Littérature scientifique sur le sujet « Abuso della posizione di vulnerabilità »

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Articles de revues sur le sujet "Abuso della posizione di vulnerabilità"

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Panico, Paolo. « Il creditore di un beneficiario discrezionale non ha tutela (Kea v Watson, Jersey) ». gennaio-febbraio, no 1 (3 février 2022) : 86–89. http://dx.doi.org/10.35948/1590-5586/2022.52.

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Résumé :
Massima Il creditore di un beneficiario di un trust discrezionale non può pignorare né i beni in trust né la posizione beneficiaria del suo debitore. Questo risultato può talvolta condurre ad un abuso dello strumento da parte di debitori senza scrupoli e per questa ragione è all’esame una modifica della legge antiriciclaggio di Jersey.
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Lacey, Eric F. « Some Comparative and Contrasting Features of OECD Countries’ Competition Laws* ». Journal of Public Finance and Public Choice 7, no 1 (1 avril 1989) : 81–87. http://dx.doi.org/10.1332/251569298x15668907344703.

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Résumé :
Abstract La legislazione sulla concorrenza nei paesi OCSE presenta, nei rispettivi ordinamenti, profonde diversità, sia sostanziali che procedurali.La relativa regolamentazione riguarda, soprattutto: 1) accordi orizzontali tra imprese concorrenti, con esclusione di quelli che non sono considerati anti-competitivi, come gli accordi a fini di ricerca e sviluppo e quelli attinenti ai diritti di proprietà intellettuale; 2) accordi verticali; 3) abuso di posizione dominante (con ampie differenze, sia nella definizione di « posizione dominante » che di « abuso »); 4) fusioni e concentrazioni, con « soglie », anche in questo caso, molto diverse, ma generalmente con un uso limitato del potere di controllo delle autorità, per evitare interferenze con il mercato.Le procedure per l’applicazione della liquidazione sono caratterizzate in tutti i paesi OCSE dalla distinzione tra l’attività investigativa e quella decisionale, ma gli organi preposti possono anche essere numerosi (come nel Regno Unito), con conseguenti complicazioni.
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Milani, Paola. « Valutare le competenze genitoriali o promuovere analisi ecosistemiche dei bisogni di sviluppo dei bambini ? » MINORIGIUSTIZIA, no 1 (janvier 2023) : 69–78. http://dx.doi.org/10.3280/mg2022-001006.

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Résumé :
Sui 400.000 bambini che si stima siano presi in carico dal sistema di welfare, sembra che circa il 10% riguardi segnalazioni di violenza e abuso per commissione che necessitano di interventi nell'area della protezione, per problematiche chiaramente connesse alla loro sicurezza. Quale approccio alla valutazione e alla progettazione è proposto a quel 90% di bambini e famiglie che si rivolgono ai servizi per problematiche connesse a situazione di vulnerabilità, negligenza, povertà e svantaggio sociale e che necessitano di un paradigma di intervento partecipativo e preventivo? L'articolo intende presentare un approccio alla valutazione delle situazioni familiari che pone al centro non tanto la sola valutazione delle competenze genitoriali, ma l'analisi ecosistemica dei bisogni dei bambini.
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Corigliano, Alessandra. « Web scraping e diritti di proprietà intellettuale nell'intermediazione di biglietti aerei low cost ». RIVISTA ITALIANA DI DIRITTO DEL TURISMO, no 22 (novembre 2018) : 120–64. http://dx.doi.org/10.3280/dt2018-022005.

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Résumé :
Nella sentenza di seguito commentata, la Corte d'Appello di Milano, in merito alla decisione di Ryanair di escludere qualsiasi intermediazione commerciale nella vendita dei propri biglietti aerei, si è pronunciata nella vertenza tra la compagnia aerea irlandese e l'agenzia di viaggi italiana Viaggiare che, in primo grado, ha denunciato il comportamento di Ryanair in quanto avrebbe ostacolato con il proprio comportamento l'agenzia di viaggio nella vendita dei biglietti aerei di Ryanair direttamente ai consumatori, costringendo l'agenzia stessa a riutilizzare i dati forniti dal database di Ryanair al fine di vendere indirettamente i biglietti sul suo sito web. La Corte (in parziale riforma della sentenza del Tribunale di primo grado) ha ritenuto che la decisione della compagnia aerea di riservarsi la vendita di biglietti aerei non costituisse un abuso di posizione dominante come previsto dall'articolo 102 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, in quanto Ryanair deteneva nel mercato dei voli europei solo il 10%, quota questa molto bassa, che varrebbe a escludere una posizione dominante della compagnia su detto mercato. Nell'ottica della normativa antitrust, è stata accolta la mozione di Ryanair volta ad escludere una posizione dominante sul mercato dei voli europei, mentre nell'ottica dei diritti di proprietà intellettuale la domanda di Ryanair è stata respinta. A questo proposito, la Corte non ha accolto la mozione di Ryanair in base alla quale l'uso dei suoi marchi da parte di Viaggiare violasse i diritti privativi di Ryanair; la Corte ha inoltre stabilito che il database di Ryanair non potesse essere considerato di proprietà di quest'ultima, in quanto lo stesso, essendo del tutto svincolato da specifiche tecniche e funzionali che ne dettano la scelta e l'organizzazione dei dati, non può essere considerato alla stregua di una manifestazione creativa e, quindi, proprietà intellettuale ai sensi dell'art. 2, 64-quinques e 64-sexies della Legge sul Copyright. La Corte ha quindi ritenuto che non vi fosse nemmeno protezione ai sensi della cosiddetta dottrina "sui generis" del database Rynair poiché la protezione di tale database era finalizzata ad escludere la commercializzazione dei biglietti aerei e non a proteggere gli sforzi di investimento di Ryanair. La condotta di Viagiare di "screen scraping" dei dati Ryanair relativi all'offerta di biglietti aerei è stata considerata legittima in quanto Ryanair - nei Termini di Utilizzo del suo sito web - ha fornito l'accesso (concessione di licenza) a terzi dei suoi dati
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da Empoli, Domenico. « The Italian Law for the Protection of Competition and the Market ». Journal of Public Finance and Public Choice 8, no 2 (1 octobre 1990) : 69–78. http://dx.doi.org/10.1332/251569298x15668907344956.

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Résumé :
Abstract Gli studi attinenti alla «politica della concorrenza” sono uno dei settori nei quali da maggior tempo collaborano economisti e giuristi, dato che, in assenza di questa cooperazione, i soli strumenti di cui dispone l’economista, senza quelli del giurista, non sono sufficienti ad interpretare ed applicare le norme antitrust.Soprattutto sulla spinta di queste esigenze si è sviluppato nelle Università americane l’insegnamento di corsi di «Law and Economics», disciplina ormai consolidata.Da un punto di vista intellettuale, pertanto, non vi è dubbio che il tema della concorrenza sia di particolare interesse.Peraltro, già da qualche tempo le opinioni degli studiosi circa gli effetti della politica della concorrenza e, quindi, sull’opportunità di introdurre una specifica legge al riguardo e, poi, di applicarla in modo rigoroso, non sono molto concordi.L’atteggiamento critico nei riguardi dell’intervento pubblico che caratterizza l’epoca attuale e che si può sintetizzare nella nozione di «fallimento dello Stato», non ha risparmiato neppure la politica della concorrenza, sui cui effetti sono state avanzate, e permangono, numerose incertezze.Peraltro, se un atteggiamento critico poteva avere un suo fondamento apprezzabile nei momento in cui si discuteva dell’opportunity o meno di introdurre questa legge, non vi è dubbio che, una volta che questa sia entrata in vigore, essa debba essere oggetto di studio, sempre critico, ma costruttivo.Per questo motivo, è apparsa molto utile la pubblicazione su questo numero di Economia delle Scelte Pubbliche degli atti di un convegno internazionale, organizzato a Reggio Calabria nei dicembre del 1990 dall’Istituto Superiore Europeo di Studi Politici, che ha avuto come oggetto la nuova legge italiana della concorrenza, confrontata con le normative già in vigore presso altri Paesi OCSE, oltre che con la normativa CEE.Assieme ai testi delle relazioni, viene anche pubblicato il testo della legge, sia nella traduzione inglese che in quella francese (ambedue non ufficiali).L’ordine di pubblicazione dei diversi contributi segue il seguente schema: dopo questa presentazione della legge italiana, segue l’articolo di Claudio Menis sulle relazioni tra legislazione CEE e legge italiana. Successivamente, vengono pubblicati (seguendo l’ordine alfabetico per paese) gli scritti che riflettono valutazioni della legge italiana alla luce dell’esperienza nazionale di ciascuno dei Paesi OCSE rappresentati: Belgio (van Meerhaeghe), Francia (Charrier), Germania (Ruppelt), Spagna (Canivell), Svizzera (Baldi) e Regno Unito (Howe).Infine, un articolo di Eric Lacey confronta i lineamenti essenziali della struttura della legge italiana con quelli della media dei Paesi OCSE.La presentazione della legge italiana, non è compito facile per un economista, per la necessità di ricorrere a termini giuridici molto specialistici.La legge considera tre principali fattispecie che sono suscettibili di danneggiare la concorrenza: i cartelli che restringono la libertà di concorrenza, l’abuso di posizione dominante e le concentrazioni.I «cartelli” (o «intese») sono definiti dalla legge come «gli accordi e/o le pratiche concordati tra le imprese, nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari». Esse sono vietate quando «abbiano per oggetto, o per effetto, di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante” (art. 1).L’«abuso di posizione dominante” è vietato dall’art. 3, che include anche una casistica, peraltro non del tutto esauriente, circa situazioni identificabili come abuso di posizione dominante.Le «operazioni di concentrazione», d’altra parte, hanno luogo, secondo l’art. 5, «quando due o più imprese procedono a fusione», «quando uno o più soggetti in posizione di controllo di almeno un’impresa ovvero una o più imprese acquisiscono direttamente o indirettamente [...], il controllo dell’insieme o di parti di una o più imprese», e «quando due o più imprese procedono, attraverso la costituzione di una nuova società, alla costituzione di un’impresa comune». Sulla base dell’art. 6, tali operazioni sono vietate quando costituiscono o rafforzino una posizione dominante sul mercato.L’organo che ha il compito di garantire l’appHcazione della legge è l’Autorità, che è stata creata appositamente e che è composta da quattro membri, più il presidente, nominati sulla base di una determinazione adottata d’intesa dai presidenti dei due rami del Parlamento.Una caratteristica fondamentale del nuovo organo per la tutela della concorrenza è la sua indipendenza dal potere politico, che viene attenuata soltanto a proposito delle operazioni di concentrazione. Come afferma, infatti, l’art. 25, il Consiglio dei Ministri può elaborare criteri di carattere generate che autorizzino operazioni che sarebbero vietate ai sensi dell’art. 6 e, inoltre, può anche vietare specifiche operazioni di concentrazione qualora vi partecipino «enti o imprese di Stati che non tutelano l’indipendenza degli enti o delle imprese con norme di effetto equivalente a quello dei precedenti titoli o applicano disposizioni discriminatorie o impongono clausole aventi effetti analoghi nei confronti di acquisizioni da parte di imprese o enti italiani».Oltre ai poteri d’istruttoria e decisione nei riguardi delle tre fattispecie di cui si è detto, con la possibilità d’imporre anche sanzioni pecuniarie, l’Autorità ha anche poteri conoscitivi e consultivi, sulla cui base può esprimere pareri, o di sua iniziativa o su richiesta del presidente del Consiglio dei Ministri.
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Howe, Martin. « Reflections on the Italian Law for the Protection of Competition and the Market ». Journal of Public Finance and Public Choice 8, no 2 (1 octobre 1990) : 135–45. http://dx.doi.org/10.1332/251569298x15668907345081.

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Résumé :
Abstract La nuova legge italiana per la protezione della concorrenza e del mercato è oggetto di grande interesse nel Regno Unito, a motivo dell’intenzione del governo di modificare il sistema britannico di regolamentazione della concorrenza, soprattutto per quanto riguarda i cartelli.La nuova legge deve ancora essere presentata, ma un libro bianco è stato preparato dal governo.La necessità di cambiare la legislazione al riguardo è emersa, in parte, perché essa è piuttosto antica (la prima legge è del 1948) e per vari aspetti inefficace, ed in parte per la difficoltà di conciliarla con la regolamentazione comunitaria.L’industria britannica teme che la diversità tra sistema nazionale e sistema comunitario di tutela della concorrenza possa tradursi in procedure concorrenti e con risultati discordanti, cosa che metterebbe in svantaggio le imprese britanniche rispetto a quelle degli altri partners comunitari.È rimarchevole il fatto che la legge italiana sia non soltanto modellata sulla base della legge comunitaria, ma che essa affermi che la legge nazionale non sarà applicata quando la Comunità europea abbia giurisdizione.Nel Regno Unito, invece, si insiste sulla possibilità di compiere indagini a livello nazionale, pur accettando il primato della legislazione comunitaria, in caso di contrasto. Si ammette che pratiche o accordi vietati dalla Commissione non possono essere consentiti, ma si sostiene che possono essere vietati, a livello nazionale, accordi e pratiche ammessi a livello comunitario.Peraltro, l’apparentemente chiara distinzione contenuta nella legge italiana tra i compiti della legislazione nazionale e quelli della legislazione comunitaria rischia di venir meno tutte le volte che i due ordinamenti interpreteranno le leggi in modo diverso. Questa possibility era stata alla base dell’opposizione del Regno Unito al conferimento alla Commissione europea della giurisdizione esclusiva per le fusioni di «dimensione comunitaria».Il sistema britannico è basato sul concetto di «interesse pubblico», che è per sua natura impreciso, anche se esso viene applicato in modo pragmatico e flessibile, cosa da non sottovalutare se si tiene conto del fatto che in questo campo le opinioni convenzionalmente accolte possono cambiare.Vi sono tuttavia numerosi vantaggi in un sistema che, come quello italiano, è basato su proibizioni, e di essi tiene conto il libro bianco governativo: dà messaggi più chiari alle industrie su cosa sia consentito, conferisce poteri investigativi più precisi all’Autorità della concorrenza e può anche stabilire sanzioni per comportamenti illegali, con possibili effetti deterrenti.L’Autorità italiana dovrebbe dare assoluta priorità alla eliminazione degli accordi decisamente anti-concorrenziali, come quelli diretti alla fissazione dei prezzi, alle domande ed offerte concordate, ed alla suddivisione del mercato. Si tratta di accordi che hanno raramente una giustificazione di carattere efficientistico o di altra natura.I cartelli su cui è necessario concentrarsi sono quelli di carattere orizzontale, mentre i cartelli verticali non sembrano rilevanti, almeno di regola. Pertanto, l’avere inserito anche i cartelli verticali nella legislazione italiana (conformemente a quella europea) complica molto il lavoro dell’Autorità (a motivo dell’intenso lavoro burocratico che ne conseguira) senza effettivamente contribuire alla tutela della concorrenza, che potrebbe in questo caso avvenire attraverso il ricorso alla categoria dell’abuso di posizione dominante.Per quanto riguarda le concentrazioni, sebbene quelle orizzontali siano il modo più semplice mediante cui si può giungere all’abuso di posizione dominante, bisogna riconoscere che esse costituiscono una parte molto controversa della politica della concorrenza. Vi è il problema di stabilire le dimensioni della concentrazione da sottoporre a controllo, nonché quello della prevalenza di altre considerazioni, attinenti, per esempio, alla promozione dello sviluppo regionale, rispetto ai principii della concorrenza.A proposito delle concentrazioni, bisogna distinguere il caso in cui le attività in questione siano esposte alla concorrenza internazionale da quello in cui non lo siano. In quest’ultimo caso, gli effetti delle concentrazioni devono essere esaminati con attenzione maggiore, per verificare se possano aver luogo benefici sotto il profilo di una maggiore efficienza o sotto altri aspetti. Si tratta, comunque, di valutazioni molto complesse, che non possono risolversi con una semplice formula circa il tasso di concentrazione.La repressione dell’abuso di posizione dominante è indubbiamente una parte essenziale della legislazione per la tutela della concorrenza. Tale è quindi anche nel Regno Unito, dove peraltro l’inesistenza di proibizioni rende difficile ottenere effetti deterrenti. Peraltro, un limite all’accoglimento del sistema previsto dall’art. 86 del Trattato CEE (così come del corrispondente articolo 3 della legge italiana) è costituito dalla difficoltà di definire l’«impresa dominante” e, ancor più, l’«abuso», con la conseguenza che si rischia di rendere ancora più difficile la vita delle imprese, che si troverebbero di fronte al divieto di compiere atti «illegali” che non sono precisamente definiti.Sebbene siano state numerose nel Regno Unito le indagini in materia di abuso di posizione dominante, nella maggior parte dei casi esse hanno condotto alla conclusione della loro infondatezza. È probabile che l’Autorità italiana abbia esperienze analoghe.Per quanto possano essere diverse, da Paese a Paese, le leggi sulla concorrenza e gli stessi ordinamenti, nonché i sistemi economici e sociali, è sorprendente la somiglianza tra i problemi che le autorità responsabili della tutela della concorrenza si trovano di fronte.
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Lambiase, Emiliano. « Pornografia online. Correlati neurologici, processi cognitivi e comportamentali di sviluppo e mantenimento ». MODELLI DELLA MENTE, no 1 (février 2020) : 7–33. http://dx.doi.org/10.3280/mdm1-2019oa9172.

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Résumé :
Ad oggi sono quasi inesistenti gli studi che hanno indagato in modo sistematico e scientificamente fondato l'eziologia della dipendenza sessuale. In modo molto generico ci sono alcuni studi che hanno trovato un'associazione con forme insicure di attaccamento (Zapf, Greiner, Carroll, 2008), oppure ci sono le ipotesi di Carnes (Carnes, 1983/1992, 1989, 1991) che la vedevano associata a delle convinzioni di base disfunzionali che riguardavano l'immagine di sé, i bisogni di base e la sessualità. Si riteneva che queste convinzioni di base fossero radicate nel sentimento della vergogna, nato all'interno di varie forme di abuso vissuto nell'infanzia. In passate pubblicazioni (Cantelmi e Lambiase, 2015) abbiamo presentato alcune ipotesi di "traiettorie eziologiche" che riguardano l'attaccamento, il funzionamento metacognitivo e la sessualizzazione culturale. In associazione a queste dinamiche, in tempi recenti, sono stati indagati con sempre maggiore approfondimento, due ambiti che riguardano soprattutto una forma di dipendenza sessuale, quella da pornografia online: le relazioni tra il comportamento sessuale e il funzionamento cognitivo e comportamentale, il rapporto tra l'uso e la dipendenza dalla pornografia e il funzionamento cerebrale. Dall'analisi di questi studi è emerso come forme di utilizzo patologico della pornografia online possono essere favorite sia da vulnerabilità e caratteristiche psicologiche, che da risposte di apprendimento condizionato caratteristiche del mezzo in sé, che possono agire sui meccanismi del cervello implicati nei processi di gratificazione, tipici delle altre forme di dipendenza da sostanze e da comportamenti
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Eugenio, Eugrnio. « Stress eco 2030 ». CARDIOLOGIA AMBULATORIALE 30, no 2 (31 juillet 2022) : 1–8. http://dx.doi.org/10.17473/1971-6818-2022-2-1.

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Résumé :
L’ecostress si basa sulle alterazioni della cinetica regionale ed è oggi in una posizione centrale nella pratica cardiologica, con una indicazione di classe 1 per la diagnosi di coronaropatia nelle linee guida europee e americane. I test funzionali dovrebbero però esplorare anche altri aspetti della vulnerabilità fisiopatologica e prognostica del paziente, non solo la stenosi coronarica e l’ischemia inducibile. Nel protocollo stato dell’arte, lo stress eco valuta 5 diversi bersagli fisiopatologici che convergono concettualmente e logisticamente nel protocollo ABCDE. Lo step A valuta la cinetica regionale con eco bidimensionale. Lo step B valuta la congestione polmonare con le linee B all’eco polmonare. Lo step C valuta la riserva contrattile con la volumetria del ventricolo sinistro. Lo step D valuta il microcircolo coronarico con il Doppler pulsato nella coronaria discendente anteriore medio-distale. Lo step E valuta la risposta in frequenza mediante ECG. Sono finestre diagnostiche su 5 diverse riserve funzionali in un solo test: coronarica epicardica (A), diastolica (B), contrattile (C), coronarica microcircolatoria (D) e simpatica (E). Lo stress eco con protocollo ABCDE è ecumenico (adatto a tutti gli stress) e onnivoro (adatto a tutti i pazienti). L’ecocardiografia è ubiquitaria e democratica (disponibile ovunque e a chiunque), e si basa su una tecnologia sostenibile, perché a basso costo, senza radiazioni ionizzanti, e con minimo impatto ambientale.
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Charrier, Guy. « Parallèle entre la loi italienne pour la protection de la concurrence et le système français ». Journal of Public Finance and Public Choice 8, no 2 (1 octobre 1990) : 103–15. http://dx.doi.org/10.1332/251569298x15668907345045.

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Résumé :
Abstract La nuova legge italiana per la protezione della concorrenza e del mercato presenta una notevole analogia, sia nei concetti che nei principali meccanismi applicativi, con le principali legislazioni dei Paesi membri della CEE e soprattutto con quelle che sono state introdotte negli anni più recenti.Il campo d’applicazione riguarda, almeno in principio, tutti i settori di attività, sia nel sistema italiano che in quello francese, poiché nessuna deroga è prevista, salvo per alcune particolari attività, come gli audio-visivi, la stampa, le banche e le assicurazioni.Questa estensione del campo di applicazione della legislazione si spiega con il fatto che essa riguarda tutte le pratiche anti-concorrenziali che vadano a detrimento del buon funzionamento del mercato e che tali pratiche siano suscettibili di provenire da tutti gli operatori economici.In Francia, peraltro, vige una distinzione tra comportamenti diretti a falsare il mercato, e che ricadono sotto le categorie di cartelli e di abuso di posizione dominante, di cui si occupa il Consiglio della concorrenza, e le pratiche restrittive, come il rifiuto di vendere, la subordinazione delle vendite, le discriminazioni e l’imposizione di prezzi, che sono di competenza dei tribunali perché in principio riguardano soltanto i rapporti tra imprese.Un secondo aspetto riguarda l’applicazione delle regole della concorrenza alle persone pubbliche. In principio, le disposizioni della legge italiana circa le imprese pubbliche (art. 8) e quelle della legge francese (art. 53) rispondono soltanto in parte alla questione. Nel diritto francese, quando una persona pubblica agisce da privato, è sottoposta alle leggi che riguardano il comportamento dei privati. Una difficoltà sorge, invece, quando questa persona pubblica, agendo nell’ambito dei suoi poteri, genera sul mercato effetti che danneggiano la concorrenza. Una recente sentenza del Tribunale dei conflitti ha concluso che le regole della concorrenza non si applicano alle persone pubbliche se non nella misura in cui esse diano luogo ad attività di produzione (di distribuzione o di servizi).La legge italiana non dà alcuna definizione del concetto di concorrenza nè dà alcun elemento che ne consenta la giustificazione economica. Altrettanto avviene con la legge vigente in Francia, ove sono i testi delle decisioni che forniscono indicazioni al riguardo.Il principio generate del divieto dei cartelli, come anche l’elenco dei casi suscettibili di costituire intese di carattere anti-concorrenziale, sono presentati in modo molto simile sia nella legge italiana che in quella francese. Ambedue riprendono, d’altronde, la formulazione dell’art. 85 del Trattato di Roma.Tutto fa pensare che l’Autorità italiana si troverà di fronte a casi analoghi a quelli di cui si è in varie occasioni occupato il Consiglio della concorrenza francese: cartelli orizzontali (accordi sui prezzi, sulla ripartizione dei mercati, sull’esclusione di un’impresa del mercato, ecc.); intese verticali (risultanti da accordi tra un produttore ed i suoi distributori nell’ambito di contratti di distribuzione selettiva o esclusiva); imprese comuni (la cui creazione può rientrare nel campo della proibizione di cartelli o costituire un’operazione di concentrazione); intese tra imprese appartenenti allo stesso gruppo (nel quadro dei mercati pubblici, il Consiglio ha ritenuto che non sia contrario alle norme concorrenziali, per imprese con legami giuridici o finanziari, rinunciare alla loro autonomia commerciale e concertarsi per rispondere a delle offerte pubbliche).Sull’abuso di posizione dominante, così come per i cartelli, i due sistemi italiano e francese presentano molte somiglianze. Tuttavia, contrariamente al diritto francese ed a quello tedesco, nella legislazione italiana non si fa alcun riferimento alle situazioni di «dipendenza economica». Peraltro, l’identificazione di questo caso è alquanto complessa e, sinora, il Consiglio non ha rilevato alcun caso che rientri nello sfruttamento abusivo di una situazione di dipendenza economica. Pertanto, si può forse concludere che il legislatore italiano sia stato, a questo riguardo, più saggio di quello francese. Più in generale, per quanto riguarda i casi di abuso di posizione dominante, il Consiglio deBa concorrenza ha seguito un’impostazione piuttosto tradizionalista.Anche sul controllo delle concentrazioni, il testo della legge italiana richiama quello francese e anche quello della normativa comunitaria, pur se è diversa la ripartizione delle competenze tra Autorità incaricata della concorrenza e Governo. Nella legge italiana, d’altra parte, vi sono delle norme relative alla partecipazione al capitale bancario che fanno pensare ad un dibattito molto vivo su questo tema.I livelli «soglia” per l’obbligo di notifica delle concentrazioni sono più elevati in Francia. Bisognerà poi vedere con quale frequenza il Governo italiano farà ricorso all’art. 25, che gli conferisce il potere di fissare criteri di carattere generale che consentono di autorizzare operazioni di concentrazione per ragioni d’interesse generale, nel quadro dell’integrazione europea.L’interesse delle autorità amministrative francesi nei riguardi delle concentrazioni, che un tempo era molto limitato, è divenuto più intenso negli anni più recenti, anche se i casi di divieto di concentrazioni sono stati sinora molto limitati.In conclusione, si può ricordare che un organismo competente in materia di protezione della concorrenza ha un triplice compito: pedagogico (attraverso la pubblicazione delle decisioni, delle motivazioni e delle ordinanze su questioni di carattere generale e sui rapporti attinenti al funzionamento del mercato), correttivo (per distogliere gli operatori economici da comportamenti anti-concorrenziali) e, infine, dissuasivo (poiché l’esperienza di applicazione delle leggi relative alla concorrenza dimostra che la loro efficacia dipende in modo decisivo dalla comminazione di sanzioni).
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Ruppelt, Hans-Jürgen. « Competition Law and its Application in Germany ». Journal of Public Finance and Public Choice 8, no 2 (1 octobre 1990) : 117–24. http://dx.doi.org/10.1332/251569298x15668907345054.

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Résumé :
Abstract L’economia tedesca è sempre stata caratterizzata da una struttura molto concentrata, in cui le imprese facevano frequente ricorso ai cartelli. Alia fine dell’ultima guerra, gli alleati (ed in particolare gli Stati Uniti) hanno insistito perché la concentrazione fosse ridotta ed i cartelli fossero eliminati, introducendo cosi la libera concorrenza nell’economia.La legge ha introdotto un generale divieto di cartellizzazione, con alcune esenzioni legali che consentono specifiche intese.L’applicazione della legge attraverso un organismo indipendente, l’Ufficio Federale dei Cartelli, si è basata esclusivamente sugli aspetti concorrenziali, con esclusione quindi degli aspetti di «interesse pubblico». L’unica eccezione è costituita dal potere di autorizzazione di cartelli e concentrazioni da parte del Ministro, che tuttavia vi ha fatto ricorso molto raramente.Nell’ambito di applicazione della legge sono rientrate non soltanto le attività dirette a limitare la concorrenza da parte dei privati, ma anche le distorsioni del mercato prodotte da interventi pubblici, come regolamentazione, sussidi e protezionismo. Negli anni più recenti, in particolare, la politica della concorrenza si è ispirata all’idea di modificare l’equilibrio tra settore privato e settore pubblico, riducendo quest’ultimo mediante deregolamentazione e privatizzazione.La legge tedesca riguarda essenzialmente quattro gruppi di limitazioni della concorrenza: accordi orizzontali, restrizioni verticali, abuso del potere di mercato e concentrazioni.Gli accordi orizzontali sono proibiti e, di conseguenza, nulli. Coloro che vi abbiano preso parte sono passibili di una multa che può giungere fino ad un ammontare pari a tre volte il valore degli utili così conseguiti. Si tratta, peraltro, di un criterio di difficile applicazione, essendo molto ardua la determinazione dell’incremento di utili ottenuto con un accordo.Una lacuna del sistema era costituita dal fatto di escludere alcune forme di collusione che a stretto rigore non rientravano nella categoria degli «accordi». È stato necessario emendare la legge, includendovi esplicitamente le «azioni concertate».Un secondo problema riguarda l’inclusione o meno nel concetto di «restrizione della concorrenza” dell’obbligo per le parti dell’accordo di mettere in atto comportamenti contrari alla concorrenza. Secondo l’interpretazione degli organi giudiziari tale obbligo si deve presumere.Per quanto riguarda le deroghe, l’Ufficio Federale dei Cartelli tende ad essere alquanto rigido.Per gli «accordi verticali», la legge tedesca, in contrasto con l’art. 85 del Trattato CEE e con la legge italiana, introduce specifiche regole. Essi sono, in genere, legali, con la sola eccezione degli accordi per la determinazione del prezzo, che sono proibiti di per sé, a meno che non riguardino il settore dell’editoria.Gli interventi per accordi verticali sono stati poco frequenti e, a quanto sembra, nella maggior parte dei casi tali accordi non dovrebbero essere stati influenzati dalla legislazione sulla concorrenza.Per quanto riguarda l’abuso di potere di mercato, il vecchio adagio statunitense vale anche per la Germania: le dimensioni non danno luogo, di per sé, ad un pericolo. Analogamente, una posizione dominante, come tale, non può essere ritenuta dannosa, anche se è ampiamente diffusa l’opinione secondo cui non debba essere consentito l’abuso di posizione dominante.Sotto il profilo applicativo, peraltro, bisogna identificare due fondamentali presupposti: una «posizione dominante” e un «comportamento abusivo».Il controllo del comportamento abusivo persegue, sia in Germania che in Italia, due obiettivi: impedire alle imprese dominanti di stabilire prezzi troppo elevati, realizzando profitti monopolistici (abuso di prezzi), e proteggere la libertà di competere delle altre imprese (pratiche restrittive).Per quanto riguarda l’abuso di prezzi, l’esperienza tedesca non è stata molto incoraggiante, soprattutto per la ben nota difficoltà nella definizione del «giusto prezzo».Hanno avuto maggiore successo, invece, i procedimenti nei riguardi di pratiche restrittive. Anche in questo caso non e facile applicare la normativa concorrenziale, specie per quanto riguarda i casi «marginali», come i casi di collegamenti tra imprese che non sembrano evidenziare comportamenti anti-competitivi.L’introduzione della regolamentazione delle concentrazioni è avvenuta in Germania soprattutto per le difficoltà nel perseguire gli abusi di posizione dominante. Diversamente dalla legge italiana, il sistema tedesco non prevede un minimo fatturato nazionale, ma fa riferimento al valore del fatturato nel suo complesso, dovunque sia stato conseguito.Notevoli difficoltà potranno derivare dalla definizione del concetto di «controllo». Dal punto di vista pratico sembra conveniente combinare le caratteristiche di flessibilità e certezza giuridica con una definizione generale che specifichi il maggior numero possibile di fattispecie.Le caratteristiche più significative dell’attività di controllo delle concentrazioni svolta in Germania sono l’effetto sospensivo della notificazione che precede la concentrazione e un criterio strettamente concorrenziale. L’esperienza dimostra che è molto difficile far venir meno una concentrazione, una volta che sia stata effettuata. Per questo motivo si richiede che le concentrazioni che eccedono una determinata soglia siano comunicate in anticipo.Sebbene l’Ufficio Federale dei Cartelli abbia a disposizione quattro mesi per completare la sua investigazione, circa i tre quarti delle procedure sono completate entro quattro settimane.Vi è una netta distinzione di compiti tra l’Ufficio Federale dei Cartelli e il Ministro dell’Economia. Il primo si occupa degli aspetti strettamente inerenti alla concorrenza, senza tener conto degli altri benefici che possono derivare dalla concentrazione. Il Ministro, invece, per considerazioni d’interesse pubblico, può autorizzare una concentrazione che l’Ufficio Federale dei Cartelli aveva bloccato. Sino ad ora (dal 1973) soltanto sei autorizzazioni sono state concesse dal Ministro e non sembra che esse abbiano dato luogo ai risultati positivi che erano attesi.
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Thèses sur le sujet "Abuso della posizione di vulnerabilità"

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SQUITIERI, MAURO. « Monopolizzazione ed abuso di posizione dominante : analisi comparata della legislazione dell'Unione Europea e degli Stati Uniti d'America ». Doctoral thesis, Università Bocconi, 2011. https://hdl.handle.net/11565/4054139.

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GENOVESE, DIANA. « Tra dignità e libertà : la tratta di esseri umani e lo sfruttamento lavorativo dei migranti ». Doctoral thesis, 2019. http://hdl.handle.net/2158/1170343.

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Résumé :
La presente trattazione si propone di analizzare gli strumenti normativi di contrasto alle attuali forme di sfruttamento lavorativo in Italia, in una prospettiva che metta al centro del dibattito l’importanza dei valori da tutelare e le vittime da proteggere. L’obiettivo finale è quello di ricostruire, a partire da un’approfondita analisi del panorama giuridico internazionale, come interpretato dalle Corti e dalle organizzazioni internazionali, i rapporti tra la tratta di esseri umani (in particolare, a fini di sfruttamento lavorativo) e lo sfruttamento lavorativo tout court nel quadro normativo interno in cui la distinzione si fa estremamente complessa, in considerazione dell’identità del bene giuridico tutelato da queste fattispecie, ossia la dignità. Il primo capitolo analizza l’evoluzione a livello internazionale del concetto di tratta a partire dall’inizio del XX secolo fino alla sua cristallizzazione nel Protocollo addizionale alla Convenzione sul crimine transnazionale organizzato firmata a Palermo nel 2000, che ha distinto per la prima volta la tratta di esseri umani (Protocollo sul trafficking) dal traffico dei migranti (Procollo sullo smuggling). Tale premessa storica appare essenziale alla comprensione di come il concetto di tratta di esseri umani sia stato per molto tempo, e per certi versi continui ad essere – almeno nel discorso pubblico e nelle aule giudiziarie – un concetto fortemente legato alla schiavitù (tratta degli schiavi) e alla prostituzione (tratta delle bianche). La tesi proposta è che la definizione adottata nel Protocollo sul trafficking di Palermo abbia svincolato la condotta sia dall’una che dall’altra, offrendo all’interprete una fattispecie potenzialmente capace di raggiungere tutte le più attuali e gravi forme di sfruttamento, in particolare, quello lavorativo. Il secondo capitolo affronta, conseguentemente, il dibattito accademico e giurisprudenziale scaturito a livello internazionale dall’adozione del Protocollo sul trafficking. La definizione di tratta di esseri umani ivi accolta è stata, infatti, lodata per le sue innumerevoli potenzialità applicative e allo stesso tempo osteggiata per la sua limitatezza rispetto alla capacità di raggiungere le «moderne forme di schiavitù». Proprio il rapporto tra tratta di esseri umani e schiavitù si pone al centro delle riflessioni delle Corti internazionali, come vedremo analizzando, in particolare, le decisioni del Tribunale penale internazionale per la Ex-Iugoslavia e della Corte europea dei diritti dell’Uomo. Nel ripercorrere i temi essenziali di questo dibattito, si è reso necessario effettuare, parallelamente, una ricognizione delle innovazioni normative in ambito UE e a livello del Consiglio d’Europa, anche al fine di apprezzarne gli effetti sull’ordinamento giuridico italiano. Dal punto di vista sociologico, i mutamenti che nel tempo hanno interessato le rotte e i metodi della tratta di esseri umani a livello internazionale sono, invece, analizzati mediante gli studi dell’UNODC (United Nations Office on Drugs and Crime). Proprio partendo dall’interpretazione evolutiva della definizione di trafficking da quest’ultimo proposta, si tenterà di restituire l’attuale complessità di un quadro giuridico internazionale in cui la tratta di esseri umani finisce per identificarsi con lo sfruttamento, a prescindere dallo spostamento nello spazio della vittima che lo subisce. A tal fine, si è reso necessario scandagliare gli innumerevoli problemi sottesi alla fattispecie di tratta di esseri umani a fini di sfruttamento lavorativo: dalla nozione di sfruttamento lavorativo a quella di abuso di una posizione di vulnerabilità, quale mezzo della condotta più frequente nelle attuali modalità di reclutamento delle vittime. In conclusione al secondo capitolo, si è ritenuto opportuno concentrarsi sulle ripercussioni di questo dibattito sulla, ormai sempre più labile, distinzione tra trafficking e smuggling. L’obiettivo è quello di problematizzare la netta separazione dei due concetti, che non trova spesso riscontro nei gli attuali contesti dei cosiddetti mixed flows, ove i trafficanti presentano sorprendenti capacità di adattarsi alle legislazioni esistenti, sfruttando nuovi fattori di vulnerabilità, fino ad intrecciarsi con i percorsi della protezione internazionale. Il terzo e il quarto capitolo sono dedicati alla ricognizione del panorama legislativo italiano in tema di tratta di esseri umani e, in particolare, agli effetti dell’evoluzione giuridica internazionale sul piano ordinamentale interno. Il terzo capitolo analizza come l’Italia abbia recepito i concetti di trafficking e smuggling, non senza confusioni o sovrapposizioni. Da una parte, il notevole ritardo nell’attuazione della definizione internazionale di tratta di esseri umani, ha comportato, per molti anni, una sostanziale inapplicazione dell’art. 601 c.p. (reato di tratta), rimasto ancorato alle incertezze applicative dell’art. 600 c.p. (reato di schiavitù). Dall’altra parte, il reato di smuggling è stato inserito all’interno della normativa penale sull’immigrazione, con modalità per certi versi inedite rispetto al panorama normativo internazionale e comunitario. Si è, infatti, sganciata la punibilità del traffico di esseri umani dalla necessità dello scopo del profitto e, parallelamente, sono state configurate fattispecie aggravate, mediante l’innesto dell’elemento dello sfruttamento (della prostituzione e, più tardi, anche di quello lavorativo) su condotte di smuggling. Le ipotesi di sfruttamento lavorativo degli stranieri irregolari sono state, a loro volta, ricondotte ad un’ulteriore fattispecie del Testo Unico Immigrazione, volta a punire il favoreggiamento della permanenza irregolare degli stranieri sul territorio italiano. Viene presentato come emblematico di questa impostazione il caso di Prato e delle indagini svolte dalla Procura in seguito all’incendio di un’azienda di confezioni cinese. Sul fronte del trafficking, il nostro ordinamento si è allineato alla definizione internazionale del Protocollo di Palermo solo nel 2014, con la recezione della Direttiva 2011/36/UE. Questa modifica ha consentito un definitivo allontamento del reato di cui all’art. 601 c.p. da quello di cui all’art. 600 c.p., determinando una profonda trasformazione dei rapporti tra le due fattispecie, anche dal punto qualitativo. Come si cercherà di dimostrare prendendo in esame l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità e il dibattito internazionale analizzato nel secondo capitolo, le due fattispecie devono distinguersi, in primo luogo, per una diversa oggettività giuridica, essendo la schiavitù volta a tutelare lo status liberatis, e la tratta di esseri umani la dignità umana. Al fine di evidenziare le potenzialità applicative del nuovo reato di tratta di esseri umani (art. 601 c.p.), anche con riferimento all’introduzione, tra i mezzi della condotta, dell’abuso della posizione di vulnerabilità, si è deciso di soffermarci sul caso delle donne rumene sfruttate nella fascia trasformata di Ragusa. Un caso che appare paradigmatico della vulnerabilità connessa alla tratta di esseri umani. L’ultima parte del terzo capitolo si concentra sulle forme di protezione per le vittime di tratta e di grave sfruttamento nel nostro ordinamento, dedicando particolare attenzione all’art. 18 T.U.I. e all’interpretazione che di questa norma si è data nella prassi amministrativa e giudiziaria. La tesi sostenuta, anche alla luce delle norme internazionali rilevanti, è che se si muove da una concezione di dignità umana, declinata in termini tali da non porsi in conflitto con la libertà di ciascuno, è necessario un utilizzo dell’art. 18 orientato ad individuare i più adeguati meccanismi di protezione delle vittime di sfruttamento lavorativo, a prescindere dalla qualificazione giuridica e dalla rilevanza penale dello sfruttamento cui è sottoposta la vittima bisognosa di protezione. Il tema della protezione è, infine, collegato a quello dell’identificazione delle vittime di tratta e di sfruttamento, in particolare, nell’ambito dei percorsi della protezione internazionale, dove le Commissioni Terrioriali per il riconoscimento della protezione internazionale e i Giudici della Sezione specializzata in materia di protezione internazionale sono chiamati ad implementare delle corrette procedure di referral. Il quarto e ultimo capitolo prende in considerazione le innovazioni alla normativa in materia di contrasto allo sfruttamento lavorativo, su un piano prettamente interno, apportate dal decreto legge n. 138/2011 e dalla legge n. 199/2016. Quest’ultima modifica, in particolare, ha introdotto il reato di sfruttamento lavorativo in Italia (art. 603-bis c.p.), imponendo una necessaria ridefinizione dei rapporti con le altre norme penali esistenti, in particolare con l’art. 601 c.p. Le potenzialità offerte dal nuovo reato di sfruttamento lavorativo, che verranno evidenziate mediante l’analisi di alcune sentenze di merito e di legittimità e delle inchieste avviate prima e dopo la legge n. 199/2016, saranno messe a confronto con l’attuale realtà fenomenologica del caporalato e dello sfruttamento lavorativo in alcune Province del Sud Italia, prima fra tutte, quella di Foggia.
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Livres sur le sujet "Abuso della posizione di vulnerabilità"

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Pacilli, Matteo. L’abuso dell’appello. Bononia University Press, 2021. http://dx.doi.org/10.30682/sg277.

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Résumé :
Questa riflessione sistematica sull’abuso dell’appello muove dalla constatazione della difficoltà di assicurare la tutela giurisdizionale nel doppio grado: il principio costituzionale di ragionevole durata del processo si riflette nel concetto di abuso, vale a dire nella richiesta di protezione giuridica di posizioni che non ne sono meritevoli. Le recenti e non terminate tensioni legislative, che hanno visto l’introduzione nel 2012 del c.d. filtro in appello, esprimono la fatica nel trovare un giusto equilibrio fra il diritto di difesa e la necessità di sfoltire rapidamente le impugnazioni abusive. Tradizionalmente, l’interesse ad impugnare è stato identificato con la semplice soccombenza. L’autore propone, invece, di integrare tale presupposto dell’azione impugnativa con la sussistenza di una ragionevole attesa di ottenere un risultato utile. Se questo ulteriore elemento manca, l’appello risulta carente di interesse e quindi abusivo, il che giustifica l’adozione, da parte del legislatore, di misure (quelle attuali o altre diverse e future) idonee a permettere la reiezione dell’impugnazione in via immediata. Il punto non è solo italiano e l’autore lo dimostra analizzando le soluzioni di altri sistemi, da quello dell’Unione europea a quello tedesco, talora impropriamente assunto a modello della riforma del 2012. Le tesi svolte nel volume si distaccano, in una certa misura, dalla posizione della dottrina prevalente che ha ampiamente criticato l’introduzione del filtro in appello, proponendo invece una lettura che, almeno in parte, recupera in positivo l’iniziativa del legislatore
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