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Piliu, Salvatore. "Il diritto delle comunità umane intenzionali: nuovi ordinamenti giuridici?" Zeszyty Naukowe KUL 60, n.º 3 (28 de octubre de 2020): 349–56. http://dx.doi.org/10.31743/zn.2017.60.3.349-356.

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Il presente intervento si propone di analizzare dal punto di vista giuridico il nuovo fenomeno, oramai globalizzato, delle comunità umane intenzionali, con l’intento di comprendere se queste nuove tipologie di aggregazione di individui possano essere considerate come forme alternative di collettività organizzate produttive di modelli giuridici differenti rispetto a quelli tradizionali, ovvero capaci di dar vita a nuovi ordinamenti giuridici, partendo dall’assunto ubi societas, ibi ius. Partendo dalle definizioni elaborate nel campo della sociologia giuridica di comunità e di comunità intenzionali, si è poi analizzata la problematica inerente la capacità delle comunità intenzionali di produrre regole giuridiche da applicare ai componenti delle comunità. È stata poi esaminata l’organizzazione giuridica della Comunità di Damanhur, situata in Piemonte (Italia), in cui vi sono norme interne di diritto privato e di diritto pubblico che regolano la vita dei consociati, un vero e proprio sistema giuridico interno della Comunità, che pone non pochi problemi nel rapporto con il diritto italiano. Il nuovo progetto di legge presentato nel 2017 al Parlamento italiano, in merito al riconoscimento giuridico delle Comunità intenzionali, potrebbe regolare in maniera definitiva questa materia, ovvero i rapporti tra Comunità e Stato di appartenenza, con il conseguente riconoscimento della esistenza di ‘ordinamenti giuridici autonomi’ facenti capo alle Comunità intenzionali.
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2

Atighetchi, Dariusch. "Le leggi sull’aborto in alcuni Stati musulmani: tra diritto islamico e diritto positivo". Medicina e Morale 47, n.º 5 (31 de octubre de 1998): 969–88. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1998.821.

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Le posizioni elaborate nel corso dei secoli in campo giuridico nel mondo islamico sulla liceità e i limiti dell’interruzione di gravidanza sono molto complesse e hanno come riferimento le fonti canoniche della Sharia (la Legge islamica) e , qualora queste non rispondano in maniera esaustiva su un determinato tema, i riferimenti principali sono i dottori della Legge islamica i quali offrono dei responsi giuridici che non sono strettamente vincolanti per i richiedenti. Storicamente le riflessioni giuridiche sull’interruzione volontaria di gravidanza ruotano attorno a te “pilastri” fondamentali: l’infusione dell’anima che, in base al Corano, viene trasmessa al 120°giorno dalla fecondazione, il fatto che il diritto classico puniva penalmente il procurato aborto, l’approvazione della tradizione giuridica dell’aborto terapeutico in quanto tutelava in primo luogo la vita della madre. In seguito, l’Autore analizza le legislazioni di alcuni stati musulmani (Tunisia, Kuwait, Egitto, Pakistan, Iran, Arabia Saudita, Bahrain, Algeria), sottolineando che la Sharia (la Legge islamica) costituisce la fonte principali delle leggi statali.
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Guarnieri, Carlo y Patrizia Pederzoli. "L'ESPANSIONE DEL POTERE GIUDIZIARIO NELLE DEMOCRAZIE CONTEMPORANEE". Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 26, n.º 2 (agosto de 1996): 269–315. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200024242.

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In una recente rassegna dei rapporti fra magistratura e politica – dal significativo titolo «L'espansione globale del potere giudiziario» (Tate e Vallinder 1995) – si è giunti parlare di un processo di «giudiziarizzazione della politica» che interessa ormai tutti i regimi democratici, e cioè di un'«espansione del raggio d'azione dei tribunali o dei giudici a spese dei politici e/o degli amministratori: in altre parole lo spostamento dei diritti di decisione dal legislativo, il governo o l'amministrazione verso i tribunali» (Vallinder 1995, 13). Le ragioni di questo fenomeno sono numerose e vanno collegate a tendenze di lungo periodo che si manifestano, ma con maggior o minor forza, in tutti i regimi democratici (Pederzoli 1990). In realtà, non si tratta di un fenomeno del tutto nuovo in paesi come gli Stati Uniti, ma di recente si è manifestato anche nelle democrazie dell'Europa latina: Spagna, Francia e soprattutto Italia. Per comprendere le ragioni alla base di questa nuova rilevanza dell'azione giudiziaria analizzeremo questi tre casi insieme a Stati Uniti – un sistema politico da sempre contraddistinto da un notevole attivismo giudiziario – Inghilterra e Germania, due paesi che, pur appartenendo a due diverse tradizioni giuridiche – rispettivamente dicommonecivil law– sono stati caratterizzati, almeno fino ad oggi, da una minore propensione della magistratura a intervenire nel processo politico1.
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Gambino, Silvio. "Metodo comparativo e tradizioni costituzionali comuni". CITTADINANZA EUROPEA (LA), n.º 1 (agosto de 2021): 63–97. http://dx.doi.org/10.3280/ceu2021-001003.

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Muovendo da una recente ricerca sistemologica e dal dibattito sul metodo comparativo, il contributo propone previamente una riflessione sulla validità euristica delle categorie tipolo-giche del diritto comparato privato e pubblico, e sulla loro utilizzabilità nell'indagine dei fenomeni di trans-nazionalizzazione e di globalizzazione. Nella stessa prospettiva, l'analisi si sofferma sui tentativi di "deformalizzazione' della scienza giuridica classica (soprattutto costituzionale), nella prospettiva di un approccio realista maggiormente attento alle tematiche del diritto vivente e dei soggetti concreti dell'ordinamento giuridico. L'analisi affronta quindi le tematiche che hanno caratterizzato la formazione del diritto primario dell'Unione e al suo interno l'apporto della Corte di giustizia al riconoscimento per via giurisprudenziale di diritti fondamentali al livello europeo, avvalendosi a tal fine delle "tradizioni costituzionali comuni agli stati membri dell'Unione". Nelle conclusioni si propone, infine, un interrogativo relativo al diritto di formazione giurisprudenziale della Unione in materia di tutela dei diritti fondamentali. Tale formazione porta infatti a chiedersi, in chiave sistemologica, se si tratti di una peculiarità dell'ordinamento europeo, ovvero di un caso esemplare (case study) destinato a influenzare, se non anche l'origine, gli sviluppi degli ordinamenti giuridici a livello globale in questa materia.
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Magnolo, Stefano y Alessandro Taurino. "Il Diritto, La Scienza e La Tecnologia". Revista Opinião Jurídica (Fortaleza) 16, n.º 23 (1 de julio de 2018): 13. http://dx.doi.org/10.12662/2447-6641oj.v16i23.p13-27.2018.

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Le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione giocano un ruolo rilevante per i sistemi sociali coinvolti. Per questo la descrizione teorica della società non può trascurare la dipendenza sempre maggiore della società moderna dalla tecnologia. Il nostro articolo si prefigge l’obiettivo di esaminare il progresso tecnologico dal punto di vista della evoluzione degli strumenti giuridici regolativi delle nuove tecnologie. Si tratta di un punto di vista sociologico-giuridico dove è in gioco la dinamica dell’evoluzione del diritto rispetto alla evoluzione della società. Diversamente da altri settori del diritto, esempio classico il diritto di famiglia, qui non c’è una tradizione consolidata alla quale riferirsi o da rigettare. Ciò significa che le soluzioni devono essere “inventate” alla luce di paradigmi nuovi che, pur facendo appello a figure giuridiche fondamentali, abbiano una capacità visionaria, siano cioè, come dice Luhmann, “gravidi di futuro”. Il nostro discorso partirà dunque da un inquadramento teorico generale delle dinamiche diritto-tecnologia-società per concludere avendo come riferimento il caso specifico della intelligenza artificiale.
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Herranz, Julián. "Il rapporto tra Etica e Diritto nella Enciclica Evangelium vitae". Medicina e Morale 48, n.º 3 (30 de junio de 1999): 445–67. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1999.798.

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In questo articolo l’Autore ha voluto sottolineare l’importanza dell’Enciclica Evangelium Vitae nel risvegliare le coscienze contro uno dei più gravi capovolgimenti etici e giuridici della storia umana. L’intento è quello di esaminare tre questioni: 1) risalire alle basi sulle quali si fondava e si fonda il postulato giuridico e morale dell’inalienabilità del diritto alla vita dell’uomo innocente e, soprattutto, del concepito; 2) stabilire le cause che hanno portato ad una legislazione permissiva dell’aborto ed ad altri attentati contro la dignità dell’uomo e della vita umana (eutanasia, manipolazioni di geni ed embrioni…); 3) valutare quali siano i motivi filosofici e biologici la cui presa di coscienza sembri più necessaria per la tutela del diritto alla vita. Intento dell’Autore è, per ciò che riguarda il diritto alla vita, sottolineare l’importanza che il principio di non discriminazione, basato su quello dell’uguaglianza, venga applicato all’“essere umano”, all’“individuo umano” e non soltanto alla “persona giuridicamente riconosciuta”. L’articolo si sofferma, inoltre, ad illustrare la grande tradizione del diritto alla vita, il preoccupante regresso della civiltà giuridica, la necessità di un più stretto rapporto tra Diritto e Morale e Biologia e Morale (come campi di ricerca e di impegno intellettuale a difesa della vita).
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Alcantara, Carlos Humberto Durand de. "La Tradizione Giuridica Indigena". Seqüência: Estudos Jurídicos e Políticos 35, n.º 68 (20 de junio de 2014): 19. http://dx.doi.org/10.5007/2177-7055.2013v35n68p19.

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Somma, Alessandro. "Tradizione giuridica occidentale e modernizzazione latinoamericana". Rechtsgeschichte - Legal History 2012, n.º 20 (2012): 190–207. http://dx.doi.org/10.12946/rg20/190-207.

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Tucci, Giuseppe. "La discriminazione contro il disabile: i rimedi giuridici". GIORNALE DI DIRITTO DEL LAVORO E DI RELAZIONI INDUSTRIALI, n.º 129 (marzo de 2011): 1–28. http://dx.doi.org/10.3280/gdl2011-129001.

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La discriminazione contro i disabili ha una storia particolare nella nostra esperienza giuridica, in quanto viene fatta oggetto di sanzioni solo molto tempo dopo che erano state eliminate le altre tradizionali forme di discriminazione, come, ad esempio, quella contro le donne. Anche le norme costituzionali, che rendevano certamente illegittime quelle discriminazioni (artt. 2, 3, 4, 32, 35, etc. Cost.), sono state lette in funzione della tutela del disabile solo negli anni '90 del secolo scorso, quando la nostra legislazione ordinaria č stata costretta ad adeguarsi al diritto europeo. Infatti, soltanto l'art. 16 della l. 12 marzo 1999, n. 68, ha abrogato la norma del t.u. sul pubblico impiego che prevedeva la «sana e robusta costituzione» come astratto e generale requisito di accesso al pubblico impiego medesimo, cosě come soltanto nel 2003, in attuazione di precise direttive europee, l'art. 15 st. lav. č stato riformato in modo da qualificare come illegittima la discriminazione contro il disabile nel rapporto di lavoro privato. Oggi la tutela del disabile si realizza a livelli multipli. Infatti, vi č una tutela di diritto interno, una tutela di diritto internazionale, in base alla Convenzione delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2006, una tutela di diritto dell'Unione europea in senso stretto ed una tutela basata sulla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Malgrado tale pluralismo delle fonti delle differenti discipline giuridiche, solo l'intervento delle diverse Corti, come la Corte costituzionale, quella di Lussemburgo e quella di Strasburgo, in costante dialogo tra loro, riesce a tutelare il disabile di fronte alle nuove forme di discriminazioni, come quelle razziali, che spesso hanno ad oggetto, in particolare nella nostra esperienza giuridica, disabili extracomunitari.
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Nagy, József. "Claudia Di Fonzo, Dante e la tradizione giuridica". Forum Italicum: A Journal of Italian Studies 51, n.º 3 (6 de julio de 2017): 814–16. http://dx.doi.org/10.1177/0014585817715410.

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Icolari, Maria assunta. "IL FENOMENO FISCALE ITALIANO AL TEMPO DELLA CRISI DELLE CONCEZIONI GIURIDICHE TRADIZIONALI". Revista da Faculdade Mineira de Direito 21, n.º 42 (16 de julio de 2019): 131–48. http://dx.doi.org/10.5752/p.2318-7999.2018v21n42p131-148.

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La disamina muove dal bisogno di una profonda riflessione del sistema tributario italiano dopo che la stagione della crisi, politica ma anche economica, ha sortito i suoi effetti sia sul rapporto mai paritario tra Amministrazione finanziaria e contribuente che sulla nozione di tributo. Pertanto oggetto di attenzione sono per un verso le problematiche legate alla mancanza sia di un vero e paritario contraddittorio nell’azione tributaria, per cui l’Amministrazione fiscale spesso è in una posizione di intollerabile supremazia, sia di un vero coordinamento con il diritto penale; per altro verso del bisogno di adeguare la nozione di tributo agli indirizzi che provengono dal giudice costituzionale.
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Colao, Floriana. "La sovranità della Chiesa cattolica e lo Stato sovrano. Un campo di tensione dalla crisi dello Stato liberale ai Patti Lateranensi, con un epilogo nell'articolo 7 primo comma della Costituzione". Italian Review of Legal History, n.º 8 (21 de diciembre de 2022): 257–312. http://dx.doi.org/10.54103/2464-8914/19255.

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Il saggio ricostruisce la genesi della ‘Premessa’ al Trattato del Laterano del 1929, in cui le Due Alte Parti – governo italiano e Santa Sede, con le firme di Mussolini e del cardinale Gasparri – garantirono alla Chiesa «una sovranità indiscutibile pur nel campo internazionale». Da qui la «necessità di costituire, con particolari modalità, la Città del Vaticano […] con giurisdizione sovrana della Santa Sede», e l’art. 2, «l’Italia riconosce la sovranità della Santa Sede nel campo internazionale come attributo inerente alla sua natura, in conformità alla sua tradizione ed alle esigenze della sua missione». Il saggio considera che i giuristi – Vittorio Emanuele Orlando, che, da presidente del Consiglio nel maggio giugno 1919 tentò una trattativa con la Santa Sede per la risoluzione della Questione romana, e Amedeo Giannini, che tra i primi suggerì a Mussolini un «nuovo codice della legislazione ecclesiastica» – legarono la Conciliazione alla crisi dello Stato liberale ed al «regime diverso», insediatosi in Italia il 28 Ottobre 1922. Il saggio considera che già nel 1925 il guardasigilli Alfredo Rocco coglieva nelle ‘due sovranità’ una pietra d’inciampo nella costruzione dello Stato totalitario, anche se dichiarava di dover abbandonare l’«agnostico disinteresse del vecchio dottrinarismo liberale». Il saggio considera che Rocco rimase ai margini delle trattative con la Santa Sede, dal momento che metteva in guardia dal riconoscimento del «Pontefice sovrano, soggetto di diritto internazionale», e da «un altro Stato nello Stato», principio su cui convergevano giuristi quali Ruffini, Scaduto, Schiappoli, Orlando. Le trattative segrete furono affidate a Domenico Barone – consigliere di Stato, fiduciario del Duce – e Francesco Pacelli, avvocato concistoriale e fiduciario del cardinal Gasparri; la sovranità della Chiesa ed un suo ‘Stato’ appariva come la posta in gioco. Il saggio considera che la nascita dello Stato della Città del Vaticano complicava l’‘immagine’ del Regno d’Italia persona giuridica unitaria, ‘costruita’ dalla giuspubblicistica nazionale, difesa anche da Giovanni Gentile sul «Corriere della Sera». Mostra che il fascismo intese riconoscere il cattolicesimo «religione dominante dello Stato» per rafforzare la legge 13 Maggio 1871 n. 214, «sulle guarentigie pontificie e le relazioni fra Stato e Chiesa», che aveva previsto un favor religionis per la Chiesa cattolica. La Conciliazione risalta come l’approdo di un lungo processo storico, che offriva forma giuridica al ruolo che il cattolicesimo aveva e avrebbe rivestito per l’identità italiana; non a caso nel Marzo 1929 Agostino Gemelli celebrava una «nuova Italia riconciliata con la Chiesa e con sè stessa, con la propria storia e la propria bimillenaria civiltà». Il saggio mostra che la sovranità della Chiesa e lo Stato della Città del Vaticano furono molto discusse nel dibattito parlamentare sulla ratifica dei Patti firmati l’11 Febbraio 1929, con i toni duri di Mussolini, che definì la Chiesa «non sovrana e nemmeno libera». Rocco affermò che il «regime fascista» riconosceva «de iure» una sovranità «immutabile de facto»; rispondeva agli «improvvisati e non sinceri zelatori dello Stato sovrano, ma anticlericale», che «lo Stato è fascista, non abbandona parte alcuna della sua sovranità». Jemolo e Del Giudice – estimatori delle « nuove basi del diritto ecclesiastico – colsero il senso di questa «pace armata» tra governo e Santa Sede. Il saggio esamina l’ampio dibattito sulla «natura giuridica» della sovranità della Chiesa e sulla «statualità» dello Stato della Città del Vaticano, tra diritto pubblico, ecclesiastico, internazionale, teoria generale dello Stato. Coglie uno snodo nel pensiero di Santi Romano, indicato da Giuseppe Dossetti alla Costituente come assertore del «principio della pluralità degli ordinamenti giuridici». Il saggio esamina poi il confronto sullo Stato italiano come Stato confessionale, teoria sostenuta da Santi Romano, negata da Francesco Scaduto. Taluni – Calisse, Solmi, Checchini, Schiappoli – guardavano ai Patti Lateranensi come terreno del rafforzamento della sovranità dello Stato; Meacci scriveva di «Stato superconfessionale, cioè al di sopra di tutte le confessioni»; Piola e Del Giudice tematizzavano uno «Stato confessionista». Jemolo – che nel 1927 definiva la «sovranità della Chiesa questione forse insolubile» – affermava che, dopo gli Accordi, «il nostro Stato non sarà classificabile tra i Paesi separatisti, ma tra quelli confessionali». Il saggio esamina poi il dibattito sulla sovranità internazionale della Chiesa – discussa, tra gli altri, da Anzillotti, Diena, Morelli – a proposito della distinzione o unità tra la Santa Sede e lo Stato Città del Vaticano – prosecuzione dello Stato pontificio o «Stato nuovo» – e della titolarità della sovranità. Il saggio si sofferma poi sul dilemma di Ruffini, «ma cos’è precisamente questo Stato», analizzando uno degli ultimi scritti del maestro torinese, il pensiero di Orlando, Jemolo, Giannini, una monografia di Donato Donati e una di Mario Bracci, due dense «Lectures» di Mario Falco sul Vatican city, tenute ad Oxford, Ordinamento giuridico dello Stato della Città del Vaticano di Federico Cammeo, in cui assumeva particolare rilievo la «sovranità, esercitata dal Sommo Pontefice», per l’«importanza speciale» nei «rapporti con l’Italia». Quanto agli ecclesiasticisti, il saggio esamina le prospettive poi sviluppate nell’Assemblea Costituente, uno scritto del giovane Giuseppe Dossetti – docente alla Cattolica – sulla Chiesa come ordinamento giuridico primario, connotato da sovranità ed autonomia assoluta non solo in spiritualibus; le pagine di Jannaccone e D’Avack sulla «convergenza tra potestas ecclesiastica e sovranità dello Stato come coesistenza necessaria della Chiesa e dello Stato e delle relative potestà»; un ‘opuscolo’ di Jemolo «per la pace religiosa in Italia», che nel 1944 poneva la libertà come architrave di nuove relazioni tra Stato e Chiesa. Il saggio conclude il percorso della «parola sovranità» – così Aldo Moro all’Assemblea Costituente – nell’esame del sofferto approdo all’articolo 7 primo comma della Costituzione, con la questione definita da Orlando «zona infiammabile». Sull’‘antico’ statualismo liberale e sul ‘monismo giuridico’ si imponeva il romaniano pluralismo; Dossetti ricordava la «dottrina dell’ultimo trentennio contro la tesi esclusivista della statualità del diritto». Rispondeva alle obiezioni dei Cevolotto, Calamandrei, Croce, Orlando, Nenni, Basso in nome di un «dato storico», «la Chiesa cattolica […] ordinamento originario […] senza alcuna compressione della sovranità dello Stato». Quanto al discusso voto comunista a favore dell’art. 7 in nome della «pace religiosa», Togliatti ricordava anche le Dispense del 1912 di Ruffini – imparate negli anni universitari a Torino – a suo dire ispiratrici della «formulazione Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani». Tra continuità giuridiche e discontinuità politiche, il campo di tensione tra ‘le due sovranità’ si è rivelato uno degli elementi costitutivi dell’identità italiana, nel segnare la storia nazionale dei rapporti tra Stato e Chiesa dall’Italia liberale a quella fascista a quella repubblicana, in un prisma di temi-problemi, che ancora oggi ci interroga.
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Coccopalmerio, Domenico. "Globalizzazione giuridica e costituzione afgana". FUTURIBILI, n.º 1 (marzo de 2011): 178–86. http://dx.doi.org/10.3280/fu2011-001012.

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L'Autore presenta i caratteri e il significato delle costituzioni che i re e i presidenti dell'Afghanistan hanno elaborato, per porre l'attenzione sull'ultima Costituzione del 2004 che cerca di sintetizzare tradizione e modernitŕ della societŕ afgana. La prima Costituzione afgana risale al 1923, promulgata dal re Amanullah. La proposta dello stato, avanzata da questa Costituzione, č quella monarchica. La seconda Costituzione č del 1931, ed č promulgata da Mohammad Khan, ed č chiamata Usulmana- a asasi. Essa comincia con l'invocazione "Nel nome di Allah il piů misericordioso". La terza Costituzione č del 1964, ed č intitolata "Qamu-e asasi". Č una costituzione piů moderna delle precedenti e vuole essere la "legge statale". Nel 1977 viene discussa ed emanata una nuova Costituzione, in seguito alla risoluzione del 1973 di Daoud, appoggiato da esercito e partiti marxisti. Tale Costituzione č centrata sul Presidente della repubblica. L'Autore tuttavia mette in risalto e discute la Costituzione del 2004, in quanto "globalizzazione giuridica", che risulta stratificata in tre parti; infatti vi č un frontespizio di carattere teologico: la religione di stato č l'Islam, e nessuna legge puň essere contraria ai principi della religione islamica. La seconda parte č lo scheletro istituzionale, che č fondato sui principi illuministici e gallicani delle costituzioni occidentali. Poi vi č la terza parte che regola la societŕ civile. Fra i tre modelli in realtŕ, come detto, il prevalente č quello religioso. Su questa Costituzione basa il suo potere anche Hamid Karzai.
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Condello, Angela. "Per esempio". Revista do Direito, n.º 35 (22 de enero de 2011): 37–54. http://dx.doi.org/10.17058/rdunisc.v0i35.2451.

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Analogia, paradigma ed esemplarità condividono un’origine comune e suggestiva. Aristotele usa il termine “paradigma” per descrivere ciò che in seguito la tradizione filosofica ha chiamato “analogia”. Questi tre dispositivi argomentativi sono da collocare nello spazio intermedio fra pratica e teoria nel diritto. In questo articolo discuto il fatto che si possa stabilire definitivamente se essi dimostrino la prevalenza della teoria sulla pratica o viceversa –il che richiama il dibattito diffuso nel contesto del realismo giuridico americano sulla questione se il diritto consista in esperienza (practice) o in logica. La tesi conclusiva é che sia pressoché impossibile stabilire l’origine della paradigmaticità.
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Garofalo, Mario Giovanni. "Per una teoria giuridica del contratto collettivo. Qualche osservazione di metodo". GIORNALE DI DIRITTO DEL LAVORO E DI RELAZIONI INDUSTRIALI, n.º 132 (noviembre de 2011): 515–42. http://dx.doi.org/10.3280/gdl2011-132001.

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Il saggio esamina problemi tradizionali della disciplina del contratto collettivo, quali l'efficacia soggettiva e l'effetto inderogabile, e problemi sollevati da fenomeni nuovi, quali la contrattazione gestionale, l'integrazione tra legge e contratto collettivo, la contrattazione collettiva nel pubblico impiego. La disamina č condotta alla luce della proposta metodologica secondo la quale una teoria del contratto collettivo non č esaustiva se si muove unicamente all'interno dell'ordinamento statuale, ma deve contenere (e spiegare) la dialettica tra fatto socialmente tipico e sua rappresentazione in tale ordinamento.
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Manzin, Maurizio. "Ethos e nomos. nell'ordinamento militare". DIRITTO COSTITUZIONALE, n.º 1 (marzo de 2022): 117–46. http://dx.doi.org/10.3280/dc2022-001006.

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L'ambito delle missioni internazionali ha modificato la dimensione dell'ethos militare, introducendo elementi (es. tutela dei diritti umani) non espressamente previsti in Costituzione. Dal punto di vista filosofico, occorre comprendere se si tratti di espressioni etiche affatto nuove, ovvero di un ampliamento di valori-base già presenti nella tradizione militare nazionale. Dal punto di vista filosofico-giuridico, occorre comprenderne gli effetti nel quadro della regolazione vigente (nomos): codice, regolamenti, giustizia militare. L'articolo tenta una breve analisi di questa complessità a partire da alcuni luoghi caratteristici (sacralità della funzione difensiva, gerarchia e disciplina, spirito di corpo, onore, eroismo), affrontando poi la questione delle norme costituzionali e dell'attuale percezione dello status miliare.
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Labruna, Luigi. "Tra Europa e América Latina; principi giuridici, tradizione romanistica e 'humanitas' del diritto". Revista da Faculdade de Direito, Universidade de São Paulo 99 (1 de enero de 2004): 61. http://dx.doi.org/10.11606/issn.2318-8235.v99i0p61-84.

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Bettarini, Francesco. "Notai-cancellieri nella Dubrovnik tardo medievale". Italian Review of Legal History, n.º 7 (22 de diciembre de 2021): 691–718. http://dx.doi.org/10.54103/2464-8914/16906.

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La connessione tra la scrittura pubblica e la figura del notaio nella città di Ragusa (Dubrovnik) è l’argomento principale di questo contributo. Centro urbano posto all’esterno della giurisdizione del Sacro Romano Impero, l’evoluzione della pratica notarile conobbe qui percorso divergenti dal modello ideato dalla scuola giuridica bolognese, sebbene il peso della sua influenza raggiungesse anche le città della costa dalmata. Il risultato più evidente di questa tradizione peculiare fu l’assimilazione del notariato e del cancellierato all’interno di una sola figura professionale, assorbita all’interno della burocrazia dello stato. In ragione della loro esperienza e formazione maturata presso gli studi universitari, il governo raguseo decise alla fine del XIII secolo di affidare l’ufficio notarile ai soli notai italiani.
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Palazzolo, Maria Iolanda. "Chi č l'autore dell'Indice? Santa Sede e diritto d'autore nell'Italia liberale". SOCIETÀ E STORIA, n.º 132 (julio de 2011): 277–300. http://dx.doi.org/10.3280/ss2011-132003.

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Il saggio si propone di ricostruire, attraverso l'analisi delle fonti inedite dell'Archivio della Congregazione dell'Indice e del dibattito coevo, una singolare controversia che alla fine dell'ottocento vede contrapposti gli interessi della Santa Sede, che rivendica il diritto d'autore sulle pubblicazioni ecclesiastiche - tra cui l'- e quelli di alcuni editori cattolici, che al contrario affermano il loro pieno diritto di riprodurre e diffondere testi della tradizione cattolica. La questione, che coinvolge personaggi notissimi della cultura giuridica e dell'editoria nazionale, avrÀ un interessante sviluppo giudiziario. Sullo sfondo, sia il conflitto Stato Chiesa dopo l'UnitÀ che la nuova normativa italiana sul diritto d'autore, spesso largamente disattesa e causa di numerosi conflitti tra otto e novecento.
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Piccioni, Sara, Mariapia D’Angelo y Maria Chiara Ferro. "I Corpora SEAH di comunicazione specializzata nel settore dell’Architettura e delle Costruzioni". Linguistica 61, n.º 2 (30 de diciembre de 2021): 97–122. http://dx.doi.org/10.4312/linguistica.61.2.97-122.

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La mancanza di competenze nel linguaggio accademico-disciplinare costituisce spesso un ostacolo alla mobilità degli studenti. Questo è particolarmente vero nel campo dell’Architettura e delle Costruzioni (AC), in cui il percorso formativo comprende una serie di sotto-domini tecnici che sono spesso definiti da pratiche professionali, tradizioni culturali e quadri giuridici specifici di un dato paese. Con l’obiettivo di favorire la partecipazione ai programmi di scambio, il progetto Erasmus+ SEAH (Sharing European Architectural Heritage: Innovative language teaching tools for academic and professional mobility in Architecture and Construction) mira a creare corpora specializzati nel campo dell’AC e moduli linguistici open access basati sui suddetti corpora in lingua francese, tedesca, italiana, russa e spagnola. Il contributo presenta il quadro teorico di riferimento, le metodologie e le finalità del progetto SEAH, soffermandosi sui criteri e sulle procedure generali del corpus design, con esemplificazioni della compilazione e impiego dei corpora per la lingua spagnola, italiana e russa.
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Mainini, Lorenzo. "Intorno al Livre la Roine (Paris, BNF, fr. 5245). Tradizione e redazione d’un libro giuridico duecentesco". Revue d'Histoire des Textes 13 (enero de 2018): 331–53. http://dx.doi.org/10.1484/j.rht.5.114893.

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Bellucci, Andrea, Ilario Favaretto y Germana Giombini. "Imprese innovative ed accesso al credito. Un'indagine empirica". ARGOMENTI, n.º 36 (enero de 2013): 5–27. http://dx.doi.org/10.3280/arg2012-036001.

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Resumen
Questo lavoro mira ad analizzare l'accesso al credito delle imprese innovative testando l'impatto della natura innovativa delle imprese: (a) sul costo del credito bancario; (b) sulla probabilità di restrizione del credito. L'analisi empirica utilizza le informazioni ottenute dall'unificazione di due database distinti e di diversa derivazione. Il primo database contiene informazioni di natura finanziaria su oltre 15.000 linee di credito concesse da un'istituzione bancaria ad imprese di diversa tipologia dimensionale e giuridica operanti in 23 settori industriali. Il secondo database identifica le imprese che svolgono attività innovativa. Le stime econometriche mostrano che le imprese innovative hanno una minor probabilità di restrizione del credito rispetto a quelle tradizionali. L'innovazione si potrebbe dunque configurare una via per il superamento del credit crunch. Classificazione
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Davidde Elio. "Il riconoscimento dell'autorità accessoria della FCC da parte della Corte Suprema degli Stati Uniti: convergenza con l'applicazione della teoria dei poteri impliciti nel diritto brasiliano". International Journal of Science and Society 4, n.º 4 (14 de octubre de 2022): 40–49. http://dx.doi.org/10.54783/ijsoc.v4i4.550.

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Resumen
Questo rapporto mette a confronto gli istituti di autorità accessorie ei poteri impliciti nello sviluppo della teoria sulle competenze amministrative delle agenzie di regolamentazione brasiliane. La definizione della giurisdizione accessoria della FCC è stata descritta sulla base delle sentenze della Corte Suprema degli Stati Uniti e della Corte d'Appello del Distretto di Columbia. Sono state presentate lezioni dottrinali e dichiarazioni dei Ministri della Corte Suprema Federale brasiliana sul riconoscimento dei poteri impliciti al necessario adempimento dei doveri legali. Risultati – È stata dimostrata la confluenza di questi due filoni teorici per il riconoscimento di competenze non direttamente espresse dalle agenzie di regolamentazione. L'opera contribuisce al riconoscimento delle competenze dell'agenzia di regolamentazione delle telecomunicazioni brasiliana che, sebbene non espressamente previste, emergono come un imperativo per l'adempimento delle responsabilità direttamente attribuite dalla legge a tale autarchia. L'articolo presenta un istituto giuridico attuale di tradizione nordamericana la cui applicazione all'area delle telecomunicazioni brasiliana non è ancora risolta, nonostante la sua compatibilità con concetti già accettati nel diritto brasiliano.
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Ranieri, Filippo. "Norm und Tradition. Welche Geschichtlichkeit für die Rechtsgeschichte?/Fra norma e tradizione. Quale storicità per la storia giuridica?" Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte: Germanistische Abteilung 118, n.º 1 (1 de agosto de 2001): 703–10. http://dx.doi.org/10.7767/zrgga.2001.118.1.703.

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Gambino, Silvio. "Giurisdizione e ‘Giustizia' fra Trattato di Lisbona, CEDU e ordinamenti nazionali". CITTADINANZA EUROPEA (LA), n.º 1 (diciembre de 2010): 85–113. http://dx.doi.org/10.3280/ceu2010-001005.

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A due secoli dall'avvio del costituzionalismo liberal-democratico, l'ordinamento giudiziario sembrerebbe aver compiutamente realizzato la sua parabola, vedendosi riconosciuto come potere dello Stato (autonomo e indipendente), mediante previsioni costituzionali espresse o anche sulla base di mere disposizioni legislative. In tale quadro, l'analisi affronta le tematiche della ‘giurisdizione' e della ‘giustizia' nell'ottica del diritto dell'Unione europea, sottolineando gli effetti giuridici prodotti dall'art. 6 del Trattato di Lisbona (con l'incorporazione sostanziale della Carta dei diritti fondamentali dell'UE all'interno dei nuovi trattati e con l'adesione alla CEDU da parte dell'Unione). Secondo quanto viene osservato, tuttavia, l'esperienza degli ordinamenti europei, nel fondo, non consente di poter cogliere una tradizione costituzionale comune agli Stati membri (per come affermato dalla Corte di Giustizia dell'UE) quanto piuttosto la garanzia in tutti gli ordinamenti nazionali, nella CEDU e ora nell'art. 47 della Carta di Nizza/Strasburgo, del diritto del soggetto ad un ricorso effettivo dinanzi ad una autoritŕ giurisdizionale, indipendente e imparziale, precostituita per legge, nel quadro di un processo equo, garantito nel contraddittorio, ragionevole nella durata.
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Di Donato, Flora. "Il super-giudice ovvero il giudice come garante della funzione epistemica del processo. Note a margine di un volume di Michele Taruffo". SOCIOLOGIA DEL DIRITTO, n.º 1 (julio de 2010): 192–200. http://dx.doi.org/10.3280/sd2010-001009.

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Processo - Fatti - Narrazioni - Veritŕ - Cultura. Veritŕ, accertamento del fatto, prova, narrazioni, sono alcuni dei significatichiave a partire dai quali č strutturato il volume La semplice veritŕ di Michele Taruffo. L'a., nel rispetto della migliore tradizione degli studi sul processo, si interroga sulla possibilitŕ di pervenire alla veritŕ come finalitŕ ultima all'interno di un sistema che costituzionalizza garanzie come quella del "giusto processo", operando un'identificazione tra decisione "giusta" e veritŕ "provata". Il modello logico cui Taruffo ŕncora la dimostrazione della tesi che "la veritŕ č possibile" - all'esito di un percorso di verificazione fattuale che vede il giudice come garante - fa principalmente riferimento all'epistemologia di Susan Haack. Lo studioso, sia pur critico nei confronti di orientamenti relativisti- ci di matrice post-moderna, non manca tuttavia di considerare e di integrare significativi spunti provenienti dal costruzionismo sociale ad orientamento culturale, che non poca influenza ha esercitato ed esercita nel panorama degli studi contemporanei di teoria del diritto. Il volume č di grande utilitŕ anche per gli interessanti profili di comparazione che esso offre tra sistemi giuridici differenti.
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Vučetić, Zorica. "Il linguaggio della giurisprudenza dal punto di vista della formazione delle parole : orientamenti e problemi lessicologici". Linguistica 42, n.º 1 (1 de diciembre de 2002): 65–80. http://dx.doi.org/10.4312/linguistica.42.1.65-80.

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Con il presente lavoro si vuole contribuire alfe ricerche sul linguaggio della giurisprudenza in chiave lessicologica. La ricerca si propone di mettere in rilievo i meccanismi dellaformazione delle parole nel linguaggio giuridico. Laformazione delle parole è un procedimento vivo che rinnova il lessico e arricchisce la lingua con nuove unitii lessicali. 11 lessico si rigenera per vie interne mediante i meccanismi della composizione delle parole, della sujfissazione e della prefissazione; è un corpus malto interessante dal punto di vista della formazione delle parole, è ricco di parole formate e di neologismi. Nel lessico della giurisprudenza convivono parole formate tradizionali e neologismi. La formazione delle parole è intesa prima di tutto come studio lessicologico che mette in primo piano Jo studio della neologia e dei neologismi, ottenuti con elementi esistenti nella lingua, che rinnovano per vie interne il patrimonio lessicale di una lingua. In tal modo la formazione delle parole è un procedimento vivo e produttivo.
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Fekete, Balázs. "V. Varano-V. Barsotti:La tradizione giuridica occidentale. Vol. I. Testo e materiali per un confronto civil law common law". Acta Juridica Hungarica 53, n.º 3 (septiembre de 2012): 260–63. http://dx.doi.org/10.1556/ajur.53.2012.3.8.

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Ferro, Massimo. "Gli ultimi narratori di giustizia: un’esperienza italiana di letteratura dal diritto". Forum Italicum: A Journal of Italian Studies 53, n.º 2 (24 de febrero de 2019): 544–61. http://dx.doi.org/10.1177/0014585819831668.

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La scrittura narrativa dei giuristi è spesso incentrata sulle stesse esperienze professionalmente praticate, al punto che le scelte autorali, per quanto arbitrarie e creative, tendono ad omologare una comune difficoltà di allontanamento da quegli ambienti. Tuttavia, molte opere e racconti, pur facendo iniziare le loro storie d’invenzione dove finiscono i mestieri, si propongono di sfidare il diritto, cercandone talora un’affermazione postuma, più autentica di quella raggiunta dalla verità giudiziaria. Ed è la grande tradizione dei romanzi civili o comunque dei romanzi di genere, che cioè traggono dalle dinamiche della giustizia, specie investigativa e poi processuale, il substrato di tutte le relazioni, facendo diventare personaggi i soggetti e le parti dell’attività giudiziaria. Per altri autori, invece, proprio il limite della ricostruzione giudiziaria opera da ostacolo ad una ennesima rincorsa verso la verità storica: in tale secondo genere di letteratura, in Italia più recente e praticato da scrittori di provenienza per lo più non penalistica, sarebbe vano espiare la continua colpa dell’approssimazione al reale cui le forme giuridiche la costringono. Il patto con il lettore allora si rovescia: non più il “riordino giusto” della vita, la proiezione dell’ideale nella legge, il destino collettivo raddrizzato, ma la organizzazione dell’oblio. Contro il mondo reale, il romanzo si fa più fantastico, le storie più tarate sulle esistenze dei singoli. Quando l’invenzione mescola ogni fattore costitutivo del diritto, la riscrittura della realtà è completa e però sottotraccia riemerge il riavvicinamento molto abile alla verosimiglianza. Che è forse l’orizzonte più prezioso della maturità del giurista.
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Becker, Rainald. "Eine Division des Papstes?" Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken 98, n.º 1 (1 de marzo de 2019): 45–71. http://dx.doi.org/10.1515/qufiab-2018-0006.

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Riassunto Dopo la Riforma, Baviera divenne il primo interlocutore tedesco della Curia romana a livello religioso, politico e culturale. Le relazioni con la Santa Sede erano ispirate dalla cattolicità programmatica dei Wittelsbach. La special relationship si manifestava, inoltre, in una lunga tradizione diplomatica inaugurata all’inizio del Seicento su spinta del papato. Durante la Guerra dei Trent’anni gli intensi contatti si estesero anche al campo militare. La Curia romana vide nel duca Massimiliano l’incontestata guida dell’armata cattolica, definendola la „colonna della religione cattolica“ nel Sacro Impero Romano. Promuovere gli interessi del principe tedesco (sussidi per il finanziamento dell’esercito e l’acquisizione dell’elettorato in perpetuo per la Baviera), era tra i primi obiettivi della concezione strategica del papato. Il carteggio della Nunziatura di Vienna, di cui la quarta serie per gli anni tra 1628 e 1635 è consultabile tuttora, mette in luce queste tendenze in favore della Baviera. Nelle corrispondenze curiali si delinea, essenzialmente, il tentativo di attribuire a quel territorio la qualità di Stato, termine in cui si esprime l’idea centrale del discorso politico, ma anche giuridico dell’epoca. Dalla parte della Curia romana, la strategia di state-building si ricollegò all’ambizione di assegnare un posto primario alla Baviera nel sistema geopolitico europeo („unione delle corone cattoliche“ sotto il patrocinio del papa come „padre comune“).
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Filip-Fröschl, Johanna. "I. Giambattista Impallomeni, Scritti di Diritto Romano e Tradizione Romanistica. II. Giambattista Impallomeni, Scritti Giuridici Vari. A cura di Alberto Burdese". Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte. Romanistische Abteilung 116, n.º 1 (1 de agosto de 1999): 562–63. http://dx.doi.org/10.7767/zrgra.1999.116.1.562.

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Davide, Miriam. "Il peso delle obbligazioni nella documentazione notarile del centro-nord d’Italia". Italian Review of Legal History, n.º 7 (22 de diciembre de 2021): 661–76. http://dx.doi.org/10.54103/2464-8914/16904.

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Il saggio prende in esame le diverse tipologie di contratti di obbligazioni presenti nella documentazione del Centro-Nord d’Italia nel quadro della normativa giuridica prodotta a partire dai formulari di Ranieri di Perugia, Salatiele e Zaccaria Martino, dove tali atti seguono a quelli tradizionali quali le vendite, le donazioni inter vivos o i testamenti. Gli atti di credito si presentano in modo simile dal momento che gli stessi criteri sono presenti ovunque con una sorta di canovaccio comune. Nella maggior parte delle città italiane i notai sono soliti scrivere i contratti di credito su vacchette, che contengono le informazioni principali relative al negozio direttamente davanti agli interessati trascrivendo poi in un secondo momento i medesimi atti in registri nei quali è proposta la versione estesa dei documenti. La scrittura della minuta contiene generalmente in modo sintetico tutte le clausole di garanzia; la successiva registrazione nel protocollo notarile è autentificata dal notaio e garantita dall’autorità pubblica. La pratica dell’uso dei quaderni di minuta è contemporanea all’aumento degli atti di credito e alla loro organizzazione nei formulari notarili. Saranno oggetto di approfondimento tra gli altri il mutuo semplice, il deposito, le vendite a credito, la soccida e le numerose tipologie di prestito dissimulato.
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Bompiani, Adriano. "L’Italia e la “Dichiarazione di Amsterdam” sui diritti dei pazienti". Medicina e Morale 47, n.º 1 (28 de febrero de 1998): 47–90. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1998.843.

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In questo lavoro si compie un’analisi della “Dichiarazione sulla promozione dei diritti dei pazienti in Europa”, redatta da un gruppo di esperti sotto gli auspici dell’Ufficio Regionale Europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nella riunione tenutasi ad Amsterdam (28-30 marzo 1994). L’iniziativa dell’OMS dimostra il crescente interesse degli Stati appartenenti alla Regione Europea a rendere comparabili le norme degli ordinamenti interni concernenti l’accesso e l’utilizzazione da parte dei pazienti dei servizi sanitari, venendo incontro non solamente ad ormai codificati diritti soggettivi della persona umana, ma anche a legittime aspirazioni di miglioramento della qualità e dei rapporti umani nell’assistenza. Richiamata la lunga serie delle “Dichiarazioni sui diritti dell’uomo” proclamate in diversi documenti internazionali di alto valore morale, e le parallele dichiarazioni riguardanti i “diritti dei pazienti”, l’analisi prosegue delineando i contenuti fondamentali della Dichiarazione di Amsterdam e valutandoli sotto il profilo etico-giuridico. Si è cercato anche di verificare - brevemente - le analogie intercorrenti fra detta “Dichiarazione di Amsterdam” e la “Carta dei servizi pubblici sanitari”, strumento che intende attuare l’art. 14 del D. Leg. n. 502/1992 (e successive modificazioni ed integrazioni). “Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’art.1 della legge 23 ottobre 1992 n. 421”. L’art. 14, come è noto, ha per oggetto i “Diritti dei cittadini”. L’applicazione dei principi solennemente dichiarati nei vari documenti esaminati richiede - ormai - una convinta adesione ai postulati dell’etica della cura, interpretati nella tradizione personalista.
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Loschiavo, Luca. "L’asino che salì al tribunale e ragliò ostinatamente. Il governo di Roma all’epoca di Valentiniano I fra lotte politiche, tradizione giuridica e innovazioni legislative". Antiquité Tardive 25 (enero de 2017): 223–34. http://dx.doi.org/10.1484/j.at.5.114859.

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Loconte, Stefano. "Una evoluzione del regime classico: il trust 'decantato'". marzo-aprile, n.º 2 (7 de abril de 2022): 378–84. http://dx.doi.org/10.35948/1590-5586/2022.96.

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Tesi Ai fini della pianificazione patrimoniale, ciascun ordinamento giuridico dispone di una serie di strumenti che, a seconda dei desiderata del singolo individuo, si possono rivelare utili. Oltre agli strumenti «tradizionali», è buona prassi conoscere anche gli strumenti meno utilizzati ed approfondirne le loro caratteristiche in modo che, in alcune circostanze, questi possano rivelarsi preziosi per soddisfare determinati obiettivi. In questa ultima categoria si può far rientrare il decanting trust che rappresenta un valido meccanismo alternativo rispetto alla mera distribuzione dei beni in trust ai beneficiari o allo scioglimento del trust, perché oramai inadatto ed inadeguato a perseguire gli scopi individuati dal proprio disponente. The author’s view For the purposes of estate planning, each legal system has a range of tools that, depending on the wishes of the individual, may results useful. In addition to the«conventional» instruments, it is good practice to be aware of the lesser-used instruments and to learn more about their characteristics so that, in some circumstances, they may be more useful in meeting certain objectives. This last category includes the decanting trust, which represents a valid alternative mechanism to the mere distribution of the trust assets to the beneficiaries or the dissolution of the trust, because it is now unsuitable and inadequate to pursue the purposes identified by its settlor.
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Ferla, Lara. "Dalla prevenzione al trattamento. Autori di maltrattamenti e di violenza domestica e problemi di effettività della tutela penale". MALTRATTAMENTO E ABUSO ALL'INFANZIA 24, n.º 3 (enero de 2023): 11–35. http://dx.doi.org/10.3280/mal2022-003002.

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Le scelte del legislatore in materia di repressione dei maltrattamenti e della violenza com-messi in ambito familiare sono state frequentemente orientate verso un'estensione della rile-vanza penale e un inasprimento del trattamento sanzionatorio. In tempi più recenti, è aumen-tata la consapevolezza della necessità di un potenziamento degli strumenti giuridici di natura preventiva e di quelli finalizzati a indagare le ragioni della criminalità violenta nelle relazioni strette e la sfera psicologica dell'autore di reato. La sanzione penale, infatti, non può risulta-re da sola risolutiva dei problemi di tutela sollecitati da questa forma di criminalità. È stata progressivamente riconosciuta, dunque, l'importanza di affiancare ai tradizionali strumenti di natura punitiva anche misure di natura preventiva. Queste ultime si propongono il duplice scopo di attuare un intervento tempestivo, idoneo a evitare conseguenze più gravi per la persona offesa e, nello stesso tempo, a consentire al soggetto agente di avviare un percorso psicologico di revisione critica del proprio comportamento, prima che lo stesso divenga abi-tuale o possa connotarsi di maggiore gravità, risultando meritevole di una risposta sanziona-toria ancor più severa. Oltre agli strumenti di natura strettamente sanzionatoria, una maggio-re consapevolezza culturale del problema e adeguate politiche sociali costituiscono compo-nenti essenziali di una strategia a lungo termine e meglio strutturata ai fini del contrasto della violenza domestica.
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Garbarino, Francesca y Paolo Giulini. "L'approccio multidisciplinare nel contrasto alla violenza di genere: il trattamento degli autori". MALTRATTAMENTO E ABUSO ALL'INFANZIA 24, n.º 3 (enero de 2023): 37–60. http://dx.doi.org/10.3280/mal2022-003003.

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Le scelte del legislatore in materia di repressione dei maltrattamenti e della violenza com-messi in ambito familiare sono state frequentemente orientate verso un'estensione della rile-vanza penale e un inasprimento del trattamento sanzionatorio. In tempi più recenti, è aumen-tata la consapevolezza della necessità di un potenziamento degli strumenti giuridici di natura preventiva e di quelli finalizzati a indagare le ragioni della criminalità violenta nelle relazioni strette e la sfera psicologica dell'autore di reato. La sanzione penale, infatti, non può risulta-re da sola risolutiva dei problemi di tutela sollecitati da questa forma di criminalità. È stata progressivamente riconosciuta, dunque, l'importanza di affiancare ai tradizionali strumenti di natura punitiva anche misure di natura preventiva. Queste ultime si propongono il duplice scopo di attuare un intervento tempestivo, idoneo a evitare conseguenze più gravi per la persona offesa e, nello stesso tempo, a consentire al soggetto agente di avviare un percorso psicologico di revisione critica del proprio comportamento, prima che lo stesso divenga abi-tuale o possa connotarsi di maggiore gravità, risultando meritevole di una risposta sanziona-toria ancor più severa. Oltre agli strumenti di natura strettamente sanzionatoria, una maggio-re consapevolezza culturale del problema e adeguate politiche sociali costituiscono componenti essenziali di una strategia a lungo termine e meglio strutturata ai fini del contrasto della violenza domestica.
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Brescia, Graziana. "ELENA E L’ALIBI DELLA VIOLENZA". RAUDEM. Revista de Estudios de las Mujeres 2 (22 de mayo de 2017): 237. http://dx.doi.org/10.25115/raudem.v2i0.600.

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Riassunto: Lo scambio di lettere tra Elena e Paride nelle Eroidi di Ovidio rappresenta una nuova fase all'interno dell'ampia ricezione dell'episodio mitico del rapimento di Elena. Ovidio riscrive la storia dei due amanti sulla base del codice elegiaco, centrandosi specificatamente nel momento della seduzione da parte di Paride e riconfigurando le funzioni del sequestratore e della donna sedotta alla luce tanto dell'Ars amatoria come della tradizione giuridica. L'innocenza di Elena e il suo ruolo di vittima - e non complice- del raptus sono conferiti dall'uso di vis a nome di Paride, anche se - come il poeta spiega nella sua Ars- la violenza è solo simulata e, soprattutto, grata puellis.Parole chiave: Ovidio, Elena, Paride, abduzione, violenza, simulazione, complicità. Elena and the Alibi of Violence (Ovidio, Heroides 16-17)Abstract: The letter exchange between Helen and Paris in Ovid’s Heroides is a new step in the long-standing reception of the mythical episode of the abduction of Helen. Ovid re-writes the story of the two lovers according to the elegiac code, focusing specifically on the seduction by Paris and re-shaping the roles of the abductor and the seduced woman in the light of both the Ars amatoria and the juridical tradition. Helen’s innocence and her role of victim – and not accomplice – of the raptus are granted by the use of vis on behalf of Paris, even if – as the poet teaches in his Ars – the violence is just simulated and, most of all, grata puellis.Key words: Ovid, Helen, Paris, abduction, violence, simulation, complicity.
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Spadaro, Carmela Maria. "A Deo Coronato. Sovranità cristiforme e rappresentazioni del potere nel Regno di Napoli tra Normanni, Angioini e Borbone". Italian Review of Legal History, n.º 8 (21 de diciembre de 2022): 7–38. http://dx.doi.org/10.54103/2464-8914/19249.

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Il Cristo Pantocratore assunto come modello iconografico per rappresentare la sovranità nel Regnum Siciliae in età normanno-sveva, lasciava il posto in età angioina alla paupertas che, per effetto della predicazione francescana accolta dai sovrani napoletani, diventava elemento ineludibile di legittimità del potere regio. In una lettera scritta dal frate francescano Angelo Clareno a Filippo di Majorca, fratello della regina Sancha di Napoli, sono delineati i caratteri del sovrano cristiforme, che esercita il potere in qualità di amministratore del Regno, il cui unico titolare è Cristo: a Deo coronato è solo il sovrano che si fa povero, spogliandosi di ogni brama di potere e volontà di dominio ed usando le ricchezze pubbliche al solo scopo di provvedere alle necessità dei sudditi. La novitas francescana incentrata sul precetto del sine proprio codificato nella Regola di Francesco di Assisi, mutava la rappresentazione e le prospettive della sovranità, introducendo nel diritto pubblico del Regno concetti giuridici destinati ad ampliare la gamma dei significati di proprietas e di dominium. Con sguardo retrospettivo ed in continuità con la tradizione del Regno, l’ultimo re delle Due Sicilie Francesco II di Borbone faceva appello agli antichi diritti del trono di Ruggero e di Carlo III per difendere la legittima sovranità delle Due Sicilie, richiamando così l’immagine del sovrano a Deo coronato la cui condotta politica non poteva che ispirarsi al modello della christiformitas: una prospettiva della sovranità che di lì a poco sarebbe stata travolta dagli eventi rivoluzionari in corso in tutta Europa, dei quali tuttavia potrebbe fornire un’inedita chiave di lettura, proponendosi come momento di riflessione sulla storia italiana ed europea degli ultimi due secoli.
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De Cristofaro, Ernesto. "La sovranità nei corsi di Foucault al Collège de France". Italian Review of Legal History, n.º 8 (21 de diciembre de 2022): 313–40. http://dx.doi.org/10.54103/2464-8914/19256.

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Tra i temi di carattere giuridico e politico quello della sovranità è il più presente nei corsi che Michel Foucault ha tenuto presso il Collège de France dal 1970 al 1984. L’insegnamento presso questa istituzione – intitolato, nel suo caso, Storia dei sistemi di pensiero - obbedisce a regole particolari. Una tra queste è l’obbligo gravante sui docenti a non riproporre, di anno in anno, lo stesso corso di lezioni svolte in precedenza, ma di cambiare argomento. Al netto di questa clausola, negli anni che vanno dal 1973 al 1979, Foucault si occupa ripetutamente e intensamente di questioni che hanno una connessione molto esplicita e diretta con la dimensione del potere. Alcuni dei corsi tenuti costituiscono la base di opere che egli pubblica in questo periodo come Sorvegliare e punire o La volontà di sapere. È, certamente, all’interno dei corsi che si viene profilando l’idea del potere che attraversa la sua ricerca in questa fase temporale ed è grazie a questo laboratorio trasparente del suo lavoro che è possibile seguire l’analisi e la rielaborazione che egli svolge sull’argomento “sovranità”. Sebbene questo termine non sia mai espressamente presente nei titoli delle annualità didattiche, molte delle lezioni che impegnano l’insegnamento affidato a Foucault convergono su questa categoria. Foucault riceve dalla teoria giuridica e dalla politologia una parola alla quale si attribuisce pacificamente un preciso significato. Il titolare del potere sovrano è rappresentato, da una lunghissima e importante tradizione, come colui attorno al quale ruota il funzionamento dello Stato. Il sovrano è posto “in alto” e “al centro” della mappa del potere come il punto a partire dal quale e verso il quale si muovono tutti gli ingranaggi essenziali che fanno funzionare la macchina statuale. Inoltre, il sovrano è colui che esercita il proprio potere attraverso l’uso di una forza eminente, idonea a far rispettare le leggi, mantenere l’ordine e inibire qualunque ipotesi di sedizione. Foucault intende, viceversa, mettere in discussione questa lettura. L’itinerario che egli segue punta verso una fenomenologia dei rapporti di potere colti nella loro multiformità e disseminazione. Si tratta di osservare il potere rinunciando alla prospettiva della verticalità, come se esso fosse collocato presso una sola sede, alla prospettiva della patrimonialità, come se esso fosse posseduto esclusivamente da qualcuno e, infine, alla prospettiva della repressione, come se l’unica lingua che esso sapesse parlare fosse quella dell’intimidazione, della sanzione e delle armi. Per rileggere il potere bisogna, al contrario, studiarne il funzionamento presso apparati parziali della società, distribuiti trasversalmente e in grado di implementare una tecnologia che non si fonda sull’interdizione ma, al contrario, sulla sollecitazione della disciplina. Lungo il suo itinerario Foucault incontra lo sviluppo storico della penalità, nel cui perimetro viene sviluppandosi un potere fortemente individualizzante, capace di perseguire un incasellamento degli individui che si serve di molteplici tecniche di osservazione e descrizione operanti a vari livelli della struttura sociale; la storia della psichiatria, grazie alla quale la distinzione normale/anormale, e le conseguenti misure di monitoraggio e controllo della condotta deviante, hanno potuto avvalersi dell’uso di parametri “scientifici” e, pertanto, più cogenti; infine, la biopolitica, che ha ricollocato il tema della sottoposizione dei corpi a regole e vincoli, in vista della massimizzazione delle loro prestazioni, dalla scala degli individui a quella delle popolazioni, lasciando apparire dietro la figura tralatizia del sovrano che esprime la propria egemonia decidendo chi possa vivere e chi debba morire, l’immagine assai più concreta del potere anonimo delle regole di alimentazione, igiene e profilassi che stabiliscono come un’intera collettività debba essere curata e protetta.
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Amunátegui, Carlos. "Cerami, Pietro - Corbino, Alessandro - Metro, Antonino - Purpura, Gianfranco, Roma e il Diritto. Percorsi costituzionali, produzione normativa, assetti, memorie e tradizione del pensiero fondante della esperienza giuridica occidentale". Revista de estudios histórico-jurídicos, n.º 33 (2011): 677–79. http://dx.doi.org/10.4067/s0716-54552011000100026.

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Świto, Lucjan. "Istota "bonum prolis"". Prawo Kanoniczne 45, n.º 3-4 (20 de diciembre de 2002): 53–105. http://dx.doi.org/10.21697/pk.2002.45.3-4.03.

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Sempre più spesso capita che il titolo, per cui si prendono in considerazione le cause di invalidità del matrimonio, è una simulazione del consenso matrimoniale, che si concretizza nell’atto positivo della volontà che causa l’esclusione del bonum prolis. La suddetta nozione di bonum prolis da una parte non si manifesta in nessuno dei contesti del diritto canonico, dall’altra viene comunemente usata dalla canonistica e perciò suscita tante ambiguità. La definizione precisa del contenuto, accettato dalla tradizione canonistica e dalla giurisprudenza rotale del termine bonum prolis, è oggetto di questa esclusione ehe causa l’invalidità del matrimonio, provoca tante difficoltà e la giusta opinione su questo problema è oggetto di dibattito. La discussione è legata all’interpretazione della norma giuridica del can. 1101 § 2 CIC/1983, a cui nella codificazione del diritto canonico del 1917 corrispondeva il can. 1086 § 2, perché la dottrina canonistica e la giurisprudenza rotale affermano unanimemente ehe il contenuto del termine bonum prolis implicitamente si conclude in questo, la cui esclusione conforme al can. 1101 § 2 CIC/1983, che si è formato per via dell’evoluzione del can. 1086 § 2 CIC/1917 - causa l’invalidità del matrimonio. Lo scopo del tema assunto era una prova della definizione del termine bonum prolis nel contesto della simulazione del consenso matrimoniale che causa la sua esclusione. L’autore cercava di rispondere alla domanda, quale è la genesi di questa nozione, quale contenuto a questo termine attribuiva la dottrina e la giurisprudenza rotale sotto il vecchio codice ed anche quale contenuto si ascrive ad essa alla luce del nuovo codice. L’analisi della dottrina e della giurisprudenza rotale è arrivata all’affermazione che il termine bonum prolis venne preso dall’insegnamento di sant’Agostino sui tre beni matrimoniali per esprimere l’oggetto fondamentale costituente il matrimonio. Inizialmente il contenuto del bonum prolis, era collegato al can. 1086 §2 CIC/1917, in seguito venne riferito al cosiddetto ius in corpus. Tuttavia questa formula del canone, che riduceva il contenuto del bonum prolis a ius in corpus, risultò insufficiente per tutti i casi della simulazione del consenso matrimoniale, per questo motivo si avverte la necessità di una nuova redazione della suddetta norma giuridica. Nel nuovo codice il bonum prolis si riferisce - nello spirito del can. 1101§ 2 CIC/1983 – al’ „essenziale elemento del matrimonio” ed, in conformità alla comune pratica della giurisprudenza rotale, il suo contenuto comprende i seguenti diritti-obblighi matrimoniali, i quali occorre trattare come uno solo, completando il diritto matrimoniale trasmesso reciprocamente dalla coppia di sposini nel momento dell’espressione del consenso matrimoniale, che per sua natura è esclusivo, fino alla morte, e non ammette né interruzioni, né limiti. Il diritto al fecondo atto matrimoniale (ius ad coniugalem actum), il cui aspetto dell’unione è indissolubilmente legato all’aspetto della procreazione. Poi il diritto alla prole (ius ad prolem), in altre parole il diritto alla procreazione (ius ad procreationem), ovvero il diritto alla generazione e alla nascita della prole per mezzo del pieno atto matrimoniale (copula perfecta). Infine il diritto all’educazione (ius ad educationnem), nel significato di bonum physicum prolis, cioè il diritto-obbligo dell’assicurazione alla prole di un minimo di educazione, cioè il mantenere il feto del nasciturus in vita, la sua nascita, la premura nel sostenere lui e il complesso delle sue membra in vita, infine l’accoglienza del neonato natus e la possibilità della crescita e dello sviluppo come persona umana. Il diritto all’educazione morale-religiosa della prole, ossia l’elemento del bonum spirituale prolis, non rientra nel contenuto del bonum prolis.
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Massironi, Andrea. "Uno strumento per la salvezza dell’anima: la correzione del clero ‘indisciplinato’ tra ius vetus e ius novum". Italian Review of Legal History, n.º 8 (22 de diciembre de 2022): 433–74. http://dx.doi.org/10.54103/2464-8914/19452.

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Nel Decretum di Graziano trovarono accoglienza alcuni testi (per la maggior parte scritti di Agostino di Ippona e di Gregorio Magno e canoni conciliari del VI e del VII secolo) che trattavano il tema della correzione del clero regolare e secolare da parte del superiore gerarchico, in special modo del vescovo e dell’abate. All’interno di una diocesi, infatti, il vescovo era chiamato in prima persona a intervenire per controllare i chierici sottoposti alla sua autorità. Lo stesso valeva per l’abate nel monastero che reggeva.Quali erano gli strumenti a loro disposizione per condurre verso l’emenda chi avesse dato segni e compiuto gesti classificabili come indisciplina? Sicuramente ammonire, esortare o addirittura minacciare erano le prime strade da percorrere. Tuttavia, per quanto fossero autorevoli tali moniti, rischiavano di rimanere ignorati in mancanza di strumenti che li rendessero efficaci. La liceità e le modalità di esercizio dell’uso della violenza fisica quale strumento di correzione e punizione – comunemente accettato a tutti i livelli della società, dato che peraltro era raccomandato anche dalle Scritture –, non emergevano tuttavia in modo perspicuo dalla lettura dei capitoli grazianei. Infatti, a fronte del riconoscimento operato da alcuni di essi, altri sembravano guardarvi con titubanza e porvi limiti, se non addirittura divieti, poiché non era conveniente che uomini di Chiesa adoperassero tali mezzi o di tali mezzi fossero i destinatari. Un capitolo, in particolare, costituiva un serio ostacolo all’impiego della forza a fini disciplinari. Si trattava di un testo più tardo (almeno nella sua formulazione definitiva), cioè il celebre can. 15 (Si quis suadente) del II Concilio lateranense del 1139, che introducendo l’intangibilità fisica delle persone consacrate – pena la scomunica – ammantava la figura del chierico di un’aura di sacralità che pareva rendere assai difficile per il superiore avvalersi dei tradizionali strumenti 'educativi'. Tuttavia, numerose decretali successive (di Alessandro III, Celestino III, Innocenzo III e Gregorio IX) implementarono la materia, prevedendo una serie di eccezioni al cd. privilegium canonis. Si sollevavano così dal rischio di incorrere nella scomunica coloro che esercitavano verso i loro sottoposti una legittima potestà, che si poteva articolare pertanto anche nell’impiego della coercizione fisica. La scienza giuridica canonistica, da parte sua, svolgeva il fondamentale compito di coordinare tra loro le diverse fonti, soprattutto interpretando i testi del Decretum grazianeo alla luce dello ius novum di emanazione pontificia, cercando di definire con chiarezza i limiti, le modalità e la portata dei poteri di correzione dei soggetti che erano quindi pienamente legittimati a intervenire verso chierici e monaci per contenere la loro immoralità, distoglierli dalla propensione al peccato e contrastarne la disobbedienza e l’indisciplina.
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Pattison, Gary. "Soldier self-defence: the theoretical and legal bases for command-imposed restrictions". Military Law and the Law of War Review 59, n.º 1 (2 de junio de 2021): 23–43. http://dx.doi.org/10.4337/mllwr.2021.01.02.

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This article confronts what has been described as the ‘ongoing self-defence controversy’ within the international military community over the legitimacy of commanders issuing orders that have the practical effect of restricting soldiers’ use of force in self-defence. Within this controversy, some argue that soldier self-defence is legally sacrosanct, a right that must invariably take precedence over any command-imposed restrictions. This article explores whether there is any legal basis for this view. It finds that there is not, and that such an absolutist approach misconstrues the basic theoretical and legal origins of self-defence. What is more, the article forewarns that reasoning in such absolute terms might actually serve to devalue rather than promote soldiers’ safety by failing to properly account for the longstanding military tradition of commands such as ‘hold fire’ orders, the central importance of these directives to the ordered application of military force and military effectiveness, and the interrelationship of the military and the state’s responsibility for national security. Cet article se penche sur la controverse qui entoure la légitime défense au sein de la communauté militaire internationale, quant à la légitimité du commandement de donner des ordres ayant pour effet, dans la pratique, de restreindre l’emploi de la force des soldats à des fins de légitime défense. Dans le cadre de cette controverse, certains soutiennent que la légitime défense des soldats est sacro-sainte d’un point de vue juridique et que ce droit doit toujours l’emporter sur toute restriction imposée par le commandement. Cet article cherche à déterminer si ce point de vue repose sur un fondement juridique. L’article conclut que non, et qu’une telle approche absolutiste dénature les origines théoriques et juridiques à la base de la légitime défense. Qui plus est, l’article met en garde qu’un raisonnement en de tels termes absolus pourrait en fait nuire à la sécurité des soldats, au lieu de l’améliorer, parce qu’il ne tient pas suffisamment compte de la longue tradition militaire d’ordres tels que «halte au feu», de l’importance de ces directives pour l’application ordonnée de la force militaire et pour l’efficacité militaire, et de l’interaction entre l’armée et la responsabilité de l’État pour la sécurité nationale. Dit artikel gaat in op wat is omschreven als de ‘voortdurende controverse over zelfverdediging’ binnen de internationale militaire gemeenschap over de legitimiteit van commandanten die bevelen uitvaardigen waarbij het gebruik van geweld door soldaten uit zelfverdediging praktisch wordt beperkt. Binnen deze controverse betogen sommigen dat de zelfverdediging van soldaten wettelijk onaantastbaar is, een recht dat altijd voorrang moet hebben op alle beperkingen die door het commando worden opgelegd. Dit artikel gaat na of er een wettelijke basis is voor dit standpunt. De conclusie is dat die er niet is en dat een dergelijke absolutistische benadering de theoretische en juridische grondslagen van zelfverdediging miskent. Bovendien waarschuwt het artikel dat een redenering in dergelijke absolute termen de veiligheid van de soldaten eerder zou kunnen aantasten dan bevorderen, doordat niet naar behoren rekening wordt gehouden met de gevestigde militaire traditie van bevelen zoals ‘staakt het vuren’-bevelen, het centrale belang van deze richtlijnen voor de bevolen toepassing van militair geweld en militaire doeltreffendheid, en de onderlinge relatie tussen het leger en de verantwoordelijkheid van de staat voor de nationale veiligheid. Este artículo aborda lo que se ha venido a llamar la ‘controversia existente en torno a la autodefensa’ dentro de la comunidad militar internacional sobre la legitimidad de los comandantes que emiten órdenes que tienen el efecto práctico de restringir el uso de la fuerza en defensa propia por parte de los soldados. Dentro de esta controversia, algunos argumentan que la autodefensa de los soldados es legalmente sacrosanta, un derecho que invariablemente debe prevalecer sobre cualquier restricción impuesta por el mando. Este artículo explora si existe alguna base legal para este punto de vista. Se llega a la conclusión de que no existe base alguna y que tal enfoque absolutista malinterpreta los orígenes teóricos y legales básicos de la autodefensa. A mayor abundamiento, el artículo advierte que el razonamiento en términos tan absolutos podría servir para devaluar, en lugar de promover, la seguridad de los soldados al no tener en cuenta adecuadamente la tradición militar inmemorial de órdenes como las órdenes de ‘mantener el fuego’, la importancia central de estas directivas para la aplicación ordenada de la fuerza militar y la eficacia militar, y la interrelación de las fuerzas armadas y la responsabilidad del Estado por la seguridad nacional. Questo articolo affronta quella che è stata descritta come la ‘continua controversia di autodifesa’ all'interno della comunità militare internazionale sulla legittimità dei comandanti che emettono ordini che hanno l'effetto pratico di limitare l'uso della forza da parte dei soldati nell'autodifesa. All'interno di questa controversia, alcuni sostengono che l'autodifesa dei soldati sia giuridicamente sacrosanta, un diritto che deve invariabilmente avere la precedenza su qualsiasi restrizione imposta dal comando. Questo articolo esamina se vi sia una base giuridica per questa interpretazione. Trova che non esiste, e che un tale approccio rigido fraintenda le origini teoriche e giuridiche di base di auto­difesa. Inoltre, l'articolo ammonisce che ragionare in termini così assoluti potrebbe effettivamente sminuire piuttosto che promuovere la sicurezza dei soldati, non riuscendo a tenere adeguatamente conto della lunga tradizione militare di comandi come ‘non aprire il fuoco’, dell'importanza centrale di queste direttive per l'ordinata applicazione della forza militare e dell'efficacia militare e l'interrelazione tra la responsabilità militare e quella dello Stato per la sicurezza nazionale. Dieser Artikel befasst sich mit dem, was innerhalb der internationalen Militärgemeinschaft bezeichnet wird als ‘andauernde Selbstverteidigungskontroverse’ (‘ongoing self-defence controversy’) in Bezug auf die Legitimität von Befehlshabern, die Befehle erteilen, wobei die Gewaltanwendung aus Selbstverteidigung durch Soldaten praktisch beschränkt wird. Im Rahmen dieser Kontroverse argumentieren manche, dass die Selbstverteidigung von Soldaten rechtlich als sakrosankt gilt und dass dieses Recht immer vor jeder vom Kommando auferlegten Beschränkung Vorrang haben muss. Dieser Artikel prüft, ob es irgendeine gesetzliche Basis für diese Auffassung gibt. Der Autor stellt fest, dass dies nicht der Fall ist, und dass eine solche absolutistische Sichtweise die theoretischen und gesetzlichen Grundlagen der Selbstverteidigung verkennt. Darüber hinaus erteilt der Artikel eine Warnung, auf diese absolute Weise zu argumentieren könnte eigentlich dazu beitragen, die Sicherheit der Soldaten zu beeinträchtigen statt sie zu fördern, indem der althergebrachten militärischen Tradition von Befehlen, wie ‘Feuer einstellen’, der zentralen Bedeutung dieser Richtlinien für die geordnete Anwendung von Militärgewalt und für die Militäreffizienz sowie der Wechselbeziehung zwischen der Armee und der Verantwortung des Staates für die nationale Sicherheit nicht gebührendermaßen Rechnung getragen wird.
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Serio, Mario. "L'interpretazione del trust e l'obbligo di interpretazione conforme («<i>Reading down</i>»)". Trusts, n.º 4 (4 de agosto de 2022): 599–626. http://dx.doi.org/10.35948/1590-5586/2022.133.

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Tesi Il lavoro si muove nel perimetro di una recente sentenza della Chancery Division della High Court inglese nel caso Goodrich v AB, relativo all'interpretazione di una pluralità di disposizioni di un trust di dubbia interpretazione quanto alla identificazione dei beneficiari, affrontando i problemi connessi. Essi sono di duplice natura. In primo luogo, si tratta di stabilire se le ordinarie regole ermeneutiche vigenti nel common law inglese per altre categorie di atti giuridici, sia tra vivi sia a causa di morte, possano applicarsi anche ai trust. Alla motivata risposta positiva, tratta da una costante linea giurisprudenziale, consegue l’ulteriore effetto che assegna all’interprete del trust il compito di accertare la portata oggettiva dell’atto di disposizione, senza indulgere verso la prevalenza di criteri puramente soggettivi. Il secondo ordine di problemi cui il lavoro ha inteso dar risposta riguarda la possibilità di adeguare una serie di nozioni e categorie proprie del diritto di famiglia e delle relazioni da esso nascenti alla stregua di disposizioni legislative sopravvenute che hanno esteso la platea dei possibili beneficiari di un trust. E ciò in virtù di un’interpretazione compatibile con i principii della Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani del 1950 trasposta nello Human Rights Act del 1998. Ed infine, viene esaminato il profilo degli obblighi informativi gravanti sul trustee in merito alle proprie scelte, concludendosi nel senso che a decisioni contrarie alla logica o puramente arbitrarie possa sopperire l’intervento sostitutivo o integrativo dell’autorità giudiziaria. La conclusione è nel senso che dell’apertura verso la sponda eurounitaria del diritto inglese ha tratto giovamento, in termini di rinnovamento delle tradizionali categorie di beneficiari e dei metodi ermeneutici per identificarli, anche il law of trust. The author’s view The recent decision in Goodrich v AB highlights a number of problems which this essay centres upon in an effort to outline a more modern and CEDU oriented version of the law of trust. In particular, the focus will be on the applicable criteria in this branch of the law to the interpretation of settlements aimed at conferring benefits on one or more persons, to be identified through a correct analysis of their objective, legal status in relation to the settlor's intention. It will also be devoted to the determination of whether or not duties of disclosure of relevant documents relating to his/her activity may be said to be incumbent, and in the event to what extent, on the trustee. All these issues have been accurately and extensively taken into account in its decision by the Chancery Division of the High Court and have been given a satisfactory answer. In particular, the interpretative methods to be applied to trust cannot but be the same as in contracts and wills according to the Supreme Court precedents. As to the definition of the beneficiaries of the trust in question, the Court has shown to adhere to an evolutive interpretation derived from the direct application in the domestic law, via the Human Rights Act 1998, of the provisions of the European Convention on Human Rights 1950, with the ultimate result of the broadening of the categories of those who can benefit from the trust, such as civil partners and married couples of the same sex. Finally, a clear tendency to stress the very existence of a duty to frankly and openly disclose relevant information on the part of the trustee is emphasized with an eye to the protection of beneficiaries. The non-performance of such a duty may give rise to a judicial intervention in the light of the Public Trust v Cooper decision.
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Duncan-Jones, R. P. "P. W. De Neeve, Colonus: Private Farm-Tenancy in Roman Italy during the Republic and the Early Principate. Trans A. M. de Bruin-Cousins. Amsterdam: J. C. Gieben, 1984. Pp. vii + 273. ISBN 90-70265-15-X. - G. Giliberti, Servus quasi colonus: forme non tradizionali di organizzazione del lavoro nella società romana (Pubblicazioni della Facoltà Giuridica dell'Università di Napoli cxc). Naples: Jovene, 1981. Pp. xv + 179. - R. J. Buck, Agriculture and Agricultural Practice in Roman Law (Historia, Einzelschriften XLV). Wiesbaden: Steiner, 1983. Pp. 59. ISBN 3-515-04040-4. - K.-P. Johne, J. Köhn, V. Weber, Die Kolonen in Italien und den westlichen Provinzen des römischen Reiches: eine Untersuchung der literarischen, juristischen, und epigraphischen Quellen vom 2. Jahrhundert v.u.Z. bis zu den Severern (Schriften zur Geschichte und Kultur der Antike xxi). Berlin: Akademie, 1983. Pp. 488, 4 pls." Journal of Roman Studies 76 (noviembre de 1986): 295–97. http://dx.doi.org/10.2307/300385.

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Perra, Livio. "CULTURA E DIRITTO AMBIENTALE". Dereito: revista xurídica da Universidade de Santiago de Compostela 29, n.º 2 (18 de enero de 2021). http://dx.doi.org/10.15304/dereito.29.2.6898.

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RIASSUNTO Nel presente articolo l’autore pone l’accento sullo stretto legame che intercorre tra il diritto e la cultura. Il mondo del diritto allo stesso tempo trova spunti di riflessione nella tradizione e diventa manifestazione della cultura. In materia di diritto ambientale questa connessione trova il proprio apice nei diritti bioculturali e nei diritti delle entità naturali non umane. Nei nuovi sistemi di protezione ambientale poggiati sulle solide basi della cultura, l’autore indaga anche il nuovo ruolo dell’essere umano. Lo scopo del presente lavoro consiste nel dimostrare come, partendo dalla cultura, si possa giungere all’innovazione giuridica. L’esempio offerto dai nuovi sistemi di protezione ambientale, che si pongono come soluzioni alle problematiche ambientali, muove la riflessione dell’autore nell’intero lavoro ed egli giunge alla conclusione che l’ordinamento giuridico possa trovare soluzioni utili per risolvere i problemi del presente traendo ispirazione dal sapere antico e dalla cultura dei popoli che compongono i Paesi.
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Baldin, Serena. "La tradizione giuridica contro-egemonica in Ecuador e Bolivia". Boletín Mexicano de Derecho Comparado 1, n.º 143 (1 de enero de 2015). http://dx.doi.org/10.22201/iij.24484873e.2015.143.4938.

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Dalla Torre, Giuseppe. "Pluralismo religioso, multietnicità e biodiritto". Medicina e Morale 55, n.º 3 (30 de junio de 2006). http://dx.doi.org/10.4081/mem.2006.356.

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Dopo essersi rilevato il fenomeno della rinascita del fatto religioso nell’odierna società secolarizzata, grazie anche al massiccio fenomeno immigratorio, si descrive l’impatto del pluralismo etnico-religioso sulle tradizionali realtà degli ordinamenti giuridici statali; impatto reso ancora più problematico per l’ascesa di nuovi poteri, in particolare quello tecnico-scientifico, insofferenti ad una eteroregolamentazione non solo sul piano etico, ma anche sul piano giuridico. Si mette quindi in evidenza una crescente ambiguità che investe la biogiuridica: da un lato la nuova esigenza di riconoscere il rivendicato “diritto alla diversità” da parte delle diverse formazioni etnico-religiose; dall’altro l’esigenza di una regolamentazione giuridica uniforme a garanzia dell’ordinata convivenza attorno ad una scala valoriale che abbia nella “vita” il bene centrale ed ultimo da salvaguardare. Tra le conclusioni cui si giunge è innanzitutto quella per cui la pacifica convivenza in una società multietnica e multireligiosa può essere assicurata, nel rispetto delle diverse tradizioni e culture, attraverso il ricorso a moderati e saggi riconoscimenti di spazio al diritto personale all’interno degli ordinamenti statali, ma nei limiti rigorosi posti dalle esigenze di tutela della dignità umana. Ciò tocca anche la questione dei “nuovi poteri” che, nel contesto di una società globalizzata, impongono una rielaborazione dell’idea di diritto che, partendo dal quadro di un sistema di fonti che tende sempre più ad essere organizzato non secondo gerarchia ma secondo competenza, si ispiri al principio del riconoscimento dell’essere umano nella sua dignità, indipendentemente dall’appartenenza etnico-religiosa. Infine si mette in evidenza l’inaccettabilità di un “diritto debole”, solo procedimentale, perché sostanziale negazione della funzione stessa del diritto, che è quella di prevenire e/o dirimere i conflitti tra interessi in gioco e, quindi, i contrasti tra le parti della società, difendendo nel rapporto i soggetti più deboli; così come si mette in evidenza che il prezioso bene della laicità dello Stato non è – come invece spesso si ritiene – salvaguardato da un “diritto debole”, ma solo da un diritto giusto. ---------- After being noticed the phenomenon of the rebirth of the religious fact in today’s secularized society, it is described also the impact of the ethnic-religious pluralism on the traditional realities of the government juridical arrangements; impact made even more problematic for the ascent of new powers, particularly that technical-scientific, impatient to an heteroregulation not only on the ethical plan, but also on the juridical plan. It is put therefore in evidence an increasing ambiguity that invests the biojuridical: from one side the new demand to recognize the vindicated “law to difference” from different ethnic-religious formations; from the other the demand of a uniform juridical regulation to guarantee of the orderly cohabitation around to a scale of value that has in “life” central and ultimate good to safeguard. Between the conclusions which the author comes it is, first of all, that for which the peaceful cohabitation in a multiethnic and multireligious society can be assured, in the respect of the different traditions and cultures, through the recourse to moderate and wise recognition of space to the personal law into the government arrangements, but in the rigorous limits set by the demands of guardianship of human dignity. This also touches the matter of new powers that, in the contest of globalization, impose a new elaboration of the idea of law that, departing from the picture of a system of sources that extends more and more to not be organized according to hierarchy but according to competence, inspire to the principle of the recognition of the human being in its dignity, independently from the ethnic-religious affiliation. Finally it is put in evidence the unacceptability of a “weak law”, just procedural, as substantial negation of the law function itself, which is that to prevent and/or to settle the conflicts between affairs at stake and, therefore, contrasts between the parts of the society, defending in the relationship the weakest subjects; as it is evidenced that the precious good of laity of the State is not - like instead it is often considered - safeguarded by a weak law, but only by a correct law.
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"Diritto e mercato". Ricerche giuridiche, n.º 1 (6 de mayo de 2020). http://dx.doi.org/10.30687/rg/2281-6100/2018/01/006.

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Il presente contributo è volto ad esaminare il rapporto tra diritto e mercato in una prospettiva giuridica trasversale. Gli autori, dopo aver sintetizzato l’evoluzione nel tempo di tale rapporto, in particolare, cercano di evidenziare come le logiche di mercato abbiano determinato un processo di «funzionalizzazione» del diritto, in forza del quale il diritto sembra conformarsi alle modalità di funzionamento del mercato e non viceversa. In questo processo emerge come fondamentale l’apporto della soft law, nonché dei nuovi criteri e delle nuove tipologie di normazione, che, in quanto più flessibili, sembrano più idonei a rispondere alle esigenze del mercato, sostituendosi agli strumenti normativi tradizionali della hard law
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