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Tesis sobre el tema "Storia del collezionismo"

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1

Bologna, Francesca <1985&gt. "Collezionismo e carte geografiche nella Venezia del diciassettesimo secolo". Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2013. http://hdl.handle.net/10579/2421.

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La presenza delle carte geografiche nelle collezioni d'arte veneziane del Seicento attraverso l'esame di alcuni documenti d'archivio esemplificativi (gli inventari di G. Chechel, della famiglia Grimani Calergi, di M. Crivelli). Le funzioni e il ruolo delle mappe all'interno della società e della cultura. La loro realizzazione e il loro commercio, i rapporti tra Venezia e il Nord Europa. I maggiori fondi cartografici veneziani.
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2

Schiavon, Chiara <1986&gt. "Padova in soaza - Piccola storia del collezionismo privato nella città del Santo tra Sei e Settecento-". Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2015. http://hdl.handle.net/10579/6199.

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All’ombra del Santo riposa un collezionismo privato sconosciuto; sono immagini che appartengono alla sfera umile del quotidiano nella Padova borgese tra il Sei e il Settecento. Attraverso un lavoro di ricerca archivistica, entriamo nelle abitazioni della gente; le mura casalinghe, allora come oggi, rivelano la quotidianità più intima di chi le abita: disposte negli ambienti domestici, si trovano le “robbe” più dissimili, tra un mobile ed un altro appaiono, poi, le immagini. Sono figure religiose e profane che alternativamente arredano e proteggono la casa ed i suoi abitanti. Allineandosi agli studi simili in altre città italiane, questa ricerca vuole inserire Padova nel contesto di riscoperta di un collezionismo privato tacito ma allo stesso tempo rivelatore della cultura borghese del tempo.
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3

Sacchetto, Federica <1986&gt. "Gusto e collezionismo dei merletti a Venezia nella prima metà del Novecento. Una ricognizione nel fondo Correr". Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2013. http://hdl.handle.net/10579/3521.

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Attraverso un'indagine di tipo documentario si analizza la formazione della collezione storica di merletti Correr appartenente alla Fondazione Musei Civici di Venezia. Acquisti, donazioni e legati permettono di ricostruire un quadro del gusto e del collezionismo nella Venezia della prima metà del Novecento.
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4

Prescendo, Claudia <1987&gt. "Contributi per la storia del collezionismo della famiglia Gradenigo di Rio Marin: Bartolomeo Gradenigo, vescovo di Brescia". Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2012. http://hdl.handle.net/10579/2006.

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Resumen
Questo lavoro di tesi si è concentrato sulla famiglia Gradenigo del ramo Rio Marin, una famiglia nobile veneziana. L'obbiettivo è stato di portare nuovi contributi per la storia del collezionismo dei Gradenigo tra Sei e Settecento, con particolare attenzione ad un membro del casato: Bartolomeo Gradenigo, nominato vescovo di Brescia nel 1682. Alla sua morte venne stilato un inventario di dipinti ed oggetti che gli appartenevano, presenti nel palazzo veneziano; sulla base delle fonti documentarie, consultate presso il fondo Gradenigo Rio Marin all'Archivio di Stato di Venezia, sono emersi dati interessanti per valutare gli artisti scelti nella collezione e come le opere d'arte abbiano subito passaggi d'eredità tra i membri del casato.
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5

Guarneri, Cristiano <1979&gt. "Architettura del sapere: la Kunstkamera di Pietro il Grande". Doctoral thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2010. http://hdl.handle.net/10579/1029.

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Resumen
Il soggetto di questo studio è un edificio: la Kunstkamera di San Pietroburgo, i cui lavori di costruzione iniziarono nel 1718 su commissione dello zar Pietro il Grande. Al suo interno furono creati oltre alle sale espositive, come suggerisce il nome stesso, anche un teatro anatomico, un planetario, un osservatorio astronomico e la biblioteca dello zar, nell’idea di farne la sede dell’Accademia delle Scienze, un’altra istituzione di Pietro il Grande. Quindi non solo una kunstkammer ma anche un centro di ricerca scientifica, non troppo dissimile negli intenti ad un moderno museo. Lo studio ha affrontato l’argomento in tre stadi, approccianti il tema con tre differenti lenti d’ingrandimento: il contesto – la città; il contenuto – le collezioni; il contenitore – l’edificio. Nel primo capitolo è stata analizzata la posizione strategica della Kunstkamera nella pianificazione urbana della nuova capitale, San Pietroburgo, e quindi il ruolo, altrettanto strategico, dell’Accademia delle scienze nell’ampio piano di riforme promosse da Pietro il Grande. Il secondo capitolo, dedicato alle collezioni, è stato incentrato sulla figura di Pietro il Grande come collezionista. Attraverso lo studio delle molteplici sistemazioni delle collezioni, prima a Mosca e successivamente a San Pietroburgo, si è potuto delineare il ruolo assegnato alla Kunstkamera nel programma collezionistico organizzato negli anni 1718-19. Infatti mentre le statue antiche e moderne acquistate in Italia venivano sistemate nel Giardino d’Estate ed i quadri comprati sul mercato olandese e fiammingo trovavano posto nei padiglioni della residenza estiva di Peterhof, i reperti della kunstkammer furono spostati dalle residenze dello zar alla loro prima sistemazione pubblica, il palazzo di Kikin. Quella del palazzo di Kikin non era però che una collocazione temporanea, poiché sempre nel 1718 – e siamo al terzo capitolo della tesi – fu posta la prima pietra della Kunstkamera. Il cantiere fu estremamente travagliato e le sue vicende sono analizzate nel dettaglio, tramite documenti d’archivio e disegni inediti. Ebbero un ruolo non trascurabile nella progettazione e nella costruzione della Kunstkamera ben tre architetti, il tedesco Georg Johann Mattarnovy, lo svizzero Nicolaus Friedrich Härbel e l’italiano Gaetano Chiaveri, un astronomo, il francese Joseph-Nicolas Delisle, e ancora molti altri operai, come muratori, carpentieri, intagliatori, pittori e decoratori. Non furono tuttavia solo queste le personalità che presero parte nell’attuazione di questo progetto architettonico e scientifico. Da un lato Gottfried Wilhelm Leibniz fornì il progetto dell’Accademia delle scienze, in cui kunstkammer, laboratori e biblioteche avevano un ruolo centrale; dall’altro l’alsaziano Johann Daniel Schumacher, bibliotecario di Pietro il Grande, organizzò dapprima l’acquisto delle collezioni e l’ingaggio degli studiosi, quindi guidò il completamento dell’edificio e l’allestimento dell’esposizione dopo la morte dello zar. La parabola di questo singolare esperimento di edificio si concluse nel 1747, quando un incendio ne bruciò la porzione sommitale e, con esso, anche parte delle sue preziose collezioni.
This study’s main topic is a building: the Kunstkamera in St. Petersburg, built starting from 1718 by the Tzar Peter the Great. Inside it, besides the exhibition rooms, as the name suggests, also an anatomic theatre, a planetary, an astronomical observatory and the Tzar’s library were arranged, with in mind the idea making it the seat of the Academy of sciences, another Peter the Great’s creation. So not only a kunstkammer but also a scientific research center, not far in intents to a modern museum. This topic is developped into three steps, approaching it with different magnifing lenses: the context, or the city; the content, or the collections; the container, or the building. In the first chapter is analysed the Kunstkamera strategic position in the urban planning of the new capital, St. Petersburg, and the role, equally strategic, played by the Academy of sciences in the reforms plan promoted by Peter the Great. The second chapter, devoted to collections, focus on the figure of Peter the Great as collector. Through the study of the collections different arrangements, before in Moscow and then in St. Petersburg, it was possible to point out the role assigned to Kunstkamera in the Peter the Great’s collecting program, especially drawn in the years 1718-19. Infact, while the ancient and modern statues purchased in Italy were arranged in the Summer Garden and the pictures bought on the Netherlandish and Flamish market found a place in the Peterhof’s pavillions, the kunstkammer’s objects were moved from the Tzar’s residences to their first pubblic settlement, the Kikin Palace. That of the Kikin Palace was only a temporary arrangement, because again in 1718 – and this is the dissertation’s third chapter – the Kunstkamera’s first stone was laid down. The construction was very long and complex and the events are sharply shown through unissued archival documents and drawings. Three architects, the German Georg Johann Mattarnovy, the Swiss Nicolaus Friedrich Härbel, and the Italian Gaetano Chiaveri, one astronomer, the French Joseph-Nicolas Delisle, and many other workers, like masons, carpenters, carvers, painters and decorators, had a part in the project and construction of the Kunstkamera. But not only these were the personalities involved in this architectural and scientific project. Gottfried Wilhelm Leibniz gave the ideas for the Academy of sciences’ project, where kunstkammer, laboratories and libraries played a central role; and again the Peter the Great’s librarian, Johann Daniel Schumacher, was important: before he organised the collections purchase and the scientists enrolment, than he drove the building accomplishment and the exhibition display after the Tsar’s death. The parabola of this singular building experiment ended in 1747, when a fire burned out the Kunstkamera’s upper part and, with it, a part of its precious collections.
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6

Ferraro, Antonella. "Per una storia della falsificazione epigrafica. Problemi generali e il caso del Veneto". Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2014. http://hdl.handle.net/11577/3424080.

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Resumen
Among the studies dedicated to the "Rediscovery of the Ancient World" from the thirteenth century to the present days, forgery has attracted much attention. The fake is now recognized as a ‘document of its time’ and a primary source of the History, for the informations it provides about the knowledge of Classical Antiquity, the ideas and tastes of that period and the reasons of the forgery. Among the various types of forgery, little space has been devoted to false inscriptions, on stone or only known from manuscript sources: previous studies on this subject have been partial and unsystematic and in most cases there has not been a review of epigraphic documents. This research has aimed to trace a history of epigraphic forgery, through the review of the Venetian corpus of false latin inscriptions, published in the Corpus Inscriptionum Latinarum. The global corpus has been investigated from both chronological and typological point of view, in order to identify the nature, meaning and function of such documents in each town of Veneto: false inscriptions have been distinguished from copies and creations just inspired to Classical Antiquity. This study shows the main trends followed in the creation of fakes over the centuries, the scholars who created them as part of their researches on 'Classical Antiquity’ or those who worked for purely commercial purposes. It has been possible for the first time to carry out a comprehensive and diachronic study of the phenomenon in a specific area of Italy, investigating the changes of opinion about forgery in different periods and cultures and its geographical peculiarities
Nell’ambito degli studi che sotto vari aspetti si sono occupati dell’atteggiamento assunto dal Duecento fino ai giorni nostri nei confronti dell’antichità classica, una sempre crescente attenzione è stata riservata alla falsificazione. Questa è oggetto di studio da parte di molteplici discipline, che riconoscono ormai nel falso un “documento della propria epoca” e, in quanto tale, una fonte primaria della storia, per le informazioni che fornisce sulla conoscenza dell’antichità classica che si stava imitando, sulle idee e sul gusto dell’epoca, oltre che sulle motivazioni della falsificazione. Nell’ambito di questi studi, relativamente poco spazio è stato dedicato ai falsi epigrafici, sia lapidei sia cartacei: gli studi effettuati sull’argomento sono stati parziali e non sistematici, e nella maggior parte dei casi è mancato un riesame dei documenti epigrafici. Il presente studio ha lo scopo di tracciare una storia della falsificazione epigrafica, attraverso il riesame delle iscrizioni false in lingua latina del Veneto pubblicate nel volume V del Corpus Inscriptionum Latinarum. Dopo una preliminare riflessione sul concetto di falso epigrafico e sulla sua distinzione dalla copia e dalla creazione all’antica, l’intero corpus è stato indagato dal punto di vista cronologico e tipologico, al fine di individuare la natura, il significato e la funzione di queste iscrizioni nei singoli centri veneti. La revisione di questi documenti ha permesso di individuare le principali linee di tendenza seguite nella creazione dei falsi nel corso dei secoli, dagli studiosi che li crearono nell’ambito delle loro indagini sull’antichità classica a coloro che operarono per puri fini commerciali. E’ stato possibile per la prima volta avviare uno studio complessivo e diacronico della falsificazione epigrafica in una determinata zona d’Italia, indagando i cambiamenti che si ebbero nei confronti di questo fenomeno nelle varie fasi della storia e della cultura e le sue peculiarità geografiche
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7

PORTINARI, Stefania. "Istituzioni e movimenti artistici, collezionismo e gallerie nel Veneto negli anni Settanta del Novecento. Dottorato di ricerca in Storia dell'arte, 18° ciclo". Doctoral thesis, Università Ca' Foscari. Facoltà di Lettere e Filosofia, 2007. http://hdl.handle.net/10278/35098.

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8

Crosera, Claudia. "Passione numismatica: editoria, arti e collezionismo a Venezia nel Sei e Settecento". Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2010. http://hdl.handle.net/10077/3631.

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Resumen
2008/2009
Il presente lavoro si prefissa lo scopo di indagare i rapporti tra arti ed editoria in Veneto, dal Barocco al Neoclassicismo e di tracciare una storia dell’evoluzione della letteratura illustrata di argomento numismatico, prendendo in esame gli aspetti artistici della produzione, analizzando il contribuito degli artisti (inventori, disegnatori e incisori), dei committenti e degli autori, nei territori della Serenissima. Grazie all’analisi diretta delle opere a stampa, alla lettura delle fonti e allo studio dei carteggi sei e settecenteschi si è riusciti a delineare le forme dell’interesse del collezionismo antiquario veneto per le raccolte di monete e medaglie. Sono stati schedati più di novanta volumi, tra cui si ricordano trattati di numismatica, repertori di ritratti, storie medaglistiche di sovrani, pontefici e dogi e soprattutto cataloghi delle collezioni numismatiche venete. Tra questi ultimi si ricordano i cataloghi di Charles Patin e di Lodovico Moscardo nel Seicento, e nel secolo successivo di Lorenzo Patarol, Antonio Capello, dei Tiepolo, di Scipione Maffei, di Jacopo Muselli, Onorio Arrigoni, Anton Maria Zanetti e Giammaria Mazzuchelli solo per ricordare i più famosi. L’attenzione si è poi soffermata su due casi interessanti: quello della raccolta di medaglie encomiastiche della famiglia Barbarigo, pubblicate nei Numismata virorum illustrium ex Barbadica gente del 1732, opera in folio riccamente illustrata finalizzata a eternare le memorie della nobile stirpe; quello di un progetto incompiuto e rimasto inedito, che risale alla metà del Settecento, e cioè il manoscritto di Giovanni Andrea Giovanelli intitolato Medaglie degli uomini illustri spettanti per lo più allo stato viniziano, che si proponeva di redigere una “storia metallica” di Venezia, riletta attraverso le medaglie dei suoi più illustri protagonisti.
XXII Ciclo
1972
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9

Gallanti, Chiara. "Le collezioni del Museo di Geografia dell'Università di Padova: radici storiche e processi costitutivi tra ricerca e didattica (1855-1948)". Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2020. http://hdl.handle.net/11577/3425923.

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Resumen
La tesi propone il risultato di un percorso di ricerca dedicato al patrimonio del Museo di Geografia dell’Università di Padova e alle vicende storiche che ne hanno indirizzato i processi costitutivi. La geografia è infatti insegnata all’Università di Padova fin dal XVI secolo, sia pur nell’ambito di corsi più vasti quali Matematiche o Astronomia; dopo la breve esperienza settecentesca di una cattedra di Scienza nautica e Geografia, è tuttavia nel XIX secolo che la geografia approda come disciplina autonoma tra quelle insegnate nella Facoltà filosofica dell’Ateneo di Padova, per un triennio in epoca asburgica (1855-58) e, dal 1872, con continuità. Da allora, ma ufficialmente con l’istituzione del Gabinetto di Geografia nel 1884, ha iniziato a costituirsi un patrimonio formato, oltre che da libri e carte, da sussidi didattici e strumenti funzionali alla produzione cartografica e all'osservazione diretta, che costituisce il nucleo d’origine delle collezioni del Museo di Geografia. Dall'inizio del XX secolo, anche nell'ambito della Facoltà di Scienze vengono creati una cattedra e un Istituto di Geografia fisica, che a propria volta si dota di un importante corredo scientifico e didattico. Alla soppressione dell’Istituto nel 1942, le sue dotazioni materiali passano in buona parte al suo omologo della Facoltà di Lettere. Le collezioni del Museo di Geografia rappresentano dunque l’eredità di queste due esperienze. La prima parte della tesi ricostruisce, principalmente a partire dalle risorse archiviste universitarie, la storia delle due cattedre di geografia, tentando di portare luce in particolare sui momenti fino ad ora trascurati dalla piccola tradizione di studi esistente sul tema, come il triennio asburgico, nel quale l’Ateneo di Padova si trovò coinvolto in una serie di importanti riforme comuni a tutto l’Impero, volte principalmente a migliorare la formazione accademica dei futuri insegnanti. Dei docenti che animarono i due stabilimenti geografici patavini (Francesco Nardi, Giuseppe Dalla Vedova, Giovanni Marinelli, Giuseppe Pennesi, Roberto Almagià, Arrigo Lorenzi, Luigi De Marchi) e dei loro assistenti e collaboratori, oltre alle carriere accademiche si indagano l’impegno e le scelte sia sul piano didattico che sullo quello scientifico. In questo modo, si intende fornire una cornice di senso alle acquisizioni, ripercorse nel dettaglio a partire dagli inventari storici, in questa fase ancora senza il filtro costituito dalla riflessione su ciò che si è o meno conservato. I protagonisti sono seguiti nel dettaglio dal 1855, anno che vide l’incarico di Geografia assegnato a Francesco Nardi, fino al 1948, quando, con la morte di Arrigo Lorenzi, i due insegnamenti di Geografia e Geografia fisica si troveranno emblematicamente riuniti nelle mani di Giuseppe Morandini, che da quel momento avrebbe impugnato le redini della geografia patavina indirizzandola verso una nuova fase. La seconda parte, spostando l’attenzione dai protagonisti agli oggetti, propone innanzitutto una classificazione delle collezioni del Museo sulla base di quella formulata dalla corrente museologia accademica. Ne emerge un duplice filone individuabile nell'ambito delle collezioni geografiche, l’uno collegato alla pratica didattica storica, l’altro alla tradizione scientifica. Successivamente ricostruisce l’evoluzione storica del ruolo degli oggetti che costituiscono ogni tipologia di collezione (carte murali, globi e apparati astronomici, plastici, fotografie ad uso didattico, sul piano didattico, strumenti, fotografie e manoscritti generati dall'attività di ricerca, su quello della ricerca), sullo sfondo del dibattito critico che ci viene restituito dagli Atti dei Congressi Geografici e dei confronti a distanza tramandati dalle pagine delle riviste d’epoca. Di ogni collezione si tirano quindi le fila relativamente al processo costitutivo, facendo sintesi rispetto all'analisi della prima parte, e si esaminano le caratteristiche generali rispetto a quanto si è conservato. Di ogni tipologia di collezione si passa, infine, all'analisi pezzo per pezzo.
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Alai, Beatrice. "Le miniature italiane ritagliate del Kupferstichkabinett di Berlino. Per la genesi della collezione ed un catalogo della raccolta". Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2017. http://hdl.handle.net/11577/3422414.

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The dissertation deals with the collection of Italian illuminated cuttings preserved at the Kupferstichkabinett in Berlin. The chapters 1-7 shed light on the genesis of the collection, starting from the foundation of the museum in 1831 until the publication of the catalogue by Paul Wescher in 1931. The most relevant acquisitions and the role of some curators and collectors are analised in relationship with the phenomenon of miniatures collecting in Europe between XVIII and XX centuries. The second part is a catalogue of the Italian cuttings preserved at the Cabinet: each of the 94 entry offers some considerations about the liturgy and the style of the work of art.
Abstract La tesi ha per oggetto le miniature italiane ritagliate del Kupferstichkabinett di Berlino. Di tale collezione è stata indagata la genesi ed è stato redatto un catalogo analitico delle opere. La prima parte del lavoro prende in considerazione la storia del Gabinetto delle stampe e dei disegni berlinese, individuando gli ingressi di cuttings dalla fondazione (1831) alla pubblicazione del catalogo delle miniature (1931) da parte del direttore Paul Wescher; la seconda parte è costituita dalla schedatura dei frammenti. Il primo capitolo verte sulla nascita del museo a partire dall’apertura al pubblico della Königliche Bibliothek fino all’inaugurazione del Kupferstichkabinett nel 1831; il secondo capitolo offre una panoramica degli ingressi delle miniature (sia cuttings che manoscritti), non solo italiani ma anche francesi, tedeschi, fiamminghi e inglesi, dal XVII secolo al XXI. Il terzo capitolo ha come oggetto i ritagli provenienti dalla collezione del prussiano Ferdinand Friedrich von Nagler, acquistati dal museo nel 1835, mentre il quarto capitolo è dedicato alle miniature che originariamente appartenevano al collezionista Bernhard Hausmann (1875). Il quinto capitolo analizza la biografia e l’operato del direttore Friedrich Lippmann, il suo progetto di aprire un museo di Arti Grafiche e i frammenti miniati da lui acquisiti tra il 1876 e il 1903. Il sesto capitolo presenta le opere che giunsero nel museo tra il 1904 e il 1930, mentre il settimo capitolo riguarda Paul Wescher ed il suo catalogo delle miniature. Infine, l’ottavo capitolo è composto da 94 schede, una per ciascuna opera o per ciascun gruppo di opere riconducibili allo stesso manoscritto. È presente un’appendice circa gli scambi epistolari tra Wilhelm von Bode, Friedrich Lippmann e Stefano Bardini, che segnala alcuni documenti del Zentral Archiv di Berlino e dell’Archivio Stefano Bardini di Firenze. I primi sette capitoli aiutano perciò a meglio comprendere il gusto sotteso alle acquisizioni dei cuttings a Berlino nel corso del tempo, in rapporto al mercato della miniatura in Europa e alla nascita dei musei di arti applicate; inoltre, i medaglioni sui collezionisti e sui direttori legati al Kupferstichkabinett gettano luce sul complesso panorama del collezionismo e della museologia in Germania tra XVIII e XX secolo. Le schede del catalogo, che presentano numerosi pezzi inediti emersi dai depositi, si soffermano in primo luogo sull’analisi della liturgia e dei testi, analizzando successivamente lo stile delle opere e indicando ove possibile i frammenti “gemelli” in altre collezioni o le serie liturgiche e i testi da cui i cuttings furono asportati.
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MARA, SILVIO. "STUDIOSI DI LEONARDO DA VINCI IN AMBITO MILANESE TRA SETTE E OTTOCENTO". Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2011. http://hdl.handle.net/10280/1038.

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Resumen
La tesi tratta il profilo umano e la produzione letteraria degli studiosi di Leonardo da Vinci in ambito milanese tra il tardo Settecento e i primi due decenni dell'Ottocento. La discussione critica di tali contributi (talvolta inediti) posti in successione cronologica ha permesso di delineare le principali acquisizioni storiografiche su Leonardo da Vinci e la sua produzione artistica.
Thesis deals with the literary production made by Leonardo da Vinci's scholars in Milan area between the late eighteenth century and the first two decades of the nineteenth century. The critical discussion of these contributions (sometimes unpublished) placed in chronological sequence has enabled us to identify the major historiographical acquisitions on Leonardo da Vinci and his art.
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MARA, SILVIO. "STUDIOSI DI LEONARDO DA VINCI IN AMBITO MILANESE TRA SETTE E OTTOCENTO". Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2011. http://hdl.handle.net/10280/1038.

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La tesi tratta il profilo umano e la produzione letteraria degli studiosi di Leonardo da Vinci in ambito milanese tra il tardo Settecento e i primi due decenni dell'Ottocento. La discussione critica di tali contributi (talvolta inediti) posti in successione cronologica ha permesso di delineare le principali acquisizioni storiografiche su Leonardo da Vinci e la sua produzione artistica.
Thesis deals with the literary production made by Leonardo da Vinci's scholars in Milan area between the late eighteenth century and the first two decades of the nineteenth century. The critical discussion of these contributions (sometimes unpublished) placed in chronological sequence has enabled us to identify the major historiographical acquisitions on Leonardo da Vinci and his art.
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DEL, DOTTORE MARINA. "Viaggio, esplorazione, guerra nella fotografia e nei documenti di una casata borghese tra Ottocento e Novecento: catalogazione e studio del fondo fotografico Camperio". Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2010. http://hdl.handle.net/2108/1433.

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Questo lavoro desidera presentare la catalogazione e lo studio del Fondo Fotografico Camperio, oggi conservato presso la Biblioteca Civica di Villasanta (MI) e parte del fondo archivistico familiare denominato Fondo Camperio. In particolare, la collezione fotografica della famiglia Camperio è analizzata evidenziando la specifica rilevanza della fotografia di viaggio in essa contenuta, in quanto chiave interpretativa della raccolta, ma anche manifesta espressione del gusto, dell’etica della visione, e della immediata continuità della trasmissione di valori ed idee da una generazione all’altra di questa famiglia dell’alta borghesia italo-francese, in un periodo che va dalla seconda metà dell’Ottocento alle soglie della Seconda Guerra Mondiale. Negli album fotografici dedicati al viaggio, che costituiscono il nucleo più consistente e rilevante del Fondo Fotografico Camperio, si riverbera l’andamento di un processo di trasmissione di valori culturali e princìpi ideologici che si riversano con formidabile coerenza, e senza soluzione di continuità, da una generazione all’altra, costruendo una solida tradizione familiare che trova proprio nella pratica del viaggio, e nella sua condivisione diretta o traslata grazie alla raccolta di documentazione fotografica e produzione diaristica, uno dei suoi elementi portanti. L’analisi degli atti dell’Archivio familiare coadiuva l’individuazione di questo percorso, arricchendo e confermando le ipotesi formulate con lo studio diretto dei fototipi. I materiali fotografici sono analizzati dai punti di vista formale, storico e stilistico, tenendo conto dell’insieme dei rapporti che accompagnano l’oggetto; dell’influenza della tradizione occidentale delle arti figurative sulle scelte degli autori; delle istanze del pubblico, di quelle della committenza, e dei condizionamenti imposti dalle aspettative di questi fruitori; del significato ideologico e simbolico, alla fine del XIX secolo, dell’uso di un medium moderno quale la fotografia, e del suo accoglimento da parte del pubblico; delle specifiche circostanze che condussero alla produzione e raccolta delle fotografie da parte dei Camperio. Sono infine illustrati metodo e strategie adottati per la catalogazione (realizzata per la Regione Lombardia ed il Comune di Villasanta) e la valorizzazione del Fondo Fotografico Camperio, con particolare riguardo alla pubblicazione online delle Schede F ed ai percorsi di navigazione da queste ultime alle schede descrittive dei documenti d’archivio ad esse correlati. Il catalogo completo del Fondo Fotografico Camperio è consultabile online, in quanto pubblicato nel portale internet della Regione Lombardia dedicato ai Beni Culturali www.lombardiabeniculturali.it .
This study is intended to present the Camperio Family Photographic Collection and to highlight the specific relevance of the travel photography it contains as a key both to the interpretation of the whole Collection and to the ethics of vision of the members of this 19-20th century upper middle class French-Italian family. To the members of this family, travel and travel photography had been primary tools both to frame the world and to relate themselves to their own time. The photographic eye, focusing on natural resources as well as on natural, technological and artistic wonders and on wartime, unveils the ethics of vision of the collectors, and paradigmately reflects the cultural climate of their age. The ideological transmission from parents to sons that emerges from the analysis of both photographic and related archival materials is also a fil rouge that goes through the collection, and gives it a coherence seldom met in other family funds.The Camperio Photographic Collection is housed in the Biblioteca Civica di Villasanta (Villasanta (MI), Italy). It has been catalogued by the author for the Cultural Heritage Information System of Cultural Department of Lombardy, and can be found online (Beta version): http://www.lombardiabeniculturali.it/percorsi/camperio/1/ _________________________ The Camperio Family Photographic Collection (Fondo Fotografico Camperio) is part of the Camperio Family Fund (Fondo Camperio), a 19-20th century family fund housed in the Biblioteca Civica di Villasanta (Villasanta Civic Library) that holds together the Family Archive, the Family Library, and the Photographic Collection itself. The Photographic Collection was gathered over one century by the members of the family who took, bought and ordered photographs to document their enterprises. The collection contains pictures made by renowned photographers, scholars, explorers and by the Camperios themselves. It hosts several photographic genres, but it is expecially devoted to travel photography as the greatest part of the pictures was made or acquired during the many journeys undertaken by the family members in Africa, Egypt, Far East, Australia, Russia. This relevant historical photographic collection came to us in exceptionally good conditions, as it is integrated in the undivided, original archival context which is in almost intact state and provides useful material to determine the collection’s stratigraphy. The family Archive holds a wide range of documents (travel diaries, letters, essays…) that give account of the interests and activities in which the Camperios were involved, among which travel held a front-rank position. Also, it often provides straightforward reference to picture taking and collecting. The family Library is mainly composed by geographical and military literature, thus reflecting the great interest of the family members in geographical exploration and travel, and giving further evidence (in the many illustrated magazines and books) to the importance of photographic image as a tool to classificate, reduce and take possession of the world. During the second half of the 19th century and until World war 2, travelling had been a fundamental activity for to the members of this family. They interpreted journey in all its nuances, from exploration to tourism to war campaigning, and travelled extensively all around the world with a sense of essential necessity and an effortless attitude, in times when such an activity was no ordinary matter. The relevance of travel as an experience by means of which the Camperios related themselves to the world and to their own time is highlighted not only by the prominence that this activity had in the education of all the family members, but also in the importance that it had in the pursuing of their goals and in the developement of their professional careers. Italian Unification patriots, explorers, colonial entrepreneurs, philanthropists, professional soldiers, amateur photographers, the Camperios, both men and women, were extremely active personalities permeated with positivist tought and committed to international promotion, modernization and progress of Italy. Following their father’s steps, the young Camperios travelled extensively, collected slices of world through photography, and pursued the accomplishment of projects in line with their parent’s ideals. Taken as a whole, the Camperio Fund goes beyond the boundaries of the local or strictly personal experience, providing visions of the social, economical and political international history of the times. It also shows how ideological transmission from generation to generation worked as a leitmotiv declined in various ways in the personal choiches and cultural orientation of the members of the family. This ideolgical continuum is mirrored in the Photographic Collection and represents its strongest unifying element, its coherence being not merely provided by the thematic element (the travel) or by the collectors family membership.
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Zorzi, Eleonora <1992&gt. "La sorte dei dodici Cesari nella Serenissima. Diffusione dei ritratti degli imperatori nel collezionismo veneziano tra XVI e XVIII secolo". Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2018. http://hdl.handle.net/10579/12181.

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A partire dal Quattrocento e durante tutto il Rinascimento "Le Vite dei Cesari" di Svetonio vivono una grande fortuna nella Serenissima e diventano una fonte di ispirazione per eruditi, collezionisti e artisti. Le descrizioni dei Cesari permettono una corretta ricostruzione storica dei volti degli imperatori romani e la loro iconografia diventa il simbolo della romanità imperiale. Questo tema si diffonde in palazzi, collezioni, codici e libri, dando vita ad una vera e propria «cesarite figurativa». La tesi passa in rassegna alcune delle più significative collezioni veneziane che annoverano busti, statue, medaglie e oggetti preziosi raffiguranti i dodici Cesari. Il Cinquecento è il secolo in cui i Cesari di Svetonio si incontrano maggiormente sia nel collezionismo di oggetti antichi sia nelle forme d’arte che si rifanno all’antico, ma la fortuna dei dodici Cesari sopravvive anche nei due secoli successivi. A fronte di tale fortuna a Venezia sopravvivono solo rari esempi di serie complete dei dodici Cesari, poiché i collezionisti orientano il loro interesse al singolo imperatore piuttosto che ricostruirne la sequenza completa.
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Charans, Eleonora <1979&gt. "Dal privato al pubblico : il caso della collezione di Egidio Marzona". Doctoral thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2012. http://hdl.handle.net/10579/1240.

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La ricerca indaga e ricostruisce il passaggio da una dimensione di fruizione privata (la casa del collezionista) verso una dimensione istituzionale e pubblica (il museo) della collezione di arte degli anni Sessanta e Settanta messa insieme dal collezionista Egidio Marzona.Il lavoro è suddiviso in quattro capitoli: il primo cerca di scolpire la fisionomia del collezionista, il rapporto diretto con gli artisti della sua generazione, con i galleristi e con gli altri collezionisti nonché la sua peculiare attenzione nei riguardi degli archivi; il secondo ricostruisce il progetto del prato di sculture - l'Art Park a Verzegnis - che impegna il collezionista dal 1989; il terzo presenta le mostre della collezione dal 1990 - anno della prima mostra a Bielefeld - fino al 2001 - anno in cui una parte consistente della raccolta viene acquisito dai Musei di Stato della città di Berlino. Il quarto e ultimo capitolo analizza il controverso caso del mancato acquisto da parte di Museion fino ad arrivare all'acquisto e all'attuale collocazione della collezione.
The research reconstructs the passage from a private fruition dimension (the collector's house) towards a public institutional dimension (the museum) of the art collection made during the Sixties and the Seventies assembled by Egidio Marzona. The text is divided in four chapters: the first tries to cast the profile of the collector: his direct approach with the artists of his generation, with gallerists and collectors, as well as his peculiar archival interest; the second one reconstructs the project of the sculpture park - the Art Park in Verzegnis - which involves the collector since 1989; the third one presents the shows of the collection from 1990 - the first show organized in Bielefeld - until 2001 - year of the acquisition of Marzona's collection by the State Museums in Berlin. The last chapter analyzes the controversial Museion's case to arrive at the definitive actual collocation.
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Battagliotti, Lisa <1992&gt. "Dall’Italia alla Francia, dalla Francia all’Italia: fonti letterarie e fortuna critica del Cabinet des singularitez di Florent Le Comte, manuale del collezionista di stampe". Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2022. http://hdl.handle.net/10579/21658.

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Opera dedicata al neonato pubblico di curieux, il Cabinet si contraddistingue per un’inedita attenzione nei confronti dell’arte incisoria. Se, da un lato, aspetti innovativi quali i cataloghi di stampe e la raccolta sistematica di monogrammi hanno, in tempi recenti, richiamato l’attenzione degli studi, dall’altro giace quasi del tutto inesplorato l’interesse di Florent Le Comte per la storia dell’incisione. Ponendosi alla fine di un secolo che aveva visto il proliferare dei ricorsi alla letteratura artistica italiana, l’autore si affida alle varie traduzioni della Vita di Marcantonio Bolognese confluite all’interno delle opere di André Felibién, Pierre Monier e Pierre Daret. Il lavoro si propone pertanto di indagare il rapporto dell’autore con la trattatistica precedente: a tal fine si esamineranno i criteri secondo i quali ciascun autore, mosso da specifiche esigenze teoriche, non solo ha tradotto il testo vasariano, ma ha anche impiegato altre fonti, come le Vite del Baglione e quelle di Bellori, per aggiornare la storia dell’arte incisoria narrata da Vasari; quindi, si evidenzieranno gli apporti originali di Le Comte rispetto agli antecedenti francesi. Infine, si indagherà la ricezione dell’opera in ambito italiano.
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Massaro, Martina <1977&gt. "Giacomo Treves dei Bonfili collezionista e mecenate (1788-1885) : la raccolta di un filantropo patriota". Doctoral thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2014. http://hdl.handle.net/10579/6537.

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Questa ricerca è la messa a fuoco su di un personaggio di spicco dell’Ottocento veneziano, un banchiere di origine ebraica, grande ‘speculatore’ delle cose del suo tempo sia sul piano economico che culturale, il quale mette insieme un’importante collezione di artisti a lui contemporanei. La fatalità della storia fa di Giacomo Treves dei Bonfili una figura emblematica per descrivere la rivoluzione modale avvenuta per i possidenti ebrei grazie ai provvedimenti napoleonici (1806-1814) nell’ambito dei diritti civili. Il nodo storico intorno al quale ruotano le vicende di Treves è “l’uscita” degli ebrei dal ghetto”, ovvero, il momento d’innesco di una campagna di investimento immobiliare e fondiaria distribuita sul territorio del Lombardo Veneto, strategicamente accentrata dai Treves dei Bonfili sulle Provincie di Padova e Venezia. Queste due città dove sono aperte le due case a uso dominicale, sedi ufficiali degli affari della famiglia, portano i segni nella ‘forma’ e nella ‘facies’ di un ridisegno strategico su larga scala territoriale voluto e finanziato dai Treves insieme alla leardership politico-economica. L’analisi dell’attività imprenditoriale di Giacomo Treves diviene così il termine di riferimento per commisurare il suo impegno collezionistico. Il contributo sostanziale di questa ricerca sta nell’aver portato alla luce una ricca documentazione che, giovandosi di un diverso punto di osservazione ha permesso di mettere in evidenza molti aspetti inediti di uno spaccato socio-economico e culturale al quale presero parte attiva figure chiave dell’Ottocento veneto come Cicognara e Jappelli. Uno studio tutto giocato sulla committenza, infatti, ha permesso di dar meglio conto di alcuni elementi rilevanti che vanno a integrare gli studi sulla committenza artistica e architettonica dell’Ottocento. L’apporto innovativo sta nell’aver restituito grazie all’uso delle nuove tecnologie una consistenza seppur virtuale a un patrimonio culturale andato in parte disperso. La tesi è ancorata sul piano metodologico all’area di ricerca storico-artistica e architettonica, si apre e si sviluppa giovandosi dell’intreccio tra diverse aree disciplinari. Il campo d’indagine di riferimento è la storia del collezionismo, una materia per sua natura aperta alle contaminazioni tra i saperi. Data la poliedrica personalità del protagonista di questo studio, il lavoro che è di impronta biografica si è naturalmente sviluppato in un quadro multidisciplinare con affondi in ambiti quali la storia dell’architettura e della città, la storia economica, sociale e culturale.
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SQUIZZATO, ALESSANDRA. "Il principe cardinale Giangiacomo Teodoro Trivulzio mecenate e collezionista (1597 - 1656): dinamiche di circolazione artistica nella Milano spagnola". Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2009. http://hdl.handle.net/10280/866.

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SQUIZZATO, ALESSANDRA. "Il principe cardinale Giangiacomo Teodoro Trivulzio mecenate e collezionista (1597 - 1656): dinamiche di circolazione artistica nella Milano spagnola". Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2009. http://hdl.handle.net/10280/866.

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Di, Mauro Annarita. "Scienza e naturalia nel monastero di S. Nicolò l'Arena Ricognizione, analisi e studio del Fondo Benedettino e della collezione museale". Doctoral thesis, Università di Catania, 2018. http://hdl.handle.net/10761/3841.

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Il progetto di tesi si pone di delineare contenuti, forme e modelli delle collezioni scientifiche dei PP. Benedettini del Monastero di San Nicolò l Arena di Catania nell ambito del più vasto panorama del collezionismo naturalistico-scientifico del XVIII-XIX sec. La ricerca propone lo sviluppo di una metodologia integrata per analizzare, descrivere, valorizzare e rendere fruibile le caratteristiche del collezionismo scientifico dei monaci benedettini, inserendosi all interno di un ampio filone di ricerche multidisciplinari sulla valorizzazione dell ex Monastero e sugli episodi del collezionismo siciliano, condotto già da alcuni anni da ricercatori e specialisti del Dipartimento di Scienze Umanistiche dell Università di Catania. All interno di questo principale ambito di ricerca si prevede, infatti, un approfondimento riguardante lo studio degli aspetti naturalistico-scientifici e sperimentali delle collezioni benedettine, con lo scopo di chiarirne l articolazione cronologica, il significato storico-culturale ed i legami con le contemporanee istituzioni e strutture (Biblioteca, Accademia, Museum Biscarianum, etc.) attraverso la lettura delle fonti documentarie archivistiche del Fondo Benedettini conservato presso l Archivio di Stato di Catania e di tutte le altre fonti coeve disponibili in vario modo correlate. Lo studio permetterà di approfondire il rapporto tra benedettini e città, ed in particolare le relazioni con l Accademia Gioienia e l Università, nell ottica del modello museo integrato , tipico del collezionismo settecentesco. Soprattutto si cercherà di indagare attraverso l analisi delle informazioni raccolte, sia archivistiche che librarie, la concezione settecentesca del sapere e dello studio benedettino, la chiave interpretativa dei diversi rami delle collezioni ed il complesso legame tra Scienze ed Arti . Dal recupero di documenti inediti e dalle nuove ricerche sui numerosi documenti d archivio, si avvierà una nuova sistematica indagine per la conoscenza e l approfondimento delle collezioni naturalistico-scientifiche dei monaci benedettini. In particolare si tenterà di rintracciare tendenze, modalità, motivazioni e pratiche sociali dei singoli collezionisti, nonché gli scambi materiali o intellettuali tra i diversi protagonisti, ricostruendo là dove possibile gli specifici contesti di una collezione nel confronto, sempre illuminante, con le esperienze coeve. Inoltre si intende promuovere la valorizzazione e la definizione di un nuovo modello di gestione e fruizione del Fondo Benedettini conservato presso le Biblioteche Riunite Civica e U. Recupero di Catania, attraverso la digitalizzazione del patrimonio storico-documentario e librario indagato. Il progetto, infatti, intende coniugare l indagine scientifica con l innovazione tecnologica ponendosi in linea con le nuove prospettive di ricerca che si affermano nel campo della fruizione, valorizzazione e conservazione del patrimonio umanistico attraverso la collaborazione con l Istituto per i Beni Archeologici e Monumentali del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Catania (IBAM-CNR), ente specializzato nel campo della digitalizzazione del patrimonio storico-documentario.
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Amadini, Pietro <1972&gt. "Arti dell’Asia Orientale tra pubblico e privato: due raccolte esemplari : dal 1870, cent’anni di collezionismo d’arte cinese e giapponese a Milano". Doctoral thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2013. http://hdl.handle.net/10579/3065.

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This research presents in detail two collections which are taken as examples of the East Asian art collecting in Milan. The first collection, that of Count Passalacqua, is proposed as an archetype of Japanese and Chinese art collecting in Milan in the early seventies of the 19th century. At that time, the rich trade in silkworm eggs between Italy and Japan boosted a parallel trade in Asian art. The Passalacqua collection can therefore be a useful point of comparison for the interpretation of other Italian collections collected in the same historical moment. The second group of objects analyzed in this research concern a private collection of celadons, which was formed around 1970. This collection is proposed as a model of “typological” collecting. Alongside the study of these two collections, the main historical collections of Chinese and Japanese art in Milan are introduced in order to highlight the changing trends occurred in Milan over a century.
Lo studio presenta nel dettaglio due raccolte tipiche del collezionismo milanese d’arte dell’Asia orientale. La prima, quella del conte Lucini Passalacqua, è proposta come archetipo di raccolta di opere d’arte giapponesi e cinesi, propria del contesto lombardo degli anni settanta dell’Ottocento. A quel tempo, il ricco commercio fra Italia e Giappone di uova del baco da seta aveva sviluppato un traffico parallelo di opere d’arte. La collezione Passalacqua si pone come utile termine di raffronto per la lettura di altre collezioni italiane della sua epoca. La seconda collezione analizzata interessa una raccolta privata di celadon formatasi attorno agli anni Settanta del secolo scorso. Questa è proposta come raccolta tipologica, propria della fase collezionistica più recente. A fianco dello studio delle due collezioni esemplari, sono presentate infine le principali collezioni milanesi d’arte cinese e giapponese nell’ordine in cui sono pervenute alla municipalità, nell’ottica di mostrare i cambiamenti di tendenza nel collezionismo milanese nell’arco di un secolo.
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Sokolova, Iana. "Pittura veneta a San Pietroburgo sotto i regni di Elisabetta e Caterina II (1741-1796)". Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2019. http://hdl.handle.net/11577/3423318.

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Il presente lavoro pone la lente d’ingrandimento sui rapporti artistici e culturali intercorsi tra la Repubblica di Venezia e l’Impero Russo nel XVIII secolo, dando rilievo alla presenza della pittura veneta a San Pietroburgo. Il consolidamento dei legami con Venezia, avviato nell’epoca di Pietro il Grande, aveva permesso alla pittura veneta di ‘espandersi’ fino alle sponde della città sul fiume Neva. Negli anni venti del Settecento il primo pittore veneto ad arrivare in Russia è Bartolomeo Tarsia, mentre bisogna aspettare il regno di Elisabetta Petrovna, figlia dello zar Pietro, per vedere all’opera contemporaneamente un gran numero di artisti veneti: Giuseppe Valeriani, Antonio Peresinotti, Pietro e Francesco Gradizzi, Francesco Fontebasso, Pietro Rotari, Andrea Urbani e Carlo Zucchi. In primo luogo, sono state indagate le condizioni di vita e di lavoro dei pittori veneti a San Pietroburgo con un’attenzione particolare agli ingaggi, ai privilegi e ai rapporti relazionali. Successivamente si sono prese in esame da una parte l’attività decorativa all’interno delle fastose residenze imperiali, come i Palazzi d’Inverno, i Palazzi d’Estate, il palazzo di Caterina a Tsarskoe Selo e quello di Peterhof, dall’altra l’insegnamento nelle più grandi istituzioni di formazione artistica della Russia dell’epoca. Sono stati poi delineati i profili biografici di Diego Bodissoni, Giuseppe Dall’Oglio e Pano Maruzzi, attivi come intermediari e commercianti d’arte, i quali hanno il merito di aver favorito l’approdo di dipinti della scuola veneta a San Pietroburgo.
The present work places the magnifying glass on the artistic and cultural relations between the Republic of Venice and the Russian Empire in the eighteenth century, highlighting the presence of Venetian painting in St. Petersburg. The consolidation of ties with Venice, initiated in the era of Peter the Great, had allowed Venetian painting to 'expand' to the banks of the city on the Neva river. In the 1720s the first Venetian painter to arrive in Russia was Bartolomeo Tarsia, while it was necessary to wait for the reign of Elisabetta Petrovna, daughter of Tsar Pietro, to see a large number of Venetian artists at work at the same time: Giuseppe Valeriani, Antonio Peresinotti, Pietro and Francesco Gradizzi, Francesco Fontebasso, Pietro Rotari, Andrea Urbani and Carlo Zucchi. First of all, the living and working conditions of Venetian painters in St. Petersburg were investigated, with particular attention paid to engagements, privileges and interpersonal relations. Subsequently, the decorative activity within the sumptuous imperial residences, such as the Winter Palaces, the Summer Palaces, the Catherine Palace in Tsarskoe Selo and the Peterhof Palace, were examined on one hand, while on the other hand, the teaching in the largest institutions of artistic education in Russia at the time. The biographical profiles of Diego Bodissoni, Giuseppe Dall'Oglio and Pano Maruzzi were also outlined, active as intermediaries and art dealers, who have the merit of having favoured the arrival of paintings of the Venetian school in St. Petersburg.
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LEGE', ALICE SILVIA. "LES CAHEN D'ANVERS EN FRANCE ET EN ITALIE. DEMEURES ET CHOIX CULTURELS D'UNE LIGNÉE D'ENTREPRENEURS (I CAHEN D'ANVERS IN FRANCIA E IN ITALIA. DIMORE E SCELTE CULTURALI DI UNA DINASTIA DI IMPRENDITORI)". Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2020. http://hdl.handle.net/2434/726976.

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Founding member of a banking network related to the actual BNP Paribas Group, Meyer Joseph Cahen (1804-1881), adopted the “d’Anvers” when he settled in Paris in 1849. Born in Bonn, of an Ashkenazi family, he made his fortune in the Belgian city to which he associated his name, and he continued his career in France. Owner of Nainville’s castle (Essonne) and of the Petit Hôtel de Villars (Paris), he became a naturalized French citizen in 1865. The next year, he obtained the title of Count, bestowed upon him by the King of Italy Victor-Emmanuel II, thanks to the economic support he offered to the Italian Unification. Nineteen years later, King Humbert I surpassed his predecessor and raised Meyer Joseph’s eldest son, Édouard (1832-1894), to the status of Marquis of Torre Alfina. If his siblings – Emma (1833-1901), Louis (1837-1922), Raphaël (1841-1900) and Albert (1846-1903) – enrooted their pathways in the French capital, the eldest lived between Florence, Naples and Rome: he was one of the great investors involved in the urban renovation of the Italian capital, after the fall of the papacy. In France, as well as in Italy, art, and especially architecture, served to legitimize the recent nobility of a family that wished to express the fullness of its civil rights. As targets of the anti-Semitic press, the Cahen d’Anvers family experienced the consequences of the Dreyfus Affair and the horrors of the racial laws. Before the latter, they adopted what could be defined as a “top-down model of integration”. This thesis focuses on its mechanisms and development. After tracing the patriarch’s origins, it analyses the family’s matrimonial policies and it continues with an exploration of Cahen d’Anvers’ “choices” in the vast field of culture. In their salons, the readers will meet Guy de Maupassant, Paul Bourget, Marcel Proust and Gabriele D’Annunzio, as well as Auguste Renoir and Léon Bonnat. Twelve mansions offered a perfect stage for these intellectual gatherings. As a public manifestation of the family’s economic and social power, the historicist eclecticism of these properties aimed to represent the owners as a new phalanx of the old nobility. While Forge-Philippe’s manor (Wallonia), Gérardmer’s chalet (Vosges) and Villa della Selva (Umbria) expressed a certain openness to the twentieth century novelties, the three residences rented by the family (Hôtel du Plessis-Bellière, Paris; Palazzo Núñez-Torlonia, Rome; Château de la Jonchère, Yvelines) and the two properties of Meyer Joseph, as well as Rue de Bassano’s mansion (Paris) or the castles of Champs (Seine-et-Marne), Bergeries (Essonne) and Torre Alfina (Latium) dressed up their nineteenth century spaces with Ancien Régime motifs. Thanks to their historical knowledge and taste, the architects Destailleur, Giuseppe Partini and Eugène Ricard, as well as the landscapers Henri and Achille Duchêne, were able to bend the Middle Age, the Renaissance and the 18th century’s “grammars” to their patrons’ taste and ambitions.
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Gallanti, Chiara. "Le collezioni del Museo di Geografia dell'Università di Padova: radici storiche e processi costitutivi tra ricerca e didattica (1855-1948)". Doctoral thesis, 2020. http://hdl.handle.net/11577/3382241.

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La tesi propone il risultato di un percorso di ricerca dedicato al patrimonio del Museo di Geografia dell’Università di Padova e alle vicende storiche che ne hanno indirizzato i processi costitutivi. La geografia è infatti insegnata all’Università di Padova fin dal XVI secolo, sia pur nell’ambito di corsi più vasti quali Matematiche o Astronomia; dopo la breve esperienza settecentesca di una cattedra di Scienza nautica e Geografia, è tuttavia nel XIX secolo che la geografia approda come disciplina autonoma tra quelle insegnate nella Facoltà filosofica dell’Ateneo di Padova, per un triennio in epoca asburgica (1855-58) e, dal 1872, con continuità. Da allora, ma ufficialmente con l’istituzione del Gabinetto di Geografia nel 1884, ha iniziato a costituirsi un patrimonio formato, oltre che da libri e carte, da sussidi didattici e strumenti funzionali alla produzione cartografica e all'osservazione diretta, che costituisce il nucleo d’origine delle collezioni del Museo di Geografia. Dall'inizio del XX secolo, anche nell'ambito della Facoltà di Scienze vengono creati una cattedra e un Istituto di Geografia fisica, che a propria volta si dota di un importante corredo scientifico e didattico. Alla soppressione dell’Istituto nel 1942, le sue dotazioni materiali passano in buona parte al suo omologo della Facoltà di Lettere. Le collezioni del Museo di Geografia rappresentano dunque l’eredità di queste due esperienze. La prima parte della tesi ricostruisce, principalmente a partire dalle risorse archiviste universitarie, la storia delle due cattedre di geografia, tentando di portare luce in particolare sui momenti fino ad ora trascurati dalla piccola tradizione di studi esistente sul tema, come il triennio asburgico, nel quale l’Ateneo di Padova si trovò coinvolto in una serie di importanti riforme comuni a tutto l’Impero, volte principalmente a migliorare la formazione accademica dei futuri insegnanti. Dei docenti che animarono i due stabilimenti geografici patavini (Francesco Nardi, Giuseppe Dalla Vedova, Giovanni Marinelli, Giuseppe Pennesi, Roberto Almagià, Arrigo Lorenzi, Luigi De Marchi) e dei loro assistenti e collaboratori, oltre alle carriere accademiche si indagano l’impegno e le scelte sia sul piano didattico che sullo quello scientifico. In questo modo, si intende fornire una cornice di senso alle acquisizioni, ripercorse nel dettaglio a partire dagli inventari storici, in questa fase ancora senza il filtro costituito dalla riflessione su ciò che si è o meno conservato. I protagonisti sono seguiti nel dettaglio dal 1855, anno che vide l’incarico di Geografia assegnato a Francesco Nardi, fino al 1948, quando, con la morte di Arrigo Lorenzi, i due insegnamenti di Geografia e Geografia fisica si troveranno emblematicamente riuniti nelle mani di Giuseppe Morandini, che da quel momento avrebbe impugnato le redini della geografia patavina indirizzandola verso una nuova fase. La seconda parte, spostando l’attenzione dai protagonisti agli oggetti, propone innanzitutto una classificazione delle collezioni del Museo sulla base di quella formulata dalla corrente museologia accademica. Ne emerge un duplice filone individuabile nell'ambito delle collezioni geografiche, l’uno collegato alla pratica didattica storica, l’altro alla tradizione scientifica. Successivamente ricostruisce l’evoluzione storica del ruolo degli oggetti che costituiscono ogni tipologia di collezione (carte murali, globi e apparati astronomici, plastici, fotografie ad uso didattico, sul piano didattico, strumenti, fotografie e manoscritti generati dall'attività di ricerca, su quello della ricerca), sullo sfondo del dibattito critico che ci viene restituito dagli Atti dei Congressi Geografici e dei confronti a distanza tramandati dalle pagine delle riviste d’epoca. Di ogni collezione si tirano quindi le fila relativamente al processo costitutivo, facendo sintesi rispetto all'analisi della prima parte, e si esaminano le caratteristiche generali rispetto a quanto si è conservato. Di ogni tipologia di collezione si passa, infine, all'analisi pezzo per pezzo.
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Polati, Andrea. "Nel cantiere delle Maraviglie dell’arte. Genesi, contesti e peripezie delle Vite di Carlo Ridolfi (1648)". Doctoral thesis, 2016. http://hdl.handle.net/11562/939757.

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Pittore e collezionista originario di Lonigo (Vicenza), Carlo Ridolfi è conosciuto sopratutto come storiografo d'arte. La sua opera maggiore, "Le maraviglie dell'arte", resta forse la fonte principale per i pittori veneziani e una delle prime storie dell'arte regionali italiane. Le biografie di Ridolfi sono particolarmente importanti perché documentano molte opere d'arte veneziane oggi perdute e forniscono la provenienza di quelle ancora note. Diversamente da Vasari, Ridolfi ignora lo sviluppo stilistico veneziano, ritenendo il Cinquecento come il culmine della produzione artistica a Venezia, mentre a farne le spese sono i suoi contemporanei. Come dimostrato, questo lavoro è stato favorito non solo dal governo della Serenissima come una risposta alle Vite di Vasari di un secolo prima, che era stata molto parziale nei confronti dei pittori veneti, ma è anche l'esito del programma culturale della Accademia degli Incogniti. Un'indagine del contesto culturale e artistico di Ridolfi ha consentito di riconsiderare la nascita de "Le maraviglie dell'arte", la sua lavorazione tipografica e la vera identità dello stampatore.
Painter and collector native of Lonigo (Vicenza), Carlo Ridolfi is better known as an art historian. His greatest work, "Le maraviglie dell'arte", remains probably the main sources for the Venetian painters and one of the first regional histories of art in Italy. Ridolfi's biographies are very important because they document many Venetian art works gone today and locate a provenance for those still known. Unlike Vasari, however, Ridolfi avoided a stylistic development of Venice; he considered the Cinquecento the acme of its artistic production at the expense of his contemporaries. As dimostrated, the work have been supported not only by the government of the Serenissima to counter Vasari’s "Vite" of a hundred year before which was strongly biased against Venetian artists, but is also an effect of the Accademia degli Incogniti's cultural project. An examination of Ridolfi's cultural and artistic background has permitted to reconsider the birth of "Le maraviglie dell'arte", its printing work, and the real identity of the printmaker.
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SORRENTINO, VINCENZO. "Tra Firenze, Roma e Napoli: committenze artistiche e mediazioni culturali dei del Riccio dal '500 al '600". Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/2158/1121300.

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La presente tesi ha come oggetto privilegiato di studio la famiglia del Riccio, mercanti fiorentini a Roma e a Napoli, tra la metà del Cinquecento e i primi anni del Seicento. La ricchezza dell’Archivio Naldini del Riccio di Firenze ne ha permesso uno studio sistematico ed approfondito, basato, principalmente, su materiale documentario inedito. Le vicende dei del Riccio Baldi sono prese in esame dalla fine del Quattrocento, quando alcuni di loro si trasferirono a Firenze da Tavarnelle, fino alla metà del Seicento, quando, cioè, potrà dirsi compiuta la loro trasformazione da mercanti in cortigiani. L’interruzione della narrazione si spiegherà con il radicamento in città dei membri della famiglia, non con la sua estinzione, avvenuta nel 1772. Dopo un capitolo introduttivo, sarà illustrata la personalità di Luigi del Riccio, cruciale per la costruzione dell’identità dell’intero “clan”. Impiegato presso il banco romano degli Strozzi, agente del duca Cosimo nel 1540, egli fu anche e soprattutto amico di Michelangelo, che gli disegnò la sepoltura di suo nipote, “Cecchino” Bracci. Resosi conto dell’uso identitario e del prestigio dell’amicizia con l’artista e della fiera rivendicazione di repubblicanesimo che l’esposizione di una copia michelangiolesca rappresentava, egli commissionò a Nanni di Baccio Bigio una copia della Pietà vaticana per la cappella di famiglia in Santo Spirito. Alla morte di Luigi, suo fratello Antonio, completò la cappella fiorentina, tentando, al contempo, di vendere alcune colonne di porfido a Cosimo I, così da assicurarsene il favore. In questi anni, avvenne il passaggio da una posizione di ambiguità nei confronti del neonato ducato ad una sua più convinta e –soprattutto- necessaria accettazione. Emulando la famiglia Olivieri, con la quale erano imparentati, alcuni del Riccio, cugini di Luigi, erano presenti anche a Napoli nel secondo Cinquecento. Tra il sesto e il settimo decennio del secolo, infatti, la comunità fiorentina locale fondò una nuova chiesa “nazionale” anche grazie al contributo dei fratelli Guglielmo e Pierantonio di Giulio, che dotarono una propria cappella e acquisirono poi alcune case. La commissione al pittore senese Marco Pino per la pala d’altare della loro cappella napoletana mostrava chiaramente l’uso che s’intendeva fare dell’amicizia con Michelangelo. Fu probabilmente il rientro a Firenze di Guglielmo a riattivare il desiderio di manifestare la trascorsa amicizia. Dal 1568 in poi, le attenzioni di “visibilità” di Guglielmo si spostarono, quindi, su di una cappella fiorentina che sarebbe stata decorata nel 1579 con una copia del Cristo della Minerva, realizzata da Taddeo Landini. Il passaggio dal ‘500 al ‘600 segnò anche, almeno per alcuni del Riccio, quello da mercanti a patrizi. Se già Guglielmo aveva acquistato, nel 1575, un piccolo feudo nel vice-regno, solo il figlio Francesco sviluppò le nuove prerogative nobiliari, attraverso commissioni e acquisti artistici mirati. Suo cugino Luigi, d’altra parte, fu l’ultimo a risiedere con una certa continuità a Napoli. Qui, nel 1596, commissionò una lastra terragna a Giovanni Antonio Dosio, mentre, rientrato a Firenze, trasferì la casa familiare in un palazzo in via Tornabuoni. Alcuni dei suoi figli, Francesco Maria e Giulio, risiedettero poi a Roma e il primogenito fu anche impiegato presso la famiglia Barberini, un’esperienza determinante per le ultime commissioni prese in esame. In generale, però, già dal rientro a Firenze di Luigi, commissioni e acquisti artistici si erano fatti meno originali e ne era scaturita una certa omologazione al gusto del patriziato fiorentino. Nell’epilogo, si tratteggerà la storia della famiglia nella sua fase finale. Le due generazioni di del Riccio vissute tra Sei e Settecento riuscirono a raggiungere importanti riconoscimenti da parte dei Granduchi, tuttavia, quando nel 1772 morì Leonardo Maria, ultimo del suo ramo, la sua eredità passò ai Naldini, figli di sua sorella Caterina. Nell’Appendice A, infine, alcune tracce documentarie assicureranno, almeno dal tardo Seicento, la permanenza nella collezione del Riccio della “piccola Madonna Cowper” di Raffaello, oggi alla National Gallery of Art di Washington D.C.
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LEONARDI, Andrea. "'Della vita privata dei genovesi' tra Sei e Settecento. Lo spazio domestico nella Repubblica di Genova e la sua proiezione europea". Doctoral thesis, 2011. http://hdl.handle.net/11562/349777.

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Il successo della Repubblica di Genova è stato misurato dagli storici sulla base dei fasti commerciali e finanziari che nel corso dei secoli hanno garantito la sua prosperità in equilibrio tra le sfere di influenza francese e spagnola. Una potenza paradossale per più motivi: 1) perché dotata di una proiezione globale, ma sostanzialmente priva di un vero territorio, a eccezione di quegli imbelli Domini costellati di ville e giardini che il cartografo Matteo Vinzoni illustrò alla metà del Settecento con dovizia di particolari; 2) perché dotata di un sistema di potere contrario alla monarchia, ma cresciuto grazie ad una aristocrazia di mercanti abbastanza scaltri da nominare la Madonna regina della città (1637) e, contemporaneamente, da ricercare nel meridione regnicolo una legittimazione neo-feudale; 3) perché titolare di un rapporto con la Curia romana cementato sì da papi e cardinali spesso di origine ligure, ma non sufficiente ad arginare la furia del visitatore apostolico Francesco Bossio contro dimore talmente ricche da rischiare di «oltrepassare la christiana modestia» (1582). E’ in questa complessa e contraddittoria politia che si crearono le condizioni per un gran numero di iniziative legate all’arte e all’architettura che, comunque, non bastarono a far sì che chiunque vivesse a Genova fosse prospero e felice: le case non erano tutte simili alle dimore disegnate da Galeazzo Alessi e poi ‘propagandate’ da Pietro Paolo Rubens! La cifra di quanto la povertà fosse diffusa anche a Genova è data dall’enorme cubatura dell’Albergo dei Poveri che le classi agiate fecero costruire (1652-’56) essenzialmente per togliere (e togliersi) di torno gli inopportuni mendicanti assiepati davanti alle eleganti abitazioni affacciate sulle Strade Nuove o concentrate nelle riservatissime ‘curie’; dimore oggetto di un quarto paradosso, quello identificato dal pittore-diplomatico fiammingo al servizio dei Gonzaga che ebbe a scrivere di residenze di «gentiluomini» (va ricordato, al governo di una Repubblica), paragonabili per splendore a palazzi di principi «assoluti», a capo di una Monarchia. Il ‘caso Genova’ è intrigante perché tutte le componenti appena ricordate hanno contribuito ad alimentarne il mito. In questo volume non si è inteso stabilire se si tratta di un mito vero o falso, ma capire - principalmente attraverso una rosa di inventari scelti per esemplarità - come questi aspetti abbiano impattato sulla vita di alcuni casati, i Sauli, i Brignole-Sale, i Pallavicini, i Grillo, i Centurione. Uno spoglio filologico che, unito a quello condotto su numerosi altri documenti, è servito a porre in risalto la grande varietà di caratteri, destinazioni e beni che una dimora genovese poteva vantare, la funzione degli oggetti d’arte nella vita del clan o, per dirla con le parole di Marta Ajmar, «the cultural significance of things». A tal proposito, non esiste una risposta univoca. La ricerca ha provato a trovare una strada attraverso la cultura materiale e visuale della casa genovese tra Sei e Settecento intesa come strumento di interpolazione tra immagine pubblica e privata. L’ambiente domestico, e al suo interno la famiglia che viveva circondata da determinati mobili, da determinati quadri e da determinati apparati decorativi (spesso decisi in piena coerenza con le scelte sperimentate all’esterno di quelle mura, nelle cappelle e nelle chiese gentilizie), dimostra una consapevolezza di marca europea pari o addirittura superiore ai risultati economici. Ricchezza e immagine, articolazione e identità della famiglia, tipi autoctoni delle pratiche decorative e degli stili artistici e architettonici, modelli di acquisizione degli oggetti, attributi dell’aristocratico lifestyle genovese, sono tutti elementi che si intersecano tra loro, con l’obiettivo di fornire una lettura ‘altra’ rispetto a quella, celebre, di Francis Haskell, il quale, nel grande affresco dedicato a Roma e a Venezia durante l’età barocca, aveva confinato l’episodio ‘Genova’ nel riduttivo contesto della cosiddetta «scena provinciale» dell’arte e della società italiane. I palazzi di Genova riflettono un dialogo fra la ‘tradizione’ incarnata dall’estetica medievale del centro storico e l’innovazione dei modelli ‘post-moderni’ alessiani, poi rivoluzionata ancora dai rivolgimenti barocchi ammirati dai testimoni che passarono per la città, da Furttenbach ai viaggiatori del Grand Tour. In queste architetture maturò il profilo dell’esagerata genoese way of life che neanche le leggi suntuarie riuscirono a contenere: lo attestano quei ritratti di Rubens e di Van Dyck che, come ha notato Giorgio Doria, mostrano contabili issati su cavalli rampanti e mogli di prestatori di denaro che ambivano al rango di principessa (un quinto paradosso?). Gli spazi domestici genovesi giocarono in tal modo molti ruoli: luoghi di ricevimento, teatri di celebrazione e agiografia; soprattutto furono una manifestazione di gusto e di valore, non solo per i membri dell’upper class che ebbero la fortuna di vivere in queste dimore, ma anche per un’intera società sempre in bilico tra magnificentia e mediocritas, tra originalità ed emulazione. Alla luce di quanto detto, il volume è stato organizzato in due parti, articolate in sei capitoli e sette appendici documentarie. Il primo capitolo è dedicato all’analisi delle fonti, le voci dei contemporanei, che hanno contribuito a creare il ‘mito’ delle dimore genovesi [I]. Segue la presentazione di alcune delle diverse modalità di declinare e intendere la ‘vita privata’ di questa aristocrazia affacciata sul mondo: l’approccio dinastico al mecenatismo, con la diacronica saga dei Sauli impegnati sul doppio e intercambiabile registro della domus magna in San Genesio e della basilica alessiana di Carignano, entrambe trasformate in ‘oggetti barocchi’ internazionali con il contributo di artisti come Claudio David, Domenico Piola, Pierre Puget, Massimiliano Soldani Benzi, Diego Francesco Carlone, Francesco Maria Schiaffino; nel mezzo, il rapporto epistolare con molti di questi personaggi e il ruolo giocato in qualità di intermediari nella circostanza di complicate triangolazioni, come quella che nel 1641 vide protagonisti Gio Battista Manzini, Gio Antonio Sauli e Anton Giulio Brignole-Sale intorno a dieci quadri di Guido Reni [II]. I capitoli successivi proseguono indagando altri temi: la personalizzazione degli spazi abitativi, con l’esempio di tre ‘case’ volute, rispettivamente, da un cardinale (Vincenzo Giustiniani-Banca), uno storiografo (Raffaele Soprani) e un pittore-intellettuale (Gio Battista Paggi) [III]; la ‘macchina’ abitativa, con lo ‘smontaggio’ di una complessa dimora del Seicento come Palazzo Rosso, residenza dei Brignole-Sale [IV]; la via notarile alle ‘grande decorazione’, con alcuni scritti contenenti le premesse culturali e iconografiche di due importanti cicli affrescati da Domenico Parodi per Paolo Gerolamo III Pallavicini e Gio Francesco III Brignole-Sale [V]; il rischio di dispersione dei patrimoni raccolti, con le pratiche di vendita all’incanto e con le dispute testamentarie che segnarono le famiglie Grillo e Centurione [VI]. La seconda parte del libro, invece, propone le ricordate appendici archivistiche, sei delle quali organizzate per unità parentali: ciascuna di esse è introdotta da un sintetico profilo focalizzato sulla posizione del casato nella geografia del potere cittadino e sul suo atteggiamento in termini di supporto alle iniziative di committenza. La settima e ultima appendice raccoglie, infine, cinque brani sul tema della residenza genovese che il mondo della colta erudizione di primo Novecento dedicò all’argomento, sulla scia degli studi avviati da Luigi Tommaso Belgrano con il saggio Della vita privata dei genovesi (1866).
Il successo della Repubblica di Genova è stato misurato dagli storici sulla base dei fasti commerciali e finanziari che nel corso dei secoli hanno garantito la sua prosperità in equilibrio tra le sfere di influenza francese e spagnola. Una potenza paradossale per più motivi: 1) perché dotata di una proiezione globale, ma sostanzialmente priva di un vero territorio, a eccezione di quegli imbelli Domini costellati di ville e giardini che il cartografo Matteo Vinzoni illustrò alla metà del Settecento con dovizia di particolari; 2) perché dotata di un sistema di potere contrario alla monarchia, ma cresciuto grazie ad una aristocrazia di mercanti abbastanza scaltri da nominare la Madonna regina della città (1637) e, contemporaneamente, da ricercare nel meridione regnicolo una legittimazione neo-feudale; 3) perché titolare di un rapporto con la Curia romana cementato sì da papi e cardinali spesso di origine ligure, ma non sufficiente ad arginare la furia del visitatore apostolico Francesco Bossio contro dimore talmente ricche da rischiare di «oltrepassare la christiana modestia» (1582). E’ in questa complessa e contraddittoria politia che si crearono le condizioni per un gran numero di iniziative legate all’arte e all’architettura che, comunque, non bastarono a far sì che chiunque vivesse a Genova fosse prospero e felice: le case non erano tutte simili alle dimore disegnate da Galeazzo Alessi e poi ‘propagandate’ da Pietro Paolo Rubens! La cifra di quanto la povertà fosse diffusa anche a Genova è data dall’enorme cubatura dell’Albergo dei Poveri che le classi agiate fecero costruire (1652-’56) essenzialmente per togliere (e togliersi) di torno gli inopportuni mendicanti assiepati davanti alle eleganti abitazioni affacciate sulle Strade Nuove o concentrate nelle riservatissime ‘curie’; dimore oggetto di un quarto paradosso, quello identificato dal pittore-diplomatico fiammingo al servizio dei Gonzaga che ebbe a scrivere di residenze di «gentiluomini» (va ricordato, al governo di una Repubblica), paragonabili per splendore a palazzi di principi «assoluti», a capo di una Monarchia. Il ‘caso Genova’ è intrigante perché tutte le componenti appena ricordate hanno contribuito ad alimentarne il mito. In questo volume non si è inteso stabilire se si tratta di un mito vero o falso, ma capire - principalmente attraverso una rosa di inventari scelti per esemplarità - come questi aspetti abbiano impattato sulla vita di alcuni casati, i Sauli, i Brignole-Sale, i Pallavicini, i Grillo, i Centurione. Uno spoglio filologico che, unito a quello condotto su numerosi altri documenti, è servito a porre in risalto la grande varietà di caratteri, destinazioni e beni che una dimora genovese poteva vantare, la funzione degli oggetti d’arte nella vita del clan o, per dirla con le parole di Marta Ajmar, «the cultural significance of things». A tal proposito, non esiste una risposta univoca. La ricerca ha provato a trovare una strada attraverso la cultura materiale e visuale della casa genovese tra Sei e Settecento intesa come strumento di interpolazione tra immagine pubblica e privata. L’ambiente domestico, e al suo interno la famiglia che viveva circondata da determinati mobili, da determinati quadri e da determinati apparati decorativi (spesso decisi in piena coerenza con le scelte sperimentate all’esterno di quelle mura, nelle cappelle e nelle chiese gentilizie), dimostra una consapevolezza di marca europea pari o addirittura superiore ai risultati economici. Ricchezza e immagine, articolazione e identità della famiglia, tipi autoctoni delle pratiche decorative e degli stili artistici e architettonici, modelli di acquisizione degli oggetti, attributi dell’aristocratico lifestyle genovese, sono tutti elementi che si intersecano tra loro, con l’obiettivo di fornire una lettura ‘altra’ rispetto a quella, celebre, di Francis Haskell, il quale, nel grande affresco dedicato a Roma e a Venezia durante l’età barocca, aveva confinato l’episodio ‘Genova’ nel riduttivo contesto della cosiddetta «scena provinciale» dell’arte e della società italiane. I palazzi di Genova riflettono un dialogo fra la ‘tradizione’ incarnata dall’estetica medievale del centro storico e l’innovazione dei modelli ‘post-moderni’ alessiani, poi rivoluzionata ancora dai rivolgimenti barocchi ammirati dai testimoni che passarono per la città, da Furttenbach ai viaggiatori del Grand Tour. In queste architetture maturò il profilo dell’esagerata genoese way of life che neanche le leggi suntuarie riuscirono a contenere: lo attestano quei ritratti di Rubens e di Van Dyck che, come ha notato Giorgio Doria, mostrano contabili issati su cavalli rampanti e mogli di prestatori di denaro che ambivano al rango di principessa (un quinto paradosso?). Gli spazi domestici genovesi giocarono in tal modo molti ruoli: luoghi di ricevimento, teatri di celebrazione e agiografia; soprattutto furono una manifestazione di gusto e di valore, non solo per i membri dell’upper class che ebbero la fortuna di vivere in queste dimore, ma anche per un’intera società sempre in bilico tra magnificentia e mediocritas, tra originalità ed emulazione. Alla luce di quanto detto, il volume è stato organizzato in due parti, articolate in sei capitoli e sette appendici documentarie. Il primo capitolo è dedicato all’analisi delle fonti, le voci dei contemporanei, che hanno contribuito a creare il ‘mito’ delle dimore genovesi [I]. Segue la presentazione di alcune delle diverse modalità di declinare e intendere la ‘vita privata’ di questa aristocrazia affacciata sul mondo: l’approccio dinastico al mecenatismo, con la diacronica saga dei Sauli impegnati sul doppio e intercambiabile registro della domus magna in San Genesio e della basilica alessiana di Carignano, entrambe trasformate in ‘oggetti barocchi’ internazionali con il contributo di artisti come Claudio David, Domenico Piola, Pierre Puget, Massimiliano Soldani Benzi, Diego Francesco Carlone, Francesco Maria Schiaffino; nel mezzo, il rapporto epistolare con molti di questi personaggi e il ruolo giocato in qualità di intermediari nella circostanza di complicate triangolazioni, come quella che nel 1641 vide protagonisti Gio Battista Manzini, Gio Antonio Sauli e Anton Giulio Brignole-Sale intorno a dieci quadri di Guido Reni [II]. I capitoli successivi proseguono indagando altri temi: la personalizzazione degli spazi abitativi, con l’esempio di tre ‘case’ volute, rispettivamente, da un cardinale (Vincenzo Giustiniani-Banca), uno storiografo (Raffaele Soprani) e un pittore-intellettuale (Gio Battista Paggi) [III]; la ‘macchina’ abitativa, con lo ‘smontaggio’ di una complessa dimora del Seicento come Palazzo Rosso, residenza dei Brignole-Sale [IV]; la via notarile alle ‘grande decorazione’, con alcuni scritti contenenti le premesse culturali e iconografiche di due importanti cicli affrescati da Domenico Parodi per Paolo Gerolamo III Pallavicini e Gio Francesco III Brignole-Sale [V]; il rischio di dispersione dei patrimoni raccolti, con le pratiche di vendita all’incanto e con le dispute testamentarie che segnarono le famiglie Grillo e Centurione [VI]. La seconda parte del libro, invece, propone le ricordate appendici archivistiche, sei delle quali organizzate per unità parentali: ciascuna di esse è introdotta da un sintetico profilo focalizzato sulla posizione del casato nella geografia del potere cittadino e sul suo atteggiamento in termini di supporto alle iniziative di committenza. La settima e ultima appendice raccoglie, infine, cinque brani sul tema della residenza genovese che il mondo della colta erudizione di primo Novecento dedicò all’argomento, sulla scia degli studi avviati da Luigi Tommaso Belgrano con il saggio Della vita privata dei genovesi (1866).
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