Thèses sur le sujet « Antifosfolipidi »

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Bortolati, Maria. « L’aferesi nel trattamento della Sindrome da Anticorpi Antifosfolipidi e del Blocco Cardiaco Congenito Autoimmune ». Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2009. http://hdl.handle.net/11577/3425605.

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Résumé :
Introduction. Apheresis techniques can be a valuable treatment option for life-threatening autoimmune disorders. This study describes and discusses some apheresis protocols in the treatment of high risk Antiphospholipid Syndrome (APS) pregnancies, Catastrophic Antiphospholipid Syndrome (CAPS) and autoimmune Congenital Heart Block (CHB). Plasma exchange and immunoadsorption in high risk APS pregnancies. A second-line treatment protocol including apheresis in addition to the standard therapies was scheduled and utilized in our hospital with the intent of improving the outcome of high risk pregnancies of women with primary Antiphospholipid Syndrome (APS). Between April 1991 and January 2008, 159 pregnancies of patients with APS were followed by us. Thirteen pregnancies of 9 patients were thus followed using apheretic technique, which has undergone modification over the years. In the cases studied the outcome of pregnancy varied according to the different apheretic treatment conditions. This study suggests that prophylactic apheretic treatment administered along with full anticoagulation and intravenous immunoglobulins therapy could be a valuable therapeutic option in high risk pregnant APS women. Plasma exchange in CAPS. CAPS is a rare, life-threatening variant of APS. It has been found that the recovery rate is best when the treatment protocol includes anticoagulants, steroids and therapeutic plasma-exchange (TPE). The treatment of CAPS with TPE is not, however, well defined as procedure modalities have not yet been standardized, and the best replacement fluid for TPE is still a controversial issue. Although the most commonly used one, fresh frozen plasma (FFP), contains natural anticoagulants, it is also made up of clotting factors, complement activation products and cytokines which could worsen CAPS’ “thrombotic storm”. The successful management of 4 CAPS patients, including TPE sessions initiated in the 1st week from diagnosis and using albumin solution as the replacement fluid, is described here. TPE was performed daily for the first 3 days, then tapered off, and withdrawn on the basis of patient's clinical condition. One of the patients was also treated with anticoagulants, while the others received anticoagulants plus high doses of steroids in addition to TPE. Our results indicate that, when initiated promptly and albumin solution is used as the replacement fluid, TPE can be considered an effective, safe treatment for CAPS. Plasma exchange in autoimmune CHB. The features of 9 non-autoimmune and 36 autoimmune CHB fetuses were analyzed and compared. Among anti-SSA/SSB-negative cases only 3 blocks were complete in utero and 4 blocks were unstable. Death occurred in 3 cases, but never in utero; 6 infants were paced. Among anti-SSA/SSB-positive cases all except two had complete block in utero. Ten babies died; another developed severe dilated cardiomyopathy; 26 children were paced. Autoimmune blocks were more often stable and complete, with an overall worse prognosis. A case of autoimmune CHB treated with TPE in addition to steroid treatment has been described. Our experience, in agreement with some other reports, suggests that this treatment might counteract progression of the disease. Conclusion. Our study emphasizes the benefits of apheresis in the treatment of high risk APS pregnancies, CAPS and autoimmune CHB. However the apheretic technique should be differentiated according to the clinical features of patients.
Introduzione. Le tecniche di aferesi rappresentano una valida scelta terapeutica nel trattamento di malattie autoimmuni gravate da una prognosi severa. In questo studio vengono descritti e discussi alcuni protocolli terapeutici di aferesi finalizzati al trattamento delle gravidanze ad alto rischio nelle pazienti con Sindrome da Antifosfolipidi (APS), della Sindrome da Antifosfolipidi Catastrofica (CAPS) e del Blocco Cardiaco Congenito (CHB) di tipo autoimmune. La plasmaferesi e l’immunoadsorbimento nelle gravidanze di donne con APS ad alto rischio. Nel nostro studio è stato messo a punto e usato un protocollo di trattamento di secondo livello comprendente l’aferesi associata alle terapie convenzionali, nell’intento di prevenire le complicanze gravidiche nelle donne affette da APS primaria ad elevato rischio. Sono state seguite 159 gravidanze di donne affette da APS nel periodo aprile 1991-gennaio 2008. In 13 gravidanze di 9 pazienti sono state applicate tecniche di aferesi quali la plasmaferesi e l’immunoadsorbimento, secondo modalità che sono state modificate nel corso degli anni sulla base dell’esperienza acquisita nel trattamento dei singoli casi. I risultati ottenuti suggeriscono che un adeguato trattamento aferetico in associazione con anticoagulazione a dose terapeutica e immunoglobuline endovena potrebbe rappresentare una valida opzione terapeutica nella prevenzione e nel trattamento delle complicanze gravidiche in donne con APS ad alto rischio. La plasmaferesi nel trattamento della CAPS. La CAPS è una variante rara dell’APS gravata da un’elevata mortalità. Il protocollo di trattamento più efficace comprende l’utilizzo di anticoagulanti, steroidi e plasmaferesi. Tuttavia le modalità del trattamento aferetico della CAPS non sono ben standardizzate; in particolare è controversa la scelta del liquido di sostituzione più adatto. Il plasma fresco congelato è attualmente il fluido di rimpiazzo maggiormente utilizzato; se da un lato esso contiene anticoagulanti naturali, dall’altro è però anche ricco di fattori della coagulazione, prodotti di attivazione del complemento e citochine che potrebbero aggravare lo stato trombofilico del paziente. Abbiamo trattato con risultato favorevole 4 casi di CAPS; le sedute aferetiche sono iniziate durante la prima settimana dalla diagnosi ed è stata utilizzata una soluzione di albumina come liquido di sostituzione. Il trattamento era eseguito giornalmente per 3 giorni e poi diradato e sospeso quando le condizioni cliniche del paziente lo consentivano. Una donna era trattata anche con anticoagulanti mentre le altre 3 ricevevano oltre agli anticoagulanti alte dosi di cortisone. I nostri risultati suggeriscono che la plasmaferesi, iniziata tempestivamente e con l’albumina come rimpiazzo, può essere considerata un trattamento efficace e sicuro nei pazienti con CAPS. La plasmaferesi nel CHB autoimmune. La casistica dello studio comprendeva 9 casi di CHB non autoimmune e 36 di CHB autoimmune, le cui caratteristiche cliniche sono state tra loro confrontate. Nel gruppo di casi non correlati ad anticorpi anti-SSA/SSB materni erano presenti 3 blocchi completi in utero e 4 blocchi erano instabili. Il decesso si è verificato in 3 casi, sempre dopo la nascita; a 6 bambini è stato applicato il pace-maker. I casi associati ad anticorpi anti-SSA/SSB materni presentavano tutti un blocco cardiaco completo in utero, tranne 2. Sono deceduti 10 di questi bambini, uno ha sviluppato una miocardiopatia dilatativa e 26 sono stati sottoposti ad applicazione di pace-maker. Il blocco autoimmune è risultato più spesso stabile e completo e legato ad una prognosi complessivamente peggiore rispetto a quello non autoimmune. In considerazione della severità prognostica del CHB autoimmune la madre di un feto con blocco incompleto riscontrato alla 22^ settimana gestazionale è stata trattata con plasmaferesi in aggiunta alla terapia steroidea convenzionale, ottenendo un arresto dell’evoluzione del blocco e la nascita di una bambina con CHB incompleto e senza segni di scompenso cardiaco. La nostra esperienza, che concorda con quella di alcune segnalazioni in letteratura, suggerisce che il trattamento aferetico potrebbe contrastare la progressione della malattia. Conclusioni. Il nostro studio mette in evidenza i benefici dell’aferesi nel trattamento delle gravidanze ad alto rischio nelle pazienti con APS, della CAPS e del CHB di tipo autoimmune. La modalità di esecuzione di tale terapia dovrebbe essere adeguata alle caratteristiche cliniche del singolo paziente.
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Olivieri, Silvia. « Gli autoanticorpi nella sclerosi sistemica e nella sindrome da antifosfolipidi : significato clinico e ruolo patogenetico ». Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2010. http://hdl.handle.net/11577/3427555.

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Résumé :
SUMMARY This thesis, carried out in the Thrombosis and Haemostasis laboratory of the University Medical Center of Utrecht and the Laboratory of Genetics + the Laboratory of the Immunopatology, of the Rheumatology Unit, the latter two of the of University Padua, refers to studies on two topics: the first concerns Systemic sclerosis (SSc) and the second antiphospholipid syndrome (APS). The aims of the study were initially to investigate the clastogenic effect on DNA, confirmed by the presence of micronuclei (MN) (the protective cellular mechanisms normally used to stabilize DNA breaks), and the frequency of apoptosis in patients with systemic sclerosis (SSc). We then analyzed the effect of utilizing two cut-off values when anticardiolipin antibodies are being classified and the clinical significance of anti lysobisphosphatidic acid (LBPA) antibodies. The results obtained in patients with SSc demonstrated that there is a higher frequency of MN only in the anticentromere (ACA) and antitopoisomerase I (ATA) antibody positive patients. There is, moreover, a clastogenic effect on DNA and an interference in the protective cellular mechanisms normally stabilizing DNA breaks in both groups of patients. The presence of apoptotic cells in cultures of circulating lymphocytes was investigated using the TUNEL (terminal deoxynucleotidyl transferase-mediated deoxyuridine triphosphate nick end labeling) technique. The mean frequency of apoptotic lymphocytes was statistically higher in the anti RNA polymerase III (ARA) positive patients than in the control population and ACA and ATA positive patients. According to these data, it would see that the lymphocytes of ARA patients are more prone to apoptosis than those of ACA and ATA patients, probably due to a different type of cell damage or to a different perception of cell damage in ACA, ATA, and ARA positive subjects. Our studies on protein C (APC) resistance in APS demonstrated that phospholipid binding is not essential to generate APC resistance in APS. With reference to our studies on anticardiolipin antibody cut-off values, we found that the 99th percentile seems more sensitive than the > 40 GLP units value for APS classification as it includes subjects with aCL positivity alone as well as patients with pregnancy morbidity. Finally, the clinical value of anti-LBPA antibodies in patients with primary APS was evaluated and on the basis of our results we cannot define it a further marker for APS diagnosis and in differentiating the clinical and laboratory subsets of this disease.
La tesi comprende due tipi diversi di ricerca: uno riguardante la sclerosi sistemica (SSc) e l’altro la sindrome da anticorpi antifosfolipidi (APS). Il lavoro è stato svolto in parte presso il “Thrombosis and Haemostasis laboratory of the University Medical Center of Utrecht”, in parte presso il laboratorio di Genetica dell’Università di Padova e principalmente presso il laboratorio di Immunopatologia della Cattedra di Reumatologia dell’Università di Padova. Inizialmente lo scopo dello studio è stato quello di approfondire alcuni aspetti genetici della SSc come la formazione di micronuclei (MN), le rotture instabili del DNA e l’apoptosi dei linfociti nei pazienti con SSc. Successivamente è stato indagato il meccanismo patogenetico della trombosi nell’APS attraverso lo studio della resistenza alla proteina C attivata. Sono stati poi valutati l’influenza clinica dei diversi valori di cut-off nella determinazione degli anticorpi anticardiolipina e il significato clinico di un particolare anticorpo antifosfolipide specifico per l’acido lisobisfosfatidico (LBPA). I risultati ottenuti studiando i pazienti affetti da SSc indicano che, solo nei pazienti positivi per anticentromero (ACA) e anti-topoisomerasi I (ATA) è presente un significativa prevalenza di MN, indice di danno cromosomico. Inoltre solo in questi due gruppi di pazienti esiste una interferenza nel meccanismo di protezione normalmente utilizzato dalle cellule per stabilizzare le rotture a doppio filamento del DNA. I sieri di questi pazienti sono stati utilizzati anche per calcolare, tramite la tecnica TUNEL (terminal deoxynucleotidyl transferase-mediated deoxyuridine triphosphate nick end labeling), la frequenza di linfociti apoptotici. I linfociti dei pazienti anti-RNA polimerasi III (ARA) positivi sono risultati più soggetti ad apoptosi rispetto a quelli dei pazienti ACA e ATA positivi; ciò può essere dovuto a un diverso danno cellulare o ad una diversa percezione dello stesso danno cellulare tra pazienti ARA, ACA e ATA positivi. Quando abbiamo approfondito la resistenza della proteina C attivata nell’APS abbiamo dimostrato che non è necessario il legame diretto degli anticorpi con i fosfolipidi di membrana per determinare l’aumento della resistenza alla proteina C attivata. Per quanto riguarda l’influenza dei differenti valori di cut-off degli anticorpi anticardiolipina abbiamo osservato che nella classificazione dell’APS il cut-off > 99° percentile è più sensibile di quello >40 GPL. Esso consente infatti di individuare un maggior numero di pazienti con singola positività per aCL e/o con impegno ostetrico esclusivo. Infine, lo studio del significato clinico degli anticorpi anti-LBPA in pazienti con sindrome da antifosfolipidi primaria ha dimostrato che tali anticorpi al momento non possono essere considerati uno strumento utile alla diagnosi dell’APS e nella distinzione dei diversi sottogruppi clinici e di laboratorio della malattia.
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Ciprian, Manuela. « Fattori di rischio per il primo evento trombotico in soggetti positivi per anticorpi antifosfolipidi. Studio multicentrico, prospettico, di follow-up ». Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2010. http://hdl.handle.net/11577/3423201.

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Résumé :
RISK FACTORS FOR A FIRST THROMBOTIC EVENT IN ANTIPHOSPHOLIPID ANTIBODY CARRIERS. A MULTICENTRE, PROSPECTIVE, FOLLOW-UP STUDY Background. Antiphospholipid syndrome (APS) is defined by the persistent presence of antiphospholipid antibodies (aPL) in the blood in association with thrombotic events and/or pregnancy morbidity. Several studies have recently endeavoured to identify the predictors of thrombotic events in aPL carriers, but substantial differences in study designs, patient selection criteria, aPL profiles and risk factors make it is difficult to draw any conclusions. Objectives. To asses risk factors for first thrombotic events in aPL positive carriers and to evaluate the efficacy of prophylactic treatments. Methods. The study included patients/subjects attending 11 Rheumatologic Centres belonging to the network of the APS Study Group of the Italian Society of Rheumatology. The inclusion criteria were the following: age between 18 and 65 years and no history of thrombosis. The laboratory criteria were: two consecutive, positive aPL tests carried out, in accordance with the Sydney criteria, at least 12 weeks apart. Women with APS-related pregnancy morbidity were also included. Demographic, laboratory and clinical parameters were collected at enrolment and once a year during the follow-up period. Testing was also carried out at the time of the thrombotic event. Anticardiolipin and anti-beta2 Glycoprotein I antibodies were measured in 5 Centres by “in-house” ELISAs and in the remaining 6 Centres by commercial kits. Lupus Anticoagulant (LA) was tested using platelet-poor plasma following internationally accepted guidelines. Results. Two hundred fifty-eight patients/subjects (223 women and 35 men; mean age: 40.9 years ± 11.1 SD) were recruited between October 2004 and October 2008. The mean follow-up was 35.0 months ± 11.9 SD. Fourteen patients (5.4%, with an annual incidence rate of 1.86%) developed a first thrombotic event (9 venous and 5 arterial) during the follow-up period. Seven of these were receiving prophylactic treatment at the time of the event (6 continuous and 1 during pregnancy prophylaxis). Five of the first-time events occurred during high risk periods (pregnancy/puerperium, immobilization or surgery). Hypertension and LA activity were identified by multivariate logistic regression analysis as independent risk factors for thrombosis (OR=3.6 with 95% CI= 1.2-11, p<0.05 and OR=3.7 with 95% CI= 1-13.8, p<0.05, respectively). It was found, moreover, that thromboprophylaxis with low dose aspirin (100 mg) and/or heparin during high risk periods was significantly protective (OR=0.1 with 95% CI= 0.01-0.9, p<0.05), whereas .prophylaxis continuously administered was not protective Conclusions. The findings of this prospective, follow-up study is in line with those of our previous retrospective one as hypertension was found to be a risk factor for first thrombotic events in asymptomatic aPL carriers. LA was found to be a risk factor for thrombosis, and thromboprophylaxis, administered during high risk periods, was, indeed, protective.
FATTORI DI RISCHIO PER IL PRIMO EVENTO TROMBOTICO IN SOGGETTI POSITIVI PER ANTICORPI ANTIFOSFOLIPIDI. STUDIO MULTICENTRICO, PROSPETTICO, DI FOLLOW-UP Introduzione. La sindrome da anticorpi antifosfolipidi (APS) è definita dalla persistente presenza di anticorpi antifosfolpidi (aPL) nel sangue in associazione a manifestazioni trombotiche e/o impegno ostetrico. Alcuni studi hanno recentemente tentato di identificare gli elementi predittivi dell’evento trombotico negli aPL carriers, ma differenze sostanziali nel disegno degli studi, nei criteri di selezione dei pazienti, nei profili anticorpali e nei fattori di rischio considerati rendono difficile trarre delle conclusioni definitive. Obiettivi. Identificare i fattori di rischio per il primo evento trombotico nei pazienti positivi per aPL e valutare l’efficacia della profilassi. Metodi. Lo studio ha incluso pazienti/soggetti provenienti da 11 Centri Reumatologici facenti parte del Gruppo di Studio sulla APS della Società Italiana di Reumatologia. I criteri di inclusione erano i seguenti: età compresa tra 18 e 65 anni, anamnesi negativa per trombosi. I criteri di laboratorio erano: due positività consecutive per aPL, in accordo con i criteri di Sidney, ad almeno 12 settimane di distanza l’una dall’altra. Le donne con l’impegno ostetrico della APS erano incluse. I dati demografici, di laboratorio e clinici erano raccolti all’arruolamento e una volta all’anno durante il follow-up. Il profilo anticorpale era determinato anche al momento dell’evento trombotico. Gli anticorpi anti-cardiolipina e anti-beta2glicoproteina I sono stati determinati da 5 Centri con metodo Elisa “in-house” e dai rimanenti 6 Centri con kits commerciali. Il Lupus Anticoagulant (LA) è stato testato secondo i criteri dell’ International Society of Thrombosis and Haemostasis. Risultati. Duecentocinquantotto pazienti/soggetti (223 donne e 35 uomini di età media 40.9 anni ± 11.1 SD) sono stati reclutati tra l’Ottobre 2004 e l’Ottobre 2008. Il follow-up medio è stato di 35 mesi ± 11.9 SD (range 1-48). Quattordici pazienti (5.4%, annual incidence rate 1.86%) hanno sviluppato il primo evento trombotico (in 9 casi venoso, in 5 arterioso) durante il follow-up. Sette di questi stavano assumendo un trattamento profilattico al momento dell’evento (6 in modo continuativo ed 1 in corso di gravidanza). In 5 casi il primo evento trombotico si è verificato durante un periodo ad alto rischio (gravidanza/puerperio, immobilizzazione o chirurgia). L’ipertensione ed il LA sono stati identificati dall’analisi multivariata come fattori di rischio indipendenti per la trombosi (OR=3.6 con 95% CI= 1.2-11, p<0.05 e OR=3.7 con 95% CI= 1-13.8, p<0.05, rispettivamente). E’ risultato inoltre che la profilassi con aspirina a basso dosaggio (100 mg) e/o eparina durante i periodi ad alto rischio è significativamente protettiva (OR=0.1 con 95% CI= 0.01-0.9, p<0.05), mentre la profilassi data in modo continuativo non è protettiva. Conclusioni. Da questo studio prospettico di follow-up è risultato, in linea con quanto emerso nel nostro precedente studio retrospettivo, che l’ipertensione è un fattore di rischio per il primo evento trombotico in aPL carriers asintomatici. Inoltre anche il LA è risultato un fattore di rischio per trombosi e la profilassi, somministrata nei periodi ad alto rischio, è risultata, infine, protettiva.
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Bontadi, Agnese. « Studio dell'attivazione piastrinica ed endoteliale in pazienti con sindrome da anticorpi antifosfolipidi ad alto rischio in trattamento aferetico ». Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2012. http://hdl.handle.net/11577/3422099.

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Résumé :
Antiphospholipid syndrome (APS) is a systemic, autoimmune disease characterized by thromboembolic manifestations and/or obstetric morbidity in association with medium to high titres of antiphospholipid antibodies (aPL), such as anticardiolipin (aCL), anti-β2glycoprotein I (aβ2GPI) antibodies and Lupus anticoagulant activity. A small percentage (1%) of APS patients develop a life-threatening variant of the disease, the Catastrophic Antiphospholipid Syndrome (CAPS), which is defined as multiorgan thrombosis over a one-week time affecting at least three organs, systems and/or tissues, with histopathologic confirmation of small vessel occlusion in at least one organ or tissue. CAPS is associated with a high mortality rate (~50%) mostly due to cerebral and cardiac thrombotic involvement, infections and multiorgan failure. Conventional therapy with aspirin and/or heparin is at times incapable of preventing complications in high risk patients with APS. In those cases, in addition to conventional therapy strategies, the so-called second-line treatment protocols, including aphaeretic techniques, are employed. The first part of the study is a report on three APS pregnant patients who were successfully treated with plasma exchange (PE) (two cases) or with immunoadsorption (IA) (one case) as a second-line treatment strategy. The efficacy of these procedures in removing IgG aCL and IgG aβ2GPI antibodies from blood was evaluated. Serum samples were collected before and after apheretic treatment sessions. Serum aCL and aβ2GPI antibodies were determined using an “in-house” enzyme-linked immunosorbent assay (ELISA) and showed that before pregnancy all three patients had medium/high IgG aCL and IgG aβ2GPI titres. In all three patients, a significant decrease in IgG aCL (p=0.00, p=0.00, p=0.00, respectively) and IgG aβ2GPI (p=0.00, p=0.00, p=0.00, respectively) antibody titres were observed after PE and IA sessions. Moreover, there was a significant, steady fall in serum IgG aCL pretreatment levels during the course of all three pregnancies (p=0.00, p=0.00, p=0.001, respectively). The fall in IgG aβ2GPI was significant in two of the patients (p=0.00, p=0.00) both with high antibody titres, but not in one with medium antibody titres. In the second part of this work, we evaluated by in vitro studies, the effect on platelet activation of anti-β2GPI antibodies removed by aphaeretic sessions. Anti-β2GPI antibodies were isolated from plasma of the patient n.3 (previous work), in two different stages of APS (quiescent and catastrophic, respectively). Platelet P-selectin (P-sel) expression was assessed by flow cytometry. The results showed that anti-β2GPI antibodies induced significant platelet P-sel expression only in presence of a platelet agonist at a subthreshold concentration. Notably, anti-β2GPI antibodies from the patient with catastrophic APS enhanced platelet P-sel expression more than those from the same patient in quiescent stage of disease. Following previous results, in the third part of the study ex vivo platelet and endothelium activation in APS was investigated. In plasma samples from six patients with quiescent APS, four with catastrophic APS and nine healthy controls, the main markers of platelet and endothelium activation were measured. The data showed that APS patients had significantly higher levels of the most investigated markers than control subjects. Moreover, soluble P-sel significantly prevailed in catastrophic APS in comparison with quiescent APS.
La sindrome da anticorpi antifosfolipidi (APS) è una patologia autoimmune caratterizzata da manifestazioni trombotiche e/o da complicanze ostetriche associate alla presenza nel sangue di anticorpi antifosfolipidi (aPL), come gli anticorpi anticardiolipina (aCL), gli anti-beta2glicoproteina I (anti-β2GPI) e i lupus anticoagulants. È stata inoltre individuata una variante severa dell’ APS che si riscontra nell’1% dei pazienti chiamata Sindrome da Antifosfolipidi Catastrofica (CAPS). Essa è caratterizzata da fenomeni tromboembolici a carico di più distretti, con quadro clinico rapidamente ingravescente e gravato da un'elevata mortalità. La terapia tradizionale antitrombotica dell’APS non è sempre sufficiente a contrastare le complicanze presentate dai pazienti. Vi sono infatti casi, considerati ad alto rischio, in cui risulta necessario affiancare alla terapia convenzionale, trattamenti cosiddetti di 2° livello che sono generalmente costituiti dai boli di immunoglobuline endovena e/o da tecniche di aferesi. Nella prima parte dello studio sono state seguite tre pazienti in corso di gravidanza con APS ad alto rischio sottoposte ad un trattamento comprendente la terapia antitrombotica e l’aferesi (plasmaferesi e immunoadsorbimento su colonna) ed è stata valutata la capacità di rimozione degli anticorpi aCL e anti- β2GPI di classe IgG da parte di entrambi i trattamenti aferetici. I livelli anticorpali sono stati dosati tramite metodica ELISA "home made" in campioni sierici (n. 184) raccolti prima e immediatamente dopo ogni seduta aferetica. I risultati hanno mostrato un calo significativo dei livelli degli aCL IgG e anti-β2GPI IgG in tutte e tre le pazienti (p=0,00, p=0,00, p=0,00, rispettivamente) dopo ogni seduta di aferesi. E’ stato inoltre indagato l’andamento dei livelli anticorpali pre-trattamento durante il corso delle gravidanze. Si è osservato un “trend” significativamente decrescente degli aCL IgG durante la gravidanza in tutte e tre le pazienti (p=0,00, p=0,00, p=0,001, rispettivamente). Mentre gli anti-β2GPI IgG hanno avuto un andamento significativamente decrescente solo nelle due pazienti che avevano i valori anticorpali basali più elevati (p=0,00, p=0,00, rispettivamente). Nella seconda parte del lavoro, abbiamo valutato l’effetto in vitro sull’attivazione piastrinica degli anticorpi anti-β2GPI IgG, rimossi dall’aferesi. Abbiamo misurato l’espressione piastrinica di P-selettina (P-sel). Gli anti-β2GPI sono stati estratti dal plasma della paziente n. 3 descritta nello studio precedente, con APS in fase di quiescenza e dal plasma della stessa paziente durante la fase catastrofica della malattia. I risultati hanno mostrato che gli anti-β2GPI non hanno alcun effetto sull’espressione piastrinica di P-sel e quindi sull’attivazione piastrinica, mentre sono in grado di potenziare significativamente l’attivazione piastrinica indotta da dosi sottosoglia di un agonista piastrinico. Inoltre gli anti-β2GPI presenti nella variante catastrofica della malattia hanno indotto un incremento sgnificativamente maggiore dell’espressione piastrinica di P-sel rispetto agli anti-β2GPI della fase quiescente. Infine, a seguito dei risultati ottenuti in precedenza, nella terza parte dello studio abbiamo valutato l’effetto ex vivo degli aPL sulle piastrine e sull’endotelio tramite il dosaggio dei principali markers di attivazione piastrinica ed endoteliale in campioni plasmatici di pazienti con APS. I risultati hanno mostrato che i pazienti con APS hanno livelli plasmatici della maggior parte dei markers indagati significativamente più elevati rispetto ai controlli. Inoltre nella variante catastrofica dell’APS si è riscontrata una concentrazione significativamente maggiore di P-sel solubile rispetto all’ APS quiescente.
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Salvan, Elisa. « L'efficacia del trattamento in rapporto al rischio nella sindrome da antifosfolipidi in corso di gravidanza. Studio retrospettivo multicentrico europeo ». Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2013. http://hdl.handle.net/11577/3422649.

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Résumé :
Background. The optimal treatment for obstetric Antiphospholipid Syndrome (APS) has yet to be established. Therapy based on Low Dose Aspirin (LDA) alone or in combination with heparin is considered conventional treatment for the disorder, although approximately 20% of pregnancies thus treated have nevertheless negative outcomes. Additional risk factors for pregnancy loss were recently identified during a multicentre study conducted by us on APS pregnant women treated with conventional treatment. Objectives. To compare pregnancy outcomes in APS patients following different treatment strategies and to define risk profiles depending on additional risk factors in order to utilize risk stratification methods to identify subsets of patients who would most likely benefit from one strategy or another. Materials and Methods. An European, multicentre, retrospective, follow-up study was conducted. Basal and pregnancy data were collected from pregnant APS patients, diagnosed on the basis of the Sidney Criteria. The recruitment criteria for our study were at least one of the following additional risk factors for pregnancy loss: Systemic lupus erythematosus, triple positivity for antiphospolipid antibodies (aPL), previous thrombosis. Patients being treated with the following therapies were considered: LDA, prophylactic dose heparin ± LDA, therapeutic dose heparin ± LDA, second-line treatment protocols (plasmapheresis/immunoabsorption and/or intravenous immunoglobulins). Anticardiolipin and anti-beta2glycoprotein I antibodies of IgG and IgM isotypes were determined by an ELISA method utilizing different home-made or commercial procedures. Lupus Anticoagulants were assessed by a series of coagulation tests using platelet-poor plasma samples and following internationally accepted guidelines. Univariate and logistic regression analyses were carried out. Results. Two hundred two pregnancies in 158 APS patients were assessed. The women’s mean age when the pregnancy began was 32.5 years ± 4.6 SD (range 20-44) and the mean disease duration was 5.2 years ± 4.5 SD (range: 0-22). Pregnancy outcome was positive in 149 cases (73.8%), which produced 150 (there was a twin delivery) viable infants (78 males = 52% and 72 females = 48%), born at 36.2 ± 3 SD mean gestational weeks. The infants’ mean Apgar score at 5 minutes was 9.1 ± 1.3 SD and their percentile weight was 55.8 ± 24.9 SD. There were 53 (26.2%) pregnancy losses. When pregnancy outcome was assessed without taking additional risk factors into consideration, there were no significant differences in the live birth rate in the women treated with different therapies. Pregnancy outcome was then assessed in relation to the risk profiles defined on the basis of the three additional risk factors considered. The only risk profile which led to significant differences in outcomes depending on the treatment utilized was the “triple positivity aPL and previous thrombosis” subset: the live birth rate in that subset was 92.9% in the patients treated with second line therapy compared to 58.3% in those treated with conventional therapy (Fisher test, p-value < 0.05; OR=9.3, CI 95%: 1.3–65.6). Those results were confirmed when a logistic regression analysis adjusted for confounding variables was conducted (OR=9.6; 95% CI: 1.1-84.3). Discussion. This study identified a subset of APS women with “triple aPL positivity + previous thrombosis”, in whom the second line treatment seemed to be more effective than the conventional treatments. It can be concluded that treatment of obstetric APS should be differentiated on the basis of the additional risk factors outlined here. In particular, the best treatment for patients with “triple aPL positivity + previous thrombosis” seems to be second line treatment in addition to the conventional therapy.
Background. Il trattamento ottimale della Sindrome da Antifosfolipidi (APS) ostetrica è attualmente sconosciuto. La terapia con aspirina a basso dosaggio (LDA) da sola o associata all’eparina rappresenta il trattamento convenzionale per l’APS ostetrica. Nonostante questo trattamento, circa il 20% delle gravidanze hanno esito sfavorevole. Recentemente abbiamo individuato alcuni fattori di rischio aggiuntivi di perdita gravidica in corso di gravidanza trattata con terapie convenzionali. Scopo della Tesi. Confrontare gli outcomes di gravidanza ottenuti a seguito dei diversi trattamenti e definire dei precisi profili di rischio al fine di analizzare l’efficacia della terapia sulla base della stratificazione del rischio. Materiali e Metodi. E’ stato condotto uno studio europeo di tipo retrospettivo e multicentrico. Sono stati raccolti i dati basali e quelli in corso di gravidanza di donne affette da APS, diagnosticata sulla base dei Criteri di Sydney, che presentavano almeno uno dei seguenti tre fattori di rischio aggiuntivi: associazione con il Lupus Eritematoso Sistemico (LES), triplice positività per Antifosfolipidi (aPL) e pregressa trombosi. Sono state prese in considerazione le pazienti trattate con le seguenti terapie: LDA, eparina a dose profilattica ± LDA, eparina a dose terapeutica ± LDA, protocolli di II livello (plasmaferesi/immunoassorbimento e/o immunoglobuline endovena) e nessuna terapia. Le determinazioni degli anticardiolipina e anti-Beta2 Glicoproteina I sono state eseguite presso i singoli Centri con il metodo ELISA seguendo procedure diverse sia “home-made” che commerciali, mentre il Lupus Anticoagulant è stato testato con una serie di metodi emocoagulativi in accordo con la corrente letteratura. I metodi statistici utilizzati sono stati l’analisi univariata e la regressione logistica. Risultati. Il numero di gravidanze considerate nello studio è stato complessivamente 202, relative a 158 pazienti. L’età media delle donne al momento della gravidanza era 32,5 anni ± 4,6 DS (range: 20-44) con una durata media di malattia di 5,2 anni ± 4,5 (range: 0-22). L’esito favorevole è stato osservato in 149 gravidanze (73,8%), che si sono concluse con la nascita di 150 neonati (un parto gemellare), di cui 78 (52%) maschi e 72 femmine (48%), nati mediamente alla 36,2^ SG ± 3 DS, con un Apgar medio a 5 minuti di 9,1 ± 1,3 DS e un peso in percentili di 55,8 ± 24,9 DS. Ci sono state 53 perdite (26,2%). In assenza della considerazione del rischio non si sono osservate differenze significative nelle prevalenze dei nati vivi tra le donne che assumevano le diverse tipologie di trattamento prese in considerazione. L’outcome primario è stato analizzato in relazione ai 7 profili di rischio definiti sulla base delle combinazioni di: pregressa trombosi, LES e triplice positività aPL. Accorpando i trattamenti convenzionali, l’unico profilo su cui è stata rilevata una differenza statisticamente significativa è stato quello caratterizzato dai fattori “triplice positività aPL + pregressa trombosi”, dove si è osservata una prevalenza di bambini nati vivi pari al 92,9% nei trattamenti di II livello versus il 58,3% nei trattamenti convenzionali (Fisher test, p-value < 0,05 e OR 9,3; 95% CI:1,3 - 65,6). Questi risultati sono stati confermati dall’analisi di regressione logistica che ha fornito una stima dell’odds ratio aggiustata per le variabili confondenti (OR 9,6; 95% CI: 1,1-84,3). Discussione. Da questo studio è emerso un sottogruppo di donne caratterizzato dalla presenza di “triplice positività aPL + pregressa trombosi”, dove la terapia di II livello è risultata più efficace per numero di nati vivi rispetto al trattamento convenzionale. In particolare si è messa in evidenza l’importanza dell’uso del trattamento di II livello nell’APS ostetrica. Possiamo concludere che la terapia dell’APS ostetrica andrebbe differenziata sulla base del rischio. In particolare, nelle donne con “triplice positività aPL + pregressa trombosi” il trattamento di elezione potrebbe essere quello di II livello associato alla terapia convenzionale.
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Ourique, Carolina Santos de Oliveira. « Patogenia e Abordagem Terapêutica do Sindrome Antifosfolipidico na Gravidez ». Master's thesis, Instituto de Ciências Biomédicas Abel Salazar, 2009. http://hdl.handle.net/10216/52818.

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Ourique, Carolina Santos de Oliveira. « Patogenia e Abordagem Terapêutica do Sindrome Antifosfolipidico na Gravidez ». Dissertação, Instituto de Ciências Biomédicas Abel Salazar, 2009. http://hdl.handle.net/10216/52818.

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Pinho, Samantha Cristina de. « Detecção de autoanticorpos antifosfolipides por adsorção de afinidade utilizando magenetolipossomas ». [s.n.], 2000. http://repositorio.unicamp.br/jspui/handle/REPOSIP/267579.

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Résumé :
Orientadores: Maria Helena Andrade Santana, Ricardo de Lima Zollner
Dissertação (mestrado) - Universidade Estadual de Campinas, Faculdade de Engenharia Quimica
Made available in DSpace on 2018-07-26T19:05:48Z (GMT). No. of bitstreams: 1 Pinho_SamanthaCristinade_M.pdf: 3067197 bytes, checksum: 2fb8cfde2b754187ee86b2e937d591a0 (MD5) Previous issue date: 2000
Resumo: O encapsulamento de ferrofluidos no núcleo de lipossomas origina vesículas denominadas magnetolipossomas, que podem ser eficientemente separadas da solução quando sob a ação de um campo magnético de alto gradiente. Essa propriedade possibilita a aplicação dos magnetolipossomas como adsorventes específicos em processos de separação de estruturas como células e biomoléculas. A maior vantagem desta abordagem é a simplicidade e eficiência. Anticorpos antifosfolípides constituem uma importante classe de biomoléculas, para a qual fosfolipídios específicos podem ser usados como ligantes de afinidade. A incorporação desses fosfolipídios na matriz estrutural dos lipossomas produz suportes coloidais de elevada área específica, com sítios de afinidade sobre a superficie, que são úteis para aplicação em processos de separação e detecção dessa classe de anticorpos. Os autoanticorpos estão presentes no soro de pacientes portadores de doenças autoimunes e a sua detecção apresenta dificuldades no que diz respeito à reprodutibilidade e à variabilidade dos suportes usados em kits comercialmente disponíveis. A adsorção específica de autoanticorpos na superficie dos magnetolipossomas e o desenvolvimento de sinal magnético resultante da ligação constitui técnica alternativa promissora para o diagnóstico de autoanticorpos. As vantagens do novo método seriam a reprodutibilidade, versatilidade do suporte e a condução do ensaio em etapa única. O objetivo deste trabalho foi o estudo da preparação e caracterização de magnetolipossomas de afinidade, além da avaliação do desempenho desses suportes na ligação dos autoanticorpos. Na preparação dos magnetolipossomas, foi usada magnetita coloidal como ferrofluido, cardiolipina, fosfatidiletanolamina e fosfatidilserina como lipídios de afinidade e fosfatidilcolina como lipídio estrutural. A adsorção dos anticorpos na superficie dos magnetolipossomas foi estudada em mistura e de modo frontal em coluna capilar. Como resultado da preparação das partículas obteve-se associação adequada entre a magnetita e os fosfolipídios, reprodutibilidade e boa estabilidade. Em relação à adsorção dos anticorpos observou-se que há especificidade, demonstrando a potencialidade de utilização dos magnetolipossomas no desenvolvimento de uma nova técnica de detecção de autoanticorpos antifosfolípides
Abstract: The entrapment of ferrofluids into the core of liposomes provides vesic1es called magnetoliposomes, which can be efficient1y captured ITom a solution under the action of a high gradient magnetic field. Due to this property, it is possible the aplication of magnetoliposomes as specific adsorbents in separation processes of structures like cells and biomolecules. The main advantage of this approach is its simplicity and efficiency. Antiphospholipid antibodies are an important c1ass of biomolecules, to whom specific phospholipids can be used as affinity ligands. The aggregation of these phospholipids in the structural matrix of the liposomes produces co1110idal supports with high specific surface area, with affinity sites on the surface, which are useful for applications in separation processes and detection of this antibody c1ass. They are present in the sera of patients with autoimmune diseases, and their detection presents difficulties in respect to the reprodutibilty of results, due to the heterogeneity of the molecules in this group. In addition, there is the multi-step characteristic of the ELISA assay, the most commonly used, and the variability of the supports in the available commercial kits. The specific antibody adsorption on the surface of magnetoliposomes and the development of a magnetic signal due to the linking is an alternative technique for the autoantibody diagnostico The advantages of the new method would be the reprodutibility, versatility of the supports and a single-step assay. The aim of this work was the preparation and characterization of affinity magnetoliposomes, and the evaluation of their performance in the interaction with autoantibodies. In their preparation colloidal magnetite was used as ferrofluid, cardiolipin, serine and ethanolamine as affinity lipids and choline as the structural one. The antibody adsorption was studied in batch and plug-flow mode in capilar column. As a result of the preparation, we obtained reprodutibility, and as for the adsorption, we observed that there is a good potentiality to use magnetoliposomes in the development of a detection technique of antiphospholipid antibodies
Mestrado
Desenvolvimento de Processos Biotecnologicos
Mestre em Engenharia Química
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Galli, Monica Maria Teresa. « Involvement of protein cofactors in the expression of antiphospholipid antibodies ». [Maastricht : Maastricht : Rijksuniversiteit Limburg] ; University Library, Maastricht University [Host], 1993. http://arno.unimaas.nl/show.cgi?fid=6236.

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Mattia, Elena. « Contributo alla determinazione degli anticorpi anticardiolipina e anti - beta2 glicoproteina I ». Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2015. http://hdl.handle.net/11577/3424236.

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Résumé :
Background. Antiphospholipid (aPL) antibodies are a heterogeneous group of autoantibodies directed against plasma protein-phospholipid complexes or single plasma proteins. Their presence in patients with thrombosis and/or pregnancy morbidity defines antiphospholipid syndrome (APS). APS is considered as primary (PAPS) if present alone, or secondary if associated with other systemic autoimmune diseases, particularly with systemic lupus erythematosus (SLE). Laboratory criteria for APS classification include lupus anticoagulant (LA) and/or medium-high levels of IgG/IgM anticardiolipin (aCL) and/or medium-high levels of IgG/IgM anti-Beta2glycoprotein I (anti-Beta2GPI) antibodies, all confirmed no earlier than 12 weeks later. Currently, ELISA assay for detection of aCL and anti-Beta2GPI antibodies, despite several attempts, is not a standardized technique. Recently, few studies have compared the performance of ELISA with that of other technologies also fully automated including the fluorescence enzyme immunoassay (FEIA) and the chemiluminescence immunoassays (CLIA), but they have produced debatable results. The search for new markers of APS through the use of laboratory techniques alternatives to ELISA, such as FEIA and CLIA methods is currently under interest. IgA aCL and IgA anti-Beta2GPI antibodies are not considered one of the recommended laboratory criteria for APS classification, and their clinical relevance is as yet controversial. Moreover, aPL are not only considered as a tool for APS classification, but they could be useful parameters to stratify the risk for developing clinical manifestations of the disease. In particular, anti-anti-Beta2GPI antibodies directed against the Domain I (anti-DI) of the molecule, were reported to be associated to thrombotic risk in antiphospholipid syndrome (APS), so correlating them with a more severe clinical picture. Objectives. The aim of the study was to compare the performance of a home-made ELISA with that of FEIA and CLIA assays in detecting aCL and anti-Beta2GPI antibodies in a large, homogeneous cohort of PAPS patients and in a group of subjects with clinical criteria for APS classification but ELISA negative for laboratory criteria. The results were compared with those obtained in a control group including healthy blood donors and patients with autoimmune diseases different from APS. Subsequently, the clinical relevance of IgA aCL, IgA anti- Beta2GPI antibodies and of IgG anti-DI antibodies was evaluated in a large homogeneous cohort of PAPS patients. Their diagnostic sensitivity was investigated in a group of seronegative patients for conventional aPL but with clinical manifestations of APS. Moreover, prognostic value of these antibodies in APS patients was studied. Methods. IgG/IgM/IgA aCL and IgG/IgM/IgA anti-Beta2GPI antibodies were determined using FEIA, (EliA TM, Phadia AB, Sweden). aCL/anti-Beta2GPI of IgG isotype and IgG anti-DI antibodies were assayed using CLIA (HemosIL AcuStar®, Inova, USA). The manufacturer's recommendations were followed carefully for both techniques. A home-made ELISA performed following the European Forum on aPL recommendations was used for the comparison between methods. All sera were also tested for LA following updated guidelines using diluted Russell viper venom time and diluted activated partial thromboplastin time as screening tests. Results and Conclusions. (1) Comparison between an ELISA home made and FEIA technique. The sensitivities of the ELISA and FEIA tecniques were similar with the exception of IgM aCL which was found to be significantly higher in the PAPS patients using the ELISA method. The two assays had a comparable specificity, a high significant agreement and a significant correlation between the antibody levels. FEIA testing uncovered no significant prevalence of any antiphospholipid antibody in the ELISA negative patients. In conclusion, our results suggest that FEIA tecnique is comparable to a home-made ELISA. If confirmed by large scale studies on PAPS patients, these results could support FEIA's routine use in detecting aCL and anti-Beta2GPI antibodies. Results and Conclusions. (2) Comparison between an ELISA home made and CLIA technique. When compared with the ELISA technique, it came to light that the CLIA method had a significantly lower sensitivity for IgM aCL and IgG/IgM anti-Beta2GPI antibodies; while, its specificity was higher with respect to ELISA for IgM aCL and IgM anti-Beta2GPI antibodies. The two techniques showed a high, significant agreement and a significant antibody titer correlation. CLIA also detected IgG/IgM aCL and IgG anti-Beta2GPI antibodies in the seronegative patients using ELISA method. There was a significantly higher prevalence of IgG aCL and IgG anti- Beta2GPI antibodies in those patients with respect to that in the control population. In conclusion, despite a lower sensitivity, CLIA showed a higher specificity for some aPL and a good level of agreement and correlation with a home made ELISA. CLIA also detected some aCL and anti-Beta2GPI antibodies in the seronegative patients not usually identified by home made ELISA. If confirmed by further studies, CLIA could be considered a valuable method to assess patients with clinical manifestations of APS but testing negative for aPL using a home made ELISA. Results and Conclusions. (3) ACL and anti-Beta2GPI antibodies of IgA isotype. Present respectively in 19% and 50% of the PAPS patients studied, IgA aCL and IgA anti- Beta2GPI antibody frequencies were both statistically significant .The mean titers of both IgA aCL and IgA anti-Beta2GPI antibodies were higher in the thrombotic patients, but only the latter were significantly associated with thrombosis. When analyzed, the patients FEIA negative for conventional IgG/IgM aPL, but with the clinical features of APS, in 10.6% of cases were tested positive for anti-Beta2GPI IgA, this data was found to be significant. In conclusion, positivity to IgA anti-Beta2GPI antibody detected using FEIA was found to be clinically relevant in PAPS patients. Moreover, the prevalence of isolated IgA anti- Beta2GPI antibody positivity was significant in the seronegative patients. These results suggest that patients with clinical signs/symptoms of APS but who do not meet conventional antiphospholipid antibody laboratory criteria could undergo at least of IgA anti-Beta2GPI antibody testing using FEIA technique. Results and Conclusions. (4) IgG anti-DI antibodies. The sensitivity and specificity of IgG anti-DI antibodies were comparable to those of IgG aCL and IgG anti-Beta2GPI antibodies. There was a significant agreement, association and antibody titre correlation between IgG anti-DI and IgG aCL as well as IgG anti-Beta2GPI antibodies. IgG anti-DI antibody showed lesser prevalence and mean titres in the pregnancy morbidity than in thrombotic and PAPS patients with both involvements. Regarding the conventional aPL antibody profiles, the triple positivity group had higher prevalence and mean titres than single and double positivity ones. In conclusion, as regards the anti-DI antibodies this study provides further evidence that these antibodies detected by CLIA, can be considered a promising biomarker for risk assessment particularly in patients having vascular thrombosis and triple conventional aPL positivity, which is considered an antibody profile associated to the most severe features of APS. Thus, anti-DI antibodies might constitute an additional useful tool in clinical and therapeutic decisions.
Introduzione. Gli anticorpi antifosfolipidi (aPL) sono un gruppo eterogeneo di autoanticorpi specifici per complessi fosfolipide-proteina o proteine leganti i fosfolipidi. La loro presenza in pazienti con trombosi e/o complicanze ostetriche definisce la sindrome da anticorpi antifosfolipidi (APS). L'APS viene considerata primaria (PAPS) se presente in forma isolata, altrimenti secondaria se associata ad altra malattia autoimmune sistemica che solitamente e' il lupus eritematosus sistemico (LES). I criteri di laboratorio per la classificazione di APS includono la presenza di tre aPL ed in particolare del lupus anticoagulant (LA) e/o di livelli medio-alti di anticorpi anticardiolipina (aCL) IgG/IgM e/o di livelli medio-alti di anticorpi anti-Beta2glycoproteina I (anti-Beta2GPI) IgG/IgM, tutti confermati non prima di 12 settimane. Attualmente, le metodiche ELISA per la determinazione degli aCL e anti-Beta2GPI di classe IgG/IgM, nonostante svariati tentativi, non sono ancora standardizzate. Di recente, alcuni studi hanno confrontato le performance dei test ELISA con quelle di altre tecnologie anche completamente automatizzate tra le quali rientrano sia il fluorescence enzyme immunoassay (FEIA) che il chemiluminescence immunoassay (CLIA). Questi lavori, tuttavia, hanno prodotto risultati non concordanti. Gli anticorpi aCL e anti-Beta2GPI di classe IgA non sono ancora considerati criterio di laboratorio per la classificazione dell'APS e la loro rilevanza clinica e' al momento oggetto di dibattito. Inoltre gli aPL non sono considerati soltanto strumenti di classificazione dell'APS, ma anche parametri per la stratificazione del rischio di sviluppare le manifestazioni cliniche della malattia. In particolare, gli anticorpi anti-Beta2GPI specifici per un preciso epitopo situato nel Dominio I della molecola sembrano essere associati maggiormente al rischio di trombosi piuttosto che all'impegno ostetrico e di conseguenza sarebbero correlati a un quadro clinico piu' severo dell'APS. Obiettivi. Lo scopo della tesi e' stato di confrontare la performance di un ELISA home made con quella delle tecniche FEIA e CLIA nel rilevamento degli anticorpi aCL IgG/IgM e anti-Beta2GPI IgG/IgM in un'ampia e omogenea coorte di pazienti affetti da sindrome da anticorpi antifosfolipidi primaria (PAPS) e in un gruppo di soggetti con i criteri clinici per la classificazione di APS ma ELISA negativi per i criteri di laboratorio. I risultati sono stati confrontati con quelli ottenuti in un gruppo di controllo comprendente donatori sani e pazienti con malattie autoimmuni diverse dall'APS. Successivamente e' stata valutata la rilevanza clinica degli aCL e anti-Beta2GPI di classe IgA e degli anticorpi anti-Dominio I (anti-DI) di isotipo IgG in un'ampia ed omogenea coorte di pazienti affetti esclusivamente da PAPS. Inoltre, la sensibilita'  diagnostica di questi anticorpi e' stata valutata in un gruppo di pazienti sieronegativi per gli aPL convenzionali, ma con manifestazioni cliniche di APS. Di entrambi gli anticorpi e' stato anche indagato il valore prognostico nell'ambito dell'APS. Metodi. Gli aCL e gli anti-Beta2GPI di classe IgG/IgM/IgA sono stati determinati usando il metodo FEIA (EliA TM, Phadia AB, Sweden). Inoltre gli aCL e anti-Beta2GPI di classe IgG/IgM sono stati anche analizzati assieme gli anticorpi anti-DI IgG utilizzando il metodo CLIA (HemosIL AcuStar®). Le raccomandazioni del produttore sono state seguite scrupolosamente per entrambe le tecniche. Per il confronto dei risultati ottenuti con le diverse metodiche e' stato usato un test ELISA home made, eseguito seguendo le raccomandazioni del Forum europeo sugli aPL. Tutti i sieri sono stati testati anche per LA seguendo le linee guida aggiornate utilizzando il tempo di veleno di vipera Russell ed il tempo di protrombina parziale attivata, entrambi con fosfolipidi diluiti, come tests di screening. Risultati e Conclusioni. (1) Confronto ELISA home made con FEIA. Le sensibilita'  delle tecniche ELISA home made e FEIA sono risultate essere simili ad eccezione degli aCL di classe IgM che sono risultati significativamente piu' frequenti nei pazienti PAPS con il metodo ELISA. I due metodi avevano una specificita' simile, un'elevata concordanza e una correlazione significativa tra i livelli anticorpali. Inoltre il metodo FEIA non ha rilevato alcuna significativa prevalenza degli anticorpi antifosfolipidi nei pazienti ELISA negativi, ma con manifestazioni cliniche di APS. In conclusione, questi risultati suggeriscono che il metodo FEIA e' paragonabile al test ELISA home made. Se confermato da altri studi su ampie casistiche di pazienti affetti da PAPS, questi risultati potrebbero supportare l'uso del FEIA nella determinazione degli aCL e anti-Beta2GPI nell'analisi di routine. Risultati e Conclusioni. (2) Confronto ELISA home made con CLIA. Quando e' stata confrontata la tecnica ELISA home made con la tecnica CLIA, e' emerso che il metodo CLIA aveva una sensibilita' significativamente piu' bassa per gli aCL IgM e gli anti-Beta2GPI IgG/IgM rispetto a quella dell'ELISA; invece la sua specificita' e' risultata significativamente piu' alta per gli anticorpi aCL IgM e anti-Beta2GPI IgM. Le due tecniche hanno mostrato un'alta e significativa concordanza e una significativa correlazione dei titoli anticorpali. Inoltre il CLIA ha rilevato gli anticorpi aCL IgG/IgM e anti-Beta2GPI IgG nei pazienti sieronegativi in ELISA. Vi era infatti una prevalenza di aCL IgG e di anti-Beta2GPI IgG significativamente maggiore nei pazienti sieronegativi con i criteri clinici di APS che nella popolazione sana di controllo. In conclusione, il metodo CLIA, nonostante una minore sensibilita', ha mostrato una specificita' piu' alta per alcuni aPL e un buon livello di concordanza e di correlazione con la metodica ELISA home made. Il CLIA, inoltre, e' stato in grado di rilevare gli aCL IgG e gli anti-Beta2GPI IgG nei pazienti sieronegativi non identificati dall'ELISA. Se confermato da ulteriori studi, il CLIA potrebbe essere considerato un metodo valido per la valutazione di pazienti con manifestazioni cliniche di APS, ma con gli aPL negativi al test ELISA home made. Risultati e Conclusioni. (3) Gli aCl e gli anti-Beta2GPI di classe IgA: Gli aCL e gli anti-Beta2GPI di classe IgA sono stati testati con il metodo FEIA e sono risultati sgnificativamente presenti rispettivamente nel 19% e nel 50% dei pazienti affetti da PAPS. I loro titoli medi erano piu' elevati nei pazienti con impegno trombotico rispetto alle pazienti con impegno ostetrico. Tuttavia solo gli anti-Beta2GPI IgA erano significativamente associati alla trombosi. Quando sono stati analizzati i pazienti FEIA negativi per aCL IgG/IgM e per anti-Beta2GPI IgG/IgM ma con le caratteristiche cliniche di APS, nel 10,6% di essi sono stati trovati gli anticorpi anti-Beta2GPI IgA. Questo dato e' risultato essere significativo nel confronto con la popolazione sana di controllo. In conclusione, la positivita' per gli anticorpi anti-Beta2GPI IgA definita con il metodo FEIA e' risultata clinicamente rilevante nei pazienti PAPS. Inoltre la presenza di anticorpi anti-Beta2GPI IgA era significativa nei pazienti sieronegativi per gli isotipi IgG e IgM. Questi risultati suggeriscono che nei pazienti con segni/sintomi clinici di APS, ma che non soddisfano i criteri di laboratorio per gli anticorpi antifosfolipidi convenzionali si potrebbero determinare gli anticorpi anti-Beta2GPI di classe IgA al fine di incrementare la sensibilita'  diagnostica per APS. Risultati e Conclusioni. (4) Gli anti-DI IgG: La sensibilita' e la specificita' degli anticorpi anti-DI IgG rilevati con il metodo CLIA erano paragonabili a quelle degli anticorpi aCL IgG e anti-Beta2GPI IgG. Si e' riscontrata una significativa concordanza, un'associazione e una correlazione dei titoli anticorpali degli anti-DI IgG con gli aCL IgG e gli anti-Beta2GPI IgG. Inoltre gli anticorpi anti-DI IgG hanno mostrato una minore prevalenza e titoli medi piu' bassi nelle complicanze ostetriche rispetto ai pazienti con trombosi e ai pazienti con entrambi i coinvolgimenti clinici. Per quanto riguarda i profili anticorpali degli aPL convenzionali, il gruppo con la triplice positivita' antifosfolipidica ha mostrato una maggiore prevalenza e maggior titoli medi degli anticorpi anti-DI, rispetto ai gruppi con singola e duplice positivita'. In conclusione, gli anti-DI, rilevati con la tecnica CLIA, possono essere considerati dei promettenti biomarkers per la valutazione del rischio clinico di trombosi vascolare e di triplice positivita' per gli aPL convenzionali, solitamente associata ai quadri clinici piu' severi di APS. Pertanto, essi possono costituire uno strumento aggiuntivo utile per eventuali decisioni cliniche e terapeutiche.
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Rehder, Patricia Moretti 1973. « Prevalencia de anticorpos antifosfolipides em gestantes diabeticas e os resultados gestacionais e perinatais ». [s.n.], 2005. http://repositorio.unicamp.br/jspui/handle/REPOSIP/310790.

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Résumé :
Orientador: Belmiro Gonçalves Pereira
Dissertação (mestrado) - Universidade Estadual de Campinas, Faculdade de Ciencias Medicas
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Resumo: A prevalência de anticorpos antifosfolípides em gestantes diabéticas é alta, ocasionando alterações gestacionais e perinatais. O objetivo do estudo foi diagnosticar e tratar as gestantes diabéticas com anticorpos presentes e descrever os resultados gestacionais e perinatais. Foram analisadas 56 gestantes diabéticas que deram entrada no Pré-Natal Especializado do CAISM/Unicamp, entre julho de 2003 a março de 2004. Todas as que aceitavam participar do estudo foram submetidas à coleta de sangue para dosagem de anticorpos antifosfolípides (anticoagulante lúpico e anticorpo anticardiolipina). Se um ou outro anticorpo estivesse presente, a gestante seria tratada com AAS e Heparina. Foram caracterizados os perfis da gestante, da evolução da gestação e do recém-nascido. Foram diagnosticados anticorpos antifosfolípides em 7% das 56 gestantes e os resultados gestacionais e perinatais foram descritos. Nas gestantes diabéticas com anticorpos antifosfolípides a duração do diabetes foi de cinco em uma das gestante e dez anos nas outras três gestantes. A idade variou entre 27 e 38 anos e uma das gestantes era primigesta, outra secundigesta e as outras duas multíparas. As gestantes com anticorpos antifosfolípides, que foram tratadas, tiveram resultados gestacional e perinatal satisfatórios
Abstract: The prevalence of antiphospholipid antibodies in pregnant women with pre-gestational diabetes is high, causing gestational and perinatal alterations. The purpose of this study was to diagnose and treat diabetic pregnant women with presence of antibodies and describe the gestational and perinatal results. An analysis was made of 56 diabetic pregnant women who enrolled in the pre-natal specialization at CAISM/UNICAMP, between July, 2003 and March, 2004. All the diabetic pregnant women who agreed to participate in the study had blood collected for antiphospholipid antibody dosage (lupus anticoagulant and anticardiolipin antibody). If any other antibodies were present, the pregnant woman would be treated with Aspirin and Heparin. The following data with reference to the pregnant woman were recorded: age, gestational age, time of diabetes mellitus duration, treatment prior to and during gestation, previous illnesses, hypertension in pregnancy, amniotic liquid index, parturition, way of giving birth, Apgar index, fetal malformation, fetal hypoglycemia and birth weight. Antiphospholipid antibodies were diagnosed in 7% of the 56 pregnant women and their gestational and perinatal results were described. In the diabetic pregnant women with antiphospholipid antibodies, the duration of the diabetes was from five to ten years, that is to say, pregnant women with long-standing diabetes. The pregnant women with antiphospholipid antibodies ranged from 27 to 38 years of age, and some of the descriptions indicated that they had gone through a bad obstetric experience. The pregnant women with antiphospholipid antibodies, who were treated, had satisfactory gestational and perinatal results
Mestrado
Tocoginecologia
Mestre em Tocoginecologia
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Rivera, Gallego Alberto. « Expresión de factor tisular y niveles séricos de anticuerpos antilipoproteína de baja densidad oxidada en el síndrome antifosfolipido primario ». Doctoral thesis, Universitat Autònoma de Barcelona, 2000. http://hdl.handle.net/10803/4387.

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Flores-Nascimento, Mariane Cristina 1979. « Pesquisa de microparticulas plaquetarias circulantes em individuos com trombose venosa profunda, sindrome do anticorpo antifosfolipideo ou fator V de Leiden ». [s.n.], 2007. http://repositorio.unicamp.br/jspui/handle/REPOSIP/310164.

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Résumé :
Orientador: Joyce Maria Annicchi-Bizzacchi
Dissertação (mestrado) - Universidade Estadual de Campinas, Faculdade de Ciencias Medicas
Made available in DSpace on 2018-08-09T02:14:05Z (GMT). No. of bitstreams: 1 Flores-Nascimento_MarianeCristina_M.pdf: 1784393 bytes, checksum: 7247759965458fc5957d9f5617c9fb7e (MD5) Previous issue date: 2007
Resumo: A Trombose Venosa Profunda (TVP) é uma doença multicausal, mas muitos fatores de risco ainda não estão definidos. Micropartículas (MPs) são pequenas vesículas liberadas da membrana celular durante ativação e apoptose. MPs podem ser um reflexo da dinâmica entre repouso, ativação e morte celular e podem contribuir com a gravidade da doença pois são procoagulantes e pro-inflamatórias. Parece haver associação entre elevado número de MPs e risco de complicações tromboembólicas, que podem ter um papel na patogênese destas doenças. Neste estudo avaliamos e caracterizamos as MPs em pacientes com TPV de membro inferior, [ao diagnóstico (5M/4H, idade média=41,1 anos), após 6 meses de tratamento (7M/3H, idade média=32,9 anos), associada à Síndrome do Anticorpo Antifosfolípide (7M/3H, idade média=33,8 anos)], em portadores assintomáticos do Fator V de Leiden (FVL) (7M, idade média=34 anos), e comparando-as a controles pareados por sexo, idade e etnia. As MPs foram isoladas de sangue periférico citratado, por centrifugação diferencial. A quantificação e caracterização foram feitas por citometria de fluxo usando os anticorpos: CD235, CD61, CD45, CD31, CD14, CD45, anti-TF e Anexina V. A atividade procoagulante plasmática foi investigada pela dosagem do fragmento 1+2 de protrombina (F1+2). A atividade procoagulante das MPs foi analisada pela dosagem de F1+2, de Dímero-D (DD2) e pelo teste de geração de trombina (TGT) em pool de indivíduos saudáveis em presença de MPs, corrigidas ou não por número na amostra (10.000 MPs). A análise estatística empregou os testes Wilcoxon ou U de Mann-Whitney, a=0.05. O número de MPs não estave diminuído em nenhum dos grupos estudados. A porcentagem de MPs estava estatisticamente aumentada nos pacientes com SAF/TVP em relação a seus controles (P=0,007). Observou-se um aumento significativo das MPs plaquetárias nos pacientes com SAF/TVP (P=0,01) e diminuição das MPs endoteliais naqueles com TVP ao diagnóstico (P=0,03), quando comparados aos seus controles. Os pacientes com SAF/TVP apresentaram diminuição significativa do F1+2 plasmático, tanto em relação aos seus controles (P=0,008) como ao CTR total (P=0,002). O F1+2 gerado pelas MPs estava significativamente diminuído em indivíduos com FVL em relação ao CTR total (0,009), e em pacientes com SAF/TVP em relação aos seus controles (P=0,001), e ao CTR total (P=0,008). O DD2 em pool de plasma, independente do número de MPs, estava significativamente aumentado na comparação entre TVP ao diagnóstico e seus controles (P=0,008) e ao CTR total (P=0,0001). O DD2 em pool com número corrigido de MPs apresentava-se aumentado significativamente nos pacientes com TVP ao diagnóstico quando comparados aos seus controles (P=0,008). Os valores do TGT com número corrigido de MPs estavam estatisticamente diminuídos em pacientes com TVP após 6 meses (P=0,01), em comparação ao CTR total. Nossos resultados demonstraram que o número de MPs está alterado em pacientes com TVP, e talvez possam ter um papel, particularmente após o evento trombótico ou em presença de anticorpos antifosfolípides. As MPs demonstraram atividade procoagulante, principalmente ao diagnóstico de TVP, podendo contribuir ou agravar o quadro clínico do paciente
Abstract: Deep Venous Thrombosis (DVT) is a multicausal disease, but many risk factors are not well defined. Microparticles (MPs) are small blebs released from cellular surfaces during activation and apoptosis. MPs may be the consequence of the dynamics between rest, activation and cellular death and can contribute to the seriousness of the illness and are therefore procoagulant and pro-inflammatory. There seems to be an association between high numbers of MPs and risk of thromboembolic complications and these may have a role in pathogenesis of these illnesses. In this study, we evaluated and characterized the MPs in patients with DVT of inferior limbs, [at diagnosis (5M/4H, medium age= 41.1 years), after 6 months of treatment (7M/3H, medium age= 32.9 years), and associated to Antibody Antiphospholipid Syndrome (7M/3H, medium age= 33.8 years)], and asymptomatic carriers of Factor V Leiden (FVL) (7M, medium age 34= years), matched to health controls by sex, age and ethnic origin. The MPs were isolated from citrated peripheral blood, by differential centrifugation. The quantification and characterization were performed by flow cytometry using the antibodies: CD235, CD61, CD45, CD31, CD14, CD45, anti-TF and Annexin V. The plasmatic procoagulantic activity was investigated by prothrombin fragment 1+2 (F1+2) dosage. The MPs procoagulant activities were analyzed by F1+2 dosage, D-dímer (DD2) and Thrombin Generation Test (TGT) in a pool of healthy individuals in the presence of MPs, corrected or not for number in the sample (10.000 MPs). Statistical analysiswas performed by Wilcoxon or the Mann-Whitney tests, a=0.05. The MPs number were not lower in any of the studied groups. The MPs percentage was statistically increased in the SAF/DVT patients compared to their matched controls (P=0.007). A significant increase in the platelet-derived MPs in SAF/DVT patients (P=0.01) and a reduction in the endothelial-derived MPs at diagnosis were observed (P=.03), when compared to their matched controls. The SAF/TVP patients show a significant reduction in plasmatic F1+2, when compared to their matched controls (P=0.008) and to the total CTR (P=0.002). The F1+2 generated by MPs were significantly lower in FVL carriers compared to the total CTR (0.009), and in SAF/DVT patients compared to their controls (P=0.001), and to the total CTR (P=0.008). The DD2 in the pool of plasma, independently of the number MPs, was significantly higher in DVT at diagnosis when compared to their matched controls (P=0.008) and the total CTR (P=0.0001). The DD2 in the pool with corrected MPs number was significantly higher in DVT at diagnosis patients when compared to their matched controls (P=0,008). The values of TGT in corrected MPs number were statistically lower in patients with DVT after 6 months (P=0.01), in comparison to the total CTR. Our results demonstrated that the number of MPs is modified in patients with DVT, and may play a role, particularly after the thrombotic event or in association with antiphospholipid antibodies. The MPs demonstrated procoagulant activity, especially at DVT diagnosis, and were able to contribute or to aggravate the patient¿s clinical situation
Mestrado
Biologia Estrutural, Celular, Molecular e do Desenvolvimento
Mestre em Fisiopatologia Médica
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Esteve, Valverde Enrique. « Características clínicas y de laboratorio de la patología obstétrica relacionada con los anticuerpos antifosfolipídicos ». Doctoral thesis, Universitat Autònoma de Barcelona, 2021. http://hdl.handle.net/10803/673968.

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Résumé :
La síndrome antifosfolipídica (SAF) és una malaltia autoimmune en la qual la presència d’anticossos antifosfolipídics (AAF) condicionen l’aparició de trombosi arterials i / o venoses i / o morbiditat obstètrica. La variant obstètrica es coneix com a síndrome antifosfolipídica obstètrica (SAFO), i és la principal causa adquirida de morbiditat obstètrica tractable durant l’embaràs. Aquells casos que presenten complicacions obstètriques relacionades amb els AAF però no complien els criteris de classificació recomanats actualment, es van definir com SAFO incomplet (SAFO-I). L’objectiu d’aquesta tesi doctoral és descriure amb detall el SAFO atenent les seves característiques cliniques i de laboratori, comparar-lo amb la seva variant incompleta (SAFO-I), i analitzar si hi ha complicacions hemorràgiques secundàries a el tractament combinat amb aspirina i heparina. Conté 2500 casos dels quals 1640, han estat estudiats amb detall, 1000 pacients afectes de SAFO i 640 amb SAFO-I i que són motiu d’aquesta tesi doctoral.). En una primera anàlisi es realitza un estudi retrospectiu i prospectiu de 1000 pacients que presenten SAFO, comparant posteriorment les característiques clíniques i de laboratori amb una cohort de 640 casos de la seva variant incompleta, per finalment realitzar una anàlisi de risc de complicacions hemorràgiques d’aquestes pacients sotmeses a tractament. Els resultats globals del nostre estudi, comunicats en tres publicacions internacionals, posen de manifest la rellevància de l’SAFO i de l’SAFO-I com a entitats clíniques deletèries per a dones amb desig gestacional, així com per al correcte curs de l’embaràs. Els avortaments de primer trimestre i la prematuritat, van ser els principals esdeveniments obstètrics observats en les pacients amb SAFO, mentre que en el grup de SAFO-I va predominar la patologia placentària tardana i els naixements pre-terme. Totes les categories de laboratori es van veure representades en els dos grups. Les pacients van tenir bons resultats obstètrics sota el “standard of care” del tractament. Finalment, el tractament combinat amb dosis baixes d’aspirina i profilàctiques amb heparina i fins i tot quan es va associar un segon antiagregant - hidroxicloroquina - no va provocar un increment d’esdeveniments hemorràgics (tant majors com menors) comparant-los amb la freqüència de sagnat extrapolable a la població sana, tant en embaràs, part i puerperi.
El síndrome antifosfolipídico (SAF) es una enfermedad autoinmune en la que la presencia de anticuerpos antifosfolipídicos (AAF) condicionan la aparición de trombosis arteriales y/o venosas y/o morbilidad obstétrica. La variante obstétrica se conoce como síndrome antifosfolipídico obstétrico (SAFO), y es la principal causa adquirida de morbilidad obstétrica tratable durante el embarazo. Aquellos casos que presentaban complicaciones obstétricas relacionadas con los AAF pero no cumplían los criterios de clasificación recomendados actualmente, se definieron como SAFO incompleto (SAFO-I). El objetivo de esta tesis doctoral es describir con detalle el SAFO atendiendo a sus características cliniacs y de laboratorio, compararlo con su variante incompleta (SAFO-I), y analizar si existen complicaciones hemorrágicas secundarias al tratamiento combinado con aspirina y heparina. Contiene 2500 casos de los cuales 1640, han sido estudiados con detalle, 1000 pacientes afectas de SAFO y 640 con SAFO-I y que son motivo de esta tesis doctoral.). En un primer análisis se realiza un estudio retrospectivo y prospectivo de 1000 pacientes que presentan SAFO, comparando posteriormente las características clínicas y de laboratorio con una cohorte de 640 casos de su variante incompleta, para finalmente realizar un análisis del riesgo de complicaciones hemorrágicas de estas pacientes sometidas a tratamiento. Los resultados globales de nuestro estudio, comunicados en tres publicaciones internacionales, ponen de manifiesto la relevancia del SAFO y del SAFO-I como entidades clínicas deletéreas para mujeres con deseo gestacional, así como para el correcto curso del embarazo. Los abortos de primer trimestre y la prematuridad, fueron los principales eventos obstétricos observados en las pacientes con SAFO, mientras que en el grupo de SAFO-I predominó la patología placentaria tardía y los nacimientos pre-término. Todas las categorías de laboratorio se vieron representadas en ambos grupos. Las pacientes tuvieron buenos resultados obstétricos bajo el "standard of care" del tratamiento. Finalmente, el tratamiento combinado con dosis bajas de aspirina y profilácticas con heparina e incluso cuando se asoció un segundo antiagregante – hidroxicloroquina – no provocó un incremento de eventos hemorrágicos (tanto mayores como menores) comparándolos con la frecuencia de sangrado extrapolable a la población sana, tanto en embarazo, parto y puerperio.
The antiphospholipid syndrome (APS) is an autoimmune disease in which the presence of antiphospholipid antibodies (aPL) leads to arterial and/or venous thrombosis as well as obstetric morbility. The obstetric variant is known as obstetric antiphospholipid syndrome (OAPS) and stands for the main acquired treatable cause of obstetrical morbility during pregnancy. Those cases that presented with obstetrical complications related with APS but didn’t meet all the recommended classifying criteria for APA were defined as incomplete OAPS (I-OAPS). The main objective of this thesis is to describe the clinical and laboratory features of OAPS and to compare it with its obstetrical incomplete variant (I-OAPS), as well as to report the alleged haemorragic complications secondary to the combined treatment with aspirin and low molecular weight heparin. It contents more than 2500 patients of which 1640 have been studied in detail (1000 patients afected with OAPS and 640 with I-OAPS, being the latter the aim of this doctoral thesis). In a first analysis a retrospective and prospective analysis is performed studying this first 1000 OAPS cases, comparing followingly the same features with the 640 patients in the I-OAPS group. We ended up analyzing the risk of haemorragic complications secondary to the treatment they received. the global results of our study, communicated in three international publications, bring out the OAPS and I-OAPS significance as deleterious factors in women with gestational desire as well as for pregnancy outcomes. First trimester miscarriages and prematurity were the main obstetric events observed in OAPS patients, whilst the late placentary pathology and pre-term birth was observed in the I- OAPS group. All laboratory categories were represented in both groups. Patients had good obstetric results when the “standard of care” was observed. Finally, the combined low dose aspirine and low mollecular weight heparin treatment didn’t lead to an increase of both minor amb major haemorragic events even when associated with a second antiplatelet _hidroxicloroquine _ treatment compared to its prevalence among a healthy population, both in pregnancy, delivery and puerperium.
Universitat Autònoma de Barcelona. Programa de Doctorat en Medicina
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Franco, Lígia Cosentino Junqueira. « Profilaxia e evolução clínica de gestantes com síndrome dos anticorpos antifosfolipídeos ». Faculdade de Medicina de São José do Rio Preto, 2005. http://bdtd.famerp.br/handle/tede/249.

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Made available in DSpace on 2016-01-26T12:51:56Z (GMT). No. of bitstreams: 0 Previous issue date: 2005-04-14
Antiphospholipid antibody syndrome is considered to be one of the principal causes of miscarriages. The objective of this study was to evaluate and compare with literature prophylaxis against miscarriages utilizing low doses of heparin and aspirin with emphasis on the clinical complications of the syndrome. In a prospective study, 34 gestations of women with histories of multiple miscarriages and positive levels of antiphospholipid antibodies were studied in the period from April 1998 to July 2004. These patients were compared with a control group of 40 gestations of women without history of miscarriages. Complications such as hypertensive disease in pregnancy, fetal growth restriction, oligohydramnios, premature separation of the placenta, prematurity and miscarriages were investigated. Serologic tests for anticardiolipin antibodies and lupus anticoagulant were also performed for all the women who had suffered from miscarriages. Diagnosis of anticardiolipin antibodies was achieved using the ELISA test. Investigation of the lupus anticoagulants was made by the partial activated thromboplastin time. Women with positive antiphospholipid antibodies were submitted to prophylactic treatment during the gestation using low doses of acetylsalicylic acid (100 mg/day) associated with low doses of subcutaneous heparin (5,000 IU twice daily). Statistical analysis was made using percentages, the Fisher exact test and the non-paired t-test. An alpha error of 0.05 was considered acceptable. The age range of the study group was from 17 to 41 years old and of the control group the ages varied from 18 to 36 years old. Three miscarriages (8.8%) occurred in the study group and none in the control group. Hypertensive disease specifically related to pregnancy, oligohydramnios and separation of the placenta were not associated to these antibodies. However, there was a correlation between the antibodies and intrauterine growth restriction, low birth weights and prematurity. In conclusion, prophylaxis is efficient in the prevention of miscarriages, however it does not prevent against low birth weights, prematurity and intrauterine growth restriction.
A síndrome dos anticorpos antifosfolipídeos é considerada umas das principais causas de aborto. Os objetivos do estudo foram avaliar a eficácia da profilaxia de perda fetal, comparando com a literatura, e avaliar as complicações obstétricas de gestantes com SAAF que utilizaram a profilaxia com heparina e a aspirina em baixas doses. Foram avaliadas em estudo prospectivo e aleatório, no período de abril de 1998 ajulho de 2004, 34 gestações de mulheres com história pregressa de perdas fetais e positividade para os anticorpos antifosfolipídeos. Foi comparado com um grupo controle, também prospectivo e aleatório, de 40 gestações de mulheres sem história pregressa de perdas gestacionais. Investigaram-se complicações como doença hipertensiva, restrição de crescimento fetal, oligoâmnio, descolamento prematuro de placenta, prematuridade e aborto. Os testes sorológicos para os anticorpos anticardiolipina e o anticoagulante lúpico foram realizados em todas as mulheres com história pregressa de perda fetal. O diagnóstico dos anticorpos anticardiolipina foi realizado pelo teste ELISA. A investigação do anticorpo anticoagulante lúpico foi feito com o tempo de tromboplastina parcial ativado. As mulheres portadoras de anticorpos antifosfolipídeos fizeram tratamento profilático durante a gestação com baixas doses de ácido acetilsalicílico (1 00mg/dia) associado a baixas doses de heparina subcutânea (5.000 U duas vezes ao dia). Os dados foram expressos em forma de percentagem (freqüência), e os testes estatísticos utilizados foram o teste exato de Fisher e teste t não pareado, admitindo-se um erro alfa de 5%. A faixa etária do grupo estudado variou entre 17 e 41 anos e a do grupo controle entre de 18 a 36 anos. Ocorreram três perdas gestacionais (8,8%) no grupo de estudo e nenhuma no grupo controle. A Restrição de Crescimento Intrauterino, o baixo peso dos Recém-nascidos e prematuridade foram relacionados (p <0,05). Nota de Resumo Conclui-se que a profilaxia foi eficaz na prevenção do aborto, porém não preveniu o baixo peso, a prematuridade e a restrição de crescimento intra-uterino. Não foram observadas as associaçoes destes anticorpos com a Doença Hipertensiva Específica da Gestação, o Descolamento Prematuro da Placenta e o oligoâmnio (p < 0,05), porém observa-se uma tendência ao oligoâmnio, o que seria mais bem avaliado com um estudo com maior número de gestantes.
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Ciucciarelli, Lucia. « Il ruolo delle microparticelle nella sindrome da anticorpi antifosfolipidi ». Doctoral thesis, 2017. http://hdl.handle.net/2158/1102416.

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Résumé :
La grande varietà dei quadri clinici caratterizzati dalla positività per aPL rende difficile la stratificazione dei pazienti in base al rischio di presentare eventi trombotici con conseguenti difficoltà che si ripercuotono sulle scelte terapeutiche. Per la prima volta, utilizzando un nuovo approccio citofluorimetrico, abbiamo osservato che il numero delle MP circolanti riportato negli studi precedenti era probabilmente sottostimato, poiché essi escludevano le MP Annessina V-, che rappresentano un grande sottotipo delle MP. Inoltre i livelli alterati di MP trovati nel plasma di pazienti positivi per aPL, indicano uno stato di attivazione cellulare che è molto più pronunciato in pazienti con APS paragonati ai portatori. Infine, i dati preliminari del nostro studio pilota suggeriscono che la valutazione delle MP circolanti, in particolare PMP ed EMP, potrebbe essere usata come marcatore surrogato per il monitoraggio del danno piastrinico e vascolare e, se confermato in una popolazione più grande, potrebbe esser usato come fattore prognostico per identificare i soggetti positivi a più alto rischio di sviluppare trombosi e per i quali potrebbero essere richieste specifiche strategie preventive.
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« Detecção de autoanticorpos antifosfolipides por adsorção de afinidade utilizando magenetolipossomas ». Tese, Biblioteca Digital da Unicamp, 2000. http://libdigi.unicamp.br/document/?code=vtls000205782.

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« Prevalencia de anticorpos antifosfolipides em gestantes diabeticas e os resultados gestacionais e perinatais ». Tese, Biblioteca Digital da Unicamp, 2005. http://libdigi.unicamp.br/document/?code=vtls000373144.

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