso da lui esercitato nella costruzione della tradizione interpretativa e letteraria pascoliana. Il progetto di ricerca si è focalizzato sull’analisi di Pietrobono letterato, interprete e amico di Giovanni Pascoli, studiandone l’attività alla luce dei commenti alle Poesie di Pascoli approntate dal Padre scolopio, e alle relazioni comuni evidenziate dallo studio critico delle rispettive opere. Particolare rilievo si è posto alla ricostruzione della formazione del florilegio, alla curatela e al commento dell’antologia pascoliana pubblicata da Pietrobono nel 1918 e più volte rieditata: se ne sono analizzate le numerose edizioni e la variazioni apportate nella scelta di componimenti e nei commenti. Una sezione del lavoro riporta e analizza la corrispondenza epistolare intrattenuta tra Luigi Pietrobono e Maria Pascoli a partire dal 1912 sino al 1950. Ne emerge un rapporto intenso e proficuo dal punto di vista letterario-editoriale, nel quale i protagonisti si supportano per i rispettivi lavori che vanno pubblicando sulle opere di Pascoli. Di queste missive, presenti nell’archivio della Casa Museo di Castelvecchio, si è proceduto alla trascrizione e commento.
The aim of the present work is to provide a thorough analysis of the critical production of Pietrobono concerning Giovanni Pascoli with a particular emphasis on the influence that he exercised in building the literary and interpretative tradition on Pascoli’s poetic heritage. The research project is focused on the critical analysis of Pietrobono as a literary man, as an interpreter and close friend of Giovanni Pascoli. The analysis builds on the study of his activity in light of the comments to the opera Poesie of Pascoli made by the “Scolopio” father and of the common relations that clearly emerge from a critical assessment of their respective production. Particular attention has been devoted to the building of the florilegium and to the editorial choices and to the comment to the Pascoli’s anthology first published in 1918 and then re-edited several times. This works presents a detailed and careful analysis of the different editions and in particular of the different choices concerning the works included and of the changes in the comments. A section of the present research work is focused on the epistolary correspondence between Luigi Pietrobono and Maria Pascoli that started in 1912 and continued up to 1950. From the letters it clearly emerges a close relationship and very productive literary-editorial interaction between the two writers that advise and support each other concerning their works on Pascoli’s production. These letters, preserved in the archive of the Casa Museo di Castelvecchio, have been transcribed and commented in the present research work.
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TANTALO, LUCIA. « PADRE LUIGI PIETROBONO COMMENTATORE DELL'OPERA POETICA DI GIOVANNI PASCOLI. CON UN'APPENDICE DI LETTERE A MARIA PASCOLI ». Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2018. http://hdl.handle.net/10280/46249.

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Résumé :
Il presente lavoro si pone l'obiettivo di analizzare la produzione critica di ambito pascoliano del Pietrobono, con una particolare attenzione per l’influsso da lui esercitato nella costruzione della tradizione interpretativa e letteraria pascoliana. Il progetto di ricerca si è focalizzato sull’analisi di Pietrobono letterato, interprete e amico di Giovanni Pascoli, studiandone l’attività alla luce dei commenti alle Poesie di Pascoli approntate dal Padre scolopio, e alle relazioni comuni evidenziate dallo studio critico delle rispettive opere. Particolare rilievo si è posto alla ricostruzione della formazione del florilegio, alla curatela e al commento dell’antologia pascoliana pubblicata da Pietrobono nel 1918 e più volte rieditata: se ne sono analizzate le numerose edizioni e la variazioni apportate nella scelta di componimenti e nei commenti. Una sezione del lavoro riporta e analizza la corrispondenza epistolare intrattenuta tra Luigi Pietrobono e Maria Pascoli a partire dal 1912 sino al 1950. Ne emerge un rapporto intenso e proficuo dal punto di vista letterario-editoriale, nel quale i protagonisti si supportano per i rispettivi lavori che vanno pubblicando sulle opere di Pascoli. Di queste missive, presenti nell’archivio della Casa Museo di Castelvecchio, si è proceduto alla trascrizione e commento.
The aim of the present work is to provide a thorough analysis of the critical production of Pietrobono concerning Giovanni Pascoli with a particular emphasis on the influence that he exercised in building the literary and interpretative tradition on Pascoli’s poetic heritage. The research project is focused on the critical analysis of Pietrobono as a literary man, as an interpreter and close friend of Giovanni Pascoli. The analysis builds on the study of his activity in light of the comments to the opera Poesie of Pascoli made by the “Scolopio” father and of the common relations that clearly emerge from a critical assessment of their respective production. Particular attention has been devoted to the building of the florilegium and to the editorial choices and to the comment to the Pascoli’s anthology first published in 1918 and then re-edited several times. This works presents a detailed and careful analysis of the different editions and in particular of the different choices concerning the works included and of the changes in the comments. A section of the present research work is focused on the epistolary correspondence between Luigi Pietrobono and Maria Pascoli that started in 1912 and continued up to 1950. From the letters it clearly emerges a close relationship and very productive literary-editorial interaction between the two writers that advise and support each other concerning their works on Pascoli’s production. These letters, preserved in the archive of the Casa Museo di Castelvecchio, have been transcribed and commented in the present research work.
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Brigatti, V. « 'UOMINI E NO' DI ELIO VITTORINI. IL TESTO TRA CARTE E POETICA, TRA EDIZIONI E CRITICA ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2013. http://hdl.handle.net/2434/218727.

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Résumé :
This dissertation concerns the Elio Vittorini’s novel, Uomini e no (1945), examined from a new point of view introduced by the philological analysis of writer’s hand written papers and the page-proofs of the first edition, corrected by the author. Till now, all these documents has been neglected by the critics, but they allow us to study the creative process that leads to the texts edited the first time in 1945. We can show therefore the transformations of the characters’ features and the evolution of the plot. The following part of the dissertation is dedicated to study Vittorini’s literature conception and her modifications during the 1940s, especially during the years immediately after the Second World War. These modifications leads the writer to a new edition of the novel, published in 1949, very different in comparison with the first one. This dissertation ends with the textual analysis of the 1949’s edition.
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MIGLIORATI, MASSIMO. « MEMORIA E INNOCENZA DELLA POETICA CRITICA DI GIUSEPPE UNGARETTI ». Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2011. http://hdl.handle.net/10280/1032.

Texte intégral
Résumé :
Lo studio effettuato sulle carte di Ungaretti critico e docente universitario ha permesso di evidenziare l'evoluzione dei concetti di memoria e di innocenza e di far emergere alcune basi teoriche della nozione di memoria, elaborate nel corso degli anni Trenta. L’approfondimento della conoscenza di Bergson, Agostino e Vico, infatti, rendono il concetto di memoria sempre più articolato, ampliandone i confini. L’indagine ha inoltre portato alla luce il debito che l’attività critica di Ungaretti ha con le teorie di Giambattista Vico, conosciuto quasi certamente tramite gli animatori de «La Voce», ma poi studiato quale fonte, indiretta, della poetica leopardiana. Sono le teorie vichiane ha suggerire a Ungaretti il ruolo fondamentale della fantasia nella creazione artistica, ruolo che svolge coadiuvando la memoria. Nella Scienza Nuova infatti fantasia e memoria sono sempre associate. Anche in Ungaretti questa associazione, una volta istituita, resiste nel tempo e, nel periodo in cui la suggestione vichiana è più intensa, la fantasia sembra sostituire l’innocenza. Ungaretti si interessa di Vico anche perché il filosofo che pone grande attenzione alla questione delle origini dell’umanità. Un tema imprescindibile per chi, come Ungaretti, fa dell’innocenza primigenia un obiettivo artistico ed umano da raggiungere, tramite la memoria.
The aim of this essay is investigate the evolution of ideas like memory and innocence in Ungaretti's critical writings. These ideas were influenced from studies on Bergson, Agostino e Vico' philosophical teories during the Thirties in Brazil. Thanks to these investigations Ungaretti can wide the bounds of those concepts. Particularly important was Vico's influence and the association introduced between memory and imagination by the neapolitan philosopher in his most important work, the Scienza Nuova. Furthermore, Ungaretti is interested in Vico's humankind origins theory, a fundamental topic for who, like the italian poet, set the idea of archetypical innocence as a human and artistic target attainable by memory.
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MIGLIORATI, MASSIMO. « MEMORIA E INNOCENZA DELLA POETICA CRITICA DI GIUSEPPE UNGARETTI ». Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2011. http://hdl.handle.net/10280/1032.

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Résumé :
Lo studio effettuato sulle carte di Ungaretti critico e docente universitario ha permesso di evidenziare l'evoluzione dei concetti di memoria e di innocenza e di far emergere alcune basi teoriche della nozione di memoria, elaborate nel corso degli anni Trenta. L’approfondimento della conoscenza di Bergson, Agostino e Vico, infatti, rendono il concetto di memoria sempre più articolato, ampliandone i confini. L’indagine ha inoltre portato alla luce il debito che l’attività critica di Ungaretti ha con le teorie di Giambattista Vico, conosciuto quasi certamente tramite gli animatori de «La Voce», ma poi studiato quale fonte, indiretta, della poetica leopardiana. Sono le teorie vichiane ha suggerire a Ungaretti il ruolo fondamentale della fantasia nella creazione artistica, ruolo che svolge coadiuvando la memoria. Nella Scienza Nuova infatti fantasia e memoria sono sempre associate. Anche in Ungaretti questa associazione, una volta istituita, resiste nel tempo e, nel periodo in cui la suggestione vichiana è più intensa, la fantasia sembra sostituire l’innocenza. Ungaretti si interessa di Vico anche perché il filosofo che pone grande attenzione alla questione delle origini dell’umanità. Un tema imprescindibile per chi, come Ungaretti, fa dell’innocenza primigenia un obiettivo artistico ed umano da raggiungere, tramite la memoria.
The aim of this essay is investigate the evolution of ideas like memory and innocence in Ungaretti's critical writings. These ideas were influenced from studies on Bergson, Agostino e Vico' philosophical teories during the Thirties in Brazil. Thanks to these investigations Ungaretti can wide the bounds of those concepts. Particularly important was Vico's influence and the association introduced between memory and imagination by the neapolitan philosopher in his most important work, the Scienza Nuova. Furthermore, Ungaretti is interested in Vico's humankind origins theory, a fundamental topic for who, like the italian poet, set the idea of archetypical innocence as a human and artistic target attainable by memory.
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RONDENA, ELENA. « La letteratura concentrazionaria ». Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2008. http://hdl.handle.net/10280/290.

Texte intégral
Résumé :
Affrontando lo studio della Letteratura Italiana risulta evidente l'omissione dai manuali, ad eccezione di Primo Levi, degli scritti di coloro che sono stati deportati tra il 1939 e il 1945 in seguito alle persecuzioni razziali. Il tempo trascorso dalla Shoah ha, invece, dimostrato la presenza di un ingente quantità di opere che costituiscono il corpus della Letteratura Concentrazionaria, ossia la letteratura dei campi di concentramento. Gli autori di questa letteratura sono poco conosciuti e considerati minori, ma la loro scrittura raggiunge spesso un'ineguagliabile altezza intellettuale, morale, stilistica. La narrazione dei loro ricordi traumatici è il risultato di precise decisioni: quali fatti raccontare, in che ordine cronologico, ma soprattutto attraverso quale forma. Questi testi concentrazionari, infatti, possono essere studiati da diversi punti di vista, quello più inusuale è la divisione per generi: racconto, autobiografia, saggio, romanzo, diario, lettera, poesia. Non sempre la distinzione fra questo o quel genere è netta, ma è molto significativo che a partire da una tragedia, quale l'Olocausto, si possa scegliere di raccontare la propria esperienza prestando attenzione al modo di esprimerla. È il primo segno che dimostra quanto anche di fronte al male l'uomo non perda il desiderio di ricercare il vero ed il bello.
Such a long time has passed since the end of the Shoah and it has become clear that there are a lot of works written in those years which now form the corpus of literature based on the experiences in concentration camps. The authors of these works are not very well-known and they are usually considered minor but their works have often reached highly intellectual, moral and stylistic results. The narration of their traumatic memories is the result of precise decisions, i.e. what to tell, in what chronological order, but especially in what forms. The texts based on the experiences in concentration camps can in fact be studied from different points of view. The most unusual is their study through genres: short story, autobiography, essay, novel, journal, letter, poetry. The distinction between one genre and another is not often clear-cut. What is interesting to underline is that in front of a tragedy, as the Holocaust was, it is possible to choose to tell one's own experience by paying special attention to the way of expressing it. This is evidence that in front of evil man does not ever lose the desire to look for truth and beauty.
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RONDENA, ELENA. « La letteratura concentrazionaria ». Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2008. http://hdl.handle.net/10280/290.

Texte intégral
Résumé :
Affrontando lo studio della Letteratura Italiana risulta evidente l'omissione dai manuali, ad eccezione di Primo Levi, degli scritti di coloro che sono stati deportati tra il 1939 e il 1945 in seguito alle persecuzioni razziali. Il tempo trascorso dalla Shoah ha, invece, dimostrato la presenza di un ingente quantità di opere che costituiscono il corpus della Letteratura Concentrazionaria, ossia la letteratura dei campi di concentramento. Gli autori di questa letteratura sono poco conosciuti e considerati minori, ma la loro scrittura raggiunge spesso un'ineguagliabile altezza intellettuale, morale, stilistica. La narrazione dei loro ricordi traumatici è il risultato di precise decisioni: quali fatti raccontare, in che ordine cronologico, ma soprattutto attraverso quale forma. Questi testi concentrazionari, infatti, possono essere studiati da diversi punti di vista, quello più inusuale è la divisione per generi: racconto, autobiografia, saggio, romanzo, diario, lettera, poesia. Non sempre la distinzione fra questo o quel genere è netta, ma è molto significativo che a partire da una tragedia, quale l'Olocausto, si possa scegliere di raccontare la propria esperienza prestando attenzione al modo di esprimerla. È il primo segno che dimostra quanto anche di fronte al male l'uomo non perda il desiderio di ricercare il vero ed il bello.
Such a long time has passed since the end of the Shoah and it has become clear that there are a lot of works written in those years which now form the corpus of literature based on the experiences in concentration camps. The authors of these works are not very well-known and they are usually considered minor but their works have often reached highly intellectual, moral and stylistic results. The narration of their traumatic memories is the result of precise decisions, i.e. what to tell, in what chronological order, but especially in what forms. The texts based on the experiences in concentration camps can in fact be studied from different points of view. The most unusual is their study through genres: short story, autobiography, essay, novel, journal, letter, poetry. The distinction between one genre and another is not often clear-cut. What is interesting to underline is that in front of a tragedy, as the Holocaust was, it is possible to choose to tell one's own experience by paying special attention to the way of expressing it. This is evidence that in front of evil man does not ever lose the desire to look for truth and beauty.
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IZZO, ANNA. « Ragioni e passioni di una fine. Per una poetica della clôture narrativa nel romanzo realista-naturalista ». Doctoral thesis, Scuola Normale Superiore, 2006. http://hdl.handle.net/11384/86085.

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FEDERICO, LUCA. « L'apprendistato letterario di Raffaele La Capria ». Doctoral thesis, Università degli studi di Genova, 2020. http://hdl.handle.net/11567/1005664.

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Résumé :
Superati «novant’anni d’impazienza» e dopo un lungo periodo votato all’autocommento e all’esplorazione delle proprie intenzioni, Raffaele La Capria ha raccolto le sue opere in due Meridiani curati da Silvio Perrella. La Capria ne ha celebrato l’uscita nella prolusione inaugurale di Salerno Letteratura, poi confluita nel breve autoritratto narrativo "Introduzione a me stesso" (2014). In questa sede, l’autore è tornato su alcuni punti essenziali della sua riflessione sulla scrittura, come la relazione, reciproca e ineludibile, fra tradizione e contemporaneità. All’epilogo del «romanzo involontario» di una vita, La Capria guarda retrospettivamente alla propria esperienza come ad un’autentica educazione intellettuale. Perciò, muovendo da un’intervista inedita del 2015, riportata integralmente in appendice, la tesi ha l’obiettivo di ricostruire l’apprendistato letterario di La Capria dai primi anni Trenta, quando l’autore ancora frequentava il ginnasio, fino all’inizio dei Sessanta, quando ottenne il premio che ne avrebbe assicurato il successo. Il percorso, che riesamina l’intera bibliografia lacapriana nella sua varietà e nella sua stratificazione, si articola in una serie di fasi interdipendenti: la partecipazione indiretta alle iniziative dei GUF (intorno alle riviste «IX maggio» e «Pattuglia»); l’incursione nel giornalismo e l’impegno culturale nell’immediato dopoguerra (sulle pagine di «Latitudine» e di «SUD»); l’attività di traduttore dal francese e dall’inglese (da André Gide a T.S. Eliot); l’impiego alla RAI come autore e conduttore radiofonico (con trasmissioni dedicate a Orwell, Stevenson, Saroyan e Faulkner); la collaborazione con «Il Gatto Selvatico», la rivista dell’ENI voluta da Enrico Mattei e diretta da Attilio Bertolucci; e le vicende editoriali dei suoi primi due romanzi, “Un giorno d’impazienza” (1952) e “Ferito a morte” (1961), fino alla conquista dello Strega. La rilettura dell’opera di uno scrittore semi-autobiografico come La Capria, attraverso il costante riscontro di fonti giornalistiche, testimonianze epistolari e documenti d’archivio che avvalorano e occasionalmente smentiscono la sua versione dei fatti, diventa allora un’occasione per immergersi nella sua mitografia personale e avventurarsi in territori finora poco esplorati: come la ricostruzione del suo profilo culturale, a partire dal milieu in cui La Capria vive e opera, o l’incidenza delle letture e delle esperienze giovanili sulla sua prassi letteraria.
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Vasarri, Francesco. « Dall'ape alla zanzara. L'entomologia nella poesia italiana contemporanea ». Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/2158/1136880.

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Résumé :
La tesi intende dimostrare l’importanza del motivo entomologico e aracnologico nella poesia italiana contemporanea, rilevando la grande presenza di figure di insetti, aracnidi e altri invertebrati nel repertorio tematico degli autori e analizzandone tanto le funzioni simbolico-metaforiche che le implicazioni filosofiche e culturali, opportunamente storicizzate. Sono considerati con ampiezza i poeti del Novecento italiano, mentre per la prosa si prendono in esame prevalentemente gli autori o le singole opere che appaiono più rappresentative nel ricorso al tema entomologico. Ad una Introduzione, divisa in due paragrafi, si sono affidate considerazioni generali sulla costituzione del corpus di autori analizzati (comprendente trentasei poeti e sette narratori) e sulle motivazioni che hanno portato ad occuparsi, in senso ampio, di metaforica e rappresentazione entomologica nel periodo in questione. Particolare attenzione si dedica, con focalizzazione sulle opere reboriane, agli assi simbolici estremi costituiti dall’ape e dalla zanzara. Lo studio è poi stato diviso in due capitoli, rivolto il primo a estese analisi occorrenziali e il secondo a questioni interpretative sollevate da figure animali particolarmente rilevanti e a percorsi su autori esemplari. Nel primo macro-capitolo, Campionario entomologico, si dà ragione nello specifico della quantità e del valore dei riferimenti riguardanti gli artropodi più frequentati dalla poesia italiana del Novecento (considerando anche, con incursioni mirate, alcuni romanzi e racconti). L’analisi si concentra allora, nell’arco di tre paragrafi che presentano anche elenchi occorrenziali, innanzitutto sui tarli, connotatori di antichità nella poesia primonovecentesca e poi, in tutto il corso del secolo, indicatori anche del dubbio e del rovello esistenziale. Segue l’analisi della presenza nel corpus di insetti legati ai valori della bellezza, leggerezza e sensualità, quali le farfalle, le libellule, i grilli e le cicale e le lucciole e concludono il campionario le figure del ragno e della tela, che ci sono parse particolarmente implicate con questioni fenomenologiche e appercettive, nonché impiegate (come accade in realtà piuttosto di frequente per varie tipologie di insetto) come simboli e metafore che riguardano direttamente senso e modelli dell’attività letteraria in sé. Il secondo macro-capitolo esplora invece Temi, problemi e percorsi sviluppati nell’arco di quattro paragrafi distinti. Tra le questioni prese in esame si conta innanzitutto il peculiare valore assunto dalla mosca, che nel Novecento pare perdere i più tipologici valori negativi per approdare al rilievo di un’immagine di fragilità minacciata, propria tanto della poesia, come nel caso di Rosselli o Lamarque, che più in generale della condizione dell’individuo. Segue un paragrafo dedicato agli insetti sociali e alla gamma di possibilità metaforiche che il loro ordinamento in colonia offre allo sguardo degli autori, in un percorso dove spiccano le questioni legate al tema luziano della Genia. Si analizzano poi, nei due paragrafi restanti, le personali declinazioni della rappresentazione entomologica in due autori del secondo Novecento, Caproni e Zanzotto. Di entrambi si rileva, a partire dai testi e dalle dichiarazioni e autocommenti, il livello spesso emblematico e metapoetico dell’insetto. Di poche ma significative occorrenze si compone il campionario caproniano, complessivamente segnato dal tema della soglia e dell’attraversamento impossibile. Al contrario, la poesia di Zanzotto è una ricca miniera di occorrenze, che abbiamo organizzato in quattro sottoparagrafi, dedicati, tra gli altri, alla figura del baco da seta, a quella della tenia, e a un complessivo rilievo di luoghi testuali. Chiudono il lavoro le Conclusioni nelle quali si accenna ad ulteriori sviluppi di ricerca, come ad esempio il valore diminutivo e degradante della metafora entomologica nei Trucioli sbarbariani, la curiosità di alcune occorrenze relative ai crostacei, e il possibile interesse di panoramiche su opere ad alto tasso di zoomorfia, quali quelle di Gadda o di Landolfi.
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CIACO, MARILINA. « Dopo la poesia ? Installazioni, esperienza estetica, allegoria nella poesia del Duemila ». Doctoral thesis, 2022. http://hdl.handle.net/10808/44912.

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Résumé :
La presente tesi di dottorato nasce da una ricerca volta a indagare i rapporti fra poesia contemporanea e pratiche visuali e installative con un focus sulla poesia del Duemila. L’oggetto della nostra ricerca si inserisce nel più ampio contesto degli studi comparati fra letteratura e arti visive e investe al tempo stesso una serie di questioni storico-critiche, teoriche ed estetiche che ci inducono a riflettere sull’assoluta specificità storica e mediale del fenomeno. A partire dai primi anni Duemila il progressivo emergere di una “poesia installativa”, in particolare (ma non solo) nell’ambito della poesia di ricerca o scrittura di ricerca, testimonia ben presto il configurarsi di una forma paradossale, nella quale elementi per così dire consueti del discorso poetico, e in parte ascrivibili alla tradizione delle avanguardie novecentesche, convivono con anomalie – sia sul piano del genere letterario che su quello estetico e mediale – sino a quel momento inedite. Ci si è dunque interrogati intorno a un duplice ordine di questioni: vi è un problema storico di ricostruzione di una tradizione di rapporti fra poesia e arti visive, ma vi è anche un problema propriamente teorico che riguarda, piuttosto, la possibilità di definizione e interpretazione di una tale tipologia di poesia in quanto forma storica e relazionale. Come tutte le forme letterarie e artistiche, del resto, la poesia installativa è espressione delle mutazioni storico-sociali, antropologiche ed epistemologiche che hanno caratterizzato gli ultimi decenni, e al tempo stesso si fa carico di una serie di istanze pragmatiche e relazionali che si attivano in sede di ricezione, vale a dire durante l’atto di lettura che sancisce l’incontro fra il testo e il suo pubblico. Proprio l’analisi dell’esperienza estetica connessa all’atto di lettura potrebbe rivelarsi decisiva per meglio comprendere la fenomenologia di questa forma letteraria ibrida, nella quale l’elemento partecipativo o interattivo risulta fondante per dischiuderne appieno i molti e stratificati meccanismi di senso. Il primo capitolo si apre pertanto con una ricognizione dell’evoluzione diacronica dei fenomeni di contaminazione verbo-visiva in poesia, in particolare a partire dal secondo Novecento, identificando tre paradigmi orientativi per descrivere tale ibridazione (figurativo, oggettuale, installativo). Il secondo capitolo si concentra su un inquadramento transnazionale delle scritture installative del Duemila definendo, con notazioni storico-critiche ed esempi testuali, le due linee di ascendenza della poesia di ricerca, francese e statunitense. Abbiamo in seguito raccolto e selezionato diversi campioni testuali che potessero assurgere a studi di caso particolarmente significativi per illustrare alcune declinazioni della poesia installativa. Il terzo capitolo è infatti dedicato all’analisi empirica dei campioni testuali selezionati. Il quarto capitolo provvede poi a un inquadramento della poesia installativa nel più ampio contesto del panorama poetico e del dibattito critico contemporaneo (2000-2021), ponendo in evidenza il costituirsi di diversi progetti collettivi nonché il ruolo svolto da alcune importanti antologie. Infine, la proposta teorica che sarà presentata e discussa nel quinto e ultimo capitolo ha previsto l’integrazione metodologica degli strumenti di analisi più strettamente storico-letterari con alcune acquisizioni mutuate dall’estetica della ricezione, dai visual studies e dalla poetica cognitiva. Abbiamo rilevato la presenza di una forma allegorica in senso benjaminiano, dove il contenuto latente sembrerebbe identificarsi con l’insieme dei processi percettivi e cognitivi che scandiscono il nostro essere nel mondo.
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CASTELLANO, FRANCESCA PIA. « Interviste a Eugenio Montale (1931-1981) ». Doctoral thesis, 2010. http://hdl.handle.net/2158/857720.

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