Littérature scientifique sur le sujet « Campi di prigionia in Italia »

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Articles de revues sur le sujet "Campi di prigionia in Italia"

1

Padovese, Giulia. « I "disertori" di Caporetto nelle memorie di alcuni militari lombardi (1917-1919) ». STORIA IN LOMBARDIA, no 1 (septembre 2022) : 48–93. http://dx.doi.org/10.3280/sil2022-001002.

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Résumé :
Nonostante l'elevato numero di uomini coinvolti, vicende personali e socio-politiche portarono a "relegare nell'ombra" la memoria della prigionia vissuta da migliaia di soldati italiani durante la Grande guerra, riscoperta solo intorno alla fine del secolo scorso, grazie, in particolar modo, alla possibilità di analizzare documenti contenenti forme di scrittura popolare raccolti e conservati all'interno di archivi pubblici e privati. Prendendo in esame fonti edite e inedite, viene quì ricostruita l'esperienza di prigionia vissuta da alcuni soldati di origine lombarda (Angelo Rognoni, Giuseppe Resegotti, Giulio Salaroli e Carlo Colombo), dalla cattura a Caporetto fino al ritorno in Italia, descrivendo le terribili condizioni di vita all'interno dei campi dell'Impero austro-ungarico e della Germania, in particolar modo in quello di Cellelager, destinato ai soli ufficiali, e soffermandosi a riflettere sull'importanza della memoria e sui motivi che portarono a "dimenticare" tali avvenimenti.
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Nitti, Paolo. « The sanitary emergency and language teachers’ training needs in Italy ». Form@re - Open Journal per la formazione in rete 21, no 3 (31 décembre 2021) : 59–68. http://dx.doi.org/10.36253/form-10261.

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Résumé :
Language teaching represents one of the language sciences that can be regarded as applicative. The teaching of modern languages is a discipline that is intrinsically interconnected with other disciplines and, from the moment it was scientifically recognized on the epistemological level, it has been characterized by a keen interest and affinity towards the technologies. This essay showcases the results of a survey conducted on a sample of teachers on the effects of the pandemic on language teaching in Italy. L’emergenza sanitaria e i bisogni formativi dei docenti di lingua in Italia. La didattica delle lingue rappresenta una delle scienze del linguaggio di carattere applicativo. La glottodidattica inoltre è una disciplina interconnessa intimamente con altri campi del sapere e, fin dai primi momenti di autonomia sul piano dello statuto epistemologico, con la tecnologia. Questo contributo permette di analizzare i risultati di un’indagine condotta su un campione rappresentativo di insegnanti in merito agli effetti della pandemia sull’insegnamento delle lingue in Italia. L’emergenza sanitaria e i bisogni formativi dei docenti di lingua in Italia La didattica delle lingue rappresenta una delle scienze del linguaggio di carattere applicativo. La glottodidattica inoltre è una disciplina interconnessa intimamente con altri campi del sapere e, fin dai primi momenti di autonomia sul piano dello statuto epistemologico, con la tecnologia. Questo contributo permette di analizzare i risultati di un’indagine condotta su un campione rappresentativo di insegnanti in merito agli effetti della pandemia sull’insegnamento delle lingue in Italia.
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Insolvibile, Isabella. « Soldati contadini. I prigionieri di guerra italiani in Gran Bretagna 1941-1946 ». ITALIA CONTEMPORANEA, no 260 (février 2011) : 425–37. http://dx.doi.org/10.3280/ic2010-260004.

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Résumé :
Tra il 1941 e il 1946 piů di 155.000 soldati italiani, catturati sui fronti africani, vennero detenuti in Gran Bretagna come prigionieri di guerra e costituirono un'importantissima fonte di manodopera per l'economia britannica. Essi vennero impiegati per lo piů in agricoltura e ospitati in campi di prigionia disseminati in ogni angolo del paese. Non sempre furono utilizzati secondo i dettami della Convenzione di Ginevra, tuttavia si puň ritenere la loro esperienza una delle meno dure tra quelle vissute dai prigionieri di guerra del secondo conflitto mondiale. Gli italiani continuarono a essere considerati prigionieri nonostante l'armistizio e la cobelligeranza, e rimasero in Gran Bretagna fino al tardo 1946, sia pur coinvolti negli schemi di un'ambigua "cooperazione". Il saggio, attraverso l'analisi di un'ampia documentazione proveniente da archivi italiani e britannici, ripercorre le tappe di una vicenda poco affrontata dalla storiografia e che rappresenta, invece, un importante tassello in un discorso complessivo sulla cattivitŕ durante la seconda guerra mondiale.
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Motti, Riccardo, et Massimo Ricciardi. « La flora dei Campi Flegrei (Golfo di Pozzuoli, Campania, Italia) ». Webbia 60, no 2 (janvier 2005) : 395–476. http://dx.doi.org/10.1080/00837792.2005.10670783.

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Tenconi, Massimiliano. « Note sul campo per prigionieri di guerra n. 57 di Grupignano 1941-1943 ». ITALIA CONTEMPORANEA, no 266 (septembre 2012) : 96–102. http://dx.doi.org/10.3280/ic2012-266005.

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Résumé :
Nel corso della seconda guerra mondiale sull'intero territorio italiano crebbe il numero dei campi di concentramento per i prigionieri catturati durante le operazioni belliche sui vari fronti. Da circa 60, con 26.000 prigionieri, nella primavera del 1942, essi diventarono 72 (molti dei quali articolatisi nel frattempo in svariati sottocampi di lavoro), con poco meno di 80.000 prigionieri, alla vigilia dell'armistizio. Se la storiografia ha alquanto trascurato il tema generale dei prigionieri di guerra in Italia, sia per quanto riguarda le condizioni in cui essi vissero sia per quanto riguarda le strutture e i meccanismi burocratici attraverso cui vennero gestiti, tuttavia una significativa attenzione č stata rivolta alla realtŕ di singoli campi. Questo breve studio illustra quella del campo di Grupignano (campo Pg 57), riservato in prevalenza a prigionieri australiani e neozelandesi, basandosi soprattutto su fonti primarie e secondarie straniere, e vuole dare un contributo alla costruzione dell'atlante concentrazionario della penisola nel periodo del secondo conflitto mondiale.
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Marinelli, Maurizio, et Wessie Ling. « Italianerie : transculturality, co-creation and transforming identities between Italy and Asia ». Modern Italy 24, no 4 (novembre 2019) : 363–67. http://dx.doi.org/10.1017/mit.2019.57.

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Résumé :
Questo numero speciale di Modern Italy contiene sette saggi di studiosi internazionali sui rapporti tra l'Italia e l'Asia. L'attenzione primaria è sulla transculturalità, la co-creazione, il fascino e la reinvenzione dell'Italia in Asia (o dell'Asia in Italia) in settori e campi nodali quali l'architettura, il cinema, la letteratura, la moda, la comunicazione digitale, la storia e la geografia.
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Guma, Tullio. « Un nostos “diplomatico” : i miei tanti ritorni ». Italian Canadiana 35 (18 août 2021) : 109–16. http://dx.doi.org/10.33137/ic.v35i0.37221.

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Il nostos era il ritorno degli eroi greci dai campi di battaglia. L'altra faccia della medaglia del nostos era la nostalgia per le persone care ed i luoghi di origine che non si vedevano da molti anni. Lo stesso struggente sentimento è provato dagli emigrati, dai rifugiati che desiderano un giorno ritornare al loro Paese. Anche Tullio Guma è per certi versi un emigrato avendo vissuto più anni all’estero che non in Italia: da bambino ed adolescente, durante i quarant'anni trascorsi in diplomazia, dopo il pensionamento. Egli infatti risiede tuttora a Toronto. Egli ha vissuto in molti Paesi ed ha effettuato tanti ritorni, mai definitivi. Mete dei suoi rientri in Italia sono stati Napoli e Roma. Ogni volta che a distanza di anni tornava in Italia, osservava i numerosi cambiamenti che erano nel frattempo intervenuti. È sempre felicissimo di tornare in Italia, ma anche in Canada e negli altri Paesi ove ho risieduto. Resta da vedere se Tullio Guma compirà un giorno il ritorno “definitivo”. Già, ma in Italia o in Canada?
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Iannaccone, Antonio, et Beatrice Ligorio. « La Situated Cognition in Italia : stato dell’arte ». Swiss Journal of Educational Research 23, no 3 (1 décembre 2001) : 439–52. http://dx.doi.org/10.24452/sjer.23.3.4613.

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Résumé :
L’articolo esamina i contributi teorico-metodologici ed empirici che caratterizzano la presenza della Situated Cognition in Italia. Muovendo dagli spunti culturali che ne hanno agevolato la diffusione nel panorama della psicologia italiana, la rassegna individua tre principali campi applicativi nei quali poter collocare le ricerche ispirate alla prospettiva situata. Si tratta dei contesti educativi, dei contesti sociali e comunicativi ed infine dei contesti tecnologici. Dall’analisi complessiva delle ricerche emergono alcuni elementi comuni alle diverse opzioni metodologiche ed empiriche e, contemporaneamente, la notevole potenzialità euristica ed applicativa di tale pros-pettiva.
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Inghilleri, Paolo. « Una visione aperta : la psicologia transculturale ». RICERCHE DI PSICOLOGIA, no 1 (mai 2021) : 217–26. http://dx.doi.org/10.3280/rip1-2021oa11631.

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Résumé :
Il contributo evidenzia il ruolo di Marcello-Cesa Bianchi e dell'Istituto di Psicologia della Facoltà Medica dell'Università degli Studi di Milano nella nascita della moderna psicologia e psicoterapia transculturale in Italia. Attraverso ricerche sul campo in differenti culture, l'elaborazione teorica e il confronto con altre discipline come la psicologia evoluzionistica e l'antropologia, la scuola di Cesa-Bianchi apre nuove prospettive nei diversi campi della psicologia culturale. Di particolare interesse è la riflessione metodologica che integra l'approccio quantitativo della psicologia scientifica con i metodi di ricerca qualitativi delle scienze umane.
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Renzo, Chiara. « "Attraversarono il mare su terra asciutta" : gli ebrei di Libia nei campi profughi in Italia e nel regime internazionale dei rifugiati (1948-1949) ». ITALIA CONTEMPORANEA, no 295 (mai 2021) : 193–221. http://dx.doi.org/10.3280/ic295-oa1.

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Résumé :
La fondazione dello Stato di Israele nel 1948 portò a una significativa riduzione della presenza ebraica nei campi profughi italiani. Tuttavia, questo segnò anche l'inizio di un'imprevista ondata migratoria che tra il 1948 e il 1949 portò circa 8.000 ebrei dalla Libia, che giungevano nella penisola nel tentativo di ricevere assistenza internazionale per emigrare in Israele. Questo contributo prende in esame le ragioni che hanno portato gli ebrei di Libia a raggiungere clandestinamente i campi profughi in Italia, il ruolo delle organizzazioni ebraiche e sioniste e lo scenario in cui si è articolata la risposta dell'umanitarismo internazionale a questa emergenza.L'autrice mette in evidenza come una visione eurocentrica intrinsecamente radicata nel regime internazionale dei rifugiati vigente all'epoca abbia privato gli ebrei in fuga dalla Libia dello status di displaced persons.
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Thèses sur le sujet "Campi di prigionia in Italia"

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Insolvibile, Isabella. « I prigionieri alleati in Italia, 1940-1943 ». Doctoral thesis, Università degli studi del Molise, 2021. http://hdl.handle.net/11695/100604.

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Résumé :
Il presente lavoro di tesi ricostruisce, sulla base di un’ampia documentazione italiana, britannica, svizzera e vaticana, l’esperienza di cattività dei prigionieri alleati (English speaking) in Italia tra 1940 e 1943. La tesi è suddivisa in nove capitoli, preceduti da un’introduzione e seguiti da conclusioni di tipo intepretativo. Nel primo capitolo si delineano le modalità della cattura dei soldati nemici al fronte, perlopiù africano, e la loro detenzione nei campi di transito, con il successivo trasferimento in Italia. Nel secondo sono descritti gli enti, nazionali, nemici e neutrali, che si occuparono dei prigionieri alleati in mani italiane, dalla potenza protettrice alla Croce Rossa Internazionale, all’italiana Commissione interministeriale per i prigionieri di guerra, al Vaticano. Nel terzo capitolo sono esaminati i vari tipi di campo presenti sulla penisola (di transito, concentramento, lavoro e punizione), nella loro diversa tipologia e collocazione territoriale. Nel quarto capitolo si descrivono le grandi problematiche che quei prigionieri si trovarono ad affrontare in Italia, cioè soprattutto la fame, il freddo e le malattie. Nel quinto capitolo si esamina l’impiego dei prigionieri alleati in lavori a favore dei propri detentori, in ambito agricolo ma non solo. Nel sesto capitolo si affrontano le cosiddette condizioni “psicologiche e morali” dei prigionieri, attraverso l’analisi della loro corrispondenza, i disagi patiti, i rapporti con i commilitoni e con i detentori e i vari tentativi di gestire il malessere provocato dallo stato prolungato di cattività. Nel settimo capitolo si descrivono le forme di protesta dei prigionieri, i reati da loro commessi e, soprattutto, le fughe e le evasioni dai campi che, ben lungi dall’essere un’attività di tipo ludico, come ha non di rado sostenuto una certa narrazione, anche in Italia provocarono ferimenti e decessi tra i prigionieri. I crimini di guerra e le violazioni della Convenzione di Ginevra sono l’argomento dell’ottavo capitolo. Il nono, invece, racchiude il tema degli scambi dei prigionieri, perlopiù malati o feriti, tra l’Italia e le potenze nemiche, e quello della “grande fuga” dai campi successiva all’armistizio. Gli argomenti trattati, grazie al sostegno di un ricco apparato di fonti, archivistiche e memorialistiche, messe continuamente a confronto, ricostruiscono un quadro di eventi finora inedito per la storiografia italiana e internazionale, che vengono interpretati nel contesto, ampio e complesso, della cattività militare durante il secondo conflitto mondiale.
The PhD thesis concerns the Allied captivity in Italy in 1940-1943 thanks to many Italian, British, Swiss and Vatican archival sources (the Prisoners of War – henceforth PoWs - concerned are just English speaking PoWs). The thesis is divided into 9 chapters forerun by an Introduction and followed by a Conclusion. In the first chapter, the PoWs’ capture on the African frontline, their detention in the transit camps and the following transfer to Italy are debated. In the second chapter, the topic concerns the Italian, enemy and neutral institutions that dealt with Allied Pows in Italian hands, from the Protecting Power to the International Committee of the Red Cross, to the Italian Commissione interministeriale per i prigionieri di guerra, to the Holy See. In the third chapter, the different types of Italian camps (transit, concentration, working and punishment camps) are reconstructed. In the fourth chapter, the topics are the big problems that PoWs had to face in Italy, above all the hunger, the cold and the sicknesses. In the fifth chapter, the work of the prisoners for their Italian holder, above all in farming, is examined. In the sixth chapter, the PoWS “psychological and moral conditions” are examined by the analysis of their letters home, the suffered discomfort, the relationships with the comrades and the enemies, the attempts to manage the too long captivity. In the seventh chapter, the PoWS’ protests and complaints, the crimes committed by them (in their detaining power opinion) and above all their escapes are examined. The escapes were really “not a sport”, as some interpretation has been narrating for a long period: actually, they caused injuries and deaths among the prisoners, also in Italy. War crimes and violations of the Geneve Convention from the Italian detaining power are the issues of the eighth chapter. The last chapter debates the topic of the prisoners’ exchanges between their holders and the issue of the “big escape” of the Allied Pows after the armistice of September 1943. The general topic of this research, thanks to a big apparatus of archival and biographical sources used comparatively, provides a previously unknown context of events, new for the Italian and for the international historiography.
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Becattini, Chiara. « Storia della memoria di quattro ex campi di transito e concentramento in Italia e in Francia 1945-2012 ». Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2017. http://hdl.handle.net/11577/3423241.

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Résumé :
The aim of my research is to analyse, following a comparative approach, the political, social and cultural processes that mainly have influenced the transformation of concentration and transit camps in lieux de mémoire in Italy and France. In particular, I will study four of them: the Rice mill of San Sabba in Trieste, Fossoli’s camp and the Museum Monument to the Political and Racial Deportee in Carpi, Drancy and Natzweiler-Struthof’s camps. In Postwar, the marginality of their role in European collective memory strongly contrasts with their relevance in Nazi concentration camp system. Although, they have become important references for national identity, comforting graves for families where they could mourn the victims, monumental palimpsests where History is told to the public, but also touristic attractions similar to other historical monuments. This research is not only about the transformation of the four former camps into sites of memory, but also it will analyse their role in local, national and European collective memory.
Questa ricerca si propone di ricostruire attraverso un approccio comparativo i processi politici, sociali e culturali che hanno maggiormente influito nella trasformazione dei campi di concentramento in luoghi della memoria in Italia e in Francia, attraverso l'analisi di quattro casi di studio: la Risiera di San Sabba a Trieste, il campo di Fossoli e il Museo Monumento al Deportato politico e razziale a Carpi, Drancy a Parigi e Natzweiler-Struthof nei pressi di Strasburgo. Alla loro centralità nella rete delle deportazioni ideata dai nazisti, corrisponde per contrasto una rilevanza “periferica” rispetto ai lieux de mémoire europei più conosciuti. Tuttavia, questi luoghi hanno ottenuto molteplici significati, divenendo importanti riferimenti per la costruzione identitaria nazionale, tombe consolatorie per i vivi consentendo l’elaborazione del lutto, opere monumentali entrate a far parte della storia dell’architettura, strumenti di divulgazione della storia, ma anche attrazioni turistiche al pari di altri monumenti storico-artistici di una città. Tra gli obiettivi di questa ricerca non vi è soltanto l’approfondimento della storia della loro trasformazione in luoghi della memoria, ma anche l’analisi del ruolo che essi hanno assunto nella memoria collettiva locale, nazionale ed europea, con uno sguardo al loro possibile avvenire.
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Miele, Roberto. « Analisi del degassamento di CO2 diffuso dal suolo presso la Solfatara di Pozzuoli (Napoli, Italia) : Misura, mapping e quantificazione del flusso totale ». Bachelor's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2015. http://amslaurea.unibo.it/9172/.

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Résumé :
Il presente lavoro ha come obiettivo la descrizione dello studio del degassamento diffuso di CO2 (acquisizione dei dati e loro trattazione) effettuato nell'area vulcanica dei Campi Flegrei (NA), nello specifico nell'area della Solfatara di Pozzuoli. Questo infatti rappresenta attualmente il punto di massimo rilascio di fluidi ed energia dell'intero Distretto Vulcanico Flegreo attraverso attività quali fumarole e degassamento diffuso dal suolo, nonché deformazioni del terreno (bradisismo). Tramite l'acquisizione dei valori di flusso diffuso e delle temperature dei primi 10 cm di suolo, attraverso una trattazione dei dati statistica e geostatistica, è stato possibile distinguere e caratterizzare le sorgenti di CO2 (biologica o vulcanica), la realizzazione di sviluppo di mappe di probabilità e di flusso medio e la quantificazione dell'output totale giornaliero di CO2. Il lavoro è stato suddiviso in due fasi principali: 1. La prima fase ha riguardato l'acquisizione dei dati sul campo nei giorni 19 e 20 marzo 2015, tramite l'utilizzo di una camera d'accumulo ed un termometro munito di sonda, in 434 punti all'interno del cratere della Solfatara e nelle aree circostanti. 2. Nella seconda fase sono stati elaborati i dati, utilizzando il metodo statistico GSA (Graphical Statistic Approach) ed il metodo geostatistico della simulazione sequenziale Gaussiana (sGs). Tramite il GSA è stato possibile ripartire i dati in popolazioni e definire una media (con relativa varianza) per ognuna di esse. Con la sGs è stato possibile trattare i dati, considerando la loro distribuzione spaziale, per simulare valori per le aree prive di misurazioni; ciò ha permesso di generare delle mappe che mostrassero l'andamento dei flussi e la geometria della struttura del degassamento diffuso (Diffuse Degassing Structure, DDS; Chiodini et al., 2001). Infine i dati ottenuti sono stati confrontati con i risultati di precedenti studi e si è messo in relazione la geometria e l'intensità di degassamento con la geologia strutturale dell'area flegrea indagata.
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ZAFFARONI, LORENZO GIUSEPPE. « La Legittimazione Artistica della Fotografia in Italia ». Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2021. http://hdl.handle.net/10280/96755.

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Résumé :
Attraverso un ampio studio di campo, il contributo propone un'analisi sociologica della fotografia in Italia e della sua parziale legittimazione artistica. Prendendo in considerazione sia lo sviluppo storico del campo della fotografia artistica in Italia che la sua condizione contemporanea, lo studio si concentra sui processi attraverso cui diversi attori e istituzioni promuovono la legittimità e lo status della fotografia come arte. Combinando la sociologia dell'arte e dei processi culturali con gli studi organizzativi, la ricerca sviluppa un quadro interpretativo che delinea la relazione tra legittimazione, categorizzazione sociale e processi di valutazione culturale. La ricerca, adottando la metodologia della Constructivist Grounded Theory, raccoglie e analizza diverse fonti: interviste faccia a faccia con fotografi, critici, storici, curatori, galleristi, direttori di musei e collezionisti italiani; note etnografiche raccolte durante l'osservazione partecipante di vari eventi di arte e fotografia, come festival, fiere, presentazioni, visite a musei e aperture di gallerie; risultati d'asta (2009-2020) e analisi di mercato disponibili; dati secondari, come libri di storia e opere critiche sulla fotografia italiana, documenti di archivio e comunicati stampa. I risultati mostrano che la fotografia in Italia sta ancora lottando per assicurarsi uno statuto di forma d'arte legittima a causa di processi storici e dinamiche socio-economiche che rafforzano il confine simbolico tra il mondo professionale della fotografia e quello legittimo dell'arte contemporanea. Rispetto ad altri paesi europei, il campo della fotografia artistica è emerso tardi, solo alla fine degli anni '70, in seguito all'emergere di tre spazi di opportunità favorevoli, in particolare la crisi del fotogiornalismo italiano. Di conseguenza, i membri del campo della fotografia artistica hanno sviluppato strategie di mobilitazione delle risorse e di teorizzazione di un'ideologia legittimante ancora in fase di sviluppo. Inoltre, il contributo teorizza tre processi di legittimazione che, agendo in combinazione tra loro, stabiliscono le condizioni per la completa legittimazione della fotografia come arte: differenziazione, emulazione e sublimazione. Questi processi, discussi alla luce di esperienze empiriche di legittimazione sia completa che parziale, mostrano che il campo della fotografia occupa una posizione di "inclusione segregata" all'interno delle istituzioni artistiche, poiché persiste ancora una contestata identificazione della fotografia come arte.
Through an in-depth field study, this thesis provides a sociological analysis of photography in Italy and its partial artistic legitimation. Taking into account both the historical development of the field of art photography in Italy and its contemporary condition, the study focuses on the processes through which different actors and institutions promote the legitimacy and status of photography as art. Combining the sociology of art and cultural processes to organisation studies, the study develops an interpretative framework that spells out the relationship between legitimation, social categorisation and cultural evaluation processes. Adopting the Constructivist Grounded Theory methodology, the research collects and analyses different sources: face-to-face interviews with photographers, critics, historians, curators, gallery owners, museum directors and Italian collectors; ethnographic notes collected during participant observation of various art and photography events, such as festivals, fairs, presentations, museum visits and gallery openings; auction data (collected from 2009 to 2020) and extant market analyses; secondary textual data, such as history and critical works on Italian photography, archival records and press releases. The results show that photography in Italy is still struggling to secure its status as a legitimate art form due to historical processes and socio-economic dynamics that reinforce the symbolic boundary between the professional world of photography and the legitimate world of contemporary art. Compared to other European countries, the field of artistic photography emerged late, only at the end of the 1970s, following the emergence of three favourable opportunity spaces, notably the crisis of Italian photojournalism. As a result, members of the field of artistic photography developed strategies of resource mobilisation and theorisation of a legitimising ideology that are still ongoing today. In addition, the contribution theorises three processes of legitimation which, acting in combination with each other, establish the conditions for the complete legitimation of photography as art: differentiation, emulation and sublimation. These processes, discussed in the light of empirical experiences of both full and partial legitimation, show that the field of photography occupies a position of "segregated inclusion" within art institutions, as a contested identification of photography as art still persists.
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ZAFFARONI, LORENZO GIUSEPPE. « La Legittimazione Artistica della Fotografia in Italia ». Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2021. http://hdl.handle.net/10280/96755.

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Résumé :
Attraverso un ampio studio di campo, il contributo propone un'analisi sociologica della fotografia in Italia e della sua parziale legittimazione artistica. Prendendo in considerazione sia lo sviluppo storico del campo della fotografia artistica in Italia che la sua condizione contemporanea, lo studio si concentra sui processi attraverso cui diversi attori e istituzioni promuovono la legittimità e lo status della fotografia come arte. Combinando la sociologia dell'arte e dei processi culturali con gli studi organizzativi, la ricerca sviluppa un quadro interpretativo che delinea la relazione tra legittimazione, categorizzazione sociale e processi di valutazione culturale. La ricerca, adottando la metodologia della Constructivist Grounded Theory, raccoglie e analizza diverse fonti: interviste faccia a faccia con fotografi, critici, storici, curatori, galleristi, direttori di musei e collezionisti italiani; note etnografiche raccolte durante l'osservazione partecipante di vari eventi di arte e fotografia, come festival, fiere, presentazioni, visite a musei e aperture di gallerie; risultati d'asta (2009-2020) e analisi di mercato disponibili; dati secondari, come libri di storia e opere critiche sulla fotografia italiana, documenti di archivio e comunicati stampa. I risultati mostrano che la fotografia in Italia sta ancora lottando per assicurarsi uno statuto di forma d'arte legittima a causa di processi storici e dinamiche socio-economiche che rafforzano il confine simbolico tra il mondo professionale della fotografia e quello legittimo dell'arte contemporanea. Rispetto ad altri paesi europei, il campo della fotografia artistica è emerso tardi, solo alla fine degli anni '70, in seguito all'emergere di tre spazi di opportunità favorevoli, in particolare la crisi del fotogiornalismo italiano. Di conseguenza, i membri del campo della fotografia artistica hanno sviluppato strategie di mobilitazione delle risorse e di teorizzazione di un'ideologia legittimante ancora in fase di sviluppo. Inoltre, il contributo teorizza tre processi di legittimazione che, agendo in combinazione tra loro, stabiliscono le condizioni per la completa legittimazione della fotografia come arte: differenziazione, emulazione e sublimazione. Questi processi, discussi alla luce di esperienze empiriche di legittimazione sia completa che parziale, mostrano che il campo della fotografia occupa una posizione di "inclusione segregata" all'interno delle istituzioni artistiche, poiché persiste ancora una contestata identificazione della fotografia come arte.
Through an in-depth field study, this thesis provides a sociological analysis of photography in Italy and its partial artistic legitimation. Taking into account both the historical development of the field of art photography in Italy and its contemporary condition, the study focuses on the processes through which different actors and institutions promote the legitimacy and status of photography as art. Combining the sociology of art and cultural processes to organisation studies, the study develops an interpretative framework that spells out the relationship between legitimation, social categorisation and cultural evaluation processes. Adopting the Constructivist Grounded Theory methodology, the research collects and analyses different sources: face-to-face interviews with photographers, critics, historians, curators, gallery owners, museum directors and Italian collectors; ethnographic notes collected during participant observation of various art and photography events, such as festivals, fairs, presentations, museum visits and gallery openings; auction data (collected from 2009 to 2020) and extant market analyses; secondary textual data, such as history and critical works on Italian photography, archival records and press releases. The results show that photography in Italy is still struggling to secure its status as a legitimate art form due to historical processes and socio-economic dynamics that reinforce the symbolic boundary between the professional world of photography and the legitimate world of contemporary art. Compared to other European countries, the field of artistic photography emerged late, only at the end of the 1970s, following the emergence of three favourable opportunity spaces, notably the crisis of Italian photojournalism. As a result, members of the field of artistic photography developed strategies of resource mobilisation and theorisation of a legitimising ideology that are still ongoing today. In addition, the contribution theorises three processes of legitimation which, acting in combination with each other, establish the conditions for the complete legitimation of photography as art: differentiation, emulation and sublimation. These processes, discussed in the light of empirical experiences of both full and partial legitimation, show that the field of photography occupies a position of "segregated inclusion" within art institutions, as a contested identification of photography as art still persists.
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RESIDORI, Sonia. « «Nessuno è rimasto ozioso» : campi di concentramento e prigionieri austro-ungarici in Italia durante la Grande Guerra (1915-1918) ». Doctoral thesis, 2017. http://hdl.handle.net/11562/957759.

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Résumé :
Nel corso del primo conflitto mondiale, il numero crescente dei prigionieri di guerra obbligò i Paesi belligeranti a passare dai depositi allestiti in strutture già esistenti, come caserme e fortezze, alla costruzione di campi di concentramento secondo criteri più moderni, edificando agglomerati di baracche in legno o in pie-tra. In un’ottica di gestione economica degli uomini, i prigionieri di guerra costituirono ben presto una risorsa fondamentale per lo sforzo bellico e il lavoro fu reso divenne obbligatorio per tutti i prigionieri. In Italia l’avvio avvenne con cautela per il timore di ledere la manodopera locale, ma ben presto si sviluppò un vero e proprio sistema organizzato di lavoro forzato che modellò la struttura dell’internamento militare e in breve agricoltura e indu-stria, settore privato e quello pubblico si contesero l’assegnazione delle centurie di prigionieri. Dopo la sconfitta di Caporetto, le inevitabili ripercus¬sioni tolsero i prigionieri dal lavoro per l’economia del Paese, per mandarli come manodopera in zona di guerra, dove divennero vere e proprie truppe di seconda linea al fronte. Al pari degli altri stati belligeranti, il governo italiano decise di perseguire la politica della divisione delle nazionalità con la creazione di veri e propri campi di concentra-mento dove, attraverso la propaganda, si formarono reparti di prigionieri di guerra appartenenti alle nazionalità “oppresse” da affiancare, a vario titolo (legioni ar-mate o squadre di avvicinamento o servizio di infiltrazione), all’esercito italiano. Dopo l’armistizio del 4 novembre 1918, l’afflusso massiccio di prigionieri austro-ungarici, mal ridotti e affamati, mise in grande difficoltà la struttura concentrazio-naria italiana, evidenziando le incapacità di taluni singoli, prontamente sostituiti, e i contrasti tra l’autorità politica e quella militare. I prigionieri scontarono la preca-ria situazione con fame, freddo e malattie epidemiche (tifo petecchiale e malaria), ma anche la volontà punitiva dei vincitori. Lo Stato italiano, infatti, mentre asse-gnava razioni alimentari di rappresaglia a guerra terminata, negò sempre ostina-tamente il permesso di visitare le proprie strutture ai rappresentanti della Croce rossa non solo ungherese e austriaca, ma anche quella internazionale di Ginevra.
During the First World War, the increased demand for an organized space where to lock up the growing number of prisoners of war, lead the warring countries to upgrade their existing military buildings. Hundreds of captives were not detained in barracks and fortresses, but in a new type of military constructions: the con¬centration camps, composed of clusters of buildings made of wooden shanties or stone. From an economic management point of view, prisoners of war soon be¬came a resource for the war effort, thanks to the imposition of forced labour to the detainees. Despite a cautious launch of this practice, mainly for the fear of undermining the local workforce, Italy soon developed an organized system of forced labour, that deeply affected the military internment structure. Quickly, agriculture and indus¬try, private and public sectors competed for the allocation of prisoners. After the defeat of Caporetto, the Italian state moved the prisoners from the coun¬tryside to the line of battle, where they became second-line troops. As the other belligerent states, the Italian government decided to pursue the division of nation¬alities policy: in the concentration camps inmates were divided by nationality and formed through propaganda, in order to be used aside of the Italian army, as armed legions, approach teams or infiltration services. After the armistice of the 4th November 1918, the massive flow of the Austro-Hungarian prisoners, often starved and in bad conditions, created several prob¬lems to the Italian concentration camps, pointing out the incapacity of certain in¬dividuals, promptly replaced, and the contrasts between the political and the mili¬tary authorities. The prisoners had to endure starvation, cold and epidemics (as ty-phus and malaria), beside the punitive wish of the winners. The Italian State, in¬deed, after the war kept assigning small food rations, as reprisal, to the inmates. Moreover, it obstinately denied the permission of visit to the representatives of the Red Cross, both national (Hungarian and Austrian) and international (Geneva).
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MISCIOSCIA, SARA. « Chiuse fuori. Storie di devianza e discriminazioni delle donne rom in Italia, fuori e dentro il carcere ». Doctoral thesis, 2017. http://hdl.handle.net/11573/1011876.

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Résumé :
La donna rom incarna in una sola persona tutti i peggiori stereotipi negativi tipici delle società occidentali. Con queste premesse, non stupisce che le romnià siano così presenti nelle cronache sulla devianza femminile, negli istituti di pena minorili e nelle carceri. Il titolo della tesi, “chiuse fuori”, è teso ad indicare le condizioni di esclusione e preclusione, oltre che di reclusione, che queste donne vivono. Dalle informazioni quantitative che ho raccolto è emerso che un terzo delle detenute di Rebibbia è rom, così come il 95% delle madri dei reparti nido e il 60-80% delle ragazze che transitano dal circuito penale minorile. In Europa, come mostrerò, con i rom avviene quello che negli Stati Uniti accade con neri e latinoamericani: “la prigione diviene così un prolungamento-sostituto del ghetto”, come evidenzia Loic Wacquant. Oltre ad essere sovrarappresentate negli istituti di pena le donne rom sono di fatto chiuse fuori dalla nostra società, vivono in insediamenti ghettizzanti, non hanno documenti d’identità e di soggiorno, sono quotidianamente discriminate. Alcuni rom entrano negli istituti di pena ancora prima di nascere, quando sono nella pancia delle loro mamme. Altri trascorrono i loro primi tre anni di vita in carcere e poi vi tornano per i colloqui, una volta a settimana. Alcuni entrano negli istituti di pena a quattordici anni, quando la legge italiana li riconosce imputabili. Quando arrivano a Rebibbia, molte donne rom hanno già avuto esperienze di detenzione e ritrovano parenti e vecchie amicizie. Ho conosciuto una donna che ha incontrato sua figlia a Rebibbia dopo anni, perché la mancanza di permesso di soggiorno non aveva reso possibili le visite e solo la comune detenzione ha potuto riportarle nuovamente vicine. In carcere la mancanza della famiglia si sente, ed è il dolore più grande. Fuori dal carcere la mancanza delle donne detenute è forte e costringe riassetti familiari dolorosi. “Qui è dura, -ha riferito una donna intervistata- adesso siamo in quattro, hanno tolto una rete, prima eravamo in cinque, io sto con due rom e con una di colore. Poi lo sai cos’è, conosci persone... tutte cose diverse no? È brutto stare qua dentro, perché è brutto, però il tempo passa così, parlando, si gioca a carte, una cucina, una fa la doccia, ti guardi un film un giorno, piangi un giorno, ridi, è così la vita qua dentro. Io l’unica cosa che mi fa paura che quando esco fuori da qui è come dovrò riprendere i rapporti con i miei figli, che sono arrabbiati con me. E mi fa male, mi fa veramente male.” La ricerca svolta ha come tematica centrale lo studio della situazione delle donne rom detenute a Rebibbia, per realizzare tale studio ho frequentato il carcere, a fasi alterne, per quasi due anni. Ho realizzato interviste e focus group, ho seguito la maggior parte dei momenti della quotidianità delle donne detenute ed ho avuto numerosi confronti con il personale che lavora nell’Istituto. Parallelamente ho seguito la situazione dei rom fuori dal carcere, ho incontrato le donne che finivano il periodo di reclusione, ho frequentato i campi e monitorato costantemente le progettualità e gli eventi che sono successi negli ultimi anni. Ho inoltre deciso di approfondire la ricerca anche sulla situazione dei minori che transitano dal circuito penale minorile attraverso interviste e focus group ai giovani ed agli operatori. Nel testo ho cercato di introdurre chi legge nel complesso tema della devianza femminile rom a piccoli passi iniziando col raccontare il mio percorso personale di studio e lavoro e spiegando la cornice teorica nella quale ho cercato di inquadrare la ricerca. Il cammino attraverso il quale ho voluto condurre il lettore in carcere è volutamente lento ed ha un andamento a spirale, le storie descritte sono complesse e in questo modo ho cercato di scongiurare i pericoli dei percorsi ripidi e veloci che rischiano di far cadere nella trappola del sensazionalismo mediatico o degli slogan. Prima di entrare in carcere ho voluto far ripercorrere il tragitto storico che ha condotto i rom nell’attuale condizione accompagnando chi legge attraverso le mappe dei luoghi e delle politiche per i rom, collocati sempre ai margini, chiusi fuori. Per disporre in una dimensione storica e geografica la condizione delle donne rom detenute ho quindi deciso di dedicare la prima parte della tesi alla storia dei rom ed all’evoluzione dello stereotipo dello “zingaro criminale” in Europa. Per inquadrare la situazione generale dei rom in Italia e a Roma in particolare ho riservato il secondo capitolo alla descrizione delle condizioni di vita fuori dal carcere, raccontando la storia dei campi e l’evoluzione delle progettualità sull’inclusione delle popolazioni romanì. Inquadrare in senso diacronico e spaziale la situazione è importante perché, come mostrerò, queste premesse strutturano e distinguono le attuali condizioni delle donne rom conducendole, mano nella mano, in carcere. I due capitoli centrali sono stati dedicati alla descrizione delle storie di vita e della quotidianità dei minori e delle donne transitati dal circuito penale italiano. Ho raccontato i percorsi che hanno portato alla condizione di devianza, le progettualità presenti nel carcere, i rapporti fra le detenute ed i contatti con le famiglie. Nella parte conclusiva, ho approfondito i temi dell’antiziganismo seguendo principalmente gli studi di Piasere, ho poi analizzato l’immagine dei rom nei mass media, nei discorsi politici e fra le giovani generazioni attraverso la ricerca diretta nelle scuole e sul web. Infine ho parlato della tendenza a sopperire alle mancanze dello stato sociale attraverso lo stato penale, citando principalmente gli studi di Wacquant. La ricerca sulle romnià in carcere mi ha permesso di osservare le popolazioni rom in una prospettiva nuova e interessante. La dimensione “ristretta” offre un’immagine speculare ribaltata di quelle che sono le rappresentazioni dei rom nella diffusa opinione pubblica. Se fuori sono criminali, asociali, sporchi, scansafatiche, problematici e inclini a non rispettare le leggi, in carcere le romnià sono le detenute che hanno commesso reati meno gravi, quindi le “meno criminali fra i criminali”, sono le più instancabili al lavoro, collaborative, socievoli e benvolute dalle altre detenute, sono affettuose e attaccate ai figli, mai soggette a rapporti disciplinari, mantengono le celle pulite, sono poco interessate dal fenomeno delle dipendenze e da tutto ciò che ne consegue, non hanno mai commesso omicidi e non sono mai entrate nelle sezioni del 41 bis. I rom commettono prevalentemente reati contro il patrimonio, soprattutto furto e rapina. Le interviste che ho raccolto confermano questo dato e fanno emergere un fenomeno che sembra particolarmente diffuso: in molti casi il reato effettivamente commesso è meno grave di quello che viene imputato e scontato, come nel caso dei semplici furti che diventano rapine aggravate. Gli indicatori di cui disponiamo sulla condizione dei rom e sinti che entrano nel circuito penale mostrano che essi non solo sono fortemente discriminati rispetto agli italiani, ma ricevono anche un trattamento peggiore di quello solitamente riservato agli stranieri. "Il carcere per i ragazzi rimane fortunatamente una extrema ratio -spiega Antigone- sebbene meno estrema per i rom, per i giovani immigrati e per coloro che provengono dalle fasce deboli della società". Un caso particolarmente emblematico riguarda le ragazze rom, che rappresentano la quasi totalità delle detenute degli istituti di pena minorili. Queste minori sono detenute non perché hanno commesso reati più gravi delle coetanee che invece riescono ad uscire dal circuito penale, si trovano in un istituto detentivo nella maggioranza dei casi, perché non hanno una situazione socio-familiare che corrisponda ai requisiti per assegnare una misura diversa dalla carcerazione. Gli stranieri e i rom vengono condannati più spesso degli italiani e hanno periodi di detenzione cautelare più lunghi. Inoltre, la carenza di prospettive legali di permanenza sul territorio italiano rischia di vanificare qualsiasi percorso di inserimento sociale avviato durante i periodi di detenzione o misure cautelari. Secondo Wacquant, la carcerazione non riguarda solo chi commette un reato, ma anche gli homeless, i vagabondi, i poveri, i migranti. La concomitanza tra ridimensionamento del settore sociale e accrescimento del settore penale non deriva da mutamenti della povertà o della criminalità, ma è alimentata da una politica del risentimento nei confronti di categorie sociali considerate immeritevoli e indisciplinate, prime fra tutte quelle dei beneficiari di assistenza pubblica e dei criminali di strada che diventano immagini-simbolo. Le popolazioni romanì rientrano perfettamente in queste categorie. Negli Istituti penitenziari italiani ed europei, la sovrarappresentazione di rom e stranieri risulta ancor più marcata in riferimento al genere femminile e ai minori. Interessante il termine usato da Re, che riconduce il problema ad una “discriminazione strutturale” di tali soggetti dovuta sia alle modalità di intervento delle istituzioni penali, sia alla condizione di esclusione nella quale essi si trovano a vivere. "La giustizia penale opera una selezione sociale individuando come utenti privilegiati i minori appartenenti alle categorie più disagiate. Questa discriminazione strutturale è collegata ad una generale trasformazione sociale. Le grandi città del centro-nord ospitano un gran numero di migranti che si insediano nelle periferie e subiscono un processo di ghettizzazione. Questo fenomeno raggiunge il massimo livello con i campi rom”. Sarebbe però riduttivo limitare il concetto di povertà solo alla questione economica. A caratterizzare queste persone, come evidenziato da Campesi, è soprattutto l’isolamento sociale e culturale di cui sono vittime, le difficoltà di accesso ai servizi pubblici e la scarsa qualità delle condizioni abitative. La risposta penale in senso repressivo è frutto di una cultura che tende a colpevolizzare gli individui per la loro condizione disagiata piuttosto che elaborare progetti politici e sociali a loro favore. Le popolazioni rom e le donne rom in particolare sono escluse dalla nostra società. Sono “chiuse fuori”.
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LANCIANO, Nicoletta. « L’analisi delle concezioni e l’osservazione in classe : strumenti per la definizione degli obiettivi educativi e delle strategie pedagogiche per l’insegnamento dell’Astronomia nella scuola elementare in Italia ». Doctoral thesis, 1997. http://hdl.handle.net/11573/490320.

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Tesi presentata in italiano e in francese e stampata in proprio - Dall'analisi delle concezioni relative ai corpi celesti e ai fenomeni astronomici di base, già presenti in letteratura per allievi di età 6-11, vengono analizzati i diversi campi di esperienza relativi alla Terra, il Sole, la Luna, le stelle e i pianeti, mettendono in evidenza le peculiarità rispetto alle difficoltà di percezione, modellizzazione e concettualizzazione. La ricerca sperimentale è basata su 5 anni di osserazioni controllate in classi dei una scuola di Chieti Scalo, per evidenziare gli elementi didattici che permettono l'evoluzione di tali concezioni e i livelli di maggiore complessitài raggiunti nei diversi campi di esperienza.
Thesis presented in Italian and French The analysis of the concepts related to celestial bodies and astronomical phenomena, already present in the literature for 6-11 students, are evaluated various experience fields (the Earth, the Sun, the Moon, stars and planets), with the peculiarities and the difficulties of perception, conceptualization and modeling. The experimental research is based on 5 years of observations in classes of a school of Chieti Scalo, to highlight the didactic elements that allow the evolution of these concepts and levels of greater complexity achieved in the various fields of experience.
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BRIGADOI, COLOGNA DANIELE. « L'immigrazione cinese nell'Italia fascista ». Doctoral thesis, 2017. http://hdl.handle.net/11573/1182478.

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Sulla base di un'estesa ricerca d'archivio, svolta sia archivi nazionali e locali sia in Italia che in Cina, si sono ricostruite e documentate le origini del principale fenomeno migratorio cinese radicatosi in Italia e in altri paesi dell'Europa continentale a partire dagli anni Venti del Novecento, quello dei migranti originari dell'entroterra di Wenzhou, nella regione costiera del Zhejiang. Alla ricerca d'archivio si è affiancata una ricerca sul campo nei villaggi d'origine degli emigranti cinesi in Cina, con la consultazione degli archivi storici locali e dei registri genealogici dei principali lignaggi protagonisti della migrazione. La documentazione raccolta, in massima parte inedita, ha consentito di compendiare la letteratura di riferimento in cinese e in altre lingue esistente sulle origini dell'immigrazione cinese in Europa facendo luce sul caso italiano, finora relativamente poco conosciuto. Dato che questa migrazione si è sviluppata e radicata nel contesto nazionale durante il regime fascista, il punto di partenza per la ricerca è stata la ricostruzione dell'identità delle persone cinesi insediatesi in Italia a partire dalla documentazione che il regime raccolse ai fini del controllo dei cinesi residenti sul territorio del Regno e, durante la Seconda guerra mondiale, ai fini dell'internamento di buona parte di loro in campi di concentramento. Nel corso della ricerca d'archivio è stato possibile reperire un certo numero di lettere scritte dagli internati, la cui traduzione ha permesso di comprendere meglio diversi aspetti della loro prigionia e delle loro vicissitudini precedenti all'internamento. Sulla scorta della ricerca svolta, si è potuto dimostrare che le migrazioni successive dal Zhejiang verso l'Italia del dopoguerra si sono innestate su quelle di una o due generazioni prima, coinvolgendo persone originarie dei medesimi villaggi, e appartenenti ai medesimi lignaggi, di chi era emigrati prima della Seconda guerra mondiale. Malgrado buona parte dei cinesi presenti in Italia al termine del secondo conflitto mondiale abbia scelto di essere rimpatriata nel 1946, un centinaio circa di loro scelse di rimanere, sposandosi con donne italiane e costituendo i principali nuclei della presenza cinese in Italia nei decenni a venire, soprattutto nelle città di Milano, Bologna, Genova, Torino, Roma e Firenze. Filo conduttore della ricostruzione storica sono non soltanto i documenti d'archivio, ma anche una ricca scelta di articoli di giornale tratti soprattutto dalle pagine di due quotidiani a tiratura nazionale: Il Corriere della Sera di Milano e la Stampa di Torino. L'identificazione di oltre il 60% dei cinesi internati in campi di concentramento ha permesso il riscontro puntuale e preciso con le fonti d'archivio cinesi, consentendo l'individuazione dei villaggi di provenienza e anche di formulare alcune ipotesi rispetto alle dinamiche migratorie e di costruzione d'impresa. La formazione delle prime attività economiche gestite da imprenditori cinesi è stata documentata a partire dai dati dell'archivio storico della Camera di Commercio di Milano, consentendo di tratteggiare la fisionomia del primo distretto etnico della lavorazione della finta pelle nel capoluogo lombardo. Alcuni tratti caratteristici del modello imprenditoriale cinese degli anni Trenta e Quaranta si preserveranno sostanzialmente intatti fino agli anni Ottanta, quando si riattiveranno pienamente i flussi migratori dal Zhejiang all'Europa.
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Livres sur le sujet "Campi di prigionia in Italia"

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Prigionieri di guerra e campi di prigionia per militari alleati in Italia, 1940-1945 (Conference) (2018 : Fontanellato, Italy), dir. Prigionieri in Italia : Militari alleati e campi di prigionia (1940-1945). Parma : MUP, 2021.

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Visani, Claudio. Arriver'a quel giorno... : Lettere dal fronte e dai campi di prigionia, 1943-1945. Bologna : Pendragon, 2000.

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Visani, Claudio. Arriverà quel giorno-- : Lettere dal fronte e dai campi di prigionia, 1943-1945. Bologna : Edizioni Pendragon, 2000.

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Gambella, Alfredo. Ospite di sua maestà britannica : Dalla Cirenaica ai campi di prigionia in India, 1940-1943. Gorizia, Italy] : LEG, 2012.

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Benedetti, Marcello. Mori e la 2a guerra mondiale : Racconti dei moriani sui bombardamenti, dai fronti e dai campi di prigionia. Mori (TN) : La grafica, 2005.

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Chiaramonte, Fabrizio. Un marconista della Regia Aeronautica : Francesco Chiaramonte nella Seconda trasvolata atlantica, nelle manifestazioni aeree, in A.O.I., nei campi di prigionia in Africa e nel dopoguerra. [Vicchio] : LoGisma editore, 2020.

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Ceretta, Mario. Lager "Dora" - Nordhausen : Diario di prigionia (1943-1944). Padova : CLEUP, 2020.

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Appunti di prigionia, 1943-1945. Foligno (Perugia) : Editoriale umbra, 2005.

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La prigionia di guerra in Italia 1915-1919. Milano : Mursia, 2004.

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10

Gherardini, Gabriele. Morire giorno per giorno : Gli italiani nei campi di prigionia dell'URSS. Milano : Mursia, 2007.

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