Littérature scientifique sur le sujet « Irrilevanza penale del fatto »

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Articles de revues sur le sujet "Irrilevanza penale del fatto"

1

Syryjczyk, Jerzy. « Powrót do przestępstwa w ujęciu prawa kanonicznego ». Prawo Kanoniczne 48, no 3-4 (10 décembre 2005) : 151–74. http://dx.doi.org/10.21697/pk.2005.48.3-4.08.

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Résumé :
Larticolo tratta delle questioni riguardanti la recidiva giuridica alla luce e dei Codici di Diritto Canonico del 1917 e del 1983. Le norme di entrambi i Codici che regolano la punibilità dei pregiudicati appartengono ai sistemi molto liberali della punizione del ritorno a delinquere. Laumento facoltativo della pena riguarda propriamente quei rei nei quali si puo scorgere facilmente la pertinacia della cattiva volontà. Laumento della pena pero non puo avvenire automaticamente, condizionato solamente dalla condanna o dalla dichiarazione della pena. Il diritto canonico non conosce la cancellazione della condanna e la prescrizione della recidiva. Per questo motivo la recidiva non si verifica solo per il fatto del ritorno al delitto nel periodo del tempo stabilito dalla legge dopo la condanna (o la cessazione della pena). Tale condizione non è necessaria nel sistema canonico del diritto penale, perché la recidiva avviene quando esiste la pertinacia della cattiva volontà del reo, la quale non è legata strettamente alla scadenza del tempo previsto dalla legge penale. Se la recidiva avviene nelle condizioni stabilite dalla legge, il Codice del 1983 ne prevede alcune determinate conseguenze. Per questo possiamo parlare, in senso giuridico, di recidiva speciale, per distinguerla dalla recidiva generale che consiste in un qualsiasi ritorno a delinquere senza la possibilità di aggravare l’imputabilità penale. Tra gli elementi essenziali della recidiva il diritto canonico annoverava sempre la pertinacia, ossia la persistenza della cattiva volontà. Il fatto del ritorno al delitto definisce l’esistenza del cattivo proposito in forma accresciuta. Se pero il nuovo delitto viene commesso con colpa, la recidiva è esclusa.
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De Castro, Alexander, et Francesco Macri. « IL PROBLEMA DEI DELITTI DI BAGATELLA NELL’EMERGENZA DELLO STATO COSTITUZIONALE : BREVE ANALISI DELL’EVOLUZIONE DEL SUO TRATTAMENTO TECNICO-DOGMATICO IN BRASILE E IN ITALIA ». Revista Direitos Sociais e Políticas Públicas (UNIFAFIBE) 6, no 2 (19 décembre 2018) : 538. http://dx.doi.org/10.25245/rdspp.v6i2.486.

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Résumé :
Riassunto: Il principio di offensività in quanto fondamento del diritto penale odierno si affermò in maniera definitiva negli ultimi decenni con l’emergenza dello Stato costituzionale nel secondo dopo guerra. I penalisti sono pressoché unanimi nel riconoscere la sua piena validità perfino quando manca un esplicito fondamento costituzionale o legale. La discussione sulla necessaria offensività della condotta e sul carattere sussidiario della tutela penale fece subito emergere il problema dei delitti bagatellari, cioè quelli caratterizzati da un livello minimo di lesione / pericolo di lesione al bene giuridico. Nel presente saggio, analizzeremo due percorsi di discussione che hanno provato a dare una soluzione tecnico-dogmatica al problema de quo, ovvero:1) quello brasiliano e il cosiddetto principio dell’insignificanza; 2) quello italiano ed il principio della tenuità del fatto.
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Sung, Myung-Je, et Jeong-Hyun Kim. « Una rassegna psichiatrica sul figlicidio ». RIVISTA SPERIMENTALE DI FRENIATRIA, no 3 (décembre 2012) : 77–96. http://dx.doi.org/10.3280/rsf2012-003005.

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Résumé :
Il diritto penale disciplina l'infanticidio diversamente, a seconda dei periodi storici e del ruolo ricoperto dalla madre nella famiglia e nella societŕ. L'autrice ne traccia lo sviluppo storico, la attuale disciplina e l'applicazione fattane dalla giurisprudenza. Dal fatto che l'infanticidio sia punito piů gravemente o meno dell'omicidio, e dalle circostanze che determinano la sua disciplina differenziata rispetto all'omicidio in generale, si evidenzia la specificitŕ del ruolo materno come storicamente costruito nelle diverse societŕ e l'immagine della Madre propria dei diversi sistemi penali.
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Arcangeli, Giulia. « Dovere di protezione dell'albergatore per danni alla persona dovuta al fatto penale di terzi ». RIVISTA ITALIANA DI DIRITTO DEL TURISMO, no 35 (avril 2022) : 105–29. http://dx.doi.org/10.3280/dt2022-035009.

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Résumé :
La High Court of Justice esamina un caso di richiesta di risarcimento del danno, fisico e psichico, subito dalle ospiti di un hotel aggredite da un estra-neo introdottosi durante la notte. Precisato il diverso approccio del modello degli ordinamenti anglosassoni sul tema della responsabilità dopo una breve disamina del contratto di albergo, si approfondiscono analogie e differenze sulla responsabilità dell'albergatore tra civil law e common law, facendo specifico riferimento agli "obblighi di protezione", con una proiezione sul possibile esito del giudizio in Italia
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Lanfranco, Lorena. « Le mutilazioni genitali femminili : punti di forza e criticità del sistema di contrasto ». MINORIGIUSTIZIA, no 3 (janvier 2021) : 43–52. http://dx.doi.org/10.3280/mg2020-003005.

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Résumé :
I flussi migratori impongono al nostro Paese di riflettere sulla compatibilità di alcune pratiche tradizionali che si palesano inconciliabili con i diritti fondamentali della persona tutelati dalla Costituzione italiana e con i principi sanciti a livello internazionale. Tra queste una posizione di primo piano assumono le mutilazioni genitali femminili (Mgf). Il presente contributo, dopo un inquadramento delle ragioni che stanno alla base delle Mgf, si sofferma sulla risposta dell'ordinamento italiano sul piano penale (art. 583 bis cod. pen.) e sulla decadenza automatica dalla responsabilità genitoriale quale sanzione accessoria, per poi interrogarsi, quanto agli strumenti civilistici, sulla delicata questione della valutazione della capacità genitoriale di coloro che abbiano fatto sottoporre una figlia minore a Mgf. Infine, riflette sulla centralità dei programmi di prevenzione, sensibilizzazione e formazione quali principali direttrici da seguire per l'eradicazione del fenomeno escissorio.
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Natale, Andrea. « Dopo la Thyssen ». QUESTIONE GIUSTIZIA, no 2 (juin 2012) : 147–66. http://dx.doi.org/10.3280/qg2012-002004.

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Résumé :
La sentenza sul caso Thyssen costituisce una svolta? O una presa di posizione ideologica della magistratura? O piuttosto una difficile sentenza su una altrettanto difficile questione di fatto? Il giudizio sulla responsabilitŕ penale degli imputati (e a che titolo) potrŕ eventualmente essere rivisto nei successivi gradi di giudizio. Ciň non toglie che la lettura della sentenza consente giŕ ora di prendere in considerazione dei fatti e trarre da essi dei giudizi. La tragedia della Thyssen di Torino rappresenta infatti un esempio paradigmatico delle mille questioni che si intrecciano nel mondo del lavoro: la crisi; le logiche di impresa che privilegiano il risparmio mettendo tragicamente a rischio la salute dei lavoratori; l'inefficacia dei controlli della pubblica amministrazione; la debolezza dei sindacati. E, sul versante della giurisdizione: la gestione di un processo difficile, con un'imputazione terribile; le reazioni dell'opinione pubblica; i modelli organizzativi delle procure; la specializzazione del magistrato
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Suchecki, Zbigniew. « Wydalanie duchownych na podstawie kanonicznego procesu karnego ». Prawo Kanoniczne 54, no 3-4 (10 décembre 2011) : 77–115. http://dx.doi.org/10.21697/pk.2011.54.3-4.03.

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Résumé :
Il processo penale canonico ha sempre costituito l’extrema ratio cui ricorrere solo quando fossero esaurite tutte le altre vie per ottenere la riparazione dello scandalo, il ristabilimento della giustizia, l’emendamento del reo (cfr. c. 1341). Le cause penali necessitano della presenza del promotore di giustizia in quanto con esse si vuole perseguire le finalità della giustizia e della tutela del bene pubblico. Per irrogare o dichiarare la pena il Codice di Diritto Canonico del 1983 prevede una doppia procedura penale: giudiziaria (che si concluderà con una sentenza) o amministrativa (stragiudiziale – che si concluderà con un decreto). Nel processo penale giudiziario il Promotore di giustizia svolge il compito di parte attrice o titolare dell’azione criminale contro l’imputato. Giovanni Paolo II nel discorso alla Rota Romana ha sottolineato che «l’istituzionalizzazione di quello strumento di giustizia che è il processo rappresenta una progressiva conquista di civiltà e di rispetto della dignità dell’uomo» (Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso alla Rota Romana, (18 gennaio 1990), in L’Osservatore Romano, 19 gennaio 1990, p. 5). Si evince molto chiaramente dal can. 1342, § 1 la preferenza del legislatore per la via giudiziale. Infatti, il processo penale giudiziario offre maggiori garanzie di giustizia, in quanto assicura e garantisce in modo conforme il diritto alla difesa, permette al giudice di consolidare una maggiore certezza morale sull’esistenza dei fatti mediante l’acquisizione giudiziale delle prove, delle circostanze e dell’imputabilità, valutando tutte le circostanze del delitto, determina la condizione dell’imputato, precisa il grado del danno causato dal delitto, applica con equità la pena giusta alla luce degli elementi emersi durante il giudizio. Rimangono tuttavia casi in cui il legislatore indica la via giudiziale come la più adatta, che certamente offre maggiori certezze e garanzie ai fini dell’accertamento della verità, della giustizia e soprattutto della salvaguardia dei diritti dei fedeli. Innanzitutto essa è obbligatoria per irrogare o dichiarare le pene più gravi, come quelle espiatorie perpetue (can. 1336). «Per decreto non si possono infliggere o dichiarare pene perpetue; né quelle pene che la legge o il precetto che le costituisce vieta di applicare per decreto» (can. 1342, § 2). Il promotore di giustizia assume le vesti di parte attrice o titolare dell’azione criminale (actio criminalis) contro l’imputato. Egli è la persona pubblica costituita per tutelare il bene pubblico, che deriva dall’osservanza della legge, al di là delle considerazioni soggettive can. 1362, § 1; 1720, 3°; 1726. Nel processo penale, a protezione dei diritti del fedele il legislatore vieta espressamente di imporre all’imputato il giuramento e l’accusato non è tenuto a confessare il delitto (can. 1728, § 2). In questo modo si garantisce al reo la scelta della linea difensiva più opportuna senza costrizione a riconoscere i fatti che siano a sé sfavorevoli. Il processo penale giudiziario prevede e garantisce al reo un diritto fondamentale di appello dopo l’emanazione della sentenza di condanna (can. 1727, § 1). Inoltre garantisce il diritto di appello al promotore di giustizia nelle cause in cui la loro presenza è richiesta (cfr. cann. 1727, § 2, 1628). Il termine per proporre l’appello è di 15 giorni e va proposto avanti al giudice a quo, che ha emesso la sentenza. Può essere fatto a voce, ed in tal caso il notaio lo deve mettere per scritto avanti allo stesso appellante (can. 1630, § 2). Il can. 1353 disciplina che «l’appello o il ricorso contro le sentenze giudiziali o i decreti che infliggono o dichiarano una pena qualsiasi hanno effetto sospensivo». Il legislatore prevede nel Capitolo III: «de actione ad damna reparanda» un’azione contenziosa per la riparazione dei danni ingiustamente inferti dal delitto (cann. 1729–1731). Pur consentendo nell’ambito del processo penale giudiziario l’esercizio dell’azione per il risarcimento dei danni, il legislatore tiene sempre distinte le due azioni, quella criminale, tendente all’irrogazione o alla dichiarazione della pena, e quella contenziosa per la riparazione dei danni inferti dal delitto. La sentenza può essere eseguita dopo che sia passata in giudicato, ossia dopo una duplice sentenza conforme che non sempre si ha con la decisione di secondo grado.
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Cesqui, Elisabetta. « Osservazioni asistematiche sul primo quadriennio di applicazione del nuovo sistema disciplinare ». QUESTIONE GIUSTIZIA, no 5 (janvier 2011) : 63–111. http://dx.doi.org/10.3280/qg2010-005007.

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Résumé :
Dal 19 giugno del 2006 il sistema disciplinare introdotto dal d.lgs 109/ 2006, in attuazione dell'art. 1, comma 1, lett. f della legge 25 luglio 2005 n. 150 č entrato in vigore. Privo originariamente di qualunque disposizione transitoria, esso č stato modificato in alcuni punti essenziali dalla legge 24 ottobre 2006 n. 269, che ha smussato le maggiori asperitŕ del testo originario (con riferimento soprattutto ad alcuni degli illeciti tipizzati e al potere di intervento del ministro in dibattimento) e ha introdotto, per la fase di transizione dal vecchio al nuovo regime, il principio dell'applicazione della norma di maggior favore limitatamente ai procedimenti disciplinari iniziati dopo la sua entrata in vigore ed esclusivamente per i fatti verificatisi in un momento precedente a essa (Cass., sez. unite, 26 ottobre 2006 n. 27172). Le cadenze temporali imposte al procedimento disciplinare dall'art. 15 (un anno dalla conoscenza del fatto per l'inizio nell'azione, due anni per le indagini e due anni per il dibattimento) e i tempi rilevabili dalla esperienza concreta, consentono di dire che i quattro anni della consigliatura appena conclusa rappresentano un campione significativo e che la fase di transizione, fatti salvi i procedimenti (non molti) per i quali la sospensione per pregiudiziale penale ha congelato il procedimento e quelli (pochi) che dovessero eventualmente nascere per fatti antecedenti venuti a conoscenza dei titolari dell'azione disciplinare con molto ritardo (fermo restando il limite decennale di decadenza dell'azione introdotto dal comma 1 bis dell'art. 15), č ormai sostanzialmente conclusa.
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Borek, Dariusz. « Uprawnienia i obowiązki ordynariusza w początkowej fazie wymiaru kar (kann. 1341-1342) ». Prawo Kanoniczne 50, no 3-4 (20 décembre 2007) : 255–90. http://dx.doi.org/10.21697/pk.2007.50.3-4.08.

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Résumé :
In questo articolo vengono analizzati i canoni 1341 e 1342 del CIC/1983. Lanalisi viene fatta alla luce dell’attuale interpretazione dottrinale in materia della giusta applicazione delle pene. Canoni sottoposti all’analisi riguardano le competenze e gli obblighi del Ordinario nella fase iniziale dell'applicazine delle pene ecclesiastiche. Si tratta del momento molto importante nel iter dell’applicazione delle pene, e cioè della possibilità e necessità di iniziare il processo penale canonico e scelta del modo di procedere: giudiziale o amministrativo. La prima parte dell’articolo l’autore ha dedicato alla problematica del delitto canonico, della possibilità e della necessità del processo penale canonico. Ordinario prima di avviare vero processo penale (o quello in via giudiziale oppure quello in via amministrativa) deve avere la notizia almeno probabile del delitto. Non basta la notizia di qualsiasi violazione, ma è necessario che il comportamento denunciato sia incluso tra i delitti previsti nel diritto canonico. Soltanto così si può passare all’avvio del primo passo del processo e cioè all’indagine previa. Terminata questa si deve rispondere alle domande se il processo canonico è possibile e se questo processo è anche necessario. Può darsi, che, a causa della prescrizione dell’azione criminale, il processo non sarà possibile anche se ci fossero certe prove del delitto. A quanto pare una eccezione troviamo al riguardo dei delitti riservati alia Congregazine per la Dottrina della Fede. Secondo la concessione data dal Sommo Pontefice nel 2002 i delicta graviores, anche se sono passati in prescrizione, possono essere ripresi sulla fonadata petizione dei vescovi interessati. Alla luce della disposizione del can. 1341 si può dire che applicazione delle pene in Ecclesia diventa extrema ratio, e cioè la via che si puo intraprendere soltanto, quando l’autorità ha fatto inutilmente rifferimento ad altri mezzi di carattere pastorale. Un’altro punto dell’articolo viene dedicato all’analisi delle disposizioni che bisogna tenere conto nel momento della scelta della via giudiziale o amministrativa per applicare le pene. Seguendo le disposizioni del can. 1342 si deve notare che la via giudiziale dell’applicazione delle pene ecclesiastiche è la via normale ed obbligatoria. Ordinario per principio è obbligato di scegliere questo modo di procedere, inoltre la via giudiziale è obbligatoria per l’applicazione delle pene espiatorie perpetue. Obbligo di scegliere la via giudiziale potrebbe risultare anche dalla legge o precetto che vietano l’applicazione delle pene tramite la via amministrativa. Invece la via amministrativa è possibile da scegliere soltanto sotto la condizione, e cioè soltanto nel caso se ci fossero le giuste cause che si opponessro alla via giudiziale. Fermo restando però divieto di scegliere la via amministrativa nel caso diapplicazione delle pene espiatorie perpetue, come pure del divieto previsto nella legge o nel precetto. Come si può vedere dall’analisi dei elementi specifici del processo giudiziale e quello amministrativo, sia l’uno che l’altro possiede i strumnenti neccessari per garantire, che la pena diventi veramente l’applicazione di quello che e veramente „iustum et bonum” in caso concreto. Bisogna notare però che il processo in via giudiziale (grazie alla sua struttura) offre più garanzie per salvaguardare i diritti delle persone e per arrivare alla verità oggetiva. Invece il processo in via amministrativa (grazie alla procedura meno complessa) diventa più breve, più spedito e quindi non sottoposto troppo facilmente alla diffusione, e quindi sembra meglio garantire la salvaguardia di buona fama della persona giudicata.
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Dell'Osta, Luca. « Profili sostanziali e procedurali della nuova «particolare tenuità del fatto» ex art. 131-bis cod. pen. : (in)applicabilità in concreto nel processo penale minorile ». MINORIGIUSTIZIA, no 3 (octobre 2015) : 161–68. http://dx.doi.org/10.3280/mg2015-003014.

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Thèses sur le sujet "Irrilevanza penale del fatto"

1

Kapun, Ales. « L'esiguità dell'illecito penale : soluzioni a confronto in un'analisi di diritto comparato ». Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2009. http://hdl.handle.net/10077/3075.

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Résumé :
2007/2008
Da anni ormai si va facendo strada l'idea di introdurre nel nostro sistema penale una disposizione di carattere generale che preveda l'esclusione della procedibilità o della punibilità per fatti che pur essendo tipici, antigiuridici e colpevoli risultano, sulla base di criteri legislativamente indicati, privi di un significativo disvalore. Di qui la scelta di sondare le diverse coordinate culturali che convergono in seno alle clausole di irrilevanza in un'ottica comparata. L’elaborato, in particolare, ha lo scopo, da un lato, di analizzare gli istituti con cui i diversi ordinamenti europei rinunciano ad applicare la sanzione o, ancora prima, a celebrare il processo volto a stabilire se ed in quale misura irrogarla, prestando particolare attenzione all'istituto sloveno del fatto di scarsa rilevanza penale, e ciò per sondarne le peculiarità e le eventuali convergenze con gli istituti introdotti dal legislatore italiano e, dall’altro, di verificare se le soluzioni elaborate dai legislatori stranieri si prestino ad essere esportate, in tutto o in parte, nel sistema penale italiano. Particolare attenzione è stata prestata all’evoluzione della giurisprudenza della Suprema Corte slovena, al fine di cogliere eventuali mutamenti emersi dal recente pragmatismo processuale. Ancor prima, però, è stato necessario sciogliere il quesito attinente alla natura giuridica dell’istituto de quo, fonte – in questi ultimi anni – di rinnovati e serrati dibattiti dottrinali. Cumulando, poi, i risultati dell’elaborazione dottrinale con la prassi applicativa dei diversi istituti si è cercato di comprendere se l’accentuata indeterminatezza delle colonne su cui poggia l’edificio dell’irrilevanza penale del fatto possa minare le istanze di certezza del diritto e di uguaglianza fra tutti i cittadini. Non si è potuto prescindere, poi, già nella stessa parte introduttiva, da una considerazione critica delle esperienze già fatte in diversi ordinamenti penali europei e delle feconde prospettive di riforma succedutesi in Italia negli ultimi decenni. Infine, si è cercato di arricchire il percorso di ricerca con alcuni spunti comparatistici, analizzando i parametri di riferimento degli istituti di depenalizzazione in concreto attualmente vigenti nel sistema penale italiano - ossia il congegno dell’irrilevanza del fatto nel rito penale minorile e la declaratoria di “particolare tenuità” prevista dall’art. 34 d.lgs. 28 agosto 2000 n. 274 – e comparandoli con gli indici di esiguità dell’omologo istituto sloveno, per verificare l’eventuale necessità di affinamento e di calibratura del Tatbestand bagatellare elaborato dal legislatore sloveno. Da ultimo, poi, utilizzando i dati e le impressioni colte lungo il tortuoso percorso, si è cercato di abbozzare un modesto spunto propositivo per futuribili conquiste.
XXI Ciclo
1973
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Cadamuro, Elena. « Tutela penale e soglia dell'offensività : il regime del "€œreato bagatellare"€ e del "fatto irrilevante" ». Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2017. http://hdl.handle.net/11577/3423136.

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Résumé :
After a long season in which the need for reordering the justice system resulted in multiple decriminalising laws, the persisting need for renovating the penal system seems to require something different than mere radical elision of penal sanctions, that is, of the instruments through which the response of the penal system should be adjusted to the peculiarity of the typified act in its concrete realisation. We wanted, therefore, to assess, in the first place, whether in the logic of a penal system inspired to the principle of necessary harmfulness, whereby the crime shall consist of harm to a legal good, significant margins of functioning of the penal irrelevance of the fact were possible. The study of the irrelevance clauses already established in our penal system, in juvenile trial and in the proceedings before the justice of the peace, together with the solutions adopted in other European systems, allowed us to develop a critical analysis of the new cause of exclusion of punishability for particular triviality of the fact, as introduced in the penal code. The legislator located the new cause of non-punishability in a context certainly characterised by harmfulness, save the following punitive waiver by the judge. The triviality of the criminal fact is therefore assumed as criterion of selection, on a concrete level, of facts not deserving to be penalized. The research, therefore, moved on to the analysis of the several "indexes of triviality" that characterise the fact as petty, in both the objective and subjective element. We noticed then how the "threads" of petty crimes and of the irrelevant fact are intertwined, precisely, in the logic of introducing in the penal system instruments to individuate in the lesser concrete seriousness of criminal offences the reason for giving up the application of a sanction through mechanisms of extinction of punishability. The research, also through a comparative approach, has been further extended to the exam of the influence of post-factum reparatory behaviours on the harmful dimension of crime, coming to detect in the practically inexistent consideration of such behaviours, the most lacking element of the present law. A missed occasion to pave the way to a conciliatory and reparative penal justice conceived as the most advanced frontier for an adequate response to crimes of low and medium seriousness, capable of remedying the penal inflation and of giving appropriate value to a gradualist conception of crime, as well as to the dimension of penal "triviality".
Dopo una lunga stagione in cui la necessità di riordino del sistema-giustizia si è tradotta in molteplici leggi di depenalizzazione, l'esigenza persistente di rinnovamento del sistema penale sembra richiedere qualcosa di diverso dalla semplice elisione, in radice, della risposta sanzionatoria penale, ossia degli strumenti attraverso cui adeguare la risposta dell'ordinamento penale alla peculiarità del fatto tipico nella sua concreta realizzazione. Abbiamo così voluto appurare, in primo luogo, se nella logica di un sistema penale ispirato al principio della necessaria offensività, in forza del quale il reato deve sostanziarsi nell'offesa del bene giuridico, fosse comunque possibile ritagliare un margine significativo di operatività all'istituto dell'irrilevanza penale del fatto. Lo studio delle clausole di irrilevanza già previste nel nostro ordinamento penale, nel processo minorile e nel rito avanti il giudice di pace, nonché delle soluzioni adottate in altri ordinamenti europei, ha permesso di svolgere un'analisi critica della nuova causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, introdotta nel codice penale. La nuova causa di non punibilità ha trovato collocazione in un contesto certamente caratterizzato dall'offensività, salvo il successivo esonero punitivo da parte del giudice. L'esiguità del fatto-reato viene così assunta come criterio di selezione in concreto dei fatti non meritevoli di risposta sanzionatoria. La ricerca si è dunque di seguito rivolta all'analisi dei vari indici di esiguità che caratterizzano il fatto come bagatellare, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo. Si è rilevato dunque come i fili del reato bagatellare e del fatto irrilevante si intrecciano nella logica, appunto, di introdurre nel sistema penale degli istituti che individuino nella scarsa gravità in concreto dell'illecito penale la ragione di rinuncia all'applicazione della sanzione attraverso meccanismi di estinzione della punibilità. L'indagine, anche attraverso un approccio comparato, si è poi estesa ad esaminare l'incidenza delle condotte riparatorie post-factum sulla portata offensiva del reato, pervenendo ad individuare nella pressoché inesistente valorizzazione di tali condotte, l'elemento più carente dell'attuale disciplina normativa. Un'occasione mancata per dare spazio ad una giustizia penale conciliativa e riparativa concepita ormai come la frontiera più avanzata per una risposta adeguata ai reati di lieve e media gravità, in grado di ovviare all'inflazione penalistica e di valorizzare una concezione gradualistica del reato, nonché la dimensione dell'œesiguità penale.
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Bonon, Camilla. « La tipicità del fatto colposo nel diritto penale del lavoro. Tra principi generali in tema di colpa e nuove esigenze di tutela ». Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2015. http://hdl.handle.net/11577/3423943.

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Résumé :
The theme of the research project assigned to the writer regards "The peculiarity of the fact culpable in criminal law of labor. Between general principles concerning fault and new protection requirements”. The work is basically divided into three parts: the first part concerning the classical concept of guilt in his profiles philosophical, dogmatic and existential; a second, which concerns the introduction of the precautionary principle in our legal and its impact on the classical concept of guilt; a third part, which concerns the reflection of this principle in the specific area of criminal law of work through an excursus both normative jurisprudential. The present work is, therefore, the deepening of the specific theme consists of the importance of the precautionary principle in contexts that involve variously safety and reflections of the same in the specific area of criminal law of the work with reference to the evolution of the classical concept of criminal guilt. The research carried out, therefore, in the first phase was concerned with the study of the classical concept of guilt. Then I analyzed the different conceptions of guilt developed in doctrine and the basic elements of the judgment negligent liability, namely the unwillingness of the fact, the precautionary rules, the c.d. concretization of risk, predictability and avoidance detrimental event and, finally, the enforceability by the party's agent alternative behavior lawful. In a second step was carried out, then, the study of the c.d. precautionary principle as a criterion of risk management in terms of scientific uncertainty. On the theme, on the one hand, sources, assumptions and fields of application of that principle were analyzed, the other the legitimacy of that under criminal law, identifying the differences between the criminal law of prevention and precaution, from 'more deformations that following the entry of this principle in our system are undergoing causation and guilt criminal with particular reference to the evolution of the concept of predictability of the event. On the basis of the deepening made you come to the conclusion that this principle, pending the generic prescriptive that characterizes it, is likely to conflict with the character of certainty of the criminal standard and lends itself to play a role as a potential factor in the expansion of the categories of classical criminal law. It could, in fact, affect two fundamental factors for the configuration of the typical fact: first, on the objective level of causation, exploiting the probabilistic structure and turning it into a "nexus of risk"; secondly on the subjective level of guilt deforming in its more recognizable cognitive risk and predictability of the result. Finally, the third part of the research project has been directed towards the study of reflexes that the precautionary principle has had in the specific field of criminal law of work through an excursus both normative jurisprudential. The matter of safety at work, the expected legal interests protected by primary degree, you are, indeed, characterizing a transition from rule to rule precautionary precautionary: that fact marks the release of preventing the event from the conduct conforms to the rule previously identified by placing, consequently, in the crisis the same function garantistic rule precautionary. In this sector, indeed, one might come to affirm the responsibility culpable of a subject matter a concrete verification about the actual effectiveness of the predictive rule remand in relation to the specific offense to the legal interest protected by the rule, so as to impute the event even where there is only the possibility that the detrimental effects occur, with direct and obvious impact on the subjective level of predictability and avoidance, which are no longer subject to a specific event, but rather a class or kind of events. Emblematic on the subject, and object of study, some judgments regarding the exposure of workers to asbestos or harmful substances such as vinyl chloride monomer. In response, in fact, the protection of victims and the needs of substantial justice, we are witnessing an obvious flexibility of the paradigm of guilt and criminal liability from asbestos, offering a rich case law, constitutes a particular field of reflection for what concerns the evolution of the classical dogmatic categories of criminal law for charging the damaging event. Jurisprudential analysis performed, it seems, indeed, take off a micro-penal system from occupational exposures, where the deconstruction of guilt, through the distortion of the value of the regulatory rule precautionary determines an instance of absolute protection of the victim, with a corresponding load iperdeterrece for the author, called to bear risks criminal gravitating outside its sphere of recognition.
Il tema oggetto del progetto di ricerca assegnato alla scrivente concerne “La tipicità del fatto colposo nel diritto penale del lavoro. Tra principi generali in tema di colpa e nuove esigenze di tutela”. Il lavoro è sostanzialmente suddiviso in tre parti: una prima parte avente ad oggetto il concetto classico di colpa nei suoi profili filosofici, dogmatici ed esistenziali; una seconda, che concerne l’introduzione nel nostro ordinamento del principio c.d. precauzionistico ed i suoi riflessi sul concetto classico di colpa; una terza parte, infine, che concerne i riflessi di detto principio nel settore specifico del diritto penale del lavoro attraverso un excursus sia normativo sia giurisprudenziale. Il presente lavoro costituisce, quindi, l’approfondimento dello specifico tema costituito dalla rilevanza del principio di precauzione in contesti che involgono a vario titolo la sicurezza e dai riflessi dello stesso nel settore specifico del diritto penale del lavoro con riferimento all’evoluzione del concetto classico di colpa penale. L’attività di ricerca svolta, quindi, nella prima fase ha avuto ad oggetto lo studio del concetto classico di colpa. Si sono, pertanto, analizzate le diverse concezioni di colpevolezza sviluppatesi in dottrina e gli elementi fondanti il giudizio di responsabilità colposa, ossia la non volontà del fatto, le regole cautelari, la c.d. concretizzazione del rischio, la prevedibilità ed evitabilità dell’evento lesivo ed, infine, l’esigibilità da parte del soggetto agente del comportamento alternativo lecito. In una seconda fase si è proceduto, poi, allo studio del c.d. principio precauzionistico quale criterio di gestione del rischio in condizioni di incertezza scientifica. Sul tema, sono stati analizzati in primo luogo, le fonti, i presupposti e i campi di applicazione di detto principio, in secondo luogo la legittimazione dello stesso nell’ambito del diritto penale, individuando le differenze tra diritto penale della prevenzione e della precauzione, ed infine, le deformazioni che a seguito dell’ingresso di tale principio nel nostro ordinamento stanno subendo il nesso di causalità e la colpa penale con particolare riferimento all’evoluzione del concetto di prevedibilità dell’evento. Sulla base dell’approfondimento effettuato, si è giunti alla conclusione che tale principio, attesa la genericità precettiva che lo caratterizza, rischia di confliggere con il carattere di determinatezza della norma penale e si presta a giocare un ruolo di potenziale fattore di espansione delle categorie classiche del diritto penale. Esso potrebbe, infatti, incidere su due fattori fondamentali per la configurazione del fatto tipico: innanzitutto, sul piano oggettivo del nesso di causalità, sfruttandone la struttura probabilistica e trasformandolo in un “ nesso di rischio”; in secondo luogo sul piano soggettivo della colpa deformandone gli aspetti propriamente cognitivi di riconoscibilità del rischio e prevedibilità del risultato. Infine, la terza parte del progetto di ricerca concerne lo studio dei riflessi che il principio precauzionistico ha avuto nell’ambito specifico del diritto penale del lavoro attraverso un excursus sia normativo sia giurisprudenziale. La materia della sicurezza sul lavoro, attesi i beni giuridici tutelati di grado primario, si sta, invero, caratterizzando da un passaggio dalla regola cautelare alla regola precauzionale: tale circostanza segna lo sganciamento della prevenzione dell’evento dalla condotta conforme alla regola previamente individuata ponendo, conseguentemente, in crisi la stessa funzione garantistica della regola cautelare. In tale settore, quindi, si potrebbe giungere ad affermare la responsabilità colposa di un soggetto a prescindere da una concreta verifica circa l’effettiva efficacia predittiva della regola cautelare in relazione alla specifica offesa al bene giuridico tutelato dalla norma, così da imputare l’evento anche ove sussista soltanto la possibilità che le conseguenze dannose si verifichino, con diretti ed evidenti riflessi sul piano soggettivo della prevedibilità ed evitabilità, che non hanno più ad oggetto un evento specifico, bensì una classe o genere di eventi. Emblematiche sul tema, ed oggetto di studio, alcune sentenze relative all’esposizione dei lavoratori all’amianto o a sostanze nocive quali il cloruro di vinile monomero. A fronte, infatti, della tutela delle vittime e di esigenze di giustizia sostanziale, si assiste ad un’evidente flessibilizzazione del paradigma della colpa e la responsabilità penale da amianto, offrendo una ricca casistica giurisprudenziale, costituisce un particolare campo di riflessione per quel che concerne l’evoluzione delle categorie dogmatiche classiche del diritto penale ai fini dell’imputazione dell’evento lesivo. Dall’analisi giurisprudenziale effettuata, sembra, invero, prendere il largo un micro-sistema penale da esposizioni professionali, in cui la destrutturazione della colpa, per il tramite dello snaturamento della valenza regolamentare della regola cautelare, determina un’istanza di tutela assoluta della vittima, con un corrispondente carico di iperdeterrenza per l’autore, chiamato a sopportare rischi penali che gravitano al di fuori della sua sfera di riconoscibilità.
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ADDANTE, ELEONORA. « Particolare tenuità del fatto e sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato nell’epoca panpenalistica : paradossi e limiti del sistema penale ». Doctoral thesis, Università di Foggia, 2020. https://hdl.handle.net/11369/424532.

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Résumé :
Osservando l’attuale sistema politico-istituzionale, si scorge la tendenza a considerare la sanzione penale come l’escamotage più comodo per la soluzione dei principali problemi socio-culturali, i quali, a loro volta, non fanno altro che rafforzare il ruolo promozionale del diritto penale, innescando la sua deriva inflazionistica. Alla incapacità del legislatore di maneggiare i confini mobili della materia penale attraverso la concreta attuazione del principio di sussidiarietà ex ante, si è così cercato di porre rimedio adottando meccanismi di selezione punitiva, compendiati nella politica della «deflazione senza depenalizzazione». Configurata, pertanto, come il fil rouge che alimenta e attraversa le plurime componenti dell’apparato penale, il principio di sussidiarietà, nella sua nuova veste, si manifesta sotto forma di una serie di istituti giuridici che, seppur animati da caratteristiche tra loro estremamente eterogenee, conducono, almeno in astratto, alla medesima conclusione, ossia alla “non punibilità”, finale del tutto distante dalla promessa della tradizionale punizione del reato commesso ed accertato. Ed è proprio qui che si collocano la particolare tenuità del fatto e la sospensione del procedimento con messa alla prova che, pur avendo presupposti e conseguenze giuridiche tra loro differenti, sono accomunate dalla “disapplicazione finalizzata” della pena edittale in astratto prevista dalla legge e dalla contestuale applicazione di misure ugualmente cogenti ed afflittive.
Observing the current political-institutional system, one can see the tendency to consider the penal sanction as the most convenient trick for solving the main socio-cultural problems, which, in turn, do nothing but strengthen the promotional role of the criminal law, triggering its inflationary drift. The inability of the legislator to manage the mobile boundaries of criminal matters through the concrete implementation of the principle of ex ante subsidiarity has thus sought to remedy this by adopting punitive selection mechanisms, summarized in the policy of "deflation without decriminalization". Configured, therefore, as the common thread that feeds and crosses the multiple components of the criminal apparatus, the principle of subsidiarity, in its new guise, manifests itself in the form of a series of legal institutions which, although animated by extremely heterogeneous characteristics , lead, at least in the abstract, to the same conclusion, that is to say "non-punishable", a final which is completely distant from the promise of the traditional punishment of the crime committed and ascertained. And it is precisely here that the particular tenuity of the fact and the suspension of the trial with trial are placed which, despite having different assumptions and legal consequences, are united by the "finalized nonapplication" of the abstract penalty imposed by law and by the contextual application of equally binding and afflictive measures.
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Perin, Andrea. « Il fatto colposo : la crisi del modello nomologico, l'aspettativa di diligenza e la condotta penalmente rilevante. Uno studio di diritto comparato sulla definizione della colpa punibile ». Doctoral thesis, Università degli studi di Trento, 2015. https://hdl.handle.net/11572/368622.

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Résumé :
A quali condizioni 逓 o in base a quali criteri di valutazione 逓 una condotta che offende o che non impedisce la lesione di beni giuridici fondamentali quali la vita e l'€™integrità fisica della persona può dirsi non soltanto €œdannosa€ ma altresì €œcolposa€ per il diritto penale? Il lavoro che si presenta prende le mosse da una questione, come si vede, di enorme portata. Essa, in termini €œdogmatici€ , porta ad interrogarsi sui caratteri delle categorie concettuali afferenti all'€™elemento oggettivo del reato colposo (il relativo œfatto tipico ), sul metodo di concretizzazione del €œdovere di diligenza€ (che di tale elemento costituisce il cuore normativo) e sui criteri di giudizio in base ai quali esso può ritenersi inosservato. Il metodo di indagine prescelto consiste nella comparazione di due esperienze, quella italiana e quella spagnola, omogenee sul piano teorico e€“ cioé accomunate dall'€™utilizzo del medesimo linguaggio 逓 ma attualmente caratterizzate e€“ quantomeno nella materia in esame 逓 da tendenze evolutive notevolmente differenti anche in ragione della diversa influenza esercitata nei loro confronti dalla dogmatica tedesca. Oltre che sul dibattito teorico sviluppatosi in questa due aree culturali, lo studio si occupa dell'™esperienza applicativa maturata in entrambi i Paesi nei settori della responsabilità  medica e della prevenzione dei rischi professionali (della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro), contesti nei quali si fa particolarmente evidente l'€™attuale €œcrisi€ del cd. €œmodello nomologico€ , cioé del metodo di spiegazione causale dâ'™impronta neopositivista e del criterio ricostruttivo delle norme cautelari fondati su €œleggi scientifiche€ . In entrambi i casi, in entrambe le dimensioni del giudizio sulla tipicità  del fatto, l'™offuscamento dell'€™immagine di scienza su cui venne edificata la teoria del reato colposo nel corso del Novecento ha già indotto il diritto penale contemporaneo a rivalutare il proprio peculiare approccio argomentativo e valutativo abbandonando lo schema inferenziale dimostrativo nomologico-deduttivo ed interrogandosi sul metodo attraverso cui definire i concreti margini del €œrischio consentito€ . E'ˆ in questa direzione, quella di una rinnovata riflessione sui limiti della libertà di azione di ciascuno nella vita di relazione di fronte alla minaccia della sanzione penale, che ci si muove nelle pagine del presente lavoro
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MARIOTTI, MARCO. « "Responsabilità colposa 'per fatto altrui" ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2019. http://hdl.handle.net/2434/630694.

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Résumé :
Il lavoro ha ad oggetto i casi in cui l’agente che ha tenuto una condotta colposa risponde penalmente anche se la lesione del bene giuridico protetto non sia stata da lui direttamente provocata, ma sia piuttosto immediatamente riconducibile alla condotta eterolesiva o al comportamento autolesivo di un altro soggetto. Tale forma di responsabilità “in relazione ad un fatto altrui”, lungi dall’essere del tutto eccezionale, si presenta in numerosi casi di omesso controllo, di inadempiuto obbligo di impedimento del reato altrui, di lavoro in équipe o all’interno di organizzazioni complesse quali grandi realtà produttive. La tesi esplora le problematiche strutturali di questa forma di responsabilità, individuando alcune “note relazionali”, elementi che fanno dipendere la definizione e la misura della responsabilità di chi è meno prossimo alla lesione del bene giuridico anche dalla condotta altrui. L’analisi, che interessa diversi elementi del reato, mira a valutare se a questi tratti di relazionalità corrispondano altrettanti istituti giuridici adeguatamente sviluppati, o se le incertezze dogmatiche e applicative impediscano una chiara ripartizione delle responsabilità tra i vari soggetti coinvolti nella realizzazione del reato. Nell’ambito del fatto tipico, viene analizzato il problema della sovrapposizione ed interruzione del nesso causale tra le diverse condotte e l’evento del reato, e ribadita la validità del paradigma condizionalistico, anche per accertare l’influenza del comportamento di un soggetto sulle deliberazioni prese da un altro (c.d. causalità psichica). Vengono poi criticamente analizzate le diverse teorie sulle fonti delle posizioni di garanzia, in cui la responsabilità del garante esiste e si manifesta necessariamente in dipendenza del comportamento di un altro soggetto. Sul punto, viene svolta una comparazione con l’ordinamento tedesco, che in tempi recenti ha optato per un approccio tassonomico dei singoli casi di omesso impedimento del fatto altrui, in chiave espansiva rispetto al riferimento alle sole fonti legali e negoziali, con il rischio, tuttavia, di aggirare il canone di tipicità. Con riguardo alla colpevolezza, il tema è la dimensione “relazionale” della colpa, che si declina in vari istituti: nella formulazione stessa di alcune regole cautelari che impongono di tener conto della condotta altrui; nel principio di affidamento, che limita la responsabilità dei singoli coinvolti in un’azione plurisoggettiva, e richiede un delicata individuazione dei suoi confini per non generare vuoti di tutela; nell’annoso tema della c.d. “causalità della colpa”, in particolare poiché l’interposizione della condotta di un altro soggetto rende quantomai incerta la verifica dell’evitabilità dell’evento. Infine, vengono esplorati i travagliati istituti concorsuali colposi. Dopo aver evidenziato le incertezze strutturali e la limitata funzione incriminatrice della cooperazione colposa, viene affermata la sostanziale inutilità dell’istituto: proprio grazie alle numerose “note relazionali” presenti nella struttura del reato, la parametrazione della responsabilità del singolo può tenere conto dell’interazione con un altro soggetto anche nella forma monosoggettiva. Ancora più significativi i dubbi concernenti il concorso colposo in reato doloso. Da ultimo, viene sostenuta l’autonomia dell’imputazione ex art. 40, comma 2 c.p. rispetto alle figure concorsuali, dal momento che anch’essa esprime una responsabilità monosoggettiva, anche se in un contesto plurisoggettivo.
This thesis provides a critical analysis of the circumstances in which an agent, who performs a negligent act, is held criminally liable for damage which was however not directly caused by his or her negligent act, but rather was caused by the act of another (with the view of causing damage either to another or to itself). This form of criminal liability “in relation to the conduct of another”, far from being exceptional, is common in many cases of failure to control or failure to prevent the commission of criminal offences by others, particularly in the context of team-working, and even more so within complex organisations having large corporate structures. The thesis examines the structural problems with this form of criminal liability. It identifies “relational elements”, the elements which enable the creation of a link between the responsibility of the agent whose conduct was the furthest to the damage, and the conduct of those having directly caused the damage. These relational elements impact both the basis on which liability attaches to the negligent agent, and the extent to which this liability exists. This analysis will cover both elements of a criminal offence, that is both the actus reus and the mens rea, with the aim of evaluating whether the legal framework at its current state effectively deals with “relational elements” as grounds for attaching liability, or whether too many uncertainties subsist when making this link– in both theoretical and practical terms– which prevent the clear and effective allocation of criminal liability among the different agents involved. First of all, with regards to the actus reus, this paper addresses the issue of concurring and intervening causes which may break the chain of causality between the agent’s action and the consequence of the actus reus, reaffirming the “sine qua non” paradigm. Furthermore, the research assesses the relevance in this context of the influence which one agent’s behaviour can have on the decisions subsequently taken by others, (known as a “psychological cause” of an action). The paper also critically analyses different theories regarding the basis of guarantees, whereby the guarantor’s liability only exists in relation to the act of another. On this point, a comparative analysis has highlighted how German case law has developed in such a way as to allow guarantees to arise from a factual basis, as opposed to solely through contract or other legally binding instruments, thus running the risk of violating the rule of law. Secondly, with regard to the mens rea element of an offence, the research examines three different examples of “relational elements”, by which another’s conduct needs to be taken into consideration, therefore entering into the mens rea element: (i) precautionary rules which can require the agent to observe another subject’s behaviour and to act accordingly; (ii) the expectation that other subjects involved will act lawfully, which needs to be accurately evaluated in order not to leave any gaps in the prevention of crime; (iii) the complex issue of foreseeability and avoidability of the consequences of one’s conduct, becomes even more intricate with the interposition of another’s conduct. Lastly, the paper will focus on joint enterprise in negligence cases. Having first of all stressed the structural uncertainties and the limited prosecutorial use of the concept of joint enterprise in the context of negligence offences, the thesis argues that through the different “relational elements” present in an offence, each agent’s liability can be independently determined by taking into account the interactions with others. It is worth noting that in the case where the mens rea element of an offence requires intentional participation to another’s negligent behaviour, these uncertainties appear to be even greater. In conclusion, the paper will point out that the liability of guarantors is independent from their participation in the joint criminal enterprise, as this type of liability arises from the guarantee itself.
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GUIDI, Arianna. « Il reato a concorso necessario improprio ». Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11393/251080.

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Résumé :
Oggetto del presente lavoro è stata la tematica dei reati a concorso necessario (detti anche plurisoggettivi): una categoria penalistica scarsamente presa in considerazione da parte della dottrina e giurisprudenza più recenti, eppure dai risvolti sistematici di un certo rilievo, in quanto coinvolge profili sia di parte generale che speciale del diritto penale. L’indagine è partita dal piano definitorio e classificatorio: sono state riportate dettagliatamente le diverse tesi dottrinali sviluppatesi sul tema (suddivisibili in due macrocategorie, quella dei sostenitori di una concezione ampia di reato a concorso necessario e quella dei sostenitori di una concezione ristretta dello stesso), nonché le pronunce della Cassazione ritenute maggiormente significative. Un’attenzione particolare è stata dedicata alla delimitazione – in negativo – del campo d’indagine, tracciando le differenze intercorrenti fra i reati a concorso necessario (o plurisoggettivi, a seconda della terminologia impiegata) ed istituti ritenuti erroneamente contigui, primo fra tutti quello del concorso eventuale di persone nel reato. Dopodiché, all’interno del secondo capitolo si è scelto di riflettere sulle questioni maggiormente rilevanti e problematiche attinenti ai reati a concorso necessario impropri: in primis, la ratio che giustifica l’esenzione dalla pena in capo ad un soggetto; secondariamente, la possibilità di punire o meno la condotta tipica, nonché le eventuali condotte atipiche, poste in essere dal soggetto non punibile per mezzo dell’applicazione degli artt. 110 ss. c.p. in funzione incriminatrice. La panoramica di orientamenti dottrinali e giurisprudenziali quanto mai oscillanti e fra loro divergenti su questioni di particolare importanza, non è stata solo funzionale ad offrire al lettore una dettagliata ricognizione in generale, piuttosto, da questa è scaturita una vera e propria esigenza di (ri)considerare l’intera materia in modo organico e chiarificatore. Per tale ragione, nel terzo capitolo è stata introdotta una nuova definizione, in sostituzione a quella maggiormente impiegata da dottrina e giurisprudenza: “fattispecie incriminatrici normativamente plurisoggettive”. Una definizione idonea a ricomprendere tutti quegli illeciti penali che, a livello astratto, presentano caratteristiche simili: il riscontro di una pluralità di soggetti e di condotte quali elementi costitutivi del fatto tipico. Pertanto, si è cercato di individuare i confini della categoria assumendo quale criterio di partenza il piano normativo astratto, in considerazione del fatto che ciò che il legislatore ha scelto di codificare come tipo criminoso è dato dall’insieme degli elementi oggettivi e soggettivi, i quali compaiono nella descrizione della norma incriminatrice. La visione d’insieme ha permesso di non limitare l’attenzione al solo soggetto punibile, bensì di spostarla anche sul soggetto non punibile, il quale, con la sua condotta rientrante fra gli elementi oggettivi del fatto tipico, contribuisce alla configurabilità del reato. Infine, all’interno del quarto capitolo si è proceduto all’analisi dei principali reati classificati da parte della dottrina come a concorso necessario impropri, per verificare, tenuto conto della nuova definizione proposta, se possano o meno essere qualificati come fattispecie incriminatrici normativamente plurisoggettive improprie. Il confronto con la parte speciale ha permesso di evidenziare l’estrema delicatezza dell’operazione d’individuazione di fattispecie incriminatrici normativamente plurisoggettive (in senso lato): anzitutto, perché non sempre la pluralità di soggetti e di condotte costitutive del fatto tipico è oggetto di descrizione espressa, risultando alle volte ricavabile solo a seguito di un attento esame della tipologia e del significato delle parole impiegate dal legislatore; secondariamente, perché alle volte è facile lasciarsi confondere dal piano naturalistico della realtà concreta, mentre l’individuazione di una fattispecie incriminatrice in termini di plurisoggettività normativa dovrebbe avvenire, secondo l’impostazione adottata, a partire dal piano normativo astratto. Da ultimo, ci si è soffermati sul ruolo del soggetto non punibile che tenga rispettivamente la condotta tipica o una condotta ulteriore e diversa da quella descritta, cercando di offrire una possibile soluzione al problema. Nel primo caso, si è concluso per l’impossibilità di applicare l’art. 110 c.p. in funzione incriminatrice, pena la violazione delle garanzie proprie del sistema penalistico. Nel secondo, invece, si è concluso in senso affermativo, precisando che l’interprete è tenuto a prestare attenzione a diversi aspetti, fra cui il tipo d’equilibrio intercorrente fra le condotte dei soggetti parte della fattispecie incriminatrice normativamente plurisoggettiva impropria, nonché l’alterità effettiva della condotta atipica rispetto a quella descritta, pena la violazione dei principi di legalità, tipicità e certezza del diritto.
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Livres sur le sujet "Irrilevanza penale del fatto"

1

Cesari, Claudia. Le clausole di irrilevanza del fatto nel sistema processuale penale. Torino : G. Giappichelli, 2006.

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2

Riqualificazione del fatto nella sentenza penale e tutela del contraddittorio. Napoli : Jovene, 2011.

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3

Conti, Carlotta. Accertamento del fatto e inutilizzabilità nel processo penale. Padova : CEDAM, 2007.

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Quattrocolo, Serena. Esiguità del fatto e regole per l'esercizio dell'azione penale. Napoli : Jovene, 2004.

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Kalb, Luigi. La ricostruzione orale del fatto tra efficienza ed efficacia del processo penale. Torino : G. Giappichelli, 2005.

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Atti del Convegno di Ferrara sul tema La carta e la corte : La tutela penale del fatto religioso fra normativa costituzionale e diritto vivente, 26-27 ottobre 2007. Cosenza : L. Pellegrini, 2009.

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Alagna, Rocco. Tipicità e riformulazione del reato. Bononia University Press, 2021. http://dx.doi.org/10.30682/sg235.

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Résumé :
L’entità e la frequenza delle riforme penali degli ultimi due decenni hanno portato alla ribalta del dibattito penalistico il tema della persistenza della funzione incriminatrice della fattispecie penale oggetto di modifica. Se e come un soggetto, che ha commesso un fatto di reato sotto la vigenza di una fattispecie poi riformulata, possa essere punito ai sensi della norma successiva è questione che ha impegnato dottrina e giurisprudenza in un serrato confronto volto a individuare le condizioni della continua punibilità. L’autore ricostruisce il tema dell’"inerzia" della funzione incriminatrice della fattispecie percorrendo i sentieri italiani e tedeschi del dibattito. Facendo riferimento alle teorie gradualistiche del reato e alla forma tipologica della fattispecie penale, approfondisce i rapporti tra fattispecie astratta e fatto storico, rapporti che disegnano lo scenario dentro il quale egli muove il tentativo di un fondamento epistemologico del concetto di sottofattispecie penale.
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Mantovani, Marco. Contributo ad uno studio sul disvalore di azione nel sistema penale vigente. Bononia University Press, 2021. http://dx.doi.org/10.30682/sg275.

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Résumé :
Il lavoro si incentra sul tema del rapporto fra disvalore di azione e disvalore di evento nella cornice della dimensione sostanziale e [i ]strutturale dell’illecito penale. Sotto il primo profilo, distaccandosi dall’opinione più sedimentata e dominante che, in nome dell’identificazione nel reato in un fatto lesivo di un bene giuridico, tende a estromettere qualsiasi rilevanza al disvalore della condotta e delle note soggettive che la contrassegnano, l’autore approfondisce, mettendone in luce limiti e incongruenze, quello che è il retroterra assiologico e normativo di questo orientamento, vale a dire il principio di offensività. Di quest’ultimo viene ricostruita la storia, tutta peculiarmente italiana, così da evidenziare le ragioni in forza delle quali in altre esperienze non si è avvertita l’esigenza di enuclearlo. Sempre in una prospettiva sostanziale, l’attenzione viene quindi focalizzata su campi di materia che sono in grado di mettere in discussione il primato del disvalore di evento, in senso sostanziale, rispetto al disvalore di azione. Sotto l’angolazione strutturale , vengono trattati gli aspetti concernenti tipologie di reato, o di sue manifestazioni, che, pur polarizzate su un evento o su un fatto naturalistico causalmente collegato alla condotta umana, hanno risentito del peso preminente attribuito dalla giurisprudenza al disvalore della condotta. Operato un raffronto ultimo con le istanze promananti dal principio di offensività, il lavoro si chiude con una breve postilla , nella quale l’autore suggerisce possibili alternative, de lege ferenda , atte a rimpiazzare le prestazioni che il principio di offensività non è in grado di adempiere.
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Tassinari, Davide. Nemo tenetur se detegere. Bononia University Press, 2021. http://dx.doi.org/10.30682/sg263.

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Résumé :
Il tema dei profili sostanziali del nemo tenetur se detegere è stato di rado analizzato dalla letteratura penalistica italiana, che se ne è occupata in pochi – ma assai pregevoli – studi. La possibile valenza del principio quale causa di non punibilità, operante al di fuori dell’angusto ambito segnato dall’art. 384 c.p., è stata, a seconda dei diversi punti di vista, tout court esclusa, ovvero ricondotta all’ambito dell’antigiuridicità penale, ovvero ancora al discusso contesto della inesigibilità. La problematica viene affrontata attraverso un’analisi del principio, estesa ai suoi profili storici e filosofici, nei sistemi di common law, ove esso è stato per la prima volta affermato ed ha altresì trovato un espresso riconoscimento nel quinto Emendamento della Costituzione statunitense. Lo studio di diritto comparato assume un ruolo centrale per la ricostruzione della struttura e dei contenuti del se detegere anche nell’ordinamento italiano. In particolare, il principio si rivela connotato da una duplice valenza, oggettiva e soggettiva, al contempo valore dell’ordinamento e prerogativa individuale, e perciò interagisce con i diversi livelli della struttura del reato: tipicità, antigiuridicità e colpevolezza. Nell’ambito dell’antigiuridicità, il suo modus operandi viene ricostruito mediante un’innovativa analisi dei problemi (di fatto lasciati irrisolti dal dibattito dottrinale del nostro Paese) del bilanciamento di interessi e del concorso di persone nel reato; nel contesto della colpevolezza, per contro, emergono i profili umanistici del se detegere, ed esso non viene in considerazione quale diritto, ma assume una fisionomia ribelle e anarchica, dominata dall’impulso del reo alla ricerca dell’impunità.
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