Literatura académica sobre el tema "Riforma del secolo XI"

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Artículos de revistas sobre el tema "Riforma del secolo XI"

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Condorelli, Orazio. "Prima del 1054: centri e periferie, universitalitá e particolaritá nel diritto della chiesa al tempo di San Simeone di Siracusa Treviri (1035)". Revista Española de Derecho Canónico 77, n.º 188 (1 de enero de 2020): 105–51. http://dx.doi.org/10.36576/summa.130955.

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Resumen
San Simeone fu un monaco bizantino di origine siciliana che concluse la propria vita a Treviri, dove la sua memoria è venerata dall’anno della sua morte (1035). La storia della sua vita mostra l’intensità dei processi di comunicazione tra la Chiesa latina e la Chiesa bizantina agli inizi del secolo XI, ed è presa come il punto di inizio di uno studio sulla configurazione del sistema giuridico della Chiesa latina tra la fine del primo Millennio e i primi decenni del secondo. La ricerca concentra quindi l’attenzione sull’esperienza istituzionale della «Chiesa imperiale», articolata intorno ai due poli dell’impero e del papato. L’ideale ecclesiologico e politico di collaborazione fra potere civile e potere ecclesiastico trovò esplicazione nelle iniziative di riforma ecclesiastica promosse da imperatori come Enrico II ed Enrico III e sostenute da alcuni fra i migliori Pontefici della prima metà del secolo XI. Alcune collezioni canoniche della prima metà del secolo XI si impegnarono nello sforzo di selezionare e coordinare le fonti del diritto canonico al fine di assecondare i propositi di riforma della vita ecclesiale.
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Kay, Richard y Giuseppe Fornasari. "Medioevo riformato del secolo XI: Pier Damiani e Gregorio VII". American Historical Review 103, n.º 2 (abril de 1998): 495. http://dx.doi.org/10.2307/2649796.

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Pennington, Kenneth. "Medioevo riformato del secolo XI: Pier Damiani e Gregorio VII.Giuseppe Fornasari". Speculum 74, n.º 1 (enero de 1999): 164–65. http://dx.doi.org/10.2307/2887299.

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Henriet, Patrick. "Giuseppe Fornasari, Medioevo Riformato del Secolo XI. Pier Damiani e Gregorio VII, Naples, Liguori, 1996, 643 p." Annales. Histoire, Sciences Sociales 53, n.º 6 (diciembre de 1998): 1293–94. http://dx.doi.org/10.1017/s0395264900045029.

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Mojzeš, Marcel. "Tre approcci alla riforma liturgica nella Chiesa greco-cattolica ucraina nel XXˆ secolo: C. Korolevskij, A. Šeptytskyj, P. Galadza". E-Theologos. Theological revue of Greek Catholic Theological Faculty 1, n.º 2 (1 de noviembre de 2010): 205–22. http://dx.doi.org/10.2478/v10154-010-0018-2.

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Tre approcci alla riforma liturgica nella Chiesa greco-cattolica ucraina nel XXˆ secolo: C. Korolevskij, A. Šeptytskyj, P. Galadza Questo articolo analizza i tre approcci alla riforma liturgica nella Chiesa greco-cattolica ucraina nel XXˆ secolo: quello di C. Korolevskij, di A. Šeptytskyj e quello di P. Galadza. Il primo ed il secondo approccio, realizzato dalle edizioni romane della recensione rutena dei libri liturgici slavi, si limitava soltanto al rito ruteno. Il motivo principale di questa riforma era rimuovere la latinizzazione per avvicinarsi meglio alle Chiese ortodosse, e per aiutare così l'unione delle Chiese dissidenti alla Chiesa di Roma. Questo approccio si basava sulla visione ecumenica pre-conciliare, prima del Vaticano IIˆ. Invece P. Galadza invita a rivallorizzare il problema della latinizzazione alla luce di un cambiamento del paradigma nell'ecclesiologia. Dall'altra parte il suo approccio alla riforma liturgica si allarga a tutto il rito bizantino. Per Galadza il processo della riforma liturgica è simile a quello del restauro di un'icona. Similmente, come l'icona non si restaura soltanto per ritrovare l'armonia dell'immagine restaurata, ma per poter riconoscere meglio il prototipo di cui l'icona è l'immagine, così anche lo scopo della riforma liturgica è di ritrovare le forme più adatte per rivelare la realtà cristiana che è la salvezza in Gesù Cristo.
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Connell, William J. "I presupposti politici del "secolo dei genovesi": La riforma del 1528. Arturo Pacini". Journal of Modern History 64, n.º 4 (diciembre de 1992): 821–22. http://dx.doi.org/10.1086/244585.

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Merusi, Fabio. "Il coordinamento della pianificazione sul territorio nell’ordinamento italiano". Revista Andaluza de Administración Pública, n.º 63 (30 de septiembre de 2006): 47–53. http://dx.doi.org/10.46735/raap.n63.397.

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SUMARIO: 1. LA PROGRAMMAZIONE GERARCHICA DEL 1942. I PIANI TERRITORIALI DI COORDINAMENTO. NON FURONO MAI REALIZZATI, TRANNE CHE IN QUALCHE ZONA INDUSTRIALE. 2. LE PROGRAMMAZIONI REGIONALI. 3. LA RIFORMA DEGLI ANNI ‘90 DEL SECOLO SCORSO. NUOVE AUTONOMIE AI COMUNI. IL PIANO TERRITORIALE DI COORDINAMENTO DEI PIANI COMUNALI VIENE AFFIDATO ALLA PROVINCIA. 4. RIFORMA DEL TITOLO V DELLA COSTITUZIONE NEL 2001: TUTTI GLI ENTI TERRITORIALI, STATO, REGIONI, CITTÀ METROPOLITANE, PROVINCE E COMUNI SONO SULLO STESSO PIANO, DI CONSEGUENZA TUTTI DEBBONO PARTECIPARE AL PROCEDIMENTO DI ELABORAZIONE DEI PIANI. COORDINAMENTO NEI PROCEDIMENTI DI PIANIFICAZIONE DI TUTTE LE PIANIFICAZIONI SETTORIALI CHE INTERESSANO IL TERRITORIO. LA NUOVA COMPETENZA LEGISLATIVA ATTRIBUITA ALLE REGIONI SUL GOVERNO DEL TERRITORIO DETERMINA LA POSSIBILITÀ DI DISCIPLINE DIVERSE IN OGNI SINGOLA REGIONE ANCHE SULLE PIANIFICAZIONI DI AREA VASTA ATTRIBUITE ALLE PROVINCE. 5. CONCLUSIONI RIASSUNTIVE SULLA DISCIPLINA ATTUALE DELLA PIANIFICAZIONE DI AREA VASTA.
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Saresella, Daniela. "Agli esordi del cattolicesimo politico in Italia: il dibattito su Democrazia cristiana e murrismo". MONDO CONTEMPORANEO, n.º 2 (febrero de 2022): 125–55. http://dx.doi.org/10.3280/mon2021-002004.

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Resumen
Dopo lo scioglimento della Democrazia cristiana negli anni Novanta del secolo scorso, il tema del «partito cattolico» è stato poco affrontato, anche perché non più di attualità politica. Il saggio si pone l'obiettivo di ripercorrere gli studi sulle origini del cattolicesimo politico in Italia e intende sottolineare l'importanza dell'esperienza della prima democrazia cristiana, e in particolar modo delle figure di Romolo Murri e di Luigi Sturzo. Attraverso l'interpretazione degli storici che per un secolo hanno riflettuto sul tema, si dipana un percorso che mette in evidenza i differenti profili culturali e politici nella DC, i rapporti tra questa e il Partito popolare, e temi quale la libertà di coscienza, la laicità della politica, la convergenza programmatica tra culture differenti (cattolici e socialisti) e l'unità politica dei cattolici. Sempre presente è la questione della riforma della Chiesa, proprio negli anni in cui la "crisi modernista" scuoteva le coscienze di molti fedeli.
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Corazza, Luisa. "Il "nuovo" caporalato e il mercato del lavoro degli immigrati". AGRICOLTURA ISTITUZIONI MERCATI, n.º 2 (octubre de 2011): 71–81. http://dx.doi.org/10.3280/aim2011-002005.

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Il caporalato è un fenomeno da tempo noto al mercato del lavoro italiano, che conosce queste forme di utilizzazione indiretta dell'attività lavorativa da più di mezzo secolo. Dati recenti segnalano, tuttavia, nuove manifestazioni di questo fenomeno in connessione con l'aumento dell'offerta di lavoro della manodopera immigrata. L'articolo analizza questa "nuova" forma di caporalato e si struttura in tre parti. Nella prima, vengono analizzate le caratteristiche principali del nuovo caporalato, in connessione con le caratteristiche del mercato del lavoro degli immigrati. Nella seconda si procede all'analisi delle tecniche di tutela volte alla repressione e prevenzione del fenomeno. Nella terza, si procede all'analisi delle proposte in campo finalizzate ad una riforma e ad una efficace prevenzione del fenomeno.
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Arslan, Ermanno A. "Problemi ponderali di V secolo : verso la riforma del Nummus. Il deposito di Cafarnao". Revue numismatique 6, n.º 159 (2003): 27–39. http://dx.doi.org/10.3406/numi.2003.2502.

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Tesis sobre el tema "Riforma del secolo XI"

1

Mazzocchi, Eleonora. "Territori della Riforma : pittura a Roma nella prima metà del XII secolo". Doctoral thesis, Scuola Normale Superiore, 2006. http://hdl.handle.net/11384/85761.

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From the introduction: Il cuore della tesi [...] è il tentativo di offrire una rilettura della cosiddetta seconda età della Riforma Gregoriana, attraverso il riesame di alcune testimonianze pittoriche meno indagate. Fra queste si collocano in primo piano le pitture del sacella della basilica dei Ss. Bonifacio ed Alessio [...]. Partendo da un'analisi storica della città di Roma nel XII secolo, attraversata dai continui conflitti tra il Papato e l'Impero approdati ad una prima soluzione con il Concordato di Worms del 1122, ho indagato, alla luce dei nuovi contributi storici, il ruolo dei monasteri, evidenziandone le particolarità rispetto alle altre città italiane e la presenza attiva nella vita politica e culturale [...]. A ciò ha fatto seguito una'analisi della basilica di San Benedetto in Piscinula, con una ricostruzione della sua storia attraverso la documentazione rintracciata in archivi romani, per giungere al cuore del discorso, le pitture del ciclo testamentario [...].
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Lufta, Iva <1991&gt. "L’industria alimentare italiana di fronte al nuovo consumatore: la risposta alle esigenze del XI secolo". Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2016. http://hdl.handle.net/10579/7660.

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Resumen
Scopo del presente lavoro vuole essere cogliere se il comportamento dell’industria alimentare italiana, a livello di trasformazione del prodotto, scelta del packaging e comunicazione, sia adeguato alle esigenze del consumatore odierno. Si è studiato infatti innanzitutto le tendenze dell’acquirente italiano in ambito alimentare dal secondo dopo guerra ad oggi, con l’emergere di alcune specifiche necessità che egli manifesta alle imprese che operano in ambito food (ad esempio inerenti la sicurezza alimentare o l’appartenenza territoriale). Si sono approfonditi inoltre quelli che sono emersi come i principali fattori di cambiamento degli ultimi decenni, anche sulla base delle considerazioni teoriche proposte in merito ai significati attribuiti dall’uomo al consumo di cibo secondo diverse interpretazioni.
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IMPERIA, Vincenzo Roberto. "I vescovati nella Sicilia normanno-sveva (XI-XIII secolo). Potestà normative e competenze giurisdizionali in un territorio multiculturale". Doctoral thesis, Università degli Studi di Palermo, 2021. http://hdl.handle.net/10447/513910.

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Resumen
La tesi ha ad oggetto i vescovati di Sicilia nell’età normanna. La ricerca è condotta – oltre che con l’ausilio degli importantissimi risultati storiografici frutto degli studi ormai acquisiti al patrimonio conoscitivo – a partire da una rilettura delle fonti documentarie conservatesi, costituite essenzialmente da atti della Cancelleria comitale e regia, nonché da atti di matrice privatistica, la maggior parte dei quali provenienti dagli Archivi Diocesani. All’indagine su tale tipologia di fonti si accompagna, parallelamente, un’analisi dei dati offerti dalle fonti cronachistiche, utili alla ricostruzione di uno spaccato storico dell’età considerata quanto più completo e affidabile. Il quadro dei distretti diocesani (in particolare l’arcivescovato di Palermo, con le diocesi suffraganee di Agrigento, Mazara, Malta; e l’arcivescovato di Monreale, con le diocesi suffraganee di Catania e Siracusa) viene analizzato assumendo come centrali le potestà normative e le competenze giurisdizionali in capo ai titolari della carica episcopale. La peculiarità dell’insediamento normanno è caratterizzata dalla progressiva costruzione di un rinnovato apparato politico-istituzionale, ed il corrispondente ordinamento giuridico, in cui gli enti ecclesiastici assumono un ruolo cardine. Avvertita sin dai contemporanei come “riconquista” di un territorio caduto in mano agli “infedeli musulmani”, la penetrazione normanna si accompagnò, sin dal principio, alla ricostituzione delle gerarchie ecclesiastiche cristiane gravemente ridimensionate sotto il dominio arabo, o in molti casi quasi del tutto scomparse. Il principale artefice della conquista siciliana – Ruggero I – si fece personalmente promotore della reviviscenza dell’appassita struttura ecclesiastica, fondando diocesi o rifondandole, avendo cura di farle coincidere ai centri territoriali cruciali dal punto di vista politico e militare. Ciò fa sì che il ruolo dei vescovi appaia importante in un duplice senso. In primo luogo, per quanto riguarda i rapporti più strettamente concernenti l’alta gerarchia ecclesiastica e le autorità di vertice, sia in campo ecclesiastico (il Papato), che civile (il Conte di Sicilia, poi Re a partire dal 1130). In secondo luogo, il ruolo dei vescovi appare di assoluto rilievo anche per quanto concerne il tessuto sociale ed economico della diocesi di propria pertinenza. In un ambiente etnicamente eterogeneo come quello siciliano nei secoli del Basso Medioevo, si assiste alla convivenza in un medesimo ambito territoriale di greci, arabi, ebrei e latini. Questa diversità di lingue, usi sociali e confessioni religiose si riverberava sul complesso dei più diversi istituti giuridici, necessari per la regolamentazione delle svariate situazioni relazionali tra i soggetti coinvolti. I vescovati – dal punto di vista della struttura istituzionale dell’intero Regno, e della Sicilia in particolare – costituirono unità amministrative basilari, non solo per quanto concerne l’ordinamento ecclesiastico ma, in senso più ampio, anche con riguardo alla configurazione stessa dell’ordinamento secolare. I vescovi, dal canto loro, si trovarono a svolgere un ruolo – secondo modalità differenti a seconda dei tempi, ed in linea con i tratti delle personalità proprie di ciascuno di essi – che oltrepassava spesso gli officia connessi alla loro carica. Come pastori delle popolazioni loro affidate, ciascuno per la propria diocesi, li si trova occupati nelle consuete attività loro demandate. Come uomini di governo, li si trova spesso alla corte dei sovrani, coinvolti in delicate vicende di primo piano per la gestione del governo del Regno, nel suo proiettarsi all’esterno, verso realtà statuali od istituzionali; oppure, all’interno, per la gestione di eventi dalla valenza amministrativa e politica di rilevante – o di vitale – importanza per l’assetto dello stesso.
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Crisafulli, Cristina. "Economia monetaria in Italia alla vigilia del IV secolo d.C. Il ruolo dell'antoniniano e dei suoi omologhi gallici alla luce delle fonti numismatiche e storico-letterarie". Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2008. http://hdl.handle.net/11577/3425130.

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The starting point of this work has been a recording of the finds of coins dated between 238 and 275 A.D. and found in the territories of the ancient Italy and of the roman provinces of Sicily and of Sardinia et Corsica. So we have considered not only all the coin hoards closing in this period and those ones later that have a large percentage of coins of this period, but also the stray finds. For best classifying the coins it was necessary update the most important catalogue today in use (The Roman Imperial Coinage, V) tanks to the most recent bibliography, i.e. for example the works about the hoards of Cunetio and of La Venera. The data recorded have been used for trying to define the development of the monetary system and the mint organisation in this age and for analysing the dynamics of the coin circulation in Italy in this period so critical for the Roman Empire, not only for what concerning the political aspects, but also for the monetary situation. In that way we have tried to understand the role of the most characteristic and important coin of this period: the antoninianus.
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Camuffo, Paola. "Gli edifici di culto médievali nella del Golo : Analisi archeologica sull'evoluzione delle tecniche murarie in pietra tra XI e XVI secolo". Corte, 2012. http://www.theses.fr/2012CORT0019.

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Manco, Antonio. "Produzione scritta e predicazione orale: forme della comunicazione per la riforma ecclesiastica del secolo XI". Doctoral thesis, 2020. http://hdl.handle.net/2158/1191289.

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Il punto di partenza del presente lavoro è quello di interrogare le fonti in maniera differente e sviluppare una nuova tematica che in maniera latente viene citata e considerata in tanta parte degli studi di settore, ma che non ha mai trovato piena autonomia e coerenza all’interno della produzione storiografica. Una delle metafore preferite dagli storici è quella del “far parlare le fonti” cioè saperle leggere e interpretare, spremerle per carpirne i segreti. Prendere alla lettera questo assunto è semplicemente la ratio di questa tesi. Interrogare le fonti, focalizzando l’attenzione sulla parola viva che esse esprimono e, soprattutto, lasciarle parlare prima di interpretarne il pensiero e le intenzioni. Non si tratta di un nuovo approccio storiografico, bensì di sviluppare un’idea già presente nella storiografia medievistica ma applicata in ambiti che in maniera più naturale sono predisposti a questo tipo di approccio metodologico. Il primo capitolo di questa tesi, infatti, dal punto di vista cronologico rappresenta una sorta di excursus in piena regola. Avulso dal contesto della riforma e dallo scontro tra Papato e Impero, sposta il baricentro della trattazione non sul periodo storico preso in esame (il tardo Medioevo), ma sulla contestualizzazione dell’intuizione alla base della genesi del lavoro: la comunicazione orale attraverso l’opera dei predicatori. Il motivo per cui la storiografia del secolo XI menzioni spesso l’esistenza di predicatori itineranti e di idee diffuse in maniera capillare grazie a essi sta nel fatto che effettivamente fu un secolo di eccezionale mobilità, non solo sociale, politica ed economica, ma anche spaziale. Un secolo in cui, nonostante i limiti nelle comunicazioni e negli spostamenti, vediamo eremiti, come Romualdo di Ravenna (951-1027), muoversi incessantemente spinti dalla ricerca della solitudine, essendo, allo stesso tempo, incessanti propagatori di rinnovate istanze spirituali attraverso le nuove fondazioni sia cenobitiche sia eremitiche. Un altro esempio è rappresentato, soprattutto dopo il pontificato di Leone IX (1049-1054) “il papa itinerante”, dalla grande attività ispirata al principio di Chiesa universale della Sede romana, che proprio in questo secolo cerca di imporre attraverso non soltanto gli scambi epistolari tra i pontefici e tutti i personaggi più eminenti in seno alla Cristianità, ma anche con la presenza fisica dei legati pontifici inviati per sottolineare la presenza del papa e di Roma nelle vicende di tutto l’orbe cristiano, dalla semplice dedicazione di chiese in Germania e in Francia alla risoluzione di dispute come quelle che avevano coinvolto l’abbazia di Cluny e il vescovo maconense. Uno dei legati di più sicura fedeltà e le cui abilità risultarono indiscutibili fu Pier Damiani (1007-1072). L’eremita fondatore di Fonte Avellana e cardinale vescovo di Ostia che più di ogni altro ha avuto la lungimiranza di capire l’efficacia della comunicazione scritta, ma soprattutto l’importanza della conservazione e della divulgazione delle sue opere. Grazie alla sua incessante attività come predicatore, come legato e teologo, risulta l’autore più prolifico della sua epoca. La sua opera offre uno spaccato della società, delle lotte istituzionali, delle dispute e dei rapporti impersonali nell’ambito della riforma ecclesiastica. Per questa ragione i capitoli II, III e IV sono interamente dedicati all’Avellanita. L’impostazione di questi, pur presentando un protagonista assoluto, non vuole tendere allo studio monografico e, men che meno, biografico del personaggio. Pier Damiani rappresenta una sorta di guida che, attraverso la propria esperienza a tutto tondo e le testimonianze dirette giunte fino a noi, conduce lo studio della comunicazione su livelli eterogenei. Il capitolo II, infatti, presta maggiore attenzione allo studio della produzione scritta operata dal discepolo, Giovanni da Lodi, e sulle ragioni della trasposizione di fonti puramente orali, come i sermoni, in forma scritta, oltre che sui motivi della larga diffusione degli stessi. Mentre in quello successivo viene effettuato un ulteriore passo all’interno dell’aspetto comunicativo, stavolta non nella sua trasposizione su pergamena, ma su ciò che di oralità da quelle pergamene si può rintracciare, indagando anche le sfumature retoriche presenti a seconda che la reale predica si fosse svolta davanti a un pubblico di laici o di ecclesiastici. Il problema del pubblico e della comunicazione viene evidenziato anche nel capitolo IV dove, attraverso l’analisi della missione gallica del 1063 (opera di un discepolo e senza la supervisione del maestro) in qualità di legato apostolico, si scopre un Pier Damiani più spontaneo nell’affrontare le difficoltà e gli imprevisti. Ma allo stesso tempo risaltano i diversi approcci comunicativi operati dallo stesso in base ai suoi interlocutori e alla posizione che egli stesso percepisce di avere di fronte a pubblici differenti. Un pubblico molto particolare con cui si interfaccia il Damiani è quello della città di Milano, il populus, elemento composito e quanto mai eterogeneo, è sobillato dalle due fazioni in lotta: da una parte i fautori della Pataria, dall’altra i chierici ambrosiani, gelosi delle proprie tradizioni secolari e pronti a difenderle con l’aiuto dei ceti aristocratici anche contro la volontà di Roma e del suo sempre più consapevole primato. I predicatori patarini parlano sovente all’indirizzo del laicato per smuovere le coscienze e, quando necessario, le armi contro i propri avversari. Ma la forza delle parole non è talvolta sufficiente a ottenere gli scopi preposti. È per questo motivo che il secondo caso di studio sulle masse, che introduce il capitolo finale, vede protagonisti i cittadini di Firenze, fomentati contro il vescovo Pietro Mezzabarba (1062-1068) dai seguaci di Giovanni Gualberto (995-1073), il fondatore di Vallombrosa, e dall’appoggio dell’arcidiacono Ildebrando (futuro papa Gregorio VII dal 1073 al 1085). Il simbolismo della croce si affaccia prepotentemente sulla scena con la prova del fuoco di Settimo (1068) e si inserisce in un filone che percorre tutto il secolo XI come naturale preludio alla croce per eccellenza, quella posta sulle spalle dei crociati in partenza per la Terra Santa. Attraverso uno studio antologico di casi esemplari riferiti ai protagonisti dei capitoli precedenti viene evidenziato il nesso tra comunicazione e staurologia come motore di dinamiche diverse che vanno dalla spiritualità dell’interpretazione damianea alla più concreta insegna del vexillum concesso dal pontefice Alessandro II (1061-1063) ad alcuni grandi condottieri negli anni Sessanta del secolo. Ogni capitolo si inserisce in un sistema a incastro con quello precedente teso a favorire la continuità tematica e la lettura dell’opera nella sua complessiva coerenza. Il volume è concepito in maniera lineare attraverso sfumature sul tema principale della comunicazione orale declinato nelle sue varie sfaccettature e prendendo in considerazione i molteplici aspetti che ne influenzano le scelte di metodo: il pubblico, il contesto, l’abilità degli oratori, le finalità della produzione scrittoria pervenutaci. L’attenzione si concentra sugli anni Sessanta del secolo con alcuni slittamenti cronologici nel decennio precedente e in quello successivo. Il margine per ulteriori approfondimenti sul tema e nuove declinazioni del linguaggio orale della riforma si può sicuramente ampliare in studi futuri. La sperimentazione del presente lavoro ha dimostrato come, mutatis mutandis, alcuni approcci utilizzati dagli studiosi per la predicazione dei secoli finali del medioevo siano attuabili, purché adattati alle differenti tipologie di fonti da analizzare e ai contesti storici e sociali che il secolo XI presenta. In conclusione, si potrebbe dire che quest’indagine ha mirato a interrogare la parte più viva della riforma, e come tale più difficile da interpretare e da imbrigliare entro paradigmi prestabiliti, al fine di rileggerne in filigrana la sua profondità all’interno della mentalità del secolo XI e ai nuovi inizi che questo convulso periodo storico porterà in eredità alle generazioni successive.
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LONGO, UMBERTO. "Pier Damiani e l’agiografia. Scrittura, spiritualità, riforma". Doctoral thesis, 2000. http://hdl.handle.net/11573/424515.

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BERNARDINELLO, STEFANO. "I capitanei e la città. Rapporti sociali e azione politica dell'aristocrazia a Milano nelle sperimentazioni del potere urbano (metà XI secolo - 1185)". Doctoral thesis, 2019. http://hdl.handle.net/2158/1154246.

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L’obiettivo della tesi è quello di analizzare i cambiamenti politico-istituzionali e socio-economici che caratterizzarono la città di Milano dopo la dissoluzione della giurisdizione pubblica in Lombardia. Dal punto di vista politico lo scopo è stato quello di non fermarsi a un’analisi dei cambiamenti avvenuti in una singola istituzione ma approfondire le interazioni tra i vari soggetti attivi nella politica cittadina, sia quelli che agirono attraverso una magistratura sia quelli rimasti su un piano informale. L’attenzione si è focalizzata sulla complessa e composita rete di relazioni che legava le strutture politiche capaci di esprimere una qualche forma di autorità. Si sono cercate, quindi, le motivazioni dei cambi di regimi che si susseguirono tra l’XI e il XII secolo e che sono stati, fino a pochi decenni fa, inquadrati nella classica evoluzione da un sistema di stampo pubblico a una realtà comunale dominata dai consoli e dall’assemblea generale, passando per l’intermezzo del dominio del vescovo. Si è cercato inoltre di analizzare se questi cambiamenti politici abbiano avuto delle ripercussioni sul piano sociale cittadino. In questo ambito si è deciso di focalizzare l’analisi sul gruppo maggiormente interessato dal dibattito accademico: i capitanei. La ragione di questa scelta è la maggiore evidenzia di questo gruppo nella complessa cittadinanza milanese, in cui spesso è difficile distinguere le varie componenti sociali. Inoltre, le conseguenze dei cambiamenti politici sono più facilmente riscontrabili nei capitanei rispetto ad altri raggruppamenti perché i suoi membri riuscirono a rimanere ai vertici della comunità cittadina per un lungo periodo. L’obiettivo è stato quello di cercare le differenze tra le varie casate capitaneali e, qual ora vi fossero, individuare quali siano stati i motivi di tali divergenze e se fossero da ricollegare alle dinamiche del conflitto politico e ai cambiamenti nel panorama governativo urbano. Per questo motivo si è deciso di seguire, per tutte e quattro le famiglie analizzate, una precisa struttura che valuti prima di tutto gli atteggiamenti politici tenuti dalla stirpe e poi consideri le conseguenze delle posizioni politiche sia sul lato economico, analizzando l’evoluzione delle proprietà e delle giurisdizioni nelle campagne o il favore verso attività legate al sistema produttivo urbano quali credito e commercio, sia su quello sociale, cercando di ricostruire la rete di legami delle famiglie. L’obiettivo è stato quello di creare alcuni profili specifici che possano evidenziare le differenze tra le casate capitaneali. Gli estremi cronologici di questa ricerca racchiudono tutto il periodo che viene spesso oggi definito “laboratorio politico comunale”. Il 1056 segnò la conclusione della configurazione politica carolingia che aveva caratterizzato la città fin dal IX secolo. La morte di Enrico III fu l’inizio di uno dei periodi più convulsi nei rapporti politici interni alla città. Invece, la concessione delle prerogative sul proprio territorio del 1187 fu, insieme alla pace di Costanza del 1185, il segno più evidente del consolidamento delle istituzioni milanesi; infatti la configurazione affermatasi dopo lo scontro con il Barbarossa costituì il centro della vita politica milanese almeno fino alla metà del XIII secolo. Lo studio è diviso in due parti: la prima ha un carattere più politico-istituzionale, ripercorrendo i mutamenti avvenuti nello spazio politico milanese tra la metà del XI secolo e l’arrivo del Barbarossa, mentre la seconda parte si incentra sulla ricostruzione della struttura familiare di alcune casate di capitanei. L’inizio si data alla genesi dell’autogoverno cittadino (metà XI secolo – 1111), un’epoca caratterizzata da uno spazio politico informale e molto fluido nel quale prevalse un regime incentrato sulla struttura arcivescovile, a sua volta indebolito da un nuovo periodo di forte conflittualità che caratterizzò la città agli inizi del XII secolo. Inoltre, si sono analizzati i primi effetti sui capitanei della localizzazione dell’autorità politica e giurisdizionale a seguito della disgregazione del potere pubblico nel milanese. Dopo il 1056 i veri protagonisti dello spazio politico cittadino furono prima le coniurationes e, dopo l’inizio dello scontro tra Impero e Papato, le partes. Solo dagli anni Settanta si può constatare una prima formalizzazione degli assetti cittadini. Questa configurazione fu la base del primo vero regime di cui possiamo analizzare la struttura: il regime arcivescovile della pars ecclesiae. Tuttavia, la pluralità del sistema e le tensioni interne tra le coalizioni d’interesse resero fragile la sua amministrazione. L’ascesa di un presule “debole” favorì i mutamenti negli assetti di potere, spostando il baricentro del regime dalla figura dell’arcivescovo a una serie di soggetti dominati da una determinata coalizione d’interesse. La fase successiva arriva fino all’arrivo del Barbarossa in Italia (1111-1154). In questo caso si può rilevare una tendenza di fondo verso una sostanziale istituzionalizzazione dei regimi cittadini. Ai vertici del sistema l’autorità arcivescovile venne affiancata da un’altra serie di realtà capaci di permeare durevolmente l’amministrazione milanese. Una nuova fase di conflitti interni tra fine anni Venti e inizio anni Trenta, portò all’affermazione di una configurazione fondata su due vertici istituzionali, l’arcivescovato e il consolato. Inoltre, si è ritenuto fondamentale allargare lo spazio di analisi a un quadro sovralocale utile a comprendere i riassestamenti della struttura politica urbana. Quindi, il regime di metà XII secolo si presenta come ormai istituzionalizzato; l’aumento, a inizio anni Cinquanta, della presenza dei capitanei nelle liste consolari testimonia il rafforzarsi della posizione della magistratura nella gerarchia politica cittadina; dall’altra parte le due strutture (consolato e arcivescovato) non furono in concorrenza ma collaborarono per governare il sistema cittadino, la civitas. Lo spazio politico, però, non si racchiuse nelle due istituzioni di vertice ma rimase il frutto delle interazioni di più soggetti, in particolare nelle decisioni considerate di rilevanza per l’intera cittadinanza. Le guerre contro il Barbarossa testimoniano gli effetti della localizzazione dell’autorità e dei caratteri sempre più urbani del sistema cittadino. Infatti, si attesta una forte divisione tra capitanei urbani e rurali. I primi difesero strenuamente le prerogative della città, mentre i secondi utilizzarono le disgrazie milanesi durante la guerra contro l’imperatore per sciogliere il gioco cittadino sui loro territori e rendersi indipendenti dalle strutture cittadine, che avevano dominato i comitati nel territorio milanese fin dai primi anni del XII secolo. Le guerre contro il Barbarossa enfatizzarono le divisioni tra il sistema cittadino e la realtà rurale mostrando come lo scarto tra le due aristocrazie fosse più profondo dell’appartenenza a un medesimo gruppo sociale. I capitanei cittadini ne uscirono vincitori per il proprio appoggio alla civitas: la loro centralità nella lotta contro il Barbarossa li favorì negli anni successivi al trionfo milanese. I capitanei rurali, invece, non solo dovettero abbandonare ogni sogno di autonomia ma subirono il rafforzamento del controllo milanese sull’intera regione. Per quanto riguarda gli aspetti sociali si è iniziato con lo studio della famiglia da Rho, una casata di capitanei urbani ancora poca studiata ma centrale nelle vicende milanesi dell’XI e del XII secolo. In particolare, si sono analizzati gli effetti della posizione politica dei membri della famiglia. Si sono così enfatizzate le chiare differenze rispetto a quel modello feudale che, fino ad oggi, ha delineato le casate capitaneali milanesi; la stirpe ebbe dei profondi legami con la comunità cittadina non solo dal punto di vista politico ma anche economico, rilevando una centralità del mercato urbano nella costruzione del patrimonio familiare. Questa attenzione al sistema cittadino è stata influenzata dai legami con le varie autorità che si alternarono nello spazio politico milanese: infatti, i de Raude riuscirono a rimanere al centro della realtà cittadina grazie alle loro posizioni in seno all’amministrazione urbana. L’appoggio a tutta una serie di coalizioni di successo (turba connexionis Nazarii, Coniuratio, pars Lotharii) permise alla famiglia di rimanere ai vertici del sistema politico dalla fine del XI secolo fino alle guerre contro il Barbarossa. La posizione di primato nella dialettica politica urbana spiegherebbe le caratteristiche univocabilmente urbane della stirpe Un'altra ricostruzione si è incentrata su una famiglia ben più famosa dei da Rho, le cui origini, però, non sono ancora del tutto chiare: i Visconti. L’obiettivo è stato quello di presentare gli effetti di una posizione politica differente. La stirpe, tra le più fedeli al ruolo tradizionale della vassallità vescovile, fece parte di tutta una serie di coalizioni e partes risultate perdenti nella lotta politica milanese tra la metà dell’XI e la metà del XII secolo. L’atteggiamento politico riunì una casata divisa in due stirpi distinte: l’una, i “Visconti minori” assimilabile al paradigma dei de Raude per i loro riferimenti socio-economici strettamente legati al mondo urbano, mentre l’altra, i “Visconti maggiori” presenta un percorso che è una via di mezzo tra la città e il territorio, con gli eredi di Ariprando II con caratteristiche più urbane e gli eredi di Ottone I sempre più interessati alla realtà rurale. Infine, sono stati presi in esame due casi di famiglie rimaste escluse o, comunque, che ebbero un ruolo minore nello spazio politico cittadino. Entrambe le casate avrebbero risposto in modo non adeguato, o almeno non paragonabile alla fortuna delle due stirpi precedenti, alle trasformazioni politiche e all’accentramento del dominio in ambito urbano. I da Baggio per l’eccessiva vicinanza dei propri centri economici alla città in piena espansione, i da Castiglione per la loro distanza dai centri di potere, sia geografica che identitaria. Se il profilo dei da Castiglione rappresenta l’emblema della stirpe di capitanei rurali allontanati dalla comunità urbana dopo la metà dell’XI secolo, più singolare è il caso dei da Baggio che, nello stesso tempo, rappresentavano la casata di capitanei più potente a Milano. Una sciagurata serie di scelte nei conflitti cittadini li portò, in poco più di mezzo secolo, a indebolire il proprio prestigio urbano, così che già alla metà del XII secolo la loro potenza era ormai solo un ricordo. Sul piano politico-istituzionale la realtà milanese tra l’XI e il XII secolo fu caratterizzata da un susseguirsi di regimi di natura urbana. Si ebbe una tendenza di fondo verso una progressiva formalizzazione del sistema che, però, non ebbe un andamento lineare ma fu caratterizzata da una serie di “salti di qualità” nelle capacità di alcuni gruppi di potere di agire nello spazio politico. Questi momenti usualmente coincisero con l’affermazione di un nuovo regime o di nuovi assetti costituzionali. Inoltre, le caratteristiche principali del sistema politico milanese furono tre: la prima è l’alto grado di sperimentazione negli assetti di potere per cui solo verso la metà del XII secolo si affermò una configurazione basata su due istituzioni (consolato e arcivescovato) dopo una lunga fase di instabilità. La seconda è il continuo condizionamento della componente imperiale, che rimase un punto di riferimento, molto spesso ideale, delle élite cittadine. La terza è la pluralità dello spazio politico; non solo come pluralità di soggetti attivi nelle dinamiche cittadine - anche nei regimi più istituzionali - ma anche di interazione tra spazi politici. Infatti, per ricostruire la storia politica milanese si deve considerare che i suoi attori furono inseriti in un intreccio di vari quadri di riferimento (città, diocesi, regione, Regnum Italiae). Si è infine considerata l’importanza nei cambiamenti di regime delle lotte politiche tra schieramenti che caratterizzarono la città per tutto il nostro secolo, mostrando la relazione strettissima tra il peso delle coalizioni e il cambiamento degli assetti di potere. Sul piano sociale l’eterogeneità dei profili evidenzia le differenti possibilità aperte dai cambiamenti nella società milanese. La disgregazione del sistema pubblico non avrebbe indebolito il ruolo economico della città, come avvenne nella Toscana settentrionale, poiché la ricchezza di Milano non era legata ai funzionari del Regno. Le possibilità concesse dal rimanere in città furono sfruttate da alcune casate per potenziare la propria posizione nelle gerarchie di potere, legando così i propri destini ai cambiamenti politici ed economici urbani. La varietà di risposte alla disgregazione del dominio pubblico creò una realtà socio-economica complessa, accomunata da una cultura e da un honor familiare affine; le diverse risposte alle dinamiche politiche crearono profili diversi anche nei vertici sociali dell’aristocrazia non più quindi ascrivibili in toto a un modello feudale.
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Libros sobre el tema "Riforma del secolo XI"

1

Miccoli, Giovanni. Chiesa Gregoriana: Ricerche sulla riforma del secolo XI. Roma: Herder, 1999.

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2

Longo, Umberto. Come angeli in terra: Pier Damiani, la santità e la riforma del secolo XI. Roma: Viella, 2012.

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3

Fornasari, Giuseppe. Medioevo riformato del secolo XI: Pier Damiani e Gregorio VII. Napoli: Liguori, 1996.

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4

Salerno, Andrea. Movimenti di riforma nell'Impero ottomano del XIX secolo. [Florence]: Porto Seguro editore, 2020.

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5

Riforma della Chiesa, esperienze monastiche e poteri locali: La Badia di Cava nei secoli XI-XII : atti del convegno internazionale di studi : Badia di Cava, 15-17 settembre 2011. Firenze: SISMEL, Edizioni del Galluzzo, 2014.

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6

Istituto storico italiano per il Medio Evo, ed. Le carte bolognesi del secolo XI. Roma: Istituto storico italiano per il Medio Evo, 2001.

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7

Pacini, Arturo. I presupposti politici del "secolo dei genovesi": La riforma del 1528. Genova: Società ligure di storia patria, 1990.

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8

Roberto, Gamberini, ed. Metrum Leonis: Poesia e potere all'inizio del secolo XI. Tavarnuzze (Firenze): SISMEL edizioni del Galluzzo, 2002., 2002.

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9

Rinascimento cristiano: Innovazioni e riforma religiosa nell'Italia del quindicesimo e sedicesimo secolo. Roma: Edizioni di Storia e Letteratura, 2017.

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10

S, Romano y Enckell Julie, eds. Roma e la riforma gregoriana: Tradizioni e innovazioni artistiche, XI-XII secolo. Roma: Viella, 2007.

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Capítulos de libros sobre el tema "Riforma del secolo XI"

1

Funari, Fernando. "I «vocabula puerilia» nelle versioni francesi di «Purg.» XI". En L'illustre volgare, 49–66. Firenze: Società Editrice Fiorentina, 2022. http://dx.doi.org/10.35948/dilef/978-88-6032-685-0.04.

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Resumen
Nel quadro di una «politique du traduire», invocata da Typhaine Samoyault come forma di regolazione del rapporto tra justesse (esattezza) e justice (equità), il saggio prenderà in esame la traduzione dei «vocabula puerilia» pappo e dindi nelle traduzioni francesi del Purgatorio dantesco. Le differenti strategie traduttive, oggetto di uno studio sistematico delle versioni francesi della Commedia del XIX, XX e XXI secolo, sono in questo senso analizzate come espressioni di una «migration croisée», caratterizzata dal dialogo di ogni traduzione con le traduzioni che la precedono.
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2

Gramigni, Tommaso. "Un catalogo delle iscrizioni medievali del territorio Fiorentino. Esempi di scrittura epigrafica nell’area di Firenze tra XI e XIII secolo". En Bibliologia, 393–409. Turnhout: Brepols Publishers, 2013. http://dx.doi.org/10.1484/m.bib.1.101492.

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3

Stella, Francesco. "Nuovi testi di poesia biblica fra XI e XII secolo: un secondo «Liber Regum» dello pseudo-Ildeberto. Testo del prologo e dei vv. 1–214". En Publications of the Journal of Medieval Latin, II:410–435. Turnhout: Brepols Publishers, 2002. http://dx.doi.org/10.1484/m.pjml-eb.3.2861.

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4

Coen, Paolo. "La riforma del 1749, una linea di crinale nel rapporto fra Museo, tutela e mercato dell’arte nella Roma del diciottesimo secolo". En Nuove scenografie del collezionismo europeo tra Seicento e Ottocento, 211–30. De Gruyter, 2022. http://dx.doi.org/10.1515/9783110795370-013.

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