Literatura académica sobre el tema "TRASMISSIONE DEI VALORI"

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Artículos de revistas sobre el tema "TRASMISSIONE DEI VALORI"

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Ciccone, Lino. "Sessualità e persona: i valori etici". Medicina e Morale 39, n.º 1 (28 de febrero de 1990): 61–91. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1990.1188.

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L'autore affronta la problematica dei valori etici inerenti alla sessualità, esaminando dapprima quei valori di cui è portatrice la sessualità umana nella sua integralità ("sessualità generale"): la persona come soggetto di moralità, in quanto capace di scelte autenticamente libere; la persona come soggetto capace di stabilire relazioni affettive che portano al raggiungimento di un amore oblativo, al dono di sé all'altro. Poi si sofferma sui valori della cosiddetta "sessualità genitale": la trasmissione della vita, la fecondità, la dignità della procreazione, l'amore coniugale. Infine, esaminando il contesto socio-culturale odierno, mette in luce quegli aspetti positivi che comunque sono presenti in tale contesto e che consentono di ricavare indicazioni utili per quanti vogliono contribuire allo sviluppo effettivo delle potenzialità di cui è portatore il cammino della storia umana, anche quando appaia prevalente il carattere involutivo e disgregante.
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Demo, Pedro. "Povertŕ politica". GRUPPI, n.º 2 (octubre de 2010): 47–67. http://dx.doi.org/10.3280/gru2009-002007.

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Attraverso la presentazione dei risultati di alcune indagini condotte in Brasile negli ultimi anni da enti diversi, l'autore ci invita a riflettere sul ruolo della conoscenza, l'importanza dell'istruzione e sui meccanismi che contribuiscono a mantenere lo status quo politico e sociale, basato su profonde differenze e sperequazioni. Demo interpreta i dati in modo dialettico e mostra il ruolo centrale che l'educazione, la trasmissione della conoscenza, la formazione personale e le forme di socializzazione rivestono per la crescita di persone (cittadini) libere, autonome e capaci di autodeterminazione. Le percentuali e i valori che Demo ci illustra sono rappresentativi di una realtŕ (fortunatamente) lontana da quella italiana, ma i suoi commenti e suggerimenti offrono spunti di riflessione molto utili per analizzare i cambiamenti in corso nel nostro paese. Il paradigma proposto puň essere, infatti, utilizzato per spiegare le forme carenti, o del tutto insufficienti, di "cittadinanza" che si realizzano nei cosiddetti "Sud del mondo".
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Devoken Fishbane, Mona. "Guarire le ferite transgenerazionali: un approccio relazionale e neurobiologico integrato". TERAPIA FAMILIARE, n.º 125 (junio de 2021): 37–70. http://dx.doi.org/10.3280/tf2021-125003.

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Antichi risentimenti e problemi irrisolti con le famiglie di origine possono vincolare gli adulti nelle attuali relazioni con i genitori o fratelli e influenzare negativamente le relazioni con i partner o con i figli. Questo articolo intende esplorare le modalità tramite cui vecchie ferite vengono riattivate all'interno di relazioni attuali e come contribuiscano alla trasmissione transgenerazionale di eredità dolorose e traumi. Vengono proposti degli interventi clinici con clienti adulti per "svegliarsi dall'incantesimo dell'infanzia", curare ferite transgenerazionali, e maturare nuove relazioni con le famiglie di origine. Verranno esplorati i danni causati dalla colpevolizzazione dei propri genitori in terapia e ciò verrà messo in contrasto con l'enfasi che Ivan Boszormenyi-Nagy pone sulle azioni di ricongiungimento e sulla maturazione di risorse di fiducia nelle relazioni intergenerazionali. La famiglia verrà considerata sia nel suo contesto culturale - includendo gli effetti stressogeni e le risorse di resilienza - sia nel contesto del ciclo di vita. In tutto il testo terremo in considerazione il tema dell'etica relazionale - ovvero come possiamo vivere in accordo con i nostri valori e "raggiungere il meglio di noi stessi" nelle relazioni transgenerazionali.
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Baczyński, Andrzej. "Zasady realizacji programów religijnych w mediach audiowizualnych". Ruch Biblijny i Liturgiczny 57, n.º 3 (30 de septiembre de 2004): 203. http://dx.doi.org/10.21906/rbl.515.

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L’istruzione pastorale Communio et progressio dice brevemente in riguardo ai programmi religiosi nella radio e nella televisione: “Gli aspetti religiosi della vita umana devono prendere luogo degno e stabile nei programmi” (CP 149). Il termine programma religioso, benché spesso adoperato, non è troppo preciso e non corrisponde pienamente alla realtà televisiva, in cui funziona. Esso ricorre alla formula isolata dei programmi ristretti tematicamente. Non dobbiamo aggiungere, che questo tipo di qualificazione non è una soluzione migliore per la presenza della Chiesa in mass media, poiché limita il potenziale pubblico per causa della troppa specializzazione.La Chiesa vuole che tutti i programmi televisivi, liberi dalla falsità, trasmettano la verità sull’uomo e sul mondo, difendino la dignità umana e si dichiarino in favore del bene, della bellezza e della giustizia. I programmi che rispettano questi valori si trovano nel centro dell’interesse della Chiesa. Essi si riferiscono al contesto religioso, benché esso non sia chiaramente legato alla Chiesa oppure alla religione.Il programma religioso, dal punto di vista formale, si sottomette alle stesse regole come tutta la produzione televisiva. Il professionismo, la conoscenza della problematica televisiva, come pure del linguaggio audiovisivo, l’onesto lavoro e la competenza – sono fondamenti del lavoro degli autori dei programmi televisivi, anche di quelli detti religiosi. Il criterio basilare di valutare questi programmi è la loro relazione con la verità. Il diritto e il dovere principale di ogni sorte della trasmissione televisiva, secondo l’insegnamento della Chiesa, sono la sincerità, la veracità e la verità.
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Isse, Renan. "La lettura come attività pedagogica: l’uso della favola come strumento da trasmettere valori". Revista Italiano UERJ 12, n.º 2 (13 de julio de 2022): 15. http://dx.doi.org/10.12957/italianouerj.2021.67582.

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ABSTRACT: Il presente articolo si propone a presentare una riflessione sulla funzione sociale della letteratura per i giovani e per i bambini e anche un punto di vista specifico di questo tipo di testo come strumento che serve alle indicazioni pedagogiche di trasmissione di valori e rinforzo di paradigme. Privilegiamo il genere favola, poiché è un genere classico indicato ai bambini a causa degli elementi costitutivi e di promuovere un senso moralizzante alla fine della lettura. Inoltre, indichiamo che i messaggi trasmessi attraverso il testo letterario infantile, e sopratutto la morale, richiedono che il lettore sia capace di articolare i suoi livelli di conoscenza per finalmente dare senso al testo letto, ossia, che il lettore supere la lettura semplice. Per illustrare l’argomento, ricerchiamo la favola Le avventure di Pinocchio: storia di un burattino seguendo alcuni riflesione sulla letteratura infantile in quanto riguarda al suo uso come strumento il cui scopo sarà lo sviluppo della competenza lettora dei lettori. Valuteremo, pertanto, l’importanza delle pratiche di lettura per raggiungere questo obbiettivo.Parole chiave: Letteratura infantile. Favola. Pinocchio. Pratiche di lettura. Scolarizzazione. RESUMO: O presente artigo busca propor uma reflexão sobre a função social da Literatura Infantojuvenil, bem como apresentar uma visão específica desse tipo de texto enquanto instrumento que serve aos propósitos pedagógicos de transmissão de valores e reforço de paradigmas. Privilegiamos o gênero fábula, por se tratar de um gênero clássico indicado às crianças devido aos elementos constituintes e de promover um sentido moralizante ao fim da leitura. Além disso, indicamos que as mensagens transmitidas pelo texto literário infantil, e sobretudo a moral, precisam que o leitor seja capaz de articular todos os seus níveis de conhecimento para enfim dar sentido ao texto lido, ou seja, que o leitor supere a leitura simples. Para ilustrar a argumentação, analisamos a fábula Le aventure di Pinocchio: storia di un burattino à luz de algumas reflexões sobre a literatura infantil, no que diz respeito ao seu uso como instrumento cujo objetivo será o desenvolvimento da competência leitora dos leitores. Valorizaremos, portanto, a importância das práticas de leitura para esse objetivo.Palavras-chave: Literatura infantil. Fábula. Pinocchio. Práticas de leitura. Escolarização. ABSTRACT: The following article proposes a reflection on the social role of children literature, as well as presenting a specific point of view of this kind of text as an instrument that follows the pedagogic indication of conveying values and reinforcing paradigms. We privilege the genre fable since it is a classic genre recommended to children because of its constitutive elements and because it proposes a moral sense at the end of the reading. Besides, we indicate that the messages conveyed through the literary text, mainly its moral, need the reader to be able to articulate all their levels of previous knowledge so they could finally create a new meaning to the text, that is, the reader needs to overcome the simple reading. To illustrate the arguments, we analyse the fable Le avventure di Pinocchio: storia di un burattino following a few readings on children literature, when it comes to its use as an instrument whose purpose is developing readers’ reading competence. We will accept, therefore, the importance of reading practices towards this goal.Key words: Children literature. Fable. Pinocchio. Reading practices. Schooling.
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Caon, Fabio. "Motivazione allo studio della letteratura e canzoni". SPONDE 1, n.º 1 (27 de julio de 2022): 103–18. http://dx.doi.org/10.15291/sponde.3894.

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Come attestano diversi autori sia di letteratura e di didattica della letteratura, sia di glottodidattica, nella scuola italiana, la letteratura e la sua didattica attraversano da decenni una crisi. Tale crisi è dovuta a fattori legati al progressivo distacco, da parte dei giovani, dalla pagina scritta come forma principale di trasmissione dei saperi e a metodologie di insegnamento letterario che sembrano non motivare gli studenti allo studio. Come poter intervenire per uscire da questa crisi? Le risposte sono molteplici e in questo contributo si approfondisce il rapporto tra canzone e letteratura. Nello specifico, di come la canzone possa motivare gli studenti allo studio della letteratura creando un ponte tra le forme di fruizione estetica preferite dai ragazzi e il testo letterario. Dopo aver illustrato il valore strategico della motivazione intrinseca e del perché la canzone può rappresentare un "ponte", si propongono diverse modalità in cui canzone e testo letterario possano integrarsi e aiutare gli studenti ad avvicinarsi allo studio della letteratura nella scuola secondaria di secondo grado.
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Di Pietro, Maria Luisa. "Tacere o rivelare? Segreto professionale e nursing". Medicina e Morale 39, n.º 4 (31 de agosto de 1990): 779–97. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1990.1170.

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Il segreto professionale è un valore fondamentale per l'etica e la deontologia applicati al nursing, come per le altre professioni sanitarie. L'infermiere/a ha sempre il dovere di tacere su quanto è venuto a conoscere durante l'esercizio della propria professione e tale obbligo si fonda sul diritto del paziente all'intimità e alla riservatezza. Il divieto alla rivelazione del segreto professionale, da distinguere dalla trasmissione del segreto, è stato recepito sia dai Codici di Deontologia Professionale, sia dalle leggi dei paesi occidentali. Vi sono però delle situazioni, non ultimo l'AIDS, in cui l'obbligo al segreto si presenta in forte contrasto con la salvaguardia del bene comune. Ci si chiede infatti se il diritto individuale alla privacy possa essere violato dal timore di un danno - in questo caso il diffondersi di una malattia attualmente incurabile - a un terzo innocente.
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Zvonareva, Alina. "Le rubriche in volgare del códice 7-1-52 della biblioteca Colombina di Siviglia". Revista Galega de Filoloxía 13 (17 de mayo de 2012): 151–77. http://dx.doi.org/10.17979/rgf.2012.13.0.3830.

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Il presente contributo propone uno studio storico-linguistico delle rubriche in volgare del ms. 7-1-52 della biblioteca Colombina di Siviglia. Si tratta di un codice francescano trecentesco trascritto in Italia settentrionale, contenente testi di carattere didattico-religioso e contraddistinto da uno spiccato ibridismo linguistico: nel corpus di riferimento si riscontrano tratti veronesi, veneziani o venezianeggianti, padovani ed emiliani. Il quadro dei fenomeni linguistici che emerge dalle rubriche viene confrontato nell’articolo con le peculiarità linguistiche che presenta il testo principale dei componimenti tràditi dal manoscritto; sulla base dello studio svolto si formulano delle ipotesi riguardo la datazione e la localizzazione delle rubriche. Inoltre, tale confronto permette di mettere il materiale linguistico in relazione con il problema della trasmissione e ricezione dei testi copiati. In particolare, viene postulato che i titoli del nostro codice rappresentino un volgarizzamento delle rubriche latine dell’archetipo perduto, e a tale proposito vengono esaminati anche gli altri testimoni manoscritti dei testi del corpus. Ci si interroga anche sul valore stilistico di tratti latineggianti, toscaneggianti e marcatamente locali, nonché su cosa significhi il fatto stesso di volgere le rubriche in un volgare settentrionale.
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Maras, Daniele Federico. "Le scritture dell'Italia preromana". Palaeohispanica. Revista sobre lenguas y culturas de la Hispania Antigua, n.º 20 (1 de mayo de 2020): 923–68. http://dx.doi.org/10.36707/palaeohispanica.v0i20.386.

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La scrittura è stata introdotta nell’Italia antica attraverso il contatto tra i navigatori greci e le aristocrazie etrusche dell’età Orientalizzante. Entrando a far parte dei rapporti cerimoniali tra pari, si è diffusa rapidamente presso le popolazioni vicine e nel corso del VI secolo a. C. ha assunto un valore identitario etnico, dando vita a un mosaico di diverse tradizioni grafiche, volta per volta derivate direttamente dalla scrittura greca o attraverso la mediazione etrusca o latina. L’autore dedica alcune pagine introduttive al processo storico di trasmissione e adattamento della scrittura e poi passa in rassegna i domini epigrafici etrusco, falisco, latino, celtico, veneto, retico, camuno, paleo-italico, paleo-sabellico, ausone, osco e umbro. In conclusione, alcuni spunti per la ricerca futura vengono brevemente accennati.
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Maciel, Danilo Pereira Garcia, José Leandro Tomaz Medeiros, Mariana Freitas da Silva, Matheus Freitas da Silva, Amanda Alves Fecury, Claudio Alberto Gellis de Mattos Dias, Euzébio de Oliveira, Carla Viana Dendasck, Donizete Vago Daher y Maria Helena Mendonça de Araújo. "Profilo epidemiologico degli incidenti con esposizione a materiali biologici verificatisi nei lavoratori nello Stato di Amapá, Amazzonia, Brasile, dal 2015 al 2019". Revista Científica Multidisciplinar Núcleo do Conhecimento, 8 de marzo de 2021, 127–41. http://dx.doi.org/10.32749/nucleodoconhecimento.com.br/salute/esposizione-a-materiali.

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Le esposizioni accidentali con strumenti taglienti sono gli infortuni sul lavoro più comuni che coinvolgono professionisti e studenti in ambiente ospedaliero. L’incidente con materiale biologico (MB) deriva dal contatto diretto tra sangue e fluidi organici genitali o sierosi, con pelle malsana, membrane mucose o per inoculazione percutanea diretta attraverso oggetti appuntiti. L’obiettivo di questo lavoro è stato quello di caratterizzare il profilo epidemiologico degli incidenti con esposizione a materiali biologici avvenuti nei lavoratori nello stato di Amapá, Amazzonia, Brasile, nel periodo dal 2015 al 2019, analizzando il numero, il tipo di eventi, l’occupazione e circostanza dell’incidente. Uno studio epidemiologico retrospettivo, descrittivo e trasversale è stato condotto con un approccio quantitativo. Pertanto, nel database del Sistema Informativo per le Malattie Notificabili (SINAN) sono state ricercate registrazioni riferite a segnalazioni di infortuni con materiale biologico, avvenute nello stato di Amapá nel periodo dal 2015 al 2019, registrate dal Centro di sorveglianza sulla salute sul lavoro ( NVST) / Centro di riferimento per la salute sul lavoro (CEREST / AP). Le esposizioni professionali a materiali biologici rappresentano un potenziale rischio di trasmissione di malattie. Istruire i lavoratori a denunciare immediatamente gli incidenti è essenziale per fornire il sistema di notifica. Per quanto riguarda le circostanze, le due cause più comunemente riscontrate sono state con valori vicini tra loro, la somministrazione di farmaci (21,6%) e lo smaltimento inadeguato del materiale (20%). Questo smaltimento non corretto dimostra la mancanza di zelo dei professionisti per la propria salute.
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Tesis sobre el tema "TRASMISSIONE DEI VALORI"

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TADIELLO, Cristina. "MONDI GIOVANILI E "TRASMISSIONE GENERAZIONALE DEI VALORI" A CUBA". Doctoral thesis, Università degli Studi di Verona, 2010. http://hdl.handle.net/11562/343653.

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Il vivere l’esperienza etnografica di “impregnazione” di un’altra cultura cambia lo sguardo sul mondo dell’educazione e della formazione non solo del Paese ospitante ma anche in quello d’appartenenza. L’approccio della pedagogia critica e dell’etnografia riflessiva permette di “dare voce” ai giovani aprendo nuovi spazi ("spazio terzo") di incontro e di dialogo tra Paesi e tra generazioni.
Living the totally involved ethnographic experience of an other culture changes the general perception of education and formation, not only of the host country but even in the provenance one. Critical pedagogy and reflective etngoraphy approach allows to give voice to yong people, creating new opportunities for countries and generation to meet and talk.
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BARNI, DANIELA. "LA TRASMISSIONE DEI VALORI IN FAMIGLIE CON FIGLI ADOLESCENTI: UNA PROSPETTIVA DI RICERCA RELAZIONALE-INTERGENERAZIONALE". Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2008. http://hdl.handle.net/10280/282.

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Resumen
La presente ricerca si propone di analizzare la trasmissione dei valori in famiglie con figli adolescenti. Il campione è composto da 381 famiglie italiane (adolescente, genitori e nonna); tutti gli adolescenti sono studenti di scuola media superiore (età media=17 anni). I soggetti hanno compilato un questionario contenente il Portrait Values Questionnaire per la misurazione dei dieci domini valoriali descritti nella teoria di Schwartz (1992). La ricerca si articola in tre studi. Nel primo studio, le priorità valoriali degli adolescenti sono state confrontate con le priorità dei genitori e delle nonne allo scopo di misurare il livello di similarità entro ciascuna diade familiare, controllando l'effetto stereotipico (modalità di risposta tipica per generazione sociale di appartenenza). Il secondo studio ha preso in esame il Two-step model of value acquisition di Grusec e Goodnow (1994): come suggerito da questo modello, l'accuratezza con cui il figlio percepisce i valori genitoriali e l'accettazione rappresentano due pre-condizioni per la somiglianza tra i valori di genitori e figli. Il terzo studio ha indagato alcune variabili che influenzano l'accuratezza e l'accettazione. La ricerca evidenzia l'importanza di assumere una prospettiva relazionale-intergenerazionale nello studio della trasmissione e la necessità di indagare i processi familiari entro il più ampio contesto sociale.
This research intended to analyze the value transmission in families with adolescents. The sample was composed of 381 Italian families (adolescent, both parents and one grandmother); adolescents were high school students (mean age=17 years). Subjects filled in a questionnaire, including the Portrait Values Questionnaire to measure the ten value types described in Schwartz's theory (1992). The research was divided into three studies. In the first study, adolescents' value priorities were compared to their own parents' and grandmothers' priorities in order to measure the unique value similarity within each family dyad, controlling for the stereotype effect (that is the typical cultural response). The second study tested the Two-step model of value acquisition by Grusec and Goodnow (1994): as suggested by this model, child's accuracy in perceiving parental values and the acceptance of these values were both necessary preconditions for parent-child value similarity. The third study identified some family variables that influence child's accuracy and acceptance. The research highlighted the importance of assuming a relational-intergenerational perspective in the study of transmission and the importance of analyzing family processes within the larger social context.
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BARNI, DANIELA. "LA TRASMISSIONE DEI VALORI IN FAMIGLIE CON FIGLI ADOLESCENTI: UNA PROSPETTIVA DI RICERCA RELAZIONALE-INTERGENERAZIONALE". Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2008. http://hdl.handle.net/10280/282.

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La presente ricerca si propone di analizzare la trasmissione dei valori in famiglie con figli adolescenti. Il campione è composto da 381 famiglie italiane (adolescente, genitori e nonna); tutti gli adolescenti sono studenti di scuola media superiore (età media=17 anni). I soggetti hanno compilato un questionario contenente il Portrait Values Questionnaire per la misurazione dei dieci domini valoriali descritti nella teoria di Schwartz (1992). La ricerca si articola in tre studi. Nel primo studio, le priorità valoriali degli adolescenti sono state confrontate con le priorità dei genitori e delle nonne allo scopo di misurare il livello di similarità entro ciascuna diade familiare, controllando l'effetto stereotipico (modalità di risposta tipica per generazione sociale di appartenenza). Il secondo studio ha preso in esame il Two-step model of value acquisition di Grusec e Goodnow (1994): come suggerito da questo modello, l'accuratezza con cui il figlio percepisce i valori genitoriali e l'accettazione rappresentano due pre-condizioni per la somiglianza tra i valori di genitori e figli. Il terzo studio ha indagato alcune variabili che influenzano l'accuratezza e l'accettazione. La ricerca evidenzia l'importanza di assumere una prospettiva relazionale-intergenerazionale nello studio della trasmissione e la necessità di indagare i processi familiari entro il più ampio contesto sociale.
This research intended to analyze the value transmission in families with adolescents. The sample was composed of 381 Italian families (adolescent, both parents and one grandmother); adolescents were high school students (mean age=17 years). Subjects filled in a questionnaire, including the Portrait Values Questionnaire to measure the ten value types described in Schwartz's theory (1992). The research was divided into three studies. In the first study, adolescents' value priorities were compared to their own parents' and grandmothers' priorities in order to measure the unique value similarity within each family dyad, controlling for the stereotype effect (that is the typical cultural response). The second study tested the Two-step model of value acquisition by Grusec and Goodnow (1994): as suggested by this model, child's accuracy in perceiving parental values and the acceptance of these values were both necessary preconditions for parent-child value similarity. The third study identified some family variables that influence child's accuracy and acceptance. The research highlighted the importance of assuming a relational-intergenerational perspective in the study of transmission and the importance of analyzing family processes within the larger social context.
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Montanari, Stefano. "L'economicità delle imprese familiari nei passaggi di generazione: i meccanismi di trasmissione del valore". Doctoral thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2000. http://hdl.handle.net/10579/302.

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FEDERICO, LUCA. "L'apprendistato letterario di Raffaele La Capria". Doctoral thesis, Università degli studi di Genova, 2020. http://hdl.handle.net/11567/1005664.

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Resumen
Superati «novant’anni d’impazienza» e dopo un lungo periodo votato all’autocommento e all’esplorazione delle proprie intenzioni, Raffaele La Capria ha raccolto le sue opere in due Meridiani curati da Silvio Perrella. La Capria ne ha celebrato l’uscita nella prolusione inaugurale di Salerno Letteratura, poi confluita nel breve autoritratto narrativo "Introduzione a me stesso" (2014). In questa sede, l’autore è tornato su alcuni punti essenziali della sua riflessione sulla scrittura, come la relazione, reciproca e ineludibile, fra tradizione e contemporaneità. All’epilogo del «romanzo involontario» di una vita, La Capria guarda retrospettivamente alla propria esperienza come ad un’autentica educazione intellettuale. Perciò, muovendo da un’intervista inedita del 2015, riportata integralmente in appendice, la tesi ha l’obiettivo di ricostruire l’apprendistato letterario di La Capria dai primi anni Trenta, quando l’autore ancora frequentava il ginnasio, fino all’inizio dei Sessanta, quando ottenne il premio che ne avrebbe assicurato il successo. Il percorso, che riesamina l’intera bibliografia lacapriana nella sua varietà e nella sua stratificazione, si articola in una serie di fasi interdipendenti: la partecipazione indiretta alle iniziative dei GUF (intorno alle riviste «IX maggio» e «Pattuglia»); l’incursione nel giornalismo e l’impegno culturale nell’immediato dopoguerra (sulle pagine di «Latitudine» e di «SUD»); l’attività di traduttore dal francese e dall’inglese (da André Gide a T.S. Eliot); l’impiego alla RAI come autore e conduttore radiofonico (con trasmissioni dedicate a Orwell, Stevenson, Saroyan e Faulkner); la collaborazione con «Il Gatto Selvatico», la rivista dell’ENI voluta da Enrico Mattei e diretta da Attilio Bertolucci; e le vicende editoriali dei suoi primi due romanzi, “Un giorno d’impazienza” (1952) e “Ferito a morte” (1961), fino alla conquista dello Strega. La rilettura dell’opera di uno scrittore semi-autobiografico come La Capria, attraverso il costante riscontro di fonti giornalistiche, testimonianze epistolari e documenti d’archivio che avvalorano e occasionalmente smentiscono la sua versione dei fatti, diventa allora un’occasione per immergersi nella sua mitografia personale e avventurarsi in territori finora poco esplorati: come la ricostruzione del suo profilo culturale, a partire dal milieu in cui La Capria vive e opera, o l’incidenza delle letture e delle esperienze giovanili sulla sua prassi letteraria.
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VALENTE, LAURA. "GREGORIO NAZIANZENO Eij" ejpiskovpou" [carm. II,1,13. II,1,10] Introduzione, testo critico, commento e appendici". Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11393/251619.

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Resumen
Invitato a Costantinopoli da una delegazione nicena, che ne chiedeva l’intervento a sostegno della comunità ortodossa locale, Gregorio di Nazianzo accantonò il desiderio di dedicarsi alla vita contemplativa e si recò nella Neja ÔRwvmh: non poteva certo immaginare che negli anni trascorsi nella capitale (dagli inizi del 379 al luglio del 381) avrebbe conosciuto, a distanza di breve tempo, l’apice e il fallimento della sua attività politico-ecclestiastica. Alla guida di un piccolo gruppo di fedeli, radunati in una sala udienze privata ribattezzata Anastasia, Gregorio esercitò con impegno i suoi doveri pastorali, spendendosi soprattutto nella lotta dottrinale contro l’eresia ariana. L’elezione come vescovo della città, avvenuta per volere dell’imperatore Teodosio, rappresentò il riconoscimento dei meriti del Cappadoce nella restaurazione e nel consolidamento dell’ortodossia nicena, ma, allo stesso tempo, aprì la strada a una stagione tutt’altro che scevra di asprezze, destinata a lasciare amari ricordi nel cuore dell’autore. Chiamato a presiedere il concilio episcopale del 381, indetto con l’obiettivo di risolvere lo scisma antiocheno e condannare le eresie del tempo, il Nazianzeno sperimentò sulla propria i conflitti interni ed i giochi di potere cui si era ridotto l’episcopato. Alla malattia, che debilitò il fisico dell’autore e ne ostacolò la partecipazione a svariate attività pubbliche, si aggiunse l’ostilità dei colleghi, in particolare di alcuni vescovi egiziani, che contestarono la legittimità della sua elezione sul seggio di Costantinopoli, in quanto già vescovo nella sede di Sasima. Stanco e malato, amareggiato dai continui scontri e dall’ennesimo attacco subito dagli avversari, Gregorio decise di farsi da parte e, rassegnate le dimissioni dalla cattedra episcopale, lasciò Costantinopoli, senza neppure aspettare la conclusione del sinodo. Nella natia Cappadocia, lontano fisicamente dal clima tumultuoso e dai dispiaceri della capitale, ma turbato dalle calunnie e dalle ingiustizie subite da coloro che riteneva amici, il Nazianzeno sfogò le proprie delusioni nella scrittura poetica. All’esperienza costantinopolitana e in particolare al contesto delle dimissioni dalla cattedra vescovile fanno riferimento i carmi oggetto di questa tesi di dottorato: II,1,10 (Ai sacerdoti di Costantinopoli e alla città stessa) e II,1,13 (Ai vescovi), rispettivamente di 18 distici elegiaci e 217 esametri. In essi si intrecciano più suggestioni: la meditazione e il riecheggiamento interiore degli eventi che hanno coinvolto l’autore, la difesa del suo operato, ma soprattutto la violenta invettiva contro i vescovi, scaturita non solo dal risentimento per le vicende personali, ma dallo sdegno dell’autore per la corruzione morale e l’impreparazione della gerarchia ecclesiastica. La tesi di dottorato si apre con una bibliografia ricca e aggiornata degli studi concernenti il Cappadoce; in essa sono indicati i diversi contributi, cui si fa riferimento nel mio lavoro. Segue un’ampia introduzione che presenta i carmi sotto molteplici aspetti. Dal momento che l’invettiva contro i vescovi costituisce l’argomento principale di entrambi i componimenti, ho approfondito innanzitutto questo aspetto, ripercorrendone le testimonianze nell’esperienza biografica e nell’opera letteraria dell’autore: da quanto emerso, la polemica contro la gerarchia ecclesiastica raggiunge certamente il suo apice negli eventi costantinopolitani, ma non va ad essi circoscritta, dal momento che se ne ha traccia anche negli scritti gregoriani riconducibili ai primi anni del sacerdozio e al periodo successivo al ritorno a Nazianzo. Si è cercato poi di stabilire la data di composizione dei carmi in analisi, che, dati i contenuti, furono sicuramente scritti dall’autore nel periodo di ritorno in patria, fase in cui gli studiosi collocano buona parte della produzione poetica del Cappadoce. Più precisamente ho individuato il terminus post quem nel luglio del 381, mese in cui la cattedra costantinopolitana lasciata vacante dal Nazianzeno fu affidata a Nettario: in entrambi i testi, infatti, si fa riferimento a questo personaggio, sebbene non sia menzionato esplicitamente. Segue un’analisi dettagliata della struttura compositiva e delle tematiche dei carmi, nella quale si mostra come, pur nella loro diversità, le due poesie presentino moltissime consonanze e parallelismi a livello strutturale, in particolare nella parte incipitaria, in cui si registra la condivisione dello stesso verso iniziale, e nella sezione conclusiva. Sempre nell’introduzione è affrontato lo studio della tradizione manoscritta e dei rapporti tra i codici: i carmi in oggetto risultano attestati in 34 manoscritti (di cui 17 fondamentali per la costituzione del testo) databili dall’XI al XVI secolo e riconducibili alle raccolte antiche Σ e Δ, nei quali sono traditi sempre uno di seguito all’altro: nello specifico II,1,13 precede immediatamente II,1,10. La parte centrale della tesi è costituita dal testo critico di ciascun carme, seguito da traduzione e commento. La tesi costituisce il primo lavoro di questo tipo per il carme II,1,13; II,1,10 è stato invece oggetto di studio di due recenti edizioni: quella dei primi undici poemata de seipso del Nazianzeno curata da Tuilier - Bady - Bernardi per LesBL ed edita nel 2004 e un’edizione commentata di Simelidis, pubblicata nel 2009. Suddetti lavori non hanno rappresentato un ostacolo al progetto. Nessuno di essi infatti ha previsto lo studio simultaneo dei due testi poetici, che, a mio giudizio, non possono essere compresi a fondo se svincolati l’uno dall’altro; non sono risultati immuni da pecche sotto il profilo della critica testuale; il commento è assente nell’edizione francese, scarno e non sempre condivisibile in quella del Simelidis. La tesi è infine corredata da tre appendici che permettono di seguire la fortuna dei componimenti poetici. La prima di esse è dedicata al Commentario di Cosma di Gerusalemme ai Carmi del Nazianzeno, collocato tra la fine del VII e inizio l’VIII secolo. Il commentario, tradito da un unico manoscritto, il Vaticanus graecus 1260 del XII secolo, ha visto la sua editio princeps nel 1839 a cura del cardinale Angelo Mai nel secondo volume del suo Spicilegium Romanum, ristampata con lievi modifiche nel volume 38 della Patrologia Graeca. Una più recente edizione è stata curata da Lozza nel 2000. Nell’opera di Cosma vengono analizzati trentaquattro versi di carme II,1,13 e due di carme II,1,10; l’ampiezza delle citazioni va da un minimo di un verso a un massimo di 5. Segue un’appendice dedicata alle parafrasi bizantine, che in alcuni manoscritti contenenti i carmi, accompagnano il testo poetico. Tali spiegazioni in prosa, composte in un momento non precisabile della trasmissione dell’opera gregoriana, sono anonime, di diverso livello letterario e da intendere come un testo in continua evoluzione, oggetto di modifiche da parte di ciascun copista. Nel caso dei testi in oggetto le parafrasi trasmesse sono tre, chiamate, sulla scia di studi precedenti, Paraphr. 1, Paraphr. 2, Paraphr. 3 e delle quali la tesi fornisce l’editio princeps. L’ultima appendice è costituita dalla traduzione latina dei carmi di Giacomo Oliva da Cremona, redatta nella seconda metà del XVI secolo per incarico del Cardinal Guglielmo Sirleto e testimonianza del grande interesse per il Cappadoce in questo periodo storico. Il lavoro dell’Oliva, rimasta inedito per la morte del committente e probabilmente anche per il suo scarso valore letterario, è trasmesso da due manoscritti autografi, il Vaticanus Barberinianus lat. 636 (B) e il Vaticanus lat. 6170 (V) e trova nella tesi la sua editio princeps.
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SCOLARI, BALDASSARE. "State Martyr Representation and Performativity of Political Violence". Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11393/251176.

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L’indagine prende in esame l’uso e la funzione politica della figura del martire nello spazio pubblico contemporaneo. La ricerca, pur nel riferimento consapevole alla consolidata letteratura ormai classica sull'argomento, ha tra i propri riferimenti filosofici specificatamente la teoria del discorso di Michel Foucault, con la sua metodologia dell’analisi discorsiva, e segue un approccio transdiscipli¬nare fra scienze culturali e filosofia. Essa ha come punto di partenza, come caso di studio, la rappresentazione mediale del politico e statista democristiano Aldo Moro quale martire di stato durante e dopo il suo assassinio per opera delle Brigate Rosse nel 1978. La ricerca si sviluppa sulla scorta dell’ipotesi di una connessione fra procedure di legittimazione dell’autorità politica e delle strutture di potere e l’emergere della figura del martire di Stato. Le rappresentazioni martirologiche sono considerate pratiche discorsive performanti, attraverso le quali la morte di Moro viene ad assumere il significato di un martirio per lo Stato, la Repubblica Italiana e i valori democratici. L’ipotesi di lavoro è che, attraverso l’allocazione dello statuto di martire, la morte di Moro acquisisca il significato di un atto (volontario) di testimonianza della verità assoluta e trascendentale dei diritti umani, garantiti dalla costituzione (in particolare articolo 2 della Costituzione Italiana), così come della necessità dello Stato come garante di tali diritti. Attraverso questa significazione, la figura di Moro assurge inoltre a corpo simbolico dello Stato-nazione, legittimando lo stesso e fungendo da simbolo d’identificazione collettiva con la nazione. Si tratta qui di mettere in luce il rapporto intrinseco fra la figura del martire e una narrazione mitologica dello Stato, dove mito sta a indicare un «assolutismo del reale» (Absolutismus der Wirklichkeit). La ricerca vuole altresì mettere in luce la dimensione strumentale delle rappresentazioni martirologiche di Aldo Moro, le quali hanno mantenuto e tuttora mantengono un’efficacia performativa nonostante il chiaro ed evidente rifiuto, espresso da Moro stesso, di essere sacrificato «in nome di un astratto principio di legalità.» La ricerca si propone di dimostrare la valenza di tale ipotesi di lavoro attraverso l’analisi dell’apparizione e diffusione delle rappresentazioni martirologiche di Aldo Moro in forme mediali differenti nell’intervallo temporale di quattro decenni. Il corpus delle fonti preso in esame include: articoli di giornali e riviste, i documenti prodotti da Moro e della Brigate Rosse durante i 55 giorni di sequestro, trasmissioni televisive (documentari e reportage), opere letterarie e cinematografiche. La teoria discorsiva e l’analisi archeologico-genealogica sviluppate da Michel Foucault fungono da base teorico-metodologica del lavoro. Il taglio transdisciplinare dell’indagine rende necessaria la distinzione di due diversi piani di ricerca. In primo luogo, ci si pone come obiettivo di individuare e analizzare le diverse rappresentazioni come elementi di una formazione discorsiva il cui tema comune è la morte di Aldo Moro. Si tratta di operare una ricognizione, attraverso il lavoro empirico, dei modi di rappresentare l’uccisione di Aldo Moro e di individuare le regole che determinano ciò che può essere detto e mostrato a tale riguardo. In secondo luogo, a partire da qui, ci si propone di fare un’analisi critica dell’uso e della funzione del linguaggio e della simbologia di matrice religiosa all’interno della forma¬zione discorsiva presa in esame. L'obiettivo è di mettere così in luce non solo il dispositivo di legittimazione politica che presiede alla costruzione della figura del martire, ma anche la sua polivalenza.
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BULGINI, Giulia. "Il progetto pedagogico della Rai: la televisione di Stato nei primi vent’anni. Il caso de ‹‹L’Approdo››". Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11393/251123.

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Resumen
Non c’è dubbio sul fatto che la RAI, dal 1954 a oggi, abbia contribuito in misura considerevole a determinare la fisionomia dell’immaginario collettivo e dell’identità culturale dell’Italia. Si tratta di un assunto che, a distanza di più di sessant’anni, resta sempre di grande attualità, per chi si occupa della questione televisiva (e non solo). Ma a differenza di quanto avveniva nel passato, quando la tv appariva più preoccupata dei reali interessi dei cittadini, oggi essa sembra rispondere prevalentemente a dinamiche di mercato, in grado di alterarne la funzione etica e sociale. E nonostante il livello di istruzione e di benessere economico si siano evidentemente alzati, in questi ultimi anni si è assistito a programmi di sempre più bassa qualità e in controtendenza a un incremento del potere modellante e suggestivo sull’immaginario dei telespettatori. C’è di più: l’interesse verso la tv ha coinvolto anche gli storici dell’epoca contemporanea, i quali hanno iniziato a prendere coscienza che le produzioni audiovisive sono strumenti imprescindibili per la ricerca. Se si pensa ad esempio al ‹‹boom economico›› del Paese, negli anni Cinquanta e Sessanta, non si può non considerare che la tv, insieme agli altri media, abbia contributo a raccontare e allo stesso tempo ad accelerare i progressi economici e sociali di quell’epoca. Partendo, dunque, dal presupposto che la televisione da sempre esercita un potere decisivo sulla collettività, si è scelto di concentrarsi sulla fase meno indagata della sua storia, quella della televisione delle origini: ‹‹migliore›› perché senza competitor, ‹‹autentica›› perché incontestabile e soprattutto ‹‹pedagogica›› perché è di istruzione e di formazione che, quell’Italia appena uscita dalla guerra, aveva più urgenza. La storia della televisione italiana inizia il 3 gennaio 1954, con la nascita del servizio pubblico televisivo e insieme di un mezzo che, di lì a poco, avrebbe completamente rivoluzionato la società italiana, trasformandola in una civiltà di massa. Si accorciano le distanze territoriali e insieme culturali e la società inizia a omologarsi nei gusti, poi nei consumi e infine nel pensiero. Il punto d’arrivo si colloca negli anni Settanta, quando ha termine il monopolio della RAI, che fino a quel momento era stato visto come il garante del pluralismo culturale. La RAI passa dal controllo governativo a quello parlamentare, mentre si assiste al boom delle televisioni private e alla necessità della tv di Stato di stare al passo con la concorrenza, attraverso una produzione diversa da quella degli esordi. Dunque cambia la tv, come pure cambia la sua funzione e la forma mentis di chi ne detiene le redini. Ne risulta un’indagine trasversale, che passa nel mezzo di molteplici discipline che afferiscono alla materia televisiva e che non evita di porsi quelle domande scomode, necessarie tuttavia a comprendere la verità sugli artefici della prima RAI e sui loro obiettivi. E allora: qual era il valore attribuito alla televisione degli esordi? Era davvero uno strumento pedagogico? Sulla base di quali presupposti? Chi scriveva i palinsesti di quegli anni? Chi e perché sceglieva temi e format televisivi? Chi decideva, in ultima analisi, la forma da dare all’identità culturale nazionale attraverso questo nuovo apparecchio? Il metodo di ricerca si è articolato su tre distinte fasi di lavoro. In primis si è puntato a individuare e raccogliere bibliografia, sitografia, studi e materiale bibliografico reperibile a livello nazionale e internazionale sulla storia della televisione italiana e sulla sua programmazione nel primo ventennio. In particolare sono stati presi in esame i programmi scolastici ed educativi (Telescuola, Non è mai troppo tardi), la Tv dei Ragazzi e i programmi divulgativi culturali. Successivamente si è resa necessaria una definizione degli elementi per l’analisi dei programmi presi in esame, operazione resa possibile grazie alla consultazione del Catalogo multimediale della Rai. In questa seconda parte della ricerca si è voluto puntare i riflettori su ‹‹L’Approdo››, la storia, le peculiarità e gli obiettivi di quella che a ragione potrebbe essere definita una vera e propria impresa culturale, declinata in tutte le sue forme: radiofonica, di rivista cartacea e televisiva. In ultimo, sulla base dell’analisi dei materiali d’archivio, sono state realizzate interviste e ricerche all’interno dei palazzi della Rai per constatare la fondatezza e l’attendibilità dell’ipotesi relativa agli obiettivi educativi sottesi ai format televisivi presi in esame. Le conclusioni di questa ricerca hanno portato a sostenere che la tv delle origini, con tutti i suoi limiti, era uno strumento pedagogico e di coesione sociale. E se ciò appare come un aspetto ampiamente verificabile, oltreché evidente, qualora si voglia prendere in esame la televisione scolastica ed educativa di quegli anni, meno scontato risulta invece dimostrarlo se si decide – come si è fatto – di prendere in esame un programma divulgativo culturale come ‹‹L’Approdo››, che rientra nell’esperienza televisiva definita di ‹‹educazione permanente››. Ripercorrere la storia della trasmissione culturale più longeva della tv italiana degli esordi, per avvalorarne la funzione educativa, si è rivelata una strada interessante da battere, per quanto innegabilmente controversa, proprio per il principale intento insito nella trasmissione: diffondere la cultura ‹‹alta›› a milioni di telespettatori che erano praticamente digiuni della materia. Un obiettivo che alla fine della disamina si è rivelato centrato, grazie alla qualità della trasmissione, al suo autorevole e prestigioso groupe d'intellectuels, agli ascolti registrati dal ‹‹Servizio Opinioni›› e alla potenzialità divulgativa e penetrante della tv, nel suo saper trasmettere qualunque tematica, anche quelle artistiche e letterarie. Dunque se la prima conclusione di questo studio induce a considerare che la tv del primo ventennio era pedagogica, la seconda è che ‹‹L’Approdo›› tv di questa televisione fu un’espressione felice. ‹‹L’Approdo›› conserva ancora oggi un fascino innegabile, non foss’altro per la tenacia con la quale i letterati difesero l’idea stessa della cultura classica dal trionfo lento e inesorabile della società mediatica. Come pure appare ammirevole e lungimirante il tentativo, mai azzardato prima, di far incontrare la cultura con i nuovi media. Si potrebbe dire che ‹‹L’Approdo›› oggi rappresenti una rubrica del passato di inimmaginata modernità e, nel contempo, una memoria storica, lunga più di trent’anni, che proietta nel futuro la ricerca storica grazie al suo repertorio eccezionale di immagini e fatti che parlano di arte, di letteratura, di cultura, di editoria e di società e che raccontano il nostro Paese e la sua identità culturale, la stessa che la televisione da sempre contribuisce a riflettere e a delineare. Lo studio è partito da un’accurata analisi delle fonti, focalizzando l’attenzione, in primo luogo, sugli ‹‹Annuari della Rai›› (che contengono le Relazioni del Cda Rai, le Relazioni del Collegio Sindacale, i Bilanci dell’Esercizio e gli Estratti del Verbale dell’Assemblea Ordinaria). Altre fonti prese in esame sono gli stati gli opuscoli di ‹‹Servizio Opinioni››, le pubblicazioni relative a studi e ricerche in materia di televisione e pedagogia e le riviste edite dalla Rai Eri: ‹‹Radiocorriere tv››, ‹‹L’Approdo Letterario››, ‹‹Notizie Rai››, ‹‹La nostra RAI››, ‹‹Video››. Negli ultimi anni la Rai ha messo a disposizione del pubblico una cospicua varietà di video trasmessi dalle origini a oggi (www.techeaperte.it): si tratta del Catalogo Multimediale della Rai, che si è rivelato fondamentale al fine della realizzazione della presente ricerca. Altre sedi indispensabili per la realizzazione di questa ricerca si sono rivelate le due Biblioteche romane della Rai di Viale Mazzini e di via Teulada.
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Libros sobre el tema "TRASMISSIONE DEI VALORI"

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Augusto, Palmonari y Sciolla Loredana, eds. La socializzazione flessibile: Identità e trasmissione dei valori tra i giovani. Bologna: Il mulino, 2006.

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Guerrini, Mauro. De bibliothecariis. Editado por Tiziana Stagi. Florence: Firenze University Press, 2017. http://dx.doi.org/10.36253/978-88-6453-559-3.

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Nell’attività del bibliotecario la dimensione tecnica, essenziale per lavorare con competenza, non può prescindere o separarsi dall’impegno, dall’attenzione ai diritti civili e al modo in cui questi vengono vissuti e praticati nell’ambito della comunità di appartenenza. Garantire l’accesso alle informazioni non può essere limitato alla ‘nostra’ biblioteca, ma dev’essere una responsabilità che riguarda il territorio dove viviamo e dove operiamo, guardando ai nostri colleghi che possono trovarsi in situazioni più difficili della nostra e soprattutto alle persone che si trovano in difficoltà nell’esercitare i propri diritti. L’auspicio è che la trasmissione della conoscenza registrata contribuisca sempre più alla libertà, ai diritti, al benessere di tutti. Quando si capirà che investire in biblioteche significa investire per la democrazia, lo sviluppo economico e la qualità della vita? Il quadro di riferimento per comprendere e interpretare le problematiche delle biblioteche è, come sempre, quello del confronto con le tradizioni bibliotecarie internazionali, a partire dal continente europeo, proprio perché la professione ha oggi un impianto teorico e una dimensione operativa di valore globale.
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