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1

Dell'Olivo, Caterina <1984&gt. "LA PARABOLA DELLO STATO NAZIONE DA WESTFALIA AD OGGI". Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2013. http://hdl.handle.net/10579/3406.

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Resumen
Lo scopo di questo lavoro è di identificare le caratteristiche fondamentali nella storia del moderno stato nazione, capire quale sia il possibile panorama geopolitico globale futuro e la distribuzione del potere tra gli attori internazionali. Per perseguire questo risultato è importante considare alcuni aspetti pecuilari della storia moderna e contemporanea quali lo sviluppo politico delle strutture di governo sia in Europa che negli Stati Uniti, rispettivamente alla divisione geopolitica risultata dagli accordi di Westfalia. Inoltre, l'aspetto economico deve essere considerato come deterimante per il mantenimento degli equilibri politici negli ultimi secoli, integrandolo al contesto sociale
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2

Azzolini, Luca <1994&gt. "Storia della politica linguistica di Giappone e Italia moderni e contemporanei: Tutela, fattori di rischio e percorsi comuni tra multilinguismo e trasferimento linguistico nello "Stato-nazione"". Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2019. http://hdl.handle.net/10579/15684.

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Resumen
L’Italia e il Giappone affrontarono nello stesso periodo storico (tra il XIX e il XX secolo) la sfida di unificare il Paese nell’idea di un’identità nazionale, e la lingua nazionale giocò un ruolo di primaria importanza in questo processo. Operando un parallelismo a livello storico e sociopolitico, quanto è vicino il panorama linguistico italiano a quello giapponese? Qual è il livello di rischio di estinzione dei vari gruppi dialettali e/o linguistici italiani e giapponesi? Quali associazioni se ne stanno occupando? Quali sono le loro iniziative? E, inoltre, pur non essendo precisamente quantificabile, è possibile ragionare su quale sia il livello di coscienza della popolazione circa l'importanza di preservare la propria identità linguistica, andando verso un multilinguismo, piuttosto che un monolinguismo? Nel primo capitolo si presenta la situazione linguistica italiana, e nel secondo quella giapponese, mettendo in luce i dibattiti circa le lingue minoritarie nei due Paesi, e l'affermazione dell'egemonia delle rispettive lingue nazionali. Nel terzo capitolo si discute invece nello specifico dell'operato di associazioni pubbliche e di privati al fine di valorizzare le realtà linguistiche minoritarie, mentre nel capitolo conclusivo si indagheranno le importanti somiglianze tra i due panorami linguistici in questione al fine di individuarne sviluppi comuni, anche al fine di evidenziare risultati positivi e negativi in entrambe le realtà circa la tutela linguistica.
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Dal, Corso Giorgio. "Lineamenti di fiscalità cooperativa nella prospettiva nazione ed Europea". Doctoral thesis, Università di Catania, 2013. http://hdl.handle.net/10761/1478.

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Resumen
L inquadramento sistematico del regime fiscale riservato alla cooperazione rappresenta un esigenza particolarmente sentita in un momento storico caratterizzato da una duplice tendenza: da una parte, l azione «frenetica» del legislatore che procede con manovre frequenti e a-sistematiche a riduzioni costanti delle misure fiscali riservate alle cooperative, senza (voler) tenere conto della natura agevolativa o strutturale di tali misure; dall altra parte, la sempre più cogente influenza dell ordinamento europeo in materia fiscale che, in tema di misure tributarie riservate alle cooperative italiane, si è, da ultimo, manifestata con la sentenza della Corte di Giustizia dell 8 settembre 2011, relativa ai procedimenti riuniti da C-78/08 a C-80/08. Alla luce di siffatte premesse, è auspicabile una ricostruzione del sistema fiscale positivo, avuto riguardo alla disciplina speciale tipica degli istituti propri della cooperazione - e settoriale nonché alla dicotomia tra cooperative a mutualità prevalente e cooperative diverse. Infine, seguendo un modello di indagine desumibile dalla teoria funzionalistica sulle agevolazioni fiscali, pare possibile formulare alcune riflessioni generali sulla legittimità interna e sulla compatibilità europea delle misure fiscali riservate alla cooperazione.
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Di, Jorio Irene. "Propagandare lo Stato : l'identità nazionale nella propaganda di Vichy". Paris 10, 2004. http://www.theses.fr/2004PA100024.

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Resumen
En partant d'une interrogation globale sur les choix et sur les politiques de l'"État français" en matière de propagande, notre thèse se propose de faire ressortir les projets, les savoirs et les connaissances "scientifiques" qui ont été la base de ces politiques, en réservant une attention particulière aux théories et aux modèles utilisés par les gouvernants (et par leurs conseillers techniques) afin de bâtir un appareil de propagande "efficace". D'un côté, notre travail essaie de montrer comment les responsables de Vichy arrivent à concevoir un système de propagande tout à fait particulier, où les Services d'Information -considérés comme organes techniques d'éxécution des décisions du Gouvernement- sont appelés à perfectionner considérablement leurs méthodes. De l'autre côté, il se concentre sur le problème de la "formation à la propagande", en analysant les outils créés par le régime afin d'améliorer le fonctionnement de son "réseau de propagandistes"
Taking as a starting point a comprehensive examination of the choices and policies of the "Etat français" in matters of propaganda, this dissertation intends to bring to light the plans and "scientific" knowledge that were the basis of these policies, while paying special attention to the theories and models used by the government (and its technical advisers) to construct an efficient propaganda apparatus. This study tries to show how Vichy officials came to conceive of a distinctive system of propaganda wherein the Information Services -considered as technical organs implementing governmental decisions- were impelled to refine their methods significantly. In addition, it focuses on the problem of the "teaching of propaganda", by analysing the tools created by the regime to improve the functioning of its "network of propagandists"
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5

Sofia, Pasquale. "Dallo Stato nazionale alla società globale nella filosofia politica contemporanea : confronto Maritain - De Gasperi /". Roma, 2007. http://opac.nebis.ch/cgi-bin/showAbstract.pl?sys=000253539.

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6

QUARANTA, Laura. "Gli studi sul nazionalismo di Benedict Anderson e la natura dell'Unione Europea". Doctoral thesis, Università degli studi del Molise, 2019. http://hdl.handle.net/11695/91211.

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Resumen
«Devo essere l'unico a scrivere sul nazionalismo che non la pensa male… Penso davvero che il nazionalismo possa essere attraente. Mi piacciono i suoi elementi utopici». A pronunciare queste parole è stato un marxista “anomalo”, uno tra gli storici più autorevoli nel mondo della scienza politica e negli studi accademici sul nazionalismo: Benedict Anderson, meritevole di aver coniato il concetto di nazioni come "comunità immaginate” nel libro omonimo Comunità immaginate. Origini e fortuna dei nazionalismi (1983). La capacità di questo autore cosmopolita è stata l’aver indagato i meccanismi “segreti" del sentimento nazionale, quelli su cui nessuno studioso si era soffermato attentamente prima. Egli infatti, fornendo un contributo fondamentale alla ricerca sul nazionalismo moderno, è riuscito ad esplorare la "microfisica" del sentimento di appartenenza nazionale, i suoi linguaggi, la sua genesi e la sua diffusione in ambiti culturali anche diversissimi tra loro, individuando le radici del nazionalismo e delle attuali strutture nazionali non tanto nella teoria e nella prassi politica e parlamentare, quanto negli atteggiamenti e nelle pratiche condivise dagli abitanti di tale comunità. Vestendo i panni dell’antropologo, lo storico anglo-irlandese è riuscito a sviluppare una visione rivoluzionaria della questione: il rinnovamento stava nel vedere la nazione come un puro prodotto culturale, vale a dire come il frutto di una costruzione artificiosa, funzionale a precise esigenze politiche ed economiche. Il nazionalismo, pertanto, non deve essere considerato né una patologia né un’ideologia della storia moderna: Anderson lo analizzò come fenomeno paragonabile non al fascismo o al liberismo ma alle categorie antropologiche della religione e della parentela, cioè a quei complessi sistemi di credenze che danno un’impronta sostanziale alle azioni della vita quotidiana. Da qui, propose una definizione illuminante di Nazione: è una comunità politica immaginata e peraltro diversa da altre comunità immaginate che l’hanno preceduta – la comunità religiosa e lo stato dinastico. In particolare, è immaginata come intrinsecamente limitata e insieme sovrana: immaginata, in quanto gli abitanti della più piccola nazione non conosceranno mai la maggior parte dei loro compatrioti, eppure nella mente di ognuno vive l’immagine del loro essere comunità; limitata, perché è sempre immaginata con dei confini, al di là dei quali vi sono altre nazioni; sovrana, in quanto l’idea di nazione porta in sé gli ideali illuministi della autonomia e della libertà; infine è comunità poiché, malgrado le disuguaglianze e gli sfruttamenti che avvengono al suo interno, viene vissuta sempre in un clima affettivo informato da un "profondo e orizzontale cameratismo”. L’impostazione dello storico risulta stimolante di fronte ai problemi attuali e contribuisce ad un esito preciso, ovvero quello di spiazzare, scuotere l'orgogliosa sicurezza con cui spesso ingenuamente si discute di stato nazionale e di nazionalismo. Recuperando la connotazione più neutrale di questi termini, Anderson non solo mette in guardia dal consegnare il fenomeno nazionale alla pattumiera della storia, ma aiuta a comprendere la ragione d’esistere della nazione stessa. Gli studi da lui portati avanti rappresentano così uno spunto per tentare di rispondere ad un interrogativo finale: può un modello istituzionale come l’Unione Europea trovare una strada per creare un sentimento di appartenenza tra i suoi abitanti?
What is a nation? What is the main drive of a national state? Over the last two hundred years, millions of people have died but most of all have died for the name of their country. What has allowed this? And today, what position does nationalism have within the European Union? From the various answers on this subject, one of note is elaborated by the American historian, Benedict Anderson. In his most famous book “Imagined Communities: Reflections on the Origin and Spread of Nationalism”, Anderson investigates deeply one’s feelings regarding national belonging, their culture, their roots and their diffusion in different cultural settings, revealing the roots of nationalism and the actual national structure, not in their political and parliamentary practice, but more so within the shared practices of inhabitants and their communities. Therefore, similar to an anthropologist, he develops a revolutionary vision in his description: the renewal is in viewing the nation as a cultural product; that is an artificial construction. He proposes a new definition of the nation: “a political imagined community” and imagined as sovereign and limited. It is imagined in such that the inhabitants of the most smallest nation will never know all their compatriots, however each person feels part of a community; a nation is limited because it is seen surrounded by borders, beyond these limits there are other nations; sovereign for the fact that the idea of a nation is inspired by Enlightenment ideas of independence and liberty; finally, it is a community because it is lived within an affectionate environment, despite differences, inequalities and exploitation. On the last ten years Benedict Anderson has had a great influence within the study of individual relationships, societies and national organization. Following the birth of European Union , combined with globalization and the union of the European market, the national identities has gone into crisis. Considering the all above points, my research intends to develop a reflection on the national identity in the contemporary societies, evaluating the theoretical elements in general, and also the actual political and cultural debate within the European Union.
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7

CAPISANI, LORENZO MARCO. "La Cina da impero a Stato nazionale: la definizione di uno spazio politico negli anni Venti". Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2017. http://hdl.handle.net/10280/20588.

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Resumen
La tesi si concentra sul Partito Nazionalista Cinese negli anni Venti come punto privilegiato di osservazione del cambiamento politico della Cina dopo la Prima guerra mondiale. Questo decennio rappresentò un momento di definizione identitaria sia per i comunisti sia per i nazionalisti. La storiografia ne ha sottolineato numerosi aspetti, ma si è finora occupata del periodo 1919-1928 come una preistoria degli anni Trenta piuttosto che come un autonomo segmento di storia cinese. Studi recenti hanno superato implicitamente questo approccio criticando due date periodizzanti fondamentali per il Novecento cinese: la nascita della Repubblica nazionalista (1911) e la nascita della Repubblica Popolare (1949). A metà tra queste due date, gli anni Venti sono emersi come snodo decisivo nel passaggio da impero a Stato nazionale, durante cui si definì un nuovo spazio di discussione politica. Questo processo, pur interno, subì l’influsso delle strategie internazionali di sovietici e statunitensi dando vita a una nuova visione non soltanto della rivoluzione ma anche dello Stato post-rivoluzionario. Le classi dirigenti nazionalista e comunista, durante la collaborazione, si rivelarono dinamiche e tale “competizione” si trasferì anche all’interno di ciascun movimento diventando un fattore determinante per il successo o il fallimento del partito inteso come moderna formazione politica.
The thesis focuses on the Chinese Nationalist Party in the 1920s as a special standpoint to analyze the political changes in China after the World War I. That decade was crucial for shaping the identity of nationalists and communists. Many works have already examined some aspects, but they mostly considered the years 1919-1928 as a pre-history of the Thirties rather than an autonomous part of Chinese history. Recent studies have overcome this approach by criticizing two of the main periodization in the Chinese twentieth century: the birth of the nationalist Republic (1911) and the birth of the People’s Republic (1949). Halfway, the 1920s stood out as a critical juncture in the transition from empire to nation-state. A new space of political discussion was defined. The process, albeit internal, was under the influence of the USSR and US international strategies and gave birth not only to a new vision of the revolution, but also to a vision of the post-revolutionary state. Also, the nationalist and communist leaderships turned out to be dynamic. That "competition" may be seen also within the two political movements and became a shaping factor for the success or failure of the party as a modern political formation.
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CAPISANI, LORENZO MARCO. "La Cina da impero a Stato nazionale: la definizione di uno spazio politico negli anni Venti". Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2017. http://hdl.handle.net/10280/20588.

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La tesi si concentra sul Partito Nazionalista Cinese negli anni Venti come punto privilegiato di osservazione del cambiamento politico della Cina dopo la Prima guerra mondiale. Questo decennio rappresentò un momento di definizione identitaria sia per i comunisti sia per i nazionalisti. La storiografia ne ha sottolineato numerosi aspetti, ma si è finora occupata del periodo 1919-1928 come una preistoria degli anni Trenta piuttosto che come un autonomo segmento di storia cinese. Studi recenti hanno superato implicitamente questo approccio criticando due date periodizzanti fondamentali per il Novecento cinese: la nascita della Repubblica nazionalista (1911) e la nascita della Repubblica Popolare (1949). A metà tra queste due date, gli anni Venti sono emersi come snodo decisivo nel passaggio da impero a Stato nazionale, durante cui si definì un nuovo spazio di discussione politica. Questo processo, pur interno, subì l’influsso delle strategie internazionali di sovietici e statunitensi dando vita a una nuova visione non soltanto della rivoluzione ma anche dello Stato post-rivoluzionario. Le classi dirigenti nazionalista e comunista, durante la collaborazione, si rivelarono dinamiche e tale “competizione” si trasferì anche all’interno di ciascun movimento diventando un fattore determinante per il successo o il fallimento del partito inteso come moderna formazione politica.
The thesis focuses on the Chinese Nationalist Party in the 1920s as a special standpoint to analyze the political changes in China after the World War I. That decade was crucial for shaping the identity of nationalists and communists. Many works have already examined some aspects, but they mostly considered the years 1919-1928 as a pre-history of the Thirties rather than an autonomous part of Chinese history. Recent studies have overcome this approach by criticizing two of the main periodization in the Chinese twentieth century: the birth of the nationalist Republic (1911) and the birth of the People’s Republic (1949). Halfway, the 1920s stood out as a critical juncture in the transition from empire to nation-state. A new space of political discussion was defined. The process, albeit internal, was under the influence of the USSR and US international strategies and gave birth not only to a new vision of the revolution, but also to a vision of the post-revolutionary state. Also, the nationalist and communist leaderships turned out to be dynamic. That "competition" may be seen also within the two political movements and became a shaping factor for the success or failure of the party as a modern political formation.
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Džinić, Edina. "Bosnia ed Erzegovina sulla strada di uno stato moderno: Relazione tra disintegrazione nazionale ed integrazione internazionale". Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2014. http://hdl.handle.net/10077/10080.

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Resumen
2012/2013
First and second chapter deals with classical problems in terms of state, nation, people, minority, society. BiH was dealing with frequent change of state polity and therefore fallowing influence to the social and cultural change of its people. At the end the individual and collective identity modifications created distinct value disagreements. BiH society is confronting dichotomy in its ethnic affiliations regarding the concept of “multiculturalism” among the Bosniaks’ majority and other two constitutive people Serbs and Croats in terms of three B, believing/belonging/becoming. One will say that ethnicity is a changeable socially constructed concept like e.g. the class, race, etc. another will accentuate the natural constant of ethnic solidarity and the third will emphasize the long-term effects of institutional and cultural environment of ethnic relations. The theoretical framework in the context of ethnographic data is necessary to reach a social and cultural maturity. BiH was experiencing the process of territorial and constitutional transformation after the dissolution of common state of Yugoslavia. Constitutional order of 1995 created complex decision making system and complex state structure blocking the state functions and creating the frequent political, economic and social crises. As a part of international peace agreement the forcible Constitution created unequal standing for three constitutive peoples, the “Others” and citizens of BiH. In its end line it froze the war territorial division. The term “constitutive” people were taken from the last Yugoslav constitution where the state sovereignty was diffused between different holders: the peoples and republics and at the end conditioned by consensus. The reinforced EU presence is a crossforce in supporting the domestic stakeholders and BiH citizens in the EU integration process as well in sooner closure of the OHR and transfer of competencies to the state of BiH and to the other domestic stakeholders. The initiation of “late” approval of crucial laws of BiH e.g. the Law on citizenship, the Law on residence and the Law on Personal identification number happened under the pressure of civil society with “baby revolution”. In the last chapter the accent is on good practice examples of Crossborder Cooperation Program Croatia/BiH 2007-2013 aiming the better quality of life of people in the border region of Una-Sana Canton. An opportunity is entrance of Croatia to EU considering that now 2/3 of the internationally recognized BiH’s border is external border of EU now. The European Aid funds are welcomed in this area, although the consumption of funds could be better. Here is to point out a field work in a multicultural environment of the municipality of Bosanski Petrovac where peace agreement of 1995 established an internal administrative boundary line making two municipalities Bosanki Petrovac and Petrovac.
I capitoli primo e secondo trattano di problemi classici in termini di stato, nazione, popolo, minoranza e società. La BiH si confronta con un frequente cambio di sistema politico dello stato e questo influenza il cambiamento sociale e culturale del popolo. Alla fine del processo le differenze individuali e collettive di identità creano diversi aspetti di valore. La BiH sta affrontando una dicotomia nella sue identità etniche sul concetto di "multiculturalismo" tra la maggioranza dei Bosniacchi e gli altri due popoli costitutivi Serbi e Croati in termini di tre B, credere/appartenere/diventare (believing/belonging/becoming). Alcuni dicono che l'etnicità è un mutevole concetto sociale, altri accentuano la costante di solidarietà etnica e i terzi mettono in risalto gli effetti a lungo termine del contesto istituzionale e culturale delle relazioni etniche. Il quadro teorico nel contesto dei dati etnografici è necessario per raggiungere una maturità sociale e culturale. La BiH sta vivendo il processo di trasformazione territoriale e costituzionale dopo la dissoluzione dello stato comune della Jugoslavia. L’ordine costituzionale ha creato un complesso sistema decisionale ed una struttura statale complessa, bloccando le funzioni dello stato e provocando le frequenti crisi politiche, economiche e sociali. La Costituzione della BiH, che fa parte dell’accordo internazionale di pace del 1995, ha creato una disugualianza tra i tre popoli costitutivi, gli "Altri" ed i cittadini della BiH. Il termine del popolo "costitutivo" è stato preso dall'ultima costituzione jugoslava dove la sovranità statale viene trasmessa tra i popoli e le repubbliche condizionato dal consenso instituzionale. La presenza rafforzata dell'UE ha una ambiguità nel sostenere i titolari del potere nazionale ed i cittadini della BiH nel processo di integrazione europea. Attualmente non esiste una volontà politica per la chiusura finale dell'OHR e per il trasferimento delle competenze all’amministrazione statale ed alle altre parti interne. La procedura di approvazione "in ritardo" delle leggi fondamentali della BiH, ad esempio la legge sulla cittadinanza, la legge sulla residenza e sul numero di identificazione personale, è avvenuta sotto la pressione della società civile con la "baby rivoluzione". Nell'ultimo capitolo l'accento è sugli esempi di buona pratica di cooperazione transfrontaliera e di programma Croazia/Bosnia-Erzegovina (CBC Cr/BiH) per una migliore qualità della vita delle persone nella regione di confine, Cantone Una-Sana. Un'opportunità di sviluppo economico è l'ingresso della Croazia nell'UE, considerando che oggi i 2/3 della frontiera della BiH riconosciuta a livello internazionale è frontiera esterna dell'UE. I fondi degli aiuti europei sono presenti in questa regione, anche se la loro l’utilizzazione potrebbe essere migliore. Si evidenzia anche una ricerca in ambiente multiculturale nel territorio di Bosanski Petrovac dove l’accordo di pace del 1995 ha creato una linea di confine interna creando due comuni, quello di Bosanski Petrovac e quello di Petrovac.
XXV Ciclo
1977
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10

Marrone, Luisa. "Evoluzione e prospettive del rapporto tra Stato, Regioni e CONI in materia di sport". Doctoral thesis, Universita degli studi di Salerno, 2010. http://hdl.handle.net/10556/248.

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2008 - 2009
Cap. I. Il lavoro inizia delineando le origini del comitato olimpico nazionale italiano ed i poteri conferiti dalla legislazione dell'epoca fascista. Tratta poi della legge n. 426/42 che ha realizzato la subordinazione del sistema sportivo al potere statale distinguendo tra la qualificazione giuridica del CONI, ente pubblico, e quella, controversa, delle federazioni nazionali. Queste ultime, associazioni di diritto privato, hanno una natura ambivalente (che si riflette anche sulla qualificazione del rapporto di lavoro dei dipendenti) poiché svolgono funzioni pubblicistiche quali organi del CONI mentre sono soggette alla disciplina privatistica quando agiscono nell'ambito dei poteri loro propri. Cap. II. I poteri pubblicistici e la funzione di controllo dell'intero settore sportivo che la legislazione dell'epoca fascista aveva attribuito al CONI rimangono inalterate anche successivamente alla caduta del regime. Le modifiche che la legislazione successiva apporta hanno la funzione di depurare le disposizioni normative dalle connotazioni autoritarie e di stampo razzista. Il paragrafo da atto delle contrastanti opinioni dottrinali sulla natura giuridica del CONI qualificato ora come persona giuridica - organo, ora come autorità indipendente, ora come ente di servizio, ora come ente pubblico indipendente. Le divergenti opinioni concordano solo sulla qualificazione dello stesso come ente associativo. Cap. III. Tratta del riparto tra la giurisdizione statale e quella sportiva risolto dalla legge n. 280/2003 applicando il principio della autonomia dell’ordinamento sportivo e subordinando !"intervento statale al rispetto della c.d. clausola di salvezza in base alla quale il sindacato giurisdizionale dello Stato su di una controversia sportiva è ammesso nei soli casi di rilevanza della controversia per l'ordinamento generale e cioè quando la questione coinvolge situazioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi o interessi legittimi). In ogni caso sono riservate agli organi della giustizia sportiva tutte le questioni tecniche e disciplinari. Cap. IV. Tratta dell'approccio della legislazione regionale nei confronti dello sport e della regolamentazione dello stesso in relazione ad altri interessi coinvolti ed altre materie prima di tutto il turismo. Individua, inoltre, il limite degli interventi degli enti locali per lo sport nella qualificazione delle spese relative fra quelle facoltative non finanziabili a tasso agevolato. Cap. V. Rileva la centralità delle funzioni del CONI in ambito sportivo anche rispetto alle competenze regionali in materia sia perché il CONI ha continuato a gestire i concorsi pronostici correlati a manifestazioni sportive svolte sotto il suo controllo sia perché ha rivestito la funzione di consulenza tecnica in materia di costruzione e gestione degli impianti. Cap. VI. Evidenzia come a seguito della riforma contenuta nel d.lgs. 242/99 e dei successivi interventi contenuti nell'art 8, del d.l. 138/2002 e nel d.lgs. 15/2004, il Legislatore si occupa solo dei principi generali dell'organizzazione del Comitato Olimpico Nazionale Italiano. La disciplina organica è, invece, affidata allo stesso CONI sia per ciò che riguarda le norme organizzative che per le regole relative al modo di svolgere le funzioni e/o l'attività. Cap.VII. Tratta degli effetti del c.d. terzo decentramento amministrativo in ambito sportivo evidenziando come l'art 157 del decreto delegato n. 112/1998, ha sortito effetti limitati demandando alla scelta delle Regioni l'elaborazione dei programmi relativi agli impianti sportivi destinati alle manifestazioni sportive agonistiche relative ai campionati organizzati secondo criteri di ufficiaJità, ma riservando la competenza della definizione dei relativi criteri e parametri alla autorità di governo competente, acquisito il parere del Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI) e della conferenza unificata... [a cura dell'Autore]
VIII n.s.
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Colamonaco, Matteo. "Industry 4.0: stato dell'arte dell'implementazione a livello internazionale". Bachelor's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2017. http://amslaurea.unibo.it/14016/.

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L’obbiettivo della tesi è tracciare un quadro generale relativo agli ambiti fondamentali di Industry 4.0, quindi capire in cosa consiste, analizzarne l’impatto sul mondo del lavoro, le principali tecnologie abilitanti e infine il piano economico su cui si inseriscono le varie iniziative ad esse correlata. Per questo, fornita una definizione accademica che indica in maniera chiara cosa riguarda Industry 4.0, si procede ad un’analisi dei fattori che di fatto impongono questa rivoluzione, dell’impatto che tali cambiamenti avranno nell’ambito occupazionale, delle competenze lavorative e del ruolo umano all’interno del processo produttivo. Si analizza poi come gli attuali modelli produttivi basati sulla Lean Production si debbano interfacciare con le nuove tecnologie e quindi il rapporto tra LPD e I4.0. L’analisi prosegue illustrando le principali tecnologie abilitanti attraverso una loro definizione ed evidenziando i vantaggi che ne derivano attraverso casi studio pratici. Infine vengono brevemente presentati i piani economici delle principali nazioni con cui l’Italia si confronta sul piano dell’industrial manufacturing: Usa, Germania, Francia, e viene effettuata un’analisi più approfondita del piano nazionale “Industria 4.0” avvalendosi anche di un approfondimento della Legge di bilancio.
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Mitri, Angela <1991&gt. "Ricostruire l'economia e l'orgoglio nazionale: Il Giappone e il rapporto con gli Stati Uniti nel ventennio 1960-1980". Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2018. http://hdl.handle.net/10579/12160.

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Resumen
La tesi affronta l’evoluzione del rapporto fra Giappone e Stati Uniti nel ventennio 1960-1980. Il Primo capitolo affronta la relazione economica fra i due paesi. Partendo dall’ascesa economica giapponese descrive poi come il maggior peso economico del Giappone metta in crisi la cooperazione economica con gli Stati Uniti e come di conseguenza i due paesi affrontarono le principali dispute e crisi economiche dell’epoca. Il secondo capitolo affronta l’evoluzione del rapporto di sicurezza. Descrive come il Giappone partendo da una posizione svantaggiata, avendo firmato nel 1951 un Trattato di Sicurezza che lo poneva in una posizione di inferiorità rispetto agli Stati Uniti, riuscirà a negoziare e firmare nel 1960 il Trattato di Mutua Cooperazione e Sicurezza, un trattato che lo poneva in una posizione più eguale rispetto agli Stati Uniti. Affronta poi come il crescente antimilitarismo fra la popolazione giapponese porterà alla crisi del 1960 e di come il rapporto di sicurezza fra i due paesi evolverà dopo la firma del Trattato di Mutua Cooperazione e Sicurezza. Il capitolo si conclude poi con la discussione della questione Okinawa e di come il Giappone riesca a negoziare con gli Stati Uniti la reversione dell’isola. Il Terzo e ultimo capitolo affronta il ruolo del Giappone e degli Stati Uniti in Asia Orientale, di come la guerra del Vietnam modificherà la visione che il Giappone aveva degli Stati Uniti e di come si evolveranno le relazioni con i due principali paesi comunisti: l’Unione Sovietica e la Cina. Concludendo infine come nonostante le crisi e la crescente multipolarità della scena internazionale, il Giappone continuerà a mantenere un rapporto bipolare privilegiato con gli Stati Uniti.
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TANTURRI, ALBERTO. "Scuola, società e stato nel Mezzogiorno preunitario. Il sistema scolastico nelle regioni adriatiche meridionali dal Decennio alle soglie dell'unità nazionale. (1806-1861)". Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2012. http://hdl.handle.net/10280/1397.

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Resumen
Il sistema scolastico meridionale, nel periodo 1806 - 1861, presenta gradi di efficienza diversi per ciascuno dei tre comparti dell’istruzione qui considerati (istruzione primaria, agraria e secondaria). Per quanto riguarda la scuola primaria, si evidenzia una realtà molto fragile, imputabile principalmente alla povertà dei comuni, che dovevano sopportare i relativi costi. Per i docenti, erano previsti bassissimi livelli stipendiali, che si traducevano in competenze inadeguate. Per quanto riguarda l’istruzione agraria, il governo ebbe il merito di diffonderla in tutto il Regno nel 1840, nel contesto di un organico progetto di riforma. Le scuole di agricoltura si segnalarono tuttavia per una attivazione solo parziale e per un funzionamento incerto, afflitto dai medesimi problemi riscontrabili nella scuola primaria: povertà di risorse, carenza di insegnanti, precari edifici scolastici. In riferimento all’istruzione superiore, il quadro è differente. Collegi e licei possedevano infatti un finanziamento misto, derivante in parte da fondi provinciali e comunali, e in parte dalle rette dei convittori. Le più solide basi economiche consentirono un’ampia offerta didattica, che spaziava fino ai corsi universitari. Quanto ai docenti, a differenza di ciò che accadeva nella scuola primaria, le retribuzioni erano assolutamente dignitose, e questo si traduceva in un’elevata professionalità.
The educational system of Southern Italy since 1806 to 1861 presents different levels of efficiency for any of the three branches of education taken into consideration in this research (primary school, secondary school and schools of agriculture). As for primary school, it was a very frail system, mainly due to the poverty of municipalities, which, according to the law, had to support it. Teachers used to have poor salaries, and, as a consequence, had few skills. As regards the schools of agriculture, the government tried to establish them in the whole Kingdom in 1840, according to a organic government bill. Anyway these schools arose only in one third of the municipalities, and had serious problems, such as scarcity of resources, lack of teachers, and badly-furnished buildings. As for secondary school, the situation is very different. Colleges were financed not only by municipalities and local governments, but also by boarders. Sounder economic bases meant a wide supply of courses, sometimes ranging to university disciplines. Unlike their colleagues of primary school, teachers had relatively good salaries, and, consequently, good professional skills.
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TANTURRI, ALBERTO. "Scuola, società e stato nel Mezzogiorno preunitario. Il sistema scolastico nelle regioni adriatiche meridionali dal Decennio alle soglie dell'unità nazionale. (1806-1861)". Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2012. http://hdl.handle.net/10280/1397.

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Il sistema scolastico meridionale, nel periodo 1806 - 1861, presenta gradi di efficienza diversi per ciascuno dei tre comparti dell’istruzione qui considerati (istruzione primaria, agraria e secondaria). Per quanto riguarda la scuola primaria, si evidenzia una realtà molto fragile, imputabile principalmente alla povertà dei comuni, che dovevano sopportare i relativi costi. Per i docenti, erano previsti bassissimi livelli stipendiali, che si traducevano in competenze inadeguate. Per quanto riguarda l’istruzione agraria, il governo ebbe il merito di diffonderla in tutto il Regno nel 1840, nel contesto di un organico progetto di riforma. Le scuole di agricoltura si segnalarono tuttavia per una attivazione solo parziale e per un funzionamento incerto, afflitto dai medesimi problemi riscontrabili nella scuola primaria: povertà di risorse, carenza di insegnanti, precari edifici scolastici. In riferimento all’istruzione superiore, il quadro è differente. Collegi e licei possedevano infatti un finanziamento misto, derivante in parte da fondi provinciali e comunali, e in parte dalle rette dei convittori. Le più solide basi economiche consentirono un’ampia offerta didattica, che spaziava fino ai corsi universitari. Quanto ai docenti, a differenza di ciò che accadeva nella scuola primaria, le retribuzioni erano assolutamente dignitose, e questo si traduceva in un’elevata professionalità.
The educational system of Southern Italy since 1806 to 1861 presents different levels of efficiency for any of the three branches of education taken into consideration in this research (primary school, secondary school and schools of agriculture). As for primary school, it was a very frail system, mainly due to the poverty of municipalities, which, according to the law, had to support it. Teachers used to have poor salaries, and, as a consequence, had few skills. As regards the schools of agriculture, the government tried to establish them in the whole Kingdom in 1840, according to a organic government bill. Anyway these schools arose only in one third of the municipalities, and had serious problems, such as scarcity of resources, lack of teachers, and badly-furnished buildings. As for secondary school, the situation is very different. Colleges were financed not only by municipalities and local governments, but also by boarders. Sounder economic bases meant a wide supply of courses, sometimes ranging to university disciplines. Unlike their colleagues of primary school, teachers had relatively good salaries, and, consequently, good professional skills.
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GRIPPA, DAVIDE ANGELO. "Democrazia e identità nazionale nella vita di un antifascista tra Italia e Stati Uniti: biografia di Max Ascoli (1898-1948)". Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2008. http://hdl.handle.net/2434/176005.

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In the biography of Max Ascoli, The research is focused on his cultural training, from the high school attendance in Ferrara through the academic years spent in Rome, until the beginning of his academic career and the moving the United States. The analysis is conducted on the importance of his cultural and religious background, and the influence of the hebraic tradition. The reasons and the projects related to the decision to move to the States are studied paying attention to his difficult relationship with fascism. The author shows how Fascism itself became the main subject of research of Ascoli, and how the new tools of reasearch offered by the american cultural ennviroment of the time permitted to Ascoli a deep insight in the reasons of fascist success.
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salvadego, laura. "Il ruolo della necessità nel diritto internazionale umanitario". Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2012. http://hdl.handle.net/11577/3422917.

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Summary The present research aims to analyse the relevance of necessity in the context of international law of armed conflicts, clarifying its scope and the way in which it operates in this field of international law. The first part of the work focuses on necessity as a circumstance precluding wrongfulness, by analysing the relevant international practice and the codification work by the International Law Commission that led to the adoption of the 2001 Draft Articles on State Responsibility and of the 2011 Draft Articles on Responsibility of International Organizations. States and international organizations generally have the possibility to invoke necessity as a circumstance precluding wrongfulness of acts that would otherwise give rise to international responsibility, under the stringent conditions set forth by customary international law. Thus, some interests of international legal persons can be protected and upheld in the balance against the rights of others, when complying with the predefined paramaters of the general justification clause. Limitation clauses and derogations provided by human rights treaties that enable to limit the complete application of obligations assumed because of some exigences lato sensu linked to necessity are specifically taken into account. This part of the research led to qualify these clauses as primary rules of international law, therefore excluding the possibility of invoking, alongside them, also the plea of necessity. When situations of necessity arise International Law, being an autonomous legal order, sometimes predefines the precise balance between the interests at stake by developing specific primary rules that absorb the need expressed by the general justification clause. This is not without consequences on the possibility of invoking necessity as a circumstance precluding wrongfulness in the specific context which is here considered. The possibility to rely on the plea of necessity under general international law depends, to some extent, on primary obligations which may, in fact, exclude such a possibility as Article 25, paragraph 2, a) of both 2001 and 2011 Draft Articles states. According to the author, in particular, States Parties are prevented from invoking a state of necessity in order to justify the violation of a human right enshrined in a treaty which provides for a derogation clause. When such a clause exists, the balance between individual interests and States needs is already struck by the primary rule, and the secondary rule codified by Article 25 of the 2001 Draft can only play a limited interpretative role. Chapter II focuses on the legal rules pertaining to military necessity in the context of international law of armed conflicts; in particular, the research aims to detect the function and nature of military necessity, by paying specific attention to the role assumed by the proportionality principle. International humanitarian law is complementary to international human rights law; it is contended that, also in that context, whenever situations of necessity arise the appropriate balance of interests is set once for all by the relevant primary rules, without the possibility of further invoking a state of necessity under general international law. Beyond that, any further balance of interests can be pursued only in assessing proportionality of a military action. It should be recalled, in this regard, that proportionality is strictly connected to necessity in every area of international law. In international humanitarian law, proportionality performs a double function: it influences the content and the concrete application of most of its rules and it plays a role in the context of derogation clauses providing for military necessity clauses. The proportionality principle is a guideline in interpreting and applying those clauses, which allow for various degrees of military necessity to be taken into account, thus expressing the exact point of balance between different and opposing needs. In its commentary to Article 25 of the 2001 Draft articles concerning State responsibility for internationally wrongful acts, the International Law Commission qualifies rules concerning military necessity as primary rules, assimilating them to rules relating to the use of force and, in particular, to the rule concerning humanitarian intervention. The legal basis of military necessity can actually be identified in the primary rule concerning the use of military force in the context of an armed conflict. The conclusions reached as regards the nature and legal basis of military necessity bring the author to analyse, in this specific perspective, the interrelation between jus ad bellum and jus in bello. The last Chapter of the thesis verifies if and how the legal basis for the use of force in specific situations may influence the scope and relevance of military necessity. Different legal titles in the context of jus ad bellum do not seem to allow for broadening the scope of military necessity; they may however restrict further the use of force admitted in the context of jus in bello. In the author’s opinion, the non liquet contained in the 1996 ICJ advisory opinion on Legality of the Threat or use of Nuclear Weapons may not lead to stretch the role of military necessity in cases of ‘extreme self-defence’ in which the very ‘survival’ of the State subjected to an armed attack is in danger. This would be contrary to the principle of equality between belligerents, which does not seem to have been seriously cast in doubt by the Court. On the contrary, that principle was specifically reaffirmed when the Court held that every action in self-defence should satisfy, at the same time both jus ad bellum and jus in bello requirements. Military necessity may suffer specific limitations whenever the the Security Council so decides under Chapter VII of the United Nation Charter. In such cases, however, the justification of recourse to force within jus ad bellum only indirectly influences the jus in bello legal framework by virtue of the ‘primacy’ recognized to Security Council’s binding decisions. As regards military intervention undertaken for humanitarian purposes without an express authorization by the Security Council, the title that may justify such action does not seem to modify IHL obligations and, in particular, the scope of military necessity in the context of jus in bello. In fact States’ practice highlights their wide discretion concerning the choice of modalities of warfare when military action is carried outside the context of the United Nations Organization. Although the legitimacy of resort to force, on one hand, and modalities of the use of force in the context of an armed conflict, on the other hand, are - to a certain extent - interdependent and may influence each other during the conflict, the traditional distinction between jus ad bellum and jus in bello still holds true, and the principle of equality between belligerent is still to be considered one of the pillars of the law of armed conflict.
Riassunto Il presente lavoro è teso ad analizzare la rilevanza della necessità nel contesto del diritto internazionale dei conflitti armati, chiarendone l’ampiezza e precisando le modalità concrete del suo operare nella disciplina in questione. A tal fine l’indagine è stata in una prima fase incentrata sull’esimente generale dello stato di necessità attraverso l’analisi della prassi rilevante e dei lavori di codificazione poi sfociati nei due Progetti di articoli sulla responsabilità internazionale (di Stati ed organizzazioni) elaborati in seno alla Commissione del diritto internazionale. Si è così verificato che negli stretti limiti e alle condizioni stringenti delineate dalla disciplina consuetudinaria relativa all’esimente codificata, a Stati e organizzazioni internazionali è in generale riconosciuta la possibilità di non rispondere del mancato rispetto di specifici obblighi in situazioni tali da configurare uno stato di necessità. È dunque ammessa la possibilità di valorizzare determinati interessi internazionali facenti capo ad enti dotati di personalità giuridica internazionale al fine di un loro bilanciamento successivo con diritti di altri soggetti, ma pur sempre nel rispetto dei parametri predeterminati nella definizione dell’esimente generale. Si è reso poi necessario un esame delle clausole di limitazione e deroga inserite nei trattati relativi alla tutela internazionale dei diritti umani che consentono di limitare l’applicazione integrale degli obblighi assunti in presenza di esigenze lato sensu riconducibili alla necessità. In particolare, tale indagine ha condotto ad attribuire natura giuridica di norme primarie alle clausole in questione, escludendo la possibilità di un loro coordinamento con la disciplina generale relativa all’esimente dello stato di necessità. Nell’esercizio dell’autonomia ordinatoria che gli è propria, l’ordinamento internazionale, in considerazione del contenuto delle norme e dei valori ad esse sottesi, ritiene infatti talora opportuno predeterminare il punto di bilanciamento degli interessi in gioco attraverso la previsione di specifiche norme primarie in qualche misura in grado di assorbire l’esigenza espressa dall’esimente generale. Tali valutazioni non sono scevre da conseguenze in relazione all’applicabilità dell’esimente generale dello stato di necessità nel contesto normativo considerato nonché rispetto all’individuazione dei limiti inerenti all’esercizio delle deroghe ammesse nelle diverse ipotesi di necessità, nel rispetto del principio di proporzionalità. La stessa invocabilità dell’esimente generale in qualche misura dipende dalle norme primarie; la disciplina di determinate fattispecie, infatti, indipendentemente dalla fonte consuetudinaria o pattizia, può escludere tout court la possibilità di invocazione dell’esimente. In simili ipotesi ogni bilanciamento di interessi successivo alla formazione della regola primaria deve ritenersi escluso in quanto già effettuato, una volta per tutte, al momento della redazione delle relative regole primarie, senza che possa residuare una qualche facoltà di invocare l’esimente generale, ad eccezione dei limitati fini interpretativi della regola cui l’esimente è sottesa. Nel secondo capitolo del lavoro l’indagine si incentra sulla disciplina giuridica relativa alla necessità nell’ambito del diritto internazionale dei conflitti armati ed è tesa, in particolare, ad individuarne la natura giuridica, anche in virtù delle funzioni da essa svolte, con particolare attenzione al ruolo assunto dalla proporzionalità, che ad essa è strettamente connessa. Ciò consente, fra l’altro, di escludere la possibilità di ogni bilanciamento di interessi successivo alla formazione delle regole primarie nell’ambito di tale sistema normativo e, di conseguenza, anche la possibilità del riferimento all’esimente generale. Tale bilanciamento è infatti già effettuato, una volta per tutte, al momento della redazione delle relative regole primarie, senza che possa residuare una qualche facoltà circa l’invocabilità dell’esimente generale, sottesa alle norme primarie del diritto internazionale umanitario in quanto ratio stessa del suo regime giuridico. Esclusa la possibilità di un riferimento all’esimente generale nel contesto del diritto internazionale umanitario, l’unico bilanciamento di interessi successivo alla redazione delle sue regole risiede nella valorizzazione dell’elemento della proporzionalità, strettamente connesso alla necessità nell’intero ordinamento internazionale. Nell’ambito del diritto internazionale umanitario la regola di proporzionalità svolge una duplice funzione: informa il contenuto positivo e l’applicazione concreta di molte sue regole e viene in gioco nell’operatività delle clausole di deroga che prevedono circostanze di necessità militare. La proporzionalità guida infatti l’operatore e l’interprete nella valutazione del grado di ‘elasticità’ della norma in costanza delle diverse gradazioni di necessità militare che esprimono l’esatto punto di bilanciamento fra le esigenze in gioco. Il fondamento giuridico della necessità militare viene individuato nella norma relativa alla violenza bellica consentita nel contesto di un conflitto armato. In questo senso, fra l’altro, si esprime la Commissione del diritto internazionale nel commento all’art. 25 del Progetto di articoli del 2001 relativo alla responsabilità internazionale degli Stati laddove si riferisce alle regole relative alla necessità militare attribuendo loro natura giuridica di norme primarie ed avvicinandole a quelle relative all’uso della forza e, in particolare, all’intervento umanitario. Le valutazioni svolte circa la natura e il fondamento giuridico della necessità militare hanno infine imposto di considerare, in questa specifica prospettiva, l’interrelazione fra jus ad bellum e jus in bello. In particolare, nell’ultimo capitolo dell’elaborato, si è verificata l’incidenza del titolo giustificativo del ricorso alla forza militare sulla rilevanza in concreto assunta dalla necessità militare nei diversi contesti in cui essa può venire in gioco nell’ambito di conflitti armati internazionali. Al riguardo, la configurabilità di impieghi della forza non uniformi nel quantum della violenza bellica dispiegata, ma pur sempre legittimi in virtù di titoli giuridici differenziati nell’ambito dello jus ad bellum, non sembra influire sull’ampiezza della necessità militare; può tuttavia giocare un ruolo al limitato fine di restringere ulteriormente l’impiego della forza ammessa nel contesto dello jus in bello. D’altra parte, è difficile interpretare le valutazioni formulate dalla Corte internazionale di giustizia nel parere reso sulla questione delle armi nucleari nel senso di una estensione dell’ampiezza della necessità militare in ipotesi di ‘extreme self-defence’ in cui è in gioco la stessa ‘conservazione’ dello Stato aggredito. Lo impedisce, fra l’altro, il principio di uguaglianza fra belligeranti che, in concreto, non sembra aver subito un reale vulnus ad opera della Corte. Anzi, il principio secondo cui il diritto internazionale umanitario deve essere rispettato allo stesso modo da tutte le parti coinvolte nel conflitto, senza considerazione alcuna per la causa belli ha forse trovato in tale occasione una chiara affermazione per via giurisprudenziale proprio nella parte in cui la Corte afferma la necessità che ogni azione difensiva legittima soddisfi contestualmente sia i requisiti dello jus ad bellum che le condizioni previste dallo jus in bello. Il titolo giustificativo dell’uso della forza non sembra quindi incidere sulla necessità militare provocando una dilatazione della sua ampiezza. Al contrario, la necessità militare potrebbe risultare in concreto di molto compressa in virtù della specifica determinazione assunta dal Consiglio di sicurezza in virtù del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite. Così, ad esempio, laddove il Consiglio di sicurezza non si limiti ad adottare una generica autorizzazione all’impiego della forza da parte degli Stati ma definisca in modo più o meno stringente i limiti e le modalità di impiego della stessa nell’ambito dello jus in bello, ciò si ripercuote inevitabilmente sulla condotta delle ostilità. In simili ipotesi, tuttavia, il titolo giustificativo dello jus ad bellum influenza la disciplina concreta dello jus in bello solo indirettamente in virtù del ‘primato’ normativo riconosciuto alle decisioni vincolanti del Consiglio di sicurezza adottate ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite. Con riferimento alle azioni militari intraprese per finalità ‘umanitarie’ in assenza di una autorizzazione espressa del Consiglio di sicurezza, il titolo giustificativo dell’azione non sembra condizionare la portata degli obblighi di diritto internazionale umanitario e, in particolare, l’ampiezza della necessità militare nel contesto dello jus in bello. Dall’esame della prassi emerge infatti la forte discrezionalità degli Stati rispetto alle modalità del ricorso alla forza in simili contesti laddove l’azione si sia svolta al di fuori dell’alveo dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. In tale prospettiva la tradizionale distinzione fra jus ad bellum e jus in bello conserva la propria attualità in quanto funzionale alla corretta contestualizzazione delle problematiche connesse all’impiego della forza. Le questioni relative alla legittimità del ricorso alla forza e quelle correlate all’impiego della forza bellica nel corso delle ostilità restano due profili distinti, seppur non pienamente autonomi, con la possibilità di alcune influenze per l’intera durata del conflitto. Non è però configurabile una piena permeabilità fra la disciplina dello jus ad bellum e quella relativa allo jus in bello, che porti a riconsiderare il principio di uguaglianza fra belligeranti.
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Neglia, Maddalena. "Imprese multinazionali e diritti umani : i principi guida delle Nazioni Unite e la loro attuazione nel contesto dell'Unione europea". Thesis, Aix-Marseille, 2015. http://www.theses.fr/2015AIXM1029.

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Ce travail mise à étudier comment les standards internationaux de droit souple contenues dans les principes directeurs des Nations Unies relatifs aux entreprises et aux droits de l’homme sont en train d’influencer la législation européenne et celle des états membres. Le premier chapitre analyse la responsabilité (ou mieux son absence) des entreprises multinationales dans le droit international et devant les courts nationaux. Dans ce contexte, on assiste à l’affirmation des codes de conduite internationaux de droit souple. Le deuxième chapitre est concentré sur trois codes de conduite internationaux : les lignes directrices de l’OCDE, la déclaration de l’OIT et les normes des Nations Unies. Cette analyse est visée à offrir au lecteur une idée plus claire du cadre qui a porté à l’approbation des principes directeurs. Le troisième chapitre est entièrement confié à l’analyse de ces principes et leurs trois piliers, avec une attention spécifique au devoir de l’état de protéger les droits de l’homme. Finalement, le dernier chapitre étudie, à travers une méthode comparée, l’actualisation des principes directeurs par l’Union européenne et ses états membres. Cette recherche a permis de conclure que les principes directeurs sont en train d’influencer largement le processus législatif européen et national. Elle veut alors contribuer au débat concernant le rôle croissante du droit souple dans la solution des problématiques liées à la mondialisation et à la perte de puissance du principe de la souveraineté des états
The twofold aim of the research is to study how the international soft law standards laid down in the UN Guiding Principles on Business and Human rights (UNGPs) are shaping both the European and the National legislations, and what are the further developments expected. The first chapter explores the (lack of) responsibility of MNEs in international law and in front of national courts. In this scenario, the role of international soft law has been particularly important. The second chapter examines three different public codes of conduct regulating MNEs, The OECD Guidelines for multinational corporations, the ILO Tripartite Declaration and the UN Norms. This analysis serves to give the reader a clearer idea of the context in which the UNGPs has seen the light. The third chapter is entirely dedicated to the analysis of the UN Guiding Principles endorsed in 2011 and of their three pillar, with a special focus on the State duty to protect. Finally, the fourth chapter analyses, through a comparative method, the UNGPs implementation in the EU and in some Member states. It concludes that the UN Guiding Principles are largely influencing the European policy in this sector, and that both the European Union and the Member states are implementing this policy through several measures, both voluntary and mandatory. Finally, the research intends to make a contribution to the debate on the increasing role of international soft law in solving challenges of a globalized world where the State sovereignty principle has lost importance
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FILIA, ANTONIETTA. "Eliminazione del morbillo e della rosolia congenita in Italia: avvio di un sistema nazionale di sorveglianza speciale per il morbillo, valutazione dello stato di avanzamento del Piano di eliminazione e proposte di nuove strategie". Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2009. http://hdl.handle.net/2108/208730.

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In Italia, nel 2003, è stato approvato il Piano nazionale per l’eliminazione del morbillo e della rosolia congenita (PNEMoRc 2003). Gli obiettivi erano quelli di eliminare il morbillo e di ridurre l’incidenza della rosolia congenita (RC) a valori < 1/100.000 nati vivi, entro il 2007. Le strategie includevano il raggiungimento di coperture vaccinali (CV) ≥95% per due dosi di MPR, l’attuazione di un campagna supplementare di vaccinazione, strategie mirate per vaccinare le donne suscettibili in età fertile e il rafforzamento dei sistemi di sorveglianza. Per migliorare il sistema di sorveglianza del morbillo, nell’aprile 2007 è stato istituito il sistema di sorveglianza speciale del morbillo. Oltre alle strategie generali, il Piano definiva le azioni da mettere in atto e gli obiettivi operativi da raggiungere entro il 2007. Visto che gli obiettivi di CV per la prima dose entro i due anni non sono stati raggiunti nei tempi previsti e visto anche il continuo verificarsi di epidemie di morbillo e di casi di RC si è ritenuto necessario valutare lo stato di avanzamento relativo ad ogni obiettivo operativo del PNEMoRc 2003, il grado di attuazione, nelle Regioni e ASL, delle attività previste, e i dati epidemiologici del morbillo (incluso i dati della sorveglianza speciale), della rosolia, e della RC. Metodologia E’ stata avviata la sorveglianza speciale del morbillo ed è stata effettuata un’analisi dei dati raccolti al periodo 2007- 2010. Sono stati analizzati i dati epidemiologici della rosolia e della RC. E’ stata inoltre condotta un’indagine conoscitiva nelle Regioni e ASL. Risultati Dalla data di istituzione del sistema di sorveglianza speciale del morbillo al 30 dicembre 2010 sono stati segnalati complessivamente 8.342 casi di cui il 38% confermati in laboratorio. Durante il picco del 2009-2010 sono stati segnalati 2.151 casi da 15 Regioni, di cui 895 (41,6%) confermati in laboratorio. Il 92% dei casi totali era non vaccinato. L’età mediana dei casi è stata di 17 anni e l’incidenza più elevata si è verificata negli adolescenti tra 15 e 19 anni di età. Il 14% dei casi ha riportato una complicanza per un totale di 422 complicanze, tra cui 48 casi di polmonite e tre casi di encefalite. Sono stati ricoverati 652 casi (35%). L’analisi filogenetica ha permesso di identificare tre ceppi: D4, D8 e B3. Per quanto riguarda la rosolia, nel 2008 è stata registrata una vasta epidemia con 6.183 notifiche (incidenza 10,4/100.000) di cui quasi un terzo dei casi è stato notificato dalla PA Bolzano. Il 42% dei casi era di sesso femminile ed il 50% dei casi totali avevano un’età inclusa tra 15 e 24 anni. Il 26% dei casi notificati ha riguardato donne in età fertile (età 15-44 anni. L’età media dei casi di rosolia è passata da 12 anni nel periodo 1998-2004 a 17 anni nel periodo 2005-2009. Sono stati notificati 2 casi di RC nel 2007, 23 nel 2008 e 6 nel 2009. Hanno partecipato all’indagine conoscitiva 17 Regioni e 154 ASL in 20 Regioni. I risultati hanno evidenziato che solo il 28% delle ASL ha raggiunto una CV ≥ 95% per la prima dose di MPR nei bambini entro due anni e che esiste un’ampia variabilità di CV anche a livello distrettuale. Nell’83% delle ASL è presente un’anagrafe vaccinale informatizzata ma solo il 24% di queste è collegata con l’anagrafe di popolazione. Le azioni di comprovata efficacia utilizzate più frequentemente per aumentare le coperture vaccinali sono state la chiamata attiva e i solleciti per chi non si presenta agli appuntamenti vaccinali, ma anche queste non vengono attuate in tutte le ASL. Le azioni sulle donne in età fertile per la prevenzione della rosolia congenita sono state scarsamente attuate, inclusa la vaccinazione delle donne nel post partum. Le maggiori criticità evidenziate sono state l’insufficienza di personale nelle ASL, l’assenza di anagrafe vaccinale e l’inadeguatezza degli strumenti di lavoro. Conclusioni L’Italia è ancora nello stadio di controllo limitato del morbillo e della rosolia congenita. Sono stati fatti dei progressi, inclusa l’attivazione del sistema di sorveglianza speciale del morbillo, ma l’indagine ha messo in evidenza che le strategie previste dal PNEMoRc 2003 non sono state pienamente attuate. I dati dell’analisi filogenetica dei ceppi virali mostrano che attualmente circolano in Italia solo un numero limitato di ceppi, il che è coerente con l’epidemiologia attuale della malattia nel nostro Paese. I dati raccolti hanno permesso di formulare nuove proposte di strategie per l’eliminazione, molte delle quali sono state incluse nel nuovo Piano nazionale per l’eliminazione del morbillo e della rosolia congenita 2010-2015, approvato dalla Conferenza Stato-Regioni il 23 marzo 2011.
A national measles and congenital rubella elimination plan was approved in Italy in 2003, with the aim of interrupting indigenous measles transmission and reducing the incidence of congenital rubella to below 1 case/100.000 live births by the year 2007. Strategies of the national plan included improving two-dose measles mumps-rubella (MMR) coverage rates to ≥95%, conducting a catch-up campaign in school-age children, vaccinating women of childbearing age and improving surveillance. Proposed activities included, among others, the use of effective interventions in increasing vaccination coverage rates, implementation of computerised information registries, and vaccination of women in the post partum period. In order to improve disease surveillance, rubella in pregnancy and congenital rubella became statutory notifiable diseases in 2005 and an enhanced national measles surveillance system was introduced in 2007. Coverage rates for the first MMR dose in 2-year old children were only 90.1% in 2008, with some variability among Italy’s 21 Regions (range 75.9%-94.6%). No information was available regarding coverage rates for the second MMR dose, MMR coverage rates for the first and second dose at the district level, nor MMR coverage rates in women of childbearing age. Also it was not known how and to what degree the strategies of the national plan had been implemented at the regional and district levels. Methods The methodology of the enhanced measles surveillance system is described, including data flow, case definitions, case classification, and data analysis. Data for 2007-2010 were analysed to calculate the number of probable and confirmed cases per month and year and incidence rates per year. A more detailed analysis was performed for cases with date of rash onset from 1 July 2009 to 30 September 2010, including the distribution of cases by age, geographical area, and vaccination status, the frequency of complications and of hospitalisations and the isolated genotypes. Congenital rubella notification data for 2007-2009 were analysed. In addition, a questionnaire survey was conducted in 2009 to collect data for evaluating progress towards meeting each of the intermediate objectives of the elimination plan at the regional and district levels, and for evaluating the degree of implementation of the activities proposed by the elimination plan. Results From the date of implementation of the enhanced measles surveillance system in April 2007 to 30 December 2010, 8,342 cases were reported, 38% of which were laboratory confirmed. Two incidence peaks occurred, one in 2008, the second in 2009-2010. During the second incidence peak , 2,151 possible, probable and confirmed cases with rash onset date from 1 July 2009 to 30 September 2010 were reported. Forty-one percent of cases were laboratory confirmed. The median age of cases was 18 years and 92% were unvaccinated. Incidence rates were highest in the 15-19 year-old age group. 15% of cases had complications, including three cases of encephalitis, and 652 cases (36%) were hospitalized. Molecular characterization data revealed circulation of a limited number of measles genotypes (D4, D8 and B3), which is consistent with the current epidemiology of the disease in Italy. Two confirmed congenital rubella cases (including laboratory confirmed cases with no symptoms) were reported in 2007, 23 in 2008 and 6 in 2009. Seventeen regional and 154 district health authorities participated in the questionnaire survey. Results show that MMR coverage levels are still below target levels in most areas. Only 28% of local health districts have reached coverage rates for the first dose of MMR in children below two years of age ≥95%, and less than 5% have done so for the second dose in the 1991-2001 birth cohorts. The strategies and activities of the national plan have not been fully implemented. Conclusions Italy can be considered to be at a limited control stage for measles and rubella. Interventions proven to be effective in increasing vaccination coverage should be more widely implemented. In addition, surveillance needs to be further strengthened and more efforts should be made to identify and vaccinate women of childbearing age susceptible to rubella. The data collected in the present study has contributed to assessing progress towards elimination targets and to identify populations at risk of transmission. Findings were useful for recommending the most appropriate strategies and activities for the new elimination plan, approved in March 2011.
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DI, FELICE LORENA. "Qualità della sicurezza in Europa: la formazione dell'operatore di Polizia come leva stategica per l'integrazione: studio di caso in quattro paesi UE e indicazioni metodologiche per una sperimentazione internazionale". Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2011. http://hdl.handle.net/10280/1028.

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La ricerca approfondisce il rapporto tra qualità della sicurezza e qualità della formazione ai fini di realizzare uno spazio di sicurezza libertà e giustizia in Europa. Lo studio rivolge particolare attenzione alla formazione di polizia erogata in Europa dai differenti sistemi organizzativi che determinano l’accesso alla professione sviluppando un’analisi trasversale dei diversi Paesi da cui trarre gli elementi comuni attinenti al profilo di poliziotto. L’organizzazione delle forze di polizia negli Stati dell’Unione è risultata complessa e diversificata si è quindi impostato lo sviluppo della ricerca secondo la metodologia dello studio di caso, riferendosi a Italia Francia, Regno Unito, Polonia, Quattro Paesi significativi e rappresentativi . Obiettivo specifico dell’ analisi è pervenire a un profilo professionale formativo comune che permetta l’elaborazione di un’azione finalizzata alla definizione e alla successiva sperimentazione di un sistema di monitoraggio della qualità della formazione erogata nelle Scuole di polizia europee.
This Research investigates the relationship between security and education to realize an Area of security, freedom and justice in Europe. The focus is on Constable Courses of Police Training Schools within The European Union to find out a competency framework for cope. The Study is fully aware of the fact that different Police Training Systems are used within the Member States. Regarding this aspect the Research proposes study cases about Italy, France, United Kingdom and Poland. Its purpose is to have a vision on the core tasks of police and then to propose quality control standards to be implemented in National Police Courses.
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DI, FELICE LORENA. "Qualità della sicurezza in Europa: la formazione dell'operatore di Polizia come leva stategica per l'integrazione: studio di caso in quattro paesi UE e indicazioni metodologiche per una sperimentazione internazionale". Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2011. http://hdl.handle.net/10280/1028.

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La ricerca approfondisce il rapporto tra qualità della sicurezza e qualità della formazione ai fini di realizzare uno spazio di sicurezza libertà e giustizia in Europa. Lo studio rivolge particolare attenzione alla formazione di polizia erogata in Europa dai differenti sistemi organizzativi che determinano l’accesso alla professione sviluppando un’analisi trasversale dei diversi Paesi da cui trarre gli elementi comuni attinenti al profilo di poliziotto. L’organizzazione delle forze di polizia negli Stati dell’Unione è risultata complessa e diversificata si è quindi impostato lo sviluppo della ricerca secondo la metodologia dello studio di caso, riferendosi a Italia Francia, Regno Unito, Polonia, Quattro Paesi significativi e rappresentativi . Obiettivo specifico dell’ analisi è pervenire a un profilo professionale formativo comune che permetta l’elaborazione di un’azione finalizzata alla definizione e alla successiva sperimentazione di un sistema di monitoraggio della qualità della formazione erogata nelle Scuole di polizia europee.
This Research investigates the relationship between security and education to realize an Area of security, freedom and justice in Europe. The focus is on Constable Courses of Police Training Schools within The European Union to find out a competency framework for cope. The Study is fully aware of the fact that different Police Training Systems are used within the Member States. Regarding this aspect the Research proposes study cases about Italy, France, United Kingdom and Poland. Its purpose is to have a vision on the core tasks of police and then to propose quality control standards to be implemented in National Police Courses.
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CARTOCETI, GRETA. "EMPLOYEE BENEFIT PLANS E PIANI DI WELFARE AZIENDALE NEI SISTEMI DI SICUREZZA SOCIALE STATUNITENSE E ITALIANO". Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2018. http://hdl.handle.net/2434/551280.

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Il presente studio analizza le componenti pubblicistiche e privatistiche del Sistema di Sicurezza Sociale statunitense, rispettivamente rappresentate dalla Social Security e dai programmi di Medicare e Medicaid, nonché dagli Employment-Based Benefit Plans e dagli Individual Saving Accounts. L’analisi si focalizza in particolare sulla disciplina dettata dalla legge federale (ERISA) in riferimento ai Pension Benefit Plans, Health Care Plans e Welfare Benefit Plans, dei quali vengono analizzate la genesi, le funzioni e le previsioni normative che ne regolano il funzionamento. La seconda parte dello studio, invece, descrive il Sistema di Sicurezza Sociale italiano, con particolare attenzione per i problemi di sostenibilità che oggi affliggono la Previdenza obbligatoria e per il ruolo di “sostengo” che la cd. Previdenza contrattuale è chiamata a svolgere per sopperire alle carenze della prima. Quest’ultima, in particolare, viene analizzata in tutte le sue componenti, rappresentate dalla previdenza complementare, dai fondi sanitari integrativi, dagli enti bilaterali, dagli ammortizzatori contrattuali e dal welfare aziendale. Costituisce, tuttavia, il focus principale dello studio il fenomeno più recente del Welfare Aziendale, del quale vengono messe in luce le potenzialità e gli aspetti controversi, specialmente in ordine alla sua collocazione all’interno del Sistema di Sicurezza Sociale. Non mancano, infine, considerazioni sulle conseguenze derivanti dal progressivo spostamento del baricentro delle tutele previdenziali e assistenziali tradizionalmente erogate dalla Previdenza obbligatoria verso forme di collaborazione “integrata” tra soggetti pubblici e privati, che lascia presagire un progressivo e preoccupante retrenchment dello Stato nella gestione della “cosa pubblica”.
The first part of the study analyzes the public and private components of the U.S. Social Security System, represented respectively by the Social Security and Medicare & Medicaid Programs, as well as the Employment-Based Benefit Plans and the Individual Saving Accounts. The analysis focuses particularly on the discipline provided by the federal law (namely ERISA) regulating the Pension Benefit Plans, the Health Care Plans and the Welfare Benefit Plans. The second part of the study describes the Italian Social Security System in its general features and the problems of sustainability currently affecting the Public Pension Pillar, as well as the role played by the so-called Occupational Schemes to cover the shortcomings of the former. The latter is comprised by complementary pensions schemes and supplementary health care schemes, bilateral bodies, contractual dampers and the so-called Welfare Aziendale. In conclusion, the study highlights the consequences of the gradual shift from the Public Pension Pillar to Occupational Voluntary Schemes in providing pension and health care treatments, which suggests a progressive and worrying retrenchment of the State from the management of public affairs.
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Meite, Youssouf. "Théorie générale du charisme et de la crise de succession en régime charismatique". Thesis, Lyon 3, 2012. http://www.theses.fr/2012LYO30076/document.

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L’objet de cette thèse porte sur le charisme et la crise de succession en régime charismatique. À l’aide d’éléments théoriques puisés chez Max Weber et ses successeurs, on tente de faire un bilan, une synthèse des recherches passées et celles en cours, et de proposer notre propre compréhension du pouvoir charismatique et la question de son utilité. En effet, bien que le concept de charisme soit largement utilisé et discuté par les théoriciens du pouvoir et du leadership, il demeure encore une énigme majeure des sciences sociales, politiques et juridiques. Ainsi, persuadé de sa pertinence comme principe de légitimation du pouvoir politique, on tente d’explorer plus en avant certains de ses aspects négligés ou insuffisamment élaborés, afin de proposer une vue d’ensemble sur la question. L’illustration de ses grandes figures historiques les plus marquantes comme Mussolini, Hitler, Khomeiny, de Gaulle, Mao, Houphouët, Nkrumah nous permet d’entrevoir ses vertus et ses vices, mettant également en avant les crises de succession en régime charismatique avec leurs différentes solutions
The purpose of this thesis deals with the charisma and the succession crisis in charismatic regime. With the help of theoretical elements drawn from Max Weber and his successors, we try to make an assessment, a summary of previous researches and those in progress, and propose our own understanding of charismatic power and the question of its usefulness. Indeed, although the concept of charisma is widely used and discussed by the theorists of power and leadership, it remains a major conundrum of social science, political and legal. So convinced of its relevance as a principle of legitimation of political power, we attempt to further explore some aspects neglected or insufficiently developed to provide an overview of the issue. The illustration of these great historical figures, the most significant, like Mussolini, Hitler, Khomeini, De Gaulle, Mao, Houphouët, and Nkrumah gives a glimpse of its virtues and its vices, thus highlighting the crises of succession in charismatic regime with their different solutions
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TAVERRITI, SARA BIANCA. "L'AUTOCONTROLLO PENALE. RESPONSABILITÀ PENALE E MODELLI DI AUTONORMAZIONE DEI DESTINATARI DEL PRECETTO". Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2019. http://hdl.handle.net/2434/619498.

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La ricerca prende l’abbrivio dalla constatazione della crescente importanza acquisita, nel panorama delle fonti penalistiche, dal fenomeno dell’autonormazione: prodotto del diritto penale post-moderno consistente nell’autoimposizione, da parte dei destinatari stessi della norma, di precetti comportamentali in chiave criminal-preventiva. Oltre al ruolo ambivalente del principio di legalità penale (effetto e causa, al contempo, del fenomeno qui preso in considerazione), l’interesse del penalista per l’approfondimento scientifico del fenomeno è sollecitato dal potenziale che quest’ultimo rivela come alternativa (sostitutiva o integrata) rispetto al diritto penale. Il primo capitolo è dedicato alla ricostruzione delle cause che hanno dato origine al fenomeno, all’uopo ripartite in due macro-categorie: (i) le cause di ordine generale, per l’enucleazione delle quali è stata condotta una ricerca che spazia nelle materie sociologiche, economiche e giusfilosofiche; (ii) le cause di natura giuridica, che sono state investigate considerando sia le manifestazioni comuni all’intero ordinamento giuridico, sia quelle specifiche della penalistica, in cui la crisi del principio della riserva di legge e il declino del diritto penale classico assumono un’importanza cruciale. Nel secondo capitolo, il focus dell’analisi si concentra sulla dimensione strutturale del paradigma autonormativo per come emerso nelle sue principali manifestazioni e nelle concettualizzazioni teoriche maturate soprattutto grazie all’approfondimento riservato al fenomeno della Self-Regulation dagli studiosi di area anglosassone. La paradigmatica dell’autonormazione viene scrutinata tanto nelle sue singole componenti costitutive statiche, quanto nei suoi moti dinamici come strategia regolatoria all’interno dell’ordinamento. La ricerca si sposta nel terzo capitolo dalla struttura alla funzione, con l’obiettivo di ricavare i criteri di politica-criminale strumentali all’impiego dell’autonormazione nel sistema penale. A tal fine, sono state esplorate le possibili relazioni interordinamentali di raccordo tra sistemi autonormativi e ordinamento statale, applicando una metodologia mutuata dall’impostazione di Santi Romano ma ambientata sul terreno del diritto penale e delle sue alternative. Nel quarto capitolo l’indagine si rivolge verso i più eminenti esempi di autonormazione manifestatisi nell’ordinamento italiano: i modelli organizzativi ex D. Lgs. 231 del 2001; i piani per la prevenzione della corruzione nella P.A.; le linee guida medico-chirurgiche per lo svolgimento delle attività sanitaria. Oltre a una disamina ricognitiva della disciplina di questi sub-sistemi normativi, i tre banchi di prova vengono scandagliati in chiave struttural-funzionalistica alla luce dei criteri di analisi illustrati nel secondo capitolo e ricavati nel terzo. Il capitolo 5 chiude il lavoro proiettando i risultati delle ricerche sul piano della teoria del reato, per verificare quale impatto abbia/possa avere l’autonormazione sulla dogmatica. Dopo aver passato in rassegna le possibili ricadute sulle diverse categorie penalistiche, la chiosa finale valorizza il potenziale del diritto riflessivo come candidato ideale per la concretizzazione della clausola di extrema ratio in materia penale. L’uso dell’autonormazione come strumento alternativo rispetto al diritto penale viene ritenuto, infatti, il profilo applicativo più promettente e degno di essere ulteriormente esplorato.
One of the crucial challenges of Criminal Law in the new millennium is to deal with the complexity of contemporary society. The traditional approach based on the State monopoly on criminal matters keeps abreast no longer with the scientific-technological sophistication and the rate of changes in criminal behavior in the era of globalization. In this scenario, we witness the rise of Self-Regulation as an auxiliary tool of crime prevention, whose main goal is to fill the vacuum and to compensate for the rapid obsolescence of state legislation. Compliance Programs, Anti-Bribery Plans, Clinical Guidelines are some of the elements of a diverse constellation of cases in which preventive measures, behavioral rules, surveillance, and sanctions are issued and enforced by a legislator who coincides with the recipient, and which is often a private actor. Nevertheless, the ambivalence of Self-Regulation lies in the fact that – in the face of some positive externalities promised – this paradigm could jeopardize some of the fundamental principles of Criminal Law. The aim of this work is to provide a critical analysis of such phenomenon in order to verify the compatibility of Self-Regulation with the Rule of Law and to assess its efficacy in deterring and detecting misconducts.
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VICHINKESKI, TEIXEIRA ANDERSON. "Globalismo pluriversalista:lo Stato-nazione nelle istanze sovranazionali di regolazionepolitico-giuridica". Doctoral thesis, 2009. http://hdl.handle.net/2158/567711.

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PETRIZZO, ALESSIO. "Parlamento e discorso della nazione nel lungo Quarantotto italiano". Doctoral thesis, 2009. http://hdl.handle.net/2158/558924.

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RAPA, SARA. "Hannah Arendt e il sionismo: un percorso filosofico-politico". Doctoral thesis, 2011. http://hdl.handle.net/11562/350738.

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Fino a pochi anni fa, gli scritti ebraici di Hannah Arendt sono stati in gran parte trascurati. Un vero peccato, dal momento che ciò ha portato ad una comprensione incompleta sia della sua teoria politica, per la quale ella è diventata famosa, sia della sua visione della storia ebraica moderna, per la quale è stata punita. Esiste infatti un’essenziale connessione tra la sua concezione della storia ebraica e la sua teoria politica: la sua visione della condizione ebraica moderna funge da introduzione alla sua teoria politica, mentre la sua teoria politica chiarisce la sua interpretazione della storia ebraica. Questo studio prende le mosse dalle posizioni di Arendt rispetto al problema ebraico e segue passo dopo passo il suo avvicinamento al sionismo. Racconta dei dieci anni di militanza (dal 1933 al 1943 – gli anni in cui Arendt aderisce al sionismo, pur non diventando sionista) e analizza i suoi moltissimi articoli sull’argomento per ricostruire la sua posizione critica rispetto a questo movimento (mettendo in evidenza speranze, delusioni, preoccupazioni e accuse). Arendt cerca – prima di tutto riflettendo filosoficamente – uno spazio politico comune a tutti gli uomini, nel quale possano coesistere il desiderio degli ebrei di emanciparsi e le aspirazioni di tutti i popoli all’autodeterminazione. A partire da questa convinzione, ella da un lato affronta il significato storico e politico dell'assimilazione e del sionismo – in un certo senso due facce dello stesso problema –, dall’altro non si stanca mai di chiedere ai sionisti di rinunciare al loro progetto di uno stato nazionale ebraico in Palestina, e continua a sostenere che essi dovrebbero optare per una soluzione diversa, una federazione e/o una confederazione – ovvero per una formula più ‘politica’, in termini arendtiani. Prendendo in esame le complesse vicende storiche e politiche del sionismo, questa ricerca intende analizzare la pregnanza politica di tale concetto, mettendone in luce – a partire dalle riflessioni arendtiane sul tema, nonché dalla sua esperienza personale e intellettuale di ebrea della diaspora – le contraddizioni e le incongruenze. Lo studio tiene assieme le tre fondamentali dimensioni di analisi – la storica, la politologica e la filosofica – per cercare di proporre una inedita mappatura del rapporto di Arendt col sionismo e, grazie ad essa, una originale rivisitazione del suo pensiero. La tesi non tenta di calcare un cappello interpretativo su una materia refrattaria: lascia invece parlare i testi, per restituire al pensiero arendtiano oscillazioni e sfaccettature. Il lavoro si colloca al crocevia tra la storia politica europea del XIX secolo, le catastrofi totalitarie del Novecento e la riflessione filosofica da esse scaturita.
Hannah Arendt’s Jewish Writings have been for the most part neglected and forgotten until recent years. This was most unfortunate, because it led to an incomplete understanding of both her political theory, for which she was world-famous, and her view on modern Jewish history, for which she was punished. In fact, there is an essential and strong connection between her conception of Jewish history and her political theory: her view of the modern Jewish condition serves as an introduction to her political theory, while her political theory clarifies her interpretation of Jewish history. This study starts from Arendt’s position on the Jewish problem and follows step by step her approach to Zionism. It tells of the ten years of her militancy (from 1933 to 1943 – the years during which Arendt joins Zionism, but doesn’t become a Zionist) and examines her many articles on the subject in order to reconstruct her critical position on this movement (pointing out hopes, disappointments, worries and accusations). Arendt searches – first of all in philosophical reflection – for political ground, common to every individual, where the desire of the Jews for emancipation and each nation’s aspiration for self-determination can co-exist. Starting from this conviction, on the one hand she deals with the historical and political meaning of assimilation and Zionism – in one sense two sides of the same coin –; on the other hand, she never tires of asking Zionists to give up their prospect of a Jewish nation-state in Palestine, and keeps claiming that they should opt for a federal/confederate solution – i.e. for a more ‘political’ settlement, in Arendtian terms. In examining the complex history and political events of Zionism, this research aims to analyse the significance of this concept, by pointing out – starting from Arendt’s own reflections on the subject, as well as from her personal and intellectual experience of being a Jewess of the diaspora – its contradictions and inconsistencies. The study keeps together the three dimensions of analysis (the historical, the philosophical and that relating to political studies) to try and offer a new mapping of Arendt’s difficulties with Zionism and, by means of it, an original presentation of her thought and its development. Instead of trying to force a multifaceted situation into one interpretation, the dissertation lets the texts speak to give all the oscillations and facets back to Arendt’s thought. Moreover, the study takes into account the important crossroads where European political history at the end of the nineteenth century meets the catastrophes of twentieth-century totalitarianism and deals with the ensuing philosophical reflections.
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SBARBATI, Claudia. "LE STRAGI E LO STATO. NARRAZIONI SU CARTA DELLO STRAGISMO ITALIANO:CRONACA, MEMORIA E STORIA". Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11393/251127.

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Oggetto del presente studio è la narrazione pubblica delle stragi degli anni Settanta, realizzata attraverso il filtro della carta stampata di ieri e di oggi. In particolare, le stragi delle quali è stato ricostruito il pubblico racconto sono quelle di Milano (12 dicembre 1969), di Brescia (28 maggio 1974) e di Bologna (2 agosto 1980). L’interesse di ricerca è nato dalla percezione di un vuoto storiografico rispetto all’“impressione di realtà” - quindi all’immaginario - che nel corso dei decenni quotidiani e periodici nazionali hanno edificato riguardo allo stragismo neofascista. In generale, l’eversione di destra – seppur oggetto di preziosi studi - è stata meno analizzata rispetto a quella di sinistra e quello che è divenuto il cosiddetto “caso Moro”, perché sovente stigmatizzata come subalterna allo Stato e quindi priva di una sua dimensione particolare. È esattamente in questo spazio che la ricerca s’inserisce, guardando alla storia d’Italia attraverso l’interpretazione dello stragismo offerta dall’informazione a stampa. La scelta della fonte giornalistica come fonte storica per analizzare le categorie interpretative e i quadri di riferimento messi a disposizione dell’opinione pubblica, ha richiesto di tenere in considerazione gli elementi distintivi del giornalismo italiano e i suoi rapporti con il contesto politico nazionale coevo alle stragi, con attenzione anche per i cambiamenti occorsi nel tempo nel mondo dell’informazione e nel panorama internazionale, definendo un arco temporale che dal 1969 giunge sino al 2017. Inoltre, gli scenari politici sovranazionali della Guerra Fredda sono costantemente richiamati in virtù dell’intima connessione fra eversione di destra, forze dell’ordine e servizi di sicurezza italiani da un lato, ed equilibri geopolitici internazionali dall’altro. Si è scelto di attingere a numerose testate nazionali per dare conto delle diverse linee editoriali, delle molteplici caratterizzazioni politiche delle stesse, dei differenti stili comunicativi e della pluralità di lettori cui ogni quotidiano o periodico è destinato. Fra gli archivi storici più attenzionati emergono quelli del “Corriere della Sera”, “La Stampa”,“la Repubblica”, “L’Unità”, “Il Giorno”, “La Notte”, “La Nazione”, “L’Avanti!”, “il Manifesto”, “Lotta Continua”, “Umanità Nova”, “Il Popolo”, “il Secolo d’Italia”, “Candido” e “il Borghese”. A ogni strage è stato dedicato uno specifico capitolo in cui sono introdotti i fatti e gli esiti giudiziari, analizzate le prime reazioni della stampa, ricostruiti gli anni dei processi e la ricezione delle sentenze, sino a riproporre l’eco pubblica delle opere che nel corso dei decenni sono intervenute sul tema. Gli articoli di cronaca e gli editoriali di approfondimento analizzati permettono di vagliare la riproposizione su carta delle versioni ufficiali delle forze dell’ordine, della magistratura e della politica; le memorie dei protagonisti degli eventi e l’analisi offerta dagli opinion makers che di volta in volta hanno raccontato le stragi dell’Italia repubblicana (giornalisti, storici, magistrati, scienziati sociali). L’ultimo capitolo è stato invece dedicato al problema della Memoria e dei suoi rapporti con la Storia, analizzando la produzione memorialistica degli ex terroristi, delle vittime di prima, seconda e terza generazione, sino al tema della riconciliazione e della pacificazione. Si è dunque ricostruito il dibattito sviluppatosi “a caldo” ed “ex post”, nella consapevolezza che l’informazione e la comunicazione pubblica della Storia sono fondamentali per la storicizzazione del passato traumatico della Nazione.
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PIROSA, ROSARIA. "Il governo della complessità nell'esperienza canadese: stato nazionale e multiculturalismo". Doctoral thesis, 2015. http://hdl.handle.net/2158/998618.

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La ricerca ha preso in considerazione l'esperienza canadese di governo della complessità articolatasi tra gli inizi degli anni '60 del secolo scorso e i giorni nostri, nel quadro della relazione tra la torsione anti-normativista dell'ordinamento canadese e l'istanza multiculturalista e nella cornice più ampia del rapporto tra l'approccio multiculturale e le prospettive di superamento dello stato nazionale. Il lavoro ha preso le mosse dalla necessità di superare la versione letterarizzata e a-tecnica dell'istanza multiculturalista, convergendo sul multiculturalismo come strumento di tutela dei diritti e di composizione dei conflitti e sul pluralismo religioso come fattore di denazionalizzazione della cittadinanza. Attraverso il case-study della vicenda della Secular Charter in Québec, l'Equal Religious Citizenship e la costituzionalizzazione dell'Accomodating Diversity si sono confermati come i dispositivi componenti lo stress-test dell'architettura multiculturalista. Eng. Vers. The research focuses on the Canadian system as a strategic observatory and on the constitutional entrenchment of the accomodating diversity as a a paradigmatic perspective in order to examine the relationship between the multiculturalism and the breaking of a majoritarian and stereotyped nation-building. Through the case-study of the Secular Charter in Québec, the research focuses on the multiculturalism and the religious pluralism as the main stress-test of a pluralistic state in the post-governamental era.
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DURANTI, Stefano. "Sistemi di rappresentanza tra Stato nazionale e Governo multilivello: un Senato federale per l’Italia". Doctoral thesis, 2010. http://hdl.handle.net/11573/916996.

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INNOCENTI, LORENZO. "Stato, mercato, geopolitica. Le privatizzazioni in Italia (1992-2002) in un'ottica di interesse nazionale". Doctoral thesis, 2022. http://hdl.handle.net/11573/1623311.

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Lo scritto che viene presentato si concentra sull’analisi delle privatizzazioni italiane degli anni Novanta (1992-2002), osservandone la traiettoria in un’ottica di «interesse nazionale». La domanda di partenza, infatti, è: nel momento in cui lo Stato andava perdendo il diretto controllo su settori anche strategici della propria industria, la classe dirigente allora al potere si pose il problema – di natura geopolitica o, più precisamente, «geoeconomica» – di una eventuale e conseguente minaccia per l’interesse nazionale? Da tale quesito, poi, ne sorgono inevitabilmente degli altri, legati. Se così fu, quali adattamenti vennero individuati per rimediare ai rischi potenziali derivanti da tale complessa dinamica? Esisteva allora un disegno complessivo di politica industriale che si intendeva perseguire a livello istituzionale, in maniera organica? Nella scelta definitiva di privatizzare largamente la grande industria pubblica italiana incisero in maniera determinante fattori di natura ideologica? Con la fine della Guerra Fredda, in una fase di radicale ridefinizione dei rapporti internazionali, il confronto geopolitico in atto si andava trasmettendo sempre più dalla sfera militare a quella economico-produttiva. Analizzando fonti primarie (Carte Prodi, Carte Delors, Carte Padoa-Schioppa, dall’Historical Archive of the European Union di Firenze) e secondarie (rapporti ministeriali, dibattiti parlamentari, sedute di commissione, giornali e riviste d’archivio), si scoprirà come il tema emerse in maniera estremamente significativa presso determinati ambienti politici e intellettuali italiani e condusse a scelte e adattamenti di grande rilievo (talvolta persino sorprendenti) per quanto sino ad oggi generalmente poco trattati in ambito storiografico.
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Zecca, Valentina. "La questione della ta'ifiyya nello Stato nazionale sirianostoricizzazione e ruolo dei legami comunitario-confessionali nel contesto politico". Thesis, 2014. http://hdl.handle.net/10955/809.

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EUSEPI, SARAH. "AIUTI DI STATO ED ORDINAMENTO TRIBUTARIO NAZIONALE. DIALETTICA ISTITUZIONALE E RIPARTIZIONE DELLA POTESTÀ IMPOSITIVA NELLA DINAMICA MULTILIVELLO: SPUNTI RICOSTRUTTIVI E TENDENZE EVOLUTIVE". Doctoral thesis, 2015. http://hdl.handle.net/11573/875609.

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SCOLARI, BALDASSARE. "State Martyr Representation and Performativity of Political Violence". Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11393/251176.

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L’indagine prende in esame l’uso e la funzione politica della figura del martire nello spazio pubblico contemporaneo. La ricerca, pur nel riferimento consapevole alla consolidata letteratura ormai classica sull'argomento, ha tra i propri riferimenti filosofici specificatamente la teoria del discorso di Michel Foucault, con la sua metodologia dell’analisi discorsiva, e segue un approccio transdiscipli¬nare fra scienze culturali e filosofia. Essa ha come punto di partenza, come caso di studio, la rappresentazione mediale del politico e statista democristiano Aldo Moro quale martire di stato durante e dopo il suo assassinio per opera delle Brigate Rosse nel 1978. La ricerca si sviluppa sulla scorta dell’ipotesi di una connessione fra procedure di legittimazione dell’autorità politica e delle strutture di potere e l’emergere della figura del martire di Stato. Le rappresentazioni martirologiche sono considerate pratiche discorsive performanti, attraverso le quali la morte di Moro viene ad assumere il significato di un martirio per lo Stato, la Repubblica Italiana e i valori democratici. L’ipotesi di lavoro è che, attraverso l’allocazione dello statuto di martire, la morte di Moro acquisisca il significato di un atto (volontario) di testimonianza della verità assoluta e trascendentale dei diritti umani, garantiti dalla costituzione (in particolare articolo 2 della Costituzione Italiana), così come della necessità dello Stato come garante di tali diritti. Attraverso questa significazione, la figura di Moro assurge inoltre a corpo simbolico dello Stato-nazione, legittimando lo stesso e fungendo da simbolo d’identificazione collettiva con la nazione. Si tratta qui di mettere in luce il rapporto intrinseco fra la figura del martire e una narrazione mitologica dello Stato, dove mito sta a indicare un «assolutismo del reale» (Absolutismus der Wirklichkeit). La ricerca vuole altresì mettere in luce la dimensione strumentale delle rappresentazioni martirologiche di Aldo Moro, le quali hanno mantenuto e tuttora mantengono un’efficacia performativa nonostante il chiaro ed evidente rifiuto, espresso da Moro stesso, di essere sacrificato «in nome di un astratto principio di legalità.» La ricerca si propone di dimostrare la valenza di tale ipotesi di lavoro attraverso l’analisi dell’apparizione e diffusione delle rappresentazioni martirologiche di Aldo Moro in forme mediali differenti nell’intervallo temporale di quattro decenni. Il corpus delle fonti preso in esame include: articoli di giornali e riviste, i documenti prodotti da Moro e della Brigate Rosse durante i 55 giorni di sequestro, trasmissioni televisive (documentari e reportage), opere letterarie e cinematografiche. La teoria discorsiva e l’analisi archeologico-genealogica sviluppate da Michel Foucault fungono da base teorico-metodologica del lavoro. Il taglio transdisciplinare dell’indagine rende necessaria la distinzione di due diversi piani di ricerca. In primo luogo, ci si pone come obiettivo di individuare e analizzare le diverse rappresentazioni come elementi di una formazione discorsiva il cui tema comune è la morte di Aldo Moro. Si tratta di operare una ricognizione, attraverso il lavoro empirico, dei modi di rappresentare l’uccisione di Aldo Moro e di individuare le regole che determinano ciò che può essere detto e mostrato a tale riguardo. In secondo luogo, a partire da qui, ci si propone di fare un’analisi critica dell’uso e della funzione del linguaggio e della simbologia di matrice religiosa all’interno della forma¬zione discorsiva presa in esame. L'obiettivo è di mettere così in luce non solo il dispositivo di legittimazione politica che presiede alla costruzione della figura del martire, ma anche la sua polivalenza.
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SAVINA, TONIO. "Il programma spaziale della Repubblica popolare cinese: narrazione nazionale e contro-narrazioni formulate all'estero". Doctoral thesis, 2022. http://hdl.handle.net/11573/1638188.

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Assimilando il concetto di 'narrazione' a quello di 'discours', nell'accezione di Michel Foucault, e integrando l’apparato di strumenti metodologici foucaultiani con un ulteriore bagaglio teorico di impronta costruttivista, il presente lavoro di tesi si propone di esaminare la narrazione nazionale che la Repubblica Popolare Cinese (RPC) ha formulato circa la propria epopea spaziale; di essa si proverà a ricostruire la genealogia, individuando personaggi, formule e processi che ne definiscono la morfologia di base. La sezione finale della tesi avvierà altresì un raffronto tra l'elaborato narrativo della Cina continentale e i contro-discorsi formulati a Taiwan e negli Stati Uniti. Dall'analisi qui condotta emergerà come la raffigurazione delle missioni astronautiche di Pechino costituisca spesso il riflesso di una variegata geografia narrativa, in cui immaginari, percezioni e sedimentazioni mitico-simboliche confluiscono nel racconto storico formulato dai diversi attori globali, dando forza ora all'una, ora all'altra posizione.
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GRILLO, Renato. "LA GIUSTIZIA SPORTIVA IN ITALIA E NEI PRINCIPALI STATI DELL'UNIONE EUROPEA:LA GIUSTIZIA DISCIPLINARE E I RAPPORTI TRA DIRITTO PENALE ORDINARIO E DIRITTO SPORTIVO NAZIONALE". Doctoral thesis, 2012. http://hdl.handle.net/10447/106197.

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GRILLO, Renato. "LA GIUSTIZIA SPORTIVA IN ITALIA E NEI PRINCIPALI STATI DELLA UNIONE EUROPEA: LA GIUSTIZIA DISCIPLINARE E I RAPPORTI TRA DIRITTO PENALE ORDINARIO E DIRITTO SPORTIVO NAZIONALE". Doctoral thesis, 2012. http://hdl.handle.net/10447/94712.

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BULGINI, Giulia. "Il progetto pedagogico della Rai: la televisione di Stato nei primi vent’anni. Il caso de ‹‹L’Approdo››". Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11393/251123.

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Non c’è dubbio sul fatto che la RAI, dal 1954 a oggi, abbia contribuito in misura considerevole a determinare la fisionomia dell’immaginario collettivo e dell’identità culturale dell’Italia. Si tratta di un assunto che, a distanza di più di sessant’anni, resta sempre di grande attualità, per chi si occupa della questione televisiva (e non solo). Ma a differenza di quanto avveniva nel passato, quando la tv appariva più preoccupata dei reali interessi dei cittadini, oggi essa sembra rispondere prevalentemente a dinamiche di mercato, in grado di alterarne la funzione etica e sociale. E nonostante il livello di istruzione e di benessere economico si siano evidentemente alzati, in questi ultimi anni si è assistito a programmi di sempre più bassa qualità e in controtendenza a un incremento del potere modellante e suggestivo sull’immaginario dei telespettatori. C’è di più: l’interesse verso la tv ha coinvolto anche gli storici dell’epoca contemporanea, i quali hanno iniziato a prendere coscienza che le produzioni audiovisive sono strumenti imprescindibili per la ricerca. Se si pensa ad esempio al ‹‹boom economico›› del Paese, negli anni Cinquanta e Sessanta, non si può non considerare che la tv, insieme agli altri media, abbia contributo a raccontare e allo stesso tempo ad accelerare i progressi economici e sociali di quell’epoca. Partendo, dunque, dal presupposto che la televisione da sempre esercita un potere decisivo sulla collettività, si è scelto di concentrarsi sulla fase meno indagata della sua storia, quella della televisione delle origini: ‹‹migliore›› perché senza competitor, ‹‹autentica›› perché incontestabile e soprattutto ‹‹pedagogica›› perché è di istruzione e di formazione che, quell’Italia appena uscita dalla guerra, aveva più urgenza. La storia della televisione italiana inizia il 3 gennaio 1954, con la nascita del servizio pubblico televisivo e insieme di un mezzo che, di lì a poco, avrebbe completamente rivoluzionato la società italiana, trasformandola in una civiltà di massa. Si accorciano le distanze territoriali e insieme culturali e la società inizia a omologarsi nei gusti, poi nei consumi e infine nel pensiero. Il punto d’arrivo si colloca negli anni Settanta, quando ha termine il monopolio della RAI, che fino a quel momento era stato visto come il garante del pluralismo culturale. La RAI passa dal controllo governativo a quello parlamentare, mentre si assiste al boom delle televisioni private e alla necessità della tv di Stato di stare al passo con la concorrenza, attraverso una produzione diversa da quella degli esordi. Dunque cambia la tv, come pure cambia la sua funzione e la forma mentis di chi ne detiene le redini. Ne risulta un’indagine trasversale, che passa nel mezzo di molteplici discipline che afferiscono alla materia televisiva e che non evita di porsi quelle domande scomode, necessarie tuttavia a comprendere la verità sugli artefici della prima RAI e sui loro obiettivi. E allora: qual era il valore attribuito alla televisione degli esordi? Era davvero uno strumento pedagogico? Sulla base di quali presupposti? Chi scriveva i palinsesti di quegli anni? Chi e perché sceglieva temi e format televisivi? Chi decideva, in ultima analisi, la forma da dare all’identità culturale nazionale attraverso questo nuovo apparecchio? Il metodo di ricerca si è articolato su tre distinte fasi di lavoro. In primis si è puntato a individuare e raccogliere bibliografia, sitografia, studi e materiale bibliografico reperibile a livello nazionale e internazionale sulla storia della televisione italiana e sulla sua programmazione nel primo ventennio. In particolare sono stati presi in esame i programmi scolastici ed educativi (Telescuola, Non è mai troppo tardi), la Tv dei Ragazzi e i programmi divulgativi culturali. Successivamente si è resa necessaria una definizione degli elementi per l’analisi dei programmi presi in esame, operazione resa possibile grazie alla consultazione del Catalogo multimediale della Rai. In questa seconda parte della ricerca si è voluto puntare i riflettori su ‹‹L’Approdo››, la storia, le peculiarità e gli obiettivi di quella che a ragione potrebbe essere definita una vera e propria impresa culturale, declinata in tutte le sue forme: radiofonica, di rivista cartacea e televisiva. In ultimo, sulla base dell’analisi dei materiali d’archivio, sono state realizzate interviste e ricerche all’interno dei palazzi della Rai per constatare la fondatezza e l’attendibilità dell’ipotesi relativa agli obiettivi educativi sottesi ai format televisivi presi in esame. Le conclusioni di questa ricerca hanno portato a sostenere che la tv delle origini, con tutti i suoi limiti, era uno strumento pedagogico e di coesione sociale. E se ciò appare come un aspetto ampiamente verificabile, oltreché evidente, qualora si voglia prendere in esame la televisione scolastica ed educativa di quegli anni, meno scontato risulta invece dimostrarlo se si decide – come si è fatto – di prendere in esame un programma divulgativo culturale come ‹‹L’Approdo››, che rientra nell’esperienza televisiva definita di ‹‹educazione permanente››. Ripercorrere la storia della trasmissione culturale più longeva della tv italiana degli esordi, per avvalorarne la funzione educativa, si è rivelata una strada interessante da battere, per quanto innegabilmente controversa, proprio per il principale intento insito nella trasmissione: diffondere la cultura ‹‹alta›› a milioni di telespettatori che erano praticamente digiuni della materia. Un obiettivo che alla fine della disamina si è rivelato centrato, grazie alla qualità della trasmissione, al suo autorevole e prestigioso groupe d'intellectuels, agli ascolti registrati dal ‹‹Servizio Opinioni›› e alla potenzialità divulgativa e penetrante della tv, nel suo saper trasmettere qualunque tematica, anche quelle artistiche e letterarie. Dunque se la prima conclusione di questo studio induce a considerare che la tv del primo ventennio era pedagogica, la seconda è che ‹‹L’Approdo›› tv di questa televisione fu un’espressione felice. ‹‹L’Approdo›› conserva ancora oggi un fascino innegabile, non foss’altro per la tenacia con la quale i letterati difesero l’idea stessa della cultura classica dal trionfo lento e inesorabile della società mediatica. Come pure appare ammirevole e lungimirante il tentativo, mai azzardato prima, di far incontrare la cultura con i nuovi media. Si potrebbe dire che ‹‹L’Approdo›› oggi rappresenti una rubrica del passato di inimmaginata modernità e, nel contempo, una memoria storica, lunga più di trent’anni, che proietta nel futuro la ricerca storica grazie al suo repertorio eccezionale di immagini e fatti che parlano di arte, di letteratura, di cultura, di editoria e di società e che raccontano il nostro Paese e la sua identità culturale, la stessa che la televisione da sempre contribuisce a riflettere e a delineare. Lo studio è partito da un’accurata analisi delle fonti, focalizzando l’attenzione, in primo luogo, sugli ‹‹Annuari della Rai›› (che contengono le Relazioni del Cda Rai, le Relazioni del Collegio Sindacale, i Bilanci dell’Esercizio e gli Estratti del Verbale dell’Assemblea Ordinaria). Altre fonti prese in esame sono gli stati gli opuscoli di ‹‹Servizio Opinioni››, le pubblicazioni relative a studi e ricerche in materia di televisione e pedagogia e le riviste edite dalla Rai Eri: ‹‹Radiocorriere tv››, ‹‹L’Approdo Letterario››, ‹‹Notizie Rai››, ‹‹La nostra RAI››, ‹‹Video››. Negli ultimi anni la Rai ha messo a disposizione del pubblico una cospicua varietà di video trasmessi dalle origini a oggi (www.techeaperte.it): si tratta del Catalogo Multimediale della Rai, che si è rivelato fondamentale al fine della realizzazione della presente ricerca. Altre sedi indispensabili per la realizzazione di questa ricerca si sono rivelate le due Biblioteche romane della Rai di Viale Mazzini e di via Teulada.
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RENGHINI, Cristina. "Il sistema di tutela brevettuale nell'Unione Europea: il Brevetto Europeo con effetto unitario e il Tribunale Unificato dei Brevetti". Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11393/251086.

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Dopo più di quarant’anni di tentativi tesi alla realizzazione di un titolo di protezione brevettuale “comunitario”, nel 2012 sono stati emanati due regolamenti, il n. 1257/2012 e il n. 1260/2012, attuativi di una cooperazione rafforzata tra ventisei Stati membri dell’Unione europea: essi creano un brevetto europeo con effetto unitario e ne disciplinano il regime di traduzione applicabile. L’anno successivo, venticinque Stati membri hanno firmato un accordo istitutivo del Tribunale unificato dei brevetti. I summenzionati strumenti normativi costituiscono il c.d. “pacchetto brevetti”, che entrerà in vigore una volta che almeno tredici Stati membri, tra cui Germania, Francia e Regno Unito, avranno ratificato l’Accordo. Rispetto al panorama attuale, caratterizzato da una frammentazione normativa e giurisdizionale, tale nuova architettura porterà indubbiamente notevoli vantaggi. Da un lato, infatti, i regolamenti europei introducono un “nuovo brevetto” che estende la sua efficacia oltre i confini nazionali; la portata della protezione e gli effetti saranno infatti uniformi in tutto il territorio degli Stati membri partecipanti. Dall’altro, il Tribunale unificato, competente a giudicare quasi tutte le controversie in materia brevettuale, si sostituirà ai giudici nazionali, garantendo l’uniformità della giurisdizione e delle decisioni. Tuttavia, il risultato ottenuto con il “pacchetto brevetti” non sembra essere adeguato agli obiettivi di unitarietà che le istituzioni europee e gli Stati membri si erano prefissati. Si tratta infatti di un quadro normativo complesso, che combina il diritto dell’Unione europea, il diritto internazionale (in particolare l’Accordo sul Tribunale unificato e la Convenzione sul brevetto europeo), e il diritto nazionale degli Stati membri, a cui gli atti citati rinviano in diverse occasioni, e che istituisce due strumenti, il brevetto europeo con effetto unitario e il Tribunale unificato dei brevetti, dalla natura assai controversa. Per tale ragione, la nuova normativa solleva molteplici questioni di natura costituzionale, in ordine alla compatibilità del nuovo sistema con l’ordinamento giuridico dell’Unione europea. Uno dei profili problematici di particolare interesse riguarda la cooperazione rafforzata in tema di tutela brevettuale unitaria, che sembra essere stata instaurata per eludere il dissenso di Italia e Spagna in relazione al regime linguistico applicabile. Inoltre, nei due regolamenti europei manca una vera e propria disciplina sostanziale, sollevando pertanto dei dubbi sull’effettiva “unitarietà” del nuovo brevetto. Infine, alcune caratteristiche del Tribunale unificato, quali la sua particolare struttura, il riparto interno delle competenze, il regime linguistico e la previsione di un periodo transitorio in cui è possibile ancora adire il giudice nazionale, si pongono in contrasto con il fine di unificazione giurisdizionale. A tali considerazioni si aggiunge che la decisione del Regno Unito di uscire dall’Unione europea potrebbe compromettere l’entrata in vigore del “pacchetto brevetti”. Obiettivo del presente lavoro è quello di analizzare in modo organico l’intera disciplina, nell’ottica di verificarne l’effettiva compatibilità con l’ordinamento dell’Unione europea. Solamente attraverso un approccio sistematico fondato sui principi e sugli strumenti dell’UE, si possono superare le attuali criticità che emergono dal “pacchetto brevetti”, nell’ottica di un effettivo miglioramento di tale nuova disciplina e del conseguente raggiungimento di una reale unitarietà nella tutela brevettuale.
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IAMMARINO, Debora. "Danno ambientale e responsabilità nella gestione dei rifiuti". Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11393/251115.

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La disciplina del danno ambientale è stata oggetto di diverse e numerose modifiche nel corso degli anni, sia a livello nazionale che europeo. Regolata in Italia, per la prima volta, dalla L. 349/1986 che, all’art. 18, prevedeva la risarcibilità del danno ambientale indipendentemente dalla violazione di altri diritti individuali come la proprietà privata o la salute. In ambito Europeo il primo intervento si è avuto con l’adozione della Direttiva 2004/35/CE sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale. La Direttiva è stata poi recepita in Italia con il D.Lgs. n. 152/2006, che nella Parte Sesta si occupa puntualmente di responsabilità per inquinamento ambientale. Tuttavia, le principali novità della normativa comunitaria con riferimento al regime di responsabilità per attività inquinanti nei confronti dei beni ambientali, non sono state immediatamente riprese in modo adeguato dalla normativa italiana, motivo per cui sono state emanate due procedure di infrazione nei confronti del Governo italiano che, per correre ai ripari, in un primo momento, ha approvato il D.l. 135/2009 introduttivo di nuovi criteri per il ripristino del danno ambientale e successivamente il legislatore è intervenuto con la Legge n. 97/2013 in materia di misure di risarcimento del danno e in materia di criteri di imputazione delle responsabilità. Tuttavia, l’assetto dei criteri di imputazione delle responsabilità è stato più volte oggetto degli interventi interpretativi della giurisprudenza che hanno delineato un quadro molto più rispondente alle istanze di origine comunitaria e ai principi del diritto europeo. All’interno di questo quadro più ampio si inserisce la questione della Gestione dei rifiuti, anch’essa oggetto di svariate modifiche normative volte sempre di più ad una tutela ambientale maggiore e prioritaria, attraverso metodi e tecniche in grado di ridurre la produzione dei rifiuti, l’introduzione del concetto di riduzione, prevenzione e recupero, riciclo e solo in ultimo lo smaltimento. Ruolo centrale assume in questo ambito l’attribuzione delle relative responsabilità in capo ai vari soggetti che si occupano della gestione dei rifiuti, pertanto nell’ultimo capitolo, si analizzeranno le diverse forme di responsabilità degli stessi e si darà conto dei principali interventi giurisprudenziali e della diverse interpretazioni dottrinali che hanno interessato la materia negli ultimi anni.
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FORMICONI, Cristina. "LÈD: Il Lavoro È un Diritto. Nuove soluzioni all’auto-orientamento al lavoro e per il recruiting online delle persone con disabilità". Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11393/251119.

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INTRODUZIONE: Il presente progetto di ricerca nasce all’interno di un Dottorato Eureka, sviluppato grazie al contributo della Regione Marche, dell’Università di Macerata e dell’azienda Jobmetoo by Jobdisabili srl, agenzia per il lavoro esclusivamente focalizzata sui lavoratori con disabilità o appartenenti alle categorie protette. Se trovare lavoro è già difficile per molti, per chi ha una disabilità diventa un percorso pieno di ostacoli. Nonostante, infatti, la legge 68/99 abbia una visione tra le più avanzate in Europa, l’Italia è stata ripresa dalla Corte Europea per non rispettare i propri doveri relativamente al collocamento mirato delle persone con disabilità. Tra chi ha una disabilità, la disoccupazione è fra il 50% e il 70% in Europa, con punte dell’80% in Italia. L’attuale strategia europea sulla disabilità 2010-2020 pone come obiettivi fondamentali la lotta alla discriminazione, le pari opportunità e l’inclusione attiva. Per la realizzazione di tali obiettivi assume un’importanza centrale l’orientamento permanente: esso si esercita in forme e modalità diverse a seconda dei bisogni, dei contesti e delle situazioni. La centralità di tutti gli interventi orientativi è il riconoscimento della capacità di autodeterminazione dell’essere umano, che va supportato nel trovare la massima possibilità di manifestarsi e realizzarsi. Ciò vale ancora di più per le persone con disabilità, in quanto risultano fondamentali tutte quelle azioni che consentono loro di raggiungere una consapevolezza delle proprie capacità/abilità accanto al riconoscimento delle caratteristiche della propria disabilità. L’orientamento assume così un valore permanente nella vita di ogni persona, garantendone lo sviluppo e il sostegno nei processi di scelta e di decisione con l’obiettivo di promuovere l’occupazione attiva, la crescita economica e l’inclusione sociale. Oggi giorno il frame work di riferimento concettuale nel campo della disabilità è l’International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF), il quale ha portato a un vero e proprio rovesciamento del termine disabilità dal negativo al positivo: non si parla più di impedimenti, disabilità, handicap, ma di funzioni, strutture e attività. In quest’ottica, la disabilità non appare più come mera conseguenza delle condizioni fisiche dell’individuo, ma scaturisce dalla relazione fra l’individuo e le condizioni del mondo esterno. In termini di progetto di vita la sfida della persona con disabilità è quella di poter essere messa nelle condizioni di sperimentarsi come attore della propria esistenza, con il diritto di poter decidere e, quindi, di agire di conseguenza in funzione del proprio benessere e della qualità della propria vita, un una logica di autodeterminazione. OBIETTIVO: Sulla base del background e delle teorie di riferimento analizzate e delle necessità aziendali è stata elaborata la seguente domanda di ricerca: è possibile aumentare la consapevolezza negli/nelle studenti/esse e laureati/e con disabilità che si approcciano al mondo del lavoro, rispetto alle proprie abilità, competenze, risorse, oltre che alle limitazioni imposte dalla propria disabilità? L’obiettivo è quello di sostenere i processi di auto-riflessione sulla propria identità e di valorizzare il ruolo attivo della persona stessa nella sua autodeterminazione, con la finalità ultima di aumentare e migliorare il match tra le persone con disabilità e le imprese. L’auto-riflessione permetterà di facilitare il successivo contatto dialogico con esperti di orientamento e costituirà una competenza che il soggetto porterà comunque come valore aggiunto nel mondo del lavoro. METODI E ATTIVITÀ: Il paradigma teorico-metodologico adottato è un approccio costruttivista: peculiarità di questo metodo è che ciascuna componente della ricerca può essere riconsiderata o modificata nel corso della sua conduzione o come conseguenza di cambiamenti introdotti in qualche altra componente e pertanto il processo è caratterizzato da circolarità; la metodologia e gli strumenti non sono dunque assoggettati alla ricerca ma sono al servizio degli obiettivi di questa. Il primo passo del progetto di ricerca è stato quello di ricostruzione dello stato dell’arte, raccogliendo dati, attraverso la ricerca bibliografica e sitografica su: l’orientamento, la normativa vigente in tema di disabilità, i dati di occupazione/disoccupazione delle persone con disabilità e gli strumenti di accompagnamento al lavoro. A fronte di dati mancanti sul territorio italiano relativi alla carriera e ai fabbisogni lavorativi degli/delle studenti/esse e laureati/e con disabilità, nella prima fase del progetto di ricerca è stata avviata una raccolta dati su scala nazionale, relativa al monitoraggio di carriera degli studenti/laureati con disabilità e all’individuazione dei bisogni connessi al mondo del lavoro. Per la raccolta dati è stato sviluppato un questionario ed è stata richiesta la collaborazione a tutte le Università italiane. Sulla base dei dati ricavati dal questionario, della letteratura e delle indagini esistenti sulle professioni, nella fase successiva della ricerca si è proceduto alla strutturazione di un percorso di auto-orientamento, volto ad aumentare la consapevolezza nelle persone con disabilità delle proprie abilità e risorse, accanto a quella dei propri limiti. In particolare, il punto di partenza per la costruzione del percorso è stata l’Indagine Istat- Isfol sulle professioni (2012) e la teoria delle Intelligenze Multiple di H. Gardner (1983). Si è arrivati così alla strutturazione del percorso di auto-orientamento, composto da una serie di questionari attraverso i quali il candidato è chiamato ad auto-valutare le proprie conoscenze, le competenze, le condizioni di lavoro che gli richiedono più o meno sforzo e le intelligenze che lo caratterizzano, aggiungendo a questi anche una parte più narrativa dove il soggetto è invitato a raccontare i propri punti di forza, debolezza e le proprie aspirazioni in ambito professionale. Per sperimentare il percorso di auto-orientamento creato, nell’ultima fase della ricerca è stato predisposto uno studio pilota per la raccolta di alcuni primi dati qualitativi con target differenti, studenti/esse universitari/e e insegnanti di scuola superiore impegnati nel tema del sostegno e dell’orientamento, e utilizzando diversi strumenti (autopresentazioni, test multidimensionale autostima, focus group). CONCLUSIONI: I dati ottenuti dallo studio pilota, seppur non generalizzabili, in quanto provenienti da un campione esiguo, hanno evidenziato come il percorso di auto-orientamento attivi una riflessione sulla visione di sé nei diversi contesti e un cambiamento, in positivo o in negativo, nell’autostima e nella valutazione di sé in diverse aree, ad esempio nell’area delle relazioni interpersonali, del vissuto corporeo, dell’emotività ecc. Tali dati ci hanno permesso soprattutto di evidenziare punti di forza e debolezza del percorso creato e di apportare modifiche per una maggiore comprensione e adattabilità del prodotto stesso. Il valore del percorso orientativo è connesso al ruolo attivo di auto-valutatore giocato dal candidato con disabilità, affiancando a questa prima fase di autovalutazione un successivo confronto dialogico con un esperto, tale da permettere un ancoraggio alla realtà esterna, al contesto in cui il soggetto si trova a vivere. In questo senso, l’orientamento assume il valore di un processo continuo e articolato, che ha come scopo principale quello di sostenere la consapevolezza di sé e delle proprie potenzialità, agendo all’interno dell’area dello sviluppo prossimale della persona verso la realizzazione della propria identità personale, sociale e professionale.
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ALESSANDRA, Campanari. "“IDENTITY ON THE MOVE” FOOD, SYMBOLISM AND AUTHENTICITY IN THE ITALIAN-AMERICAN MIGRATION PROCESS". Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11393/251264.

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Il mio lavoro di ricerca rappresenta un contributo allo studio dell'esperienza umana dello “spazio alimentare” come costruzione sociale che comprende sia i modelli del comportamento umano, e la loro relazione sensoriale con uno specifico luogo, sia l'imprenditoria etnica. Il nucleo di questo progetto di ricerca è rappresentato da un’indagine multi-generazionale del multiforme processo della migrazione italiana in America, laddove la cultura alimentare viene utilizzata come veicolo per esaminare come gli immigrati abbiano prima perso e poi negoziato una nuova identità in terra straniera. Lo scopo generale della tesi è quello di esaminare come il cibo rappresenti un collegamento nostalgico con la patria per la prima generazione, un compromesso culturale per la seconda e un modo per rinegoziare un'etnia ibrida per le generazioni successive. La lente del cibo è anche utilizzata per esplorare lo sviluppo dei ristoranti italiani durante il Proibizionismo e il loro ruolo nel processo di omogeneizzazione culinaria e di invenzione della tradizione nel mondo contemporaneo. Per spiegare come la cucina regionale in America sia diventata un simbolo collettivo di etnia e abbia potuto creare un'identità Italo-Americana nazionale distinta da quella italiana, ho adottato il modello creato da Werner Sollors e Kathleen Neils Cozen e sintetizzato con l'espressione di “invenzione dell'etnia”. Il capitolo di apertura esplora la migrazione su larga scala che ha colpito l'Italia e la storia economica italiana per oltre un secolo e prosegue con un’analisi storica sullo sviluppo dei prodotti alimentari nel tempo. La prima sezione evidenzia il significato culturale dell'alimento e il suo ruolo nella costruzione di un'identità nazionale oltre i confini italiani e prosegue con un’analisi sulla successiva variazione delle abitudini alimentari durante l'immigrazione di massa. Il capitolo conclude illustrando il quadro teorico utilizzato per teorizzare le diverse dimensioni dell'etnia. Partendo dall'ipotesi che l'identità sia un elemento socialmente costruito e in continua evoluzione, il secondo capitolo è dedicato all'analisi della natura mutevole del cibo, esplorata attraverso tre distinti ma spesso sovrapposti tipi di spazio: spazio della "memoria individuale"; spazio della "memoria collettiva"; spazio della "tradizione inventata". Lo spazio della “memoria individuale” esplora come i primi immigrati italiani tendevano a conservare le loro tradizioni regionali. Al contrario lo spazio della memoria collettiva osserva il conflitto ideologico emerso tra la prima e la seconda generazione di immigrati italiani, in risposta alle pressioni sociali del paese ospitante. L'analisi termina con la rappresentazione di generazioni successive impegnate a ricreare una cultura separata di cibo come simbolo dell'identità creolata. Il capitolo tre, il primo capitolo empirico della dissertazione, attraverso l'analisi della letteratura migrante mostra l'importanza del cibo italiano nella formazione dell'identità italo- americana. Questa letteratura ibrida esamina il ruolo degli alimenti nelle opere letterarie italo-americane di seconda, terza e della generazione contemporanea di scrittori. Il quarto capitolo completa la discussione seguendo la saga del cibo italiano dai primi ristoranti etnici a buon mercato, frutto della tradizione casalinga italiana, fino allo sviluppo di un riconoscibile stile di cucina italo-americano. A questo proposito, i ristoranti rappresentano una "narrazione" etnica significativa che riunisce aspetti economici, sociali e culturali della diaspora italiana in America e fa luce sull'invenzione del concetto di tradizione culinaria italiana dietro le cucine americane. La sezione termina con un'esplorazione del problema moderno relativo al fenomeno dell’Italian "Sounding" negli Stati Uniti, basato sulla creazione di immagini, colori e nomi di prodotti molto simili agli equivalenti italiani, ma senza collegamenti diretti con le tradizioni e la cultura italiana. Il capitolo finale fornisce una visione etnografica su ciò che significa essere italo-americani oggi e come i ristoranti italiani negli Stati Uniti soddisfano la tradizione culinaria Italiana nel mondo contemporaneo americano. Per concludere, considerando le teorie dell'invenzione della tradizione, due casi di studio esplorativi a Naples, in Florida, vengono presentati sia per analizzare come gli italo-americani contemporanei manifestano la loro etnia attraverso il cibo etnico sia per esaminare come il cibo italiano viene commercializzato nei ristoranti etnici degli Stati Uniti, alla luce della del processo di globalizzazione.
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MARANO, Jonathan Francesco. "CHINA’S NEW NORMAL: DEVELOPMENTAL MODEL REFORM AND IMPLICATIONS FOR FOREIGN BUSINESSES". Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11393/251083.

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L’elaborato affronta la tematica del New Normal in Cina, inteso come il programma di riforme che la Repubblica Popolare Cinese ha predisposto per accompagnare la nuova fase di transizione, che vede il sistema-Paese abbandonare il vecchio paradigma della “Fabbrica del Mondo”, alla ricerca di un nuovo modello di sviluppo. Tale modello passa attraverso la ricollocazione verso l’alto dell’economa nazionale nella catena del valore globale ed una maggiore attenzione nei confronti degli aspetti maggiormente qualitativi della crescita economica, nonché di una accresciuta integrazione nell’economia mondiale, grazie ad una promozione dello stato di diritto e di un ambiente economico maggiormente trasparente ed aperto nei confronti degli operatori internazionali. Nell’analisi delle politiche e delle riforme che accompagnano questo cambiamento, svolta attraverso l’analisi di settori considerati strategici e particolarmente significativi (ambiente, sanità e food safety), la premessa alla base del lavoro è che tale transizione non è semplicemente descrivibile come mera convergenza verso un modello ricalcante i sistemi politici ed economici delle economie avanzate occidentali. La riforma è bensì intesa come un processo incrementale, che all’adozione delle cosiddette best practices internazionali affianca un approccio pragmatico, che non recede la linea di continuità con il background storico, politico, istituzionale e culturale -spesso contraddittorio- di quella che è considerata essere la più antica civiltà ortogenetica del mondo. Il contributo chiave del presente lavoro è la problematizzazione, nei suoi vari aspetti, di questa congiuntura storica e del suo portato nei confronti delle strategie di medio e lungo termine degli operatori economici stranieri che decidono di operare in Cina, i quali da un lato possono godere di grandi opportunità di mercato liberate dalle riforme, dall’altro devono essere consapevoli delle sfide inevitabilmente poste dal cangiante contesto giuridico, economico ed istituzionale e delle sue traiettorie di sviluppo.
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PETRINI, Maria Celeste. "IL MARKETING INTERNAZIONALE DI UN ACCESSORIO-MODA IN MATERIALE PLASTICO ECO-COMPATIBILE: ASPETTI ECONOMICI E PROFILI GIURIDICI. UN PROGETTO PER LUCIANI LAB". Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11393/251084.

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Con l’espressione “marketing internazionale” ci si riferisce a quell’insieme di attività adottate dall’impresa al fine di sviluppare o perfezionare la propria presenza sul mercato estero. Oggetto della presente ricerca è l’analisi degli aspetti problematici che tali attività sollevano sul piano giuridico: attraverso un approccio basato sull’integrazione della cultura economica del marketing d’impresa con quella più propriamente giuridica, l’indagine mira ad individuare le fattispecie di marketing rilevanti sotto il profilo giuridico e giuspubblicistico, ad analizzarne i profili che risultano più critici per l’impresa e proporre soluzioni concrete. La ricerca è stata condotta in collaborazione all’azienda Gruppo Meccaniche Luciani, che oltre ad essere un affermato fornitore di stampi per calzature, progetta design innovativi attraverso una sua articolazione organizzativa creativa, denominata Luciani LAB. L’impresa investe molto nell’innovazione, ed in questo senso, particolarmente significativo è stato l’acquisto di una potente stampante 3D, tecnologicamente all’avanguardia, che ha consentito all’azienda di progettare diversi prodotti, tra cui una borsa, realizzarli in prototipazione rapida, e successivamente renderli oggetto di specifiche campagne promozionali, illustrate nel presente lavoro. Viene evidenziato come queste rispecchino la peculiarità dell’approccio al marketing da parte della piccola/media impresa, descritto dalla dottrina maggioritaria come intuitivo ed empirico, distante da quello teorico e strategico del marketing management. La collaborazione con l’impresa partner del progetto ha costituito il riferimento principale per l’elaborazione del metodo con cui condurre la ricerca: l’azienda ha promosso i propri prodotti mediante diverse strumenti di marketing, come inserti pubblicitari su riviste, campagne di e-mail marketing e fiere di settore. Queste attività si distinguono tra esse non solo rispetto alle funzioni, alle differenti modalità con cui vengono impiegate e al pubblico cui si rivolgono, ma anche e soprattutto rispetto alla disciplina giuridica di riferimento: ognuna di esse infatti è regolata da un determinato complesso di regole e solleva questioni che si inseriscono in una specifica cornice giuridica. Al fine di giungere ad una sistematica trattazione dei profili giuridici connessi, si è scelto di classificare le diverse azioni di marketing in tre gruppi: quelle riferite alla comunicazione, quelle inerenti l’aspetto del prodotto e quelle che si riferiscono al cliente Per ognuna di queste aree si individua una precisa questione critica per l’impresa, e se ne trattano i profili problematici dal punto di vista giuridico. In relazione al primo gruppo, ovvero la comunicazione pubblicitaria d’impresa, si evidenziano le criticità connesse alla possibilità di tutelare giuridicamente l’idea creativa alla base del messaggio pubblicitario: si mette in discussione l’efficacia degli strumenti giuridici invocabili a sua tutela, in particolare della disciplina del diritto d’autore, della concorrenza sleale e dell’autodisciplina. Si prende come riferimento principale il contesto italiano, considerando la pluralità degli interessi pubblici, collettivi ed individuali coinvolti. Il secondo profilo d’indagine riguarda la disciplina giuridica riconducibile all’e-mail marketing, uno degli strumenti più diffusi di comunicazione digitale. L’invasività di questo sistema nella sfera personale dei destinatari impone l’adozione di adeguati rimedi da parte delle imprese per evitare di incorrere nella violazione delle disposizioni a tutela della privacy. Si trattano le diverse implicazioni derivanti dall’uso di tale strumento, in particolare quelle riferite al trattamento dei dati personali alla luce della normativa vigente in Italia e nell’Unione Europea, e connesse alle modalità di raccolta degli indirizzi e-mail dei destinatari potenzialmente interessati. Infine, la costante partecipazione alle fiere di settore da parte dell’azienda dimostra quanto l’esteriorità del prodotto costituisca uno strumento di marketing decisivo per la competitività aziendale, dunque grande è l’interesse dell’impresa a che il suo aspetto esteriore venga protetto dall’imitazione dei concorrenti. Il tema giuridico più significativo che lega il processo di marketing al prodotto dell’azienda è proprio la protezione legale del suo aspetto, ovvero la tutela del diritto esclusivo di utilizzarlo, e vietarne l’uso a terzi. L’aspetto di un prodotto può essere oggetto di protezione sulla base di diverse discipline che concorrono tra loro, sia a livello nazionale che sovranazionale, dei disegni e modelli, del marchio di forma, del diritto d’autore e della concorrenza sleale. Si è scelto di concentrare il lavoro, in particolare, sulla prima: si ricostruisce il quadro normativo e l’assetto degli interessi implicati dalla fattispecie, per arrivare ad evidenziare le principali criticità nell’interpretazione delle norme, sia a livello nazionale, che nell’Unione Europea. Si approfondiscono gli orientamenti di dottrina e giurisprudenza di alcune disposizioni chiave per l’applicazione della disciplina, quali gli artt. 6 e 7 del Regolamento CE, n. 6/2002, concernenti rispettivamente il «carattere individuale» e la «divulgazione», i due requisiti fondamentali per ottenere la registrazione e conseguente protezione giuridica del disegno. Tali nozioni sono soggette ad interpretazioni parzialmente difformi da parte dei giudici dei diversi Stati membri, e ciò contribuisce a minare l’applicazione omogenea della disciplina in tutto il territorio UE. In questo senso, viene messo in evidenza il ruolo chiave dell’orientamento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nell’interpretazione di tali concetti, avente l’effetto di uniformare l’approccio degli Stati. La Direttiva 98/71/CE ha introdotto la possibilità di cumulare la protezione conferita all’aspetto del prodotto dalla disciplina dei disegni e modelli con quella riconosciuta dalle altre normative. Tale previsione solleva questioni di rilievo sistematico e concorrenziale: ci si interroga su quali problemi di tipo sistematico e di concorrenza vengano sollevati dal riconoscimento su uno stesso prodotto della protezione sia come disegno che come marchio di forma, e sia come disegno che come opera dell’ingegno. In particolare nell’ambito del diritto dei marchi d’impresa e del diritto d’autore, le tutele hanno durata potenzialmente perpetua, diversamente dalla registrazione come disegno o modello, che garantisce la titolarità del diritto di utilizzare il proprio disegno in via esclusiva per un periodo limitato di massimo 25 anni. Questa differenza temporale rende il cumulo problematico sia a livello di coordinamento, che di concorrenza, poiché incentiva il sorgere di “monopoli creativi” sulle forme del prodotto. Il presente lavoro ha come obiettivo l’ampliamento della conoscenza sul tema del marketing con particolare riferimento ai profili giuridici che si pongono, con riguardo alla promozione del prodotto nell’ambito dell’Unione Europea. Si ritiene che il valore aggiunto e l’aspetto più originale della ricerca consista nella sua forte aderenza alla realtà della piccola/media impresa: tramite l’integrazione della ricerca giuridica e dello studio dei fenomeni di marketing si delineano i problemi pratici che questa si trova a dover affrontare nell’implementazione delle attività quotidiane di marketing. Tale indagine vuole essere utile a tutte le piccole/medie imprese che si trovano impreparate nell’affrontare le sfide poste dal marketing e nel conoscere le implicazioni giuridiche che da questo derivano.
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