Littérature scientifique sur le sujet « Formazione alla comunicazione »

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Articles de revues sur le sujet "Formazione alla comunicazione"

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Mari, Massimo, Luca Di Maio, Paola Gremigni, Marinella Sommaruga et Walter Grassi. « Comunicare con i pazienti : un Gruppo Operativo in Reumatologia ». PSICOLOGIA DELLA SALUTE, no 1 (mai 2011) : 135–47. http://dx.doi.org/10.3280/pds2011-001010.

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Résumé :
Un'efficace comunicazione č un importante indicatore della qualitŕ dei servizi ospedalieri. Questo contributo presenta i risultati di una ricerca-intervento sulle abilitŕ comunicative dei membri di un'équipe reumatologica ospedaliera dopo un corso di formazione sulla comunicazione. L'esperienza ha coinvolto ventitré operatori sanitari (78.3% femmine, etŕ media 38.3 ± 9.7 anni) della Clinica Reumatologica dell'Universitŕ Politecnica delle Marche (52.2% infermieri, 30.4% medici, 13% OSS, 4% biologi) in un corso di aggiornamento basato sulla tecnica del Gruppo Operativo di E. Pichon Rivičre. Gli operatori hanno valutato le proprie capacitŕ comunicative, prima e dopo il corso, con il Health Care Communication Questionnaire (HCCQ). Il HCCQ č stato inoltre compilato da trentatré pazienti della Clinica all'inizio del corso e da trentaquattro alla fine, per riportare l'esperienza comunicativa con gli operatori. I risultati mostrano una tendenza al miglioramento nella maggior parte delle dimensioni del HCCQ-P auto-valutate dagli operatori e un miglioramento significativo (p < 0.05) nella valutazione dei pazienti con il HCCQ. Tale risultato incoraggia la formazione degli operatori delle équipe ospedaliere nell'ambito della comunicazione con il paziente.
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Viaro, Maurizio, Ilenia Barile, Chiara Beghin, Mara Germani, Rosmaria Giuliano, Anna Nemes et Michela Zanella. « Formazione e Identitŕ sistemiche ». TERAPIA FAMILIARE, no 96 (août 2011) : 5–24. http://dx.doi.org/10.3280/tf2011-096001.

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Résumé :
In questo articolo, gli AA. si propongono di illustrare un modulo di programma formativo, attualmente in fase di attuazione presso il Centro Padovano di Terapia della Famiglia, volto a far acquisire ai futuri terapeuti sistemici definiti strumenti di analisi dell'interazione, enfatizzando tale competenza, peculiare alle identitŕ relazionali - sistemiche e alla storia - in particolare all'esperienza della cosiddetta "scuola di Milano". Il programma č basato su esercitazioni in aula integrate con momenti di apprendimento a distanza, tramite sito web dedicato. Questo progetto nasce dall'esigenza di valorizzare alcune componenti specifiche di una formazione e di una identitŕ che si dicono relazionale-sistemiche, rivisitando alcuni concetti fondanti questo approccio e integrandoli con strumenti e tecniche derivate dalla formazione a distanza. La seduta familiare congiunta e l'analisi della comunicazione in ottica pragmatica possono continuare ad essere oggi elementi caratterizzanti, anche se non piů esclusivi, di una formazione sistemica, come lo sono della sua storia e della sua identitŕ.
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Pangrazzi, Arnaldo. « Il corso di formazione pastorale clinica ». Medicina e Morale 39, no 3 (30 juin 1990) : 503–14. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1990.1176.

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Résumé :
Da alcuni anni anche in Italia, dopo l'esperienza degli Stati Uniti e di alcuni paesi europei, sono stati introdotti i Corsi di Formazione Pastorale Clinica (Clinical Pastoral Education - CPE) con l'intento di preparare sacerdoti, religiosi e religiose, diaconi, studenti di teologia, operatori sanitari e volontari, per acquisire una più profonda conoscenza del malato, per favorire lo sviluppo di metodi pastorali basati sulla comunicazione e sulla relazione di aiuto autentica, per facilitare il processo di integrazione dei propri studi teologici con la pratica pastorale e per promuovere il lavoro di équipe con esperti di altre discipline. L'Autore esamina, alla luce della propria esperienza, il metodo utilizzato per fornire questo tipo di preparazione: esso si avvale da una lato della compilazione di accompagnamento pastorale) da parte dei tirocinanti, dall'altro di una serie di colloqui con una figura di educatore esperto, il supervisore. Inoltre il CPE si avvale del procedimento della dinamica di gruppo, offrendo ai tirocinanti un'opportunità di reciproco aiuto e comprensione, per acquisire una sempre maggiore sensibilità e competenza per accostarsi ai malati che essi incontrano nella propria attività.
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Ricci Bitti, Pio Enrico. « La comunicazione interpersonale : espressione delle emozioni e comportamento non verbale nell'interazione sociale e nella relazione di cura ». RICERCHE DI PSICOLOGIA, no 2 (octobre 2021) : 145–55. http://dx.doi.org/10.3280/rip2021oa12603.

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Résumé :
Il contributo, a partire dall'interesse di Canestrari per il colloquio clinico e la relazione di cura nella pratica medica, descrive alcuni filoni di ricerca sviluppatisi dal 1970 in poi nell'Istituto di Psicologia dell'ateneo bolognese su alcuni aspetti e processi della comunicazione interpersonale: il repertorio comunicativo non verbale e le sue funzioni nell'interazione sociale; l'espressione e la regolazione delle emozioni nelle relazioni interpersonali. Sulla base dei risultati delle indagini svolte viene affrontato, sul piano applicativo, il delicato problema della formazione e dell'addestramento dei professionisti della salute alla relazione interpersonale in generale ed al colloquio clinico in particolare; vengono descritte esperienze di addestramento alla relazione col paziente mediante la tecnica del role-playing con l'uso della videoregistrazione e di addestramento al primo colloquio clinico mediante la tecnica del video feedback in piccolo gruppo.
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Lanzo, Alessandra, Giuseppe Quintaliani et Anna Colaci. « Medici e pazienti sul web ». Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi 26, no 2 (25 juin 2014) : 192–95. http://dx.doi.org/10.33393/gcnd.2014.887.

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Résumé :
Il web 2.0 e i nuovi media stanno progressivamente facendo la loro comparsa in campo medico. Da più parti i feed RSS, i podcast, i blog, i wiki, i social network, le on-line community e i social media, grazie alla loro semplicità d'uso e alla rapidità con la quale si stanno diffondendo, vengono indicati come strumenti innovativi per la formazione di medici, operatori sanitari, infermieri e studenti di medicina e per il loro continuo aggiornamento. L'articolo illustra le applicazioni dei principali strumenti del web 2.0 e dei social media in nefrologia e come tali strumenti stiano trasformando il modo di aggiornarsi in rete dei medici, in particolare nefrologi, e dei sanitari tutti, oltre a sottolineare come la comunicazione stia diventando sempre più un sistema di management integrato. (Clinical_Management)
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Losa, Stefano, Luca Botturi, Martin Hermida et Stéphanie Boéchat-Heer. « Due decadi di tecnologie digitali in educazione. » Swiss Journal of Educational Research 43, no 1 (14 avril 2021) : 98–115. http://dx.doi.org/10.24452/sjer.43.1.8.

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Résumé :
Alla luce della forte pervasività sociale e culturale, nelle società contemporanee, di tutte quelle tecnologie chiamate dell’informazione e della comunicazione, contraddistinte appunto dalla dimensione digitale, l’articolo si propone di fare una sintesi informata sul tema delle tecnologie digitali in educazione e formazione. Tale sintesi scaturisce da un campione di 25 articoli rilevanti ed evidenzia tre grandi aree tematiche che hanno contraddistinto il tema delle tecnologie digitali in ambito educativo e formativo: l’uso di risorse digitali all’interno delle pratiche di insegnamento e apprendimento, l’uso adeguato delle tecnologie digitali, anche al di fuori dei contesti formativi ed educativi, e la formazione del corpo docenti alle tecnologie digitali e soprattutto al loro utilizzo a fini didattici e pedagogici. Tale sintesi rappresenta un’opportunità privilegiata per evidenziare ciò che la rivista ha contribuito a diffondere in tale ambito dal punto di vista scientifico. L’articolo, grazie anche ad uno sguardo attuale sugli sviluppi della ricerca sulle tecnologie in educazione, permette così di delineare gli orientamenti passati e recenti, così come le problematiche e le criticità attuali che contraddistinguono questo ambito importante e in continua evoluzione.
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Foti, Claudio. « Abuso sessuale e intelligenza emotiva. Come far cadere le barriere alla comunicazione attorno alla violenza nella prevenzione, nella formazione, nella valutazione, nella cura ? » MINORIGIUSTIZIA, no 3 (janvier 2010) : 199–237. http://dx.doi.org/10.3280/mg2009-003021.

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fraticelli, E. « Questionnaire on Therapeutic Education in Diabetology. Interest and attitudes in the Italian diabetes community ». Journal of AMD 25, no 2 (juillet 2022) : 130. http://dx.doi.org/10.36171/jamd22.25.2.8.

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Résumé :
Il GISED ha promosso una survey online (Google moduli) nell’estate 2021 allo scopo di fotografare lo stato dell’arte sull’Educazione Terapeutica (ET) nella comunità diabetologica, focalizzare i temi di interesse e approfondimento per la progettazione di corsi di formazione sull’ET e raccogliere indicazioni per migliorare le pagine web del GISED delle Società Scientifiche diabetologiche. Abbiamo rivolto 16 quesiti su diverse aree tematiche. I partecipanti sono stati 94, nel 92,6% medici, soprattutto donne e per circa la metà tra i 56 e i 65 anni. La maggior parte riconosce la promozione dell’empowerment del paziente come l’essenza della missione dell’ET. C’è una forte volontà a partecipare a corsi educativi. Minore è l’interesse a partecipare a campi scuola. Più della metà dei partecipanti ha mantenuto un’attività educativa anche durante il periodo di pandemia da Sars Cov-2 adottando diverse e nuove forme comunicative. La comunicazione rappresenta l’area da aggiornare e migliorare maggiormente tra le competenze educative mentre motivazione/engagement ed empowerment, quelle da approfondire. I giovani considerano più importanti l’accompagnamento del paziente nel percorso di cura e sono meno interessati alla promozione dell’Empowerment. Al di sotto dei 55 anni prevale l’interesse per la pratica. La competenza comunicativa è più richiesta sopra i 55 anni e predomina sopra i 65 anni. I minori di 45 anni vorrebbero approfondire temi di pratica e pianificazione dell’attività educativa. Nelle fasce di età maggiori c’è più coinvolgimento verso la motivazione, l’empowerment e la relazione/ascolto. Le donne prediligono temi relazionali e partecipativi, mente gli uomini sono interessati maggiormente a funzioni pragmatiche. Modesta prevalenza di interesse per gli uomini a migliorare la comunicazione. Pur con i limiti derivanti dal basso numero dei partecipanti, i risultati del questionario aprono a un’interessante lettura di genere e per età, e suggeriscono nuovi spunti di ricerca utili alla progettazione di azioni formative in ambito educativo. PAROLE CHIAVE: educazione terapeutica; diabetologia; attitudini; età; genere.
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Gremo, S., G. Iannarelli et M. Vadori. « L'assistenza nefrologica alla persona straniera : ieri, oggi e domani ». Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi 24, no 2 (26 janvier 2018) : 81–86. http://dx.doi.org/10.33393/gcnd.2012.1144.

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Résumé :
I dati ISTAT al 1° gennaio 2006 dichiaravano che la quota degli stranieri iscritti in Anagrafe era pari al 4.5%, tuttavia si riscontravano forti differenze a livello territoriale. Lo confermano i dati del XXI Rapporto sull'immigrazione al 31 dicembre 2010, dove la ripartizione territoriale degli immigrati in Italia è a Nord Ovest 35.0%; a Nord Est 26.3%; al Centro 25.2%; al Sud e Isole 13.5%. La percentuale di iscrizioni nel 2010 è però aumentata al 7.5% (4 570 317 stranieri) a cui bisogna aggiungere oltre 400mila persone regolarmente presenti (Straniero Temporaneamente Presente) ma non ancora registrate in anagrafe. Questa realtà rispecchia anche quella del nostro Sistema Sanitario Nazionale e delle nostre sale dialisi. Presso la dialisi del Presidio Ospedaliero S.G. Bosco di Torino la persona assistita straniera, nel dicembre 2011, incideva per il 22.2% sul totale degli assistiti (7.2% in emodialisi, 4.2% ambulatorio post-trapianto, 10.8% ambulatorio pre-dialisi). La scarsa conoscenza della lingua italiana compromette la comunicazione tra operatori sanitari e PA e una difficile aderenza terapeutica alle prescrizioni dietetiche-farmacologiche. Abbiamo cercato in questi anni di sopperire a queste difficoltà, mettendoci in relazione con la PA e i suoi familiari senza pregiudizi su stili di vita e valori, diversi da quelli usuali. Il nostro obiettivo è stato quello di risolvere le problematiche incontrate quotidianamente, ma anche con progetti di traduzione delle brochure in uso, e progettando corsi di formazione multiculturale per gli operatori addetti al trapianto renale. È stato laborioso educare all'autocura immunosoppressiva una PA straniera e analfabeta rientrata dal Centro Trapianti, altrettanto laborioso è stato far comprendere a una PA cinese e a una senegalese, che non parlavano italiano, la complessità della preparazione al trapianto, ma siamo riusciti nell'intento personalizzando il loro percorso e adattandolo ai loro punti di debolezza. (nursing)
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Carugati, Felice, et Patrizia Selleri. « Guardando al futuro : sviluppo, educazione, apprendimento ». RICERCHE DI PSICOLOGIA, no 2 (octobre 2021) : 243–57. http://dx.doi.org/10.3280/rip2021oa12610.

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Résumé :
Fin dagli anni '50 Renzo Canestrari si è interessato a tematiche riguardanti lo sviluppo infantile nei suoi aspetti clinici, con una particolare attenzione alle riforme del sistema scolastico italiano, soprattutto al prolungamento dell'obbligo scolastico, alle conseguenze organizzative e alla necessità di una formazione adeguata degli insegnanti. In parallelo, il dibattitto sulla deistituzionalizzazione dell'assistenza ai minori orfani e con difficoltà sensoriali, fisiche e psichiche, ha promosso progetti di interventi alternativi, in collaborazione con gli Enti Locali della Regione Emilia-Romagna.Questa attenzione alle tematiche concernenti lo sviluppo, l'educazione e la socializzazione in età evolutiva, con uno sguardo che collega aspetti individuali e dinamiche sociali, ha alimentato ricerche empiriche da parte di membri dell'Istituto di Psicologia, che hanno progressivamente ampliato i campi di indagine. Si tratta di ricerche su: relazioni causali fra interazioni sociali e sviluppo cognitivo; caratteristiche della comunicazione nelle classi e delle routine organizzative e discorsive nella vita quotidiana a scuola; rappresentazioni che insegnanti e genitori costruiscono e condividono sui processi di sviluppo, apprendimento e educazione; dinamiche socio-cognitive che le prove di valutazione delle competenze indicate nelle indagini internazionali, attivano negli studenti. Si tratta di dinamiche presenti durante le prove di assessment ma che sfuggono alla lettura prevalente dei risultati di performance. Esse attivano rappresentazioni di routine scolastiche, attraverso le quali soprattutto gli studenti con basse performance cercano di dare significato alle prove stesse. Analoghe dinamiche sono presenti nelle rappresentazioni delle discipline scientifiche, a conferma dell'influenza che le rappresentazioni del sistema scolastico svolgono nella costruzione degli apprendimenti.Considerate nel loro complesso, in queste linee di indagine è possibile individuare aspetti significativi dell'eredità che Renzo Canestrari ha consegnato nei suoi lavori sullo sviluppo e l'educazione. 
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Thèses sur le sujet "Formazione alla comunicazione"

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DEL, PICCOLO Lidia. « L’INTERAZIONE MEDICO-PAZIENTE NELLA MEDICINA GENERALE.Definizione di un modello descrittivo dell’intervista medica e delle variabili che contribuiscono al riconoscimento del disagio emotivo nel contesto della medicina generale ». Doctoral thesis, 1999. http://hdl.handle.net/11562/354385.

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Résumé :
Nella tesi sono stati proposti diversi studi e approfondimenti riguardanti sia il problema della valutazione dell’intervista medica che alcuni degli aspetti salienti dell’interazione medico-paziente, quali la disponibilità a trattare tematiche psico-sociali e l’interazione tra il comportamento verbale del paziente (cues) e quello del medico. I dati sono stati raccolti in due fasi. Nella prima si sono raccolte sessioni ambulatoriali successive, senza operare selezioni sui pazienti, se non sulla base del consenso, mentre a posteriori sono stati considerati solo i pazienti adulti che erano giunti alla consultazione per un problema di salute nuovo. Nella seconda fase si sono estratti dal campione iniziale due gruppi di pazienti appaiati a costituire uno studio tipo “caso-controllo”. L’appaiamento è stato fatto sulla base del medico che ha condotto l’intervista, il sesso, l’età e la presenza o meno di malattia cronica. Ciò al fine di tenere sotto controllo le variabili che dallo studio della letteratura risultavano probabili confondenti. Tre sono stati i principali obiettivi perseguiti: 1. Formulazione di un sistema di classificazione valido e attendibile per descrivere il comportamento verbale del paziente durante la consultazione medica. 2. Valutazione delle caratteristiche socio-demografiche, cliniche e di personalità del paziente che possono essere associate ai comportamenti verbali messi in atto durante la consultazione medica. 3. Elaborazione di un modello in grado di descrivere l’interazione medico-paziente durante la consultazione. Il primo degli obiettivi proposti si è concretizzato nella realizzazione del VR-MICS (Verona Medical Interview Classification System), un sistema di classificazione che consente la valutazione del diverso apporto all’interazione del medico (VR-MICS/D, Saltini et al., 1998; 1999) e del paziente (VR-MICS/P, Del Piccolo et al., 1999a, 1999b) e che rende conto delle caratteristiche salienti dell’interazione “centrata sul paziente”. Lo studio di attendibilità del VR-MICS/P ha dimostrato che si tratta di uno strumento attendibile (accordo percentuale 87.5% e Kappa di Cohen pari a 0.85). Le categorie che presentano il più elevato grado di similarità (indice di Dice, 1945) sono le manifestazioni di accordo, le domande e gli statement sui sintomi e il loro trattamento. Rispetto alla formulazione, i cue sono meno facilmente individuabili rispetto agli statement, tuttavia il loro indice di similarità risulta complessivamente buono (0.81 contro 0.89 degli statement). La più critica è risultata la categoria relativa all’impatto della malattia sulle funzioni quotidiane. Si è deciso di mantenerla comunque, in quanto si tratta di un contenuto teoricamente importante. La sua presenza, infatti, costituisce un efficace indicatore dello stile di intervista “centrato sul paziente”, in quanto consente a quest’ultimo di introdurre anche tematiche psico-sociali tra gli argomenti proposti al medico. Proprio perché comportamento relativamente raro, può essere interessante analizzarne la frequenza prima e dopo un training, in quanto se il training è stato efficace, dovrebbe essere vistoso l’aumento di questa categoria. Analogamente, dovrebbe essere evidente il mutamento del comportamento verbale del medico dopo un cue del paziente. I cue verbali hanno quindi costituito l’oggetto di interesse dominante nella seconda fase della ricerca. Tuttavia, prima di analizzare nel dettaglio i comportamenti verbali, abbiamo indagato il significato di un altro dato rilevante: la discrepanza tra la percentuale di pazienti che si sono dichiarati in accordo con la trattazione di tematiche psico-sociali durante la consultazione medica (80%) e coloro che ne hanno effettivamente parlato (50%). I pazienti selezionati per questo studio rappresentano i tre quarti del campione che si è rivolto al medico di base. Tutti hanno indicato di aver affrontato eventi stressanti e/o problemi sociali di notevole/grave importanza, tuttavia solo la metà degli uomini e i due terzi delle donne ne hanno parlato con il medico di base durante la consultazione attuale. Il nostro proposito era dunque quello di individuare quali variabili socio-demografiche, psico-sociali e cliniche potessero spiegare questo comportamento. I risultati hanno evidenziato il ruolo fondamentale di un’attitudine positiva del paziente nell’affrontare tematiche psico-sociali con il medico, soprattutto nel caso degli uomini. Questa a sua volta è condizionata dall’età, dall’esperienza di aver parlato con il medico (sia in passato che nel presente per le donne, solo nel presente per gli uomini) e dalla gravità della malattia organica nei pazienti maschi. Oltre che da un’attitudine positiva, il fatto che il paziente abbia affrontato tematiche psico-sociali durante la consultazione è anche determinato dall’entità del disagio emotivo, quando presente, e nel caso di una paziente donna dall’averne già parlato in passato, nonché dal grado di conoscenza del medico (anni da cui è seguita). Nel caso delle donne la presenza di un evento stressante nuovo, costituisce molto spesso l’occasione per introdurre tematiche psico-sociali, soprattutto se sono compresenti problemi sociali. Tale comportamento diventa più frequente in presenza di una consolidata conoscenza del medico. E’ quindi plausibile pensare che le donne cerchino più che gli uomini un rapporto di confidenza con il medico di base, in cui al di là del disagio personale ha un ruolo determinante il rapporto di fiducia che nel tempo si instaura. In entrambe le regressioni elaborate nello studio emerge l’importanza delle precedenti esperienze di confidenza sia nel favorire la disponibilità a parlare di eventi e problemi durante la consultazione, sia un’attitudine positiva verso tale comportamento. Nel caso degli uomini, il fatto di aver parlato con il medico è determinato unicamente dall’attitudine positiva e viceversa. Essi non sembrano dunque disposti a confidarsi con il medico unicamente sulla base della conoscenza reciproca o dell’esperienza di consultazioni precedenti, tendendo a preferire soluzioni pragmatiche fondate principalmente sui sintomi organici presentati e solo quando questi sono particolarmente gravi si mostrano più disposti a trattare anche tematiche psico-sociali, come è emerso dalla regressione relativa all’attitudine a confidarsi. Un altro elemento che interviene a favore di una positiva attitudine a confidarsi è l’età. Confrontate con i giovani, le persone più anziane tendono a essere più disponibili a parlare con il medico dei loro problemi. Tale associazione tra attitudine ed età può essere legata alla presenza di un maggior numero di difficoltà psico-sociali negli anziani quali l’elevata probabilità di vivere soli, la presenza di patologie invalidanti, la minor fiducia nelle capacità personali di fronteggiare le difficoltà. Infine, nel 30% dei pazienti che pur ritenendo importante trattare tematiche psico-sociali non l’hanno fatto è presumibile pensare che sia stata determinante l’assenza di facilitazioni da parte del medico. A tale scopo, insegnare ai medici a elicitare e quindi affrontare con il paziente tematiche psico-sociali ha un ruolo determinante sia nel facilitare una corretta diagnosi, data l’associazione tra problemi sociali, eventi stressanti e disagio emotivo, sia nel migliorare la qualità del rapporto medico-paziente. Allo scopo di comprendere quali fossero i comportamenti verbali del medico più appropriati alla corretta identificazione della presenza/assenza di disagio emotivo, sono stati svolti due studi, riportati negli ultimi due capitoli. Il primo ha puntato l’attenzione sulle differenze nel comportamento verbale (cues) di pazienti con e senza disagio emotivo durante la consultazione, valutando l’influenza sia di variabili psico-sociali relative al paziente sia del comportamento verbale messo in atto dal medico durante l’intervista medica. Il secondo si è concentrato sulla sequenza d’interazione medico-paziente, valutando il contributo di comportamenti verbali del medico immediatamente precedenti o seguenti quelli del paziente. Nel primo dei due studi citati, sono state formulate tre ipotesi, in buona parte confermate. La prima ipotesi riguardava il numero di cues emessi da pazienti con e senza disagio emotivo. Si è dimostrato che coloro che sono positivi al test di screening (casi) forniscono in media un numero più elevato di cues rispetto ai rispettivi controlli, anche se tale comportamento è esibito in misura più consistente dai soggetti riconosciuti dal medico. La seconda ipotesi, a corollario della prima, riguardava il contenuto dei cues emessi dai casi riconosciuti e non dal medico. I primi forniscono un maggior numero di segnali a contenuto psico-sociale rispetto ai secondi, mentre i cues a contenuto medico-terapeutico e i riferimenti a eventi o allo stile di vita sono presenti nella stessa proporzione. Sembra quindi che i casi al GHQ-12, non riconosciuti dal medico (falsi negativi) abbiano tentato, durante la consultazione, di introdurre aspetti legati alla loro situazione psico-sociale, ma anziché riferirlo in termini psicologici, hanno riferito tematiche legate a eventi personali o allo stile di vita. Tali tematiche non sono state poi approfondite dai medici in modo appropriato (prevalendo nel migliore dei casi domande chiuse a contenuto psico-sociale) per cui l’eventuale disagio emotivo non è emerso all’interno della consultazione. Infine, la terza ipotesi suggeriva un’influenza del comportamento verbale del medico sul numero di cues emessi. Si è osservato che la presenza di domande chiuse aumenta la quantità di cues emessi, mentre l’uso di tecniche attive quali la verifica (Check), la richiesta di opinioni o la verifica della comprensione (Ask for Opinion, Ask for Understanding) e l’espressione di accordo (Agree), ne determina un decremento. Quindi, da un lato la presenza di disagio emotivo favorisce una maggiore emissione di cues, dall’altro atteggiamenti “centrati sul paziente” contribuiscono a diminuirne la proporzione. Tale fenomeno si spiega nell’opportunità che ha il paziente di parlare dei contenuti che lo preoccupano senza la necessità utilizzare un linguaggio connotato da numerosi segnali espliciti di disagio, anche se spesso sono questi che determinano il riconoscimento da parte del medico. L’analisi delle sequenze d’interazione ha consentito di evidenziare il ruolo determinante delle tecniche comunicative, sia in termini di facilitazioni (Back Channel Response) che di tecniche attive (Check, Ask for Opinion, Ask for Understanding e Agree). L’uso di tecniche comunicative si è dimostrato di notevole aiuto nella corretta attribuzione del disagio emotivo, sia quando presente che quando assente, e il loro insegnamento risulta dunque cruciale nella pratica clinica della medicina di base.
The thesis is based on a study conducted in two phases. During the first phase all the consultations of the patients who came for a new health problem were collected and recorded. During the second phase a case-control staudy was conducted. For the six participating GPs two groups of matched pairs of patients (N¯238) were created. The two groups comprised either patients considered by GPs as being without emotional distress or patients considered as emotionally distressed. Within each pair, one patient was a case (GHQ-12 score "2) and the other was the matched control (GHQ-12 score !3). The medical interviews with these patients were transcribed and classified according to the Verona Medical Interview Classification System (VR-MICS). The thesis permitted to conduct reability studies on the VR-MICS and to analyse the verbal behaviour of patients and doctors during clinical consultations showing that to improve the recognition of those emotionally distressed patients most likely to be missed, GPs should increase their attention to cues related to life style and life episodes..
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SBRANA, ALESSANDRO. « Faculty Development Centri di Professionalità Accademica (CPA) ». Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11393/251175.

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Résumé :
mondo universitario ha subito un’ondata di cambiamenti che si possono ricondurre alla ricerca dell’eccellenza, declinata secondo le due dimensioni della valutazione e della rendicontazione. Tre sono quelli più evidenti: il primo, il passaggio da una ricerca curiosity driven a una ricerca funzionale al raggiungimento di risultati valutabili in tempi brevi; dalla ricerca pura a quella applicata, da un approccio problem-making a uno problem-solving, da una conoscenza come processo a una conoscenza come prodotto, da un modello disinteressato a uno utilitaristico (Barnett, 1994); il secondo, riguardante l’offerta formativa: dal momento che si è modificato il modo di concepire l’apprendimento; i curricula tendono a essere definiti in termini di risultati di apprendimento predefiniti (Blackmore, 2016); il terzo, peculiare della struttura amministrativa: dal momento in cui sono divenute essenziali una serie di nuove sovrastrutture (programmazione, valutazione, controlli, comunicazione) rispetto al mandato originario della struttura universitaria si registra un aumento consistente del personale delle strutture amministrative. Questi cambiamenti devono fare i conti con la perdita di prestigio della vita accademica, il cambiamento del ruolo dello studente, che è diventato sempre più importante e l’aumento delle procedure burocratiche che rischiano di ingessare un sistema un tempo caratterizzato da un’elevata autonomia. Per consentire alle strutture universitarie di affrontare le sfide culturali a partire dagli anni Settanta nelle università nord-americane si sono strutturate iniziative finalizzate allo sviluppo e alla promozione di una migliore offerta formativa. Tali iniziative vengono definite con l’espressione Faculty Development (FD), una policy accademica finalizzata a creare le condizioni per un miglioramento delle competenze di tutti coloro che sono coinvolti nelle attività svolte in un ateneo. Nella realtà italiana emerge la mancanza di una vera politica di formazione al teaching per i ricercatori e i docenti universitari, per non parlare dell’esigenza di superare il pregiudizio, di gentiliana memoria, secondo il quale non è necessario apprendere a insegnare, ma sia sufficiente avere successo nella ricerca, cui si aggiunge nell’ultimo decennio una continua e affannata richiesta al personale accademico di azioni organizzative, valutative e documentali, che assorbono tempo e energie senza il supporto di adeguati apparati gestionali e senza predisporre indagini valutative capaci di misurare l’effettivo esito di tutte queste azioni. L’effetto finale è un evidente declino (Capano et al., 2017) dell’istituzione universitaria. Si può ipotizzare che la cultura del organizzazione propria del Faculty Development possa contribuire nel contesto italiano a fornire azioni a supporto del cambiamento: è quanto mai essenziale dotare gli atenei di risorse funzionali a riqualificare la vita accademica, fornendo al personale accademico gli strumenti necessari per performare una buona scholarship, realizzare un’efficace offerta formativa e attuare adeguate forme di terza missione, capaci di incrementare la vita culturale della comunità. Il presente studio si propone come un’analisi sistematica della letteratura sul tema del Faculty Development, che persegue l’obiettivo di sviluppare una disamina estesa dell’oggetto, in modo che l’esplicitazione della datità raccolta fornisca un’analisi del fenomeno che possa essere di supporto a un’avveduta educational policy nel campo della formazione universitaria. Nel contesto italiano ad oggi non esiste una cultura di attenzione ai contesti di apprendimento universitario. L’offerta formativa è concepita come offerta di pacchetti curriculari e la predisposizione delle condizioni di apprendimento per il conseguimento del titolo universitario si risolve nella organizzazione di una serie di lezioni, frontali o laboratoriali, senza che tutto questo sia innervato da una specifica intenzionalità didattica. Questa immagine poco confortante non intende affatto trascurare tutti i casi di buone prassi sviluppati nei vari corsi di studio, ma il buono che emerge è demandato all’impegno del singolo, senza che l’istituzione universitaria si interroghi sul come predisporre le condizioni per il potenziamento della qualità dei processi di apprendimento. A fronte di questa situazione la necessità di migliorare la qualità dell’insegnamento non è mai stata così stringente e sfidante come lo è oggi, in un clima di continuo cambiamento della formazione superiore. Nuove tendenze definiscono la formazione superiore, attraversando confini istituzionali e nazionali. Essi influiscono sul modo in cui un insegnamento efficace viene concettualizzato, condotto e supportato, valutato, valorizzato e riconosciuto. È necessario affrontare temi quali l’inadeguata preparazione per il lavoro accademico nei corsi di studio magistrali, l’incapacità dei docenti a trasferire competenze, la crescente complessità degli ambienti accademici, le attese e le responsabilità istituzionali, la necessità di preparare meglio gli studenti con bisogni diversi, e la necessità di stare al passo con i balzi della conoscenza e i cambiamenti nelle professioni. Migliorare la qualità della didattica è inoltre essenziale perché consente di ridurre il numero degli abbandoni. È venuto il momento di transitare da un’offerta formativa di tipo episodico a una prospettiva di esperienze di apprendimento in continuità nel tempo, per accompagnare la formazione dei docenti in un modo strutturalmente organizzato (Webster-Wright, 2009). Sulla base della rilevazione fenomenica, sono emerse le seguenti domande di ricerca: che cosa è il FD? Cosa consente di fare? Come si mette in pratica? Quali sono le potenzialità? Quali sono i limiti? Il FD ha il compito di incentivare i docenti ad interessarsi ai processi di insegnamento e apprendimento e a procurare un ambiente sicuro e positivo nel quale fare ricerca, sperimentare, valutare e adottare nuovi metodi (Lancaster et al. 2014). È finalizzato a promuovere cambiamento sia a livello individuale sia a livello organizzativo. Occupa un posto centrale il miglioramento delle competenze di teaching (Steinert, 2014). Due importanti obiettivi sono rappresentati dalla promozione delle capacità di leadership e di gestione dei contesti (Steiner et al., 2012). Una volta definite le metodologie del teaching, che possono essere oggetto di apprendimento da parte del personale accademico, è risultato necessario identificare le principali modalità formative che un centro di Faculty Development (FDc) dovrebbe mettere in atto per favorire l’apprendimento delle competenze didattiche. Per comprenderne la funzione reale è stato utile prendere in esame le attività proposte dai più importanti centri del panorama accademico nordamericano, analizzandone la struttura organizzativa, le risorse disponibili ed identificandone le due figure principali: il responsabile dell’organizzazione dei processi formativi e il responsabile della struttura. L’analisi dei casi ha consentito di evidenziare i molteplici servizi che possono essere forniti da un FDc. Questa analisi di realtà è risultata molto utile poiché ha offerto indicazioni pragmatiche ai fini di una politica accademica innovativa anche in ambito italiano. Alla luce degli argomenti sviluppati è stato possibile ipotizzare anche per gli atenei italiani l’istituzione di “Centri per la professionalità accademica”, indicando possibili iniziative da essi realizzabili, che potrebbero trovare spazio nella realtà del nostro paese.
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Livres sur le sujet "Formazione alla comunicazione"

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Attolini, Luisa Salvatrice. Customer care in organizzazioni di servizio e di cura : Un percorso di formazione alla comunicazione e alla tutela dei diritti. Milano, Italy : F. Angeli, 2003.

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