Littérature scientifique sur le sujet « Checkpoint inibitore »

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Articles de revues sur le sujet "Checkpoint inibitore"

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Nervo, Alice, Valentina D’Angelo et Emanuela Arvat. « Ipofisite da inibitori dei checkpoint immunologici ». L'Endocrinologo 22, no 3 (13 mai 2021) : 244–46. http://dx.doi.org/10.1007/s40619-021-00868-7.

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Patti, Luca, Laura Musso, Diego Ferone et Manuela Albertelli. « Inibitori dei checkpoint immunitari e patologia tiroidea ». L'Endocrinologo 23, no 2 (29 mars 2022) : 125–32. http://dx.doi.org/10.1007/s40619-022-01038-z.

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Résumé :
SommarioGli inibitori dei checkpoint immunitari (ICIs) causano frequentemente eventi avversi immuno-correlati di tipo endocrino. La tiroide, in particolare, è l’organo maggiormente interessato e l’ipotiroidismo risulta essere la disfunzione più comune durante la terapia con ICIs. È importante, quindi, effettuare un adeguato monitoraggio clinico e biochimico nei pazienti trattati con ICIs, in modo da ridurre le complicanze e ottenere una maggiore aderenza terapeutica al trattamento oncologico.
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Puxeddu, Efisio. « Effetti collaterali endocrinologici degli inibitori dei checkpoint immunitari ». L'Endocrinologo 17, no 4 (août 2016) : 224–25. http://dx.doi.org/10.1007/s40619-016-0218-6.

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Ba Aqeel, Sheeba Habeeb, Prasanth Lingamaneni, Shristi Upadhyay Banskota, Muhammad Zain Farooq, Rayli Pichardo, Ishaan Vohra et Ankit Mangla. « Cardiotoxicity associated with immune checkpoint inibitors : A systemic review and meta-analysis. » Journal of Clinical Oncology 38, no 15_suppl (20 mai 2020) : e15131-e15131. http://dx.doi.org/10.1200/jco.2020.38.15_suppl.e15131.

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Résumé :
e15131 Background: Immune checkpoint inhibitors (ICI) are associated with multiple immune related adverse events (irAE). Cardiotoxicities are rare but fatal complications. Since PD-1 and PD-L1 are expressed on human cardiomyocyte, there is an increased risk of cardiotoxicity with use of ICI. We performed a systematic review and meta-analysis to assess cardiotoxicities associated with PDL1 and CTLA4 inhibitors. Methods: The Embase, Ovid, Pubmed and Scopus were searched from inception to 2019 by two independent reviewers. All Phase II and III clinical trials reporting cardiotoxicities with the combination of, or monotherapy with anti-PD-1/PD-L1 and/or anti-CTLA4 were included. Our primary outcome was assessment of cardiotoxicity of all grades that included, hypertension, arrythmias, pericardial effusion, myocardial infarction, myocarditis, cardiomyopathy and cardiac arrest. Statistical heterogeneity was quantified using I2 statistics. The publication bias was assessed with Eggers regression test. The estimates were reported as odds Ratio (OR) with 95% confidence intervals (CI) using random effect model. Results: A total of 2,876 trials retrieved in the initial database search were analyzed according to PRISMA guidelines. Twenty trials met the inclusion criteria and were included in the final analysis. A total of 8,905 patients were included in these trials. There was no statistically significant difference in reported overall cardiotoxicity with ICI compared to placebo or standard of care (OR 0.953 95% CI 0.542-1.675, I2 89.49 p < 0.001). Also, no statistical significance associated with myocardial infarction (OR 0.76, 95% CI 0.76-3.298 I2 0%, P = 0.83), pericardial effusion (OR 1.44, 95% CI 0.72-2.90. I2= 0%, P = 0.613) or hypertension (OR 0.543, 95% CI 0.219-1.346. I2 = 94.98, P < 0.001). Myocarditis was reported in 8 patients with a statistically non-significant increased risk compared to standard of care or placebo (OR 2.16, 95% CI 0.719-6.828 I2= 0%, P = 0.885). Other reported cardiac irAE included cardiac arrest in 4 patients, QT prolongation in 2 patients and cardiac tamponade in 1 patient. Conclusions: The overall risk of cardiac related irAE is not significantly higher with ICI when compared with placebo or standard of care. The reported events of severe cardiac irAE like myocarditis and cardiac arrest are very low in the reported trials.
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D’Ambrosio, Cristiana. « Immunoterapia ed eventi avversi cardiaci : come riconoscerli e gestirli ». Cardiologia Ambulatoriale, 30 novembre 2020, 198–208. http://dx.doi.org/10.17473/1971-6818-2020-3-11.

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Résumé :
Gli inibitori del checkpoint immunitario (ICIs) sono una nuova opzione di trattamento per la terapia del cancro, che aiutano a dirigere il sistema immunitario a riconoscere e colpire le cellule tumorali. Gli ICIs hanno mostrato importanti benefici negli studi di fase 3 e diversi agenti sono stati approvati per tumori maligni specifici, ma sono anche as-sociati a tossicità immunomediata. A differenza della maggior parte degli eventi avversi immunocorrelati (irAE), che sono un evento comune, reversibile e che possono essere trattati in modo efficace con la terapia con glucocorticoidi, le cardiotossicità associate a ICI sono rare, con gravi complicazioni e una mortalità relativamente elevata anche se trattata con glucocorticoidi. La cardiotossicità associata a ICIs può manifestarsi in vari modi, compreso miocardite, aritmie e malattie della conduzione, malattie pericardiche, infarto del miocardio, disfunzione cardiomiocitica non infiammatoria e persino cardiomiopatia simile a Takotsubo. La maggior parte degli effetti cardiotossici sembrano essere di natura infiammatoria. La presente recensione riassume l'attuale comprensione delle cardiotossicità associate all'ICI, esaminando l'epidemiologia e i tempi di insorgenza, nonché la loro presentazione clinica, le modalità diagnostiche, la gestione clinica e i risultati. Sebbene la letteratura della cardiotossicità associata all’ICI rimanga limitata ai casi clinici, alla serie di casi e ai primi studi clinici, sono state proposte strategie per la sorveglianza, la diagnosi e la gestione di questa complicanza cardiovascolare potenzialmente fatale della terapia del cancro.
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Thèses sur le sujet "Checkpoint inibitore"

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RAMBALDI, BENEDETTA. « Understanding T and NK cell reconstitution after allogeneic hematopoietic cell transplantation : a path to improve graft versus leukemia and minimize graft versus host disease ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2023. https://hdl.handle.net/10281/402375.

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Résumé :
Il trapianto di cellule ematopoietiche (HCT) rappresenta una terapia cardine per il trattamento delle neoplasie ematologiche altrimenti incurabili. Tuttavia, la procedura di trapianto può essere gravata dalla recidiva della malattia, dalla malattia del trapianto contro l'ospite (GVHD) e dalle infezioni. Le cellule T e NK che ricostituiscono dopo l'HCT proteggono da infezioni e recidive, ma sono anche coinvolte nella patogenesi della GVHD. Gli obiettivi del mio progetto di dottorato erano di migliorare la comprensione della ricostituzione delle cellule T e NK, utilizzando campioni di donatori sani e pazienti dopo il trapianto e diversi approcci tecnici (citometria a flusso, citometria di massa, sequenziamento dell'RNA e test funzionale ex vivo) e sviluppare nuove strategie immunoterapiche basate sui linfociti T e NK dopo HCT. In primo luogo, abbiamo dimostrato che un ritardo nel recupero dei linfociti T, un rapporto Treg/Tcon più elevato, un'aumentata espressione di PD-1 sui linfociti T di memoria e un arricchimento di cellule NK a fenotipo immaturo sono stati osservati dopo HCT aploidentico (aplo-HCT) con l’utilizzo di ciclofosfamide post-trapianto. Inoltre, la funzione delle cellule NK CD56brightCD16+ immature funzionalmente alterate dopo aplo-HCT può essere migliorata con l’utilizzo dell'interleuchina-15 in vitro. In secondo luogo, abbiamo avviato uno studio di fase I sulle cellule cytokine-induced memory-like (CIML) NK infuse da donatore haploidentico in pazienti con neoplasie mieloidi che hanno avuto una recidiva dopo aplo-HCT. Nei primi 6 pazienti arruolati, l'infusione di cellule CIML-NK ha portato a una rapida espansione in vivo da 10 a 50 volte, che è stata mantenuta per mesi. L'infusione è stata ben tollerata, con febbre e pancitopenia come eventi avversi più comuni. Sulla base di questi dati preliminari, le cellule CIML-NK possono fungere da piattaforma per il trattamento della recidiva post-trapianto delle patologie mieloidi. Infine, ci siamo concentrati sul bilanciamento della risposta dei linfociti T per controllare l’incidenza di GVHD. CD6, un recettore co-stimolatorio dei linfociti T, che aiuta a stabilizzare la sinapsi immunologica tra la cellula T e l'APC, dopo legame con il suo ligando, la molecola di adesione delle cellule leucocitarie attivate (ALCAM). In questo contesto, il legame CD6-ALCAM promuove l'attivazione, la proliferazione e la maturazione delle cellule T. Abbiamo dimostrato che le cellule T CD6 ricostituivano subito dopo il trapianto, con le cellule Treg che esprimono livelli inferiori di CD6 rispetto alle cellule Tcon e cellule T CD8+. Dopo l'insorgenza della aGVHD, l'espressione sia di CD6 che di ALCAM è stata mantenuta. Itolizumab ha inibito l'attivazione e la proliferazione delle cellule T CD4+ e CD8+ nell'ambito di aGVHD in esperimenti ex vivo, senza mediare l'attività citolitica diretta o la citotossicità anticorpo-dipendente. I nostri risultati identificano la via di CD6-ALCAM come potenziale bersaglio per il controllo dell'aGVHD. Uno studio di fase I/II che utilizza itolizumab come trattamento di prima linea in combinazione con steroidi per i pazienti con aGVHD è attualmente in corso. In conclusione, questi risultati evidenziano la necessità di bilanciare le proprietà effettrici e tolerogeniche del sistema immunitario che si ricostituisce dopo HCT e suggeriscono differenti strategie per promuovere o moderare le funzioni delle cellule T e NK.
Hematopoietic cell transplantation (HCT) represents a cardinal therapy for hematological malignancy otherwise incurable. However, HCT can be complicated by disease recurrence, graft versus host disease (GVHD) and infections. After HCT, reconstituting T and NK cells protect against infection and relapse, but they are also involved in the pathogenesis of GVHD. The aims of my PhD project were to improve the understanding of T and NK-cell reconstitution, using samples from both healthy donor and patients after transplant and different technical approaches (flow cytometry, mass cytometry, RNA sequencing, and ex vivo functional assay) and to develop post-transplant T and NK cell-based immunotherapeutic strategies. First, we showed that delayed early T-cell recovery, a higher Treg/ Tcon ratio, an increased PD-1 expression on memory T cells, and an enriched immature NK phenotype were observed after haploidentical HCT (haplo-HCT) with post-transplant cyclophosphamide. In addition, the expansion of functionally impaired immature CD56brightCD16+ NK cells after haplo-HCT can be enhanced with in vitro interleukin-15 priming. Second, we initiated a phase I trial of adoptively transferred cytokine-induced memory-like (CIML) NK cells in patients with myeloid malignancies who relapsed after haplo-HCT. In the first 6 enrolled patients, infusion of CIML NK cells led to a rapid 10- to 50-fold in vivo expansion that was sustained over months. The infusion was well tolerated, with fever and pancytopenia as the most common adverse events. Based on these preliminary data, CIML NK cells may serve as a promising platform for the treatment of posttransplant relapse of myeloid disease. Finally, we focused on the balancing of T cell response to control GVHD occurrence. CD6, a pan-T cell co-stimulatory receptor, helps to stabilize the immunological synapse between the T cell and the APC, upon ligation, with its ligand, activated leukocyte cell adhesion molecule (ALCAM). In this context, CD6-ALCAM binding promotes T cell activation, proliferation, maturation. We showed that CD6 T cells reconstituted early after transplant with Treg expressing lower levels of CD6 compared to Tcon and CD8+ T cells. After onset of aGVHD, both CD6 and ALCAM expression was maintained. Itolizumab inhibited CD4+ and CD8+ T cell activation and proliferation in the setting of aGVHD in ex vivo experiments, without mediate direct cytolytic activity or antibody-dependent cytotoxicity. Our results identify the CD6-ALCAM pathway as a potential target for aGVHD control. A phase I/II study using itolizumab as first line treatment in combination with steroids for patients with aGVHD is currently ongoing. In conclusion, these results highlight the need of balancing the effector and tolerogenic properties of the immune system reconstituting after HCT and suggest different strategies to enhance or moderate the T and NK cells functions.
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GUIDA, ANNALISA. « Decifrare la risposta immunitaria ai checkpoint inibitori e ricerca di nuovi biomarcatori nel carcinoma renale metastatico ». Doctoral thesis, Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, 2020. http://hdl.handle.net/11380/1201007.

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Résumé :
Nivolumab rappresenta attualmente uno standard per il trattamento di seconda linea del carcinoma renale metastatico (mRCC). E’ un anticorpo monoclonale IgG4 diretto contro programmed death-1 (PD-1) ed agisce inibendo il legame tra PD-1 e il suo ligando. Nella maggior parte dei pazienti, il farmaco ripristina la risposta immunitaria antitumorale T-mediata, migliorando la sopravvivenza e il tasso di rispsote obiettive. Tuttavia, in un certo numero di pazienti non si osserva una risposta al trattamento, motivando la crescente necessità di predire e incrementare il numero di pazienti responsive al trattamento con inibitori dei checkpoint immunitari. Il sistema immunitario rappresenta quindi un mediatore dell’attività del farmaco, suggerendo che l’equilibrio tra agenti regolatori positivi e negativi del sistema immunitario possono avere un ruolo chiave nell’efficacia terapeutica. Oggetto di attenzione sono fattori solubili coinvolti nel reclutamento e nella regolazione delle cellule T effettrici, i sottotipi di cellule T regolatorie e il rapporto tra cellule T effetrici e regolatorie. L’obiettivo principale del progetto è identificare biomarcatori sierici e immunitari in pazienti affetti da mRCC e trattati con Nivolumab per predire quali pazienti possono beneficiare del trattamento. E’ uno studio prospettico, longitdinale, su pazienti affetti da mRCC trattati con Nivolumab nella normale pratica clinica. Lo studio indaga le variazioni nei principali parametri immunitari nella popolazione in esame, attraverso l’analisi di prelievi ematici al basale e a distanza di 1, 2, 3, 6 ed eventualmente 12 mesi. Vengono prelevati 30 mL di sangue periferico da cui sono estratte le cellule perferiche mononucleate. Le cellule vengono conservate in azoto liquido. Vengono testati i seguenti anticorpi: CD3, CD4, CD8, CD25, CD127, FoxP3, ICOS, CXCXR6, CXCR3, CD95, CD45RA, CCR7, CD95, HLA-DR, CD38, CD28, CD27, CD71, CD87, CD39, TIM3, TIGIT, CCR4, Glycoforin, PD-1/IgG4, CD57, KI-67. Questa citometria a flusso multicolor viene analizzata in collaborazione con il Dr. Lugli (Humanitas Milano). I campioni vengono ottenuti attraverso un citometro a flusso BD Symphony. Per l’analisi dei dati viene utilizzato FlowJo 9.6 per MacOSX. Da gennaio 2016 a ottobre 2018 sono stati arruolati 21 pazienti. L’età media è di 60 anni (33-79). La maggiro parte dei pazienti ha un’istologia a cellule chiare (90%). Il Nivolumab è stato somministrato come terapia di seconda linea nel 59% dei casi e di terza linea nel 27% dei casi. Secondo International Metastatic Renal Cell Carcinoma Database Consortium Score (IMDC score) il 72% ha un rischio prognostico intermedio e il 14% ha un rischio prognostico sfavorevole. Con un follow up mediano di 14 mesi (min 2 max 31), il tasso di sopravvivenza a 6 e 12 mesi è rispettivamente del 74% (95%CI 48-88) e del 47% (95%CI 22-68). La mediana di sopravvivenza libera da progressione è di 4.2 mesi (95%CI 3-10). Un controllo di malattia è stato registrato in 8 pazienti (40%) definiti responder (R). Al momento dell’analisi il trattamento era in corso di 4 pazienti. Dati preliminari mostrano che KI67, marker di proliferazione, aumenta dopo 15 giorni di trattamento. Coerentemente anche HLA-DR e CD38 sono aumentati. La riattivazione del sistema immunitario è l’obiettivo del trattamento con Nivolumab. Auspichiamo di individuare marker facilmente misurabili predittivi di risposta al trattamento. Un follow up più lungo sarà necesario per confermare i dati preliminari.
Nivolumab represents the new second-line treatment for metastatic renal cell carcinoma (mRCC). This drug is a fully human IgG4 against PD-1 and his role is to inhibits programmed death-1 (PD-1)/PD-1 ligand 1 (PD-L1) immune checkpoint. In the majority of patients, this drug is able to restore the patient’s tumour-specific T-cell-mediated response thus improving both overall survival and objective response rate. However, a lack of clinical response occurs in a number of patients, raising questions about how to predict and increase the number of patients who receive long-term clinical benefit from immune checkpoint therapy. The requirement for the immune system as a mediator of the drug's activity suggests that the balance of positive and negative regulators of the immune response at the time of therapy may be critical for therapy efficacy. Of particular interest are soluble factors involved in the recruitment and regulation of effector T cells, the frequency of different subsets of regulatory T cells and the ratio between effector T cells and regulatory T cells. The main aim of this project is to identify immune and serum biomarkers that are modulated in patients with metastatic renal cell carcinoma during and treated with immune checkpoint inhibitors and that can discriminate patients who most likely benefit from such therapy. This is a prospective, longitudinal, study on patients with mRCC who will receive Nivolumab in standard clinical practice. The project investigates changes in main immune parameters in patients with mRCC treated with nivolumab by analysing blood samples at baseline and after 1, 2, 3, 6 and eventually 12 months. Thirty mL of blood were collected and peripheral blood mononuclear cells (PBMC) were isolated according to standard procedures. PBMC were stored in liquid nitrogen. Then, PBMC were thawed according to standard procedures and stained with a viability probe and the following antibodies recognizing: CD3, CD4, CD8, CD25, CD127, FoxP3, ICOS, CXCXR6, CXCR3, CD95, CD45RA, CCR7, CD95, HLA-DR, CD38, CD28, CD27, CD71, CD87, CD39, TIM3, TIGIT, CCR4, Glycoforin, PD-1/IgG4, CD57, KI-67. This 28-color multicolour flow cytometry panel was set up in collaboration with Dr. Lugli (Humanitas, Milan). Samples were acquired by using a BD Symphony flow cytometer. Compensation was set using single stained controls and gating strategy was checked by using FMO. Data analysis was performed using FlowJo 9.6 under Mac OSX. From January 2016 until October 2018 we enrolled 21 patients. The median age was 60 years (33-79). The majority of patients had clear cell histology (90%). Nivolumab was given as second-line therapy in 57% of patients, as third line therapy in 29% of cases. According with International Metastatic Renal Cell Carcinoma Database Consortium Score (IMDC score) 72% of patients were in the intermediate prognostic risk group and 14% in poor risk. With a median follow-up of 14 months (min: 2 max: 31), 6-months and 12-months survival rate were 74% (95%CI 48-88) and 47% (95%CI 22-68), respectively. Median progression-free survival (PFS) was 4.2 months (95% 3-10). Disease control was achieved in 8 patients (40%), defined responder (R). At time of analysis treatment was ongoing in 4 patients. Preliminary data on PBMC show that Ki-67, a marker of cell proliferation, is increased after 15 days of therapy in some patients. Accordingly, the expression of HLA-DR and CD38 are increased. Reactivation of the immune system is one of the main goals of nivolumab. We expect to identify easily measurable immune biomarkers that predict the responsiveness to nivolumab. Finding novel biomarkers that predict the response to therapy with nivolumab and monitor its efficacy can be of great benefit for the success of treatment. Longer follow up is required to assess preliminary immunological data.
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LO, TARTARO DOMENICO. « Melanoma metastatico e carcinoma renale : focus sul ruolo delle cellule T CD8+ nelle risposte agli inibitori dei checkpoint immunitari ». Doctoral thesis, Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, 2022. http://hdl.handle.net/11380/1278345.

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Résumé :
I linfociti T CD8 giocano un ruolo centrale nell’immunità al cancro mediante la loro capacità di uccidere le cellule maligne. Tuttavia, la prolungata esposizione agli antigeni nel microambiente tumorale contribuisce a indurre un grave esaurimento delle cellule T CD8 (Tex). Durante gli ultimi due decenni il trattamento del cancro è stato rivoluzionato dagli inibitori dei checkpoint immunitari (ICIs), che bloccano l’attività dei recettori inibitori, come il PD-1, presenti sulla superfice delle cellule Tex, rinvigorendole. Nonostante l’osservazione di risposte durature alla terapia ICI, non tutti i pazienti rispondono al trattamento. Abbiamo focalizzato la nostra attenzione sull'identificazione delle alterazioni che si verificano nei linfociti T CD8 circolanti di pazienti con melanoma metastatico (mM) e carcinoma renale metastatico (mRCC) durante il trattamento con anti-PD1, al fine di capire come e perché alcuni pazienti rispondono o no alla terapia. La prima coorte comprendeva 28 pazienti mM, 17 dei quali definiti responsivi (R) mentre 11 non responsivi (NR) alla terapia. La seconda coorte comprendeva invece 19 pazienti mRCC, 5 dei quali definiti responsivi (R) mentre 14 non responsivi (NR). I PBMC crioconservati, ottenuti prima dell'inizio della terapia (T0) dopo il primo (T1), secondo (T2) e terzo ciclo di terapia (T3), sono stati studiati mediante citometria a flusso a 30 parametri in combinazione con il sequenziamento dell'RNA a singola cellula (scRNA-seq) e analizzate utilizzando FAUST, un nuovo metodo non parametrico per la scoperta non supervisionata di popolazioni cellulari. Nei pazienti R con mM abbiamo riscontrato un aumento delle cellule effettrici di memoria (EM) proliferanti esprimenti alti livelli di Ki67, ICOS, CD95, HLA-DR, CD71, CD98, CXCR6, granulisina e CD38, sia prima che dopo il primo e il secondo ciclo di terapia. L’scRNA-seq ha rivelato la presenza delle cellule T invarianti associate alla mucosa (MAIT) attivate esprimenti il CD69 e CXCR4 e il loro aumento nei pazienti R rispetto ai NR, sia prima e dopo la terapia con ICI. Insieme all'aumento in percentuale abbiamo anche osservato una maggiore capacità delle MAIT nei pazienti R di produrre IFN-g e GRZM-B, solo al T0. L'analisi in silico di dataset pubblici ha rivelato la presenza delle MAIT all'interno delle lesioni primarie e metastatiche, e dopo terapia il loro livello era aumentato nelle lesioni che regredivano. Infine, abbiamo correlato il livello mediano delle cellule MAIT circolanti (1,7% delle cellule T CD8) con la risposta alla terapia. Utilizzando questo valore come soglia, i pazienti che presentavano una percentuale di MAIT al di sopra della soglia hanno mostrato una risposta migliore alla terapia. L’analisi delle cellule T CD8 dei pazienti con mRCC ha rivelato la presenza di 61 clusters. A causa del numero basso di pazienti che rispondono alla terapia, abbiamo trovato percentuali simili tra i clusters dei pazienti R e NR sia prima che dopo terapia. Tuttavia, analizzando insieme tutti i pazienti trattati con anti-PD1 (n=19), si osserva come la terapia abbia indotto una ridistribuzione di diverse sottopopolazioni di cellule T CD8. In particolare, le cellule T staminali di memoria (TSCM) sono diminuite dopo il terzo ciclo di terapia. Al contrario, le sottopopolazioni di cellule EM sono aumentate in percentuale dopo la terapia. In termini di funzionalità, abbiamo osservato che, se comparate con le cellule EM, le TSCM dopo la terapia perdono la capacità di proliferare sebbene mantengano una più alta polifunzionalità, producendo simultaneamente TNF e IFN-g. In conclusione, abbiamo fornito l’evidenza che i pazienti mM e mRCC rispondono in modo diverso alla terapia con anti-PD1, i primi sono caratterizzati da più alti livelli di cellule MAIT attivate nei pazienti R, mentre i secondi sono caratterizzati da un pool probabilmente esaurito di TSCM circolante.
CD8 T lymphocytes play a central role in immunity to cancer through their capacity to kill malignant cells. However, prolonged exposure to cognate antigens in tumor microenvironment contribute to induce severe CD8 T cell exhaustion (Tex). During the last decade cancer treatment has been revolutionized by immune check point inhibitors (ICIs) that block the activity of inhibitor receptors, such as PD-1 present on the surface of Tex cells, reinvigorating them. Despite observations of durable responses to ICI therapy, not all patients respond to the treatment. Therefore, we focused our attention on identifying alterations that occur in circulating CD8 T lymphocytes of metastatic melanoma (mM) and metastatic renal-cell carcinoma (mRCC) patients during treatment with anti-PD1, in order to understand how and why some patients respond or not to ICI therapy. The first cohort comprised 28 patients with mM, 17 of whom were defined responders (R) whereas 11 non-responders (NR). Cryopreserved PBMC, obtained prior to initiating therapy (T0) after the first (T1) and second therapy cycles (T2), was studied by 30 parameter high-dimensional flow cytometry in combination with single cell RNA-sequencing (scRNAsq). The second cohort comprised 19 patients with mRCC, 5 of which were defined responders (R) whereas 14 non-responders (NR). Cryopreserved PBMC, obtained prior to initiating therapy (T0) after the first (T1), second (T2) and third therapy cycle (T3), was studied by 28 flow cytometry and analyzed using FAUST, a novel non-parametric method for unsupervised discovery of cell population. In R patients we found an increase of proliferating effector memory (EM) cells expressing high level of Ki67, ICOS, CD95, HLA-DR, CD71, CD98, CXCR6, granulysin and CD38, both before and after first and second cycle of ICI therapy. scRNA-seq revealed the presence of activated mucosal associated invariant T (MAIT) cells expressing CD69 and CXCR4, and their increase in R compared to NR, before and after ICI therapy. Along with increased percentage of peripheral MAIT cells we also observed greater ability to produce IFN-g and GRZM-B in R patients, before starting therapy but not after. In silico analysis of public datasets revealed the presence of MAIT cells within primary and metastatic lesions and their increased level within lesions regressing after ICI. Finally, to associate our finding with clinical outcomes, we correlated the median level (1.7% of CD8 T cells) of circulating MAIT cells with the response to therapy. Using this value as a threshold, patients who exhibited MAIT frequency above the threshold showed a better response to therapy. Flow cytometry reveals that CD8 T cells from mRCC patients could be classified in 61 cell clusters. Due to the relatively low number of patients responding to therapy, we found similar percentages of clusters in R and NR at all timepoints. However, considering all patients treated with anti-PD1 (n=19), therapy induced a redistribution of different subpopulations of CD8 T cells. In particular, T stem cell memory (TSCM) decreased after the third cycle of therapy. On the contrary, the EM compartments increased after therapy. In terms of functionality, we observed that, if compared with EM, after therapy TSCM lost proliferative potential but retained more polyfunctionality, producing simultaneously TNF and IFN-g. In conclusion, we provide evidence that mM and mRCC patients differently respond to anti-PD1 therapy, the formers are characterized by more activated MAIT in R patients, while the latter are characterized by a pool of circulating likely-exhausted TSCM.
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CORTELLINI, ALESSIO. « Studio sul ruolo della storia familiare di neoplasie come fattore predittivo surrogato per l'immunoterapia con inibitori dei checkpoint immunitari PD-1/PD-L1 ». Doctoral thesis, Università degli Studi dell'Aquila, 2022. http://hdl.handle.net/11697/191960.

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Résumé :
Preliminary phase Background: Tumors related to inherited cancer susceptibility syndromes seem to have an "immune sensitive phenotype" due to DDR genes alterations. We investigated whether family history of cancer (FHC) could be used as surrogate predictor of clinical benefit for PD-1/PD-L1 checkpoint blockade. Methods: A multicenter retrospective study of advanced patients with cancertreated with PD-1/PD-L1 immunotherapy. FHC was collected for both lineal and collateral lines and patients were categorized as follow: FHC-high (in case of at least one cancer diagnoses in both the lineal and collateral family lines), FHC-low (in case of at least one cancer diagnoses, but in only one family line) and FHC-negative. Clinical endpoints of interest were overall survival (OS) and progression free survival (PFS) Results: 822 consecutive patients from 21 centres were enrolled, including non-small cell lung cancer (57.8%), melanoma (23.1%), renal cell carcinoma (16.2%), and others (2.9%). 458 patients (55.7%) were FHC-negative, 289 (35.2%) were FHC-low and 75 (9.1%) FHC-high, respectively. The median follow-up was 15.6 months. FHC-high patients achieved a significantly longer PFS (HR=0.69 [95%CI: 0.48-0.97], p = 0.0379) and OS (HR=0.61 [95%CI: 0.39-0.93], p = 0.0210), when compared to FHC-negative patients. After adjusting for the primary tumour, gender, age, treatment line, number of metastatic sites and ECOG-PS, FHC-high was confirmed an independent predictor for PFS (HR=0.64 [95%CI: 0.45–0.91], p=0.0148) and OS (HR=0.57 [95%CI: 0.37–0.88], p=0.0114). Secondary phase and translational exploratory analysis Methods: We present the outcomes analysis according to FHC in two large multicenter cohorts of patients with metastatic non-small cell lung cancer (NSCLC) receiving either first-line pembrolizumab (PD-L1 expression ≥ 50%) or first-line chemotherapy at 29 European institutions. Patients were categorized as FHC-high and non-FHC-high. To explore the association between somatic DDR genes alteration and FHC, we gathered relevant baseline clinic-pathologic information and targeted DNA tumour sequencing (FoundationOne CDx assay), from a parallel cohort of patients with NSCLC from the participating institutions. 24 genes of interest were selected (MLH1, MSH6, PMS2, ATM, ATR, CHEK1, CHEK2, BAP1, BARD1, BRCA1, BRCA2, BRIP1, PALB2, RAD51, RAD51C, RAD52, FANCA, FANCC, FANCG, FANCL, POLD1, POLE, ERCC4, XRCC2). Results: 728 and 652 patients were included in the pembrolizumab and chemotherapy cohort, respectively. Within the chemotherapy cohort 48.3% of patients received immunotherapy as later line. We performed a perfect random case-control matching between the two cohorts and 607 patients from each cohort were randomly paired on the basis of the FHC, age (< 70 vs. ≥ 70 years old), ECOG-PS (0-1 vs ≥ 2), and burden of disease (≥ 2 vs < two metastatic sites). As compared to FHC-low/negative patients, FHC high were confirmed to have a significantly longer OS (HR=0.67 [95%CI: 0.46-0.95], p = 0.0281), and PFS (HR=0.65 [95%CI: 0.48-0.89]; p = 0.0074) within the pembrolizumab cohort. On the contrary, no significant associations were found between FHC and OS (HR = 0.71 [95%CI: 0.49 – 1.03], p = 0.0756), PFS (HR = 0.52 [95%CI: 0.35 – 0.77], p = 0.0009), and DCR (69.7% vs 63.1%, p = 0.1202), within the chemotherapy cohort. Overall, 118 patients were included in the parallel DDR genes cohort, of which 20 FHC-high (16.9%) and 98 FHC-low/negative (83.1%). The prevalence of at least one DDR genes mutations was 20% (4/20) and 24.5% (24/74) for FHC-low/negative and FHC-high patients (p = 0.6684). Conclusions: FHC-high status identifies NSCLC patients with improved outcomes to pembrolizumab but not chemotherapy, suggesting its role as a surrogate marker for immunotherapy. Somatic DDR genes alterations are not associated with FHC and further prospective investigations with broader germline testing are warranted.
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SPAGNOLO, FRANCESCO. « Analisi fenotipica e funzionale dell’infiltrato linfocitario in biopsie di metastasi di melanoma, in pazienti in terapia con farmaci a bersaglio molecolare e/o inibitori dei checkpoint immunologici ». Doctoral thesis, Università degli studi di Genova, 2020. http://hdl.handle.net/11567/1009806.

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Résumé :
Le terapie a bersaglio molecolare (targeted therapies, TT) e l’immunoterapia con anticorpi immunomodulanti (immune checkpoint blockers, ICB) hanno rivoluzionato la terapia del melanoma metastatico (MM). Sebbene con utilizzo delle TT siano stati ottenuti tassi di risposta superiori al 70%, il tasso di recidiva e lo sviluppo di resistenze è ancora molto alto. Gli ICB, in particolare gli anticorpi monoclonali anti-PD-1, producono risposte durature, ma solo meno del 40% dei pazienti ottiene una risposta. La maggior parte dei pazienti trattati con questi farmaci va incontro a progressione della malattia dovuta a resistenza primaria o acquisita. Inoltre, poiché queste nuove terapie sono efficaci solo su una frazione di pazienti, vi è la necessità di identificare biomarcatori associati alla risposta. Gli obiettivi del presente studio sono: i) Identificare nuovi bersagli molecolari per la terapia del MM attraverso la caratterizzazione esaustiva in vitro e in vivo di mutazioni riscontrate nei campioni bioptici; ii) Correlare le varianti geniche di PD-1/PD-L1/PD-L2/CTLA-4 e il profilo immunologico (immunoscore) del microambiente tumorale, con la sopravvivenza (overall survival) dei pazienti sottoposti a targeted therapy (TT) e terapie immunomodulanti (ICB); iii) Analizzare gli effetti immunomodulanti esercitati dalle targeted therapies (TT) e dagli anticorpi monoclonali (ICB) sulle cellule NK e sulle interazioni NK-melanoma. Sono stati arruolati 48 pazienti con melanoma avanzato non pretrattato o resistente a precedente terapia con ICB o TT. Sono state analizzate 33 biopsie di metastasi di melanoma cutaneo appartenenti a 29 pazienti, trattati, secondo pratica clinica, con inibitori di BRAF e MEK e/o con anticorpi anti-PD-1. I risultati ottenuti indicano che l’espressione di TIM3 correla con i livelli di espressione di PD-1 in quanto è esclusivamente espresso dai T CD8+/PD-1 high, mentre sia GmzB che Eomes risultano espressi anche da cellule T CD8+/PD-1 low. Inoltre, le cellule T CD8+/PD-1 high mostrano anche una più alta espressione di Ki67 suggerendo che queste cellule sono in grado di proliferare all’interno del tumore. Inoltre, i linfociti T CD8+/PD-1 neg/low sono in grado di produrre sia IFN che TNF dopo stimolazione policlonale, mentre i linfociti T CD8+/PD-1 high producono bassi livelli di TNF, pur mantenendo la capacità di rilasciare IFN. La correlazione dell’infiltrato linfocitario con le varianti geniche di PD-1 e PD-L1 ha evidenziato un ruolo degli SNV PD1.5C>T e PD-L1C>T rs2297136 nel reclutamento, nelle biopsie cutanee, di linfociti T CD8+ esprimenti vari livelli di PD-1. In particolare, i genotipi portatori della variante allelica T+ modificano sia la percentuale di linfociti T CD8+ PD-1 high che l’intensità di espressione di PD-1 high (aumentate per il primo SNV e diminuite per il secondo rispettivamente), rispetto ai genotipi wild type.
Targeted therapies (TT) and immune checkpoint inhibitors immunotherapy (ICB) has dramatically changed the treatment of metastatic melanoma (MM). Although targeted therapy achieved a response rate as high as 70%, most patients ultimately develop resistance and progressive disease. Immune checkpoint inhibitors, especially with anti-PD-1 monoclonal antibodies, achieve durable responses, but in less than 40% of patients. The majority of patients receiving these treatments ultimately face progressive disease due to the development of primary of secondary resistance. Since only a fraction of patients achieve a durable benefit, the identification of predictive biomarkers is an unmet need. The objectives of our present study are: i) Identification of new molecular targets through the extensive in vitro and in vivo characterization of tumor biopsies; ii) Investigation of associations between PD-1/PD-L1/PD-L2/CTLA-4 variants and tumor microenvironment immunoscore with overall survival of patients receiving TT and ICB; iii) Analysis of the immune effects of TT and ICB on NK cells and their interaction with melanoma cells. Forty-eight patients with advanced melanoma were enrolled and 33 tumor biopsies from 29 patients were analyzed. Patients received TT and/or anti-PD-1 drugs. We observed that TIM3 expression is associated with PD-1 expression, as it is exclusively expressed in CD8+/PD-1 high T cells, while both GmzB and Eomes are also expressed by CD8+/PD-1 low cells. Moreover, CD8+/PD-1 high T cells show a higher Ki67 expression, suggesting that these cells may proliferate within the tumor. CD8+/PD-1 neg/low T cells are able to produce both IFN and TNF after polyclonal stimulation, while CD8+/PD-1 high cells produce low levels of TNF, maintaining the ability to release IFN. The association between PD-1/PD-L1 variants with immune infiltrate highlighted the role of PD1.5C>T and PD-L1C>T rs2297136 SNV in CD8+ cells recruiting. In particular, genotypes harboring the allelic variant T+ modify both the rate of CD8+ PD-1 high cells and the intensity of PD-1 high expression, compared with wild type genotypes.
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