Thèses sur le sujet « Pittura medievale »
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Piazza, Simone. « Pittura rupestre medievale : Lazio et Campania settentrionale (secoli VI-XIII) / ». [Rome] : [Paris] : École française de Rome ; [diff. de Boccard], 2006. http://catalogue.bnf.fr/ark:/12148/cb410128026.
Texte intégralMassaccesi, Fabio <1974>. « Jacopo di Paolo nella pittura bolognese tra XIV e XV secolo ». Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2008. http://amsdottorato.unibo.it/1101/1/Tesi_Massaccesi_Fabio.pdf.
Texte intégralMassaccesi, Fabio <1974>. « Jacopo di Paolo nella pittura bolognese tra XIV e XV secolo ». Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2008. http://amsdottorato.unibo.it/1101/.
Texte intégralMurat, Zuleika. « Pittura e contesto. Guariento ». Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2013. http://hdl.handle.net/11577/3423040.
Texte intégralLa tesi, dal titolo “Pittura e contesto. Guariento”, ha per oggetto la figura e l'opera del pittore padovano Guariento di Arpo. Nato attorno al 1310 e morto entro il 1370, l'artista è noto soprattutto per le sue imprese al servizio dei Carraresi, per i quali dipinse la cappella privata di palazzo e, secondo le testimonianze delle fonti, altre sale di rappresentanza all'interno della reggia, distrutte nel corso dei secoli successivi. Pittore stimato e richiesto all'epoca, la sua fama travalicò presto i confini cittadini, e venne infatti ingaggiato da altri committenti prestigiosi dapprima a Bolzano, dove lavorò per la ricca famiglia dei Rossi-Botsch, e poi a Venezia, dove in due diverse occasioni si aggiudicò importanti commissioni dogali. Nella stessa città natale fu attivo in numerose imprese, fra cui le principali, oltre alle carraresi, si individuano nella chiesa degli Eremitani, dove decorò la cappella maggiore e quella dedicata a Sant'Antonio abate. Infine, numerosi dipinti su tavola, per la maggior parte smembrati e conservati in musei e collezioni internazionali, lasciano immaginare una ricca produzione di pale d'altare, in competizione e su modello di quanto si andava contemporaneamente facendo a Venezia, oggi difficilmente stimabile per la scomparsa pressoché totale, e per gli invasivi rimaneggiamenti, dei dipinti stessi. La posizione innovatrice del pittore, pur ben rilevata dalle fonti antiche che lunghi elogi dedicarono alla sua opera, stenta ad essere riconosciuta dalla critica più recente, al punto che Guariento è spesso sottovalutato non solo per la distruzione parziale delle sue opere più importanti, che ne pregiudica l'apprezzamento, ma anche per l'ambivalenza del suo linguaggio, che spesso ha disorientato gli studiosi. Ancora in anni assai recenti, infatti, le radici stilistiche del maestro vengono confuse e male interpretate, così come il successivo evolversi del suo stile, troppo spesso letto in un rapporto di derivazione quasi passiva da modelli di scuole pittoriche diverse, fiorite negli stessi anni. Attraverso la rinnovata analisi dei dipinti, pertanto, delle fonti, e del contesto storico in cui Guariento operò, la ricerca che qui si presenta ricostruisce l'intera vicenda artistica del maestro, restituendo dignità ad un pittore che fu fra i massimi innovatori dell'arte padovana del Trecento. Il lavoro si articola in quattro capitoli, cui fanno seguito i canonici apparati, ovvero il regesto documentario e il catalogo delle opere. Il primo capitolo è dedicato alla fortuna critica; i giudizi espressi sull'opera del pittore vengono contestualizzati nel tessuto culturale in cui furono prodotti, e riletti alla luce delle conoscenze e correnti di pensiero coeve. Segue un capitolo dedicato all'analisi stilistica dell'intera opera del pittore, che viene riveduta a partire dalle fasi iniziali, contestualizzate nell'ambito delle botteghe giottesche padovane di inizio Trecento, fino agli sviluppi gotici più maturi e alla fase estrema, neogiottesca, dell'attività dell'artista; grande attenzione è riservata all'aspetto ornamentale e materico delle opere, finora totalmente trascurato dalla critica. Al fondamentale ambito della committenza è dedicato il terzo capitolo, che focalizza l'attenzione sugli importanti cicli finanziati dai Carraresi, dai Rossi-Botsch, dagli Eremitani e dai Dogi; i dipinti frammentari vengono idealmente ricomposti nella loro veste originaria e al contempo se ne indagano i significati encomiastici e celebrativi. L'ultimo capitolo è invece riservato all'analisi della produzione su tavola, e nello specifico alle funzioni, tipologie e provenienze di tali dipinti, oggi per la maggior parte smembrati. Attraverso lo studio diretto delle porzioni superstiti, lo spoglio delle fonti, e la comparazione con esempi meglio documentati e integri, si propongono nuove ipotesi ricostruttive.
Mazzocchi, Eleonora. « Territori della Riforma : pittura a Roma nella prima metà del XII secolo ». Doctoral thesis, Scuola Normale Superiore, 2006. http://hdl.handle.net/11384/85761.
Texte intégralFabbian, Alice <1986>. « Pittura rupestre del Catepanato in Puglia : iconografie orientali a confronto con temi dell'occidente cristiano ». Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2018. http://hdl.handle.net/10579/13479.
Texte intégralMosso, Valerio <1976>. « Giovanni Francesco da Rimini Un percorso fra tradizione e rinnovamento nella pittura italiana di metà Quattrocento ». Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2012. http://amsdottorato.unibo.it/5115/1/Mosso_Valerio_tesi.pdf.
Texte intégralThe PhD thesis focuses on the oeuvre of Giovanni Francesco da Rimini, painter active between 1440 and 1470. Through the analysis of his activity in Padua, Perugia, Florence and Bologna, it presents a complete catalogue of his works.
Mosso, Valerio <1976>. « Giovanni Francesco da Rimini Un percorso fra tradizione e rinnovamento nella pittura italiana di metà Quattrocento ». Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2012. http://amsdottorato.unibo.it/5115/.
Texte intégralThe PhD thesis focuses on the oeuvre of Giovanni Francesco da Rimini, painter active between 1440 and 1470. Through the analysis of his activity in Padua, Perugia, Florence and Bologna, it presents a complete catalogue of his works.
RICCOBONO, FEDERICO. « La pittura murale a Milano tra la seconda metà del XIII secolo e l'inizio del XIV secolo ». Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2012. http://hdl.handle.net/10280/1352.
Texte intégralThis study on the mural painting in Milan in the second half of the thirteenth century at the beginning of the fourteenth century, starting from the considerations of PietroToesca (1912); we analyze the individual frescoes trying to put them in a consistent chronological and stylistic; to understand better what the painting looked like before the arrival of Giotto in Milan , highlighting similarities and differences between the many stylistic variations present in Milan. For this purpose the individual paintings in the various religious buildings, are studied in their architectural context to better understand their importance in the artistic city.
RICCOBONO, FEDERICO. « La pittura murale a Milano tra la seconda metà del XIII secolo e l'inizio del XIV secolo ». Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2012. http://hdl.handle.net/10280/1352.
Texte intégralThis study on the mural painting in Milan in the second half of the thirteenth century at the beginning of the fourteenth century, starting from the considerations of PietroToesca (1912); we analyze the individual frescoes trying to put them in a consistent chronological and stylistic; to understand better what the painting looked like before the arrival of Giotto in Milan , highlighting similarities and differences between the many stylistic variations present in Milan. For this purpose the individual paintings in the various religious buildings, are studied in their architectural context to better understand their importance in the artistic city.
Scirea, F. « Gli elementi ornamentali della pittura murale medievale in Lombardia (secoli VIII-XIII). Repertorio fotografico, catalogo con database relazionale, studio per exempla ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2007. http://hdl.handle.net/2434/67483.
Texte intégralCASERO, ANDREA LUIGI. « Giusto de' Menabuoi in Lombardia ». Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2011. http://hdl.handle.net/10280/1064.
Texte intégralMy research examines the period of activity in Lombardy of Giusto de' Menabuoi, a painter of the 14 century. He was born in Florence and is mostly known for his paintings executed in Padua where he worked from 1370 until his death just before 1391. Approximately between 1348 and 1367 he worked also in Lombardy but little is known for sure about this period. For the research presented here, some works from this period have been studied: the frescoes of Viboldone and Brera, the polyptych from 1363 and the triptych from 1367), proposing an approach to dating and provide more evidence for the attribution. Finally there is a proposal for attributing an unpublished work by Giusto for a church in Monza. The reseach shows that during his long stay in Lombardy the stile of the painter underwent a number of changes in his use of more elegant and refined colours which influenced other Lombard painters of that period.
CASERO, ANDREA LUIGI. « Giusto de' Menabuoi in Lombardia ». Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2011. http://hdl.handle.net/10280/1064.
Texte intégralMy research examines the period of activity in Lombardy of Giusto de' Menabuoi, a painter of the 14 century. He was born in Florence and is mostly known for his paintings executed in Padua where he worked from 1370 until his death just before 1391. Approximately between 1348 and 1367 he worked also in Lombardy but little is known for sure about this period. For the research presented here, some works from this period have been studied: the frescoes of Viboldone and Brera, the polyptych from 1363 and the triptych from 1367), proposing an approach to dating and provide more evidence for the attribution. Finally there is a proposal for attributing an unpublished work by Giusto for a church in Monza. The reseach shows that during his long stay in Lombardy the stile of the painter underwent a number of changes in his use of more elegant and refined colours which influenced other Lombard painters of that period.
Baggio, Luca. « Iconografia di sant'Antonio al Santo di Padova nel XIII e XIV secolo : Spazi, funzioni, messaggi figurati, committenze ». Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2013. http://hdl.handle.net/11577/3423845.
Texte intégralQuesto studio prende in esame l'iconografia di sant'Antonio presso la basilica padovana che conserva il suo corpo (nota comunemente come 'il Santo') nel secolo XIII e agli inizi del XIV. La prospettiva di ricerca è incentrata sul ruolo dei francescani nell’elaborazione dell'iconografia antoniana, come promotori e, in diversi casi, come diretti committenti. Non essendosi conservate al Santo immagini duecentesche di sant'Antonio, l'indagine prende in esame l'architettura della basilica (il contesto delle eventuali opere figurative oggi perdute) e la tomba del Santo (centro ideale del santuario). Viene avanzata l'ipotesi che esistessero immagini antoniane duecentesche nel portale centrale della facciata, nelle nicchie della controfacciata, sull'altare maggiore, nelle vetrate delle cappelle radiali. Alcune miniature tardoduecentesche sembrano confermare l'esistenza di opere pittoriche perdute. La più antica immagine antoniana conservatasi, databile tra fine Duecento e inizio Trecento, posta nella lunetta della porta della sacrestia, viene analizzata in rapporto alla sua collocazione. Viene successivamente esaminato in dettaglio il ciclo affrescato nella sala del capitolo del convento antoniano, che si qualifica come un punto di svolta per l'iconografia antoniana. Sono proposte nuove indagini sulle strutture architettoniche della sala, che ha subito molte trasformazioni. È stato realizzato il fotopiano della parete est, su cui si è proiettata un'ipotetica distribuzione originaria delle scene affrescate, oggi in stato frammentario. La rilettura iconografica del ciclo mette in evidenza la centralità delle immagini di sant'Antonio e giunge a nuove ipotesi sui significati dei dipinti, voluti dai frati del convento del Santo con precisi scopi comunicativi. Vengono indagate le funzioni che questo spazio svolgeva all'interno del convento e sono analizzate alcune fonti scritte locali, quali punti di riferimento per interpretare le innovative immagini antoniane presenti nel ciclo pittorico. La cronologia dei dipinti proposta è il primo decennio del Trecento, una fase di radicali e complessi cambiamenti nella comunità francescana di Padova e per l'intero Ordine dei Minori. Gli affreschi vengono attribuiti a Giotto, probabilmente prima del ciclo di pitture nella cappella degli Scrovegni, anche tenendo conto del loro impatto nell'area del nord-est italiano e presso i pittori riminesi. Infine vengono presi in considerazione i resti di affreschi nel vano oggi adibito ad 'andito' della portineria del convento, in stretto rapporto con la contigua sala capitolare, e si ipotizza la possibilità che anche qui l'immagine di sant'Antonio fosse presente e rilevante.
Fazio, Giuseppe. « "lo travo di lo crucifixo". L'esposizione e l'uso della croce negli edifici di culto siciliani fra il Regnum Normanno e il Concilio di Trento (1149-1555) ». Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2015. http://hdl.handle.net/11577/3423918.
Texte intégralNel 1992 la pubblicazione di un libro sulle croci dipinte in Sicilia (M. C. Di Natale, Le croci dipinte in Sicilia. L'area Occidentale dal XIV al XVI secolo, Flaccovio editore, Palermo 1992) metteva in evidenza un aspetto della produzione artistica isolana che dal Duecento fino alla metà del Cinquecento aveva tenuto impegnate le botteghe artistiche nell'incessante lavoro di soddisfare le esigenze cultuali e liturgiche di cattedrali, monasteri e parrocchiali, non potendo esistere infatti una chiesa cristiana senza la sua icone della croce (Concilio Niceno II). Dal testo, che prende le mosse comunque dagli studi precedenti soprattutto di Maria Grazia Paolini, che già nel 1959 aveva individuato le peculiarità della produzione siciliana di croci dipinte, si evince chiaramente che mentre nel resto d'Italia questo particolare genere pittorico si era estinto già sul finire del Trecento, in Sicilia esso si perpetua fin ben oltre la metà del XVI secolo, con un continuo rinnovamento del linguaggio figurativo da parte degli artisti ma restando legati alla tradizione medievale della tavola sagomata a croce, ornata da una ricca cornice intagliata che solo in rari casi si è conservata, dove spesso le figure sono costrette a forza entro i contorni serrati. "L'originalità delle croci siciliane a partire dal XV secolo è per altro anche quella di essere dipinte su entrambe le facce invece che soltanto nel recto, come erano gli esemplari romanici e gotici, ad eccezione delle croci astili e processionali, per altro più maneggevoli e di formato ridotto (dalla introduzione di Maurizio Calvesi). Nelle grandi croci stazionali della Sicilia, a differenza delle croci di piccolo formato spesso realizzate a fini devozionali e che prevedono una grande varietà di immagini diverse, l'iconografia si è inoltre consolidata su uno schema rispondente alla sua funzione liturgica e che, tranne in rari casi, rimane a lungo invariato. Esso prevede, nel recto, la figura del Crocifisso al centro, la Vergine e San Giovanni dolenti nei due capicroce ai lati, il Pantokrator ovvero l'Arbor vitae con il nido del Pellicano, emblema cristologico, in alto e la Maddalena ovvero la grotta con il teschio di Adamo in basso; nel verso troviamo invece la figura del Risorto al centro e gli emblemi dei quattro evangelisti nei capi-croce. Tuttavia in quella occasione venivano lasciate irrisolte numerose questioni inerenti soprattutto alcuni degli esemplari presentati che costituiscono ancora capitoli aperti della storia dell'arte medievale e moderna in Sicilia; basta citare per tutti la straordinaria croce della cattedrale di Piazza Armerina, name-piece per l'ancora anonimo maestro che l'ha dipinta. A quasi vent'anni da quella pionieristica pubblicazione è sembrato opportuno allora ritornare sull'argomento per cercare di chiarire i punti rimasti ancora in ombra e allargare il campo di indagine agli altri aspetti inerenti l'esposizione della croce all'interno degli edifici ecclesiastici siciliani e la sua fruizione da parte del clero e dell'assemblea dei fedeli. Si è pensato allora di estendere la ricerca sia ai modelli liturgici precedenti, ossia a partire da quando in Sicilia abbiamo contezza di un uso della croce sistematicamente inquadrabile con certezza, attraverso fonti scritte e iconografiche, e che corrisponde alle attestazioni di epoca normanna e protrarla fino alla metà del XVI secolo, quando le norme, ovvero le consuetudini e le interpretazioni, scaturite dal Concilio di Trento interromperanno la millenaria centralità della croce all'interno dell'aula ecclesiale; sia di includere le altre forme di esposizione della croce, focalizzando l'attenzione di volta in volta sulla diversità del medium, in termini di supporto e di materia utilizzati ma anche del cambiamento che esso provoca nella recezione del messaggio che si vuole trasmettere. I confini cronologici sono segnati da due date precise: nel 1149 viene redatto l'inventario dei beni mobili della Cattedrale Cefalù in cui si evince chiaramente, ed è una delle prime volte, l'uso normanno della croce processionale, che poi veniva staccata dalla sua asta e posta sull'altare, ovvero fissata nei pressi di esso; il 1555 è invece l'anno segnato sul verso dipinto della complessa macchina lignea al centro della navata della chiesa madre di Collesano, che rappresenta l'apogeo per le croci siciliane oltre che un caso unico in Italia di mantenimento di una simile struttura che focalizza tutto lo spazio liturgico. Nella rilettura delle fonti, dei documenti e della storiografia sull'argomento, fra cui si segnala la recente e corposa pubblicazione Manufacere et scolpire in lignamine, curata da Teresa Pugliatti, Salvatore Rizzo e Paolo Russo, dedicata alla scultura in legno siciliana, sono emerse non poche discordanze nell'interpretazione dei dati a nostra disposizione, che dal 1992 ad oggi, grazie a numerosi rinvenimenti documentari, hanno accresciuto la possibilità di avere un quadro più completo, anche se ancora parecchi rimangono i buchi da colmare con dati certi, ma a cui si tentato di dare comunque una risposta, seppure ipotetica. La ricerca si è avviata cercando di mettere a fuoco alcuni punti cardine che costituiscono lo scheletro su cui si è sviluppata tutta l'architettura delle argomentazioni: Le croci dipinte vanno inserite nel più ampio contesto dei Calvari stazionali, di cui esse rappresentano una particolarissima visione sintetica compiuta. I documenti e le fonti iconografiche suggeriscono infatti l'esistenza di una variegata possibilità di soluzioni per l'esposizione della croce: la sola croce dipinta, la croce dipinta e i dolenti rilevati a tutto tondo, la croce dipinta soltanto nel verso e con il Crocifisso scolpito nel recto, il solo Crocifisso scolpito, il gruppo del Calvario composto da tre statue a tutto tondo. La collocazione della croce all'interno dell'edificio ecclesiale. Gli studi precedenti si sono soffermati soltanto sull'aspetto verticale, disputando se in origine croci e crocifissi erano appesi sotto l'arco del presbiterio, piantate a terra o, più verosimilmente, poste al di sopra del tramezzo e più frequentemente della trabeazione chiamata nei documenti per l'appunto 'lo trabo' o 'la trabe' del crocifisso. Gli equivoci in questo senso nascono principalmente da una errata interpretazione sulla sistemazione della croce nella Cattedrale normanna di Cefalù. Nel tempio ruggeriano è infatti ancora presente una monumentale croce opistografa, la più grande della Sicilia con i suoi oltre cinque metri di altezza, attribuita da Genevieve Bresc Bautier, prima, e da Maria Andaloro, poi, a Guglielmo da Pesaro, che la dovette eseguire prima del 1468, anno in cui gli viene commissionata un'altra croce dipinta per il duomo di Monreale che il pittore doveva realizzare in conformità a quella già compiuta per Cefalù. Il vescovo Preconio, probabilmente, trasferisce la monumentale croce dipinta sotto la chiave di volta del grande arco che separa la navata dell'assemblea dal transetto riservato al clero, qui infatti la trova appesa un cronista del 1592, Bartolomeo Carandino, e questo come detto ha creato numerosi equivoci circa la collocazione in origine della croce cefaludese e delle altre in Sicilia; infatti le croci siciliane si distinguono anche per non avere una base d'appoggio propria, in molte però sono ancora riconoscibili il perno che permetteva di fissarle al tramezzo o alla trave e gli anelli per l'aggancio dei tiranti che permettevano di stabilizzarla. Ma sarà soltanto con le trasformazioni interne alle aree celebrative operate nel clima tridentino, durante il quale si è accentuata la centralità della custodia eucaristica rispetto alla croce, che essa viene spostata o all'apice dell'arco del presbiterio, per non "infastidire" la visione dei riti liturgici, oppure viene collocata su un altare laterale, equiparata alle altre immagini che si moltiplicano sulle pareti delle chiese. Gli stessi documenti ci dicono però della collocazione della croce 'in mezo di la ecclesia' accentuando di più l'aspetto orizzontale, rispetto a quello verticale. La funzione principale della croce era infatti quella di dividere la chiesa in due zone, una riservata al clero e alla celebrazione dei riti e una atta ad accogliere l'assemblea dei fedeli, rispecchiando così quanto Venanzio Fortunato, innografo del VI secolo, aveva espresso nel suo Vexilla Regis, il più famoso testo liturgico dedicato alla croce, che ad un certo punto, le si rivolge con queste parole: «del corpo suo sei fatta bilancia». La funzione liturgica del verso dipinto con l'immagine del Cristo Risorto. E' stato ipotizzato che la bi-frontalità delle croci siciliane servisse per esporre nel tempo di Pasqua l'effigie della resurrezione, rigirando la tavola su se stessa. Di questo rituale non si trova però nessuna traccia nelle fonti e comunque, se vero, esso appare più un'usanza devozionale post-tridentina che una prassi della spiritualità medievale. A questo si aggiunge che per alcuni esemplari di croce, di notevoli dimensioni e con predisposizioni logistiche che non permettevano la mobilità anche parziale dell'opera, una simile operazione risulta molto improbabile. Problemi legati a questioni stilistiche e attributive. Molte attribuzioni, sia delle croci dipinte che dei gruppi scultorei, non sono condivise unanimemente dalla critica come pure in alcuni casi, fra i quali il più interessante rimane quello del convenzionalmente detto Maestro della croce di Piazza Armerina, si è dibattuto sulla formazione culturale degli artisti e circa la loro provenienza estera o l'origine locale. Una parte della ricerca ha cercato di chiarire gli aspetti prettamente liturgico ' cultuali, innanzitutto con l'analisi delle fonti liturgiche e patristiche dei testi fondativi e prescrittivi sull'uso della croce nella liturgia romana e sulla sua presenza stazionale e monumentale all'interno degli edifici di culto. Le fonti latine sono riportate nella lingua originale, mentre quelle greche o in altra lingua antica in traduzione; inoltre alcune volte, quando si sono rilevati problemi di interpretazione, si è optato per la traduzione in nota in lingua corrente. Si sono prese in esame sia le fonti generali della Patrologia Latina sia le fonti liturgiche locali, quali il cosiddetto Messale Gallicano (fine XII-inizi XIII sec.) conservato nell'Archivio Storico Diocesano di Palermo, i testi liturgici della Biblioteca del Seminario di Messina (XII sec.) e quelli più recenti della Biblioteca Centrale della Regione Sicilia e dell'Abbazia benedettina di San Martino delle Scale, costatando che dal punto di vista normativo non esistevano in Sicilia prescrizioni peculiari rispetto al resto dell'Occidente cristiano. L'ordine dei capitoli non deve essere inteso allora soltanto come successione cronologica dei fatti e delle opere presentate, ma a questa si associano la diversificazione tipologica e funzionale di tutta la consistenza delle opere rimaste e le digressioni diacroniche di carattere generale sui diversi usi della croce nel tempo. Grande spazio è stato dato anche ai temi inerenti all'iconografia e all'iconologia delle immagini, poiché ritengo che la sola lettura formale e stilistica restituisca soltanto in senso parziale la contestualizzazione di questa particolare categoria di arredo liturgico. La lettura dei diversi sistemi di immagini e la ricerca del loro linguaggio semantico non si sono fermati alla semplicistica lectio faciliori, ma si è cercato di risalire alle fonti primigenie che sottendono a ciascuno di essi, le quali probabilmente con l'andare del tempo non furono percepite più come tali, ma rimangono pur sempre testimonianze di una tradizione figurativa ininterrotta. Una parte rilevante della ricerca è stata dedicata all'indagine documentaria, mettendo insieme e rileggendo univocamente la grande mole di documenti che da Gioacchino Di Marzo (seconda metà del XIX secolo) in poi sono venuti alla luce, non avendo tralasciato quando possibile l'integrazione con nuovi dati ricavati da documenti inediti o poco conosciuti. Il capitolo I è incentrato sull'uso della croce in Sicilia in epoca normanno-sveva, quando non è documentata nessuna presenza di croci monumentali ma soltanto di quelle piccole e preziose che venivano impiegate al contempo nelle processioni e quindi collocate presso l'altare; si è analizzata l'origine della croce posta nel contesto dell'altare e il suo legame con il sacrificio eucaristico e lo sviluppo della funzione fino alla cosiddetta croce stazionale, quella cioè che precedeva nei rituali liturgici e paraliturgici il papa e anche i vescovi che erano stati autorizzati; si sono passate in rassegna le superstiti opere prodotte dalle officine del Palazzo Reale di Palermo, delle quali nessuna è oggi conservata in Sicilia, e quindi le altre tipologie che vanno dalle croci in lamine metalliche a quelle a smalto di produzione limosina. Il capitolo II affronta il tema della croce monumentale posta al centro della chiesa, ne analizza l'origine e la diffusione e quindi si sofferma sui pochi esemplari due e trecenteschi che sono scampati al degrado del tempo, da quelle di importazione centro italiana a quelle riconosciute come produzione autoctona. Inoltre è presentato l'unico esemplare di crocifisso ligneo duecentesco a essere giunto fino a noi, quello del monastero di Rifesi, oggi nella chiesa madre di Burgio (Agrigento). Nel capitolo III si sviluppa il tema del crocifisso gotico a rilievo, diffusosi nel corso del XIV secolo e che viene considerato come la nascita del crocifisso devozionale, davanti al quale riversare propositi e speranze del fedele pentito dei propri peccati. Gli esemplari più famosi in Sicilia, due del tipo 'doloroso', a Palermo e a Trapani, e uno del tipo 'cortese', a Monreale, saranno oggetto di numerosissime repliche, che addirittura nel caso del devotissimo crocifisso palermitano arriveranno fino agli inizi del XX secolo. Il Capitolo IV tratta della ripresa nel Quattrocento della produzione di croci dipinte e della sua caratterizzazione distintiva più originale nelle croci opistografe, che presentano il Crocifisso da un lato e il Risorto dall'altro. Qui si è cercato di dare delle risposte, che ovviamente rispecchiano il punto di vista dello scrivente, sui molti aspetti ancora irrisolti circa le attribuzioni di alcune opere o la loro connotazione culturale, cercando di argomentarle sulla base di dati certi. Infine il V e ultimo capitolo è dedicato alle diverse alternative alla croce dipinta, che vanno da soluzioni semplici, come il crocifisso scolpito o la croce ibrida, con alcune parti dipinte e altre a rilievo, a quelle più complesse che prevedono l'uso di croci o crocifissi affiancati dalle immagini dei due dolenti, che hanno il loro apice nella grande macchina lignea di Collesano, datata 1555. La seconda parte del testo è dedicata alla classificazione delle opere esistenti, partendo dal buon repertorio di croci dipinte e crocifissi pubblicato nel 1992, integrandole con le opere allora non inserite, soprattutto della Sicilia Orientale, e aggiungendo le opere appartenenti alle altre tipologie analizzate. I risultati di tale investigazione sono confluiti in un catalogo ragionato dove di ogni opera si è registrato collocazione, materiali e supporto, misure, provenienza, iconografia, eventuali iscrizioni, datazione, autore. Per quanto riguarda la sezione V. del catalogo, ossia quella che riguarda i crocifissi e i gruppi scultorei del XV e XVI secolo, la classificazione si deve intendere come puramente esemplificativa e assolutamente non esaustiva, perchè, in mancanza di una catalogazione preliminare, troppo numerose sono le opere e troppo vasto il territorio per poter ipotizzare una ricognizione a tappeto.
Leporesi, Eleonora <1995>. « Le pitture della Sala del Giudizio nel Palazzo Nero di Coredo ». Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2020. http://hdl.handle.net/10579/16891.
Texte intégralMASSARA, DANIELA. « L¿EDILIZIA ABITATIVA DI MILANO IN ETÀ ROMANA ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2019. http://hdl.handle.net/2434/616907.
Texte intégralDe, Zordi Elena <1997>. « Da Bisanzio alla Svezia via Novgorod. Le pitture su legno della perduta chiesa di Sundre e le altre testimonianze dell'isola di Gotland (XII secolo) ». Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2022. http://hdl.handle.net/10579/21148.
Texte intégralCANDIANI, STEFANO. « IL MAESTRO DEL 'PANTHEON' E LA SUA BOTTEGA A MILANO NELLA CULTURA FIGURATIVA LOMBARDA DELLA PRIMA META' DEL XIV SECOLO ». Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2019. http://hdl.handle.net/10280/119345.
Texte intégralThe thesis is divided into four chapters. The first traces the status questionis and the critical fortune of the Master of the "Pantheon" and of his workshop: this artist, in fact, has been known for a century. Therefore, the various interventions of the scholars have been enumerated, focusing on the main ones, exposing them, criticize them and removing the hypotheses that are less probable today. In the second chapter, was provided an analysis of the ms. Lat. 4895 (Paris, Bibliothèque nationale de France), showing the specific characteristics firstly of the Bolognese illuminator, active in the first leaves, and secondly of the Master of the "Pantheon", active in the remaining leaves. The third chapter analyzes the codes attributable to the workshop of the Master of the "Pantheon", placed chronologically in the fourth decade of the fourteenth century, as well as the volumes commissioned by Bruzio Visconti, who was a prolific patron of illuminated manuscripts between the fourth and fifth decade of the fourteenth century. Finally, in the fourth chapter, is showed the connections between the Master of the "Pantheon" and the Lombard figurative culture of the first half of the century; also bringing out the figure of Giovami Visconti, archbishop of Milan, as patron and owner of manuscripts.
Squillantini, Elena. « La decorazione dei refettori in Toscana e Umbria tra XIII e XIV secolo ». Doctoral thesis, 2019. http://hdl.handle.net/2158/1150566.
Texte intégralVizzini, Marta. « Per un riesame della pittura viterbese. Pittura e contesti nel Patrimonium Sancti Petri in Tuscia tra XIII e XIV secolo ». Doctoral thesis, 2023. https://hdl.handle.net/2158/1299343.
Texte intégralRICCARDI, LORENZO. « L’Epiro tra Bisanzio e l’Occidente : ideologia e committenza artistica nel primo secolo del Despotato (1204-1318) ». Doctoral thesis, 2016. http://hdl.handle.net/11573/1418110.
Texte intégralBrunetti, Umberto. « LO SPLENDIDO VIOLINO VERDE DI A. M. RIPELLINO Saggio di commento ». Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11393/251617.
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