Littérature scientifique sur le sujet « Abuso, diritto »

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Articles de revues sur le sujet "Abuso, diritto"

1

Grignani, Francesca. « Abuso psicologico all'infanzia : problematiche e intervento in sede penale ». MALTRATTAMENTO E ABUSO ALL'INFANZIA, no 2 (juin 2010) : 73–85. http://dx.doi.org/10.3280/mal2010-002006.

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Résumé :
Il presente contributo č dedicato al fenomeno del maltrattamento psicologico intrafamiliare sul minore e, in particolare, al suo trattamento in sede penale. Le principali tematiche affrontate riguardano l'esplicitazione delle problematiche che tale tipologia di abuso č destinata ad incontrare nell'ambito del diritto penale, la costruzione di un modello di procedimento in sede penale, quale č stata suggerita da due Pubblici Ministeri e da un Giudice del Tribunale Ordinario di Milano e l'analisi di una sentenza di secondo e di terzo grado relativa ad un reato di tal genere. La conclusione cui si arriva sottolinea come bisognerebbe agire sempre in base all'interesse del minore propendendo, dunque, per una maggiore definizione del fenomeno a livello normativo e per l'uso dello strumento penale, laddove necessario e prevedendo, invece, un percorso di ricostruzione familiare in caso di recuperabilitŕ genitoriale.
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Terranova, Giulia. « Una bella intersecazione fra trust e diritto societario (Trib. Milano, 22 novembre 2021) ». settembre-ottobre, no 5 (6 octobre 2022) : 945–50. http://dx.doi.org/10.35948/1590-5586/2022.195.

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Résumé :
Tesi La pronuncia in commento, facendo propria l’interpretazione giurisprudenziale maggioritaria, dà una definizione di «abuso di maggioranza» e ne esclude la sussistenza nella fattispecie sottoposta alla sua attenzione. L’ordinanza del Tribunale di Milano è interessante inoltre perché riguarda un caso di impiego del trust in funzione successoria e in particolare per garantire il passaggio intergenerazionale dell’impresa. Come correttamente sottolinea il giudice milanese, attraverso il trasferimento di un pacchetto azionario rilevante ad un trust è possibile assicurare continuità nella gestione dell’impresa, anche dopo la morte del disponente, evitando l’instaurazione di una comunione tra i coeredi e scongiurando quindi il rischio di smembramento della società. The author’s view The decision gives a definition to the «abuse of the majority» alike the one given by the majority of the Italian jurisprudence and it concludes that in the case examined the majority shareholder did not abuse of his majority. The decision is interested also because it is about a case of use of the trust for the efficient succession of a company between different generations. As the Court correctly underlines, through the transfer of a block of shares to a trust, it is possible to give continuity to the management of the company, even after the settlor’s death, avoiding the community of property between the heirs and preventing the risk of the dissolution of the company.
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Kennett, Wendy. « Book Review : L’abuso Del Diritto, by Guilio Levi. (Guiffré, 1993) ». European Review of Private Law 3, Issue 3 (1 septembre 1995) : 536–38. http://dx.doi.org/10.54648/erpl1995040.

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Pröbstl, Julian. « Gaspare Falsitta : Unità e pluralità del concetto di abuso del diritto nell´ordinamento interno e nel sistema comunitario (Rivista di Diritto Tributario 2018, S. 333-350). » Steuer und Wirtschaft - StuW 96, no 1 (1 février 2019) : 101–2. http://dx.doi.org/10.9785/stuw-2019-960111.

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Litwiniuk, Przemyslaw. « Abuso di diritto da parte del beneficiario della Politica agricola comune (creazione di condizioni artificiali al fine di ricevere assistenza finanziaria) ». AGRICOLTURA ISTITUZIONI MERCATI, no 1 (avril 2015) : 29–45. http://dx.doi.org/10.3280/aim2013-001003.

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Vasapolli, Andrea. « Trust fiscalmente inesistente (Risposta a interpello 4 luglio 2022, n. 359) ». Trusts, no 6 (1 décembre 2022) : 1135–47. http://dx.doi.org/10.35948/1590-5586/2022.226.

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Résumé :
Tesi La casistica con riferimento alla quale l’Agenzia delle Entrate definisce i trust come «fiscalmente inesistenti» non trova supporto nella legge ed è il frutto di interpretazioni storiche riferite a trust esteri utilizzati quali strumenti di mera evasione. La legge fiscale non fornisce una autonoma definizione di trust, per cui anche ai fini fiscali devono essere riconosciuti come trust, e in quanto tali come enti dotati di autonoma soggettività tributaria, i trust che siano riconoscibili sulla base delle condizioni previste dalla Convenzione de L’Aja. Deve essere considerato inesistente, conseguentemente anche non produttivo di effetti ai fini fiscali, un trust non riconoscibile come tale in Italia sulla base della Convenzione de L’Aja, mentre devono esserne solo disconosciuti gli effetti ai fini fiscali qualora il trust sia stato validamente istituito ma trovino applicazione le disposizioni in tema di abuso del diritto. The author’s view The cases with reference to which the Italian Tax Authority defines trust as «fiscally non-existent» do not find support in the law and are the result of historical interpretations referring to foreign trust used as instruments of mere evasion. The tax law does not provide an autonomous definition of trust, so that trust that are recognisable on the basis of the conditions set out in the Aja Convention must be recognised as trust, and as such as entities with autonomous tax subjectivity for tax purposes. A trust which is not recognisable as such in Italy on the basis of the Aja Convention must be regarded as non-existent, and consequently also as not producing any effects for tax purposes, whereas its effects for tax purposes must only be disallowed where the trust has been validly set up but the provisions on abuse of rights apply.
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Battistelli, Stefania, et Piera Campanella. « Comando e controllo nel lavoro agile : prime riflessioni ». PRISMA Economia - Società - Lavoro, no 2 (février 2022) : 52–67. http://dx.doi.org/10.3280/pri2020-002004.

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Résumé :
La normativa italiana in materia di lavoro agile (L. n. 81 del 2017) delinea le ca-ratteristiche di una nuova modalità di lavoro flessibile, senza vincoli specifici di orario e luogo di lavoro. L'istituto, che nasce con finalità di incrementare la com-petitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, solleva questioni nuove, concernenti tanto l'organizzazione e la produttività del lavoro, quanto il benessere dei lavoratori, aprendo nuovi spazi di riflessione e di studio a riguardo. Alla luce di queste prime considerazioni, il contributo in oggetto si concentra sull'impatto del lavoro agile, e più in generale del lavoro a distanza, nei confronti dei poteri tipici del datore di lavoro rispetto alle relazioni industriali-tipo. Con l'introduzione di nuove tecnologie e di nuovi modelli di organizzazione del lavoro, il potere di controllo del datore di lavoro tende a rafforzarsi, esponendo i lavoratori a nuove forme di sorveglianza costante. In questo (nuovo) contesto, ci si chiede, in particolare, in che modo il potere di controllo o vigilanza si atteggi nel lavoro a distanza, quale funzione sia deputato ad assolvere e se e in che misura risulti com-patibile con la disciplina avente ad oggetto la vigilanza sull'esatto adempimento degli obblighi contrattuali da parte dei dipendenti di cui all'art. 4 St. lav. Analoga-mente, ci si chiede quali siano gli effetti della flessibilità dell'orario di lavoro sul potere, sui doveri e sulle responsabilità del datore, chiamato a garantire la discon-nessione del lavoratore dagli strumenti tecnologici di lavoro attraverso l'adozione di apposite misure tecniche e organizzative (art. 19, co. 1, L. 81/2017). D'altro can-to, lo scopo del diritto alla disconnessione non è solo quello di tutelare la salute del lavoratore e garantire il rispetto della sua vita personale, ma anche quello di evita-re il rischio di abuso di potere del datore di lavoro, comunemente definito "time porosity". Tuttavia, un modo adeguato per garantire efficacemente il diritto del lavoratore alla disconnessione non è ancora stato individuato e la questione meri-ta di essere approfondita. Tenuto conto di ciò, sarebbe opportuno ripensare al ruo-lo, da una parte, della contrattazione collettiva e delle parti sociali e, dall'altra, della legge nell'ottica di innalzare la qualità del lavoro a distanza.
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Menis, Claudio. « Les rapports entre le droit communautaire et la nouvelle loi italienne relative à la protection de la concurrence ». Journal of Public Finance and Public Choice 8, no 2 (1 octobre 1990) : 79–92. http://dx.doi.org/10.1332/251569298x15668907344974.

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Résumé :
Abstract La nuova legge italiana sulla concorrenza s’inserisce in un contesto economico e giuridico caratterizzato dall’esistenza del diritto comunitario della concorrenza, che è applicable a tutti i comportamenti delle imprese che producono effetti nella Comunità economica europea.Il diritto comunitario non esclude che gli Stati membri introducano leggi nazionali per la protezione della concorrenza, che anzi possono coesistere legittimamente con il diritto comunitario e anche svolgere un ruolo importante in seno alla Comunità.Pertanto, è utile esaminare quale sia l’incidenza del diritto comunitario della concorrenza sulla legge italiana e, inoltre, quale sia il ruolo che la legge italiana può svolgere per contribuire ad assicurare il buon funzionamento del mercato comune.In primo luogo, è necessario esaminare i rapporti tra gli articoli 85 e 86 del Trattato CEE e i diritti nazionali della concorrenza.Tali articoli si applicano esclusivamente ai comportamenti delle imprese che sono suscettibili d’influenzare gli scambi commerciali tra Stati membri. Essi non hanno quindi il compito di sostituirsi ai diversi diritti nazionali della concorrenza ma, al contrario, lasciano aperta agli Stati membri la possibilità di emanare norme specifiche per il controllo delle imprese i cui comportamenti hanno effetto nei rispettivi territori nazionali.Peraltro, secondo quanto ha stabilito nel 1969 la Corte di Giustizia delle Comunità europee, l’applicazione parallela del diritto comunitario e del diritto nazionale non può essere ammessa che nella misura in cui non pregiudichi l’applicazione uniforme, in tutto il mercato comune, delle norme comunitarie.Tra i diversi casi possibili, quelli in cui le autorità nazionali possono agire sono sia il caso in cui la Commissione abbia ritenuto di vietare gli accordi o le pratiche in discussione, ed in cui un divieto a livello nazionale potrebbe contribuire ad elevare le sanzioni nei riguardi dell’impresa incriminata (pur tenendosi conto del fatto che per motivi di equità le sanzioni cumulate non possono superare un certo livello), sia il caso in cui la Commissione abbia dichiarato che un accordo o una pratica non rientrano nel campo d’applicazione degli articoli 85 o 86; in quest’ultimo caso, secondo la dottrina prevalente, un’attestazione negativa non priverebbe le autorità nazionali del diritto di applicare la loro legislazione sulla concorrenza. Un caso analogo è quello in cui la Corte, con una speciale lettera amministrativa (lettre de classement), abbia espresso l’opinione di non dover intervenire in applicazione dell’art. 85, e nel quale le autorità nazionali possono applicare le loro norme più ristrette.Per quanto riguarda, poi, il regolamento comunitario attinente alle concentrazioni nei suoi rapporti con i diritti nazionali di concorrenza, esso non determina il suo campo di applicazione sulla base dell’influenza esercitata sugli scambi tra Stati membri, ma in funzione del criterio della dimensione comunitaria dell’operazione di concentrazione. In questo caso, contrariamente a quanto accade per l’applicazione degli articoli 85 ed 86 del Trattato CEE, viene escluso qualsiasi intervento dei sistemi nazionali nei riguardi delle concentrazioni di dimensione comunitaria (con due eccezioni: quando la concentrazione rischia di determinare una «posizione dominante” all’interno di uno Stato membro e quando uno Stato membro intenda assicurare la protezione di interessi legittimi che non sono tutelati dal regolamento comunitario).Gli Stati membri possono, invece, applicare la loro legislazione alle concentrazioni che non abbiano dimensione comunitaria.Tutto quanto precede riguarda i rapporti tra normative CEE e diritti nazionali degli Stati membri. Vediamo adesso la posizione della legge italiana con riguardo al diritto comunitario della concorrenza.A questo riguardo, vi sono alcune difficoltà interpretative. Infatti, secondo il primo comma dell’art. l della legge, quest’ultima si applicherebbe alle intese, agli abusi di posizione dominante ed alle concentrazioni d’imprese che non ricadono nell’ambito di applicazione delle norme comunitarie. Pertanto, l’Autorità italiana, dopo aver constatato che un caso sottopostole non rientra nell’ambito di applicazione della legge, ne informa la Commissione delle Comunità europee, trasmettendole tutte le informazioni in suo possesso.Se ci si attenesse, quindi, ai due primi’ paragrafi, si potrebbe ritenere che la legge italiana non possa mai essere applicata a casi che rientrano nella competenza del diritto comunitario della concorrenza; tale limitazione del diritto italiano della concorrenza, come si è visto, non è richiesta dal diritto comunitario (salvo per le concentrazioni di dimensione comunitaria).Il terzo paragrafo dell’art. 1, tuttavia, sembra introdurre un’eccezione a questa limitazione, affermando che, per quanto riguarda i casi per i quali la Commissione delle Comunità europee ha gia iniziato una procedura, l’Autorità italiana deve sospendere l’istruttoria, «salvo per gli eventuali aspetti di esclusiva rilevanza nazionale».Due interpretazioni sono possibili: che gli «aspetti di esclusiva rilevanza nazionale” si riferiscano soltanto a comportamenti che non sono suscettibili d’influenzare gli scambi tra Stati, oppure che si riferiscano anche a comportamenti che possono influenzare tali scambi e, di conseguenza, la legge italiana potrebbe applicarsi anche a comportamenti che rientrano nel diritto comunitario della concorrenza. In quest’ultimo caso potrebbe esservi un’applicazione parallela dei due ordinamenti della concorrenza, sempre con il rispetto del primato del diritto comunitario (salvo che per le concentrazioni di dimensione nazionale).Sara compito dell’Autorità scegliere tra queste due possibili interpretazioni.
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Charrier, Guy. « Parallèle entre la loi italienne pour la protection de la concurrence et le système français ». Journal of Public Finance and Public Choice 8, no 2 (1 octobre 1990) : 103–15. http://dx.doi.org/10.1332/251569298x15668907345045.

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Résumé :
Abstract La nuova legge italiana per la protezione della concorrenza e del mercato presenta una notevole analogia, sia nei concetti che nei principali meccanismi applicativi, con le principali legislazioni dei Paesi membri della CEE e soprattutto con quelle che sono state introdotte negli anni più recenti.Il campo d’applicazione riguarda, almeno in principio, tutti i settori di attività, sia nel sistema italiano che in quello francese, poiché nessuna deroga è prevista, salvo per alcune particolari attività, come gli audio-visivi, la stampa, le banche e le assicurazioni.Questa estensione del campo di applicazione della legislazione si spiega con il fatto che essa riguarda tutte le pratiche anti-concorrenziali che vadano a detrimento del buon funzionamento del mercato e che tali pratiche siano suscettibili di provenire da tutti gli operatori economici.In Francia, peraltro, vige una distinzione tra comportamenti diretti a falsare il mercato, e che ricadono sotto le categorie di cartelli e di abuso di posizione dominante, di cui si occupa il Consiglio della concorrenza, e le pratiche restrittive, come il rifiuto di vendere, la subordinazione delle vendite, le discriminazioni e l’imposizione di prezzi, che sono di competenza dei tribunali perché in principio riguardano soltanto i rapporti tra imprese.Un secondo aspetto riguarda l’applicazione delle regole della concorrenza alle persone pubbliche. In principio, le disposizioni della legge italiana circa le imprese pubbliche (art. 8) e quelle della legge francese (art. 53) rispondono soltanto in parte alla questione. Nel diritto francese, quando una persona pubblica agisce da privato, è sottoposta alle leggi che riguardano il comportamento dei privati. Una difficoltà sorge, invece, quando questa persona pubblica, agendo nell’ambito dei suoi poteri, genera sul mercato effetti che danneggiano la concorrenza. Una recente sentenza del Tribunale dei conflitti ha concluso che le regole della concorrenza non si applicano alle persone pubbliche se non nella misura in cui esse diano luogo ad attività di produzione (di distribuzione o di servizi).La legge italiana non dà alcuna definizione del concetto di concorrenza nè dà alcun elemento che ne consenta la giustificazione economica. Altrettanto avviene con la legge vigente in Francia, ove sono i testi delle decisioni che forniscono indicazioni al riguardo.Il principio generate del divieto dei cartelli, come anche l’elenco dei casi suscettibili di costituire intese di carattere anti-concorrenziale, sono presentati in modo molto simile sia nella legge italiana che in quella francese. Ambedue riprendono, d’altronde, la formulazione dell’art. 85 del Trattato di Roma.Tutto fa pensare che l’Autorità italiana si troverà di fronte a casi analoghi a quelli di cui si è in varie occasioni occupato il Consiglio della concorrenza francese: cartelli orizzontali (accordi sui prezzi, sulla ripartizione dei mercati, sull’esclusione di un’impresa del mercato, ecc.); intese verticali (risultanti da accordi tra un produttore ed i suoi distributori nell’ambito di contratti di distribuzione selettiva o esclusiva); imprese comuni (la cui creazione può rientrare nel campo della proibizione di cartelli o costituire un’operazione di concentrazione); intese tra imprese appartenenti allo stesso gruppo (nel quadro dei mercati pubblici, il Consiglio ha ritenuto che non sia contrario alle norme concorrenziali, per imprese con legami giuridici o finanziari, rinunciare alla loro autonomia commerciale e concertarsi per rispondere a delle offerte pubbliche).Sull’abuso di posizione dominante, così come per i cartelli, i due sistemi italiano e francese presentano molte somiglianze. Tuttavia, contrariamente al diritto francese ed a quello tedesco, nella legislazione italiana non si fa alcun riferimento alle situazioni di «dipendenza economica». Peraltro, l’identificazione di questo caso è alquanto complessa e, sinora, il Consiglio non ha rilevato alcun caso che rientri nello sfruttamento abusivo di una situazione di dipendenza economica. Pertanto, si può forse concludere che il legislatore italiano sia stato, a questo riguardo, più saggio di quello francese. Più in generale, per quanto riguarda i casi di abuso di posizione dominante, il Consiglio deBa concorrenza ha seguito un’impostazione piuttosto tradizionalista.Anche sul controllo delle concentrazioni, il testo della legge italiana richiama quello francese e anche quello della normativa comunitaria, pur se è diversa la ripartizione delle competenze tra Autorità incaricata della concorrenza e Governo. Nella legge italiana, d’altra parte, vi sono delle norme relative alla partecipazione al capitale bancario che fanno pensare ad un dibattito molto vivo su questo tema.I livelli «soglia” per l’obbligo di notifica delle concentrazioni sono più elevati in Francia. Bisognerà poi vedere con quale frequenza il Governo italiano farà ricorso all’art. 25, che gli conferisce il potere di fissare criteri di carattere generale che consentono di autorizzare operazioni di concentrazione per ragioni d’interesse generale, nel quadro dell’integrazione europea.L’interesse delle autorità amministrative francesi nei riguardi delle concentrazioni, che un tempo era molto limitato, è divenuto più intenso negli anni più recenti, anche se i casi di divieto di concentrazioni sono stati sinora molto limitati.In conclusione, si può ricordare che un organismo competente in materia di protezione della concorrenza ha un triplice compito: pedagogico (attraverso la pubblicazione delle decisioni, delle motivazioni e delle ordinanze su questioni di carattere generale e sui rapporti attinenti al funzionamento del mercato), correttivo (per distogliere gli operatori economici da comportamenti anti-concorrenziali) e, infine, dissuasivo (poiché l’esperienza di applicazione delle leggi relative alla concorrenza dimostra che la loro efficacia dipende in modo decisivo dalla comminazione di sanzioni).
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Chiappetta, Giovanna. « Cittadinanza europea : opportunità e abusi nel diritto internazionale privato della famiglia ». CITTADINANZA EUROPEA (LA), no 2 (janvier 2021) : 105–34. http://dx.doi.org/10.3280/ceu2020-002005.

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Résumé :
Il saggio si incentra sulla funzione dell'autonomia negoziale nella regolamentazione degli status e dei rapporti familiari tra componenti il nucleo familiare tipico o atipico. Ciò in quanto il ruolo dell'autonomia negoziale è stato ampliato anche dalla cittadinanza europea intesa dalla Corte di giustizia europea come fonte autonoma di diritti. Tale cittadinanza, che si aggiunge a quella nazionale, ha consentito alla coppia ‘statica', pur in assenza del carattere transnazionale della situazione familiare, di scegliere la legge e gli strumenti di ordinamenti stranieri da applicare ai rapporti patrimoniali ed esistenziali della comunità di vita. Il saggio si propone di dimostrare come i Regolamenti UE in materia familiare possano applicarsi anche ai cittadini europei ‘statici', consentendo la scelta di leggi straniere con soluzioni estranee all'ordinamento nazionale, nel rispetto del limite dell'ordine pubblico costituzionale di ciascun Paese membro.
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Thèses sur le sujet "Abuso, diritto"

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FRATTINI, MARCO. « L'ABUSO DEL DIRITTO NEL DIRITTO DEI CONTRATTI ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2013. http://hdl.handle.net/2434/219666.

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Résumé :
La presente tesi di dottorato analizza il ruolo del principio dell’abuso del diritto nel diritto dei contratti. Il lavoro di ricerca si pone quale obiettivo lo studio del fenomeno dell’abuso del diritto in termini di indipendenza ed autonomia in particolare rispetto al principio generale di buona fede. L’elaborato considera con particolare attenzione le possibili interazioni tra il principio dell’abuso del diritto e i contratti B2b alla luce dei cosiddetti fallimenti del mercato. Inoltre, il lavoro si occupa anche dei possibili rimedi applicabili in caso di violazione del principio dell’abuso del diritto. Il Capitolo 1 contiene un’introduzione storica della teoria dell’abuso del diritto nonché una breve esposizione delle principali tesi avanzate di tempo in tempo dai principali interpreti che si sono occupati ex professo della materia. Il capitolo 2 propone un’analisi in chiave sistematica delle principali pronunce delle corti italiane in cui è stato ritenuto dalle stesse possibile applicare il principio dell’abuso del diritto nonché di quelle previsioni normative in cui si rinviene un riferimento al principio dell’abuso del diritto. Il capitolo 3 contiene un proposta ricostruttiva del fenomeno dell’abuso del diritto sulla base di un criterio teleologico ritenuto idoneo a consentire un’interpretazione dell’abuso del diritto quale principio generale autonomo ed indipendente ai sensi del diritto italiano.
This PhD dissertation deals with the analysis of the abuse of right’s doctrine under the Italian contractual law. The research aims to study a possible interpretation of the abuse of right’s phenomenon in terms of a legal principle independent and autonomous from the bona fide principle. The study focuses in particular on the relationships between the abuse of rights’ doctrine and the “B2b agreements” in the light of the so called market failures. Furthermore the research investigates also the possible remedies applicable in case of violation of the abuse of right’s principle. Chapter 1 provides for an historical introduction to the abuse of right’s doctrine whereby the main theories advanced from time to time by the main French and Italian Scholars that analyzed ex professo the matter are briefly exposed. Chapter 2 focuses on a systematic analysis of the law case to which the Italian Court considered applicable the abuse of right’s principle as well as the single law provisions which contain references to the concept of abuse of right. Chapter 3 contains a reconstructive proposal of the abuse of right’s phenomenon based on a teleological criterion that would consent to qualify the abuse of right in terms of autonomous and independent legal principle under the Italian legal environment.
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Sorbello, Pietro <1977&gt. « Abuso del diritto e repressione penale. Profili di diritto penale sostanziale ». Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2017. http://amsdottorato.unibo.it/8200/1/sorbello_pietro_tesi.pdf.

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Résumé :
Un’immagine dell’abuso del diritto è quella del fuoco sotto la cenere perché esprime il pericolo al quale espone legalità e colpevolezza. Sebbene l’ermeneutica penalistica sia vincolata, la materia tributaria rappresenta l’ultimo caso in cui forza normativa dei principi ed interpretazione teleologica hanno consentito incriminazioni in malam partem. Nemmeno la rilevanza costituzionale del bene consente di incriminare l’elusione oltre la riserva di legge: al giudice è vietato “creare un regime legale penale, in luogo di quello realizzato dalla legge”. Il tema delle infrazioni di origine giurisprudenziale introduce una seconda accezione di legalità come concepita dall’art. 7 CEDU: la norma incriminatrice è valida allorquando - prescindendo dalla fonte - sia accessibile e prevedibile. Di fronte alla sentenza “Dolce e Gabbana” può affermarsi che incriminare l’elusione non è conforme alla legalità costituzionale, perché la commistione tra evasione ed elusione fiscale modifica il tipo in via interpretativa, né convenzionale perché le conseguenze non erano prevedibili quando furono realizzate le operazioni elusive. L’antagonismo delle concezioni di legalità trova soluzione avuto riguardo ai fini di garanzia. Se è contrario alla Costituzione accogliere un’idea di legalità-prevedibilità che prescinda dalla riserva di legge, la finalità di maggior garanzia possibile, esplicitata all’art. 53 della CEDU, non consente alternative alla sinergia: la legalità convenzionale sarà più garantista se integra quella costituzionale. La trasposizione sul piano interno della prevedibilità rileva sul distinto piano della colpevolezza, trova aggancio all’art. 5 c.p. e sposta la questione sulla conoscibilità dell’illecito. Alla rilevanza penale dell’abuso del diritto in materia tributaria ostava anche il principio di colpevolezza non potendosi muovere un rimprovero a fronte di un’ignoranza scusabile. L’affermata irrilevanza penale avrebbe dovuto spegnere definitivamente il fuoco dell’abuso del diritto, se non che alcune posizioni favorevoli al recupero in chiave di artificio espongono ancora il principio di legalità al pericolo di un fuoco sotto la cenere.
Metaphorically speaking, the relationship between criminal liability and abuse of law may be described as a flame beneath ashes. In summary, a punishment based on the abuse of law is not consistent with the principle of legality recognized by the Italian Constitution: according to the Article 25, paragraph 2, in fact, no one may be punished except on the basis of a law enacted by the Parliament. Nevertheless, an infringement of the constitutional principle of legality occurred in the Dolce & Gabbana case where a criminal conviction for tax avoidance was pronounced by the Criminal Courts. In the lack of an express provision punishing tax avoidance, only tax evasion may be punished under Italian criminal law. Moreover, the punishment for tax avoidance was not foreseeable according to the principle of legality enshrined in Article 7 of the ECHR due to the fact that prior to the “Dolce & Gabbana” case tax avoidance was not qualified as an offence in the Italian case-law.
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GRANDI, MAURO. « Abuso del diritto e sue applicazioni giurisprudenziali ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2012. http://hdl.handle.net/10281/29834.

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Résumé :
Dopo aver esaminato le origini storiche e l'evoluzione dottrinale dell'istituto, si approfondiscono le sue applicazioni giurisprudenziali nell'ambito del diritto civile, del diritto commerciale e del diritto tributario
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RUSSETTI, DANIELE. « Abuso del diritto : principio interpretativo o categoria generale del diritto dell'unione europea ». Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2013. http://hdl.handle.net/10281/41955.

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Résumé :
L’abuso trova origine nella tensione tra la libertà di agire e gli scopi personali sottesi a tale agire. Lo scontro tra i suddetti elementi costituisce il terreno fertile su cui questo si innesta e cresce. Difatti, il diritto soggettivo si articola nella (lecita) possibilità di assumere un comportamento previsto dalla norma e, quindi, di poter agire per soddisfare un interesse degno di tutela a livello legislativo. Dal momento che questo, inteso come agere licere, è una facoltà “positiva”, l’ordinamento giuridico non può tollerare il perseguimento di obiettivi non contemplati dalla ratio normativa il quale si presenta come la negazione stessa di un corpus iuris. Configurandosi in termini di facoltà non soggetta ad alcuna regola, esso si pone in aperto contrasto con il principio di sistematicità e di coerenza che caratterizzano un sistema di norme. Ecco che la fattispecie dell’abuso nasce dal continuo ed inesorabile impegno da parte dell’ordinamento di riconoscere ai singoli individui, siano essi persone fisiche o giuridiche, uno spazio di libertà per il perseguimento di interessi “personali” degni di tutela da parte dell’ordinamento, senza che ciò possa sconfinare in un’azione priva di fondamento giuridico. Secondo il diritto UE, l’abuso si è posto e si pone come la sintesi del binomio libertà di azione o scelta vs scopo ultimo dell’azione o scelta. Se da un lato i Trattati istitutivi dell’UE attribuiscono ai soggetti libertà fondamentali da poter utilizzare in uno spazio giuridico senza frontiere, dall’altro si pone il problema di arginare tutti quei fenomeni in cui il formale esercizio del diritto attribuito sia del tutto incoerente con l’obiettivo della norma, dando vita a possibili forme di contrasto tra quanto concesso e, dunque, quanto effettivamente realizzato. È proprio in un’ottica di concorrenza tra gli ordinamenti, e quindi di circolazione dei modelli normativi, che si concretizza la possibilità di utilizzare il diritto per fini non coerenti con il dettato normativo, i.e. in maniera abusiva. Consapevoli di ciò, i Giudici della Corte di Giustizia, al fine di evitare un impiego distorto del diritto UE, hanno enucleato l’assunto secondo cui non è possibile utilizzare abusivamente (o fraudolentemente) il diritto comunitario/europeo. A detta di chi scrive, tale inciso deve essere giustificato alla luce di quella peculiare esigenza di individuare una clausola generale idonea a colmare le possibili lacune di un sistema particolarmente complesso come quello europeo, con inevitabili riflessi a livello nazionale. Stante il limitato ambito di applicazione delle misure interne volte a tutelare i sistemi giuridici nazionali, la Corte di Giustizia ha voluto “creare” uno strumento in grado non solo di preservare la coerenza del sistema europeo da possibili usi impropri dello stesso, ma anche di evitare che attraverso questo, si dessero vita a fenomeni di elusione o frode della disciplina nazionale. L’abuso è stato individuato ogni qual volta i singoli abbiano utilizzato le libertà di matrice europea per finalità non ammesse dalle disposizioni normative che attribuivano tali posizioni giuridiche. Inoltre, si è considerata legittima l’azione degli Stati membri di non riconoscere la fattispecie integrata dal singolo in quanto realizzata in palese violazione della sovranità delle leggi nazionali, ossia dello Stato di origine. Così facendo, l’esercizio delle disposizioni europee, eventualmente dotate di efficacia diretta, viene paralizzato, con il conseguente riconoscimento di forza cogente della norma nazionale impropriamente elusa. Il vero problema dell’abuso si pone quando ci si trovi di fronte a comportamenti individuali che corrispondono a fattispecie di esercizio di situazioni giuridiche, determinate da una norma positiva in modo più o meno dettagliato, ma in ogni caso tale da attribuire, prima facie, una precisa protezione a colui che agisce. È proprio in tali situazioni che si viene a creare quell’apparenza di legittimità del comportamento individuale, conforme alla fattispecie astratta di esercizio di un diritto contemplata dalla norma, che generalmente non corrisponde alla ratio ultima della disposizione e, quindi, del sistema giuridico europeo. La richiamata formula, e i casi in cui è stata utilizzata, fanno emergere, ictu oculi, che la nozione di abuso (nonché quella di frode!) e il correlato divieto sono legati proprio all’esercizio delle facoltà connesse alle libertà fondamentali, in particolare quando si considerino situazioni in cui si profili una diversità di disciplina normativa di determinate fattispecie tra le legislazioni nazionali. L’abuso e la frode costituiscono l’uso improprio, id est oltre i limiti, della facoltà offerta dall’ordinamento europeo di scegliere tra più alternative nell’ambito dell’esercizio delle libertà fondamentali. Ecco, dunque, che sulla base di quanto supra esposto è possibile ravvisare l’importanza del divieto dell’abuso del diritto. Coniugando la duplice veste di canone ermeneutico nonché di categoria generale del diritto dell’Unione Europea, il divieto si mostra nella sua veste di correttivo alle lacune normative del sistema giuridico sovranazionale. Assolve la funzione di risolvere i conflitti normativi, di proteggere gli spazi comuni e di garantire il continuo adattamento del diritto europeo alla trasformazione della società. La sua stabilità funzionale si lega, quindi, ad un’intrinseca dinamicità operativa, tesa da un lato a precludere l’esercizio improprio delle libertà fondamentali e dall’altro a tutelare la coerenza sistematica dell’ordinamento UE. Il divieto in questione si presta ad essere un correttivo malleabile alle imprevedibili fenomenologie abusive e, dunque, stante la peculiare natura che lo contraddistingue, si appalesa quale rimedio evolutivo inquadrabile nel novero delle metodologie anti-formali che consente una tutela effettiva dal lato sostanziale. Ecco dunque che si pone come la giusta sintesi fra il principle of construction che caratterizza la corretta interpretazione del diritto in generale, sia da parte del singolo operatore economico che da parte delle Amministrazioni nazionali, e una categoria generale di sistema che informa l’ordinamento UE. Preme sottolineare come l’essenza della richiamata clausola deve fare i conti, però, con la relativa applicazione pratica che non può tradursi in una capziosa ed ingiustificata limitazione di quella autonomia privata che caratterizza gli operatori che agiscono nel mercato interno UE. La libertà dei singoli nello scegliere le modalità più adeguate per realizzare la propria attività è imprescindibilmente collegata a quel concetto di autonomia privata tutelata sia a livello nazionale che europeo. In particolare, la facoltà di agire, avvalendosi di quanto messo legittimamente a disposizione dall’ordinamento in cui si opera, costituisce una declinazione della più generale libertà di iniziativa economica, intesa quale comportamento volontario volto alla realizzazione degli interessi del soggetto che agisce. Allo stesso tempo tale autonomia di scelta è subordinata alle legittime possibilità contemplate dal sistema giuridico di riferimento, non potendo ammettere le azioni che non risultano coerenti con le finalità che permeano tale ordinamento. Anche in questa direzione, allora, può essere valutato l’abuso del diritto e il divieto ad esso correlato. Quando si sostiene l’impossibilità di utilizzare abusivamente il diritto UE, si vuole definire indirettamente la gamma di scelte che l’ordinamento europeo reputa compatibili con gli obiettivi a cui questo tende, nel rispetto dei principi di certezza del diritto e del legittimo affidamento dei singoli. In forza di ciò, il divieto sotteso all’esercizio abusivo del diritto europeo deve essere interpretato in modo da non pregiudicare i comportamenti o le operazioni legittime. La portata di tale proibizione risulta chiara: il diritto invocato da un soggetto è escluso quando l’attività posta in essere non ha altra spiegazione che quella di raggiungere impropriamente un beneficio che collide con gli scopi e con i risultati ammessi e tutelati dalle disposizioni di una determinata branca del diritto. Operazioni così siffatte non meritano di essere protette poiché si manifestano nella loro tensione di sovvertire la finalità dello stesso sistema legale in cui si collocano. Il divieto di abuso del diritto costituisce, dunque, anche una limitazione alla libertà di iniziativa dei singoli che opera quando l’esercizio di un diritto si concretizza in una fattispecie che, sebbene rispetti le condizioni normativamente poste per l’applicazione della disciplina positiva, si pone in contrasto con gli obiettivi da essa perseguiti e, al contempo, è priva di valide motivazioni idonee a giustificarla. L’autonomia privata, che ricomprende la libertà di scelta delle forme giuridiche attraverso cui realizzare i propri obiettivi, non costituisce, quindi, un dogma assoluto. Nel mercato interno questa non può essere considerata un valore intangibile in quanto trova fondamento e limite nei valori e nei principi che permeano l’ordinamento europeo. Alla luce di ciò, è possibile cogliere il precario equilibrio che caratterizza l’autonomia privata in seno all’Unione. La tutela di questa libertà non contempla quelle azioni il cui scopo è rappresentato dal raggiungimento di un vantaggio mediante comportamenti artificiosi e/o ingannevoli, privi di adeguate motivazioni che possano legittimare tali condotte; per contro, ove tale autonomia e, dunque, la sottesa libertà di iniziativa non fossero adeguatamente garantite, verrebbero compromessi gli stessi obiettivi a cui tende il sistema giuridico europeo, ossia la realizzazione e il consolidamento di uno spazio senza frontiere in cui la libertà di scelta e l’equivalenza tra gli ordinamenti giuridici ne costituiscono l’essenza. Ecco, quindi, la necessità di interpretare le azioni poste in essere alla luce dello scopo ultimo cui tendono in quanto solo così è possibile da un lato accertare la natura abusiva delle condotte e dall’altro lasciare impregiudicati i comportamenti legittimi frutto di quella libertà di scelta posta a fondamento dell’autonomia privata e dello stesso ordinamento europeo.
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Centamore, Giuseppe <1987&gt. « Abuso del processo, abuso di strumenti processuli e Abuse of Process Doctrine : una comparazione al crocevia fra legalità formale e sostanziale ». Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2017. http://amsdottorato.unibo.it/8225/1/Centamore_Giuseppe_tesi.pdf.

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Résumé :
La tesi affronta il tema dell’abuso del processo all’interno del sistema penale italiano, tentando una ricostruzione che, muovendo dal piano interno, adotta come ulteriori punti di riferimento l’indagine comparatistica (in particolare, diretta verso il sistema anglosassone) e l’analisi sintetica della nozione di Abuse of Right a livello sovranazionale (più nello specifico, con riguardo alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea). Da una ricognizione dello scenario maturato nel sistema interno, si tenta di tracciare una delimitazione dei connotati della categoria dogmatica in oggetto (attraverso l’analisi, in particolare, della pronuncia della Suprema Corte (Sez. un., 29 settembre 2011 (dep. 10.1.2012) n. 155, Rossi). Si prosegue con lo studio comparatistico: il sistema preso a modello è quello anglo-gallese, con uno studio diretto ad evidenziare punti di divergenza e, al contempo, l’esistenza di tratti comuni che possano consentire un’eventuale mutuazione delle soluzioni adottate in quella sede. Si procede con la ricognizione del panorama normativo ed interpretativo sovranazionale in materia: i summenzionati testi legislativi rendono contezza del radicamento di tale categoria anche a tale livello, palesando concretamente l’idea della necessità di un adeguamento interno in materia. Le riflessioni finali convergono in una critica delle impostazioni giurisprudenziali emerse nell’ordinamento italiano e dei limiti dell’inquadramento offerto, nonché dell’incapacità della categoria dogmatica così elaborata di offrire adeguate soluzioni ai reali generati dall’abuso del processo; donde la necessità di pervenire alla prospettazione di un diverso paradigma della nozione, secondo una ricostruzione che, pur non negando l’essenzialità del principio di stretta legalità in ambito processuale, ne concepirebbe un temperamento, con l’ipotesi di una elaborazione per via interpretativa di una clausola generale di divieto di abuso, diretta ad offrire una risposta sia agli eventuali comportamenti scorretti dell’accusa (capaci di minare alla radice le garanzie della difesa), sia a quelli dell’imputato.
The thesis faces the topic of the abuse of process within the Italian criminal system, through an analysis which, moving from the national view, adopts as further points of reference the comparative research (particularly, focused on the England and Wales legal system) and the synthetic analysis of the notion of Abuse of Right on to international level (more in the specific one, with respect to the European Convention of the Human Rights and the Fundamental Chart of Human Rights). From a recognition of the scenario, matured in the italian system, I attempt to trace a delimitation of the essential elements of the dogmatic category (through the analysis, particularly, of the pronunciation of the Supreme Court (Sez. Un., September 29 th 2011, Rossi). The research keeps on with the comparative perspective: I focus the England and Wales system, with a study aimed at highlighting points of divergence and, at the same time, the existence of common traits that may allow to mutuate solutions adopted in that headquarters. Therefore, I conduct a recognition of the international legal scenario and interpretative panorama on the subject is made. Final reflections converge in a critique of the jurisprudence made in Italian law and of the limits of the framing offered, as well as of the inability of the dogmatic category so elaborated to offer appropriate solutions to the real problems generated by the abuse of process and, perhaps, the necessity to come up with the prospect of a different paradigm of the notion, according to a reconstruction that, while not denying the essence of the principle of strict legality in a procedural context, would conceive of a temperament of it, intended to offer an answer to any untrue behavior of the prosecution (capable of undermining the defense's defense), as well as those of the defendant.
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Di, Stasi Sibilla. « Abuso del diritto e clausole generali in una prospettiva multidisciplinare ». Doctoral thesis, Universita degli studi di Salerno, 2014. http://hdl.handle.net/10556/1472.

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Résumé :
2012-2013
La clausola della buona fede è stata oggetto di un intenso dibattito dottrinale che ha messo in evidenza le sue molteplici funzioni: criterio di valutazione delle condotte dedotte nel contratto, strumento per individuare condotte ulteriori ed esigibili nei limiti dell’apprezzabile sacrificio, fonte di obblighi a carattere protezionistico. In tal senso la buona fede presenta un diretto collegamento con l’art. 2 Cost. e con il valore della solidarietà di cui tale norma è espressione. Esso rappresenta nel nostro ordinamento un modo grazie al quale è possibile effettuare il controllo delle sopravvenienze contrattuali, soprattutto nei rapporti di durata, nonché gestire la fase esecutiva di essi laddove nascano “naturalmente” squilibrati. E’ questo il caso del contratto di lavoro subordinato. Il fondamento della debolezza del lavoratore è ricollegabile, da una parte allo squilibrio del mondo del lavoro e al coinvolgimento personale di esso, dall’altra alla conformazione del rapporto di lavoro in base alla quale il datore esercita poteri discrezionali sindacabili da parte del giudice attraverso il filtro delle clausole generali. L’utilizzo di quest’ultime in chiave valutativa dei poteri datoriali, tuttavia, ha faticato a trovare piena legittimazione nel diritto del lavoro in virtù della presenza dell’ art. 41 Cost. che, sancendo la libertà di iniziativa economica privata, sembrerebbe non lasciare spazio ad una sindacabilità delle scelte imprenditoriali se non nei limiti della “non contraddizione” e della “imparzialità” delle stesse. Sotto la vigenza del regime corporativo, infatti, essendo l’attività produttiva orientata al perseguimento di una finalità pubblica, i poteri datoriali erano giustificati solo in vista di tale scopo mentre l’interesse del prestatore era tutelato in modo residuale e “occasionalmente protetto”. In seguito si accede all’idea che non vi sia una subordinazione della posizione del singolo lavoratore a quella imprenditoriale derivante dall’essere quest’ultima finalizzata al perseguimento del superiore interesse della produzione nazionale. La dottrina, pertanto, elabora il criterio dello sviamento della funzione causale dell’atto in base al quale si invalidano le manifestazioni di volontà che si allontanino da questa. Il limite di tale ricostruzione, tuttavia, è da individuare nel riconoscimento della libertà delle scelte imprenditoriali che implica l’assenza di un obbligo di comportarsi da buon imprenditore. Attualmente la tecnica maggiormente usata dalla giurisprudenza in tema di sindacato sulla legittimità delle scelte imprenditoriali, è quella dell’ ”abuso del diritto” che si ha nell’ipotesi in cui un diritto venga ad essere apparentemente esercitato entro la “cornice normativa” che lo riconosce ma per finalità estranee a quelle per le quali è stato attribuito dal legislatore. Nella valutazione dell’ abusivismo della condotta, ruolo cardine è svolto proprio dalle clausole di correttezza e buona fede che svolgono una funzione di chiusura del sistema orientando i privati a perseguire il valore della solidarietà anche nell’esercizio della libertà contrattuale. Recentemente, infatti, la giurisprudenza ha avuto modo di affrontare la problematica dell’abuso nel noto “caso Renault” (Cass. Civ. 18 settembre 2009 n. 20106). In questa occasione si è precisato che ogni diritto non è completamente libero nel suo esercizio soggiacendo a due limiti: uno di carattere causale, secondo il quale l’esercizio dello stesso non deve essere contrario alla ragione per la quale il legislatore ne ha riconosciuto la titolarità, l’altro, di natura modale, che impone di esercitare il diritto arrecando il minor sacrificio possibile agli interessi della controparte. Partendo da questa pronunzia si è estesa la riflessione al campo del diritto del lavoro dedicando particolare attenzione all’istituto del mobbing, nonché allo straining, oggetto di un recentissima sentenza della Cassazione (n.28603/2013). Si è analizzata, in particolare, la possibilità (in assenza di una tutela penalistica ad hoc e stante la dibattuta sussumibilità nell’art. 572 c.p.) di stigmatizzare le condotte datoriali sotto il profilo dell’abuso con riguardo ai profili di responsabilità datoriale nelle ipotesi di mobbing sia verticale che orizzontale. La tematica dell’abuso, inoltre, ha ricevuto nuova linfa a seguito di un intervento normativo (art. 30 l. n. 183/2010). Tale disposizione reca con sé il rischio di una eccessiva ingerenza del giudice in valutazioni di pertinenza esclusiva dell’imprenditore, fenomeno a cui si è ovviato sancendo il divieto di controllo giudiziale sul merito e sull’opportunità delle decisioni tecniche, organizzative e produttive del datore lasciando all’operatore del diritto il delicato compito di far sì che la libertà di iniziativa economica non si svolga in contrasto con l’utilità sociale e non arrechi danno alla dignità umana del lavoratore. [a cura dell'autore]
XII n.s.
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Landi, Valerio <1977&gt. « Autonomia privata e abuso di posizione dominante ». Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2009. http://amsdottorato.unibo.it/1320/1/Landi_Valerio_Tesi.pdf.

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Résumé :
Oggetto della ricerca sono l’esame e la valutazione dei limiti posti all’autonomia privata dal divieto di abuso della posizione dominante, come sancito, in materia di tutela della concorrenza, dall’art. 3 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, a sua volta modellato sull’art. 82 del Trattato CE. Preliminarmente, si è ritenuto opportuno svolgere la ricognizione degli interessi tutelati dal diritto della concorrenza, onde individuare la cerchia dei soggetti legittimati ad avvalersi dell’apparato di rimedi civilistici – invero scarno e necessitante di integrazione in via interpretativa – contemplato dall’art. 33 della legge n. 287/1990. È così emerso come l’odierno diritto della concorrenza, basato su un modello di workable competition, non possa ritenersi sorretto da ragioni corporative di tutela dei soli imprenditori concorrenti, investendo direttamente – e rivestendo di rilevanza giuridica – le situazioni soggettive di coloro che operano sul mercato, indipendentemente da qualificazioni formali. In tal senso, sono stati esaminati i caratteri fondamentali dell’istituto dell’abuso di posizione dominante, come delineatisi nella prassi applicativa non solo degli organi nazionali, ma anche di quelli comunitari. Ed invero, un aspetto importante che caratterizza la disciplina italiana dell’abuso di posizione dominante e della concorrenza in generale, distinguendola dalle normative di altri sistemi giuridici prossimi al nostro, è costituito dal vincolo di dipendenza dal diritto comunitario, sancito dall’art. 1, quarto comma, della legge n. 287/1990, idoneo a determinare peculiari riflessi anche sul piano dell’applicazione civilistica dell’istituto. La ricerca si è quindi spostata sulla figura generale del divieto di abuso del diritto, onde vagliarne i possibili rapporti con l’istituto in esame. A tal proposito, si è tentato di individuare, per quanto possibile, i tratti essenziali della figura dell’abuso del diritto relativamente all’esercizio dell’autonomia privata in ambito negoziale, con particolare riferimento all’evoluzione del pensiero della dottrina e ai più recenti orientamenti giurisprudenziali sul tema, che hanno valorizzato il ruolo della buona fede intesa in senso oggettivo. Particolarmente interessante è parsa la possibilità di estendere i confini della figura dell’abuso del diritto sì da ricomprendere anche l’esercizio di prerogative individuali diverse dai diritti soggettivi. Da tale estensione potrebbero infatti discendere interessanti ripercussioni per la tutela dei soggetti deboli nel contesto dei rapporti d’impresa, intendendosi per tali tanto i rapporti tra imprenditori in posizione paritaria o asimmetrica, quanto i rapporti tra imprenditori e consumatori. È stato inoltre preso in considerazione l’aspetto dei rimedi avverso le condotte abusive, alla luce dei moderni contributi sull’eccezione di dolo generale, sulla tutela risarcitoria e sull’invalidità negoziale, con i quali è opportuno confrontarsi qualora si intenda cercare di colmare – come sembra opportuno – i vuoti di disciplina della tutela civilistica avverso l’abuso di posizione dominante. Stante l’evidente contiguità con la figura in esame, si è poi provveduto ad esaminare, per quanto sinteticamente, il divieto di abuso di dipendenza economica, il quale si delinea come figura ibrida, a metà strada tra il diritto dei contratti e quello della concorrenza. Tale fattispecie, pur inserita in una legge volta a disciplinare il settore della subfornitura industriale (art. 9, legge 18 giugno 1998, n. 192), ha suscitato un vasto interessamento della dottrina. Si sono infatti levate diverse voci favorevoli a riconoscere la portata applicativa generale del divieto, quale principio di giustizia contrattuale valevole per tutti i rapporti tra imprenditori. Nel tentativo di verificare tale assunto, si è cercato di individuare la ratio sottesa all’art. 9 della legge n. 192/1998, anche in considerazione dei suoi rapporti con il divieto di abuso di posizione dominante. Su tale aspetto è d’altronde appositamente intervenuto il legislatore con la legge 5 marzo 2001, n. 57, riconoscendo la competenza dell’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato a provvedere, anche d’ufficio, sugli abusi di dipendenza economica con rilevanza concorrenziale. Si possono così prospettare due fattispecie normative di abusi di dipendenza economica, quella con effetti circoscritti al singolo rapporto interimprenditoriale, la cui disciplina è rimessa al diritto civile, e quella con effetti negativi per il mercato, soggetta anche – ma non solo – alle regole del diritto antitrust; tracciare una netta linea di demarcazione tra i reciproci ambiti non appare comunque agevole. Sono stati inoltre dedicati brevi cenni ai rimedi avverso le condotte di abuso di dipendenza economica, i quali involgono problematiche non dissimili a quelle che si delineano per il divieto di abuso di posizione dominante. Poste tali basi, la ricerca è proseguita con la ricognizione dei rimedi civilistici esperibili contro gli abusi di posizione dominante. Anzitutto, è stato preso in considerazione il rimedio del risarcimento dei danni, partendo dall’individuazione della fonte della responsabilità dell’abutente e vagliando criticamente le diverse ipotesi proposte in dottrina, anche con riferimento alle recenti elaborazioni in tema di obblighi di protezione. È stata altresì vagliata l’ammissibilità di una visione unitaria degli illeciti in questione, quali fattispecie plurioffensive e indipendenti dalla qualifica formale del soggetto leso, sia esso imprenditore concorrente, distributore o intermediario – o meglio, in generale, imprenditore complementare – oppure consumatore. L’individuazione della disciplina applicabile alle azioni risarcitorie sembra comunque dipendere in ampia misura dalla risposta al quesito preliminare sulla natura – extracontrattuale, precontrattuale ovvero contrattuale – della responsabilità conseguente alla violazione del divieto. Pur non sembrando prospettabili soluzioni di carattere universale, sono apparsi meritevoli di approfondimento i seguenti profili: quanto all’individuazione dei soggetti legittimati, il problema della traslazione del danno, o passing-on; quanto al nesso causale, il criterio da utilizzare per il relativo accertamento, l’ammissibilità di prove presuntive e l’efficacia dei provvedimenti amministrativi sanzionatori; quanto all’elemento soggettivo, la possibilità di applicare analogicamente l’art. 2600 c.c. e gli aspetti collegati alla colpa per inosservanza di norme di condotta; quanto ai danni risarcibili, i criteri di accertamento e di prova del pregiudizio; infine, quanto al termine di prescrizione, la possibilità di qualificare il danno da illecito antitrust quale danno “lungolatente”, con le relative conseguenze sull’individuazione del dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale. In secondo luogo, è stata esaminata la questione della sorte dei contratti posti in essere in violazione del divieto di abuso di posizione dominante. In particolare, ci si è interrogati sulla possibilità di configurare – in assenza di indicazioni normative – la nullità “virtuale” di detti contratti, anche a fronte della recente conferma giunta dalla Suprema Corte circa la distinzione tra regole di comportamento e regole di validità del contratto. È stata inoltre esaminata – e valutata in senso negativo – la possibilità di qualificare la nullità in parola quale nullità “di protezione”, con una ricognizione, per quanto sintetica, dei principali aspetti attinenti alla legittimazione ad agire, alla rilevabilità d’ufficio e all’estensione dell’invalidità. Sono poi state dedicate alcune considerazioni alla nota questione della sorte dei contratti posti “a valle” di condotte abusive, per i quali non sembra agevole configurare declaratorie di nullità, mentre appare prospettabile – e, anzi, preferibile – il ricorso alla tutela risarcitoria. Da ultimo, non si è trascurata la valutazione dell’esperibilità, avverso le condotte di abuso di posizione dominante, di azioni diverse da quelle di nullità e risarcimento, le sole espressamente contemplate dall’art. 33, secondo comma, della legge n. 287/1990. Segnatamente, l’attenzione si è concentrata sulla possibilità di imporre a carico dell’impresa in posizione dominante un obbligo a contrarre a condizioni eque e non discriminatorie. L’importanza del tema è attestata non solo dalla discordanza delle pronunce giurisprudenziali, peraltro numericamente scarse, ma anche dal vasto dibattito dottrinale da tempo sviluppatosi, che investe tuttora taluni aspetti salienti del diritto delle obbligazioni e della tutela apprestata dall’ordinamento alla libertà di iniziativa economica.
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Landi, Valerio <1977&gt. « Autonomia privata e abuso di posizione dominante ». Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2009. http://amsdottorato.unibo.it/1320/.

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Résumé :
Oggetto della ricerca sono l’esame e la valutazione dei limiti posti all’autonomia privata dal divieto di abuso della posizione dominante, come sancito, in materia di tutela della concorrenza, dall’art. 3 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, a sua volta modellato sull’art. 82 del Trattato CE. Preliminarmente, si è ritenuto opportuno svolgere la ricognizione degli interessi tutelati dal diritto della concorrenza, onde individuare la cerchia dei soggetti legittimati ad avvalersi dell’apparato di rimedi civilistici – invero scarno e necessitante di integrazione in via interpretativa – contemplato dall’art. 33 della legge n. 287/1990. È così emerso come l’odierno diritto della concorrenza, basato su un modello di workable competition, non possa ritenersi sorretto da ragioni corporative di tutela dei soli imprenditori concorrenti, investendo direttamente – e rivestendo di rilevanza giuridica – le situazioni soggettive di coloro che operano sul mercato, indipendentemente da qualificazioni formali. In tal senso, sono stati esaminati i caratteri fondamentali dell’istituto dell’abuso di posizione dominante, come delineatisi nella prassi applicativa non solo degli organi nazionali, ma anche di quelli comunitari. Ed invero, un aspetto importante che caratterizza la disciplina italiana dell’abuso di posizione dominante e della concorrenza in generale, distinguendola dalle normative di altri sistemi giuridici prossimi al nostro, è costituito dal vincolo di dipendenza dal diritto comunitario, sancito dall’art. 1, quarto comma, della legge n. 287/1990, idoneo a determinare peculiari riflessi anche sul piano dell’applicazione civilistica dell’istituto. La ricerca si è quindi spostata sulla figura generale del divieto di abuso del diritto, onde vagliarne i possibili rapporti con l’istituto in esame. A tal proposito, si è tentato di individuare, per quanto possibile, i tratti essenziali della figura dell’abuso del diritto relativamente all’esercizio dell’autonomia privata in ambito negoziale, con particolare riferimento all’evoluzione del pensiero della dottrina e ai più recenti orientamenti giurisprudenziali sul tema, che hanno valorizzato il ruolo della buona fede intesa in senso oggettivo. Particolarmente interessante è parsa la possibilità di estendere i confini della figura dell’abuso del diritto sì da ricomprendere anche l’esercizio di prerogative individuali diverse dai diritti soggettivi. Da tale estensione potrebbero infatti discendere interessanti ripercussioni per la tutela dei soggetti deboli nel contesto dei rapporti d’impresa, intendendosi per tali tanto i rapporti tra imprenditori in posizione paritaria o asimmetrica, quanto i rapporti tra imprenditori e consumatori. È stato inoltre preso in considerazione l’aspetto dei rimedi avverso le condotte abusive, alla luce dei moderni contributi sull’eccezione di dolo generale, sulla tutela risarcitoria e sull’invalidità negoziale, con i quali è opportuno confrontarsi qualora si intenda cercare di colmare – come sembra opportuno – i vuoti di disciplina della tutela civilistica avverso l’abuso di posizione dominante. Stante l’evidente contiguità con la figura in esame, si è poi provveduto ad esaminare, per quanto sinteticamente, il divieto di abuso di dipendenza economica, il quale si delinea come figura ibrida, a metà strada tra il diritto dei contratti e quello della concorrenza. Tale fattispecie, pur inserita in una legge volta a disciplinare il settore della subfornitura industriale (art. 9, legge 18 giugno 1998, n. 192), ha suscitato un vasto interessamento della dottrina. Si sono infatti levate diverse voci favorevoli a riconoscere la portata applicativa generale del divieto, quale principio di giustizia contrattuale valevole per tutti i rapporti tra imprenditori. Nel tentativo di verificare tale assunto, si è cercato di individuare la ratio sottesa all’art. 9 della legge n. 192/1998, anche in considerazione dei suoi rapporti con il divieto di abuso di posizione dominante. Su tale aspetto è d’altronde appositamente intervenuto il legislatore con la legge 5 marzo 2001, n. 57, riconoscendo la competenza dell’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato a provvedere, anche d’ufficio, sugli abusi di dipendenza economica con rilevanza concorrenziale. Si possono così prospettare due fattispecie normative di abusi di dipendenza economica, quella con effetti circoscritti al singolo rapporto interimprenditoriale, la cui disciplina è rimessa al diritto civile, e quella con effetti negativi per il mercato, soggetta anche – ma non solo – alle regole del diritto antitrust; tracciare una netta linea di demarcazione tra i reciproci ambiti non appare comunque agevole. Sono stati inoltre dedicati brevi cenni ai rimedi avverso le condotte di abuso di dipendenza economica, i quali involgono problematiche non dissimili a quelle che si delineano per il divieto di abuso di posizione dominante. Poste tali basi, la ricerca è proseguita con la ricognizione dei rimedi civilistici esperibili contro gli abusi di posizione dominante. Anzitutto, è stato preso in considerazione il rimedio del risarcimento dei danni, partendo dall’individuazione della fonte della responsabilità dell’abutente e vagliando criticamente le diverse ipotesi proposte in dottrina, anche con riferimento alle recenti elaborazioni in tema di obblighi di protezione. È stata altresì vagliata l’ammissibilità di una visione unitaria degli illeciti in questione, quali fattispecie plurioffensive e indipendenti dalla qualifica formale del soggetto leso, sia esso imprenditore concorrente, distributore o intermediario – o meglio, in generale, imprenditore complementare – oppure consumatore. L’individuazione della disciplina applicabile alle azioni risarcitorie sembra comunque dipendere in ampia misura dalla risposta al quesito preliminare sulla natura – extracontrattuale, precontrattuale ovvero contrattuale – della responsabilità conseguente alla violazione del divieto. Pur non sembrando prospettabili soluzioni di carattere universale, sono apparsi meritevoli di approfondimento i seguenti profili: quanto all’individuazione dei soggetti legittimati, il problema della traslazione del danno, o passing-on; quanto al nesso causale, il criterio da utilizzare per il relativo accertamento, l’ammissibilità di prove presuntive e l’efficacia dei provvedimenti amministrativi sanzionatori; quanto all’elemento soggettivo, la possibilità di applicare analogicamente l’art. 2600 c.c. e gli aspetti collegati alla colpa per inosservanza di norme di condotta; quanto ai danni risarcibili, i criteri di accertamento e di prova del pregiudizio; infine, quanto al termine di prescrizione, la possibilità di qualificare il danno da illecito antitrust quale danno “lungolatente”, con le relative conseguenze sull’individuazione del dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale. In secondo luogo, è stata esaminata la questione della sorte dei contratti posti in essere in violazione del divieto di abuso di posizione dominante. In particolare, ci si è interrogati sulla possibilità di configurare – in assenza di indicazioni normative – la nullità “virtuale” di detti contratti, anche a fronte della recente conferma giunta dalla Suprema Corte circa la distinzione tra regole di comportamento e regole di validità del contratto. È stata inoltre esaminata – e valutata in senso negativo – la possibilità di qualificare la nullità in parola quale nullità “di protezione”, con una ricognizione, per quanto sintetica, dei principali aspetti attinenti alla legittimazione ad agire, alla rilevabilità d’ufficio e all’estensione dell’invalidità. Sono poi state dedicate alcune considerazioni alla nota questione della sorte dei contratti posti “a valle” di condotte abusive, per i quali non sembra agevole configurare declaratorie di nullità, mentre appare prospettabile – e, anzi, preferibile – il ricorso alla tutela risarcitoria. Da ultimo, non si è trascurata la valutazione dell’esperibilità, avverso le condotte di abuso di posizione dominante, di azioni diverse da quelle di nullità e risarcimento, le sole espressamente contemplate dall’art. 33, secondo comma, della legge n. 287/1990. Segnatamente, l’attenzione si è concentrata sulla possibilità di imporre a carico dell’impresa in posizione dominante un obbligo a contrarre a condizioni eque e non discriminatorie. L’importanza del tema è attestata non solo dalla discordanza delle pronunce giurisprudenziali, peraltro numericamente scarse, ma anche dal vasto dibattito dottrinale da tempo sviluppatosi, che investe tuttora taluni aspetti salienti del diritto delle obbligazioni e della tutela apprestata dall’ordinamento alla libertà di iniziativa economica.
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Todesco, Sara. « Per una ricostruzione teorico-generale del concetto di abuso del diritto ». Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2008. http://hdl.handle.net/11577/3425178.

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Résumé :
This work examines the notion of abuse of rights. It is a choice solicited by the ascertainment of its vitality and of the increasing interest shown towards it by the elaborations of the doctrine as well as by jurisprudential applications. It is, moreover, a notion arisen from the doctrine and the jurisprudence. Only some legal systems, not our own, have absorbed it as a prescriptive rule, and there is no doubt that this circumstance represents a peculiar matter of interest. The perspective of investigation chosen, and considered most helpful for the purpose of understanding the abuse of rights, certainly involves dedicating space to the elaboration of the doctrine and to the jurisprudential cases that have made use of this instrument. Nonetheless, this does not mean to engage once more again (several have been the monographs dedicated to the abuse of rights by now) in an as most complete reconstruction as possible of its systematic traits and of its conditions of use. This work rather wants to be a reflection on the general theory of law. As a matter of fact, the notion of abuse of rights calls the attention of the expert to numerous and structural issues, which question the instruments that in the positivist and formalist vision of the regulations of inter-subjective relations still predominant today, constitute its protagonists (the rules, and the subjective rights meant as expressions of the same rules); the role of the interpreter and the jurist; finally, it questions in a particularly perceptive way about the function and the methods of the theoretical understanding of juridical phenomena and of the role of juridical science. It appears possible to reasonably assert that the notion of abuse of rights - beyond its practical function and its concrete application to many situations that emerge in the progress of relations and do not find any other adequate solutions - is especially relevant in this last perspective, that is to say in pointing out the function that the juridical science fulfils and must fulfil in interpreting, understanding and directing the solution of questions that involve the ratio and the structure itself of the juridical system. More explicitly, the thesis that this work means to prove is that the category of abuse of rights, which arises and then exists as an operative instrument of the interpreter and the jurist in order to satisfy well determined needs of the juridical system (and historically, in reaction to well determined conceptions of the juridical system), may be usefully, and perhaps especially considered and investigated as an instrument of the juridical science, that is as a "juridical concept" by means of which the jurist approaches the understanding, the interpretation and theorisation of the juridical experience. To this end the structure of this work has been arranged in three parts. The first part intends to define the boundaries and the structural significance of the notion of abuse of rights. This implies, first of all, that the conceptual categories that contribute to reconstruct the notion are to be accounted for: the category of subjective rights (in that the notion of abuse of rights originates in reaction to its strictly individualist foundation, and a control of the exercise of rights is proposed) and that of offence. Traditionally, the abuse of rights is considered as a tertium genus between the prospect of acting in accordance with a right and acting unlawfully. The abuse of rights as a concept defines itself necessarily in relationship with these other two concepts. On the other hand the thorough understanding of the conceptual autonomy of the abuse of rights demands to account for some instruments - of a former origin, that is widely elaborated and used in other legal systems - which share the same ratio of the prohibition of abuse and with it contribute to the identification and sanction of unlawful occurrences. These are the notions of exceptio doli generalis, the prohibition of venire contra factum proprium and the institution of the Verwirkung. The second part of the work directly deals with the questions relating to abuse through the investigation of the standpoints of the doctrine and the jurisprudence. Ample space is dedicated to the analysis of the most representative elaborations of the doctrine, both Italian and French. This survey leads to the identification of a significant line of development that starting from the first standpoints that deal with abuse as an issue of exclusively moral or ideological nature, rather evolves in the direction of an increasing awareness of the conceptual autonomy and of the utter juridical essence of the notion of abuse. Likewise significant appears to be the examination of jurisprudential verdicts, whilst the awareness of the conceptual and systematic significance of the notion of abuse undoubtedly proves to be inferior. Nonetheless, the reference to it is more and more frequent and reveals to be an instrument necessary to highlight crucial requirements of the system of inter-subjective relations. The last part is concerned with explaining precisely these conclusions suggested and justified by the analysis of the discipline and the jurisprudence. Moreover, in the light of the starting thesis, according to which the abuse of rights may be considered as a juridical concept and thus the lines of its development may represent the path of formation of a juridical concept, this last part also wants to account for the acquisitions of the philosophy of law and of the general theory of law on the theme of juridical concepts. Thus the standpoints of the famous controversy of the years 1935-1945, which had as its protagonists particularly Pugliatti, Jemolo, Cesarini Sforza and Calogero, are dealt with as well as the standpoints elaborated with regard to juridical concepts pertaining to the analytical philosophy, in a particular way in Scarpelli's and Pintore's works. Besides, the examination of these authors' beliefs leads to the ascertainment of the inadequacy of the reading keys that they propose in order to understand what a juridical concept is, how it is born and what power of understanding it grants. In the yet big differences of presuppositions and attitude that characterize these authors, however, they do not actually diverge form the epistemological horizon that asserts the conventional and operative nature of concepts and their inevitable dependence on the positive datum. Therefore, the answer to the hypothesis that the examined question of abuse lets perceive still remains open: that of a concept which delineates itself as such not from a prescriptive provision but from a real, substantial need of "ordering" of inter-subjective relations that is progressively received, elaborated, "systematised" by the work of the doctrine and the jurisprudence.
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Falcade, Nicola <1991&gt. « ABUSO DEL DIRITTO TRIBUTARIO : ANALISI E RIFLESSIONI DELLA NUOVA DISCIPLINA ANTIELUSIVA ». Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2016. http://hdl.handle.net/10579/9048.

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Résumé :
La presente tesi si focalizza sulla riforma dell'abuso del diritto tributario. Inizialmente l'attenzione è stata posta sul tema dell'abuso del diritto tributario dal versante europeo. Successivamente è stato brevemente analizzato il percorso dell'abuso del diritto da un punto di vista domestico, fino a giungere alla riforma che ha introdotto l'art. 10-bis. Infine, sono state svolte alcune riflessioni circa l'applicazione della nuova disposizione antielusiva a dei casi pratici.
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Livres sur le sujet "Abuso, diritto"

1

Levi, Giulio. L' abuso del diritto. Milano : A. Giuffrè, 1993.

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2

Levi, Giulio. Abuso del diritto e libertà religiosa. Milano : Giuffrè editore, 2014.

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3

Buzzacchi, Chiara. L' abuso del processo nel diritto romano. Milano : Giuffrè, 2002.

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4

Tesauro, Alessandro. Violazione di legge ed abuso d'ufficio : Tra diritto penale e diritto amministrativo. Torino : G. Giappichelli, 2002.

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5

Beghin, Mauro. L'elusione fiscale e il principio del divieto di abuso del diritto. [Padova] : CEDAM, 2013.

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6

Cenderelli, Fabrizia Fierro. Abuso e violenza in famiglia nel diritto civile, internazionale e penale. Padova : CEDAM, 2006.

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7

Chinellato, Gianfranco. Codificazione tributaria e abuso del diritto : Contributo allo studio degli strumenti di contrasto all'elusione fiscale. Padova : CEDAM, 2007.

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8

Messina, Mara. L'abuso del diritto. Napoli : Edizioni scientifiche italiane, 2003.

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9

Rescigno, Pietro. L'abuso del diritto. Bologna : Il mulino, 1998.

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10

Restivo, Carmelo. Contributo ad una teoria dell'abuso del diritto. Milano : A. Giuffrè, 2007.

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Chapitres de livres sur le sujet "Abuso, diritto"

1

Zoppoli, Lorenzo. « Valori, diritti e lavori flessibili : storicità, bilanciamento, declinabilità, negoziabilità ». Dans Studi e saggi, 305–31. Florence : Firenze University Press, 2022. http://dx.doi.org/10.36253/978-88-5518-484-7.20.

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Résumé :
This article traces the national and EU legal framework after the progressive affirmation of the so-called flexible and non-standard contracts, with particular regard to fixed-term contracts, temporary agency work, part-time work and to work on demand. According to the author, notwithstanding deep changes in legislation, collective bargaining, case-law and in doctrine, the centrality of the legal value attributed to permanent contract of employment was not called into question. However, the techniques of promotion and protection of this crucial value are not consequent. Such a value has been recently reaffirmed also at European level by the Social Pillar and the directives of 2018 and 2019. This discrepancy can be overcome by specifying better the notion and sanctions in case of abuse of atypical work and by reinforcing legitimacy and negotiating skills of workers at both individual and collective level.
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2

Lazzarini, Sergio. « Sepolture in prediis e abuso del diritto in frode ai creditori ». Dans Il diritto alla sepoltura nel Mediterraneo antico, 223–44. Publications de l’École française de Rome, 2021. http://dx.doi.org/10.4000/books.efr.13147.

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