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Tesis sobre el tema "Studio cinetico"

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Passa, Simone. "Studio cinetico dei parametri di esplosività di bio-polimeri". Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2019.

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Resumen
Il presente elaborato è stato svolto in continuità con un tirocinio effettuato presso un'azienda operante nel settore della bio-plastica. L'obiettivo di questa tesi è la determinazione di alcuni parametri di esplosività per la polvere in esame utilizzando sia un approccio sperimentale che un approccio numerico. I risultati ottenuti con le due metodologie sono stati poi confrontati per capire se il modello cinetico utilizzato è in grado di prevedere il comportamento della sostanza in esame.
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ALTIERI, Grazia Ida. "SFINGOLIPIDOMICA DELLA NON ALCOHOLIC FATTY LIVER DISEASE IN BIOPSIE DI SOGGETTI CON STEATOSI METABOLICA E DA INFEZIONE DI HCV. STUDIO CINETICO DELLA SINTESI DEGLI SFINGOLIPIDI IN VITRO MEDIANTE UTILIZZO DI ISOTOPI STABILI". Doctoral thesis, Università degli Studi di Palermo, 2014. http://hdl.handle.net/10447/91063.

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Bonaiuto, Emanuela. "Ammino Ossidasi umana sensibile alla semicarbazide: dalla caratterizzazione cinetica agli studi cellulari in adipociti". Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2009. http://hdl.handle.net/11577/3426068.

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Resumen
Human Semicarbazide-Sensitive Amine Oxidase (SSAO/VAP-1) is a transmembrane glycoprotein, which catalyzes the oxidative deammination of primary amines to aldehydes, with the release of the ammonium ion and hydrogen peroxide. The physiological role of SSAO/VAP-1 is not still clear: in adipocytes, SSAO/VAP-1 activity has an “insuline” like effect, while in vascular and sinusoidal hepatic endothelium, SSAO/VAP-1 is involved in the leucocyte extravasation at sites of inflammation. On these basis, the development of new specific inhibitors for SSAO/VAP-1 is an important target for the development of new anti-inflammatory drugs, while the development of new specific substrates can help to clarify the physio-pathological functions of this enzyme. To obtain information about the characteristics of a molecule to be recognized by human SSAO active site, a kinetic characterization of SSAO/VAP-1 from adipocytes was performed. Primary amines, with different size, sterical hindrance and charge distribution were used as “probe-substrates”. 1,12 diaminododecane and cis-4-chloro-butenylamine resulted the substrates with the higher catalytic efficiency among those tested. From these measurements, it was possible to estimate the value of the dielectric constant of the active site of SSAO/VAP-1, that was found to be in the range 10-20. From the effect of pH on Vmax/KM of SSAO/VAP-1 for some substrates, it was possible to highlight that a residue in its protonated form impedes the catalysis. The preliminary analysis of the 3D structures of VAP-1 shows that this residue could be Lys 393. From the effect of ionic strength and of temperature on the enzyme activity it appeared that the hydrophobic effect has an important role in the active site-substrate recognition step. Various classes of compounds (phosphonium and ammonium salts, pyridine and aniline derivatives and N-oxides) as SSAO/VAP-1 inhibitors were also tested . Although they are good inhibitors of the bovine serum enzyme and of 82% of sequence homology between the two enzymes, they resulted poor inhibitors of the human SSAO/VAP-1 (with Ki=3-4mM). From these studies, it emerges that a potential good substrate (or inhibitor) for the human SSAO/VAP-1 should be a molecule characterized by a large apolar moiety and by the presence of a positive charge at a distance higher than 10-12 ? from the reactive amino group. To obviate the use of radioactive isotopes, a discontinuos fluorimetric method for the detection of SSAO/VAP-1 activity in human plasma was set up. The method was validated and applied to the measurement of soluble SSAO/VAP-1 activity in human plasma from healthy controls and from patients with various diseases. A significant increase of soluble SSAO/VAP-1 activity was found in patients with “moderate-severe” Alzheimer disease and in patients with coronary stent implantation. In these patients in addition to SSAO/VAP-1 augment, an increase of circulating extracellular superoxide dismutase activity was also found, suggesting a condition of “oxidative stress”, probably due to the presence of the stent. In the patients with hepatic cirrhosis (induced by alcohol abuse) it was possible to highlight an increase of soluble SSAO/VAP-1 activity in the patients with “mild-moderate” hepatic cirrhosis (according to Child score), while in the patients with “severe” hepatic cirrhosis this increase of activity is lower. These results suggest that high levels of soluble SSAO/VAP-1 are the consequence of an intense inflammatory response, while the relative decrease of the SSAO/VAP-1 level in plasma in the severe state of cirrhosis, could be due to a fall down of the immune defences in these patients. To investigate a possible role of SSAO/VAP-1 activity in adipocytes, a preliminary study was carried out incubating the cells with insuline, methylamine, catalase and malvidine 3-glucoside. From this study, it appears that some proteins are differently expressed in the presence of these factors. In particular, the presence of insuline, methylamine and malvidine 3-glucoside appears to modulate the expression of SSAO/VAP-1 and of MAO, suggesting that both the enzymes are involved in a common signaling pathway, mediated by the insuline. In future the identification of the expressed proteins by Mass-Spectrometry, associated with Immunoblotting, using specific antibodies may contribute to clarify the connection between SSAO/VAP-1 and insuline pathway and will contribute to obtain new information about the role of this enzyme.
L’ammino ossidasi umana sensibile alla semicarbazide (SSAO/VAP-1) è una glicoproteina transmembrana, che catalizza la deamminazione ossidativa di ammine primarie ad aldeidi, con rilascio dello ione ammonio e perossido di idrogeno. Il suo ruolo fisiologico non è ancora chiaro: in adipociti, l’attività SSAO/VAP-1 ha un effetto che mima quello dell’insulina, mentre nell’endotelio vascolare e sinusoidale epatico, SSAO/VAP-1 è coinvolta nell’extravasazione dei leucociti ai siti di infiammazione. Su queste basi, lo sviluppo di nuovi specifici inibitori per SSAO/VAP-1 è un target importante per lo sviluppo di nuovi farmaci antinfiammatori, mentre lo sviluppo di nuovi specifici substrati può contribuire a chiarire le funzioni fisio-patologiche di questo enzima. Per ottenere informazioni sulle caratteristiche che una molecola dovrebbe possedere per essere riconosciuta dal sito attivo dell’enzima umano SSAO, è stata eseguita una caratterizzazione cinetica di SSAO/VAP-1 da adipociti, utilizzando ammine primarie, caratterizzate da differente lunghezza, ingombro sterico e distribuzione di carica. L’1,12 diamminododecano e la cis-4-cloro-butenilammina sono risultati i substrati con la più alta efficienza catalitica fra quelli provati. E’ stato possibile stimare il valore di costante dielettrica del sito attivo di SSAO/VAP-1, che è compreso in un intervallo di circa 10-20. Dall’effetto del pH sul rapporto Vmax/KM della SSAO/VAP-1 per alcuni substrati, è stato possibile evidenziare che un residuo nella sua forma protonata inibisce la catalisi. Da un’analisi preliminare delle strutture 3D di VAP-1, questo residuo potrebbe essere la lisina 393. Dall’effetto della forza ionica e della temperatura sull’attività enzimatica è stato possibile dedurre che l’effetto idrofobico sembra avere un ruolo importante nella fase di riconoscimento substrato - sito attivo della SSAO/VAP-1. Sono state anche provate varie classi di composti (sali di fosfonio ed ammonio, piridina, anilina e i suoi derivati e gli N-ossidi), che sebbene siano buoni inibitori per l’enzima da siero bovino, si sono rivelati inibitori poco efficienti per l’enzima umano SSAO/VAP-1 (valori minimi di Ki=3-4 mM), anche se l’omologia di sequenza fra i due enzimi è elevata (82%). Dall’insieme di questi studi, è emerso che un buon substrato o inibitore per l’enzima umano SSAO/VAP-1 dovrebbe essere una molecola caratterizzata da una larga porzione apolare e dalla presenza di una carica positiva ad una distanza maggiore di 10-12 ? dal gruppo amminico reattivo. Per ovviare all’impiego di isotopi radioattivi, è stato messo a punto un metodo fluorimetrico discontinuo per la misura dell’attività di SSAO/VAP-1 nel plasma umano. Il metodo è stato validato e applicato alla misura dell’attività della forma solubile di SSAO/VAP-1 nel plasma umano di individui controllo e in pazienti affetti da diverse patologie. Un aumento significativo dei livelli di attività SSAO/VAP-1 plasmatica è stato trovato in pazienti con Alzheimer “moderato-grave” ed in pazienti con impianto di stent coronarico. In questi pazienti oltre a SSAO/VAP-1, è stato trovato inoltre un aumento dei livelli di attività della superossido dismutasi circolante nel plasma, suggerendo una condizione di “stress ossidativo”, probabilmente dovuta alla presenza dello stent. Nel caso dei pazienti con cirrosi epatica esotossica (indotta da abuso di alcool), è stato messo in luce un aumento dell’attività della forma solubile si SSAO/VAP-1 nei pazienti con cirrosi epatica “lieve-moderata” (classificazione Child), mentre nei pazienti con cirrosi epatica “grave”, questo aumento si riduce. I risultati ottenuti suggeriscono che elevati livelli della forma solubile di SSAO/VAP-1, sono la conseguenza di un’intensa risposta infiammatoria, mentre la relativa diminuzione del livello di SSAO/VAP-1 nello stato più grave della patologia, potrebbe essere dovuto ad un crollo delle difese immunitarie in questi pazienti. Per cercare di chiarire un possibile ruolo dell’attività di SSAO/VAP-1 negli adipociti, è stato condotto uno studio preliminare trattando le cellule con fattori quali insulina, metilammina, catalasi e malvidina 3-glucoside. L’analisi SDS-PAGE, evidenzia che alcune proteine sono espresse in maniera differente nell’incubazione degli adipociti con questi fattori. In particolare, la presenza di questi composti modula l’espressione di SSAO/VAP-1 e delle MAO, suggerendo che entrambi gli enzimi sono coinvolti in una comune via di segnale, mediata dall’insulina. In futuro l’identificazione delle proteine espresse tramite Spettrometria di Massa, associata ad analisi tramite Immunoblotting con anticorpi specifici, potrà contribuire a chiarire il collegamento tra SSAO/VAP-1 e la via di segnale mediata dall’insulina e a dare nuove informazioni sul ruolo di questo enzima.
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Torta, Gianluca. "Studio preliminare della reazione di racemizzazione fotochimica di alchilidenossindoli". Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2019. http://amslaurea.unibo.it/19223/.

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Resumen
Argomento di questa tesi è lo studio della reazione di racemizzazione fotochimica di alcuni alchilidenossindoli. Si è tentato di sfruttare l’interazione tra i substrati studiati e la luce in campo sintetico come ad esempio la risoluzione cinetica dinamica. Si è trovata l’evidenza sperimentale che i substrati studiati racemizzano se esposti a radiazione UV-Vis. I risultati ottenuti dai test effettuati per capire il meccanismo che porta alla racemizzazone hanno evidenziato che l’intermedio di reazione non è un enolo.
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Para, Michele. "A synthetic route for atropisomeric atorvastatin". Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2019. http://amslaurea.unibo.it/18000/.

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Resumen
The aim of the thesis is to insert a chiral axis on the atorvastatin molecule without having a quaternary carbon, but by blocking the rotation of the single Carbon-Carbon bond of the aryl in position 3, to obtain stable atropisomers. This type of molecules can interact with the HMGR enzyme differently depending on the atropisomer taken into consideration, increasing or lowering the inhibition constant of the drug. Docking calculations were made, starting from the interaction of the atorvastatin with the HMGR, comparing them with the calculations of atorvastatin differently substituted in the aryl in position 3, obtaining a library of possible products. The chiral axis was introduced in the position 3 of the pyrrole ring, because it does not affect the active sites of the atorvastatin, but could give new interactions with the enzyme, depending on the substituent. At the same time, we tried to obtain an efficient synthesis path for having different substituted aryl in the 3 position, increasing the steric hindrance to obtain stable atropisomers. DFT calculations were made to optimize the geometries of the ground and transition states of the test molecules, to forecast the activation energy to rotation. The synthetized products were characterized by NMR (1H, 13C, DEPT), and by analysing the experimental rotational energy barriers with different techniques such as variable temperature NMR (VT-NMR), Dynamic HPLC (DHPLC) and kinetic studies. The absolute configuration of stable atropisomers was assigned with the simulation of the ECD spectra.
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Pandolfi, Lorenzo. "Studio mediante spettroscopia vibrazionale di foto-dimerizzazioni [2+2] in cristalli molecolari". Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2019. http://amslaurea.unibo.it/19237/.

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Resumen
Lo scopo della tesi è lo studio di fotoreazioni di cicloaddizione [2 + 2] in stato solido mediante l’utilizzo di tecniche di spettroscopia vibrazionale Raman e IR. La nostra attenzione si è focalizzata su processi di sistemi organici del tipo “crystal to crystal” (CC) o “single crystal to single crystal” (SCSC), che avvengono con la trasformazione del cristallo del reagente in quello del prodotto. Argomento principale del lavoro di tesi sono i cristalli dei sali di bromuro e cloruro dell’acido 4-ammino-trans-cinnamico, che dimerizzano sotto irraggiamento UV. Il lavoro fa parte di un progetto di ampio respiro svolto in collaborazione con ricercatori del Dipartimento di Chimica “G. Ciamician”, che coinvolge anche cristalli misti dei due sali. Lo studio condotto da loro mediante misure di diffrazione ai raggi X ha stabilito che il processo in esame è del tipo SCSC. L’indagine in microscopia Raman su cristallo singolo si è prefissa di analizzare, in funzione del tempo di irraggiamento, l’evoluzione dello spettro delle vibrazioni sia intramolecolari che reticolari, ottenendo in una stessa misura informazioni sulla trasformazione chimica e su quella di reticolo. A differenza di quanto avviene in processi di dimerizzazione CC con ricostruzione di fase, si è constatato che reazione chimica e cambio di reticolo avvengono in modo parallelo e simultaneo. Inoltre si è osservato che lo spettro delle vibrazioni reticolari evolve senza soluzione di continuità da quello della fase reagente a quello della fase prodotto. Questo è un risultato interessante, di un fenomeno mai osservato prima nello studio Raman di reazioni in stato solido. L’analoga indagine IR su polveri, che si limita alla vibrazione intermolecolare, ha permesso di ricavare la legge cinetica della reazione. Lo stesso metodo di indagine spettroscopica è stato applicato anche alla fotodimerizzazone con meccanismo [2 + 2] dell’acido trans-3-(2-furil)acrilico, processo interessante dal punto di vista industriale.
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Florio, Francesco Paolo. "Studio delle modificazioni strutturali della matrice vegetale mela a seguito di differenti intensità di campi elettrici pulsati (PEF)". Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2019.

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Resumen
Oggigiorno il consumatore medio richiede sempre più un prodotto alimentare che abbia delle caratteristiche ‘fresh-like’, che sia facile e veloce da consumare (es. cibi ‘ready to eat’) e che non abbia subito un elevato trattamento termico. Un esempio sono i prodotti di quarta gamma nati per offrire sul mercato prodotti ortofrutticoli freschi ad elevato contenuto di servizi, ovvero già lavati, puliti, tagliati, confezionati e pronti per il consumo. Questi contengono solitamente frutta e verdura minimamente processata al fine di preservare le caratteristiche organolettiche e nutrizionali. Una parte del lavoro è stata incentrata proprio su questa categoria di prodotti, in particolare sulla mela fresca, applicando ad essa un trattamento non-termico come i campi elettrici pulsati (PEF). L’obiettivo è stato quello di studiare l’impatto del trattamento sulla vitalità cellulare del frutto, comparandolo con il fresco. La seconda parte dello studio, invece, è stata rivolta ai prodotti disidratati o parzialmente disidratati. Questi vengono apprezzati sempre di più in quanto, presentando valori bassi di attività dell’acqua e/o valori bassi di umidità, possono essere conservati a lungo senza deteriorarsi e mantenendo intatte (o quasi) le qualità organolettiche e nutrizionali. L’obiettivo, in questo caso, è stato quello di studiare l’impatto del trattamento PEF e della successiva disidratazione sulle proprietà e sulle caratteristiche reologiche della mela.
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DOMENEGHETTI, DANIELE. "Studio del profilo polifenolico ed aromatico di vini rossi da vitigni di antica coltivazione della Valle d'Aosta". Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2007. http://hdl.handle.net/10280/73.

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Resumen
La Valle d'Aosta, pur non avendo grandi superfici destinate alla viticoltura, è caratterizzata dalla presenza di un ricco patrimonio ampelografico di cui fanno parte dodici varietà autoctone a bacca rossa: Bonda, Cornalin, Crovassa, Fumin, Mayolet, Ner d'Ala, Petit rouge, Premetta, Roussin, Roussin de Morgex, Vien de Nus e Vuillermin. Malgrado i numerosi vitigni menzionati, nella produzione dei vini a D.O.C troviamo in prevalenza il Petit rouge e poche altre varietà che, nell'insieme, rappresentano circa il 34% della produzione totale. Al fine di implementare la presenza di prodotti tipici che esprimano i caratteri distintivi della zona di provenienza sono state approfondite le conoscenze dei vitigni autoctoni per evidenziarne le attitudini e le potenzialità per la produzione di vini rossi di qualità. Allo stesso scopo sono stati valutati gli effetti dell'applicazione di alcune tecniche di vinificazione alternative sull'espressione dei caratteri qualitativi del Petit rouge, le cui uve sono da tempo vinificate in purezza o in assemblaggi nella produzione di vini a D.O.C.
Aosta Valley has a little viticulture surface and it is characterised by a rich ampelographic collection including the following twelve red grape autochthonous varieties: Bonda, Cornalin, Crovassa, Fumin, Mayolet, Ner d'Ala, Petit rouge, Premetta, Roussin, Roussin de Morgex, Vien de Nus e Vuillermin. Only the 34% of the D.O.C. wine production is represented by some of the above mentioned cultivars, in particular the Petit Rouge, despite of the huge number of cultivars. The Petit rouge is used in purity or in miscellaneous in the D.O.C. wine production. In order to implement the presence of typical products, this study was carried out to evaluate the aptitude of Aosta Valley ancient grapes to produce quality red wines. Moreover to improve quality of the most diffused Aosta Valley red wine the effects of some alternative winemaking were evaluated on the Petit rouge characters.
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DOMENEGHETTI, DANIELE. "Studio del profilo polifenolico ed aromatico di vini rossi da vitigni di antica coltivazione della Valle d'Aosta". Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2007. http://hdl.handle.net/10280/73.

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La Valle d'Aosta, pur non avendo grandi superfici destinate alla viticoltura, è caratterizzata dalla presenza di un ricco patrimonio ampelografico di cui fanno parte dodici varietà autoctone a bacca rossa: Bonda, Cornalin, Crovassa, Fumin, Mayolet, Ner d'Ala, Petit rouge, Premetta, Roussin, Roussin de Morgex, Vien de Nus e Vuillermin. Malgrado i numerosi vitigni menzionati, nella produzione dei vini a D.O.C troviamo in prevalenza il Petit rouge e poche altre varietà che, nell'insieme, rappresentano circa il 34% della produzione totale. Al fine di implementare la presenza di prodotti tipici che esprimano i caratteri distintivi della zona di provenienza sono state approfondite le conoscenze dei vitigni autoctoni per evidenziarne le attitudini e le potenzialità per la produzione di vini rossi di qualità. Allo stesso scopo sono stati valutati gli effetti dell'applicazione di alcune tecniche di vinificazione alternative sull'espressione dei caratteri qualitativi del Petit rouge, le cui uve sono da tempo vinificate in purezza o in assemblaggi nella produzione di vini a D.O.C.
Aosta Valley has a little viticulture surface and it is characterised by a rich ampelographic collection including the following twelve red grape autochthonous varieties: Bonda, Cornalin, Crovassa, Fumin, Mayolet, Ner d'Ala, Petit rouge, Premetta, Roussin, Roussin de Morgex, Vien de Nus e Vuillermin. Only the 34% of the D.O.C. wine production is represented by some of the above mentioned cultivars, in particular the Petit Rouge, despite of the huge number of cultivars. The Petit rouge is used in purity or in miscellaneous in the D.O.C. wine production. In order to implement the presence of typical products, this study was carried out to evaluate the aptitude of Aosta Valley ancient grapes to produce quality red wines. Moreover to improve quality of the most diffused Aosta Valley red wine the effects of some alternative winemaking were evaluated on the Petit rouge characters.
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Battista, Fabrizio. "Studio delle influenze ambientali (suolo-clima) sulla qualità dell'uva rispetto alla sua idoneità all'appassimento su Cv. tipiche della Valpolicella (Corvina e Corvinone)". Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2013. http://hdl.handle.net/11577/3423068.

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Resumen
The diffusion of grapes post-harvest dehydrations in order to produce wines led to the development of new technologies able to plan and control the kinetics of dehydration. These technologies normally act exclusively on the environmental conditions of the drying room (fruttaio), without considering the different grapes characteristics. The aim of this thesis is to evaluate which are the grapes characteristics affecting the dehydration process. The study was carried out during three years (2010-2012) in order to evaluate how the genetic materials (two varieties studied: Corvina and Corvinone), the agronomic practices (different training systems: Pergola and Guyot) and the environmental factors (eight soil units) affect the following parameters: quantity of epicuticolar wax, skin thickness, bunch density and berry surface to volume ratio. Furthermore the bunch were dried in a commercial drying room to understand how the grapes characteristics affect the kinetic of dehydration. All these parameters are linked with the genetic material examinated. The two varieties studied, Corvina and Corvinone, showed different characteristics. Corvina showed smaller berries dimensions, with a thicker skin covered by a bigger amount of epicuticolar wax then Corvinone. Thus the kinetic of Corvinone was always slower than the Corvina ones. The epicuticolar wax content was different between the different years studied. In the seasons with an higher content of wax the dehydration kinetic was faster compared with the other years. Furthermore probably there is a different wax composition between Pergola and Guyot, the epicuticolar wax of Pergola showed an high efficiency on the defence against the berry water loss. Considering the same varieties, the dehydration rate was affected by different level of skin thickness just in some situations. When the average year skin thickness was the thinner the difference between units influenced the water loss rate. The main important parameters to understand the variability in the dehydrations kinetic was the bunch density. Dense bunches showed slower rate of water loss. The study showed a variation of the studied parameters depending on the environmental variability (mainly pedological soil characteristics, site-altitude and exposure) and annual climatic conditions. The berry size is affected by the temperature and the available soil water. The bunch density is strictly correlated with the berry size, i.e. bigger berry are the main cause of a dense bunch. The skin thickness is higher where the soil water content is lower, as in stressed situations to prevent water loss the plant showed a significant increase of berry skin thickness. The epicuticolar wax is lead with the temperature and the exposure of the fruit zone, a good sun exposure and the cool temperature support an high wax content. Finally the study confirmed the influence of the environmental factors, the seasonal effect, the agronomic practices and the genetic properties on the dehydrations kinetic.
La diffusione sempre più ampia della tecnica di appassimento ha portato allo sviluppo di nuove tecnologie in grado di pianificare in maniera sempre più precisa la cinetica di disidratazione delle uve agendo esclusivamente sulle condizioni ambientali dell'ambiente di appassimento. Spesso però questi strumenti non tengono in considerazione le differenti caratteristiche delle uve. Il presente lavoro di ricerca ha studiato durante tre annate (2010-2012) quali caratteristiche delle uve possono influenzare l'appassimento, e come queste varino in funzione della varietà  (Corvina e Corvinone), della tecnica agronomica (Pergola e Guyot) e del sito di coltivazione (otto unità di pedopaesaggio). Inoltre ponendo le uve in appassimento nelle condizioni in cui questo viene condotto nei fruttai commerciali si è capito quali tra i caratteri studiati influenzino in maniera determinante le cinetiche di disidratazione. Le caratteristiche studiate sono state: dimensione degli acini, compattezza dei grappoli, cere epicuticolari e spessore della buccia. Tutti questi parametri sono risultati fortemente legati alla componente genetica. Le due varietà studiate, Corvina e Corvinone, hanno mostrato valori diversi di questi caratteri. La Corvina ha sempre mostrato acini di più piccole dimensioni caratterizzati da una buccia più sottile ma ricoperta da una maggiore quantità di cere epicuticolari rispetto al Corvinone. Queste differenze tra le due varietà sono alla base della più lenta cinetica di disidratazione del Corvinone rispetto alla Corvina. La quantità di cere epicuticolari è sembrata essere in grado di discriminare tre le differenti annate, ad una maggiore quantità di cere, però, sono corrisposte cinetiche di appassimento più rapide. E' inoltre ipotizzabile una differente composizione delle cere tra le due forme di allevamento in quanto, a parità di cere e degli altri parametri studiati, le uve allevate a Pergola hanno mostrato una cinetica di appassimento più lenta, ciò è probabilmente legato alla diversa composizione delle cere che ne determina diverse proprietà di difesa dalla disidratazione. Considerando la stessa varietà le differenze a livello di spessore della buccia hanno mostrato un influenza sulla fase di disidratazione solo in determinate annate. Quando le bucce sono state più sottili in termini di annata, le piccole differenze tra le zone sono risultate differenziare le cinetiche di appassimento. Infine, sempre considerando la stessa varietà, la compattezza dei grappoli è risultato il parametro più importante in grado di fornire informazioni utili per prevedere la velocità di disidratazione. All'aumentare della compattezza dei grappoli la cinetica di disidratazione è più lenta. Tutti questi parametri sono risultati essere influenzati dall'ambiente di coltivazione determinando come in diverse annate ed in diverse zone l'uva abbia presentato caratteristiche differenti. La dimensione degli acini è risultata influenzata dalle temperature e dalla disponibilità idrica nelle diverse fasi di sviluppo dell'acino. La compattezza dei grappoli, per entrambe le varietà studiate, è legata alla dimensione degli acini che li compongono. Pure lo spessore della buccia è risultato fortemente legato al clima e al sito di coltivazione, in particolare la più bassa disponibilità idrica del suolo ha determinato bucce più spesse. Infine il contenuto di cere è risultato legato alle temperature ed al livello di insolazione della zona fruttifera, maggiori livelli di insolazione e temperature più fresche hanno determinato un maggior contenuto di cere epicuticolari. E' stato quindi confermata l'influenza dell'ambiente, dell'annata, della tecnica colturale e della varietà sui parametri che determinano diverse cinetiche di appassimento.
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MORETTI, DE ALMEIDA GABRIEL. "Coltivazione di Lactobacillus plantarum e Lactococcus lactis in mezzo a base di estratto di soia: studio della cinetica di acidificazione, della crescita cellulare, dell’attività antimicrobica e dello stress gastrointestinale in vitro = Cultivo de Lactobacillus plantarum e Lactococcus lactis em meio contendo extrato de soja: estudo da cinética de acidificação, do crescimento celular, da atividade antimicrobiana e do estresse gastrointestinal in vitro". Doctoral thesis, Università degli studi di Genova, 2020. http://hdl.handle.net/11567/993696.

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Resumen
Currently, the idea of reducing dairy components as vehicles for probiotic agents has been promoted because of the high proportion of individuals who present lactose intolerance and allergy to milk protein components. Researchers suggest that lactose intolerance occurs in the sensitized intestinal mucosa, causing abdominal cramps, vomiting, intestinal constipation, fecal occult blood loss, and in more severe cases, intestinal obstruction and protein-losing enteropathy. Considering the pathologies related to food intolerance, new alternatives such as soy-based probiotic fermented beverages instead of dairy products have been emphasized in the diet, as they provide a beneficial modulation of the intestinal microbiota. The acidification kinetics was performed with the CINAC system of the different formulations at 42°C. The ternary co-culture composed of Lactococcus lactis (LL), Lactobacillus bulgaricus (LB), Streptococcus thermophilus (ST) was the highest acidification rate (Vmax 11.40 x 10-3 units pH / min) 10.12 hours to reach pH 4.5 (P <0.05), post acidification the Lactococcus lactis (LL) strain had the lowest significant acidification rate when compared to the others at 37ºC p <0.05. And the ternary co-culture Lactobacillus plantarum Lactobacillus bulgaricus (LB) and Streptococcus thermophilus (ST) showed the highest acidification rate when compared to the other p <0.05, at 42ºC, and the highest acidification rate was Lactococcus lactis (LL) with Lactobacillus plantarum (LP). In the microbiological count, all microorganisms at different temperatures and formulations maintained viability above 106 after 28 days of storage at 4ºC. The thermodynamic parameters estimated for nisin irreversible thermal inactivation were energy, enthalpy and Gibbs free energy of activation of 155.1, 152.1-152.3 and 86.2-90.4 kJ/mol, respectively, and an activation entropy of 177.9-186.2 J mol-1 K-1.
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PANTINI, SARA. "Analysis and modelling of leachate and gas generation at landfill sites focused on mechanically-biologically treated waste". Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2013. http://hdl.handle.net/2108/203393.

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Resumen
Despite significant efforts have been directed toward reducing waste generation and encouraging alternative waste management strategies, landfills still remain the main option for Municipal Solid Waste (MSW) disposal in many countries. Hence, landfills and related impacts on the surroundings are still current issues throughout the world. Actually, the major concerns are related to the potential emissions of leachate and landfill gas into the environment, that pose a threat to public health, surface and groundwater pollution, soil contamination and global warming effects. To ensure environmental protection and enhance landfill sustainability, modern sanitary landfills are equipped with several engineered systems with different functions. For instance, the installation of containment systems, such as bottom liner and multi-layers capping systems, is aimed at reducing leachate seepage and water infiltration into the landfill body as well as gas migration, while eventually mitigating methane emissions through the placement of active oxidation layers (biocovers). Leachate collection and removal systems are designed to minimize water head forming on the bottom section of the landfill and consequent seepages through the liner system. Finally, gas extraction and utilization systems, allow to recover energy from landfill gas while reducing explosion and fire risks associated with methane accumulation, even though much depends on gas collection efficiency achieved in the field (range: 60-90% Spokas et al., 2006; Huitric and Kong, 2006). Hence, impacts on the surrounding environment caused by the polluting substances released from the deposited waste through liquid and gas emissions can be potentially mitigated by a proper design of technical barriers and collection/extraction systems at the landfill site. Nevertheless, the long-term performance of containment systems to limit the landfill emissions is highly uncertain and is strongly dependent on site-specific conditions such as climate, vegetative covers, containment systems, leachate quality and applied stress. Furthermore, the design and operation of leachate collection and treatment systems, of landfill gas extraction and utilization projects, as well as the assessment of appropriate methane reduction strategies (biocovers), require reliable emission forecasts for the assessment of system feasibility and to ensure environmental compliance. To this end, landfill simulation models can represent an useful supporting tool for a better design of leachate/gas collection and treatment systems and can provide valuable information for the evaluation of best options for containment systems depending on their performances under the site-specific conditions. The capability in predicting future emissions levels at a landfill site can also be improved by combining simulation models with field observations at full-scale landfills and/or with experimental studies resembling landfill conditions. Indeed, this kind of data may allow to identify the main parameters and processes governing leachate and gas generation and can provide useful information for model refinement. In view of such need, the present research study was initially addressed to develop a new landfill screening model that, based on simplified mathematical and empirical equations, provides quantitative estimation of leachate and gas production over time, taking into account for site-specific conditions, waste properties and main landfill characteristics and processes. In order to evaluate the applicability of the developed model and the accuracy of emissions forecast, several simulations on four full-scale landfills, currently in operative management stage, were carried out. The results of these case studies showed a good correspondence of leachate estimations with monthly trend observed in the field and revealed that the reliability of model predictions is strongly influenced by the quality of input data. In particular, the initial waste moisture content and the waste compression index, which are usually data not available from a standard characterisation, were identified as the key unknown parameters affecting leachate production. Furthermore, the applicability of the model to closed landfills was evaluated by simulating different alternative capping systems and by comparing the results with those returned by the Hydrological Evaluation of Landfill Performance (HELP), which is the most worldwide used model for comparative analysis of composite liner systems. Despite the simplified approach of the developed model, simulated values of infiltration and leakage rates through the analysed cover systems were in line with those of HELP. However, it should be highlighted that the developed model provides an assessment of leachate and biogas production only from a quantitative point of view. The leachate and biogas composition was indeed not included in the forecast model, as strongly linked to the type of waste that makes the prediction in a screening phase poorly representative of what could be expected in the field. Hence, for a qualitative analysis of leachate and gas emissions over time, a laboratory methodology including different type of lab-scale tests was applied to a particular waste material. Specifically, the research was focused on mechanically biologically treated (MBT) wastes which, after the introduction of the European Landfill Directive 1999/31/EC (European Commission, 1999) that imposes member states to dispose of in landfills only wastes that have been preliminary subjected to treatment, are becoming the main flow waste landfilled in new Italian facilities. However, due to the relatively recent introduction of the MBT plants within the waste management system, very few data on leachate and gas emissions from MBT waste in landfills are available and, hence, the current knowledge mainly results from laboratory studies. Nevertheless, the assessment of the leaching characteristics of MBT materials and the evaluation of how the environmental conditions may affect the heavy metals mobility are still poorly investigated in literature. To gain deeper insight on the fundamental mechanisms governing the constituents release from MBT wastes, several leaching experiments were performed on MBT samples collected from an Italian MBT plant and the experimental results were modelled to obtain information on the long-term leachate emissions. Namely, a combination of experimental leaching tests were performed on fully-characterized MBT waste samples and the effect of different parameters, mainly pH and liquid to solid ratio (L/S,) on the compounds release was investigated by combining pH static-batch test, pH dependent tests and dynamic up-flow column percolation experiments. The obtained results showed that, even though MBT wastes were characterized by relatively high heavy metals content, only a limited amount was actually soluble and thus bioavailable. Furthermore, the information provided by the different tests highlighted the existence of a strong linear correlation between the release pattern of dissolved organic carbon (DOC) and several metals (Co, Cr, Cu, Ni, V, Zn), suggesting that complexation to DOC is the leaching controlling mechanism of these elements. Thus, combining the results of batch and up-flow column percolation tests, partition coefficients between DOC and metals concentration were derived. These data, coupled with a simplified screening model for DOC release, allowed to get a very good prediction of metal release during the experiments and may provide useful indications for the evaluation of long-term emissions from this type of waste in a landfill disposal scenario. In order to complete the study on the MBT waste environmental behaviour, gas emissions from MBT waste were examined by performing different anaerobic tests. The main purpose of this study was to evaluate the potential gas generation capacity of wastes and to assess possible implications on gas generation resulting from the different environmental conditions expected in the field. To this end, anaerobic batch tests were performed at a wide range of water contents (26-43 %w/w up to 75 %w/w on wet weight) and temperatures (from 20-25 °C up to 55 °C) in order to simulate different landfill management options (dry tomb or bioreactor landfills). In nearly all test conditions, a quite long lag-phase was observed (several months) due to the inhibition effects resulting from high concentrations of volatile fatty acids (VFAs) and ammonia that highlighted a poor stability degree of the analysed material. Furthermore, experimental results showed that the initial waste water content is the key factor limiting the anaerobic biological process. Indeed, when the waste moisture was lower than 32 %w/w the methanogenic microbial activity was completely inhibited. Overall, the obtained results indicated that the operative conditions drastically affect the gas generation from MBT waste, in terms of both gas yield and generation rate. This suggests that particular caution should be paid when using the results of lab-scale tests for the evaluation of long-term behaviour expected in the field, where the boundary conditions change continuously and vary significantly depending on the climate, the landfill operative management strategies in place (e.g. leachate recirculation, waste disposal methods), the hydraulic characteristics of buried waste, the presence and type of temporary and final cover systems.
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Camerini, Rachel Elisabetta. "Nanocomposites for the consolidation of stone: novel formulations and a kinetic study". Doctoral thesis, 2019. http://hdl.handle.net/2158/1151754.

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The present PhD thesis deals with the consolidation of stone materials, using nanotechnologies and composite materials. Nanocomposites were developed and tested for surface consolidation treatments of unbaked earth (adobe breaks) - one of the most common building technique worldwide spread - using silica nanoparticles, calcium hydroxide nanoparticles and a cellulose derivative. A kinetic study on the carbonation of calcium hydroxide nanoparticles was carried out by means of accelerated carbonation of four commericial alcoholic dispersions and FTIR spectroscopy.
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POPOLLA, DANIELA. "Studio molecolare della cinetica nemaspermica". Doctoral thesis, 2012. http://hdl.handle.net/11573/918718.

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La capacità fecondante di un individuo è strettamente legata alle caratteristiche microscopiche del suo liquido seminale, ed in particolare a tre parametri fondamentali: il numero di spermatozoi, la loro morfologia e la motilità. Quest’ultimo parametro riveste un ruolo fondamentale nella riproduzione, in quanto per arrivare a fecondare la cellula uovo, gli spermatozoi devono essere in grado di risalire le vie genitali femminili. La motilità dello spermatozoo si realizza grazie alla particolare struttura con cui è organizzato il flagello e all’energia ad essa fornita da due vie metaboliche, la fosforilazione ossidativa, che avviene nel tratto intermedio dove sono localizzati i mitocondri, e la via glicolitica che si realizza nel segmento principale nel quale sono stati individuati individuati gli enzimi glicolitici. Alterazioni nella struttura del flagello o nelle vie metaboliche che forniscono energia possono determinare ridotta o assenza di motilità, quindi infertilità. La glicolisi è un processo altamente conservato negli eucarioti, tuttavia negli spermatozoi umani sono state individuate isoforme di alcuni enzimi glicolitici, che hanno caratteristiche strutturali e funzionali che li distinguono dalle rispettive isoforme espresse nelle cellule somatiche. Tre di essi, la gliceraldeide 3-fosfato deidrogenasi, la fosfoglicerato chinasi-2 e la lattato deidrogenasi-C, sono codificati da geni paraloghi espressi solo durante la spermatogenesi. È stato dimostrato che topi knock-out per il gene della gliceraldeide 3-fosfato deidrogenasi spermatica sono infertili e mostrano alterazioni non solo quantitative ma anche qualitative della motilità (Miki et al. 2004). Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare l’espressione del gene GAPDHS che codifica per l’isoforma spermatica dell’enzima glicolitico gliceraldeide 3-fosfato deidrogenasi (GAPDH) in campioni di liquido seminale caratterizzati da normocinesia o da ipocinesia , al fine di correlare le alterazioni nella motilità nemaspermica con i livelli di mRNA.
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FARABEGOLI, Geneve. "Studio dei fenomeni che influenzano la cinetica biologica in letti sommersi e relativa modellizzazione". Doctoral thesis, 2002. http://hdl.handle.net/11573/383185.

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Sono state seguite tre linee di ricerca riguardanti: un SBR (Sequencing Batch Reactor), un biofiltro ed un filtro terziario. Nella prima linea di ricerca, è stata studiata la pre-denitrificazione in un SBR in scala di laboratorio ed è stato effettuato un confronto tra il processo di pre- e post-denitrificazione nel reattore alimentato con chiariflocculato. Nella seconda linea di ricerca si è progettato e realizzato un biofiltro in scala semi-pilota alimentato con liquame sintetico e, una volta definiti i corpi di supporto ottimali della biomassa, è stata valutata l'efficienza di rimozione del carbonio. Successivamente, spostato il biofiltro presso l'impianto di depurazione ed alimentato con liquame reale, è stata valutata la rimozione del carbonio e la nitrificazione. Nella terza linea di ricerca si è studiata la denitrificazione in un filtro terziario a valle di un processo di rimozione del carbonio e nitrificazione di un impianto di depurazione in piena scala, per valutare l'efficienza di rimozione dei nitrati, della frazione organica e dei solidi sospesi. Infine sono stati applicati due modelli matematici di simulazione (uno per l'SBR ed uno per il biofiltro) che permettono di verificare la validità dei dati raccolti e di ricavare ulteriori informazioni sul processo biologico.
Three main research projects have been carried out: a SBR (Sequencing Batch Reactor), a biofilter and a tertiary filter. In the first research project, pre-denitrification in a lab scale SBR has been studied and a comparison between pre- and post-denitrification in the reactor fed by a chemically pre-treated wastewater has been carried out. In the second research project, a pilot scale biofilter fed by synthetic wastewater has been designed and, once defined the optimal filter media for the biomass growth, the carbon removal efficiency has been evaluated. Then the biofilter was moved to the wastewater treatment plant and fed by urban wastewater and nitrification and carbon removal have been studied. In the third research project, denitrification in a tertiary filter, downward a nitrification and carbon removal process of a full scale WWTP, has been studied in order to evaluate nitrates, organic fraction and suspended solids removal efficiency. Two mathematical simulation models (one for the SBR and the other for the biofilter) have been used to verify the experimental data and to achieve more information about the biological process.
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PETRUCCI, Elisabetta. "Ottimizzazione dei processi di ossidazione mediante reattivo di Fenton: studio della termodinamica e della cinetica di reazione". Doctoral thesis, 2000. http://hdl.handle.net/11573/466167.

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Nel trattamento delle acque di scarico industriali, spesso si rende necessario il ricorso a processi di ossidazione chimica al fine di abbattere le sostanze inquinanti presenti trasformandole in prodotti finali non nocivi ovvero in intermedi più facilmente biodegradabili. Gli ossidanti chimici più comunemente utilizzati sono: l’ozono, l’ossigeno, il perossido di idrogeno, il permanganato, lo ione dicromato, il biossido di titanio, il cloro e lo ione ipoclorito. Il potere ossidante di alcune di queste specie può essere fortemente accentuato attraverso la combinazione con la radiazione UV e/o con opportuni metalli; in tali condizioni, infatti, tali composti esplicano la loro azione attraverso un intermedio, il radicale ossidrile, notevolmente instabile ma dotato di uno straordinario potenziale di ossidazione, secondo solo a quello del fluoro: OH° + H+ + e- H2O E0 = + 2.8 V (1) dove E0 è il potenziale redox standard del radicale ossidrile riferito all’elettrodo standard di idrogeno. I potenziali di ossidazione del radicale ossidrile e degli agenti ossidanti citati sono riportati in tabella I. I processi ossidativi basati sulla generazione di intermedi di reazione radicalici sono definiti Processi Ossidativi Avanzati (AOP). A tale categoria appartiene anche un sistema costituito da una miscela di perossido di idrogeno e sali di ferro (II) noto come reattivo di Fenton, dal nome del chimico che per primo ne studiò il meccanismo e le possibili applicazioni. L’obiettivo del presente lavoro è stato verificare le potenzialità ossidative del radicale ossidrile, in un sistema che impiega il perossido di idrogeno, come fonte di radicali OH°, in combinazione con il ferro (II) chiamato “sistema di Fenton”. Il reattivo è stato sperimentato nell’abbattimento di composti del fosforo, sotto forma di miscela equimolare di ipofosfiti e fosfiti. In particolare sono state studiate tre diverse soluzioni, di concentrazione 250, 500 e 750 mg/l in termini di fosforo, al fine di ottimizzare le condizioni operative di reazione del reattivo di Fenton, ponendo come obiettivo la soglia residua di fosforo in forma non totalmente ossidata a fosfato. In particolare, nel CAPITOLO 1 sono state esposte le proprietà generali ed i processi di produzione del perossido di idrogeno; sono state riportate le capacità ossidanti di questo composto ed i suoi impieghi come ossidante chimico nell’industria Nel CAPITOLO 2 è stato introdotto il reattivo di Fenton e sono stati esposti i meccanismi di reazione, le proprietà, le applicazioni industriali, i limiti ed i vantaggi del trattamento di Fenton, ad oggi noti, come da letteratura. Nel CAPITOLO 3 sono state esposte le proprietà generali del fosforo e dei suoi composti, in particolare dei fosfiti e degli ipofosfiti, che costituiscono l’oggetto del processo ossidativo studiato in questa ricerca. Nel CAPITOLO 4 è stato introdotto il metodo di trattamento adottato, le procedure operative e le tecniche analitiche utilizzate. Nel CAPITOLO 5 è stato studiato l’effetto di numerosi parametri sull’ossidazione ed è stato eseguito lo studio cinetico dell’ossidazione anche mediante la determinazione continua del pH e del potenziale di ossidoriduzione. I risultati ottenuti e sintetizzati nel CAPITOLO 6, evidenziano che il reattivo di Fenton, combinando ad una grande efficacia del potere ossidante, semplicità di realizzazione e costi (operativi e di gestione) piuttosto contenuti, risulta uno strumento di significativa applicabilità.
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Albertini, Valerio Rossi y Ruggero CAMINITI. "Applicazione della diffrazione a dispersione di energia allo studio della cinetica di transizione di fase in campioni polimerici : tesi di dottorato di ricerca in scienza dei materiali". Doctoral thesis, 1996. http://hdl.handle.net/11573/407238.

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SANTORI, NICOLETTA. "Studio della cinetica di biotrasformazione di pesticidi e tossine naturali per l’identificazione di marcatori di esposizione e suscettibilità e di possibili gruppi di popolazione a maggior rischio". Doctoral thesis, 2022. http://hdl.handle.net/11573/1631508.

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Quotidianamente l’organismo è esposto a numerose sostanze esogene, dette xenobiotici, come pesticidi o tossine naturali. Tutte queste sostanze sono caratterizzate da un certo grado di lipofilicità, quindi possono attraversare la membrana fosfolipidica ed essere assorbite dalle cellule. Per questo l’organismo mette in atto processi per rendere più idrofile tali sostanze in modo che possano essere eliminate più facilmente, ad esempio attraverso urina sudore e feci, vie di escrezioni a base acquosa. I processi metabolici avvengono per lo più nel fegato, ma gli enzimi coinvolti possono ritrovarsi anche in altri organi come intestino, polmoni e reni. Gli enzimi del metabolismo degli xenobiotici vengono indicati come enzimi di fase I o II. Gli enzimi di fase I attraverso processi di idrolisi (es: le paraoxonasi o PON) o di monossidazione (es: citocromo P450 o CYP) scoprono e trasformano gruppi funzionali rendendo la molecola parentale più idrofila, e substrato degli enzimi detti di fase II, come glutatione-S-Trasferasi (GST) o le glucoronil-trasferasi (UGT), che coniugano lo xenobiotico o il suo metabolita di fase I con molecole endogene altamente idrofile, come per esempio il glutatione o l’acido glucuronico: questi processi rendono la molecola più facilmente eliminabile. Il metabolita formato può risultare anche più tossico del composto parentale per cui si parla di bioattivazione mentre se si trasformano i composti in sostanze meno tossiche si parla di detossificazione. La maggior parte degli enzimi coinvolti nel metabolismo di sostanze esogene e in alcuni casi anche endogene (es: ormoni steroidei o tiroidei) sono in realtà famiglie enzimatiche formate da varie isoforme che spesso presentano specificità di substrato sovrapponibile ma differente efficienza catalitica. Inoltre ciascuna isoforma può essere polimorfica, cioè essere codificata da varianti genetiche presenti nella popolazione in percentuali maggiori dell’1% in base alle quali l’attività catalitica può essere diversa. Per questa ragione si può parlare di metabolizzatori lenti, rapidi e ultrarapidi che, presentando una diversa attività metabolica, possono rispondere in maniera differente alle stesse dosi di esposizione esterna a xenobiotici, determinando una diversa dose interna al bersaglio. Le conseguenze possono essere che individui caratterizzati da polimorfismi diversi possono avere a parità di esposizione ad un farmaco possono avere la risposta terapeutica attesa o reazioni avverse o ridotta attività terapeutica; questo determina anche una diversa suscettibilità agli effetti tossici di contaminanti ambientali. Da qui risulta evidente l’importanza di conoscere il pathway metabolico, gli enzimi coinvolti ed i parametri cinetici di una sostanza nell’uomo in modo da poter identificare nella popolazione esposta gruppi suscettibili. Il lavoro di tesi si è inserito all’interno di un Progetto Europeo, finanziato da EFSA (autorità Europea per la sicurezza alimentare) coordinato dal laboratorio in cui ho lavorato, dal titolo ”Modelling human variability in toxicokinetic and toxicodynamic processes using Bayesian meta-analysis, physiologically-based (PB) modelling and in vitro systems “, che prevedeva di produrre dati sperimentali che fossero un input per modelli cinetici. In particolare sono stati studiati: i) il metabolismo di alcune microcistine (MCs) con l’identificazione delle isoforme di GST coinvolte nella loro detossificazione, ii) il loro assorbimento intestinale mediante un sistema in vitro 3D per individuare i trasportatori coinvolti, iii) la bioattivazione del pesticida organofosforico Phosmet (Pho) metabolizzato dalle isoforme del CYP450 al metabolita neurotossico Phosmet-oxon (PhOx) inibitore dell’acetilcolinesterasi, iv) le interazioni metaboliche tra Pho ed chlorpirifos (CPF), un altro pesticida organofosforico, per evidenziare la reciproca influenza sulla loro bioattivazione. Le MC sono prodotti secondari del metabolismo dei cianobatteri la cui presenza nelle acque è direttamente legata a fattori antropici che rendono i corpi idrici eutrofici e ai cambiamenti climatici. L’esposizione umana a queste sostanze può avvenire per via cutanea, inalazione e ingestione; quest’ultima è la via più comune, a causa della contaminazione di cibi, acqua potabile, ma anche in integratori naturali (BGAS). Le MC sono epatotossiche, neurotossiche e promotrici tumorali, infatti inibiscono le fosfatasi 1 e 2A, e vengono detossificate mediante la coniugazione col GSH, formando un coniugato meno tossico e più facilmente eliminabile. Tale reazione può avvenire sia spontaneamente che catalizzata dalle diverse isoforme delle GST, come mostrato per MC-RR e MC-LR, in cui la reazione enzimatica presenta un maggior contributo quando c’è deplezione di GSH. Nel lavoro di tesi sono stati determinati i parametri cinetici (Km, Vmax e Cli) relativi alla detossificazione dei congeneri MCLW, MCYR e MCLF valutando la formazione del coniugato, sia utilizzando le singole isoforme ricombinanti umane di GST (GST A1, A2, A4, M1, T1 T2, P1, and O1) che citosol epatico umano (Human Liver Cytosol, HLC). Il range di efficienza catalitica, data dalla Clearence intrinseca (CLi) delle GST è simile per MCLW e MCYR (0.022-0.066 pmolGSMCLW/( μgprot*min*μM) e 0.048-0.09 pmolGSMCYR/(μgprot*min*μM); P1 ed A1 sono state le isoforme più efficienti nel caso della MCLW, mentre per la YR si è avuto P1=O1>A1, ma la reazione spontanea è quella che da sempre il maggior contributo rispetto all’enzimatica. La MC-LF viene coniugata solo parzialmente dalla reazione spontanea e non da quella enzimatica. Utilizzando gli HLC si è studiata la cinetica relazione complessiva data dalla co-presenza di tutte le GST epatiche. Sono stati determinati inoltre i valori di logPow delle 5 MC più studiate, seguendo la linea guida OECD n.117, ottenendo il ranking di lipofilicità: LF>LW>LR>YR>RR. Da questi risultati e dai dati di letteratura emerge che l’isoforma detossificata in modo più efficiente è la RR (idrofilica) che è soggetta a un basso uptake OATP-mediato e quindi più facile da detossificare, contrariamente invece alla MC-LF che, una volta entrata nelle cellule (elevato uptake), è la meno detossificata e quindi più tossica per diversi tipi cellula. Studiare la tossicocinetica (TK) delle diverse MC ci permette di stimare la variabilità nella tossicità che è congenere-dipendente e di supportare i modelli quantitativi di estrapolazione in vivo-in vitro per singola tossina o loro miscele presenti nell’ambiente. Infine si è studiato l’assorbimento intestinale mediato da trasportatori di 5 congeneri (MC-LF, LR, LW, YR e RR) utilizzando un modello in vitro 3D (EpiIntestinal). Questo sistema è ricostituito da cellule dell’epitelio intestinale di un singolo donatore mantenendone le principali caratteristiche anatomiche e funzionali che si hanno in vivo. È stata verificata la presenza e l’attività nel sistema sperimentale di vari trasportatori sia di efflusso (PgP, MRP e BCRP) che di assorbimento (OATP 2B1 e OATP 1A2), e delle GST e dei CYP450 (3A4 e 2C9). L’uso di substrati marker e del western blotting hanno confermato che il sistema EpiIntestinal esprime in forma attiva tutti i trasportatori testati, dimostrando che si tratta di un modello in vitro rappresentativo del complesso sistema di trasporto intestinale umano. Dai dati emerge che l’assorbimento netto delle MC è il risultato del coivolgimento di vari trasportaori sia di uptake che di efflusso; le MC sono assorbite con diverse velocità a livello intestinale. La MCLW è risultata un buon substrato del trasportatore OATP2B1, mentre gli altri congeneri sono substarti di trasportatori diversi. Le differenze nell'affinità dei congeneri verso le proteine di trasporto sia di uptake che di efflusso sono alla base della biodisponibilità congenere-dipendente per la valutazione della tossicità per via orale. Il lavoro di tesi ha poi previsto lo studio del metabolismo del phosmet, un pesticida ampiamente utilizzato sia outdoor che indoor che viene anche impiegato come antiparassitario per gli animali, su cui ancora si hanno poche informazioni del pathway metabolico. Sono stati determinati i parametri cinetici (Km, Vmax e Cli) della formazione del metabolita neurotossico oxon (PhOx) da parte delle principali isoforme del CYP450 usando singoli enzimi ricombinanti umani, microsomi epatici umani (HLM, Human Liver Microsomes) e microsomi intestinali umani (HIM, Human Intestine Microsomes). Dai risultati emerge che le isoforme più efficienti nel metabolizzare il Pho sono quelle della famiglia 2C con questo ranking: 2C18>2C19>2B6>2C9>1A1>1A2>2D6>3A4>2A6 e, considerando il contenuto epatico medio umano, si è notato che a basse concentrazioni di substrato il CYP 2C19 è quello che dà un maggior contributo (60%), mentre ad alte concentrazioni di substrato contribuiscono il CYP 2C9 (33%) e il 3A4 (31%). Il ruolo predominante nella formazione dell’oxon da parte della famiglia 2C per il Pho lo differenzia dagli altri pesticidi organofosforici (OPT) che invece sono bioattivati ad oxon principalmente dalle isoforme 2B6 e 1A2 alle basse concentrazioni mentre dal CYP3A4 alle alte. L’utilizzo di inibitori specifici ha confermato il principale coinvolgimento delle isoforme della famiglia 2C anche con gli HLM dove tutte le isoforme epatiche sono presenti. Infine negli HIM dove il CYP3A4 rappresenta l’80% dei CYP attivi (in misura minore sono presenti anche CYP2C19 e 2C9) è stata evidenziata una curva cinetica bifasica indicante una fase a maggiore affinità dovuta appunto ai CYP più efficienti alle basse concentrazioni (CYP della famiglia 2C) e una fase a minore affinità dovuta ai CYP più attivi alle concentrazioni più alte (CYP3A). La bioattivazione intestinale (pre-sistemica) a oxon rappresenta in vitro circa ¼ di quella misurata a livello epatico e non è quindi trascurabile. Infine poiché l’esposizione a più xenobiotici, nello specifico pesticidi, è una realtà, è stata valutata anche la possibile interazione metabolica tra i due OPT phosmet e chlorpyrifos, e il reciproco effetto sulla formazione dei rispettivi oxon determinando le costanti di inibizione (Ki). I dati mostrano che Phosmet ha inibito efficacemente la bioattivazione e la disintossicazione del CPF, con valori di Ki (≈30 μM) compatibili con le concentrazioni di pesticidi raggiungibili nel fegato umano in condizioni di reale esposizione, mentre il contrario è poco probabile (Ki ≈ 160 μM). I dati cinetici ottenuti durante questo lavoro ci permettono di migliorare la valutazione del rischio, e di supportare lo sviluppo di modelli quantitativi di estrapolazione in vivo-in vitro per singolo pesticida o loro interazione. Studiare il pathway metabolico e gli enzimi e/o trasportatori coinvolti nel metabolismo degli xenobiotici è fondamentale perché permette di identificare i gruppi di soggetti a maggior rischio e di mettere in atto le misure di contenimento dei rischi per proteggere i gruppi più suscettibili. Ad oggi queste informazioni si possono ottenere mediante l’impiego di metodi in vitro e/o in silico, detti anche NAM (New Approach Methodologies), come ad esempio i modelli fisiologici cinetici (PBK), che tendono a testare la previsione della cinetica in vivo negli esseri umani integrando la variabilità e le informazioni sostanza-specifiche.
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