Littérature scientifique sur le sujet « Patavium »

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Articles de revues sur le sujet "Patavium"

1

Linderski, Jerzy. « Games in Patavium ». Ktèma : civilisations de l'Orient, de la Grèce et de Rome antiques 17, no 1 (1992) : 55–76. http://dx.doi.org/10.3406/ktema.1992.2054.

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2

Leigh, Matthew. « Sophocles At Patavium (fr. 137 Radt) ». Journal of Hellenic Studies 118 (novembre 1998) : 82–100. http://dx.doi.org/10.2307/632232.

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Résumé :
One of the most interesting of the myths concerning the migration to the West of those Trojan heroes who survived the destruction of their city is that of Antenor and his sons. That Antenor and his family received the embassy of the Greeks, saved them from attack by a group of Trojans and consistently urged peace and the return of Helen is already established in Homer. The consequent decision of the Greeks to spare the Antenorids at the sack of Troy is almost certainly present in the epic cycle. Somewhat later, two further traditions emerge: first the claim that Troy was betrayed by the Antenorids; second, that Antenor and various of his sons travelled overseas and settled in distant lands, notably Cyrene in Libya and Patavium in the Veneto. For anyone concerned with the development of the myth, it is therefore deeply frustrating that so little should remain of what must have been a crucial text: the Antenoridae of Sophocles. The aim of this paper is to demonstrate that there is far more to be known about this play than has hitherto been perceived.
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3

Tygielski, Wojciech. « “Patavium virum me fecit” – Padova come luogo di formazione delle antiche élite polacche ». Italica Wratislaviensia 12, no 1 (30 juin 2021) : 21–46. http://dx.doi.org/10.15804/iw.2021.12.1.02.

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4

Innocenti, Gabbriella, Lucia Puricelli, Sonia Piacente, Rosy Caniato, Raffaella Filippini et Elsa Mariella Cappelletti. « Patavine, a New Arylnaphthalene Lignan Glycoside from Shoot Cultures of Haplophyllum patavinum ». CHEMICAL & ; PHARMACEUTICAL BULLETIN 50, no 6 (2002) : 844–46. http://dx.doi.org/10.1248/cpb.50.844.

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5

Innocenti, Gabbriella, Lucia Puricelli, Sonia Piacente, Rosy Caniato, Raffaella Filippini et Elsa Mariella Cappelletti. « ChemInform Abstract : Patavine, a New Arylnaphthalene Lignan Glycoside from Shoot Cultures of Haplophyllum patavinum ». ChemInform 33, no 48 (18 mai 2010) : no. http://dx.doi.org/10.1002/chin.200248197.

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6

Rossi, Cecilia, Elena Pettenò, Sara Emanuele, Emanuela Faresin, Giuseppe Salemi, Mosè Mariotti et Gianmario Molin. « A lead-framed glass mirror from a Roman woman's grave in Padua/Patavium (north-eastern Italy) – investigating its function and production with a multidisciplinary approach ». Journal of Cultural Heritage 38 (juillet 2019) : 94–105. http://dx.doi.org/10.1016/j.culher.2018.11.012.

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7

Beckman, Gary, et Elena Rova. « Patavina Orientalia Selecta ». Journal of the American Oriental Society 122, no 1 (janvier 2002) : 175. http://dx.doi.org/10.2307/3087716.

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8

Dal Moro, Fabrizio. « “Vesica Patavina” (lat.) ». Journal of Robotic Surgery 11, no 2 (30 mars 2017) : 289–90. http://dx.doi.org/10.1007/s11701-017-0696-y.

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9

Tietto, Corrado. « Haplophyllum patavinum in its relic habitats on the Euganean Hills (northeastern Italy), 300 years after its discovery (1722–2022) ». Italian Botanist 13 (12 avril 2022) : 19–26. http://dx.doi.org/10.3897/italianbotanist.13.83174.

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Résumé :
This short paper outlines the discovery and current knowledge of the Euganean populations of Haplophyllum patavinum (L.) G.Don, 300 years after this species was found on the Euganean Hills (NE Italy) by botanists Pier Antonio Micheli and Giovanni Girolamo Zannichelli.
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Innocenti, G., R. Filippini, A. Piovan, R. Caniato et E. Cappelletti. « Coumarin Compounds ofHaplophyllum patavinum in vivoandin vitro ». Planta Medica 59, S 1 (décembre 1993) : A656—A657. http://dx.doi.org/10.1055/s-2006-959917.

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Thèses sur le sujet "Patavium"

1

Golfetto, Nicola <1990&gt. « "Tum Troiana manus". Uno sguardo sulla storia militare di Patavium tra IV e I secolo a.C ». Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2015. http://hdl.handle.net/10579/7037.

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Résumé :
Nonostante i progressi degli ultimi anni, molto poco è noto riguardo l'organizzazione sociale di Padova pre-romana. La raccolta del materiale di carattere militare relativo alla città in un'indagine coesa consente di effettuare delle considerazioni che arricchiscano, almeno di poco, le nostre conoscenze sull'argomento. Tali considerazioni prendono piede dall'analisi dei vari dati in possesso degli studiosi: evidenze letterarie (a partire dalle testimonianze di Livio, Polibio, Strabone e Silio Italico); evidenze archeologiche (dalle armi rinvenute in corredi funebri e contesti santuariali alla piccola bronzistica votiva e alle stele patavine); evidenze epigrafiche (attestazioni iscritte del termine 'ekupetaris' in associazione a materiale di carattere militare e di soldati veneti in differenti stadi di romanizzazione). Il confronto delle fonti permette di individuare un preciso profilo del soldato veneto tra IV e I secolo a.C. che imposta la propria panoplia sulle innovazioni apportate prima dalla civiltà di La Tène e poi da Roma. I dati sembrano confermare come al gruppo dei 'Signori dei cavalli' patavini corrispondesse un ceto di cavalieri militarmente rilevanti. Tale caratteristica, unitamente ad una struttura militare complessa, ad un alto potenziale umano e ad una padronanza del territorio, concessero a Padova di emergere tra i centri veneti e di costituire uno degli elementi chiave che garantirono l'autonomia politica del Venetorum angulus fino al foedus con Roma.
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2

Murgia, Emanuela. « Culti romani e non-romani nella fase di romanizzazione dell'Italia nord-orientale : resistenze e sopravvivenze, strutture, rituali e funzioni ». Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2012. http://hdl.handle.net/10077/7401.

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Résumé :
2010/2011
Rispetto alle premesse di una ricerca, nata con l’obiettivo di indagare i processi di interazione tra cultualità indigena e religio romana nell’Italia nord-orientale, nelle possibili forme di “resistenza”, “sopravvivenza”, “integrazione”, i risultati sono, in un certo senso, controcorrente rispetto alle più recenti riflessioni sulle forme del sacro in fase di romanizzazione. La possibilità di comprendere le modalità attraverso le quali la romanizzazione modificò l’esistente comporta, inevitabilmente, una conoscenza della religiosità preesistente peraltro non riconducibile ad una sola facies etnico-culturale. Gli esempi in tal senso sono numerosi: dal caso macroscopico del frazionamento delle tribù celtiche e liguri nell’Italia nord-occidentale, a quello più difficilmente percepibile del comprensorio territoriale dove fu dedotta Aquileia, che al momento della calata dei Galli Transalpini, nel 186 a.C., si presentava quasi come una zona “cuscinetto”, tra Veneti ed Istri. La restituzione di un sistema religioso “di sostrato” unitario si è confermato, quindi, gravida di rischi di genericità. Un’attenta analisi dei contesti e dell’evoluzione storica dei diversi centri nel venetorum angolus ha rivelato con immediatezza quanto questa presunta unitarietà sia, nella realtà dei fatti, apparente: il “sostrato” etnico di Verona, in cui confluiscono elementi veneti, cenomani e retici, non è certo quello di Altino, così come il ruolo assunto da Padova nei confronti di Roma non è in alcun modo assimilabile a quello di Este, che continuò a essere percepita come “veneticità”. In questo senso, quindi, concludere che “nell’ambito della Gallia Cisalpina la zona veneta è quella in cui sono maggiormente attestati culti non romani, conseguenza del fatto che la penetrazione romana avvenne in modo pacifico e non a seguito di una conquista”, ovvero in virtù di una corroborata amicitia, non permetterebbe di cogliere criticità e complessità dei fenomeni cultuali in fase di romanizzazione. L’aver contestualizzato l’evidenza documentaria riferibile al sacro in senso geografico, etnografico e poleografico si è rivelato, dunque, ineludibile. Questo approccio ha permesso di constatare, per esempio, come le modalità di trasformazione dei culti a Padova ed Este siano state, per così dire, antitetiche benché entrambe nell’ottica di una innovazione. Il principale santuario extraurbano di competenza patavina, S. Pietro Montagnon, fu abbandonato proprio nel corso del III secolo a.C., quando, secondo la storiografia moderna, fu avviata la romanizzazione del comparto veneto. Più in generale, da Padova non proviene alcuna testimonianza epigrafica relativa a teonimi indigeni in forma latinizzata. Si tratta di un elemento di estremo rilievo della cosidetta Selbstromanisierung. Ad Este, invece, la romanizzazione non comportò un abbandono generalizzato dei luoghi di culto. Il santuario di Reitia, per esempio, mantenne il suo primato e se ci fu un adeguamento al modello romano, questo fu soprattutto in termini architettonico-monumentali. Per entrambe i centri veneti, quindi, un’adesione al nuovo ma con evidenti sfumature. Un’analisi di questo tipo, volta cioè a ricondurre le fonti disponibili ad un contesto comune, ha dovuto tenere conto, fin dal suo avvio, di un condizionamento, ovvero che l’evidenza documentaria disponibile corrisponde quasi esclusivamente alla fase di romanizzazione compiuta. Per questo motivo, comprendere “dove-quando-come si verificano i meccanismi di trasformazione; dove-quando-come si sovrappongono, o si impongono, alla tradizione locale; dove-quanto-come si integrano le diverse componenti” ha imposto inevitabilmente una prospettiva “romana”. In considerazione del valore politico della religione romana, la continuità di un determinato culto indigeno non è stata interpretata secondo parametri di “persistenza”, ”resistenza” o “mediazione”, ma piuttosto di “ufficialità” o “non ufficialità”. Laddove si è potuta cogliere, la dimensione ufficiale di un culto epicorico è emersa nelle fonti attestanti l’intervento più o meno diretto di una magistratura civica, o si è dedotta dalla presenza di santuari organizzati di natura pubblica o, ancora, da riferimenti al calendario locale che, come noto, era definito annualmente dai magistrati iurisdicenti con una notevole autonomia rispetto alle regole dell’Urbe e in sintonia con le caratteristiche specifiche del corpo civico di riferimento. Un caso significativo è quello dell’aedes Belini a Iulium Carnicum restaurata nella seconda metà del I secolo a.C. con il consenso dell’autorità vicana e grazie al contributo finanziario di un collegium. Un culto, quindi, pienamente romanizzato nella forma benché celtico sia Belenus: più che di una religiosità epicoria, la sua presenza si rivela espressione della celticità stessa della comunità carnica. Un esempio altrettanto interessante è quello del santuario altinate in località Fornace: alla divinità di tradizione venetica Altnoi sarebbe subentrato nel I secolo a.C., nel segno di una continuità funzionale, ovvero di divinità poliadica, Iuppiter Altinatis. Se la dimensione “pubblica” costituisce l’osservatorio privilegiato per l’analisi dei culti in fase di romanizzazione, ciò non toglie che anche la permanenza di una religiosità indigena o, al contrario, l’adattamento ai culti romani nello spazio personale in alcuni casi è stato considerato quale indicatore dei fenomeni di acculturazione. Un esempio efficace è quello dei noti dischi bronzei “di schietta cultura veneta”, raffiguranti la cosiddetta dea clavigera o figure maschili/militari per i quali si è pensato ad un programmatico “recupero di culti di sostrato”. Una delle questioni più interessanti affrontate in questo studio è stata quella della cosiddetta interpretatio, ovvero del rapporto tra divinità “importate” e personalità divine preesistenti. Ciò che sembra accomunare la maggior parte degli studi sulle forme di cultualità in Italia settentrionale, è la ricerca sistematica di radici “celtiche”, ma anche “venetiche”, “retiche”, “etrusche”, a divinità tipicamente italiche, quali Minerva, Fortuna, Neptunus, Hercules, che si sarebbero sovrapposte, per analogia di funzioni, a numi locali. L’analisi della documentazione epigrafica, tuttavia, ha dimostrato che spesso la tipologia delle offerte e i formulari votivi sono coerenti con quelli di tradizione italica e che la presenza di onomastica indigena, spesso considerata indicativa di una persistenza di cultualità di sostrato, sembra allinearsi con quella riscontrata anche in altri tituli sacri compresi quelli alla triade capitolina. La persistenza di teonimi non-romani, come Reitia, Leituria, Temavus, è stata spesso valutata spia di “resistenza” da parte degli indigeni alla nuova religio o, di contro, “tolleranza” dei Romani. I dati emersi da questa ricerca hanno consentito di integrare questo quadro rendendolo, per quanto possibile, meno schematico. Un esempio per tutti: a Brixia il dio locale Bergimus, associato al Genius Coloniae Civicae Augustae, sembra assumere una dimensione poliadica assurgendo a punto di riferimento per la componente cenomane del centro ormai romanizzato. In altri contesti, infine, la presenza di culti non romani, considerati in genere sinonimo di tenace resistenza alla romanizzazione è risultata, piuttosto, frutto di una devozione successiva, il più delle volte con specifico valore politico. Di questo processo fa parte anche il fenomeno di “reviviscenza delle divinità celtiche o, più in generale, indigene” che ebbe “la connotazione di un’opposizione di tipo politico all’accentramento di potere effettuato a Roma, a cui le aree periferiche, almeno a partire dall’età antonina, si ribellarono facendo leva sulla riappropriazione di una cultura religiosa autoctona, quando non addirittura della nuova religione cristiana”. Molta documentazione della piena età imperiale andrebbe riconsiderata in ragione di questi aspetti. Da ultimo si è cercato di valutare il peso delle élites romane nella gestione dei sacra. Questo fenomeno era già noto per i centri coloniari, come ad esempio ad Aquileia, Ariminum, Cremona, Piacenza, Luna, dove l’intervento delle aristocrazie romane è particolarmente evidente nella scelta di motivi allusivi alla difesa dal “barbaro” attraverso la diffusione dell’Apollo Liceo. Anche a Patavium l’introduzione del culto di Iuno, connotato in senso “trionfale”, è sembrato ascrivibile ai più alti livelli di committenza, se l’ipotesi di un coinvolgimento di M. Aemilius Lepidus coglie nel segno. Un ruolo non secondario, a Patavium e non solo, riveste l’intervento augusteo, che introduce, nella grande risistemazione del pantheon, il culto dei Lares e quello a Concordia.
XXIV Ciclo
1979
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Livres sur le sujet "Patavium"

1

Abbazia di Santa Giustina (Padua, Italy), dir. Un uomo chiamato Prosdocimo a Patavium. Trieste : Editreg, 2013.

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2

Instytut Badań Literackich (Polska Akademia Nauk), dir. Patavium, Pava, Padwa : Tło kulturowe pobytu Jana Kochanowskiego na terytorium Republiki Weneckiej. Warszawa : Instytut Badań Literackich PAN Wydawnictwo, 2013.

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3

Donatella, Frioli, dir. Glossarium Patavinum anonymum. Genova : Università di Genova, Facoltà di lettere, D.AR.FI.CL.ET, 1986.

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4

Lessa, Thereza. Patavina : Poemas. Rio de Janeiro : Editora Seis, 1996.

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5

Iacobi Philippi Tomasini Gymnasium Patavinum. Sala Bolognese : A. Forni, 1986.

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6

Pirapañcan̲. Patavi. Cen̲n̲ai : Kaṅkai Puttaka Nilaiyam, 1995.

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7

Rova, Elena. Patavina Orientalia selecta. Padova : Sargon, 2000.

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8

Elena, Rova, dir. Patavina Orientalia selecta. Padova : Sargon, 2000.

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9

Elena, Rova, dir. Patavina Orientalia selecta. Padova : Sargon, 2000.

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10

Giardini, Luigi. Ecosistema e irrigazione dell'Hortus Patavinus. Bologna : Pàtron editore, 2000.

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Chapitres de livres sur le sujet "Patavium"

1

Cappelletti, E. M., G. Innocenti, R. Caniato, R. Filippini et A. Piovan. « Haplophyllum patavinum (L.) G. Don fil. (Paduan rue) : In Vitro Regeneration, and the Production of Coumarin Compounds ». Dans Biotechnology in Agriculture and Forestry, 238–60. Berlin, Heidelberg : Springer Berlin Heidelberg, 1998. http://dx.doi.org/10.1007/978-3-642-58833-4_12.

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2

Emmerson, Allison L. C. « Shops, Workshops, and Suburban Commercial Life ». Dans Life and Death in the Roman Suburb, 125–62. Oxford University Press, 2020. http://dx.doi.org/10.1093/oso/9780198852759.003.0005.

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Résumé :
“Shops, Workshops, and Suburban Commercial Life” focuses on the commercial structures that proliferated in Italy’s suburbs in the Augustan and early Imperial periods, with case studies highlighting Rome, Pompeii, Patavium, and Puteoli. Echoing a pattern also evident inside city walls, shops and workshops arose in the busiest areas of suburbs, where they took advantage of traffic to attract customers. At the same time, the chapter identifies suburban resources that encouraged commercial investment and distinguished the zone from the center. Suburbs brought opportunities for profit and display, not least due to the presence of tombs, which were absent in the center. Placed alongside funerary monuments, shops and workshops benefited from incorporation into prestigious neighborhoods that stimulated traffic and activity while also encouraging visitors to linger. Moreover, a location among tombs invited owners and workers to participate in types of communication and monumentalization that often were unavailable to them in other parts of the city.
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3

« Iacobi Zabarellae Patavini Liber De Natura ». Dans Giacomo Zabarella, De rebus naturalibus (2 vols.), 315–39. BRILL, 2016. http://dx.doi.org/10.1163/9789004310681_007.

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4

« Iacobi Zabarellae Patavini Liber De Reactione ». Dans Giacomo Zabarella, De rebus naturalibus (2 vols.), 533–61. BRILL, 2016. http://dx.doi.org/10.1163/9789004310681_015.

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5

« Iacobi Zabarellae Patavini Liber De Mistione ». Dans Giacomo Zabarella, De rebus naturalibus (2 vols.), 562–94. BRILL, 2016. http://dx.doi.org/10.1163/9789004310681_016.

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6

« Iacobi Zabarellae Patavini De Naturalis Scientiae Constitutione ». Dans Giacomo Zabarella, De rebus naturalibus (2 vols.), 54–201. BRILL, 2016. http://dx.doi.org/10.1163/9789004310681_004.

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7

« Iacobi Zabarellae Patavini Liber De Natura Caeli ». Dans Giacomo Zabarella, De rebus naturalibus (2 vols.), 359–82. BRILL, 2016. http://dx.doi.org/10.1163/9789004310681_009.

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8

« Iacobi Zabarellae Patavini Liber De Constitutione Individui ». Dans Giacomo Zabarella, De rebus naturalibus (2 vols.), 476–97. BRILL, 2016. http://dx.doi.org/10.1163/9789004310681_013.

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9

« Iacobi Zabarellae Patavini Liber De Regionibus Aeris ». Dans Giacomo Zabarella, De rebus naturalibus (2 vols.), 661–77. BRILL, 2016. http://dx.doi.org/10.1163/9789004310681_019.

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10

« Iacobi Zabarellae Patavini Liber De Calore Caelesti ». Dans Giacomo Zabarella, De rebus naturalibus (2 vols.), 678–705. BRILL, 2016. http://dx.doi.org/10.1163/9789004310681_020.

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