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Thèses sur le sujet « EMATOPOIETICO »

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1

JACOB, AURELIEN MARC FLORENT. « IMPROVING TARGETED GENE EDITING IN HEMATOPOIETIC STEM CELLS FOR CLINICAL TRANSLATION ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2021. http://hdl.handle.net/10281/304800.

Texte intégral
Résumé :
Negli ultimi anni, l’editing genetico nelle cellule staminali/progenitrici ematopoietiche umane (HSPC) per il trattamento di malattie genetiche del sangue è migliorato drasticamente trasformando inserzioni genetiche casuali in precise e mirate modificazioni del genoma. La modifica mirata dei geni mutati ereditati consente la correzione in situ e la ricostituzione funzionale con il mantenimento del controllo endogeno dell'espressione. Recentemente abbiamo dimostrato che sia le rotture del DNA a doppio filamento indotte dall’editing che il genoma stesso dell’Adeno-Associated Virus 6 (AAV) innescano una risposta dipendente da p53 nell'HSPC che risulta in un ritardo della proliferazione con conseguente diminuzione della ricostituzione ematopoietica dopo il trapianto delle cellule editate in animali immuno-compromessi. Per cui, abbiamo quindi dimostrato come la soppressione di questa risposta mediante l’espressione transitoria della forma negativa dominante di p53 preservi la ricostituzione del lineage ematopoietico. Tuttavia, la biologia sottostante è rimasta sconosciuta, così come l'impatto dell'editing genetico sulle dinamiche clonali dell'HSPC modificate con riparo diretto per omologia (Homology Directed Repair, HDR) al momento del trapianto. Inoltre, lo stato quiescente delle HSC primitive costituisce un limite per l’editing genetico mediato da HDR, riducendo le sue possibili applicazioni cliniche. In questo lavoro, abbiamo prima superato tale limite esprimendo transitoriamente la proteina dell'adenovirus 5 E4orf6/7, che regola il principale controllore del ciclo cellulare, E2F, insieme alla nucleasi. Mediante un'analisi dell'espressione genica globale e mirata, abbiamo dimostrato come E4orf6/7 spinga le cellule in fase S/G2 con concomitante sovra-regolazione di tutti i principali componenti del macchinario HDR, aumentando così l'efficienza dell'inserimento del transgene in cellule precedentemente quiescenti. Nel contesto dello xenotrapianto, l'espressione combinata di E4orf6/7 e l'inibizione di p53 hanno migliorato l'efficienza del HDR (>50%) all'interno dell'innesto umano totale, superando i livelli riportati fino ad ora in letteratura. Tale risultato è stato riprodotto in diversi donatori da diverse fonti di HSPC e sono stati modificati più loci genomici, dimostrando la maggior versatilità di questa piattaforma se paragonata ad altre strategie di editing. In parallelo, abbiamo ideato una nuova tecnologia (BAR-seq) che consente il monitoraggio clonale di singole HSC modificate con HDR. Questo approccio prevede l’introduzione di un codice a barre ereditabile univoco (BAR) nel templato AAV6 necessario al HDR. Il sequenziamento ad alta copertura di tali sequenze negli xenotrapianti ha mostrato come l’editing genetico risulti in un attecchimento di pochi cloni dominanti. Mentre l'inibizione transitoria di p53 durante l’editing ha consentito un aumento sostanziale della composizione clonale dell'innesto senza alterare la capacità ripopolante delle HSC. Inoltre, questi dati suggeriscono come la risposta mediata da p53 sia responsabile di un'ematopoiesi oligoclonale. È importante sottolineare che il BAR-seq ha fornito la prima prova diretta che le HSC umane modificate con HDR mantengono un potenziale multilineage e subiscono più cicli di divisioni simmetriche e asimmetriche nei trapianti primari e secondari. In conclusione, auspichiamo che i miglioramenti messi a punto nel nostro protocollo di editing possano ampliare le possibili applicazioni cliniche dell’editing genetico.
The scope of genome engineering in hematopoietic stem/progenitor cells (HSPCs) has broadened from random to precise genome insertions for treating genetic diseases of the blood lineages. Targeted editing of inherited mutant genes allows in situ correction and functional reconstitution with preserved expression control. We recently showed that both the induced double-strand DNA breaks and the AAV6 genome trigger a p53-dependent DNA damage response in HSPC delaying proliferation and decreasing hematopoietic reconstitution after xenotransplantation. Suppression of this response by transient expression of a dominant negative p53 released cell-cycle block and rescued hematopoietic reconstitution. Yet, the underlying biology remained unknown as well as the impact of gene editing on clonal dynamics of HDR-edited HSPC upon transplantation. Moreover, it has long been contended that the quiescence of primitive HSC constrains HDR-mediated gene editing, thus limiting its perspective clinical applications in several diseases. Here, we first overcame such constraints by transiently expressing the adenovirus 5 protein E4orf6/7, which operates the major cell cycle controller E2F, together with the nuclease. By global and targeted gene expression analysis we showed engagement of targeted cells in S/G2 phases with concomitant upregulation of all major components of the HDR machinery, thus increasing the efficiency of targeted transgene insertion. Combined E4orf6/7 expression and p53 inhibition enhanced >50% HDR efficiency within human graft surpassing the levels reported until now in the literature. Such outcome was reproducible across several HSPC donors and sources, genomic loci and conceivably portable to most types of editing platforms. In parallel, we devised a novel technology (BAR-seq) which enables clonal tracking of individual HDR-edited HSC by introducing a unique heritable barcode in the AAV6 template. Deep sequencing of integrated BARs in human hematochimeric mice showed that only few (5-10) dominant clones of edited HSC robustly contributed to the hematopoietic graft long-term after transplant. Transient p53 inhibition during editing enabled substantial increase in polyclonal graft composition without altering individual HSC output, thus explaining the improved engraftment and highlighting the p53-mediated response as culprit of an otherwise oligoclonal hematopoiesis. Importantly, BAR-seq provided the first direct evidence that human HDR-edited HSC maintain multilineage potential and undergo multiple rounds of symmetric and asymmetric divisions in primary and secondary xenogeneic hosts. Altogether, we expect that the substantial gains obtained in HDR efficiency and polyclonal repopulation by our improved editing protocol should broaden applicability of HSC gene editing and pave its way to clinical translation.
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2

Bregoli, Lisa <1974&gt. « Citotossicità di sette nanoparticelle in progenitori ematopoietici isolati da midollo osseo umano ». Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2010. http://amsdottorato.unibo.it/2254/1/BREGOLI_LISA_TESI.pdf.

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Bregoli, Lisa <1974&gt. « Citotossicità di sette nanoparticelle in progenitori ematopoietici isolati da midollo osseo umano ». Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2010. http://amsdottorato.unibo.it/2254/.

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Morini, Silvia <1986&gt. « Studio dell'interazione di HIV-1 sulle cellule progenitrici ematopoietiche CD34+ (HPCs) ». Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2014. http://amsdottorato.unibo.it/6212/1/Morini_Silvia_tesi.pdf.

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Résumé :
Oltre alla progressiva perdita dei linfociti T CD4, i pazienti HIV-infetti presentano diverse citopenie periferiche. In particolare l’anemia si riscontra nel 10% dei pazienti asintomatici e nel 92% di quelli con AIDS e la terapia cART non è in grado di risolvere tale problematica. I meccanismi patogenetici alla base di questa citopenia si ritiene che possano riguardare la deregolazione citochinica, il danno alle HPCs, alle cellule in differenziamento e alle cellule stromali. Le cellule progenitrici ematopoietiche CD34+, dopo essere state separate da sangue cordonale e differenziate verso la linea eritroide, sono state trattate con HIV-1 attivo, inattivato al calore e gp120. In prima istanza è stata messa in luce la mancata suscettibilità all’infezione e l’aumento dell’ apoptosi dovuto al legame gp120-CD4/CXCR4 e mediato dal TGF-β1 nelle cellule progenitrici indifferenziate. L’aspetto innovativo di questo studio però si evidenzia esaminando l’effetto di gp120 durante il differenziamento verso la filiera eritrocitaria. Sono stati utilizzati due protocolli sperimentali: nel primo le cellule sono inizialmente trattate per 24 ore con gp120 (o con HIV-1 inattivato al calore) e poi indotte in differenziamento, nel secondo vengono prima differenziate e poi trattate con gp120. Il “priming” negativo determina una apoptosi gp120-indotta molto marcata già dopo 48 ore dal trattamento ed una riduzione del differenziamento. Se tali cellule vengono invece prima differenziate per 24 ore e poi trattate con gp120, nei primi 5 giorni dal trattamento, è presente un aumento di proliferazione e differenziamento, a cui segue un brusco arresto che culmina con una apoptosi molto marcata (anch’essa dipendente dal legame gp120-CD4 e CXCR4 e TGF-β1 dipendente) e con una drastica riduzione del differenziamento. L’insieme dei risultati ha permesso di definire in modo consistente la complessità della genesi dell’anemia in questi pazienti e di poter suggerire nuovi target terapeutici in questi soggetti, già sottoposti a cART.
Beside the CD4 T cells progressive loss, HIV-infected subjects exhibit some peripheral cytopenias. In particular, anemia is found in 10% of asymptomatic and in 92% of AIDS patients and cART therapy is not able to solve this problem. The pathogenic mechanisms underlying this cytopenia are related to cytokine dysregulation, damage of HPCs, impairment of stromal cells and inhibition of the differentiation of HPCs. The CD34+ hematopoietic progenitor cells were separated from cord blood, differentiated towards the erythroid lineage and treated with active HIV-1, heat-inactivated virus and gp120. First of all we demonstrate that HPCs are not susceptible to infection and the gp120-CD4/CXCR4 binding cause a TGF-β1 mediated apoptosis. The innovative aspect of this study, however, is evident examining the effect of gp120 during differentiation towards the erythrocyte. Two experimental protocols are used: in the first cells are initially treated for 24 hours with gp120 ( HIV-1 or with heat-inactivated ) and then induced into differentiation, in the second cells are firstly differentiated and then treated with gp120. The negative "priming" induces a gp120-mediated apoptosis 48 hours after treatment and a differentiation reduction. If these cells are instead primarily differentiated for 24 hours and then treated with gp120, in the first 5 days after treatment, there is an increase of proliferation and differentiation, which is followed by a very marked apoptosis (also TGF-β1 mediated and due to gp120-CD4/CXCR4 binding) and a drastic reduction of differentiation. These results allowed us to define the complexity of the genesis of anemia in these patients and suggest new therapeutic targets for these subjects already receiving cART .
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Morini, Silvia <1986&gt. « Studio dell'interazione di HIV-1 sulle cellule progenitrici ematopoietiche CD34+ (HPCs) ». Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2014. http://amsdottorato.unibo.it/6212/.

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Résumé :
Oltre alla progressiva perdita dei linfociti T CD4, i pazienti HIV-infetti presentano diverse citopenie periferiche. In particolare l’anemia si riscontra nel 10% dei pazienti asintomatici e nel 92% di quelli con AIDS e la terapia cART non è in grado di risolvere tale problematica. I meccanismi patogenetici alla base di questa citopenia si ritiene che possano riguardare la deregolazione citochinica, il danno alle HPCs, alle cellule in differenziamento e alle cellule stromali. Le cellule progenitrici ematopoietiche CD34+, dopo essere state separate da sangue cordonale e differenziate verso la linea eritroide, sono state trattate con HIV-1 attivo, inattivato al calore e gp120. In prima istanza è stata messa in luce la mancata suscettibilità all’infezione e l’aumento dell’ apoptosi dovuto al legame gp120-CD4/CXCR4 e mediato dal TGF-β1 nelle cellule progenitrici indifferenziate. L’aspetto innovativo di questo studio però si evidenzia esaminando l’effetto di gp120 durante il differenziamento verso la filiera eritrocitaria. Sono stati utilizzati due protocolli sperimentali: nel primo le cellule sono inizialmente trattate per 24 ore con gp120 (o con HIV-1 inattivato al calore) e poi indotte in differenziamento, nel secondo vengono prima differenziate e poi trattate con gp120. Il “priming” negativo determina una apoptosi gp120-indotta molto marcata già dopo 48 ore dal trattamento ed una riduzione del differenziamento. Se tali cellule vengono invece prima differenziate per 24 ore e poi trattate con gp120, nei primi 5 giorni dal trattamento, è presente un aumento di proliferazione e differenziamento, a cui segue un brusco arresto che culmina con una apoptosi molto marcata (anch’essa dipendente dal legame gp120-CD4 e CXCR4 e TGF-β1 dipendente) e con una drastica riduzione del differenziamento. L’insieme dei risultati ha permesso di definire in modo consistente la complessità della genesi dell’anemia in questi pazienti e di poter suggerire nuovi target terapeutici in questi soggetti, già sottoposti a cART.
Beside the CD4 T cells progressive loss, HIV-infected subjects exhibit some peripheral cytopenias. In particular, anemia is found in 10% of asymptomatic and in 92% of AIDS patients and cART therapy is not able to solve this problem. The pathogenic mechanisms underlying this cytopenia are related to cytokine dysregulation, damage of HPCs, impairment of stromal cells and inhibition of the differentiation of HPCs. The CD34+ hematopoietic progenitor cells were separated from cord blood, differentiated towards the erythroid lineage and treated with active HIV-1, heat-inactivated virus and gp120. First of all we demonstrate that HPCs are not susceptible to infection and the gp120-CD4/CXCR4 binding cause a TGF-β1 mediated apoptosis. The innovative aspect of this study, however, is evident examining the effect of gp120 during differentiation towards the erythrocyte. Two experimental protocols are used: in the first cells are initially treated for 24 hours with gp120 ( HIV-1 or with heat-inactivated ) and then induced into differentiation, in the second cells are firstly differentiated and then treated with gp120. The negative "priming" induces a gp120-mediated apoptosis 48 hours after treatment and a differentiation reduction. If these cells are instead primarily differentiated for 24 hours and then treated with gp120, in the first 5 days after treatment, there is an increase of proliferation and differentiation, which is followed by a very marked apoptosis (also TGF-β1 mediated and due to gp120-CD4/CXCR4 binding) and a drastic reduction of differentiation. These results allowed us to define the complexity of the genesis of anemia in these patients and suggest new therapeutic targets for these subjects already receiving cART .
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LUCHETTI, LUISELLA. « Studio e caratterizzazione delle cellule staminali ematopoietiche CD34+ isolate da sangue di cordone ombelicale ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2006. http://hdl.handle.net/2108/248.

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Résumé :
In questi ultimi anni è stata prospettata la potenzialità trapiantologica e validata la procedura di espansione ex-vivo delle cellule staminali ematopoietiche isolate da sangue di cordone ombelicale (SCO). Diverse esperienze, in particolare in ambito pediatrico, hanno confermato la fattibilità clinica del trapianto di sangue placentare, da donatore correlato e non, determinando un crescente interesse per questa fonte emopoietica alternativa. I limiti maggiori sono costituiti dal numero insufficiente di cellule staminali e/o progenitori emopoietici presenti nelle unità placentari che risultano, inadeguate, a trapiantare pazienti adulti, essendo in genere sufficienti per il trapianto in un paziente pediatrico. Recentemente è stato dimostrato che IL-16, il ligando naturale del recettore CD4, capace di modulare la migrazione e l’attività delle cellule CD4+, è capace di indurre la proliferazione e la differenzazione delle cellule CD34+. Sebbene le cellule CD34+ presentino sulla loro superfice Il CD4, il ruolo funzionale dell’IL-16 non è ancora stato ben definito. Nel presente studio, abbiamo investigato il ruolo dell’IL-16 nella espansione ex vivo delle cellule staminali e/o progenitrici nelle SCO. A questo scopo, cellule CD34+ isolate da SCO sono state coltivate in vitro in presenza di: stem cell factor (SCF), trombopoietina (TPO), e flt-3 ligand (FL) utilizzati come cocktail di base in presenza o in assenza di IL-16. Dopo 7 e 14 giorni di coltura sono state valutate il numero totale delle cellule nucleate, l’attività clonogenica (unità formanti colonie [CFC]), sono state allestite colture a lungo termine ( Dexter modificato [LTC]) in cui sono state valutate la potenzialità differenziativa (cellule mieloidi e linfoidi B ed NK). Inoltre è stato valutato il ruolo dell’IL-16 nel ciclo cellulare e nell’apoptosi. I progenitori CD34+ espansi in presenza di IL-16 presentano una aumentata espressione dell’inibitore del ciclo cellulare p21cip/waf1, e della proteina antiapoptotica BCL-2. Questi risultati indicano che l’IL-16 non solo incrementa l’espansione delle cellule staminali e/o progenitori, ma conserva anche il compartimento delle cellule staminali. Questi dati costituiscono importanti informazioni sia da un punto di vista biologico che per future applicazioni cliniche.
Ex-vivo expansion of cord blood, a source of hematopoietic stem cells, has been suggested as a strategy for both transplantation and gene therapy application. Umbelical cord blood (UCB) from related and unrelated donors has emerged as novel source of stem cell for patients requiring allogenic transplantation. Although UCB contains hematopoietic progenitor cells at a higher frequency and with a higher proliferative capacity than adult-derived bone marrow, the low number of total hematopoietic stem cell contained in one UCB graft limits the potential for rapid hematologiacl recovery in adult patients. Allogeneic transplantation with umbelical cord blood is limited in adult recipients by a low CD34+ cell dose. The natural ligand for CD4 receptor is IL-16, characterized as an immunomodulatory cytokine that contributes to the regulatory process of CD4+ cell recruitment and activation at site of inflammation. Although it is known that CD34+ hematopoietic progenitors express CD4 on their surface, the functional role of IL-16 on these cells is still poorly defined. The objective of this study was to investigate the role of interleukin IL-16 for the ex-vivo expansion of cord blood cells. The results suggest a new role of IL-16 in the induction of the CD34+ hematopoietic cells from cord blood to ex-vivo expansion. After 7-14 days of ex-vivo expansion by adding IL-16 to the basal cocktail (a combination of early acting cytokines together), the total cells population, the CFC, the LTC increase more as compare to the basal cocktail alone.Importantly, early CD34+ progenitors from cultures expandend with IL-16 demostrated higher cytoplasmic expression of the cell-cycle inhibitor, p21cip1/waf1, and the antiapoptotic protein BCL-2, compared with UCB expanded in cytokines alone, suggesting improved maintenance of stem cell function in the presence of IL-16. Taken together, these results strongly suggest that the addition of IL-16 provides improved conditions for expansion of early UCB CD34+ and may serve to inhibit their differentation and rates of apoptosis during short-term in vitro expression.
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VALERI, ERIKA. « Studio dei meccanismi di immunità innata che ostacolano la manipolazione genetica delle cellule ematopoietiche staminali ». Doctoral thesis, Università Vita-Salute San Raffaele, 2023. https://hdl.handle.net/20.500.11768/137023.

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Résumé :
Il lavoro descritto in questa tesi si focalizza sullo studio delle interazioni tra i vettori virali e le cellule ematopoietiche staminali umane nel contesto della terapia genica, studiando sia i meccanismi di immunità innata attraverso cui i vettori virali vengono riconosciuti dalla cellula ospite, sia il ruolo di fattori di restrizione antivirali che ostacolano la trasduzione nelle cellule ematopoietiche staminali.
The work described in this thesis focuses on the study of vector-host interactions in the context of human hematopoietic stem cell gene therapy. We study the innate immune sensing mechanisms of viral vectors and the role of host antiviral restriction factors in the poor permissivity of hematopoietic stem cells to viral transduction.
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8

Sinatora, F. « Implicazioni psicoaffettive del trapianto di cellule staminali ematopoietiche in età pediatrica. Uno studio quantitativo-qualitativo ». Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2017. http://hdl.handle.net/11577/3422896.

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Résumé :
Background. Several studies have shown that patients undergoing HSCT in pediatric age may manifest issues on different areas, psychological, social and medical (Khera et al., 2012; Syrjala et al., 2012). Few studies have focused on simultaneous analysis of quantitative data with qualitative data (Bingen et al., 2012). The aim of this study is to analyze the perception of illness experience in patients, survivor, and their families. Another aim of the study is to correlate qualitative with quantitative data. Method. Three different populations were asked to answer an open-ended single question about subjective experience of the disease by writing a brief composition. For the first group (Group A), composed by pediatric patients, their parents and siblings, the brief composition was collected before HSCT and one year after the transplantation. In the same way, psychological problems, of the patients and their siblings, were detected with the Child Behavior Checklist 6-18 (CBCL) (Achenbach and Rescorla, 2001) and the HRQoL of parents with the 36-Item Short Form Health Survey (SF-36). The second group (Group B) was composed by survivors, their parents and siblings at least 5 years after HSCT. CBCL was used for the identification of psychological problems in survivors. The third group (Group B-over) included adult subjects undergoing HSCT in pediatric age, at least 5 years after transplantation; the HRQoL was evaluated, for this group, using the SF-36. Socio-demographic and medical data were also collected. For the qualitative analysis of brief composition was used the software T-LAB (Ver. 8.1.4; Lancia 2012), which is capable of connecting evaluation of quantitative data, collected with the use of psychometric questionnaires, with qualitative data, obtained through the brief compositions. Results For the Group A 47 compositions were obtained in T0 and 27 in T1. Abnormal scores in the investigated scales of the CBCL (internalizing problems, externalizing problems) and the SF-36 (Mental Health) recurrently shows some semantic groups. In the waiting for HSCT are frequent lemmas as OTHER_CHILDREN_SICK, OTHER_PARENTS, UNCERTAINTY, DESPAIR, MD_INSTRUMENTS, HSCT and WITH_TOGETHER. Instead, one year after transplant, the lemmas, that are easily used, were ANXIETY_ANGUISH, ACCUSTOM, GOD, LUCK, TOO_MUCH and DEATH. The absence of abnormal scores, in the investigated scales, are related to different semantic themes such as WAIT, DO_NOT_SEE, WHY, SUCCEED, REACT, FACE, UNITED. A year away instead there are lemmas as HELP, FORCE, MOTHER, FATHER, MET_WAR, SERENITY. For Group B 98 compositions were obtained. Abnormal scores of the CBCL scales investigated (Internalizing Problems, Externalizing Problems, Total Problems) show a recurrence with semantic themes such as SIBLINGS, SICK_CHILD, HEALTHY_CHILD, MOTHER, BATTLE. High Scores instead were more correlated with themes such as DESCRIBE, THINKING, MENTAL and DEATH. For the Group B-over 18 brief composition were obtained. We can detect the differences between the genders as males focus more on lemmas such as BODY, CANCER_TREATMENT, OPERATION_MD, MEDICAL_TREATMENT, TEST_MD, while females focuses on semantic themes such as MOTHER, PEOPLE, DONOR, SIBLINGS, FATHER, PSYCHOLOGISTS, MD. Abnormal scores of SF-36 questionnaire (General Health scale) are correlated with the group of patients undergoing autologous HSCT and lemmas such as BODY, CANCER_TREATMENT, OPERATION_MD, TOO_MUCH. High Scores instead are related to keywords like MOTHER, FATHER, PEOPLE, DONOR, SUPPORT and with an allogeneic transplant un-related donor. Conclusion. The first group shows significant differences in the narrations between the various members of the family group even when comparing the scales of the questionnaires used. These differences, present during both stages of the research, indicate that the unit or division of the family, as well as the attitude of acceptance of the disease and how the disease is faced, have an important impact on the mental health status of family members. The family separation, as well as all expressions referring to the disease as a fight, battle and war, appear as a fundamental semantic core in the second group for abnormal scores of the scales investigated. The third group shows significant differences respect to the gender and the type of HSCT. In general we can assume that the care approach should have a particular focus on how the disease acts on the family relationship of all its components.
Premesse. Numerosi studi hanno mostrato come i pazienti sottoposti a HSCT in età pediatrica possano manifestare alcune problematicità su diversi ambiti, come quello psicologico e sociale oltre che su quello medico (Khera et al., 2012; Syrjala et al., 2012). Pochi studi si sono concentrati sull’analisi simultanea di dati quantitativi con dati qualitativi (Bingen et al., 2012). Lo scopo di questo studio è quello di analizzare la percezione dell’esperienza di malattia sia nei pazienti, o survivor, che nei loro familiari. Altro scopo è quello di correlare dati di natura qualitativa con dati di natura quantitativa. Metodo. Abbiamo chiesto a tre popolazioni differenti di soggetti di rispondere ad una singola domanda aperta con una breve composizione scritta rispetto alla loro esperienza di malattia. Per il primo gruppo (Gruppo A), che ha compreso pazienti pediatrici, genitori e fratelli tale scritto è stato raccolto prima del trapianto e ad un anno da questo. In maniera medesima sono state indagate eventuali problematiche psicologiche nei pazienti e nei loro fratelli mediante il questionario Child Behavior Checklist 6-18 (CBCL) (Achenbach and Rescorla, 2001) e la QdV per i genitori attraverso il 36-Item Short Form Health Survey (SF-36). Il secondo gruppo (Gruppo B) invece ha compreso ex-pazienti pediatrici e i loro familiari testati a cinque anni dal trapianto. È stato utilizzato il questionario CBCL per l’individuazione di problematiche psicologiche negli ex-pazienti. Il terzo gruppo (Gruppo B-over) ha compreso soggetti adulti sottoposti a HSCT in età pediatrica, ad almeno 5 anni distanza dal trapianto, per questo gruppo è stata valutata anche la QdV mediante il questionario SF-36. Dati socio-demografici e sanitari sono stati raccolti. Per le analisi qualitativa dei testi è stato utilizzato il software T-LAB (Ver. 8.1.4; Lancia, 2012), che permette anche la valutazione congiunta di dati quantitativi raccolti mediante i test psicometrici e i dati qualitativi ottenuti attraverso le composizioni scritte. Risultati. Per il gruppo A sono stati raccolti 47 testi in T0 e 27 testi in T1. Punteggi anomali nelle scale indagate della CBCL (Problemi Internalizzanti, Problemi Esternalizzanti) e del SF-36 (Salute mentale) indicano in maniera ricorrente alcuni nuclei semantici. Nell’attesa del trapianto sono frequenti lemmi come ALTRI_BAM_MALATI, ALTRI_GENITORI, INCERTEZZA, DISPERAZIONE, MD_OGGETTI, HSCT E CON_INSIEME. Ad un anno di distanza invece i lemmi che facilmente ricorrono sono ANSIA_ANGOSCIA, ABITUARE, DIO, FORTUNA, MOLTO_TANTO e MORTE L’assenza di punteggi anomali nelle scale indagate invece si correlano a temi semantici differenti come ATTESA, NON_VEDERE, PERCHE_MOT, RIUSCIRE, REAGIRE, AFFRONTARE, UNITI. Ad un anno di distanza invece vi sono lemmi come AIUTO_AIUTARE, FORZA, MAMMA, PAPA, MET_GUERRA, SERENITA. Per il gruppo B sono stati ottenuti 98 scritti. I punteggi anomali delle scale indagate mediante la CBCL (Problemi Internalizzanti, Problemi Esternalizzanti, Problemi Totali) indicano una ricorrenza con temi semantici come FRATELLO_SORELLA, FILGIO_A, FIGLIO_SAN, MAMMA, BATTAGLIA. Punteggi migliori invece correlano maggiormente con temi come DESCRIVERE, PENSARE, PSICHICO_MENTALE, MORTE. Per il gruppo B-over invece sono stati ottenuti 18 brevi scritti. Possiamo rilevare delle differenze tra i generi per cui i maschi si concentrano maggiormente su lemmi come CORPO, CHEMIO_RADIO, OPERAZIONE_MD, CURE_MEDICHE, ESAMI_MD; mentre le femmine su temi semantici come MAMMA, PERSONE, DONATORE, FRATELLO_SORELLA, PADRE, PSICOLOGI, MD. I punteggi anomali indagati mediante il questionario SF-36 (Salute Generale) sono correlati con il gruppo di soggetti sottoposti ad autotrapianto e lemmi come CORPO, CHEMIO_RADIO, OPERAZIONE_MD, MOLTO_TROPPO. Punteggi migliori invece sono legati a parole chiave come MADRE, PADRE, PERSONE, DONATORE, SOSTENERE e con il trapianto allogenico da banca. Conclusioni. Per il primo gruppo emergono differenze significative rispetto alle narrazioni tra i vari membri del gruppo famiglia anche rispetto alle scale dei questionari utilizzati. Tali differenze oltre ad essere presenti rispetto ai due tempi della ricerca indicano come l’unità o la segregazione familiare abbia un’importante impatto sul proprio stato di salute mentale e dei propri figli, così come l’atteggiamento di accettazione e di come viene affrontata la malattia. La segregazione familiare compare come nucleo semantico fondamentale anche nel secondo gruppo per i punteggi anomali rispetto alle scale da noi indagate, come anche tutte le espressioni riferite alla malattia come lotta, battaglia e guerra. Nel terzo gruppo emergono differenze significative rispetto al genere come al tipo di trapianto effettuato. In generale possiamo ritenere che l’approccio di cura debba avere una particolare attenzione su come la malattia agisca sul vincolo familiare di tutti i suoi componenti.
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Tagliavini, Francesca <1984&gt. « Studio di espressione e funzione della PLCβ1 nucleare in modelli murini ed umani di cellule ematopoietiche mieloidi e linfoidi ». Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2012. http://amsdottorato.unibo.it/4261/1/Tagliavini__Francesca_tesi.pdf.

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Résumé :
The aims of this work were to investigate the role of nuclear Phospholipase C beta 1 (PI-PLCβ1) in human and mouse cell lines and to identify new binding partners of nuclear PI-PLCβ1 to further understand the functional network in which the enzyme acts. The intracellular distribution of PI-PLCβ1 was further investigated in human leukaemia cell lines (NB4, HL60, THP1, CEM, Jurkat, K562). With the exception of HL60, a high endogenous level of PI-PLCβ1 was detected in purified nuclei in each of the cell lines. We found that also in Ba/F3 pro-B cells overexpressing PI-PLCβ1b the protein localize within the nucleus. Although our data demonstrated that PI-PLCβ1b was not involved in cell proliferation and IGF-1 response as shown in other cell lines (FELC and Swiss 3T3), there was an effect on apoptosis. Activation of early apoptotic markers caspase-3 and PARP was delayed in PI-PLCβ1b overexpressing Ba/F3 cells treated with 5 gr/ml mitomycin C for 24h. We performed an antibody-specific immunoprecipitation on nuclear lysates from FELC-PLCβ1b cells. Mass spectrometry analysis (nano-ESI-Q-TOF) of co-immunoprecipitated proteins allowed for identification of 92 potential nuclear PI-PLCβ1b interactors. Among these, several already documented PI-PLCβ1b interacting partners (Srp20, LaminB, EF1α2) were identified, further validating our data. All the identified proteins were nuclear, mostly localized within the nuclear speckles. This evidence is particularly relevant as PI-PLCβ1 is known to localize in the same domains. Many of the identified proteins are involved in cell cycle, proliferation and transcriptional control. In particular, many of the proteins are components of the spliceosome multi-complex, strengthening the idea that PI-PLCβ1b is involved in mRNA processing and maturation. Future work will aim to better characterize the regulatory role of PI-PLCβ1b in mRNA splicing.
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Tagliavini, Francesca <1984&gt. « Studio di espressione e funzione della PLCβ1 nucleare in modelli murini ed umani di cellule ematopoietiche mieloidi e linfoidi ». Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2012. http://amsdottorato.unibo.it/4261/.

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The aims of this work were to investigate the role of nuclear Phospholipase C beta 1 (PI-PLCβ1) in human and mouse cell lines and to identify new binding partners of nuclear PI-PLCβ1 to further understand the functional network in which the enzyme acts. The intracellular distribution of PI-PLCβ1 was further investigated in human leukaemia cell lines (NB4, HL60, THP1, CEM, Jurkat, K562). With the exception of HL60, a high endogenous level of PI-PLCβ1 was detected in purified nuclei in each of the cell lines. We found that also in Ba/F3 pro-B cells overexpressing PI-PLCβ1b the protein localize within the nucleus. Although our data demonstrated that PI-PLCβ1b was not involved in cell proliferation and IGF-1 response as shown in other cell lines (FELC and Swiss 3T3), there was an effect on apoptosis. Activation of early apoptotic markers caspase-3 and PARP was delayed in PI-PLCβ1b overexpressing Ba/F3 cells treated with 5 gr/ml mitomycin C for 24h. We performed an antibody-specific immunoprecipitation on nuclear lysates from FELC-PLCβ1b cells. Mass spectrometry analysis (nano-ESI-Q-TOF) of co-immunoprecipitated proteins allowed for identification of 92 potential nuclear PI-PLCβ1b interactors. Among these, several already documented PI-PLCβ1b interacting partners (Srp20, LaminB, EF1α2) were identified, further validating our data. All the identified proteins were nuclear, mostly localized within the nuclear speckles. This evidence is particularly relevant as PI-PLCβ1 is known to localize in the same domains. Many of the identified proteins are involved in cell cycle, proliferation and transcriptional control. In particular, many of the proteins are components of the spliceosome multi-complex, strengthening the idea that PI-PLCβ1b is involved in mRNA processing and maturation. Future work will aim to better characterize the regulatory role of PI-PLCβ1b in mRNA splicing.
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Veronesi, Arianna. « Nuove strategie manipolative ex vivo per il purging delle unità di cellule staminali ematopoietiche periferiche destinate al trapianto autologo di midollo ». Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2015. http://hdl.handle.net/11577/3424622.

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NEW MANIPULATIVE STRATEGIES EX VIVO FOR PURGING OF PHERIPHERAL HAEMATOPOIETICS STEM CELLS UNITS AIMED FOR AUTOLOGOUS BONE MARROW TRANSPLANTATION This thesis aims to evaluate the possibility of using the Gemtuzumab ozogamicin in ex vivo purging of autologous pheripheral blood mononuclear cells, in order to eliminate possible contaminants leukaemia cells. The use of this drug is subject to verification that the depletion of malignant cells does not cause cytotoxic effects on normal stem cells and normal multi-potential progenitors, which are in charge restocking stable and enduring new bone marrow. Therefore, these experiments were conducted by exposing to Gemtuzumab ozogamicin haematopoietic stem cells mobilized in pheripheral blood and haematopoietic stem cells obtained from cord blood determining their "rate of growth" through clonogenic tests. Based on the above data it can be concluded that: 1) the Gemtuzumab ozogamicin not significantly inhibit the clonal efficiency of subset primitive CD34+/CD38- and mononuclear cells 2) cryopreservation significantly increases the toxic effects of Gemtuzumab ozogamicin probably because of damage to the mambrane, wich promote endocytosis 3) in the clinical purgin, use of Gemtuzumab ozogamicin, should be avoided treatments longer than 24 hs. These data provide the opportunity for future experiments designed to elucidate the phenomena of toxicity found, and allow to plane clinical trials in order to validate the use of Gemtuzumab ozogamicin in haematopoietic stem cells purging obteined with apheresis methods of acute myeloid leukemia patients elect to the autologous bone marrow transplantation
NUOVE STRATEGIE MANIPOLATIVE EX VIVO PER IL PURGING DELLE UNITA DI CELLULE STAMINALI EMATOPOIETICHE PERIFERICHE DESTINATE AL TRAPIANTO AUTOLOGO DI MIDOLLO Questo lavoro di tesi si propone di valutare la possibilità  di utilizzare il Gemtuzumab ozogamicina nel purging ex vivo delle PBSC autologhe, al fine di eliminare le possibili cellule leucemiche contaminanti. L'impiego di tale farmaco è subordinato alla verifica che la deplezione delle cellule maligne non provochi effetti citotossici sulle cellule staminali pluri/multi potenti normali, alle quali è deputato il ripopolamento stabile e duraturo del midollo osseo. Pertanto, tale verifica è stata condotta esponendo al Gemtuzumab ozogamicina cellule ematopoietiche mobilizzate nel periferico e cellule ematopoietiche del sangue cordonale e determinando il loro "rate di crescita" mediante test clonogenici su terreno semisolido. In base ai dati ottenuti è possibile concludere che: 1) il Gemtuzumab ozogamicina non inibisce significativamente l'efficienza clonale del subset primitivo CD34+/CD38- e delle cellule mononucleate normali. 2) Il GO riduce significativamente la crescita clonogenica delle cellule capostipiti granulocitiche-macrofagiche del sangue periferico. 3) La criopreservazione incrementa significativamente gli effetti tossici del GO a causa probabilmente di danni a carico della membrana cellulare, che incentivano l'endocitosi. 4) In previsione di un impiego clinico nel purging del GO, dovranno essere evitati trattamenti superiori alle 24 h. Questi dati offrono lo spunto per ulteriori future sperimentazioni atte a chiarire i fenomeni di tossicità  rilevati e motivano la pianificazione di trials clinici finalizzati all'impiego del Gemtuzumab ozogamicina nel purging delle cellule staminali emopoietiche raccolte con procedure aferetiche di pazienti affetti da AML eleggibili al trapianto di midollo osseo autologo.
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Gimondi, S. A. « IDENTIFICAZIONE DI NUOVE VIE DI SEGNALE E MARCATORI PREDITTIVI DELLA MALATTIA DEL TRAPIANTO CONTRO L'OSPITE DOPO TRAPIANTO ALLOGENICO DI CELLULE STAMINALI EMATOPOIETICHE ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2014. http://hdl.handle.net/2434/232967.

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Résumé :
IDENTIFYING NEW MOLECULAR PATHWAYS AND PREDICTOR BIOMARKERS OF GVHD AFTER ALLOGENEIC HSCT Background and rationale Allogeneic hematopoietic stem cell transplantation (allo-HSCT) is a potentially curative option for patients with hematological malignancies. However, its success is limited by life-threatening graft-versus-host disease (GVHD). Strategies to control GVHD are often associated with suppression of the immune system leading to the impairment of the beneficial graft versus tumor (GVT) effect. The ideal approach to prevent and treat GVHD would limit alloantigen-specific reactivity while preserving immunity against malignant cells and pathogens. Chemokines are well known inducers of leukocyte trafficking and activation. Stimulation of the chemokine receptor signaling pathway leads to initiation of the Janus Kinase (JAK)/Signal Transducer and Activator of Transcription (STAT) pathway that contributes to the pathogenesis of GVHD. The key role of JAK signaling in normal and abnormal lymphocyte development and function prompted us to hypotesize that the inhibition of the JAK/STAT signaling could prevent GVHD from developing. We therefore evaluated the efficacy of two distinct JAK inhibitors, CP-690,550 and INC-424, in the allogeneic setting. Moreover, we tested whether the treatment with JAK inhibitors preserved the GVT effect in a mouse model of aGVHD. However, it would be a great advantage to predict aGVHD before its onset in order to tailor the immunosuppressive therapy in a patient-specific manner. To date, noninvasive, diagnostic and prognostic tests for aGVHD are lacking but necessary to predict aGVHD and improve the safety of allo-HSCT. We therefore performed a prospective analysis of miRNA expression profile in plasma of allografted patients to detect specific miRNAs with predictive role for aGVHD. Methods A major histocompatibility complex (MHC) mismatched HSCT mouse model was set up. Lethally irradiated BALB/c mice received spleen (SC) and bone marrow (BM) cells from donors C57BL/6 (B6) mice, and were treated with CP690,550 or INCB18424 for 14 days at 15mg/Kg/day or 45mg/Kg/day respectively. Syngeneic transplants (B6-B6) and BALB/c recipients treated with B6 BM cells only were also used. To determine the GVT activity, allo-HSCT recipients were co-injected with either a B-cell lymphoma cell line (A20) or a myeloid leukemia cell line (RMB-1) and treated or not with INC-424 at the dose of 45mg/kg/day. Mice were monitored for overall survival (OS) and weight loss. GVHD was histologically scored in tissues harvested on day 14, 30 and 60 and cytokine production by ELISA. Immune reconstitution and tumor cells were monitored by flow cytometry. For biomarker discovery, plasma samples from 24 patients who received unmanipulated allo-HSCT were collected weekly. MicroRNAs were isolated from plasma and miRNA expression profile examined using quantitative Real Time PCR. Results JAK/STAT inhibition, especially by INC-424 treatment, caused significantly less GVHD when compared to untreated animals, as determined by survival, weight loss, and histopathology of GVHD target organs. Plasma levels of inflammatory cytokines (IL-6 and IL-12) were significantly reduced in all treated animals when compared to controls. Daily administration of INC-424 post allo-HSCT did not alter hematologic parameters and did not impair immune reconstitution but shifted the CD4+ Treg to CD8+ effector cell ratio because of a relative decrease in the latter population and a relative increase in Treg in GVHD treated mice. A reduction in the Th17/Treg ratio was also observed. When allo-HSCT recipients were challenged with tumor cells, the GVT activity in INCB-424 treated mice was intact in the absence of GVHD, resulting in significantly improved survival compared to untreated animals (p<0.001) and reduced the presence of tumor cells. On the other hand, circulating miRNA profiling before aGVHD onset was able to identify patients at high risk of developing the disease. Two unique miRNAs (miR-194 and miR-518f) were upregulated in samples of patients that would lately develop aGVHD. Pathway prediction analysis indicated that these miRNAs are critical in GVHD pathogenesis. Conclusions The inhibition of JAK/STAT signaling using the sensitive and specific inhibitor of JAK1/JAK2 INC-424 at the optimal dose of 45mg/kg/day, conferred effective protection from lethal acute GVHD in a MHC mismatched HSCT mouse model. Mice retain the ability to mount aggressive graft-versus-tumor (GVT) effects and to generate complete donor T-cell reconstitution. Taken together, these data suggest that INC-424, recently approved for the treatment of myelofibrosis, might also be tested for GVHD prophylaxis and treatment in clinical trials. In addition, considering the non-invasive characteristics of plasma sampling and the feasibility of detecting miRNAs after allo-HSCT, our results indicate that circulating miRNAs represent a promising tool for the early diagnosis of aGVHD. However, inconsistencies with prior published data highlight the need to develop standards for circulating miRNA studies to move their discovery from the molecular biology laboratory to the clinic.
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Tumino, Manuela Rossella. « Espressione genica e Profilo Fosfoproteomico nella Malattia del Trapianto contro l Ospite in bambini sottoposti a trapianto di cellule staminali ematopoietiche : confronto tra forma acuta e forma cronica ». Doctoral thesis, Università di Catania, 2013. http://hdl.handle.net/10761/1375.

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Résumé :
La malattia del trapianto contro l ospite (Graft versus Host Disease, GvHD), principale complicanza del trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche (alloTCSE), è un disordine immunologico scatenato dai linfociti T del donatore contro gli alloantigeni del ricevente; la gravità dipende dalle differenze HLA tra donatore e ricevente, con interessamento di diversi organi (cute, tratto gastrointestinale, fegato, polmoni). Si distinguono la forma acuta e cronica (aGvHD, cGvHD). Le conoscenze sulla patogenesi della forma acuta sono meglio conosciute rispetto a quelle sulla cGvHD, in cui diagnosi e gestione terapeutica rappresentano uno dei maggiori problemi post allo-TCSE. Non esistono ancora marcatori biologici in grado di permettere una distinzione tra le due forme. Clinicamente la forma cronica presenta manifestazioni simili alle malattie autoimmuni (sclerodermia, sindrome di Sijogren, psoriasi, malattie infiammatorie croniche intestinali). Sulla base di questa osservazione, scopo di questo studio è stato quello di analizzare retrospettivamente l espressione di marcatori biologici in parte già noti nelle patologie autoimmuni, in 29 pazienti pediatrici sottoposti ad alloTCSE nel periodo dal 1995 al gennaio 2012 presso l Unità Trapianti della Clinica di Oncoematologia di Padova che hanno o meno sviluppato GvHD. Secondo la vecchia classificazione temporale e successiva revisione secondo il National Institute of Health (NIH) sono stati inclusi pazienti con aGvHD (vecchia classificazione: 11 pazienti; NIH 2005: 13 pazienti), con cGvHD preceduta dalla forma acuta (vecchia classificazione: 14 pazienti; NIH 2005: 12 pazienti), pazienti che non avevano sviluppato GvHD (4 pazienti). Sono state eseguite analisi di espressione genica di citochine mediante Sybr Green Real Time Quantitative PCR (RQ PCR) e studio del profilo fosfoproteomico delle proteine coinvolte nelle principali vie di trasduzione del segnale, proliferazione e attivazione delle cellule B e T e nell infiammazione mediante Reverse Phase Protein Array (RPPA). In RQ PCR l'IL22 è risultata essere maggiormente espressa nei pazienti con cGvHD in fase attiva rispetto agli altri pazienti (p value 0,02). Per mancanza di dati completi riguardanti la caratterizzazione immunofenotipica dei pazienti analizzati, non è stato possibile attribuire l aumentata produzione di IL22 a nessun sottotipo cellulare specifico. Avendo a disposizione dati precedentemente raccolti sul numero di cellule Natural Killer (NK), non è stata osservata correlazione con l espressione di IL22, sebbene non sia possibile escludere un possibile ruolo delle NK non avendone studiato lo stato di attivazione. Nell ipotesi di un possibile ruolo delle Th17, è stata osservata correlazione tra espressione genica di IL22 e quella di IL17 (rho: 0,7); tale dato è stato avvalorato dallo studio di fosfoproteomica relativo all espressione delle proteine coinvolte nel pathway di espressione dell IL22 nelle Th17 (JAK2, STAT3 e TYK2): dopo rivalutazione dei pazienti secondo i nuovi criteri NIH del 2005 è stata osservata una tendenza della loro maggiore espressione nel gruppo di pazienti con cGvHD in fase attiva rispetto ai pazienti in remissione completa. Le Th17 potrebbero essere implicate nell aumento dell espressione dell IL22, sebbene possano essere coinvolte anche altre popolazioni (Th1, Th22). L IL22 potrebbe rappresentare un potenziale marker di stato attivo di cGvHD. Al fine di valicare i dati ottenuti bsarà necessario: 1) aumentare la casistica, 2) dosare i livelli plasmatici di IL22, 3) valutare la presenza delle sottopopolazioni Th1, Th17 e Th22, nonché studiare lo stato di attivazione delle NK ai vari timepoint considerati post alloTCSE. Sarà infine interessante studiare l attivazione dei pathway a valle del recettore dell IL22 nelle biopsie dei tessuti interessati dalla cGvHD
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PILUDU, MARIA BONARIA. « Associazione tra i polimorfismi dei geni NOD2/CARD15, TLR-4, IL23R e GVHD, infezioni e mortalità precoce nel trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche nella popolazione pediatrica sarda talassemica, ampliamento del progetto con lo studio molecolare di altri geni candidati ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Cagliari, 2016. http://hdl.handle.net/11584/266633.

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Résumé :
Recently single nucleotide polymorphisms (SNPs) of the genes NOD2-CARD15, IL23-R and TLR-4 have been showed to influence the risk for acute GvHD in patients who underwent to allogeneic hematopoietic stem cells (HSCs) transplantation. To investigate whether these genes play a role in the pathogenesis of GvHD also in the Sardinian population, 8 SNPs four for NOD2, two for TLR4 and two for IL23R in 86 recipients, their coupled donors and in 150 healthy Sardinians individualswere genotyped and the SNPs frequencies compared. The SNP rs2066842 of NOD2 gene was significantly increased in the group of patients who did not develop acute GvHD(p = 0.002). Our data, if confirmed in GvHD patients from other population, could suggest the inclusion of the non-HLA NOD2/CARD15 genes genotyping in the attribution of the immunological donor/recipient pre-transplant score.
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TONDELLI, BARBARA. « TECNICHE AVANZATE NELLA MESSA A PUNTO DI TECNOLOGIE TRANSGENICHE E NON NELLA SPECIE MURINA ». Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2009. http://hdl.handle.net/10280/406.

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Résumé :
L’osteopetrosi autosomale recessiva (ARO) è un gruppo di malattie dovute a un difettoso funzionamento degli osteoclasti che preclude un rimodellamento osseo corretto. Nel 50% dei casi umani il difetto è dovuto ad una delezione nel gene Tcirg1. Il modello murino mutante oc/oc porta lo stesso difetto genetico e fenotipico umano. Nel lavoro di tesi si è dimostrato che gli epatociti fetali di 12.5 giorni di gestazione trapiantati in utero in feti mutati di 13.5 giorni di gestazione sono in grado di curare il fenotipo malato. Si è inoltre derivata una sottolinea di cellule staminali embrionali murine transgeniche per il costrutto plasmidico GOF18eGFP. Si vuole utilizzare la GFP sotto il controllo del promotore del gene Oct-4 come marcatore del livello di staminalità cellulare per microiniettare le ESC in blastocisti murine mutate oc/oc.
Autosomal recessive osteopetrosis (ARO) is a group of genetic disorders due to defects that preclude normal function of osteoclasts. In half the cases, human ARO is due to mutations in the Tcirg1 gene. The oc/oc mutant mouse closely recapitulates human Tcirg1-dependent ARO. In ths work we demonstrate that in utero injection of allogenic fetal liver cells on 12.5 days into oc/oc fetuses at 13.5 day post coitum completely rescue the osteopetrotic phenotype. Moreover, an embryonic stem cells line transgenic for GOF18eGFP was produced. The goal is to use the GFP under the transcriptional control of the Oct-4 promoter as a marker of pluripotency of the ESC that are to microinject into oc/oc blastocysts.
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Campeggio, Mimma. « Prognostic Role of Minimal Residual Disease before and after Haematopoietic Stem Cell Transplantation in pediatric ALL patients and evaluation of droplet digital PCR applicability in pre-HSCT MRD monitoring ». Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2018. http://hdl.handle.net/11577/3425313.

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Résumé :
Acute Lymphoblastic Leukemia (ALL) represents the most frequent cancer in childhood. Currently, more than 80% of children with ALL can be cured through intensive and risk-adapted chemotherapy protocols, but unfortunately, the remaining 20% ultimately relapse. Allogeneic hematopoietic stem cell transplantation (HSCT) is considered beneficial for approximately 10% of patients who are at high risk (HR) at frontline therapy according to the AIEOP-BFM protocol criteria, and for the majority of patients after ALL relapse. However, also after HSCT, relapse remains the leading cause of treatment failure in pediatric ALL. The strongest prognostic factor in childhood ALL is the monitoring of Minimal Residual Disease (MRD). MRD is defined as the persistence, in bone marrow (BM), of leukemic cells not identifiable through cyto-morphological methods. MRD diagnostics has been implemented into major frontline treatment protocols for pediatric ALL, in which it is routinely used to stratify patients into different risk classes: standard risk (SR), medium risk (MR) or high risk (HR) of relapse. The aim of MRD-based stratification is to refine therapy based on risk-class, maximizing cure and minimizing toxicities. Also for relapsed ALL patients and in patients undergoing HSCT, MRD assessment has been identified as one of the most relevant predictors of prognosis, useful to identify good and poor responders to the therapy. Nevertheless, the clinical significance of MRD in pediatric ALL patients given allogeneic HSCT has not yet been fully validated. The most widely used approach to detect MRD is represented by real-time quantitative PCR (RQ-PCR), a very sensitive and specific molecular assay. RQ-PCR is based on the patient-specific junctional regions of Immunoglobulin (Ig) and T-cell Receptor (TCR) genes rearrangements, detected on BM aspirates collected at diagnosis (or relapse) of ALL patient. In the first project of my PhD training (described in Chapter 1) we quantify MRD by RQ-PCR immediately before HSCT, in order to assess its clinical significance and impact on transplant outcome in a large cohort (119) of pediatric ALL patients in first, second or subsequent complete remission (respectively 1CR, 2CR or others CR). In addition, we consecutively analyzed MRD by RQ-PCR in 98/119 and 59/119 ALL patients, respectively during the first (post-HSCT1) and third (post-HSCT3) trimester after HSCT. The aim of these analyses was to address the question of whether MRD evaluation could provide further information to predict the risk of post-transplant leukemia recurrence. The overall 10-year event-free survival probability (EFSp) for patients with any level of positive MRD pre-HSCT was lower (39% for MRD < 1x10-3 and 18% for MRD ≥ 1x10-3) as compared with negative MRD patients (EFSp = 73%). When patients were analyzed according to the number of CR at HSCT, we observed that different levels of positivity had a different impact on EFSp: low-level MRD positivity had a negative impact only in patients transplanted in second or higher CR; while in first CR, only a high MRD positivity increased the risk of relapse. So pre-transplant MRD assessment confirmed to be a strong predictor of outcome and its effect was consistent throughout the different disease remissions. We also evaluated the EFSp according to the MRD assessment at post-HSCT1 and post-HSCT3. MRD negativity at early post-transplant was associated with a good EFSp (63%), that was even better when negativity was confirmed also at 3th trimester post-HSCT (pEFS = 84%). Also the variations of MRD levels over time were important. In particular the change between 1st and 3th trimester allowed to identify 2 categories of patients, with a dramatically different outcome: a group of patients with very poor prognosis (patients with an MRD increasing from post-HSCT1 to post-HSCT3) with an EFSp of only 8%, and a group of patients with very good prognosis (patients with unchanged negative MRD or decreasing to negative MRD and those with unchanged low-positive MRD) with an EFSp ≥ 80%. Overall, these results confirm that MRD assessment is important both before and after transplant, for early identification of patients with the highest risk of ALL recurrence and with a strong indication to a prompt immunological intervention and to adoption of new drugs. The second project (described in Chapter 2) was a preliminary study. We focused on a third generation PCR, the droplet digital PCR (ddPCR), that allows for an absolute quantification, with accurate concentration of target DNA. Instead, RQ-PCR allows for a relative quantification, since is based on the comparison with a calibration standard curve made with the diagnostic DNA of patient, for MRD level quantification in follow-up sample. Thus, availability of diagnostic sample can limit RQ-PCR assay. A broad spectrum of molecular markers has been yet interrogated using ddPCR for diagnostic purposes in various malignancies. Recently, the absolute method was evaluated for MRD quantification in lymphoproliferative disorders of adult, such as lymphomas and ALL; these reports showed a good correlation between quantitative PCR and ddPCR. However, there are still no studies in pediatric ALLs. In the light of this, we performed ddPCR analyses on BM samples of 65 pediatric ALL transplanted patients with the same primers and probes used for RQ-PCR and in the same reaction conditions. Comparing head-to-head the MRD results obtained with the two molecular approaches, we aimed to investigate the applicability of ddPCR for MRD assessment also in this context. First, we evaluated if positive but not-quantifiable (PNQ) MRD performed by RQ-PCR can be quantified by ddPCR; then we also evaluated the prognostic impact of pre-HSCT MRD levels assessed by ddPCR. A good level of concordance was found in results of both analyses (Pearson r = 0.98, P < 0.0001) and ddPCR was also able to quantify a various number of sample not-quantifiable by conventional RQ-PCR. Our results suggest that ddPCR has sensitivity, accuracy and reproducibility at least comparable with RQ-PCR. Statistical analyses have shown no significant differences in prognostic impact on outcome, if patients were stratified according to MRD levels detected by RQ-PCR and ddPCR, since EFSp of PNQ patients was very similar to that of MRD NEG by ddPCR (71% vs 68%, respectively). Despite this, the digital method was able to measure a positive and quantifiable value for 12 ALL patients who relapsed after HSCT, while RQ-PCR technique failed to identify relapse in advance. These preliminary data confirm that ddPCR may be an accurate and applicable tool for MRD evaluation also in the context of pediatric ALL clinical trials, but highlight the importance of extending the analysis on other retrospectively collected cases, to better define the role of ddPCR for prospective MRD evaluation in pediatric ALLs.
La Leucemia Linfoblastica Acuta (LLA) rappresenta la patologia tumorale più frequente in età pediatrica. Oltre l’80% dei bambini affetti da LLA viene trattato con successo grazie agli attuali protocolli di chemioterapia intensiva e basata sul rischio di ricaduta, ma sfortunatamente, il restante 20% ricade. Il trapianto di cellule staminali ematopoietiche (TCSE) ha un ruolo fondamentale nella guarigione di circa il 10% dei pazienti definiti ad alto rischio di ricaduta LLA in prima linea e per gran parte dei pazienti recidivati. Sfortunatamente, anche dopo il TCSE, la ricaduta si conferma come principale causa di fallimento terapeutico nelle LLA pediatriche. Il principale indicatore prognostico nelle LLA infantili è rappresentato dalla Malattia Residua Minima (MRM). La MRM è definita come la persistenza, all’interno del midollo osseo, di cellule leucemiche a livelli non identificabili attraverso esame citomorfologico. La valutazione della MRM è ormai parte integrante dei principali schemi terapeutici di prima linea, in cui viene usata per stratificare i pazienti in diverse classi di rischio di ricaduta (standard, intermedio o alto), con l'obiettivo di adattare la terapia al rischio individuale di ciascun paziente, ottimizzando le cure e riducendo al minimo la tossicità. Il monitoraggio della MRM è stato identificato come uno dei maggiori fattori predittivi di prognosi, anche per i pazienti ricaduti e per quelli trapiantati, in cui risulta ulteriormente vantaggioso per valutare la risposta alla terapia dei pazienti LLA. Ciononostante, il significato clinico della MRM nei pazienti sottoposti al TCSE non è ancora stato pienamente validato. L’approccio standard utilizzato per monitorare la MRM è attualmente rappresentato dalla real-time quantitative PCR (RQ-PCR), un saggio molecolare altamente sensibile e specifico, basato sulle regioni giunzionali dei riarrangiamenti dei geni delle immunoglobuline e del recettore dei linfociti T, identificati sugli aspirati midollari della diagnosi (o ricaduta) del paziente LLA. Nel primo progetto (descritto nel capitolo 1) del mio percorso di dottorato, abbiamo quantificato la MRM mediante PCR quantitativa immediatamente prima del TCSE, per valutare il suo significato clinico e l’impatto sull’outcome in una vasta coorte di pazienti pediatrici affetti da LLA (119), in prima remissione completa (1RC), seconda (2RC) o altre. Abbiamo poi analizzato MRM mediante RQ-PCR in 98/119 e 59/119 pazienti, rispettivamente durante il primo (post-TCSE1) e il terzo (post-TCSE3) trimestre dopo il trapianto. L’obiettivo di queste analisi è stato quello di capire se la valutazione MRM potesse fornire ulteriori informazioni, utili a identificare preventivamente i pazienti con maggior rischio di ricaduta leucemica dopo il trapianto. Dalle analisi di sopravvivenza in relazione ai livelli di MRM pre-TCSE nei pazienti LLA, qualsiasi livello di positività correla con un outcome sfavorevole (pEFS = 39% per MRM positiva < 1x10-3 e pEFS = 18% per MRM positiva ≥ 1x10-3), rispetto ai pazienti con MRM negativa (pEFS = 73%, P<0.0001). Inoltre, analizzando i pazienti in base al tipo di remissione al TCSE, livelli diversi di positività MRM correlano con un diverso impatto sulla pEFS: bassi livelli di positività MRM indicano infatti, una prognosi sfavorevole solo in pazienti trapiantati in seconda o altre RC, mentre in prima RC solo una positività alta si associa ad un aumentato rischio di ricaduta. Pertanto la MRM pre-TCSE si conferma come importante fattore predittivo di outcome e il suo effetto varia col variare del tipo di remissione al trapianto. È stata valutata, inoltre, la pEFS dei pazienti in base ai livelli di MRM post-TCSE1 e post-TCSE3; MRM negativa post-TCSE correla significativamente con un outcome favorevole, sia al 1° trimestre (pEFS = 63%), che ancor più se riscontrata al 3° trimestre (pEFS = 84%). Anche la valutazione prospettica del cambiamento di MRM è risultata significativa. In particolare, valutando la variazione di MRM dal 1° al 3° trimestre post-TCSE, i pazienti con MRM crescente hanno una prognosi sfavorevole (pEFS = 8%), mentre tutti gli altri gruppi correlano con una buona prognosi (pEFS ≥ 80%). Questi risultati confermano l’importanza del monitoraggio della MRM sia nel periodo precedente che successivo al TCSE, nell’identificare preventivamente pazienti ad alto rischio di ricaduta, possibili beneficiari di interventi immunologici preventivi. Il secondo progetto trattato (descritto nel capitolo 2) è stato uno studio preliminare, focalizzato su una PCR di terza generazione, la Droplet Digital PCR (ddPCR). Essa consente una quantifica di tipo assoluto, con un’accurata concentrazione del DNA target. La RQ-PCR fornisce, invece, una quantifica di tipo relativo, basata su una curva standard di calibrazione fatta con il DNA della diagnosi del paziente, per la quantificazione dei livelli di MRM di ciascun follow-up. Per cui, la PCR quantitativa può essere limitata dalla disponibilità di materiale diagnostico. Un ampio spettro di marcatori molecolari è già stato indagato mediante ddPCR per scopi diagnostici in varie patologie tumorali. Studi recenti hanno valutato l’applicabilità della ddPCR nell’ambito delle malattie linfoproliferative dell’adulto, come i linfomi e le LLA, mostrando una buona correlazione dei risultati fra le due metodiche in entrambi gli ambiti. Tuttavia, non sono ancora disponibili lavori che valutino questa correlazione nel campo delle leucemie pediatriche. Alla luce di questo, abbiamo eseguito analisi ddPCR sugli aspirati midollari di 65 pazienti pediatrici sottoposti a TCSE, utilizzando stessi primer e stesse sonde fluorescenti usati negli esperimenti RQ-PCR, nelle medesime condizioni di reazione. Mettendo a confronto i livelli di MRM emersi coi due approcci molecolari, si è investigata l’applicabilità della metodica assoluta per il monitoraggio della MRM anche in questo contesto. Inizialmente, sono stati valutati campioni risultati, mediante RQ-PCR, positivi ma non quantificabili (PNQ), per verificare se invece si potessero quantificare mediante ddPCR. Successivamente, è stato valutato anche l’impatto prognostico dei livelli MRM pre-TCSE ottenuti tramite ddPCR. Un buon livello di concordanza è emerso dai risultati ottenuti con entrambe le metodiche (Pearson r = 0.98, P < 0.0001); la ddPCR ha permesso, inoltre, di quantificare numerosi campioni risultati non quantificabili tramite RQ-PCR. I risultati suggeriscono che il metodo assoluto possieda sensibilità, accuratezza e riproducibilità almeno paragonabili alla PCR quantitativa convenzionale. I pazienti LLA analizzati sono stati stratificati sulla base dei livelli di MRD ottenuti con le due tecniche molecolari, ma nelle analisi di sopravvivenza non sono emerse differenze significative sulla prognosi. Infatti le pEFS dei pazienti con MRM negativa e positiva quantificabile per i due metodi risultano molto simili (rispettivamente 71% e 68%). Ciononostante, dal presente studio è emerso che col metodo digital sia stato possibile misurare un valore di MRM positivo e quantificabile per almeno 12 pazienti LLA che, in seguito al trapianto, hanno presentato una recidiva; viceversa, la RQ-PCR non era stata in grado di identificare anticipatamente la ricaduta di questi pazienti. Questi dati preliminari mostrano che la ddPCR possa essere un valido strumento per il monitoraggio della MRM e applicabile anche nel contesto dei trials clinici per pazienti LLA pediatrici. Tuttavia una prosecuzione dello studio ddPCR, con estensione della casistica analizzata, potrebbe essere utile a definire con precisione la significatività delle misurazioni con questa recente metodica.
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Mainardi, Chiara. « Detection of an immunological response against TEL/AML1 fusion protein ». Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2017. http://hdl.handle.net/11577/3424771.

Texte intégral
Résumé :
Immunotherapy represents a therapeutic option for subgroups of paediatric patients with leukaemia who, despite the impressing advances of the last decades in the field, still show a poor prognosis because of high risk-disease or relapse. A deeper understanding of how the immune system physiologically recognizes and eradicates tumour cells is mandatory. Peptidic antigens are of great interest in the field of immunotherapy because they could be used as vaccines to boost immunity. TEL/AML1 mutant protein, whose sequence is known, is the result of a balanced t(12;21) translocation which generates a fusion gene. Peptides can be artificially synthetized from TEL/AML1 fusion protein and their HLA-binding capacity and immunogenicity can be predicted through bioinformatic tools. This project aimed to investigate whether the excellent prognosis showed by patients who suffer from a B-lineage ALL harbouring the TEL/AML1 mutation could be related to an immune response against peptidic antigens derived from the TEL/AML1 mutant protein. For such purpose, 8 priming experiments were performed with healthy donors’ leucocytes. Six experiments were carried out according to a dendritic cells-mediated protocol, whereas two experiments were performed according to a beads-mediated protocol. Successfully primed lymphocytes (identified by mean of intracellular cytokines production) were selected through flow cytometric sorting and single-cell seeded in order to get T-cell clones. This was possible in 3 out of 8 priming experiments. Growing T-cell clones were tested after stimulation with peptides (or through tetramer staining) but they did not show enough specificity. We also tried to show an immune response against fusion peptides in peripheral blood leucocytes of patients who survived a TEL/AML1 positive B-lineage ALL, through exposure to peptides and a short course stimulation with cytokines. We tested 22 patients, but unfortunately we weren’t able to show an answer against fusion peptides in any of them. Possible reasons might be the lack of specificity of the activation markers we used to identify reactive cells, the not enough restrictive gates we used for sorting, the fact that the HLA super type B*07 (for which the restricted peptides had the best prediction score) was underrepresented in our patients’ cohort. We suggest to perform further experiments using new activation markers, such as CD25 or PD-L1, or different techniques to identify reactive cells (such as Elispot), to use more restrictive gates for sorting and to exploit the beads priming protocol. In order to sample such lymphocyte populations (i.e. antigen specific T-cells) with an extremely low frequency, a possibility may be collect repeatedly blood samples from the same patient at different time points. Further studies are warranted to test the hypothesis of an autologous, spontaneously arising immune response against TEL/AML1 fusion peptides as reason for the good prognosis of TEL/AML1 positive leukaemia. Another possible approach in order to validate fusion peptides might be to test them in a situation of HLA B*07 mismatch between lymphocytes and APCs. The clinical counterpart could be the generation of reactive T-cell clones, cloning of their TCR and its transduction in the patient’s or donor’s lymphocytes, the latter in the perspective of a post-hematopoietic stem cell transplantation adoptive immunotherapy.
L’immunoterapia costituisce un’opzione terapeutica per alcuni sottogruppi di pazienti con leucemia dell’età pediatrica i quali, nonostante i notevoli progressi degli ultimi decenni, ancora non mostrano una prognosi soddisfacente perché affetti da malattia ad alto rischio oppure da ricaduta. Una comprensione più profonda di come il sistema immunitario fisiologicamente riconosce ed elimina le cellule tumorali è essenziale. Gli antigeni peptidici sono di grande interesse nel settore dell’immunoterapia perché possono essere utilizzati come vaccini per potenziare l’immunità. La proteina mutante TEL/AML1, la cui sequenza è nota, è il risultato di una traslocazione bilanciata t(12;21) che genera un gene di fusione. Dalla proteina di fusione TEL/AML1 si possono sintetizzare artificialmente peptidi, la cui capacità di legare le molecole HLA ed immunogenicità si può prevedere attraverso strumenti bioinformatici. Questo progetto ha l’obiettivo di indagare se l’eccellente prognosi dei pazienti affetti da leucemia linfoblastica di linea B con la mutazione TEL/AML1 possa essere correlata ad una risposta immunologica nei confronti di peptide di fusion derivati dalla proteina mutante TEL/AML1. A tale scopo, sono stati realizzati 8 esperimenti di priming con leucociti di donatori sani. Sei sono stati realizzati secondo un protocollo mediato da cellule dendritiche, mentre altri due esperimenti sono stati condotti secondo un protocollo mediato da beads. I linfociti responsivi al processo di priming (identificati mediante la produzione intracellulare di citochine) sono stati selezionati mediante sorting citofluorimetrico e coltivati a singola cellula in modo da ottenete cloni T-cellulari. Ciò è stato possibile in 3 esprimenti su 8. I cloni T-cellulari con evidenza di crescita sono stati testati dopo re-stimolazione con i peptidi (o mediante tetramer-staining) ma non hanno dimostrato sufficiente specificità- Abbiamo inoltre provato a dimostrare una risposta immunologica nei confronti dei peptidi di fusione nei leucociti (da sangue periferico) di pazienti con leucemia linfoblastica di linea B TEL/AML1 positiva in remissione, mediante esposizione ai peptidi e una breve stimolazione con citochine. Sono stati testati 22 pazienti, ma purtroppo non è stato possibile evidenziare una risposta nei confronti dei peptidi di fusione in nessuno di loro. Possibili spiegazioni potrebbero essere la mancanza di specificità dei marcatori di attivazione che sono stati utilizzati per identificare le cellule reattive, i gate non sufficientemente restrittivi utilizzati per il sorting, il fatto che il supertipo HLA B*07 (i peptidi B*07 ristretti avevano il migliore score predittivo) era sotto-rappresentato nella coorte di pazienti presa in esame. Ci riproponiamo di realizzare ulteriori esperimenti utilizzando nuovi marcatori di attivazione, come CD25 o PD-L1, oppure differenti tecniche per identificare le cellule reattive (come l’Elispot), di usare gates più restrittivi per il sorting e di utilizzare esclusivamente il protocollo mediato da beads per il priming. Per riuscire a includere nel campione popolazioni linfocitarie (cellule T antigene-specifiche) la cui frequenza è estremamente bassa, una possibilità potrebbe essere eseguire prelievi ematici ripetuti nel tempo nello stesso paziente. Sono necessari ulteriori studi per testare l’ipotesi di una risposta immune autologa, spontanea, nei confronti dei peptidi di fusione TEL/AML1 come spiegazione della buona prognosi della leucemia linfoblastica di linea B TEL/AML1 positiva. Un altro possibile approccio per validare i peptidi di fusione potrebbe essere quello di testarli in una situazione di HLA B*07 mismatch tra linfociti ed APCs. La ricaduta clinica potrebbe essere la generazione di cloni T-cellulari dalle cellule reattive al priming, il clonaggio del loro TCR e la sua transduzione nei linfociti del paziente o del suo donatore, in quest’ultimo caso nella prospettiva di un’immunoterapia adottiva post-trapianto di cellule staminali ematopoietiche.
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BARONE, Rita. « Trattamento di mobilizzazione ed aferesi di cellule staminali ematopoietiche nei pazienti affetti da beta-talassemia per la terapia genica. Studio clinico di fase 1 ». Doctoral thesis, 2014. http://hdl.handle.net/10447/85923.

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