Articles de revues sur le sujet « Grandi fabbriche »

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Vinardi, Maria Grazia. « Note sul restauro delle residenze sabaude nelle celebrazioni del primo centenario dell'Unitŕ d'Italia (1961) ». STORIA URBANA, no 132 (février 2012) : 251–70. http://dx.doi.org/10.3280/su2011-132009.

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Résumé :
Fra le attivitŕ promosse per le celebrazioni del Centenario dell'Unitŕ d'Italia, Torino e il Piemonte poterono usufruire di finanziamenti per il restauro dei Castelli di proprietŕ demaniale. L'opera si dimostrň particolarmente rilevante in quanto si poterono iniziare grandi cantieri, che avviarono un lungo processo di conservazione di queste fabbriche, in alcuni casi concluso solo oggi. Il merito dei protagonisti di questi interventi, i Soprintendenti, fu quello di togliere dall'oblio un patrimonio culturale di rilevanza europea, in gran parte sconosciuto agli stessi piemontesi.
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Romeo, Emanuele. « Memoria dell’antico e nuove funzioni museali compatibili Alcune riflessioni sul patrimonio industriale legato alla produzione di elettricità ». Labor e Engenho 11, no 4 (26 décembre 2017) : 412. http://dx.doi.org/10.20396/labore.v11i4.8651199.

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Résumé :
Il patrimonio industriale legato all’energia elettrica è rappresentato da una serie di complessi architettonici fortemente stratificati, caratterizzati da diverse soluzioni tecniche, formali e distributive che si sono sovrapposte l'una all'altra, quando necessario, per ragioni legate all’innovazione tecnologia e ai cambiamenti nei processi produttivi. In realtà, sono proprio queste stratificazioni (aggiunte, cambiamenti d'uso, abbandoni momentanei e riusi, accompagnati da adeguamenti architettonici e tecnologici) che conferiscono ai complessi industriali particolare valore di memoria. Infatti, è proprio la continua trasformazione di funzioni e di elementi tecnologici a rappresentare “l'essenza” di questa particolare produzione edilizia. Dalla nascita delle prime fabbriche fino ad oggi, gli edifici industriali hanno cambiato rapidamente la loro forma architettonica e la loro consistenza sia materica sia formale assecondando le esigenze lavorative e produttive. Per questo motivo oggi abbiamo l'opportunità di leggere una "storia dell'architettura" rappresentata da una sequenza di tecnologie e materiali sostituiti di continuo o stratificatisi, in un abaco di elementi relativi alla sperimentazione del calcestruzzo armato, del ferro, della ghisa, dell’acciaio; oppure riguardanti l’utilizzo di grandi superfici di vetro o coperture a shed; o ancora relativi all'uso di fonti energetiche naturali e artificiali. Molte esperienze europee di restauro e riuso degli edifici industriali legati alla produzione di energia, hanno già considerato tale approccio come una delle migliori scelte volte a una conservazione che possa definirsi compatibile: la scelta delle nuove funzioni è dettata, infatti, non tanto dalle esigenze economiche e d’uso, ma dalla flessibilità dell'edificio ad accogliere sostanziali adeguamenti tecnici, energetici, funzionali. Ciò con l’obiettivo di raggiungere un giusto equilibrio tra il rispetto della memoria storica e la necessità di adattarsi alle normative riguardanti l’adeguamento energetico e le nuove funzioni richieste dalla popolazione, raggiungendo una sostenibilità sociale, culturale e ambientale.
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3

Oldrini, Giorgio. « Deindustrializzazione e riconversione nella cittŕ ». COSTRUZIONI PSICOANALITICHE, no 22 (décembre 2011) : 27–31. http://dx.doi.org/10.3280/cost2011-022003.

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Résumé :
L'autore, attuale sindaco di una cittŕ che deve riconvertire un'area industriale dismessa che č la piů grande in Europa, propone l'idea che l'amministrazione di una cittŕ, quando si trova di fronte ad un compito cosě gravoso, debba rifarsi da un lato alla storia della cittŕ e dall'altro all'abitudine dei suoi abitanti e delle sue amministrazioni di affrontare con coraggio compiti gravosi che paiono impossibili. Cosě fu, ricorda l'autore, per coloro che affrontarono all'inizio del novecento la grande industrializzazione, cosě fu per coloro che difesero le fabbriche dalle pretese naziste e per quelli infine che la riedificarono dopo i danni della seconda guerra mondiale.
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Riccň, Gian Franco. « La solitudine dei lavoratori ». RIVISTA SPERIMENTALE DI FRENIATRIA, no 3 (novembre 2010) : 73–87. http://dx.doi.org/10.3280/rsf2010-003007.

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Résumé :
La paura della perdita del posto di lavoro č un precipizio, la malattia, l'angoscia, l'insostenibile peso della famiglia da reggere. Capifamiglia maschi in crisi, casalinghe che prendono l'iniziativa per fare reddito. Sono casi particolari delle fabbriche, dell'edilizia, degli immigrati. Sono operai nelle manifatture in crisi, gente autosufficiente che si trova a combattere a mani nude l'economia globale. Marchionne disse ai lavoratori della Fiat di Pomigliano che l'azienda ed i lavoratori dovevano decidere se stare dentro o fuori la sfida del mercato globale. I lavoratori vivono oggi questo ricatto in grande solitudine.
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Manfrellotti, Stefania. « Longevità e capacità di resilienza delle imprese familiari nella provincia di Salerno fra XX e XXI secolo = Longevity and resilience of family firms in the province of Salerno between the 20th and 21st century ». Pecvnia : Revista de la Facultad de Ciencias Económicas y Empresariales, Universidad de León, no 18 (30 juin 2014) : 19. http://dx.doi.org/10.18002/pec.v0i18.1642.

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Résumé :
<p>La provincia di Salerno ha rappresentato, nella seconda metà del Novecento, una delle realtà più rilevanti del Mezzogiorno d’Italia sotto il profilo industriale. Nel secondo dopoguerra l’industria nell’area salernitana visse un’intensa crescita, soprattutto grazie agli aiuti per il Mezzogiorno. Rispetto alle altre aree del Sud Italia, non vi furono grandissimi stabilimenti siderurgici, metalmeccanici e petrolchimici ma vi fu un movimento vivace di piccole e medie industrie soprattutto nel settore manifatturiero. Tra gli anni Settanta e Ottanta le crisi nazionali e internazionali segnarono il passo dell’economia italiana e più in generale di tutte le economie occidentali. Nella provincia di Salerno le fabbriche statali, quelle appartenenti a multinazionali estere o alle grandi imprese del settentrione furono le più colpite dalla crisi. Al contrario molte aziende locali riuscirono, sebbene con momenti di incertezza, ad avere un ciclo di sviluppo ininterrotto. Si tratta principalmente di imprese familiari, create e gestite da imprenditori salernitani, espressione del territorio, della cultura, delle tradizioni, che hanno saputo trarre dal contesto locale le energie e spesso le risorse per puntare all’eccellenza. Ancora oggi, sebbene quarant’anni di legislazione speciale per il Mezzogiorno non siano bastati a mettere in moto uno sviluppo duraturo e soprattutto autonomo delle imprese meridionali, lo sviluppo industriale meridionale è legato alle piccole e medie attività imprenditoriali operanti soprattutto nel settore manifatturiero. Tra le diverse esperienze di capitalismo locale e familiare di quest’area del Mezzogiorno si è scelto di analizzare una delle realtà imprenditoriali più longeve della provincia salernitana: il sistema di imprese della famiglia Di Mauro di Cava de’Tirreni. Dalla fine dell’Ottocento, la famiglia ha saputo affermare, espandere e reinventare la propria attività nel campo della tipografia, dell’editoria, e della cartotecnica, passando indenne per le difficili congiunture del ’900, e giungendo a essere attualmente una realtà di punta nel tessuto imprenditoriale del Mezzogiorno.</p><p>In the second half of the twentieth century, the Salerno province represented one of the most important industrial reality of the southern Italy. After Second World War, the Salerno province industry lived an intense growth, mainly thanks to the aids for the southern Italy. There were not many steelworks, petrochemical and engineering mills, compared to other areas of the southern Italy, but there was a lively movement of small and medium industries, especially in manufacturing. Among the seventies and eighties the national and international crisis damaged the Italian economy and also other Western economies. In the Salerno province, the state enterprises, those belonging to the foreign multinationals or the great enterprises of the northern Italy, were the worst hit by the crisis. On the other hand, although with uncertainty, many local enterprises managed to have a continuous development. They were mainly family businesses, created and managed by the Salerno province entrepreneurs, expression of the territory, the culture, the traditions that have been able to take energy from the local context and the resources to aim at the excellence.</p> <p>To this today, though forty years of special legislation for the southern Italy are not enough to launch a continuous development and in particular an independent development of the southern enterprises, the industrial development of southern Italy is linked to small and medium enterprises, especially in the manufacturing sector. Among the several experiences of local and family capitalism of the southern Italy, I have chosen to analyze one of the entrepreneurial reality more long-running of the Salerno province. It is the system of enterprises of the Di Mauro family from Cava de’Tirreni. Since the end of nineteenth century, the Di Mauro family was able to establish, expand and reinvent its business in the field of printing, publishing, and converting industry, passing unscathed to the difficult junctures of the twentieth century, and now coming to be very important in the business of the southern Italy.</p>
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Vaquero Piñeiro, Manuel. « Prima della grande fabbrica : manifatture e opifici a Terni (secoli XVI-XIX) ». STORIA URBANA, no 165 (octobre 2020) : 47–62. http://dx.doi.org/10.3280/su2020-165004.

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Sudati, Laura Francesca. « Immigrazione, grande fabbrica, integrazione. Sesto San Giovanni nei primi cinqualt'anni del Novecento ». SOCIETÀ E STORIA, no 127 (juillet 2010) : 117–25. http://dx.doi.org/10.3280/ss2010-127007.

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Settis, Bruno. « La grande fabbrica fordista. Culture politiche e scienze sociali alla prova del neocapitalismo ». Cahiers d’études italiennes, no 22 (20 avril 2016) : 189–202. http://dx.doi.org/10.4000/cei.2965.

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Talŕ, Paola. « Acque trasportate : l'acquedotto di Colognole e l'entroterra di Livorno ». STORIA URBANA, no 125 (avril 2010) : 169–86. http://dx.doi.org/10.3280/su2009-125009.

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Résumé :
Costruito tra il 1793 e il 1872 su progetto di illustri architetti ed ingegneri delle Regie Fabbriche Granducali, l'Acquedotto di Colognole funziona per la cittŕ fino al 1957; da allora viene abbandonato e approvvigiona solo alcuni piccoli centri collinari. Oggi ci troviamo di fronte ad un manufatto monumentale che ha perso la funzione per cui era stato costruito, ma non il suo valore storico e architettonico e la relazione con il paesaggio. La costruzione di questo acquedotto ha segnato l'evoluzione delle consuetudini delle popolazioni collinari e dei territori che ha attraversato trasformandone gli scenari. La comprensione dei complessi cambiamenti nel tempo consente una lettura del paesaggio di grande attualitŕ in merito a rilevanti questioni di conservazione e tutela. Il contributo inquadra il tema a partire dalle accresciute necessitŕ dell'approvvigionamento idrico della cittŕ e del porto di Livorno, illustra la complessa articolazione del lungo cantiere per la costruzione del nuovo acquedotto; infine dedica un'ultima parte all'importanza della conoscenza geografica del paesaggio, cosě come emerge dalle descrizioni dalle principali guide storiche del XIX secolo e dalle vicende della realizzazione della Passeggiata degli Acquedotti.
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De Luca Tamajo, Raffaele. « Massimo D'Antona, esperto "strutturista" : l'erosione dei pilastri storici del diritto del lavoro ». GIORNALE DI DIRITTO DEL LAVORO E DI RELAZIONI INDUSTRIALI, no 121 (avril 2009) : 185–93. http://dx.doi.org/10.3280/gdl2009-121011.

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Résumé :
Nel saggio del 1998 Massimo D'Antona mette a fuoco l'erosione di quattro pilastri su cui č stato edificato il diritto del lavoro della seconda metŕ del '900: la sovranitŕ dello stato-nazione, incalzato da istituzioni sovranazionali; l'organizzazione della grande fabbrica industriale, alterata da esternalizzazione e decentramenti; la stabilitŕ del progetto lavorativo e di vita "dalla scuola alla pensione"; il mito della rappresentanza generale delle organizzazioni sindacali storiche. Si chiede, pertanto, su quali basi possa essere rifondata l'identitŕ del diritto del lavoro. La "rilettura" si propone di saggiare la tenuta dell'analisi a dieci anni di distanza.
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Nobile, Marco Rosario. « Rinascimento alla francese : Gabriele Licciardo, architettura e costruzione nel Salento della metà del Cinquecento ». Artigrama, no 30 (9 décembre 2022) : 193–219. http://dx.doi.org/10.26754/ojs_artigrama/artigrama.2015308140.

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Résumé :
L’architettura salentina del XVI secolo offre ricchezza e profondità di riferimenti ma anche ostacoli posti contestualmente da una documentazione incompleta e priva di riscontri sicuri. Di questa labilità di assunti è intrisa la vicenda della personalità che viene considerata risolutiva, quella più nota alla storiografia architettonica: Gabriele Licciardo. Questo studio parte da una ricostruzione plausibile della biografia del maestro alla luce delle poche notizie esistenti e dell’architettura costruita. Per individuare aspetti utili ad inquadrare il caso Licciardo occorre osservare fabbriche del Salento che sono accomunate da sperimentazioni significative nel campodelle volte in pietra: l’abside (volta impostata su una geometria semi ennagonale e chiave pendente con figurazioni scultoree) della chiesa di Santa Croce a Lecce o il grande vano quadrato posto in corrispondenza dell’ala nord del castello di Cavallino (volta a spigoli vivi). Si tratta di soluzioni costruttive che non sembrano avere radici né nella tradizione costruttiva salentina né nella trattatistica italiana, mentre delineano gli esordi di una solida tradizione locale. I riferimenti possibili denunciano un milieu extra peninsulare e un bagaglio di conoscenze che hanno relazioni indirette con le soluzioni teorizzate da Philibert Delorme. Il mondo francese si affaccia quindi in Salento, rendendo all’improvviso problematici i paradigmi su cui si è basata la costruzione storiografica. Gli indizi sinora emersi e le riflessioni qui proposte obbligano a tirare conclusioni diverse da quelle sinora postulate in merito alla provenienza di Licciardo e soprattutto alla sua formazione.
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Doria, Marco. « La fabbrica tra economia, società ; e politica. Il controverso bilancio dell'Ilva di Taranto ». ITALIA CONTEMPORANEA, no 295 (mai 2021) : 253–68. http://dx.doi.org/10.3280/ic295-oa3.

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Il centro siderurgico di Taranto ha avuto e ha una grande importanza nella storia industriale&nbsp;italiana. A esso sono stati dedicati studi approfonditi. In queste pagine, ripercorrendo quanto&nbsp;emerge da tali studi cos&igrave; come dalla pi&ugrave; recente storiografia sull'impresa pubblica in Italia e&nbsp;sull'Iri, si proporranno alcune considerazioni sul ruolo della siderurgia nell'economia italiana,&nbsp;sulla parabola delle partecipazioni statali e il loro rapporto con la politica, sulle politiche perseguite&nbsp;nel secondo dopoguerra per ridurre i divari tra Nord e Sud. Si guarder&agrave; anche ai contenuti&nbsp;e ai toni del dibattito pubblico su tali questioni. Le scelte di volta in volta compiute e le&nbsp;diverse posizioni assunte saranno storicamente contestualizzate. Molti degli interrogativi che&nbsp;questa storia solleva hanno ancora oggi bisogno di risposte adeguate ai tempi.
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Ottati, Adalberto, et Maria Serena Vinci. « Signa Lapicidinarum e tracciati di cantiere per la comprensione dell’edilizia archeologica : il caso del Foro Provinciale di Tarraco (Hispania Citerior) ». Arqueología de la Arquitectura, no 16 (10 octobre 2019) : 081. http://dx.doi.org/10.3989/arq.arqt.2019.003.

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Résumé :
En el presente artículo se dan a conocer una serie de marcas y trazados de proyecto/marcas de trabajo documentados en materiales procedentes del denominado Foro Provincial de Tarraco. El objetivo es proponer la reconstrucción de las prácticas edilicias y la manera de organizar los diferentes talleres que trabajaban para la realización del monumento tarraconense de época imperial, delineando las fases operativas que caracterizan el proceso de construcción tanto desde el proyecto hasta la elaboración de artefactos, como desde la cantera hasta la edificación de la fábrica. Después de una larga época de estudios centrada en la catalogación de artefactos arquitectónicos, es ahora posible realizar un paso además: probar a interpretar, aunque de forma parcial, la manera de organizar y transmitir los conocimientos dentro de los talleres implicados en la construcción romana. El caso del Foro Provincial resulta emblemático, tanto por la calidad y cantidad de material conservado, como por la complejidad de un cantiere activo a lo largo de más de un siglo. [it] In questo articolo si presenta una serie di sigle e di tracciati di cantiere rinvenuti su materiali provenienti dal cosiddetto Foro Provinciale di Tarraco. L’obiettivo è quello di tentare la ricostruzione degli usi cantieristici antichi e della maniera di organizzare le diverse officine che lavoravano alla realizzazione del monumento tarragonese di epoca imperiale, delineando le fasi operative che caratterizzano il processo di costruzione sia dalla progettazione all’elaborazione dei manufatti, che dalla cava alla fabbrica. Dopo una lunga stagione di studi rivolta alla catalogazione di manufatti architettonici è ora possibile effettuare un passo in più: cercare di interpretare, seppur in maniera parziale, il modo di organizzare e trasmettere le conoscenze all’interno delle officine implicate nella costruzione dei grandi monumenti romani. Il caso del Foro Provinciale diviene emblematico sia per la qualità e quantità del materiale che ci è pervenuto, sia per la complessità di un cantiere la cui attività si protrae per un arco temporale lungo più di un secolo.
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Patetta, Luciano. « LE PRIME DISPUTE TRA ARCHITETTI LOMBARDI E FORESTIERI NEL CANTIERE DEL DUOMO ». Istituto Lombardo - Accademia di Scienze e Lettere - Incontri di Studio, 13 novembre 2013, 51–68. http://dx.doi.org/10.4081/incontri.2007.41.

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Résumé :
Riassunto. – Dai Libri Mandatorum (poi trascritti negli Annali della Fabbrica del Duomo, Milano 1877-1885) abbiamo una grande quantità di notizie sui magistri e sugli inzignierii lombardi, francesi e tedeschi chiamati, alla fine del Trecento, da Galeazzo Visconti e dai Deputati cittadini a progettare una cattedrale gotica, degna di quelle europee. Le discussioni e le dispute hanno riguardato la planimetria del Duomo e gli schemi della sua sezione, per una scelta della tradizione locale o di una imitazione delle grandi cattedrali di Francia. Soprattutto con l’arrivo da Parigi dell’architetto Jean Mignot (1400 ca.) si scontrarono due teorie che si fondavano, rispettivamente, una sui principi della geometria e della matematica, l’altra sulle esperienze costruttive delle maestranze con l’uso dei materiali locali. Le polemiche si fondavano su due affermazioni contradditorie, rimaste poi emblematiche: ars sine scientia nihil est e scientia sine arte nihil est.***Abstract. – From the Libri Mandatorum (later on in the Annali della Fabbrica del Duomo, Milan 1877-85) we have a great quantity of news about the magistri of yard and about Lombard, French and German inzignierii, called at the end of Fourteenth Century, by Gian Galeazzo Visconti and by the Delegates of the town to built a gothic cathedral, whorty of whose of Europe. The discussions and the disputations were about the plan of the Duomo and the pattern of his section, for the choise of local tradition or imitation of great French cathedrals. Above all the arrival from Paris of the architect Jean Mignot (approximately 1400) clashed two theories well-grounded, one on principles of the geometry and the mathematic, and the other on the building experience of the workers on the use of local building materials. The controversies founded on two opposite assertions: ars sine scientia nihil est and scientia sine arte nihil est.
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Santo, Victor Martins do Espirito, Fabio Hideki Fernandes Komyama, Felipe Kenzo Nonaka Ojima et Renato Ferreira Abreu. « Macchina di riempimento basso costo accessibile per i piccoli produttori ». Revista Científica Multidisciplinar Núcleo do Conhecimento, 29 janvier 2021, 96–127. http://dx.doi.org/10.32749/nucleodoconhecimento.com.br/ingegneria-meccanica-ingegneria/riempimento-basso-costo.

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Résumé :
Attualmente il mercato delle bevande è un ramo in cui si affermano grandi nomi, e in questa rigidità imposta dai grandi marchi, i piccoli marchi vedono grandi difficoltà nel loro inserimento nel mercato, e anche nel classificarsi come un particolare competitor di tali colossi. Tuttavia, il ramo della cachaça, bevanda genuinamente brasiliana, è contrario a questa logica, con i piccoli produttori a dominare il mercato, come sottolinea la rivista Pegn Affari Globo* (2019). Águante 4 Pontes è un’azienda emergente per la produzione di cocktail alcolici, nel corso della sua storia si è sviluppata in relazione ai mezzi di produzione, e data l’elevata richiesta, è stato sviluppato un progetto per l’automazione della sua linea di produzione, che fino a allora era manuale. A tal fine, l’obiettivo era quello di realizzare un prototipo di questa macchina per aumentare la produttività dell’azienda. Innanzitutto il prototipo è stato creato e sviluppato attraverso il componente Arduino UNO e il suo microcontrollore ATMEGA328, sperando come risultato nella dinamizzazione di una linea di produzione che riempimento il liquido proprio nella bottiglia. Con l’automazione della linea di produzione, l’obiettivo è rendere il processo più veloce ed efficiente, potendo abbassare il costo di produzione di un prodotto sostituendo il lavoro umano nel processo di fabbricazione, potendo così indirizzare i dipendenti ad altre funzioni, aumentando notevolmente la produttività. Si spera, quindi, di realizzare un modello che soddisfi le esigenze produttive della fabbrica, in modo che l’azienda possa aumentare i requisiti di agilità, efficienza e capacità produttiva. La ricerca si basa su letture di altri documenti e ricerche qualitative. Come metodologia, la costruzione di un prototipo e base teorica alla base della rilevanza e del valore di una riempitrice a basso costo sul mercato, con la quale dovrebbe confermare l’efficacia del progetto.
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Justino, Lucas Diego de Souza. « Fattibilità di utilizzo della cenere di caldaia industriale nel dosaggio del calcestruzzo strutturale ». Revista Científica Multidisciplinar Núcleo do Conhecimento, 10 septembre 2021, 81–97. http://dx.doi.org/10.32749/nucleodoconhecimento.com.br/ingegneria-civile/calcestruzzo-strutturale.

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Résumé :
L’industrializzazione e la crescita accelerata della popolazione generano effetti collaterali su vari aspetti sociali e la questione ambientale è preoccupante a causa degli impatti causati dall’evoluzione sociale. La gestione dei rifiuti industriali è una grande sfida che coinvolge sia il controllo della loro generazione che il corretto smaltimento, garantendo la sostenibilità ambientale. I residui di cenere della caldaia si trovano in abbondanza nelle fabbriche che utilizzano questa apparecchiatura per la generazione di vapore. Questa abbondanza si verifica a causa della mancanza di un luogo per il corretto smaltimento o riutilizzo del residuo. In considerazione di questo scenario, questo articolo aveva come domanda guida: sarebbe possibile utilizzare questo residuo nella produzione di calcestruzzo strutturale? Lo scopo di questo studio è stato quello di classificare il residuo definendone la possibile forma di utilizzo nel dosaggio del calcestruzzo e di eseguire dosaggi sperimentali con l’utilizzo di ceneri di caldaie industriali per valutarne i possibili contributi tecnici alle proprietà di base del calcestruzzo. Per questo, i campioni sono stati raccolti da un’industria installata nella città di Uberlândia, Stato di Minas Gerais, attiva in diversi settori come l’agricoltura, l’alimentazione animale, farmaceutica e altri. La classificazione delle ceneri della caldaia è stata eseguita applicando le procedure normative brasiliane e i parametri utilizzati per la classificazione dei leganti e degli aggregati per calcestruzzo. Considerando la sua curva granulometrica e la densità, il residuo è stato classificato come aggregato leggero e molto sottile, adottando così la metodologia della sostituzione parziale dell’aggregato sottile con cenere di caldaia. È stato verificato che vi è stata una riduzione della lavorabilità del calcestruzzo allo stato fresco proporzionalmente al contenuto di residui utilizzato. Pertanto, è necessario utilizzare additivi superplastificanti in questi casi per mantenere la lavorabilità prevista. Una riduzione della densità del calcestruzzo è stata notata quando il residuo è stato utilizzato, considerando come necessaria l’attenzione a questa proprietà del calcestruzzo in relazione al contenuto utilizzato del residuo nel dosaggio. È stato anche osservato confrontando i dosaggi con l’uso del residuo al dosaggio standard, che c’era una riduzione della resistenza alla compressione. Tuttavia, non c’è stata una grande variazione nella resistenza alla compressione tra i dosaggi con diversi livelli di sostituzione utilizzati. Si è concluso, quindi, considerando i livelli utilizzati in questo studio, come fattibile l’uso di questo residuo nella produzione di calcestruzzo strutturale.
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Paradiso, Michele, Ricardo Alfredo Cruz Hernández, Fabrizio F. V. Arrigoni, Costanza Bigi et Stefano Cartesio. « LA LOLLA DI RISO COME ADDITIVO NATURALE PER L’ADOBE : DALLE PROVE IN LABORATORIO AL PROGETTO DI UN CENTRO CIVICO PER CEPITÁ (COLOMBIA) ». Revista M 17 (25 janvier 2021). http://dx.doi.org/10.15332/rev.m.v17i0.2516.

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Résumé :
Lontano dalla frenesia delle metropoli sudamericane, incastonato sul fondo del secondo cañón più grande del mondo, sorge il pueblito di Cepitá, un gioiello fermo nel tempo, patrimonio tangibile dell’architettura colombiana. È dalla sua terra che nasce questo progetto. La prima parte di questo studio ha luogo in un laboratorio; il materiale, analizzato nelle sue proprietà fisiche mediante prove di caratterizzazione, ha preso forma diventando vero e proprio elemento costruttivo: l’adobe. Le sue potenzialità meccaniche sono state quindi messe alla prova. Riallacciandosi alla tradizione del luogo, ma anche apportando delle innovazioni, ne è stato migliorato il comportamento meccanico grazie all’utilizzo di un additivo naturale, ottenuto dagli scarti della lavorazione del riso, la lolla. È a questo punto che il materiale diviene architettura: il progetto di un centro civico riempie uno degli isolati di Cepitá, con lo scopo di diventare polo attrattivo sia per la popolazione locale sia per i visitatori. Si tratta di un complesso costituito da quattro corpi di fabbrica, collegati tra loro attraverso ampi camminamenti che delineano tre corti. L’edificio si integra pienamente nel contesto in cui sorge, sia per forma sia per dimensioni, creando continuità con l’intorno. Il fulcro visivo dell’intero progetto, però, è rappresentato da tre cupole tronche, che, in parte rompendo i ritmi e gli andamenti ortogonali del piccolo centro abitato, in parte guardando alle capanne a pianta circolare delle popolazioni precolombiane, portano all’estremo la tecnologia costruttiva della terra cruda.
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