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Pagan, Monica <1989&gt. "Scultura funeraria romana dei Musei Archeologico e Lapidario di Verona". Doctoral thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2022. http://hdl.handle.net/10579/22072.

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Resumen
La scultura funeraria è una fonte d'informazione volta non solo a delineare le relazioni sociali tra singoli cittadini o la visibilità di una famiglia, ma anche a comprendere il desiderio di questi gruppi di promuovere e mantenere la memoria e il prestigio dei loro membri anche dopo la morte. Questa ricerca ha cercato di definire la produzione scultorea funeraria della Verona romana analizzando un campione di materiale conservato nei Musei Archeologici e Lapidari di Verona. I monumenti presi in considerazione sono stati selezionati in base alla presenza di decorazione figurativa e sono stati analizzati attraverso gli aspetti formali e iconografici del monumento, arricchendo e consolidando le informazioni ottenute sia dai dati dedotti dall'apparato epigrafico sia dal confronto con contesti provinciali noti. A livello iconografico, la scultura funeraria veronese adotta i principali modelli diffusi nella capitale e trasmessi nella regione cisalpina. Si distingue per la sobrietà della decorazione utilizzata per i monumenti funerari; tuttavia, questa sobrietà non diminuisce la qualità delle botteghe locali, che dimostrano una conoscenza dei modelli urbani e, a volte, una capacità di rielaborazione locale molto sfaccettata e consapevole. La semplicità della decorazione veronese trova il suo valore specifico nei riferimenti allegorici dei motivi scelti, a volte generici, a volte specificamente voluti dal cliente. Anche quando è particolarmente schematica, la figurazione è eseguita con attenzione ai dettagli e omogeneità compositiva, inserendosi perfettamente negli altri elementi costitutivi del monumento. Non mancano anche opere di maggiore monumentalità e di migliore qualità, il che conferma l'abilità dei laboratori locali.
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GRASSI, ELISA MARIA. "L'artigianato metallurgico nella Cisalpina romana: i casi di Milano e Verona. Aspetti insediativi e tecnologici". Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2009. http://hdl.handle.net/10280/848.

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Analisi di due siti di lavorazione metallurgica in altrettanti centri urbani della Cisalpina romana, Milano e Verona, contestualizzandoli nel complesso delle conoscenze già acquisite relative alle attività di lavorazione dei metalli nelle due città, a loro volta inserite nella più vasta problematica delle città dell’Italia Settentrionale.
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GRASSI, ELISA MARIA. "L'artigianato metallurgico nella Cisalpina romana: i casi di Milano e Verona. Aspetti insediativi e tecnologici". Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2009. http://hdl.handle.net/10280/848.

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Analisi di due siti di lavorazione metallurgica in altrettanti centri urbani della Cisalpina romana, Milano e Verona, contestualizzandoli nel complesso delle conoscenze già acquisite relative alle attività di lavorazione dei metalli nelle due città, a loro volta inserite nella più vasta problematica delle città dell’Italia Settentrionale.
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Pagan, Monica <1989&gt. "Sculture romane del Museo Archeologico di Verona". Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2014. http://hdl.handle.net/10579/4799.

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Il presente studio si prefigge di analizzare sei sculture, inedite o scarsamente documentate, conservate nel Museo del Teatro Romano di Verona. Si tratta di rilievi e sculture a tutto tondo di fattura romana giunti all’istituto da scavi di emergenza o mediante acquisizione da collezioni antiquarie veronesi, in merito alle quali si offrirà una breve premessa nella parte introduttiva. Il fulcro del lavoro verterà sulla realizzazione di un breve catalogo organizzato in singole schede corrispettive delle diverse opere. Lo scopo sarà fornire un’interpretazione valida dello stile, dell’iconografia e della cronologia della scultura inserendola, quando possibile, nel contesto originario di appartenenza. La parte terminale dello studio raccoglierà le tavole del materiale studiato e i relativi confronti. Il lavoro verrà impostato in previsione di un suo eventuale inserimento in una futura pubblicazione concernente l’intero patrimonio archeologico figurativo del sopracitato museo.
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Bigerel, Jérémy Dereu Mireille. "Jules Verne : le Roman du savoir Valeurs et fonctionnements de l'écriture savante dans les romans de Jules Verne (1828-1905) /". Nancy : Université Nancy 2, 2005. http://cyberdoc.univ-nancy2.fr/htdocs/docs_ouvert/doc224/2005NAN21007.pdf.

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6

Liguori, Simone <1988&gt. "Un nucleo inedito di tombe romane a Verona. La necropoli dell'ex Cinema Capitol". Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2013. http://hdl.handle.net/10579/3296.

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Lo studio riguarda un gruppo di tombe romane individuate nel sito dell'ex Cinema Capitol a Verona. Le sepolture, la maggior parte delle quali ad incinerazione, coprono un arco cronologico che va dalla fine del I secolo d.C. al III secolo d.C. I corredi rinvenuti denotano un livello qualitativo medio-basso, indicando dunque un utilizzo dell'area funeraria da parte di un ceto sociale subalterno.
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Bigerel, Jérémy. "Jules Verne : le Roman du savoir : valeurs et fonctionnements de l'écriture savante dans les romans de Jules Verne (1828-1905)". Nancy 2, 2005. http://docnum.univ-lorraine.fr/public/NANCY2/doc224/2005NAN21007.pdf.

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Les oeuvres de Jules Verne frappent par la présence d'une grande place accordée au savoir. De nombreuses pages y offrent au lecteur des connaissances nouvelles sur le monde : géographie, ethnologie, histoire, sciences techniques, tous ces domaines entrent dans la fiction pour proposer de vrais romans du savoir. Inscrit dans son temps où l'expansion de la culture et les progrès de la science le passionnaient, l'écrivain a mis en place, avec les Voyages extraordinaires, une réflexion sur le savoir, sa place dans le récit et dans la société. Avec un souci de variété, il a proposé une série d'ouvrages littéraires où la vulgarisation est visible à chaque moment : dans des passages longs ou des bribes, dans les descriptions ou les dialogues. Ces éléments culturels ou scientifiques intègrent le roman à des places judicieusement choisies. Il n'est pas au choix des personnages qui ne soient influencés par cette vocation. Verne, sans être théoricien, réfléchit au rapport entre savoir et science, savoir et fiction, savoir et société. Toute cette réflexion épistémologique propre au XIXème siècle est ici étudiée pour qu'apparaisse la vision romantique de Verne sur son temps
Knowledge occupies a large portion in Verne's (1828-1905) works. In his books, the reader gets acquainted with new learning about the world around him : geography, ethnology, history, techniques, all these scholarly fields imprint themselves in the fictional work in order to create the "Knowledge's novels". As an actor of a time when culture's booming and science's progress had many followers the writer reflected on knowledge and the role it plays in narration within the Voyages extraordinaires. Never using the same tools, he offered several books where popularization was always present whether it was in long paragraphs or in short sentences, during dialogs or descriptions. Those scientific or cultural data take part at carefully chosen places. Even the characters are under the influence of this main purpose. Jules Verne, who was not interested in theory, thought in his cycle about the links between knowledge and science, between knowledge and fiction, between knowledge and society. This thesis deals with all this epistemological meditation, which is inherent to the nineteenth century, and shows precisely what was the writer's romantic look on his own times
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8

Murgia, Emanuela. "Culti romani e non-romani nella fase di romanizzazione dell'Italia nord-orientale: resistenze e sopravvivenze, strutture, rituali e funzioni". Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2012. http://hdl.handle.net/10077/7401.

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2010/2011
Rispetto alle premesse di una ricerca, nata con l’obiettivo di indagare i processi di interazione tra cultualità indigena e religio romana nell’Italia nord-orientale, nelle possibili forme di “resistenza”, “sopravvivenza”, “integrazione”, i risultati sono, in un certo senso, controcorrente rispetto alle più recenti riflessioni sulle forme del sacro in fase di romanizzazione. La possibilità di comprendere le modalità attraverso le quali la romanizzazione modificò l’esistente comporta, inevitabilmente, una conoscenza della religiosità preesistente peraltro non riconducibile ad una sola facies etnico-culturale. Gli esempi in tal senso sono numerosi: dal caso macroscopico del frazionamento delle tribù celtiche e liguri nell’Italia nord-occidentale, a quello più difficilmente percepibile del comprensorio territoriale dove fu dedotta Aquileia, che al momento della calata dei Galli Transalpini, nel 186 a.C., si presentava quasi come una zona “cuscinetto”, tra Veneti ed Istri. La restituzione di un sistema religioso “di sostrato” unitario si è confermato, quindi, gravida di rischi di genericità. Un’attenta analisi dei contesti e dell’evoluzione storica dei diversi centri nel venetorum angolus ha rivelato con immediatezza quanto questa presunta unitarietà sia, nella realtà dei fatti, apparente: il “sostrato” etnico di Verona, in cui confluiscono elementi veneti, cenomani e retici, non è certo quello di Altino, così come il ruolo assunto da Padova nei confronti di Roma non è in alcun modo assimilabile a quello di Este, che continuò a essere percepita come “veneticità”. In questo senso, quindi, concludere che “nell’ambito della Gallia Cisalpina la zona veneta è quella in cui sono maggiormente attestati culti non romani, conseguenza del fatto che la penetrazione romana avvenne in modo pacifico e non a seguito di una conquista”, ovvero in virtù di una corroborata amicitia, non permetterebbe di cogliere criticità e complessità dei fenomeni cultuali in fase di romanizzazione. L’aver contestualizzato l’evidenza documentaria riferibile al sacro in senso geografico, etnografico e poleografico si è rivelato, dunque, ineludibile. Questo approccio ha permesso di constatare, per esempio, come le modalità di trasformazione dei culti a Padova ed Este siano state, per così dire, antitetiche benché entrambe nell’ottica di una innovazione. Il principale santuario extraurbano di competenza patavina, S. Pietro Montagnon, fu abbandonato proprio nel corso del III secolo a.C., quando, secondo la storiografia moderna, fu avviata la romanizzazione del comparto veneto. Più in generale, da Padova non proviene alcuna testimonianza epigrafica relativa a teonimi indigeni in forma latinizzata. Si tratta di un elemento di estremo rilievo della cosidetta Selbstromanisierung. Ad Este, invece, la romanizzazione non comportò un abbandono generalizzato dei luoghi di culto. Il santuario di Reitia, per esempio, mantenne il suo primato e se ci fu un adeguamento al modello romano, questo fu soprattutto in termini architettonico-monumentali. Per entrambe i centri veneti, quindi, un’adesione al nuovo ma con evidenti sfumature. Un’analisi di questo tipo, volta cioè a ricondurre le fonti disponibili ad un contesto comune, ha dovuto tenere conto, fin dal suo avvio, di un condizionamento, ovvero che l’evidenza documentaria disponibile corrisponde quasi esclusivamente alla fase di romanizzazione compiuta. Per questo motivo, comprendere “dove-quando-come si verificano i meccanismi di trasformazione; dove-quando-come si sovrappongono, o si impongono, alla tradizione locale; dove-quanto-come si integrano le diverse componenti” ha imposto inevitabilmente una prospettiva “romana”. In considerazione del valore politico della religione romana, la continuità di un determinato culto indigeno non è stata interpretata secondo parametri di “persistenza”, ”resistenza” o “mediazione”, ma piuttosto di “ufficialità” o “non ufficialità”. Laddove si è potuta cogliere, la dimensione ufficiale di un culto epicorico è emersa nelle fonti attestanti l’intervento più o meno diretto di una magistratura civica, o si è dedotta dalla presenza di santuari organizzati di natura pubblica o, ancora, da riferimenti al calendario locale che, come noto, era definito annualmente dai magistrati iurisdicenti con una notevole autonomia rispetto alle regole dell’Urbe e in sintonia con le caratteristiche specifiche del corpo civico di riferimento. Un caso significativo è quello dell’aedes Belini a Iulium Carnicum restaurata nella seconda metà del I secolo a.C. con il consenso dell’autorità vicana e grazie al contributo finanziario di un collegium. Un culto, quindi, pienamente romanizzato nella forma benché celtico sia Belenus: più che di una religiosità epicoria, la sua presenza si rivela espressione della celticità stessa della comunità carnica. Un esempio altrettanto interessante è quello del santuario altinate in località Fornace: alla divinità di tradizione venetica Altnoi sarebbe subentrato nel I secolo a.C., nel segno di una continuità funzionale, ovvero di divinità poliadica, Iuppiter Altinatis. Se la dimensione “pubblica” costituisce l’osservatorio privilegiato per l’analisi dei culti in fase di romanizzazione, ciò non toglie che anche la permanenza di una religiosità indigena o, al contrario, l’adattamento ai culti romani nello spazio personale in alcuni casi è stato considerato quale indicatore dei fenomeni di acculturazione. Un esempio efficace è quello dei noti dischi bronzei “di schietta cultura veneta”, raffiguranti la cosiddetta dea clavigera o figure maschili/militari per i quali si è pensato ad un programmatico “recupero di culti di sostrato”. Una delle questioni più interessanti affrontate in questo studio è stata quella della cosiddetta interpretatio, ovvero del rapporto tra divinità “importate” e personalità divine preesistenti. Ciò che sembra accomunare la maggior parte degli studi sulle forme di cultualità in Italia settentrionale, è la ricerca sistematica di radici “celtiche”, ma anche “venetiche”, “retiche”, “etrusche”, a divinità tipicamente italiche, quali Minerva, Fortuna, Neptunus, Hercules, che si sarebbero sovrapposte, per analogia di funzioni, a numi locali. L’analisi della documentazione epigrafica, tuttavia, ha dimostrato che spesso la tipologia delle offerte e i formulari votivi sono coerenti con quelli di tradizione italica e che la presenza di onomastica indigena, spesso considerata indicativa di una persistenza di cultualità di sostrato, sembra allinearsi con quella riscontrata anche in altri tituli sacri compresi quelli alla triade capitolina. La persistenza di teonimi non-romani, come Reitia, Leituria, Temavus, è stata spesso valutata spia di “resistenza” da parte degli indigeni alla nuova religio o, di contro, “tolleranza” dei Romani. I dati emersi da questa ricerca hanno consentito di integrare questo quadro rendendolo, per quanto possibile, meno schematico. Un esempio per tutti: a Brixia il dio locale Bergimus, associato al Genius Coloniae Civicae Augustae, sembra assumere una dimensione poliadica assurgendo a punto di riferimento per la componente cenomane del centro ormai romanizzato. In altri contesti, infine, la presenza di culti non romani, considerati in genere sinonimo di tenace resistenza alla romanizzazione è risultata, piuttosto, frutto di una devozione successiva, il più delle volte con specifico valore politico. Di questo processo fa parte anche il fenomeno di “reviviscenza delle divinità celtiche o, più in generale, indigene” che ebbe “la connotazione di un’opposizione di tipo politico all’accentramento di potere effettuato a Roma, a cui le aree periferiche, almeno a partire dall’età antonina, si ribellarono facendo leva sulla riappropriazione di una cultura religiosa autoctona, quando non addirittura della nuova religione cristiana”. Molta documentazione della piena età imperiale andrebbe riconsiderata in ragione di questi aspetti. Da ultimo si è cercato di valutare il peso delle élites romane nella gestione dei sacra. Questo fenomeno era già noto per i centri coloniari, come ad esempio ad Aquileia, Ariminum, Cremona, Piacenza, Luna, dove l’intervento delle aristocrazie romane è particolarmente evidente nella scelta di motivi allusivi alla difesa dal “barbaro” attraverso la diffusione dell’Apollo Liceo. Anche a Patavium l’introduzione del culto di Iuno, connotato in senso “trionfale”, è sembrato ascrivibile ai più alti livelli di committenza, se l’ipotesi di un coinvolgimento di M. Aemilius Lepidus coglie nel segno. Un ruolo non secondario, a Patavium e non solo, riveste l’intervento augusteo, che introduce, nella grande risistemazione del pantheon, il culto dei Lares e quello a Concordia.
XXIV Ciclo
1979
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9

Laycock, Joseph Peter. "The church and the seer: Veronica Lueken, the Bayside movement, and the Roman Catholic hierarchy". Thesis, Boston University, 2012. https://hdl.handle.net/2144/31581.

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Thesis (Ph.D.)--Boston University
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The traditionalist Marian movement known as "the Baysiders" began in 1968, when Veronica Lueken, a Catholic housewife from Bayside, Queens, first claimed she was receiving messages from heaven. Thousands flocked to her church to see "the seer of Bayside." Lueken's messages from Mary and other heavenly beings were apocalyptic and described a conspiracy within the Vatican. Church authorities censured Lueken's movement and eventually obtained an injunction banning her vigils from Bayside. However, she continued to appeal to traditionalist Catholics and gave regular prophecies until her death in 1995. Her "Bayside Prophecies" spread across the United States and throughout the world. Though this movement peaked in the 1980s, Baysiders continue to promote Lueken's prophecies today. This dissertation argues that the Bayside movement is best understood relationally-as the result of a dialectic between Lueken, her followers, and Church authorities. Opposition from officials of the Diocese of Greater Brooklyn alienated Lueken from Church authorities, pushing her deeper into her new role as a Marian seer. Similarly, diocesan officials used increasingly confrontational measures to censure Lueken and publicly distance themselves from her movement. This dialectical process led Lueken and her followers to form a new understanding of themselves and their relationship to the Catholic Church, becoming a sectarian movement. The dialectical model employed in this dissertation combines sociological models of charisma and sectarian movements with the reflexive considerations raised by lived religion historiography, which interrogate the assumptions and categorical frameworks of the historian. Religion scholars often frame divergent groups such as the Baysiders by using categories such as "new religious movement" or "folk piety" in ways that quarantine them from the larger religious landscape. This dissertation argues that by emphasizing the dialectic between divergent movements and established religious and secular institutions, it is possible to incorporate such movements into a larger narrative of religious history without entrenching their status as deviant or "other."
2031-01-01
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10

Zvonareva, Alina. "Giacomino da Verona e altri testi veronesi nel MS. Colombino 7-1-52: edizione e commento linguistico". Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2012. http://hdl.handle.net/11577/3422544.

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Resumen
The present dissertation examines the Seville Colombina Manuscript 7-1-52 (henceforth S) according to a philological-linguistic approach. The codex was copied in Northern Italy in the late-14th / early-15th century; it transmits eleven religious texts in Venetian and in Tuscan. These works include sermons in verse (De Jerusalem celesti, De Babilonia infernali, Dell’amore di Gesù, Del Giudizio Universale, Della caducità della vita umana; the author of the former two is Giacomino da Verona, while the other texts are anonymous), doxological prayers (Lodi della Vergine, Preghiera alla Vergine e alla santissima Trinità), the Leggenda di santa Margherita (a Northern Italian hagiographical text), a Tuscan poem on Christ's passion, Enselmino da Montebelluna's Lamentatio beate Virginis (a text belonging to the Virgin’s Lament tradition) and a short prayer to St. John the Baptist. Until now, the manuscript has drawn scholarly attention only as a witness of early Northern Italian vernacular works, always with the purpose of a critical edition. So far, the codex has never been systematically examined from a historical-linguistic perspective, apart from a few early-20th-century attempts, with questionable results; nevertheless, the linguistic features of at least some of its sections deserve to be studied because of several noteworthy phenomena. My analysis is limited to cc. 1r-41v., which contain the first seven works mentioned above. This section contains a smaller collection, which is detectable thanks to thematic, codicological, palaeographic and linguistic features. My dissertation analyses the linguistic features of cc. 1r-41v and offers an interpretative edition. The linguistic study of S is correlated to ecdotic issues concerning the manuscript tradition of its single texts. In particular, I focus on the relationship between S and another witness: the seven texts copied in MS Seville Colombina 7-1-52 cc. 1r-41v are present also in MS Venice Marciana 4744 (it. Zanetti XIII) cc. 50r-111r (henceforth V). Compared to S, V is both chronologically and linguistically closer to the archetype and to the original text: V dates back to early-14th-century Verona; in addition to the above-mentioned compilation of didactic-moralizing and devotional texts in verse, it hands down some other texts that are important for the study of old Veronese. The works of my corpus are arranged in the same order in both codices, suggesting that the compilation must have already existed in the archetype; a series of mistakes with the subjunctive confirms that both witnesses had the same archetype. The comparison with V is very useful for studying S for many reasons, mostly historical-linguistic and critical-textual ones. As for the former ones, the material present in V helps interpreting several phonomorphological phenomena present in S. V has been taken into account also while working on the interpretative edition of S. Within the collection of seven works, the first two texts stand out as the only ones whose author's name is known (Giacomino da Verona) and as the only ones with other witnesses besides V, i.e. MS Udine Biblioteca Arcivescovile Qt. XIII. I. 26 cc. 40r-50v (henceforth U) and MS Oxford Bodleian Canonici It. 48 cc. 1r-5v, transmitting only the first work, with lacunae (henceforth O). My dissertation takes into account also the readings found in those two manuscripts: U and O have been systematically consulted while setting up the interpretative edition of S (as far as the texts they transmit are concerned) and its accompanying glossary. As for the linguistic note, there is no comparison with U and O in order not to weight readability down. The dissertation is divided into two parts; the first one focuses on the codex, while the second one focuses on a few texts transmitted by S. The Introduction presents in short the text transmitted by S, paying particular attention to the above-defined Veronese corpus and its manuscript tradition. I point out the most interesting features of S and the concerning bibliography; then I define the issues to be studied and the structure of my work. The first part of the dissertation includes the description of S, the linguistic note, the editorial criteria, the interpretative edition of cc. 1r-41v, the notes to the text and the glossary. The description of the manuscript includes information about palaeographic-codicological aspects, and also some considerations upon the principles organizing the whole compilation. The linguistic note systematically confronts the linguistic features present in two different copies (S and V) of the same works. The comparison with a markedly Veronese codex (V) highlights the polymorphism and the hybridism of S. Such hybridism doesn't depend on the author's will, but on an accumulation of innovations dating back to different levels of the manuscript tradition. The linguistic data show some aspects of the circulation of the text. S is a rather late witness, almost a century distant from the original texts it transmits: the copyist displays little familiarity with the language of the original text (late-13th-century / early-14th-century Veronese), so that the codex displays many forms probably ascribable to its antecedents. Therefore, S lets us postulate that the text was repeatedly copied in different [urban] areas of Northern Italy. It is possible to identify different layers among the heterogeneous linguistic features of S: the Veronese ancestor, some rather late Venetian intermediaries (possibly, more than one Venetian copyist took part to the copying process; the intermediaries were copied between Venice and Padova approximately in the second half or at the end of the 14th century; the areas of Belluno and Treviso can be quite safely excluded), an Emilian (possibly Bolognese) layer, a Tuscan-like gloss. The very fact that the text was copied in different towns turns the specific dialect of a specific Northern Italian town (Verona) into a Venetian vernacular purified from many markedly local features (a sort of “illustrious Venetian”); nonetheless, such language displays some remarkable Venetian and Paduan linguistic phenomena. In the meantime, S suggests that at some point the language of the texts took a step towards a more generically Northern Italian vernacular, with some possibly Emilian deposits. The Tuscan-like elements present in the codex don't seem due to a Florentine hand (in a further circulation of the manuscript) but rather to the Tuscanization added to the text by the Venetian and Emilian copies according to a general late-14th-century tendency. The linguistic note describes systematically all the linguistic aspects of S, paying particular attention to the most characteristic features of each scripta recorded in S. The notes to the text mostly comment my amendments, other editorial choices and also some plausible corrections that haven't been inserted into the final edited text. The glossary is selective; it records only words that have disappeared in modern Italian or have a different spelling or a different meaning. Many entries do not just record forms but also include a short discussion about etymological and lexical issues or about linguistic and ecdotic choices that are just hinted at in the notes to the text. In the case of uncommon words or rare phonomorphological forms there are references to other texts displaying occurrences of the same word or form. Whenever deemed relevant, I quoted the corresponding wording in the other codices (V, O and U) so that it is possible to compare the variants (sometimes in meaning but mostly formal) of S with the rest of the manuscript tradition. In the second part of the dissertation I offer a critical edition of the four texts lacking a modern edition, i.e. Dell’amore di Gesù, Del Giudizio universale, Lodi della Vergine, Preghiere. These works were edited only once by Adolfo Mussafia at the end of the 19th century: his edition is praiseworthy (especially considering when it was done) but there are transcription and interpretation mistakes; furthermore, his edition is based only on V. My edition collates V (base manuscript) with S. The linguistic form of the edited text usually refers to the form found in V. The apparatus is positive and it records both approved and rejected forms. The critical text is accompanied by the editorial criteria, by a metrical note describing the isosyllabic peculiarities found in the texts, by editorial notes explaining my choices and reporting dubious or ambiguous ecdotic elements, and by a glossary recording remarkable forms that have been included in the edited text; in the case of entries that are present also in the glossary of S (the first part of the dissertation) I refer to the corresponding entries for fuller information. The final bibliography includes only titles that were actually quoted in the dissertation. The list is divided in two parts: in the first one there is a short-format bibliography listing frequently quoted studies or studies that are quoted in distant sections of the dissertation; in the second one there is a full-format bibliography listing studies quoted only once or repeatedly but at very short distance (in the same paragraph).
La presente tesi ha come oggetto il ms. 7-1-52 della biblioteca Colombina di Siviglia (d’ora in avanti S), esaminato secondo un approccio filologico-linguistico. Si tratta di un codice trascritto in Italia settentrionale a fine Trecento – inizio Quattrocento, che tramanda undici testi di contenuto religioso in veneto e toscano. Tra i componimenti ci sono dei sermoni in versi (De Jerusalem celesti, De Babilonia infernali, Dell’amore di Gesù, Del Giudizio Universale, Della caducità della vita umana; l’autore dei primi due testi è Giacomino da Verona, gli altri sono anonimi), delle preghiere di carattere dossologico (Lodi della Vergine, Preghiera alla Vergine e alla santissima Trinità), la Leggenda di santa Margherita (un testo agiografico settentrionale), un poemetto sulla passione di Cristo in toscano, la Lamentatio beate Virginis di Enselmino da Montebelluna (un testo appartenente alla tradizione dei ‘pianti della Vergine’), una breve preghiera a Giovanni Battista. Il ms. in questione ha attirato finora l’attenzione degli studiosi solo in quanto testimone di alcuni di questi componimenti settentrionali delle origini - quindi sempre solo per scopi di edizione critica. Il codice finora non è mai stato sistematicamente esaminato dal punto di vista storico-linguistico (a parte qualche tentativo intrapreso all’inizio del secolo scorso, con risultati molto discutibili), eppure la veste linguistica di almeno alcune sue sezioni merita di essere studiata in quanto presenta una serie di fenomeni notevoli. L’analisi proposta in questa tesi si limita alle cc. 1r-41v. del ms., le quali contengono i primi sette componimenti citati sopra. Questa sezione della silloge racchiude un’altra raccolta più piccola, individuabile sulla base del contenuto, dei dati codicologici e paleografici e della lingua. Nella tesi è proposta un’analisi dei tratti linguistici che presentano le cc. 1r-41v, nonché l’edizione interpretativa di questa parte del codice. Lo studio della lingua di S viene messo in relazione con l’aspetto ecdotico, ovvero la tradizione manoscritta dei singoli testi tramandati. Un dato importante è costituito dai rapporti di S con un altro testimone: i sette testi trascritti alle cc. 1r-41v del ms. colombino 7-1-52 sono tràditi anche dalle cc. 50r-111r del ms. 4744 (it. Zanetti XIII) della biblioteca Marciana di Venezia (d’ora in avanti V). La redazione del codice marciano è più vicina all’archetipo e all’originale sia dal punto di vista cronologico sia da quello linguistico: V è databile agli inizi del Trecento e di provenienza veronese; il codice tramanda, oltre alla summenzionata raccolta di componimenti didattico-moraleggianti e devozionali in versi, alcuni altri testi importanti per lo studio del veronese antico. I componimenti del corpus si leggono nello stesso ordine in entrambi i codici, il che dimostra che la raccolta doveva esistere già nell'archetipo a cui risalgono S e V; una serie di errori congiuntivi confermano [il soggetto è “una serie” !] l’esistenza di un archetipo comune dei ai [dativo di vantaggio, mi pare più elegante e diffuso nel linguaggio filologico] due testimoni. Per lo studio del codice S il confronto con la redazione di V risulta utile sotto vari aspetti, soprattutto storico-linguistici e critico-testuali [aspetti è plurale, quindi ho messo anche gli aggettivi al plurale]. Relativamente al primo aspetto, il materiale fornito da V aiuta a interpretare una serie di fenomeni fono-morfologici registrati in S. Si è tenuto conto delle lezioni del codice V anche nell’allestimento dell’edizione interpretativa della redazione di S. All’interno della raccolta di sette componimenti si distinguono i primi due testi, gli unici di cui si conosca il nome dell’autore, Giacomino da Verona, e di cui ci siano pervenuti, oltre a V e S, altri due testimoni: il ms. Qt. XIII. I. 26 della biblioteca Arcivescovile di Udine (cc. 40r-50v) e il ms. Canoniciano Italiano 48 della biblioteca Bodleiana di Oxford (cc. 1r-5v, dove è trascritto solo il primo dei due componimenti, con lacune). Nella preparazione della tesi si è tenuto conto anche del materiale di questi due mss.: U e O sono stati sistematicamente consultati per l’allestimento dell’edizione interpretativa di S (relativamente ai testi che U e O tramandano), nonché per il glossario che accompagna tale edizione. Invece nella nota linguistica si è ritenuto di non estendere il confronto anche ai codici di Udine e Oxford, per evitare di appesantire l’esposizione. La tesi è divisa in due parti, la prima delle quali è focalizzata sul codice, mentre nella seconda l’attenzione si sposta su alcuni dei testi di cui S è testimone. Nell’introduzione alla tesi vengono sinteticamente presentati i testi trascritti in S – con particolare attenzione al corpus ‘veronese’ definito sopra – e la loro tradizione manoscritta; vengono indicati gli aspetti di interesse che presenta il ms. S e gli studi esistenti sull’argomento; vengono definite le problematiche studiate nella tesi e la struttura del lavoro stesso. La prima parte della tesi comprende la descrizione del ms. S, la nota linguistica, i criteri di edizione, l’edizione interpretativa delle cc. 1r-41v di S, le note al testo e il glossario. La descrizione del manoscritto contiene informazioni sugli aspetti paleografico-codicologici, nonché alcune considerazioni sui principi organizzativi di tutta la silloge. La nota linguistica è pensata come un confronto sistematico tra i fenomeni linguistici riscontrati in due redazioni degli stessi componimenti, quella di S e quella di V. Il confronto con un codice marcatamente veronese (V) fa trasparire meglio il polimorfismo e l’ibridismo che presenta il testimone S. Tale ibridismo non è dovuto alle intenzioni dell’autore, ma all’accumularsi di innovazioni risalenti a diversi livelli della tradizione manoscritta. I dati linguistici mettono in luce alcuni aspetti della diffusione del testo: essendo un testimone piuttosto tardo, distante quasi un secolo dagli originali dei testi che tramanda, trascritto da un amanuense che dimostra di avere poca dimestichezza con la lingua dell’originale (il veronese di fine Duecento – inizio Trecento) e contenente numerose forme che risalgono verosimilmente ai suoi antecedenti, S permette di postulare dei passaggi del testo, nel corso della trafila di copie, attraverso diverse aree municipali dell’Italia settentrionale. Nel quadro variopinto dei fenomeni linguistici che presenta il ms. si individuano più strati: l’ascendente veronese, qualche intermediario veneto abbastanza tardo (verosimilmente al processo di copia ha partecipato più di un amanuense veneto, le copie intermedie sono databili approssimativamente alla seconda metà - fine del Trecento e localizzabili tra Venezia e Padova; la zona bellunese-trevigiana è esclusa con un buon margine di sicurezza), uno strato emiliano (probabilmente bolognese), la patina toscaneggiante. Come risultato, in seguito a diverse copiature in città diverse si osserva il passaggio da un dialetto specifico di una città del nord (Verona) a un volgare veneto depurato da molti tratti specificamente locali (una specie di ‘veneto illustre’); tale volgare presenta tuttavia alcuni significativi fenomeni linguistici veneziani e padovani. Allo stesso tempo, la testimonianza di S suggerisce che in un determinato momento la lingua dei testi abbia fatto un passo nella direzione di un volgare ancora più genericamente settentrionale, ma con alcune incrostazioni verosimilmente emiliane. Gli elementi toscaneggianti che si riscontrano nel codice sembrano dovuti, piuttosto che a una mano fiorentina (per ulteriore passaggio del ms.), alla toscanizzazione che avranno portato con se le copiature di area veneta e emiliana, secondo un processo ormai avanzato a fine Trecento. La nota linguistica presenta una descrizione sistematica della lingua di S in tutti i suoi aspetti, con particolare attenzione ai fenomeni più caratteristici di ciascuna delle scriptae di cui S conserva tracce. Le note al testo commentano prevalentemente i nostri emendamenti e altre scelte editoriali che abbiamo adottato, nonché alcune correzioni di cui segnaliamo la plausibilità, senza tuttavia metterle a testo. Il glossario è selettivo e registra esclusivamente voci antiche nella lingua moderna scomparse o presenti con grafia o significato diversi. In molti casi i singoli lemmi non si limitano alla registrazione delle forme, ma comprendono una breve discussione che a volte precisa gli aspetti etimologici e lessicali, altre volte motiva alcune scelte ecdotiche di carattere linguistico soltanto accennate nelle note al testo; nel caso di vocaboli o esiti fonomorfologici poco comuni si indicano altri testi che presentano occorrenze di tale lessema o esito. Si riportano, laddove ciò è stato ritenuto utile, anche le corrispettive lezioni degli altri tre codici (V, O e U), per rendere possibile il confronto delle varianti – di sostanza, ma soprattutto formali – di S con quelle del resto della tradizione. Nella seconda parte della tesi proponiamo un’edizione critica dei quattro testi che non hanno un’edizione moderna: Dell’amore di Gesù, Del Giudizio universale, Lodi della Vergine, Preghiere. Questi componimenti erano stati editi solo una volta, a metà Ottocento, da Adolfo Mussafia: la sua edizione è pregevole (soprattutto considerata la sua altezza cronologica), ma non priva di errori di trascrizione e di interpretazione; inoltre, questa edizione era stata allestita sulla base del solo codice V. L’edizione proposta nella tesi collaziona V (ms. base) con S. La veste linguistica del testo critico di norma fa riferimento alla versione fornita dal codice V. L’apparato è positivo e registra sia le lezioni accolte nel testo sia quelle rifiutate. Il testo critico è corredato dai criteri di edizione, da una nota metrica che descrive le particolarità dell’anisosillabismo rilevate nei testi che si editano, da note editoriali che spiegano le scelte effettuate e segnalano elementi dubbi o ambigui dal punto di vista ecdotico, e infine dal glossario che registra le forme accolte nel testo critico che si è ritenuto utile segnalare al lettore; nel caso delle voci presenti anche nel glossario relativo al codice S (la prima parte della tesi) si rinvia al rispettivo lemma di tale glossario per informazioni più complete. La bibliografia finale comprende esclusivamente i titoli citati nella tesi. La lista è divisa in due parti: abbiamo elencato prima la bibliografia citata in forma abbreviata, ovvero gli studi citati frequentemente o comunque più volte e in sezioni testuali distanti tra di loro; abbiamo fornito anche la lista della bibliografia citata in forma piena, che fa riferimento ai contributi citati una volta sola oppure più volte a brevissima distanza (all’interno dello stesso paragrafo).
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Plamondon, Marie-Christine. "'Ouvrir les yeux à la lumière', suivi de Réflexion sur un monologue intérieur inspiré du roman 'Le tour du monde en 80 jours' de Jules Verne". Thèse, Université d'Ottawa / University of Ottawa, 2012. http://hdl.handle.net/10393/23102.

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À première vue, le monologue intérieur et le roman d’aventures semblent antinomiques. Si le monologue intérieur explore l’intériorité d’un personnage, le roman d’aventures se présente plutôt comme le théâtre d’événements extérieurs procédant d’une confrontation, au moins implicite, avec la mort (Vladimir Jankélévitch). L’écriture d’un monologue intérieur donnant voix au personnage de Mrs. Aouda, héroïne silencieuse du roman Le tour du monde en 80 jours de Jules Verne, constituait une forme de pari : l’ajout d’un monologue intérieur à un roman d’aventures préexistant peut-il apporter un éclairage sur cette «entrée dans le domaine de la mort» (Simone Vierne) qui caractérise le parcours du personnage aventurier? Les objectifs de la recherche sont donc d’identifier les liens qui peuvent être tissés entre le monologue intérieur et l’aventure. Nous constaterons que la notion de roman initiatique permet de mettre en lumière le rôle essentiel de la mort dans le roman d’aventures, et ce même dans le cadre d’un récit fondé sur l’intériorité d’un personnage donné. La présente étude suggère que l’hybridation du roman d’aventures permettrait de révéler le processus de transformation du personnage en voie d’initiation, questionnant ainsi la pertinence des frontières implicites entre les notions d’aventure et d’«aventure intérieure».
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Farsian, Mohammad-Reza. "La représentation de la ville industrielle dans le roman du XIXème siècle". Thesis, Paris 3, 2009. http://www.theses.fr/2009PA030071.

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Avec l'émergence de la révolution industrielle, les populations rurales se dirigèrent vers les centres industriels nouveaux. S'y constitua un nouveau peuple, le peuple ouvrier, s’entassant dans les villes et dans les banlieues autour des usines. Surgirent de terre autour des manufactures industrielles des habitations destinées à minimiser la distance entre les logements et les lieux de travail. S'y Avec l'émergence de la révolution industrielle, les populations rurales se dirigèrent vers les centres industriels tissèrent des structures sociales simples, aboutissant à une nouvelle forme de ville : la ville industrielle, dont la caractéristique la plus importante, avant la présence du milieu ouvrier, réside dans celle d’une usine ou d’une mine, pleine d'objets et d'inventions mécaniques et techniques. La présente recherche se propose pour but de présenter cette ville industrielle en tant que produit le plus typique du XIXe siècle, avec ses composants techniques et ses habitants ouvriers. La ville s'y envisage comme l'un des berceaux les plus importants des romans, ceux-ci allant jusqu'à la prendre comme support de leur intrigue. Sans négliger l’importance considérable de la machine dans le bouleversement de la vie quotidienne ni oublier que la révolution technique est portée et manifestée par elle, la thèse analyse à travers ces romans le rôle de ces objets bruyants et imposants, ses machines, dans la formation de la ville industrielle, aussi bien que dans la vie de ses habitants. L'étude se complète par un portrait des ouvriers, ces utilisateurs des machines et ces incarnations de la technique et de l’industrie, dans leur vie, leur travail et leurs habitudes. Avec la littérature du XIXe siècle et surtout le mouvement naturaliste, ce peuple se trouve pour la première fois considéré dans la monotonie quotidienne de son existence, dans ses petits drames, ses mœurs, sa mentalité. Apparaissent de la sorte les effets néfastes de l’industrialisation et du machinisme sur la vie de ces personnes, auxquels certains auteurs remédient par la création d'utopies
With the emergence of the industrial revolution, country people moved to the new industrial centers. Through this movement appeared a new social class, the working class, crowding in the cities and also in the suburbs around the factories. To minimize the distance between the places of work and the residences, a lot habitations appear suddenly out of earth around industrial factories. In those areas, simple social structures were created leading to a new city shape: the industrial city whose main characteristic, before the setting of the working class, is the factory or the mine, places full of industrial items, mechanical inventions and techniques. The present research aims at introducing this industrial city as the most typical product of the nineteenth century through its technical components and its working class. The city is considered as one of the main element in the novel as far as becoming the basic and strong support of their intrigue. Without neglecting the substancial and amazing effect and the consequences of the machine in the daily life and without forgetting that the technical revolution is supported and materialized by the machine itself, the thesis analyses, through the studied novels, the role of those machines in the emergence of the industrial city as well as its effects in the daily life of the working class. The study is developed by a portrait of the working class, main users of the machines and a description of the technical and industrial incarnations in their lifes, their work and their habits. With the nineteenth century's literature and especially through the naturalist movement, this social class is for the first time analysed by considering its monotonous daily life, its little dramas, its manners and its mentality. Therefore the negative effects of the industrialization and of the mechanization on the working class appear in the literature, and some writers try to solve the problem by creating utopia
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Cassayre, Luc. "Le système des personnages dans Les voyages extraordinaires de Jules Verne". Paris 4, 1999. http://www.theses.fr/1998PA040307.

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La collection Les Voyages extraordinaires de Jules Verne est étudiée sous l'angle des personnages. Après un classement en catégories et un inventaire des différents types produits se dégagent les caractéristiques de chaque type, qui sont renforcées par les éléments issus des portraits individuels. Les différentes catégories et types, sont inégales et renforcées par la notion de race dont certaines sont qualifiées d'inferieures. Aucun domaine n'échappe au discours des sciences de la matière ou de la vie, pour lesquelles l'homme est un objet d'étude ; la forme de ce discours permet de définir ce qu'est la science vernienne. Il s'agit de technologie puisque le discours scientifique doit être producteur de réalisations techniques, de solutions à des problèmes concrets et qu'il exclut toute idée de recherche. Il y a danger de dévoiement à s'éloigner de cette prescription. D'autre part, le discours scientifique est un discours de révélation ou de dévoilement de savoirs qui préexistent à celui qui le profère. Enfin, le droit de certains personnages à tenir un discours scientifique est le signe qu'ils exercent un pouvoir. Tout cela constitue un appareil idéologique. C'est le savoir, sa nature, la relation que chacun peut avoir avec la connaissance qui constituent l'articulation du système des personnages fondée sur une hiérarchie. D'abord la sphère du héros regroupe des personnages issus de catégories valorisantes, ils expriment le discours de la science, possèdent un dessein personnel exceptionnel et le pouvoir. Puis des personnages de rang intermédiaire, armes d'un savoir pratique, peuvent être la référence au monde du bon sens, enfin le monde de l'ignorance absolue et de la sauvagerie. Ces mondes ne forment pas une continuité dans laquelle on peut progresser mais on n'entre dans la sphère supérieure qu'exceptionnellement et par initiation. Ce système est une structure constante qui témoigne de la part de l'auteur d'une vision. .
The Voyages Extraordinaires by Jules Verne has been studied from the angle of characters. After a categorical classification and an inventory of the different types proposed, the characteristics of each type can be defined altogether with elements derived from individual portraits with re-inforce them. The differents categories and types are unequal and strengthened by the notion of races, some of them being described as inferior. No field can escape from the theories or science and matter or life for which man is an object of study; the form taken by these theories allows for a definition of what can be called Verne's science. Its deals with technology in as much as the scientific discourse must produce technical realizations, solutions to actual problems and as it excludes any suggestion of researching spirit. The danger would be in not caring for this prescription. On the other hand, the scientific discourse is one of revelation or of revealing of knowledge which are pre-existing to the person who states them. Last, the right of some characters to hold a scientific discourse is the sign of the power they wield. All of these components elaborate an ideological apparatus. It is knowledge, its nature and the relationship everyone can have with it, which constitute the connections in the hierarchical character system. On top, the sphere of the hero in which characters coming from valorizing categories are grouped; they express the discourse of science, have an exceptional individual scheme and hold power. Then, second rate characters, in possession of a practical knowledge, and who can be a reference to the world of common sense. Last the sphere of absolute ignorance and savagery. These worlds are not organized as a continuity through which one might progress; on the contrary, you can have access to the upper sphere only exceptionally and thanks to initiatory rites. This system is an unchanging structure which testifies for the author's conservative vision of the world
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Rogé, Raymond. "L'aventure du voyage au pays-perdu dans le roman francais de voltaire a nos jours". Toulouse 2, 1986. http://www.theses.fr/1986TOU20003.

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C'est un pays imaginaire, secret, ferme, cache, avec son peuple et ses tresors. Les voyageurs y parviennent au terme d'un difficile voyage initiatique. Dans le roman francais, l'aventure complete et ordonnee du voyage au pays-perdu se rencontre pour la premiere fois dans candide de voltaire. Ces deux chapitres de l'eldorado sont le plus souvent oublies par les critiques alors qu'ils s'averent essentiels au sens de l'oeuvre. L'angoisse de l'aventure des lumieres s' exprime en cette parodie de la genese transformee et bouleversee par la structure d'un autre texte canonique de notre culture : l'allegorie de la caverne de la republique de platon. A partir de voltaire les pretentions du roman croissent regulierement en meme temps que la litterature s'efforce de prendre a la philosophie son bien; ainsi, d'auteur en auteur se poursuit une longue enquete : qu'est-ce que l'homme? nous suivons d'abord les romans "geographiques" (sade, g. Sand, e. Zola j. Verne, j. H. Rosny aine, o. Mirbeau, g. Leroux, alain-fournier, p. Benoit et ses emules); viennent ensuite les voyages "tournes vers l'interieur" (brasillach et surtout m. Proust); enfin des voyages mixtes ou le deplacement geographique coincide avec le devoilement d'une destinee (a. Bosco et m. Tournier). Les voyageurs, a la recherche de relations humaines plus authentiques, sont amenes a elucider leur rapport a l'enfance. Se retrouvent en ces romans : un gout prononce pour les jardins et les artifices; une fascination trouble pour les supplices et meme pour l'anthropophagie; un interet exclusif pour l'homme. Le recit de voyage au pays-perdu suit pas a pas la demarche obligee de toute recherche, car on peut parler d'une veritable structure anthropologique de la recherche. Echappant au "decousu" du picaresque, dans sa recherche sur l'homme, le roman reprit sans cesse le recit qui transcrit le plus immediatement la structure de recherche
IT IS A HIDDEN, CLOSED, SECRETE, IMAGINARY COUNTRY WITH ITS PEOPLE AND ITS TREASURAS. TRAVELLERS COME TO IT AFTER A HARD INITIATIC JOURNEY. IN THE FRENCH NOVEL, THE COMPLETE AND ORDERLY ADVENTURE OF THE JOURNEY TO THE LOST COUNTRY IS NEAT FOR THE FIRST TIME IN VOLTAIRE'S CANDIDE. THESE TWO CHAPTERS ABOUT ELDORADO ARE OFTEN FORGOTTEN BY THE CRITICS THOUG THEY PROVED THEMSELVES ESSENTIAL FOR THE MEANING OF THE NOVEL. THE ANGUISH FOUND IN THE ADVENTURE OF THE LUMIERES EXPRESSES ITSELF IN THIS PARODY OF THE GENESIS ALTERED AND UPSET BY THE STRUCTURE OF ANOTHER CANONICAL TEXT OF OUR CULTURE : THE ALLEGORY OF THE CAVE IN PLATON'S REPUBLIC. AFTER VOLTAIRE, THE NOVEL AMBITIONS STEADILY GROW AS WELL AS LITERATURE STRIVES FOR TAKING ITS PROPERTY FROM PHILOSOPHY. THESe FROM AUTHOR TO AUTHOR A LONG INVESTIGATION IS CARRIED ON : WHAT IS MAN ? FIRST WE FOLLOW "GEOGRAPHICAL" NOVELS (SADE, G. SAND, E. ZOLA, J. VERNE, J. H. ROSNY AINE, O. MIRBEAU, G. LEROUX,ALAIN-FOURNIER, P. BENOIT AND HIS RIVALS); THEN COME "INWARD" TRAVELS (BRASILLACH, M. PROUST MAINLY); AT LAST MIXED JOURNEYS IN WHICH A GEOGRAPHIC TRAVEL COINCIDES WITH THE ELUCIDATION OF A DESTINY (H. BOSCO, M. TOURNIER). TRAVELLERS IN SEARCH OF MORE AUTHENTIC HUMAN COMMUNICATIONS ARE INDUCED TO ELUCIDATE THEIR RELATION WITH CHILDHOOD. TOGETHER IN THESE NOVELS CAN BE FOUND : STRONG TASTE FOR GARDENS AND DEVICES; CONFUSED FASCINATION FOR TORTURES AND EVEN CANNIBALISM; EXCLUSIVE INTEREST IN MAN. THE ACCOUNT OF A JOURNEY TO THE LOST COUNTRY FOLLOWS THE OBLIGATORY PROCEEDING OF ANY RESEARCH AS WE CAN SPEAK OF REAL ANTHROPOLOGY STRUCTURE OF RESEARCH. ESCAPING FROM THE "DISJOINTEDNESS" OF THE PICARESQUE IN ITS SEARCH OF MAN, THE NOVEL CEASELESSLY RESUMED THE ACROUNT WHICH TRANSCRIBES THE RESEARCH STRUCTURE MOST IMMDIATELY
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Letexier, Gérard. "Deux fondatrices du roman : Madame de Villedieu (1640-1683) et Madame de Lafayette (1634-1693) : étude comparative". Paris 4, 1995. http://www.theses.fr/1995PA040250.

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Cette étude doit permettre de reconsidérer l'importance de Mme de Villedieu dans l'histoire du roman et la dette de Mme de Lafayette envers elle. Les romans historiques de Mme de Villedieu opèrent une unification classique de la vision dès Alcidamie, reprise et intériorisée dans Zayde de Mme de Lafayette dont la construction et la nostalgie de l'héroïsme semblent issus de Carmente. L'inspiration hispano-mauresque permet à Mme de Villedieu de transposer des fêtes contemporaines sans gêner l'action: cette innovation sera reprise dans la Princesse de Clèves. Jusqu'en 1669, les nouvelles de Mme de Villedieu, divertissantes et ornementales, restent proches de celle de Segrais. Mais ses recueils de 1670-1675, malgré un didactisme parfois lourd, la rapprochent de l'auteur de la princesse de Montpensier : souci d'historicité, visions graves marquées par l'augustinisme et la Rochefoucauld. La princesse de Clèves intériorise l'apport de Mme de Villedieu : approches de l'histoire, climat, épisodes… Mme de Lafayette a répondu au problème de roman par l'analyse, sa contemporaine par la primauté de l'action et un certain réalisme. L'une et l'autre ont inauguré les deux voies royales du roman : la peinture de la vie intérieure, celle de la société. Mme de Villedieu est une pionnière du roman de mœurs
Compared with Mlle de Scudery'novels, those of Mme de Villedieu present a unified vision, quite classical (Alcidamie). Mme de Lafayette's Zayde re-uses that vision in a more inner maner, but that novel construction and nostalgic atmosphere come from Mme de Villedieu's Carmente. As for the feasts evocations of the galanteries grenadines, which don't stop the action -a new thing in 1673- Mme de Lafayette will remember then in her Princesse de Cleves of 1678. Up to 1669, Mme de Villedieu's single short stories are quite influenced by Segrais' nouvelles francaises because they are at first decorative and entertaining. But in 1670-1675, her books of short stories remined the reader of Mme de Lafayette's princesse de Montpensier. History treatment, gravity of a vision sgaped by augustinism -so essential in those days- and la Rochefoucauld are much alike in the two writers' works. La Princesse de Cleves re-uses a vision largely elaborated by Mme de Villedieu and which had already been re-used by the French novelists of the 1670' , like Saint-Real, Boursault or Prechac. But Mme de Lafayette's treatment of the tradition as well as of Mme de Villedieu's fictions us an analyst's treatment :. .
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Gouaux, Mireille. "Recherches sur l'imaginaire : marxisme et psychanalyse. l'imaginaire colonial; l'imaginaire de la science chez jules verne et elsa triolet; un imaginaire romanesque : colette". Paris 3, 1987. http://www.theses.fr/1987PA030159.

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Marxisme et psychanalyse, ont entre la fin du xixeme et le debut du xxeme siecle, aborde de facon radicalement nouvelle, les rapports de l'imaginaire et de l'art avec la realite sociale, et les activites psychiques. Le marxisme, dans son courant ouvert, tel qu'on le voit naitre chez le jeune marx et tel que lukacs, mais surtout brecht, aragon et triolet, bakhtine l'ont developpe, integre les productions imaginaires dans l'ensemble des activites humaines qui les determinent, mais y reconnait un pouv de transformation specifique, qui tend, dans les limites des donnees de la realite, a depasser celles ci, dans un espace qui leur devient par la irreductible. La psychanalyse, de son cote, rend compte, la aussi dans son courant ouvert, tel qu'il apparait chez freud, mais aussi chez ehrenzweig, et lacan, des transformations operees par l'imaginaire et l'art sur les processus primaires de l'incons cient, et qui les rend de la meme maniere, irreductibles a ceux ci. Outre que tous deux reconnaissent donc a l'imaginaire et a l'art un pouvoir specifique dans la production d'une nature humaine, ils semblent pouvoir, si on conjugue leurs explic cations, rendre compte du fait esthetique. Ce travail a comme but, a partir du marxisme et de la psychana lyse, de chercher des reponses aux questions d'ensemble concernant les rapports de l'imaginaire et de l'art, a l'histoir et a l'interiorite psychique, afin de permettre de formuler une methode d'approche des textes litteraires; il est constitue de deux volumes, l'un consacre a la reflexion theorique, l'autre a la mise en oeuvre de la methode proposee, et qui comporte une serie de travaux sur l'imaginaire colonial dans le roman anglais et francais de 1870 a 1914, sur l'imaginaire de la science chez jules verne et elsa triolet, et sur l'imaginaire romanesque de colette
Marxism and psychoanalysis, at the end of the xixth and the beginning of the xxth century, made a similar attempt at defining the relationship of imagination and art, with social history as well as with psychic activity. Marxism has been developing, after marx, and thanks to lukacs, but mainly brecht, aragon, triolet, and bakhtine, a tendency to consider imaginary productions as well as art, as determined by reality, but as achieving a specific metamorphosis upon it, which renders their achievements irreductible to to it. Psychoanalysis, for its part, accounts for imagination, after freud, mainly thanks to anton ehrenzweig, and lacan, as tr formation produced upon primary impulses, rendering them altogether different; both agree in recognizing in imagination and art a specific aptitude at producing "human nature", and both seem, if used in a complementary way, to allow a satisfactory appreciation of aesthetic facts. Inspired by both epistemologie, this thesis intends to elaborate some answers to the general questions concerning the relationship of imagination and art with history and psychic activity, and formulate a method in literary criticism. It contains two parts, the first of which is dedicated to the theoritical approach, and the second to samples of the proposed method. This part deals successively with colonial imagination in the french and english novels between 1870 and 1914, with science as a literary theme in the novels by jules verne and elsa triolet, and finally with the imaginati ve power developed by colette
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TERRANOVA, Francesca. "Il ruolo del familiae emptor (con particolare riguardo al formulario del testamento librale)". Doctoral thesis, Università degli Studi di Palermo, 2009. http://hdl.handle.net/10447/152143.

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Dupuy, Lionel. "Géographie et imaginaire géographique dans les Voyages Extraordinaires de Jules Verne : Le Superbe Orénoque (1898)". Phd thesis, Université de Pau et des Pays de l'Adour, 2009. http://tel.archives-ouvertes.fr/tel-00437934.

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Les Voyages Extraordinaires de Jules Verne (1828-1905) sont des romans géographiques, appellation que l'auteur revendiquait déjà à son époque. Se développant parallèlement aux romans historiques, dans la deuxième moitié du XIXème siècle, les romans géographiques s'articulent autour du passage entre une géographie du réel et une géographie imaginaire. La transition est assurée par un opérateur que nous définissons comme le merveilleux géographique. Ce dernier associe un récit de genre poético-mythique au merveilleux exotique, tel qu'il est défini dans la typologie établie par Tzvetan Todorov. Appliquée au roman Le Superbe Orénoque (1898), cette lecture géographique des Voyages Extraordinaires permet de dégager quelques structures anthropologiques récurrentes de l'imaginaire géographique vernien. Métaphores, volcans et circularité structurent ainsi l'espace littéraire vernien, dont l'analyse détaillée permet de montrer comment le romancier a su communiquer et utiliser une forme d'extraordinaire géographique. Ces réflexions, à la croisée de la littérature et de la géographie, nous conduisent à repenser autrement les modalités de transmission du savoir géographique, à une époque où la géographie, en tant que discipline universitaire, éprouve une certaine difficulté à susciter l'intérêt du public. Il apparaît ainsi de plus en plus nécessaire à la géographie de revenir vers la littérature et l'imaginaire, des territoires capables de produire une autre géographie.
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Silva, Andressa Marques da. "Por uma promessa de vida mais viva : relações afetivas de mulheres negras no rap e no romance brasileiro contemporâneo". reponame:Repositório Institucional da UnB, 2013. http://repositorio.unb.br/handle/10482/14246.

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Dissertação (mestrado)—Universidade de Brasília, Programa de Pós-Graduação em Literatura, 2013.
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Esta dissertação analisa e discute a representação das personagens femininas negras na literatura brasileira contemporânea, especificamente nos gêneros romance e rap, pensando as relações afetivas vivenciadas por elas. Este estudo faz um paralelo entre as representações iniciais dessas personagens na literatura brasileira, a partir do romance O cortiço, de Aluísio Azevedo, e as perspectivas contemporâneas construídas para tais personagens. Dessa maneira, além do romance de Azevedo, foram analisados os romances As mulheres de Tijucopapo, de Marilene Felinto, e Ponciá Vicêncio e Becos da memória, de Conceição Evaristo, além de algumas letras do grupo Atitude Feminina e da rapper Vera Verônika. A fim de problematizar a estereotipia e sexualização dos corpos das personagens femininas negras e encontrar contrapontos a tal discurso a partir da experiência afetiva destas, o trabalho divide-se em três momentos: discussão sobre as violações do corpo feminino negro nas representações da literatura brasileira do século XIX, a autorrepresentação das relações afetivas desses corpos nas obras de autoras negras contemporâneas e, finalmente, a construção da subjetividade dessas personagens sob a ótica do rap feminino brasileiro atual. ______________________________________________________________________________ ABSTRACT
This paper analyses and discusses the representation of black female characters in Contemporary Brazilian Literature, particularly in the rap and novel genres ponderibg over the relationships they live. This study draws a parallel between the initial representation of this characters in Brazilian Literature , through the novel O Cortiço, by Aluisio de Azevedo and – and the contemporary perspectives built for these characters concerning their affective practices. Holding this goal, beyond Azevedo’s novel, the works of As mulheres de Tijucopapo, by Marilene Felinto, Ponciá Vicêncio and Becos da memória, by Conceição Evaristo, and some of the lyrics from the group Atitude Feminina and from the rapper Vera Verônika were analyzed. With the purpose to question the stereotyping and sexualization of the bodies of black female characters and find the literary opposite to such discourse, the paper is divided in three steps: an interpretation of the violation of the female black body in its representation in the Brazilian Literature of the nineteenth century; an analysis of the self-representation of romantic relationships of black women in the works of contemporary black female writers; and, finally, a discussion about the way effective possibilities of love are built for these women in the current Brazilian feminine rap.
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Couture, Diana Maude. "Se reconstruire après une fin du monde : analyse des sociétés post-apocalyptiques dans trois fictions anglo-saxonne récentes". Master's thesis, Université Laval, 2019. http://hdl.handle.net/20.500.11794/33997.

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En nous appuyant sur un corpus composé de Silo de Hugh Howey, de la série Divergent de Veronica Roth et finalement de la série The 100 de Morgan Kass, nous analyserons la reconstruction d’une société après l’impact d’un cataclysme ayant de nombreuses conséquences : la chute d’un monde tel que connu jusqu’alors, l’isolation, la perte de structures et la décimation de la majorité de la population. Les œuvres choisies mettent en scène des sociétés déjà reconstruites, où l’apocalypse s’est produite il y a plusieurs générations. Les choix de sociétés mises en place devient alors significatif d’une volonté de mettre de l’avant un certain type de réorganisation postérieure au cataclysme. Nous nous intéresserons donc à cette reconstruction en observant d’abord les éléments qui indiquent ce qu’était la vie sur Terre avant l’apocalypse ; l’apparence et l’état de la Terre avant la catastrophe, mais aussi le type de sociétés établies dans ce monde futuriste. Nous analyserons également le choix des catastrophes en nous questionnant sur les causes et les impacts des cataclysmes choisis (attaque nucléaire, arme biologique, bombardements, etc.). Par la suite, nous nous attarderons à l’instauration et au fonctionnement des sociétés établies dans les différents domaines (politique, économique, judiciaire). Dans notre dernier chapitre, nous nous questionnerons sur les sources de conflits qui viennent troubler le statu quo traduit par l’immobilisme de la société, notamment en ce qui a trait aux événements entourant l’apocalypse (par exemple, les causes du cataclysme sont souvent gardées sous silence par les dirigeants). Finalement, nous interpréterons les thèmes récurrents que partagent les œuvres du corpus.
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Labelle, Valérie. "L’initiation à l’œuvre dans Les enfants du capitaine Grant et Un capitaine de quinze ans de Jules Verne". Thesis, Université d'Ottawa / University of Ottawa, 2014. http://hdl.handle.net/10393/31885.

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Resumen
Cette thèse a pour objectif d’analyser Les enfants du capitaine Grant (1868) et Un capitaine de quinze ans (1878) de Jules Verne à l’aide de la théorie de l’initiation littéraire proposée par Simone Vierne, afin de comprendre les rouages du processus initiatique en fonction du lectorat ciblé. Un chapitre théorique, intitulé Théorie de l’initiation littéraire, propose une définition détaillée du concept d’initiation, autant dans son sens anthropologique que littéraire. Ce chapitre offre aussi une réflexion sur les effets de la violence dans la littérature pour la jeunesse – violence que Jules Verne, comme plusieurs autres auteurs et chercheurs – juge salutaire. Les deux chapitres suivants sont consacrés à l’analyse du contenu initiatique des Enfants du capitaine Grant et d’Un capitaine de quinze ans. Ces romans font pour la première fois l’objet d’une étude comparative approfondie qui s’attache à l’initiation sous ses trois principaux aspects : 1) les personnages, 2) les épreuves initiatiques, 3) la violence et la peur. En effet, ces deux romans à portée initiatique présentent plusieurs ressemblances au niveau des personnages, des univers diégétiques et de l’intrigue, mais on remarque néanmoins qu’Un capitaine de quinze ans, qui présente un novice adolescent, comporte des scènes beaucoup plus effrayantes et violentes que Les enfants du capitaine Grant, roman qui met en scène un héros enfant. Par la violence des épreuves et la variation de certaines données initiatiques, les deux romans s’adressent vraisemblablement à deux publics qui se distingueraient nettement dans l’esprit de Jules Verne : les enfants et les adolescents.
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Josué, Nathan Martínez Gómez. "Integración contemporánea con edificios antiguos : la intervención como síntesis histórica : Castelvecchio, MNAR, Kolumba". Doctoral thesis, Universitat Politècnica de Catalunya, 2020. http://hdl.handle.net/10803/668850.

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Resumen
The fundamental objective of this PhD dissertation is to analyze the architecture thanks to some strategies coming from recent theories developed inside and outside the traditional and usual disciplinary field of architecture. For example, the theory that to confront is to relate. As Paul Ricoeur proposes in one of his books on the theory of poetics, where poetics is the confrontation between the parts. Therefore, the dialogue generated between subjects and between objects from different historical periods through abstractions is the main objective of this dissertation. The concern started when the research intended to identify where is and how the relationship between different times and spaces in a building was carried out, what things remain and what are the innovations in this type of intervention. From the foregoing, I propose the hypothesis that the abstraction of references in the tangible and intangible vestiges of ancient buildings makes the intervention a historical synthesis that generates new relationships between subjects and objects from different eras. It is at this point that the intention to preserve memory is reinforced by the appreciation of the space where it can be found, from an object to a city. The controversy begins when we ask ourselves: what is the best way to intervene in an old building? Times and spaces are synthesized in the chosen cases of study, contemporary museums in coexistence with archaeological remains and historical architectures. The systematic way in which the projection process of a building is carried out is not simple, since it is necessary to establish a series of factors in an orderly manner to arrive at the best result. This order varies according to the architectural program that is intended to develop, so something that could seem a problem such as the fact that there is no single procedure is an advantage, because it allows you to turn to a specific strategy with a unique result. It is considered that having a specific strategy is to establish an ethical position regarding the history of the place and other conditions, so the order and hierarchy that are given to these factors will cause the result to vary from one building to another or from one author to another. History, conceived as a set of facts that can be synthesized by the architect when he manages to extract from those fragments crucial points that he considers important, helping him to materialize his work. Various concepts such as Specific Modernity, Time and Space, Memory, Abstraction, Metaphor, Relationship between subjects, Criticism, Phenomenology, Synthesis, Historical Multiplicity, virtual images, among others, are explored as relevant topics to study their relationship and carry out a theory that addresses the integration of contemporary intervention in a historical context. To get an idea of this complex phenomenon, three works are analyzed: Carlo Scarpa's Castelvecchio Museum, Rafael Moneo's National Museum of Roman Art and Peter Zumthor's Kolumba Museum. The interventions of these three case studies are different among them but have the common goal of preserving memory. These museums together with the written reflections of their authors, as well as the theoreticians upon whom I support myself, will describe the projectual mechanisms, defined thanks to references and practices as important aspects in their interventions and then the dissertation will explain the degree of innovation provided. The background of this research is dialogue and memory; I establish a link that starts from the collective to the individual memory, because the memory of a single building is permanently confronted with a wider context. Therefore, as an introductory theme to the cases of museums, I resolved to analyze theoretically and analytically the "Del Liceu al Seminari" project by Lluís Clotet architect in the Raval of Barcelona.
El objetivo fundamental de esta tesis es analizar la arquitectura a partir de estrategias provenientes de teorías recientes desarrolladas dentro y fuera del campo disciplinar estricto de la arquitectura. Por ejemplo confrontar para relacionar. Tal como propone Paul Ricoeur en uno de sus libros sobre teoría de la poética, la poética es la confrontación entre las partes. Por lo tanto el diálogo generado entre sujetos y entre objetos de diferentes épocas a través de abstracciones es el objetivo principal de esta tesis. La inquietud nace por identificar dónde está y cómo se llevó a cabo la relación que hay entre diferentes tiempos y espacios en un edificio, qué cosas permanecen y cuáles son las innovaciones en este tipo de intervención. A partir de lo anterior propongo la hipótesis que consiste en que la abstracción de referencias en los vestigios tangibles e intangibles de edificios antiguos hace de la intervención una síntesis histórica que genera nuevas relaciones entre sujetos y objetos de distintas épocas. Es en este punto donde la intención de preservar la memoria se ve reforzada por la valoración del espacio donde ésta se pueda encontrar, desde un objeto hasta una ciudad. La polémica empieza cuando nos preguntamos ¿cuál es la manera más adecuada para intervenir un edificio antiguo? Tiempos y espacios se sintetizan en los casos de estudio elegidos, los museos contemporáneos en convivencia con restos arqueológicos y de arquitecturas históricas. La forma sistemática en que se lleva a cabo el proceso de proyección de un edificio no es sencilla pues hay que establecer una serie de factores de manera ordenada para llegar al mejor resultado. Este orden varía de acuerdo al programa arquitectónico que se pretenda desarrollar, por lo que algo que pudiera parecer un problema como el hecho de que no existe un procedimiento único, es una ventaja, porque permite volcarse en una estrategia específica con un resultado singular. Se considera que tener una estrategia específica es fijarse una postura ética respecto a la historia del lugar y otras condicionantes, por lo que el orden y jerarquía que se le den a estos factores harán que el resultado varíe de un edificio a otro o bien de un autor a otro. La historia, concebida como un conjunto de hechos puede ser sintetizada por el arquitecto cuando éste logra abstraer de esos fragmentos puntos cruciales que considere importantes, ayudándole a materializar su obra. Se exploran diversos conceptos como el de Modernidad específica, tiempo y espacio, Memoria, Abstracción, Metáfora, Relación entre sujetos, Crítica, Fenomenología, Síntesis, Multiplicidad Histórica, imágenes virtuales, entre otros, como tópicos relevantes para estudiar su relación y llevar a cabo una teoría que aborde la integración de la intervención contemporánea en un contexto histórico. Para tener una aproximación de este complejo fenómeno se analizan tres obras: el Museo de Castelvecchio de Carlo Scarpa, el Museo Nacional de Arte Romano de Rafael Moneo y el Museo Kolumba de Peter Zumthor. Las intervenciones de estos tres casos de estudio son diferentes entre ellas pero tienen el objetivo común de preservar la memoria. Estos museos junto con las reflexiones escritas de sus autores, como de los teóricos en quienes me apoyo, evidenciarán sus mecanismos proyectuales, localizando en sus referencias y prácticas aspectos importantes en su intervención que explicarán el grado de innovación aportada. El trasfondo de esta investigación son el diálogo y la memoria, establezco un vínculo que parte de la memoria colectiva a la individual, pues la memoria de un solo edificio se enfrenta permanentemente a un contexto más amplio. Por ello como tema introductorio a los casos de los museos he resuelto analizar teórica y analíticamente el proyecto "Del Liceu al Seminari" de Lluís Clotet.
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Laarman, Mathieu. "Fictions du naufrage, Naufragés de la fiction : poétiques du roman de l’échec : (Mary Shelley, Giovanni Verga, Thomas Hardy, Alain-Fournier, Louis Guilloux, Vitaliano Brancati)". Thesis, Paris 10, 2010. http://www.theses.fr/2010PA100155/document.

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La présente étude s’appuie sur la confrontation de six œuvres françaises, anglaises et italiennes des XIXe et XXe siècles pour amorcer une réflexion sur la mise en scène de l’échec dans la fiction romanesque. Elle montre en premier lieu que les représentations de l’échec sont façonnées à la fois par le cheminement individuel de leurs auteurs et par les tensions sociales et politiques agitant leurs époques (l’Angleterre au lendemain de la Révolution Française puis à l’apogée de l’Ère industrielle et de la société victorienne ; la Sicile au sortir du Risorgimento puis l’Italie mussolinienne ; la France de la Belle Époque ou de l’entre-deux-guerres).La deuxième partie de cette thèse entend mettre en évidence trois aspects essentiels de la poétique des « romans de l’échec ». Elle s’attache tout d’abord à la distribution du temps, qui oscille entre linéarité et cyclicité, évoquant l’image du flux et reflux marin. Elle s’intéresse ensuite à la profusion de personnages velléitaires, déchiffrant leur rapport au monde à travers le prisme de leurs illusions livresques, à l’instar des protagonistes de Flaubert ou Dostoïevski. Elle met en lumière, enfin, la singulière dynamique qui conduit personnages et objets de fiction à échanger leurs attributs et fonctions : tandis que les premiers se trouvent ravalés au rang d’objets inutiles ou délaissés, les seconds conquièrent une existence autonome.Cet essai se conclut par un questionnement sur la charge subversive des romans de l’échec. La forme romanesque se révèle en effet douée d’une exceptionnelle faculté de résistance aux discours idéologiques et à l’esprit de système, dont elle déjoue insidieusement les aspirations néfastes
This study focuses upon a comparison of six works in French, English and Italian from the 19th and 20th centuries, in order to reflect upon the staging of failure in the novel form. Firstly, the study demonstrates how representations of failure are shaped both by the individual development of their authors, and by the social and political tensions of the period through which they lived (England after the French Revolution, and later at the height of the industrial revolution in the Victorian age; Sicily after the Risorgimento, and under Mussolini’s regime; France during the belle époque or the interwar years.)The second part of this thesis aims to highlight three principal aspects of the poetics of the ‘novel of failure’. This section focuses initially on the distribution of time – a temporality which oscillates between the linear and the cyclical, invoking the image of tidal ebbs and flows. Subsequently, the section emphasises the preponderance of weak-willed characters, who aim to decode their relationships to the world through the prism of their naïve and bookish illusions, in the manner of a Dostoyevskian or Flaubertian protagonist. Finally, this section seeks to illuminate the peculiar process that leads characters and objects of fiction to exchange their attributes and functions: while the former find themselves reduced to the level of useless or abandoned objects, the latter achieve an almost autonomous existence.The thesis concludes by engaging with the question of the subversive charge of the ‘novel of failure’. The novel form reveals itself to be endowed with an exceptional capacity for resistance to ideological discourses and mechanisms of socio-cultural control, whose detrimental aspirations it insidiously frustrates
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Gianesin, Ilaria. "Proposta di traduzione in italiano del romanzo di Thierry Jonquet La vie de ma mère!" Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2020. http://amslaurea.unibo.it/20872/.

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Il presente elaborato finale aspira a presentare e proporre una traduzione integrale in italiano dell'opera di Thierry Jonquet La vie de ma mère !, romanzo poliziesco pubblicato in Francia nel 1994 da Éditions Gallimard. Il romanzo, che inizialmente doveva essere pubblicato in una collana per ragazzi, narra le vicende di un giovane proveniente dal particolare contesto socio-culturale delle banlieues francesi ed è caratterizzato dall'impiego da parte dell'autore del particolare linguaggio giovanile tipico di queste ultime. Particolare attenzione, sia in fase di ricerca che durante il processo traduttivo, è stata perciò riservata alla tematica dei linguaggi giovanili in Francia e in Italia, specialmente alle loro caratteristiche diafasiche, diatopiche, diastratiche e diacroniche. Le tematiche presenti nel romanzo di Jonquet, quali la realtà vissuta dai giovani nelle periferie, il disagio sociale spesso legato a questi luoghi e il métissage culturale e linguistico tipico di queste zone iniziano da alcuni anni ad essere di estrema attualità anche in Italia. Conseguentemente, la proposta di traduzione contenuta in questa tesi è stata stilata in modo linguisticamente anacronistico, cercando di restituire al potenziale lettore italiano un testo il più possibile attuale e interessante non solo dal punto di vista contenutistico ma anche linguistico. Particolare attenzione è stata infine dedicata, nell'ultimo capitolo, all'analisi delle scelte traduttive intraprese, presentando le principali difficoltà che tradurre in italiano un testo culturalmente e linguisticamente connotato come quello di Jonquet può comportare.
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Palewska, Marie. "Un romancier d'aventures à la Belle Epoque : paul d'Ivoi (1856-1915) et ses "Voyages excentriques"". Thesis, Paris 3, 2014. http://www.theses.fr/2014PA030013.

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Publiés en volumes chez l’ancienne librairie Furne entre 1894 et 1917, les « Voyages excentriques » de Paul d’Ivoi constituent une collection prisée par la jeunesse à la Belle Epoque. Ces romans d’aventures inscrits dans la lignée de Jules Verne sont très représentatifs de leur temps, avec des intrigues enracinées dans un contexte politique proche du moment de leur écriture. Soucieux de contribuer à la formation patriotique et morale de leurs lecteurs, ils s’appliquent à soutenir l’œuvre coloniale de la France, à promouvoir les valeurs de la République française et à célébrer le rayonnement du pays à travers le monde. L’action, qui présente souvent un enjeu diplomatique international, suscite le voyage en terre étrangère et la rencontre avec d’autres nationalités dont la vision est le reflet des relations amicales ou conflictuelles que la France entretient avec elles. Mais de la réalité, les « Voyages excentriques » basculent dans la fiction en usant des diverses ressources que leur offre le genre du roman d’aventures alors à son apogée. L’exotisme et la fantaisie scientifique sont les deux thèmes les plus représentés, parfois agrémentés d’une touche policière ou d’espionnage. Dans sa pratique du roman d’aventures, Paul d’Ivoi cultive l’art de la variation par rapport à ses prédécesseurs, affirmant sa propre manière dans l’inventivité de ses gadgets scientifiques merveilleux ou la place prépondérante qu’il donne aux femmes. Il connut un grand succès au début du XXème siècle comme cadeau d’étrennes, livre de prix, fascicule populaire, feuilleton de quotidien à un sou, adapté au théâtre et même au cinéma. Son originalité réside surtout dans la notion d’excentrique qui fédère sa collection de romans Belle Epoque
Published in volumes between 1894 and 1917 by the former bookshop Furne, Paul d’Ivoi’s "Voyages Excentriques" made up a collection which was very much valued by the youth of the Edwardian Era.These adventure novels, in the tradition of Jules Verne, were highly representative of their time with plots deeply rooted in the political ideas pervading then. They were anxious to contribute to the patriotic and moral moulding of their readers and applied to support the colonial work of France while promoting the values of the French Republic and celebrating its influence all over the world. The action, which often deals with international diplomatic stakes, sends the characters abroad to meet other nationalities whose visions reflect their relationships with France, whether friendly or of conflict.However the "Voyages Excentriques" swing from reality into fiction using the various means that adventure novels, then at their peak, offered them. Exotism and scientific extravagance are the main themes, often accompanied with detective stories or spy fiction as secondary sorts. When writing his adventure novels, Paul d’Ivoi carefully paid attention to differentiating himself from his predecessors, asserting his own manner by inventing wonderful scientific gadgets or giving a preponderant role to women. His books were a great success at the turn of the 20th century as New Year’s gifts, school prizes, popular manuals or cheap serials which were adapted on stage or even in movies.He is most original in his dealing with eccentricity which is to be found all through his collection of Belle Epoque novels
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Carbonera, Ildo. "Trajetórias da narrativa ítalo-brasileira : 'dove è la cuccagna?'". reponame:Biblioteca Digital de Teses e Dissertações da UFRGS, 2008. http://hdl.handle.net/10183/15306.

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Marcado por fortes tendências para o gênero ensaístico, num intercâmbio constante e instável entre Ficção, História e Experiência Pessoal, o presente estudo tem por base os romances Os Malavoglia (Giovanni Verga), Pai patrão (Gavino Ledda), Vita e Stória de Nanetto Pipetta (Aquiles Bernardi), O quatrilho, A cocanha e A babilônia (José Clemente Pozenato), Juliano Pavolini e A suavidade do vento (Cristovão Tezza), Mamma, son tanto felice, O mundo inimigo e Vista parcial da noite (Luiz Ruffato). O corte epistemológico pode ser representado por duas trajetórias: a) da Itália para a América – Brasil; b) das pequenas comunidades do interior para a cidade grande. No mundo de descendência italiana imigrante, as simulações e as ilusões elaboradas pela Ficção estão mais próximas da Realidade que aquelas proporcionadas por institutos e associações, em seus argumentos e artimanhas para “resgatar as raízes” e “cultivar as tradições”, representadas por eventos como noites italianas, jantares típicos, encontros de famílias e programas radiofônicos. Nos romances, a ausência desses “eventos” é absoluta; não há brindes, nem missas de encomendação e sepultamento. Ao fim e ao cabo, o homem do campo, pós-moderno, descendente dos antigos imigrantes italianos, tornou-se um ser globalizado sem sair de casa.
This study in the manner of an essay reflects a constant but unstable interchange between Fiction, History and Personal Experience. It is based on the following novels: Os Malavoglia (Giovanni Verga), Pai patrão (Gavino Ledda), Vita e Stória de Nanetto Pipetta (Aquiles Bernardi), O quatrilho, A cocanha and A babilônia (José Clemente Pozenato), Juliano Pavolini and A suavidade do vento (Cristovão Tezza), Mamma, son tanto felice, O mundo inimigo and Vista parcial da noite (Luiz Ruffato). Two epistemological paths have a point of departure and a point of arrival: a) from Italy to Brazil / America; b) from small backcountry communities to the big city. Among the descendants of italian immigrants the simulations and illusions processed by fiction are closer to reality than those offered by institutions and associations in their argueing and tricking for "retrieval of the roots" and "reclaiming traditions", embodied by events like italian evenings, typical dinners, family encounters, and radio programs. In the novels, there is an absolute absence of such "events", no glasses are raised in honor of anything, no requiem and inhumation masses are held. Post-modern countryside people of Italian descent in Brazil have become globalized without even leaving home.
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Besbes-Bannour, Faïka. "Le pathétique et la femme : l'écriture romanesque féminine du pathos dans les années charnières 1678-1720". Thesis, Paris 3, 2011. http://www.theses.fr/2011PA030080.

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Les décennies comprises entre le crépuscule du XVIIe siècle et l’aube du siècle des Lumières forment un moment charnière dans l’écriture romanesque parce que le pathétique fait l’objet d’une laïcisation, d’une réhabilitation morale et d’une promotion esthétique qui en font une catégorie majeure de la littérature du Grand Siècle finissant. Cependant, le pathétique, tel qu’il s’exprime dans le roman féminin du XVIIe siècle n’a pas encore fait l’objet d’une étude circonstanciée, et les ouvrages consacrés au genre romanesque de l’époque ne proposent aucune entrée pathétique ou pathos dans l’index des notions traitées.Afin de démontrer le côté dangereux des passions, les écrivaines retenues vont exercer une censure sur le langage verbal qui bride l’exaltation du discours passionnel, actualise la crise du sujet amoureux et signe l’échec de la communication. En réduisant l’espace dialogique où s’exprime le pathos, les nouvellistes parient sur l’éloquence du corps et du langage non verbal. Les signes extralinguistiques envahissent le texte, soutenant à la fois la disposition et l’élocution du roman en en faisant le lieu où s’expérimente une dramaturgie amoureuse qui élit les silences, les regards et les larmes comme les modalités d’une nouvelle stratégie de communication impliquant un travail herméneutique permanent.À travers une analyse attentive des nouvelles de Mme de Lafayette et de Mlle Catherine Bernard, nous essaierons de démontrer que l’évolution de l’écriture romanesque féminine vers plus de sobriété et de concision, constat du reste confirmé par les spécialistes du genre est une évolution qui doit beaucoup à la représentation du pathétique
The period between 17th century and the early stages of the Enlightenment is a pivotal one in fiction writing. This is not only because the concept of pathos acquired a profane dimension, but also a moral rehabilitation and an aesthetic development that contributed to make of it a major literary trend by the end of 17th century. However, the concept of pathos and the way it was developed in the women narratives of 17th century has hardly been the subject of any thorough readings. Moreover, the studies focusing on the fiction of that period, did not suggest any input to the concepts of pathos or the pathetic in their index table. To avoid the dangerous side of passion, the writers under focus, are proven to incline themselves to verbal linguistic censorship that pins down the exalting dimension of the passionate discourse. This censorship over-emphasizes both the crisis of the love subject and the failure of communication. As an alternative ! to the narrow dialogic space where pathos could have been expressed; women writers relied on the expressiveness of the body and the non-verbal language. Meta-linguistic signs pervade the texts, emphasizing both the dispositio and the elocutio of fiction; creating, thus, a space where love intrigues could be voiced. A space that makes of silences, gazes and tears important modalities of a new communication strategy implying a constant hermeneutical work. A thorough examination of the novels of Mme de Lafayette and Catherine Bernard, allow us to demonstrate that the tendency of women fiction writing towards somberness and pithiness, is a kind of evolution that owes much to the representation of the concept of the pathetic
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ARZONE, ANTONELLA. "Nuovi dati per la storia economica di Verona in eta' romana: l'apporto della documentazione dei rinvenimenti monetali". Doctoral thesis, 2013. http://hdl.handle.net/11562/560149.

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Scopo della Tesi e' la ricostruzione di un quadro organico della circolazione monetaria a Verona in eta' antica, sulla base della piu' ampia documentazione disponibile. Si e' cercato di contestualizzare i rinvenimanti numismatici secondo la tipologia di provenienza, esaminando i ripostigli, i depositi funerari, gli edifici pubblici, le aree residenziali e produttive. La ricerca e' stata l'occasione di sintetizzare le recenti scoperte archeologiche della Verona romana, focalizzando l'attenzione sui reperti monetali.
The aim of the Thesis is to achieve an organic framework about the circulation of coins in the ancient ages in Verona, on the basis of the largest available documentation and evidence. We have attempted to put all numismatic discoveries into their different contexts, by examining the treasures, funerary sites, public buildings, residence and productive areas. This research has been the occasion to synthetize recent archeological discoveries on roman Verona, with emphasis on the numismatic finds.
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MUSETTI, Silvia. "Fonti battesimali (XI-XIII secolo). Verona e l'Italia settentrionale". Doctoral thesis, 2012. http://hdl.handle.net/11562/402537.

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Uno studio di sintesi sui fonti battesimali di area italiana non è ancora stato affrontato, nonostante il territorio abbia suscitato notevole interesse per l’antichità delle attestazioni e perché la tradizione di costruire battisteri, altrove esauritasi relativamente presto, è continuata anche nei secoli bassomedievali. Le testimonianze di età paleocristiana sono nell’insieme abbastanza ben conosciute, sia sotto il profilo materiale sia dal punto di vista del contesto liturgico in cui erano inserite, avendo catalizzato l’attenzione degli studiosi anche per la ricchezza delle soluzioni materiali o dei significati simbolici di cui si facevano tramiti. Di contro, i manufatti bassomedievali sono stati indagati singolarmente e spesso collocati con difficoltà in un quadro rituale ancora poco noto, confuso e talvolta nemmeno distinto da quello dei secoli precedenti. Proprio per ciò, si è deciso di concentrare la ricerca su quest’ultimo periodo, compreso orientativamente tra i secoli XI e XIII, abbracciando in senso esteso quella che si considera l’età romanica, e di limitare l’indagine a un’area omogenea come l’Italia settentrionale. Il lavoro ha potuto appoggiarsi su un ricco, ma frammentario, quadro di studi monografici relativi a singoli manufatti, che le indagini archeologiche condotte negli ultimi decenni hanno contribuito ad arricchire in modo significativo. I risultati del censimento hanno reso manifesto che la situazione del territorio in esame si differenzia nettamente dal panorama dell’Europa settentrionale, la sola area in cui, a mia conoscenza, siano state svolte analoghe ricerche. Da una parte, infatti, il numero delle testimonianze raccolte appare relativamente esiguo (quarantatre, di cui solo trentadue attribuibili con sicurezza), di contro a una casistica quantitativamente ben più elevata, dall’altra, ben un quarto delle attestazioni è costituita da resti, individuati archeologicamente, di vasche in muratura, che nelle altre regioni europee non sono note o non sono state studiate insieme ai fonti scolpiti. Questa situazione non ha permesso di sviluppare studi iconografici o morfologici di vasto respiro, ma ha il vantaggio di fornire alcuni dati, relativi alla struttura degli impianti, alla loro posizione e al loro funzionamento, altrove non rilevabili o generalmente trascurati. Per poter comprendere le peculiarità relative ai fonti battesimali costruiti in questo periodo, si è deciso di affrontare diacronicamente, sia dal punto di vista delle testimonianze materiali, sia da quello del contesto liturgico, lo studio di un’area definita, la diocesi veronese, che presenta diversi motivi di interesse. In primo luogo, conserva un manufatto, quale la vasca della cattedrale cittadina, davvero eccezionale per monumentalità, qualità e articolazione del piano iconografico. L’opera è stata considerata in rapporto alla chiesa in cui si colloca e nel suo uso liturgico all’interno del complesso della cattedrale; è stato possibile definire meglio questo contesto d’origine grazie a delle significative testimonianze documentarie, inedite, riguardanti il battistero e la sua gestione, condivisa tra il vescovo, il capitolo dei canonici e il clero della chiesa di San Giovanni in Fonte. Tali testimonianze inducono, tra l’altro, a ritenere che la vasca rivestisse un ruolo altamente simbolico, ma che il suo uso fosse limitato alle celebrazioni solenni, venendo, relativamente presto, marginalizzata. Il fonte, che tra l’altro necessitava di una revisione critica, è stato inoltre considerato nella sua evidenza materiale e nelle scelte iconografiche e, infine, se n’è proposta una valutazione stilistica, nel quadro della fervida stagione artistica veronese sullo scorcio del XII secolo (Parte Prima, Cap. 2). Per delineare la congiuntura storica in cui fu realizzato, nonché per valutare le ricadute di questo prestigioso modello, che sono state puntualmente verificate, si è ampliato lo sguardo all’ambito cittadino, in cui sussiste un’altra vasca compresa nel censimento, quella di San Zeno Maggiore, e al territorio, che parimenti restituisce altri manufatti di XIII secolo: quelli di San Giorgio di Valpolicella e, verosimilmente, di San Pietro di Zevio (Parte Prima, Cap. 3). La diocesi veronese appare, dunque, relativamente ricca di attestazioni inerenti al periodo considerato e anche successivo; di queste si è cercato di dar conto dalle origini fino al XV secolo. Si è, dunque, ripercorsa la storia del rito battesimale nella diocesi, a partire dall’epoca di san Zeno, parallelamente all’indagine delle strutture materiali in cui si celebrava, cominciando dal caso, di controversa interpretazione, del cosiddetto ipogeo di Santa Maria in Stelle, per passare alla vasca battesimale di San Giovanni in Campagna a Bovolone, databile tra il VI e l’VIII secolo, che è stata indagata archeologicamente in anni recenti, e ai frammenti del più tardo ciborio di San Giorgio di Valpolicella, risalenti all’età carolingia. Dopo un attento esame dei primi secoli bassomedievali, interessati dal massimo sviluppo del sistema plebano e dall’inizio della sua crisi, si è cercato di dar conto dei manufatti dei secoli XIV e XV ancora sussistenti, quasi sempre realizzati in rosso ammonitico veronese e caratterizzati da un profilo a sezione ottagonale (Parte Prima, Cap. 3). Il catalogo dei fonti battesimali dell’Italia settentrionale costituisce la seconda parte del lavoro; è preceduto da alcune considerazioni volte, innanzi tutto, a orientare sui criteri applicabili per distinguere questa classe di manufatti da altre apparentemente affini, come le acquasantiere o i contenitori per l’olio. Gli impianti sono stati raggruppati per tipologie in relazione all’aspetto, al funzionamento e ai materiali con cui furono realizzati. Si è, infine, verificata l’importanza di uno studio diacronico, che consideri i segni lasciati nel tempo sui monumenti e i loro spostamenti, indici di un’evoluzione nelle pratiche liturgiche e nella mentalità che oggi ne condizionano in modo significativo la percezione.
A summarizing study on Italian baptismal fonts hasn’t been produced yet, although the area has generated considerable interest because of the antiquity of the evidences and because the tradition of building baptisteries, that ceased relatively early somewhere else, continued here also in the Late Middle Ages. The remains of early Christian times attracted scholars attention for the richness of material solutions or symbolic meanings. As such, they, are fairly well known as a whole, both in material terms and in terms of the liturgical context in which they were included. In contrast, late middle ages artefacts were individually analyzed and often times placed, with difficulty, in a still unclear ritual framework, confusing and sometimes not distinguished from that of previous centuries. For this reason, the research focuses on this latter period, approximately from the eleventh to the thirteenth centuries, embracing in the broad sense what we consider the Romanesque period, and the study is limited to the homogeneous area of Northern Italy. The work could be based on a rich but fragmented framework of monographic studies on individual artefacts which have been significantly enhanced by archaeological investigations carried out in recent decades. Our research explains that the territory in question differs clearly from Northern Europe, the only area in which, to our knowledge, similar studies have been pursued. On one hand, in fact, the number of testimonies collected is relatively small (forty-four, of which only thirty-two attributed with certainty), in contrast to a far reaching series; on the other, a quarter of the items consists of masonry tank remains, well identified archaeologically, not known in other European regions or not studied together with the carved fonts. This situation has not allowed the development of wide-ranging iconographic or morphological studies, but has the advantage of providing some data about the structure of plants, their location and their functioning, elsewhere either undetectable or generally neglected. In order to understand the peculiarities related to the baptismal fonts built in this period, we decided to manage diachronically – both in terms of material evidence and liturgical context – the study of a defined area, the diocese of Verona, were we can find several interesting features. First of all, in Verona there is an artefact, the basin of the city's cathedral, really great for monumentality, quality and structure of the iconographic plan. This work has been considered in relation to the church where it is located and its liturgical use in the cathedral complex; it was therefore possible to better define the original context through relevant, unpublished documentary evidences on the baptistery and its management, that was shared between the bishop, the cathedral chapter and clergy of San Giovanni in Fonte. These evidences suggest, among other things, that the baptismal font had a highly symbolic role, but that its use was limited to the solemn celebrations and became, relatively soon, marginalized. The basin, which besides needed a critical revise, was also considered in its material respect and iconographic choices and, finally, we proposed a stylistic assessment in the context of the fervid artistic season in Verona at the turn of the twelfth century (Part I, Chapter 2). To outline the historical situation in which this font was made, and to assess the impact of this prestigious model, which we duly verified, we considered the whole city, where there is another basin included in the census, that of San Zeno in Verona. We also considered the surrounding territory, where there are other items of the thirteenth century: those of San Giorgio di Valpolicella, and, probably, of San Pietro at Zevio (Part I, Chapter 3). The diocese of Verona appears, therefore, relatively rich in claims relating to this period and even later; of these we have tried to give an account, ranging from the beginnings to the fifteenth century. The history of the baptismal rite in the diocese was traced, therefore, from the time of st. Zeno, simultaneously with that of the material structures in which it was celebrated, beginning with the case of controversial interpretation of the so-called Santa Maria in Stelle hypogeum, to the baptismal font of San Giovanni in Campagna at Bovolone, dated between the sixth and eighth centuries, that has been archaeologically investigated in recent years, and to the fragments of the later ciborium of San Giorgio di Valpolicella, dating back to Carolingian age. After a careful examination of the XI-XIII centuries, involved in the maximum development of the parish (plebs) and the beginning of its crisis, we tried to review the artefacts of the fourteenth and fifteenth centuries still in existence, almost always crafted in the same material (‘rosso ammonitico veronese’) and characterized by an octagonal section (Part I, Chapter 3). The second part of the work is a review of the baptismal fonts of Northern Italy: it is preceded by some considerations, chiefly concerning the applicable criteria to distinguish this group of artefacts from another apparently similar, such as holy-water stoup or oil containers. These structures were grouped according to general likeness, functioning and materials in which they were made. Finally, we verified the importance of diachronic studies, which consider the transfers and the marks left on monuments throughout time, thereby shading a light on the development of both liturgical practices and ways of thinking, two factors significantly affecting toady's perception of the artworks themselves.
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PELUCCHINI, Giulia. "Il sepolcreto di via Albere - Prima Traversa Spianà nell'ambito delle necropoli romane di Verona lungo la via Postumia". Doctoral thesis, 2015. http://hdl.handle.net/11562/916182.

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Lo studio è stato intrapreso come naturale proseguimento della tesi di laurea specialistica della scrivente, in cui era stata analizzata la vicina necropoli di Porta Palio. Lo scopo è quello di ottenere informazioni più dettagliate circa la nascita, lo sviluppo e i caratteri del più grande sepolcreto romano della città atesina, a fronte della scarsa conoscenza di tale contesto rispetto a dati editi sullo sviluppo urbano. Per comprendere l’importanza di questa zona funeraria si è creata una piccola carta archeologica dei rinvenimenti a carattere sepolcrale di Verona, databili tra la fine del I secolo a.C. e il IV secolo d.C. Si è potuto constatare che le necropoli antiche si disponevano attorno all’abitato, lungo le tre principali arterie stradali, anche a notevole distanza dalla cinta muraria, con una particolare predilezione per l’asse stradale costituito dalla via Postumia. Si è quindi passati all’analisi diacronica del sito di via Albere – Prima Traversa Spianà, attraverso il riconoscimento di tre distinte fasi di utilizzo a cui seguono altre due fasi d’abbandono. La schedatura dei materiali ha portato alla realizzazione del catalogo delle singole sepolture, a cui fa seguito l’interpretazione dei dati, dapprima nello studio delle singole classi di materiali e poi nell’analisi delle ritualità funerarie. A conclusione del lavoro si sono brevemente analizzati anche gli altri sepolcreti della via Postumia a Verona, arrivando alla ricostruzione dello sviluppo topografico del paesaggio lungo la strada romana e alle conoscenze dei caratteri e delle modifiche intercorse nelle pratiche funerarie tra la fine del I secolo a.C. e il IV secolo d.C.
This paper is the continuation of my degree thesis, which studied the nearby necropolis of Porta Palio. The aim of this paper is to take a more detailed look at the creation, the development and the characteristics of the largest Roman cemetery of Verona, taken into account the small amount of published data on the necropoli compared to our knowledge of the city’s urban development. To help understand the importance of this funerary area, a small archaeological map charts the burial sites from the end of the first century B.C. to the fourth century A.D. It maps the ancient necropoli, situated outside the city alongside the three major Roman roads, some at a notable distance from the city walls, with a particular preference for the via Postumia. The paper then analyses diachronically the necropolis of via Albere – Prima Traversa Spianà; it recognises three distinct phases of the use and two phases of successive abbandonment. The archiving of the grave goods has led to the completion of a catalogue for individual burials, followed by an interpretation of the finds, initially with the study of their singular classes, and then in the analysis of the funerary rites. At the end of the paper, there is a brief analysis of the other necropoli along the via Postumia at Verona, reconstructing the topographical development of the Roman road, and of the characteristics and modifications of the funerary rites fom the end of the first century B.C. to the fourth century A.D.
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FRANCO, Maria Teresa. "ARTE E FEDE NELLA VERONA DEL VESCOVO GIBERTI". Doctoral thesis, 2011. http://hdl.handle.net/11562/351997.

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La tesi si propone di indagare sui rapporti e sulle relazioni tra arte e vita religiosa nella Verona negli anni del vescovo Gian Matteo Giberti ( 1524-1543). In quest’epoca la città scaligera era divenuta uno dei più rilevanti centri del riformismo cattolico. L’ ambito temporale dello studio coincide con un’epoca di profonda e drammatica crisi della Chiesa di fronte alla sfida della Riforma protestante. L’attività pastorale del vescovo veronese aveva alimentato un fervido impegno nella cura delle anime, nella predicazione, nell’educazione dei giovani, nell’assistenza ai bisognosi. La ricerca si è posta l’obiettivo di verificare quanto questa spinta riformistica si sia riflessa sulla promozione artistica e sulle committenze del vescovo Giberti e dei suoi più stretti collaboratori. Attraverso indagini archivistiche, l’utilizzazione di fonti scritte e visive lo studio si è sviluppata in quattro sezioni. La prima è stata dedicata alla storia della Chiesa e della vita religiosa a Verona nel Cinquecento. La seconda prende in esame le committenze vescovili concentrandosi sul riassetto della cappella grande della chiesa cattedrale, con gli affreschi di Francesco Torbido, su ispirazione di Giulio Romano, il ‘tornacoro’, attribuito a Michele Sanmicheli ed infine l’altare eucaristico. Un’altra sezione ha preso in esame le committenze relative alle residenze vescovili, soffermandosi in modo particolare su alcuni episodi rilevanti, come l’affresco con la Crocifissione per la chiesa della villa di Santa Maria di Nazareth, attribuito a Battista Del Moro, o ancora il Crocefisso in rilievo che, secondo la testimonianza di Vasari, lo scultore Giovan Battista aveva realizzato per la cappella privata di Gian Matteo Giberti in vescovado. L’ultima sezione è stata dedicata proprio a ricostruire la vicenda artistica di questo celebrato maestro, scultore, stuccatore, incisore, orafo, disegnatore e stretto collaboratore di Giulio Romano.
The thesis deals with the relationships between art and faith in Verona during the time of Bishop Gian Matteo Giberti ( 1524-1542). In that period the city became one of the most relevant centres of the Catholic Reformation. The chronology of the following survey covers the period of the deep and dramatic crisis of the Roman Catholic Church in its challenge to the Protestant Reformation. The Bishop's pastoral work encouraged the commitment in the care of souls, the preaching, the education of the young, the assistance to the needy. The research aimed to verify how much the reformist thrust is reflected in the Bishop's and in his closest associates' artistic promotion and commissions. The essay, thanks to written and visual sources, and to archive surveys, is divided into four sections. The first part is devoted to the history of Church and religious life in Verona in the 16th century. The second section focuses on the episcopal commissions and looks at the main chapel rearrangement in the cathedral, its frescoes by Francesco Torbido, inspired by Giulio Romano, the “tornacoro”, attributed to Michele Sanmicheli, and the Eucharistic altar. The next section regards the commissions related to the episcopal residences, especially the most relevant ones, like the fresco Crucifixion for the church in the villa “Santa Maria di Nazareth”, attributed to Battista del Moro, or like the Crucifixion in bas-relief that was made - according to Vasari – by the sculptor Giovanni Battista for Gian Matteo Giberti's private chapel during his bishopric. The last section aims to reconstruct del Moro's artistic life as celebrated master, sculptor, master of stucco, engraver, goldsmith, painter and Giulio Romano's close associate.
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Petracca, Elena. "Robert van Audenaerde (1663-1743): artista e incisore marattesco". Doctoral thesis, 2021. http://hdl.handle.net/2158/1253552.

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Studio monografico sull'incisore e pittore fiammingo Robert van Audenaerde (Gent 1663-1743). La tesi si concentra in particolare sull'attività incisoria dell'artista durante il suo lungo soggiorno italiano, trascorso prima a Roma e successivamente a Verona e conclusosi nel 1720. Nel primo volume della tesi vengono ricostruite le vicende biografiche dell'artista e la sua carriera grazie all'utilizzo di documenti d'archivio, di stampe realizzate da Van Audenaerde e delle fonti antiche, mentre nel secondo volume sono analizzate nel dettaglio le opere incisorie di cui si riportano, ove è stato possibile, disegni preparatori e matrici calcografiche originali, conservate per la maggior parte presso l'Istituto Centrale della Grafica di Roma. Attraverso un attento riesame del rapporto di Robert van Audenaerde con il suo maestro romano, il pittore Carlo Maratti (1625-1713), si è cercato di comprendere quale fosse realmente la posizione del fiammingo non solo nella bottega marattesca, ma anche nell'ambiente editoriale e culturale romano, fino ad arrivare a rivalutare gli anni veronesi dell'artista sotto una nuova luce.
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Spagnolo, Tabitha L. B. "Au carrefour du roman et de l’histoire : des points tournants du statut de la femme dans La Princesse de Montpensier et La Princesse de Clèves de Madame de Lafayette". Thesis, 1997. http://hdl.handle.net/2429/6374.

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Cette these cherche a analyser le contenu litteraire de La Princesse de Montpensier et de La Princesse de Cleves de Madame de Lafayette en fonction de leur valeur comme des documents qui refletent le contexte socio-historique de leur epoque. Ainsi, on reconnait chez l'auteur la qualite de temoin astucieux qui imbue ses ecrits d'elements importants contribuant a une meilleure appreciation de la condition feminine au dix-septieme siecle. L'auteur de ces deux romans met au point le genre du roman historique afin de l'employer comme canevas sur lequel elle impose sa vision perspicace des elements sociaux qui influencent plusieurs aspects de la vie de la femme noble depuis sa jeunesse jusqu'ci sa mort. Afin de profiter de cette structure, ce travail s'organise en trois chapitres suivant la chronologie de cette vie. Commengant avec les representations de l'education de la jeune fille, on passe a sa formation visee au mariage et a une analyse detaillee du statut de la femme mariee. Finalement, on abdrde la question du statut de la veuve. En considerant tous ces elements a la lumiere des ecrits critiques et historiques qui ont paru pendant trois siecles, on ressort une richesse de renseignements portant sur les exigences d'ordre moral et pratique qui delerminent la quality du statut de la femme au dix-septieme siecle. Les observations evoquees par Madame de Lafayette nous aident a preciser les influences, les transformations, les conflits et surtout les contradictions et les paradoxes qui parcourent la vie de la femme noble pendant l'age classique.
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Laurin, Marie-Ève. "De chaînes en trames : histoire nationale et vie privée dans le roman naturaliste et vériste". Thèse, 2008. http://www.archipel.uqam.ca/1156/1/D1681.pdf.

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La présente thèse, intitulée « De chaînes en trames: histoire nationale et vie privée dans le roman naturaliste et vériste », traite des liens d'ordre métaphorique et symbolique par lesquels la mise en scène de l'espace familial et du corps exprime la dynamique sociopolitique dans Les Rougon-Macquart (1871-1893) d'Émile Zola, I Vinti (1881-1889) de Giovanni Verga, I Viceré (1894) de Federico De Roberto et I vecchi e i giovani (1913) de Luigi Pirandello. À la jonction d'un certain nombre d'articles et d'essais critiques ayant interrogé, depuis le début des années 2000, l'écriture de la sphère domestique et de la « mécanique » biologique humaine dans le roman français et italien du long XlXe siècle, l'analyse comparatiste effectuée aborde divers motifs et figures du privé et de l'intime à l'intérieur des oeuvres à l'examen. Elle embrasse, plus particulièrement, quatre avenues de recherche principales, soit: 1) la dynamique intergénérationnelle et les rituels sociaux se déployant dans l'enceinte du logis ouvrier, de la casa patrimoniale, de l'hôtel bourgeois ou du palazzo aristocratique; 2) le mode d'inscription narrative du « personnage-mémoire » et des actants féminins, qui, dans les fictions envisagées, laissent entrevoir le sens de la fiumana deI progresso [du « fleuve du progrès »]; 3) la description des édifices et des espaces privés, qui gardent la trace de l'évolution des clans et de la mouvance des « strates » sociales; 4) enfin, le caractère expressionniste des pathologies, des dégénérescences physiques et des décès qui, à l'intérieur des récits considérés, renvoient l'image des « convulsions » historiques nationales. Privilégiant une approche avant tout sociohistorique et thématique, la réflexion critique entreprise s'appuie, notamment, sur les développements de Michelle Perrot, Marzio Barbagli et Michela De Giorgio sur la vie privée, la famille et la condition féminine en Europe et, notamment, en France et en Italie au XlXe siècle. Elle met également à profit des éléments de rhétorique et des concepts psychanalytiques lors même qu'elle adopte, ponctuellement, la méthode ethnocritique d'appréhension du texte romanesque, qui permet de déceler la marque de traditions populaires tels le carnaval et le charivari dans la structure dramatique des narrations à l'étude. Les conclusions dégagées en fin de parcours analytique s'accordent pour prouver que les intrigues du corpus, nourries de sujets historiques plus ou moins contemporains de l'époque de leur genèse -soit le Second Empire (1852-1870) en France de même que l'avant et l'après fondation du royaume d'Italie (1861) -, déploient un imaginaire littéraire associant intimement histoire sociopolitique et chronique familiale. Plusieurs facteurs sociaux majeurs, desquels on citera les révolutions française et darwinienne, l'ébranlement de l'idée de transcendance, la mutation des visées de l' histoire et l'essor de sciences humaines comme la sociologie et l'anthropologie, expliquent, en effet, que les auteurs à l'étude ait révélé, au travers de la dynamique des corps et de l'évolution des clans, la physionomie différenciée de leur époque. ______________________________________________________________________________ MOTS-CLÉS DE L’AUTEUR : Naturalisme, Vérisme, Émile Zola, Giovanni Verga, Federico De Roberto, Luigi Pirandello, Littérature, XIXe siècle, Vie privée, Histoire, Politique, Société, Corps, Représentation.
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GORLA, Sandra. "Metamorfosi e magia nel Roman de Renart. Traduzione e commento delle branches XXII e XXIII". Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11393/251268.

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Il presente lavoro è incentrato su due branches del Roman de Renart, delle quali propone la prima traduzione completa del testo in italiano e un’analisi al contempo interpretativa, letteraria e filologico-testuale. Il lavoro risulta diviso in due grandi nuclei contraddistinti. La prima parte, comprensiva di due capitoli, affronta l'analisi della tradizione manoscritta e la traduzione del testo delle due branches in italiano (considerando anche le interpolazioni del ms. M). La seconda parte, nuovamente suddivisa in due capitoli, costituisce il necessario accompagnamento critico-letterario al lavoro di traduzione. Tradizione e traduzione. Prima ancora di affrontare la traduzione del testo e la sua interpretazione, è stato necessario porsi il problema di quale testo tradurre. Il primo capitolo, pertanto, affronta la tradizione – e dunque l’edizione – del Roman de Renart, tenendo in considerazione che per quest’opera medievale è praticamente impossibile stabilire uno stemma codicum che sia utile ad una ricostruzione del testo in senso lachmanniano, e dunque scegliere tra una delle edizioni disponibili significa nei fatti scegliere uno dei codici relatori. Viene altresì discussa la questione riguardante l'ordine in cui restituire le due branches. E' risultato impossibile stabilire quale fosse l’ordine migliore e più fedele alla tradizione. Per questo ci si è arresi all’evidenza che anche la disposizione stessa del testo non possa essere assolutamente neutrale, ma includa elementi interpretativi. Il lavoro di traduzione – che occupa il secondo capitolo – costituisce una parte fondamentale della tesi, sia per la voluminosità del testo originale sia per i numerosi problemi 'tecnici' che necessariamente si susseguono sul cammino di chi affronti l'opera di traduzione-interpretazione di un testo medievale. La traduzione è accompagnata da un apparato di note che rendono conto delle scelte operate nei passaggi più complessi e che forniscono indicazioni utili alla comprensione del testo, soprattutto nel caso di riferimenti sottesi a un’enciclopedia presumibilmente condivisa dall’autore e il suo pubblico ma difficilmente discernibili dal lettore moderno. Il terzo capitolo è interamente dedicato alla branche XXII nella versione ‘indipendente’ (BCL); vengono messe in luce le peculiarità e le caratteristiche che la avvicinano al genere dei fabliaux e vengono avanzate delle ipotesi interpretative che evidenziano quelli che si ritengono essere aspetti unici e significativi dell’episodio all’interno dell'intero ciclo. Viene messo in rilievo come il ricorso a temi relativi alla sfera sessuale e corporea e l’uso di un lessico esplicito e a tratti osceno, sebbene ovviamente non esclusivi di questa branche del Roman de Renart, venga qui presentato in un contesto narrativo unico. L'ultimo capitolo della tesi si concentra invece sui testi tramandati da M delle branches XXII e XXIII. Si è cercato innanzitutto di ricostruire i numerosi legami intertestuali che la branche XXIII intesse innanzitutto con le altre branches del RdR (in particolare I, Va, VI, X) e di analizzare le specifiche tecniche narrative dialogiche e polifoniche impiegate all'interno del testo. Per la prima parte del commento, che riguarda poco più di metà della branche ed è dedicata alla lunga narrazione di uno dei processi giudiziari di cui è protagonista Renart, si è scelto di seguire l’ordine diegetico dell’episodio; la complessità dell'ambiente legale impone infatti di seguire con la massima attenzione il serrato alternarsi di accuse, contro-accuse e testimonianze. Data la concentrazione di diversi nuclei narrativi che caratterizza questa seconda parte, l'analisi del testo si discosta a questo punto dall'impostazione cronologica e procede invece per tematiche. Vengono dunque analizzati la figura e l'inedito ruolo di consigliera di Hermeline. Il commento procede poi con un'analisi delle ulteriori peculiarità presenti nella branche XXIII, nel momento in cui il protaginista si reca a Toledo per apprendere le arti magiche: questo viaggio è l’unico vero viaggio che la volpe compie al di fuori del regno nell’intero Roman. Spiccano, qui, la dimensione quasi epica, arturiana, del viaggio, che si traduce in un percorso di formazione per il personaggio; le nuove qualità acquisite da Renart magicien – un intermediario fra due mondi – e l’importanza delle parole nel veicolare il potere dell’art d’enchantement. L'originalità della branche XXIII ha così una vera e propria evoluzione di Renart, che si presenta come un Renart demiurgo. Il commento prosegue a questo punto tornando nuovamente alla branche XXII, questa volta nella versione del ms. M. Benché il testo di M riporti un’importante lacuna (per la caduta del bifolio centrale di un fascicolo) che impedisce di valutare complessivamente l’operazione di riscrittura, sono state esaminate, per quanto possibile, le modalità con cui il testo è stato interpolato dal codice e avanzato delle ipotesi su come e perché possa essere stata compiuta questa operazione, tenendo presente anche i rapporti che intercorrono tra M e il ms. C della sua stessa famiglia, che operano entrambi importanti scelte di riorganizzazione della materia narrativa e dell’ordine di disposizione delle branches rispetto agli altri codici relatori del Roman de Renart.
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BULGINI, Giulia. "Il progetto pedagogico della Rai: la televisione di Stato nei primi vent’anni. Il caso de ‹‹L’Approdo››". Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11393/251123.

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Non c’è dubbio sul fatto che la RAI, dal 1954 a oggi, abbia contribuito in misura considerevole a determinare la fisionomia dell’immaginario collettivo e dell’identità culturale dell’Italia. Si tratta di un assunto che, a distanza di più di sessant’anni, resta sempre di grande attualità, per chi si occupa della questione televisiva (e non solo). Ma a differenza di quanto avveniva nel passato, quando la tv appariva più preoccupata dei reali interessi dei cittadini, oggi essa sembra rispondere prevalentemente a dinamiche di mercato, in grado di alterarne la funzione etica e sociale. E nonostante il livello di istruzione e di benessere economico si siano evidentemente alzati, in questi ultimi anni si è assistito a programmi di sempre più bassa qualità e in controtendenza a un incremento del potere modellante e suggestivo sull’immaginario dei telespettatori. C’è di più: l’interesse verso la tv ha coinvolto anche gli storici dell’epoca contemporanea, i quali hanno iniziato a prendere coscienza che le produzioni audiovisive sono strumenti imprescindibili per la ricerca. Se si pensa ad esempio al ‹‹boom economico›› del Paese, negli anni Cinquanta e Sessanta, non si può non considerare che la tv, insieme agli altri media, abbia contributo a raccontare e allo stesso tempo ad accelerare i progressi economici e sociali di quell’epoca. Partendo, dunque, dal presupposto che la televisione da sempre esercita un potere decisivo sulla collettività, si è scelto di concentrarsi sulla fase meno indagata della sua storia, quella della televisione delle origini: ‹‹migliore›› perché senza competitor, ‹‹autentica›› perché incontestabile e soprattutto ‹‹pedagogica›› perché è di istruzione e di formazione che, quell’Italia appena uscita dalla guerra, aveva più urgenza. La storia della televisione italiana inizia il 3 gennaio 1954, con la nascita del servizio pubblico televisivo e insieme di un mezzo che, di lì a poco, avrebbe completamente rivoluzionato la società italiana, trasformandola in una civiltà di massa. Si accorciano le distanze territoriali e insieme culturali e la società inizia a omologarsi nei gusti, poi nei consumi e infine nel pensiero. Il punto d’arrivo si colloca negli anni Settanta, quando ha termine il monopolio della RAI, che fino a quel momento era stato visto come il garante del pluralismo culturale. La RAI passa dal controllo governativo a quello parlamentare, mentre si assiste al boom delle televisioni private e alla necessità della tv di Stato di stare al passo con la concorrenza, attraverso una produzione diversa da quella degli esordi. Dunque cambia la tv, come pure cambia la sua funzione e la forma mentis di chi ne detiene le redini. Ne risulta un’indagine trasversale, che passa nel mezzo di molteplici discipline che afferiscono alla materia televisiva e che non evita di porsi quelle domande scomode, necessarie tuttavia a comprendere la verità sugli artefici della prima RAI e sui loro obiettivi. E allora: qual era il valore attribuito alla televisione degli esordi? Era davvero uno strumento pedagogico? Sulla base di quali presupposti? Chi scriveva i palinsesti di quegli anni? Chi e perché sceglieva temi e format televisivi? Chi decideva, in ultima analisi, la forma da dare all’identità culturale nazionale attraverso questo nuovo apparecchio? Il metodo di ricerca si è articolato su tre distinte fasi di lavoro. In primis si è puntato a individuare e raccogliere bibliografia, sitografia, studi e materiale bibliografico reperibile a livello nazionale e internazionale sulla storia della televisione italiana e sulla sua programmazione nel primo ventennio. In particolare sono stati presi in esame i programmi scolastici ed educativi (Telescuola, Non è mai troppo tardi), la Tv dei Ragazzi e i programmi divulgativi culturali. Successivamente si è resa necessaria una definizione degli elementi per l’analisi dei programmi presi in esame, operazione resa possibile grazie alla consultazione del Catalogo multimediale della Rai. In questa seconda parte della ricerca si è voluto puntare i riflettori su ‹‹L’Approdo››, la storia, le peculiarità e gli obiettivi di quella che a ragione potrebbe essere definita una vera e propria impresa culturale, declinata in tutte le sue forme: radiofonica, di rivista cartacea e televisiva. In ultimo, sulla base dell’analisi dei materiali d’archivio, sono state realizzate interviste e ricerche all’interno dei palazzi della Rai per constatare la fondatezza e l’attendibilità dell’ipotesi relativa agli obiettivi educativi sottesi ai format televisivi presi in esame. Le conclusioni di questa ricerca hanno portato a sostenere che la tv delle origini, con tutti i suoi limiti, era uno strumento pedagogico e di coesione sociale. E se ciò appare come un aspetto ampiamente verificabile, oltreché evidente, qualora si voglia prendere in esame la televisione scolastica ed educativa di quegli anni, meno scontato risulta invece dimostrarlo se si decide – come si è fatto – di prendere in esame un programma divulgativo culturale come ‹‹L’Approdo››, che rientra nell’esperienza televisiva definita di ‹‹educazione permanente››. Ripercorrere la storia della trasmissione culturale più longeva della tv italiana degli esordi, per avvalorarne la funzione educativa, si è rivelata una strada interessante da battere, per quanto innegabilmente controversa, proprio per il principale intento insito nella trasmissione: diffondere la cultura ‹‹alta›› a milioni di telespettatori che erano praticamente digiuni della materia. Un obiettivo che alla fine della disamina si è rivelato centrato, grazie alla qualità della trasmissione, al suo autorevole e prestigioso groupe d'intellectuels, agli ascolti registrati dal ‹‹Servizio Opinioni›› e alla potenzialità divulgativa e penetrante della tv, nel suo saper trasmettere qualunque tematica, anche quelle artistiche e letterarie. Dunque se la prima conclusione di questo studio induce a considerare che la tv del primo ventennio era pedagogica, la seconda è che ‹‹L’Approdo›› tv di questa televisione fu un’espressione felice. ‹‹L’Approdo›› conserva ancora oggi un fascino innegabile, non foss’altro per la tenacia con la quale i letterati difesero l’idea stessa della cultura classica dal trionfo lento e inesorabile della società mediatica. Come pure appare ammirevole e lungimirante il tentativo, mai azzardato prima, di far incontrare la cultura con i nuovi media. Si potrebbe dire che ‹‹L’Approdo›› oggi rappresenti una rubrica del passato di inimmaginata modernità e, nel contempo, una memoria storica, lunga più di trent’anni, che proietta nel futuro la ricerca storica grazie al suo repertorio eccezionale di immagini e fatti che parlano di arte, di letteratura, di cultura, di editoria e di società e che raccontano il nostro Paese e la sua identità culturale, la stessa che la televisione da sempre contribuisce a riflettere e a delineare. Lo studio è partito da un’accurata analisi delle fonti, focalizzando l’attenzione, in primo luogo, sugli ‹‹Annuari della Rai›› (che contengono le Relazioni del Cda Rai, le Relazioni del Collegio Sindacale, i Bilanci dell’Esercizio e gli Estratti del Verbale dell’Assemblea Ordinaria). Altre fonti prese in esame sono gli stati gli opuscoli di ‹‹Servizio Opinioni››, le pubblicazioni relative a studi e ricerche in materia di televisione e pedagogia e le riviste edite dalla Rai Eri: ‹‹Radiocorriere tv››, ‹‹L’Approdo Letterario››, ‹‹Notizie Rai››, ‹‹La nostra RAI››, ‹‹Video››. Negli ultimi anni la Rai ha messo a disposizione del pubblico una cospicua varietà di video trasmessi dalle origini a oggi (www.techeaperte.it): si tratta del Catalogo Multimediale della Rai, che si è rivelato fondamentale al fine della realizzazione della presente ricerca. Altre sedi indispensabili per la realizzazione di questa ricerca si sono rivelate le due Biblioteche romane della Rai di Viale Mazzini e di via Teulada.
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