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Literatura académica sobre el tema "Riduzione fenomenologica"
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Artículos de revistas sobre el tema "Riduzione fenomenologica"
Cristin, Renato. "Verità e libertà come fundamenti del circolo fenomenologico". Investigaciones Fenomenológicas, n.º 4-I (15 de enero de 2014): 93. http://dx.doi.org/10.5944/rif.4-i.2013.29740.
Texto completoGozzetti, Giovanni. "Dalla superficie alla profonditŕ. Un equivoco epistemologico circa fenomenologia e psicoanalisi". GRUPPI, n.º 3 (mayo de 2010): 11–18. http://dx.doi.org/10.3280/gru2009-003002.
Texto completoGilbert, Paul. "SCIENZA, FENOMENOLOGIA E RIDUZIONE". Sapere Aude 7, n.º 13 (21 de junio de 2016): 301. http://dx.doi.org/10.5752/p.2177-6342.2016v7n13p301.
Texto completoReali, Nicola. "Ridurre il dono alla donazione: Il metodo fenomenologico e la teologia secondo Jean-Luc Marion". Revista Pistis Praxis 8, n.º 2 (13 de septiembre de 2016): 385. http://dx.doi.org/10.7213/revistapistispraxis.08.002.ds06.
Texto completoDe Nardis, Paolo. "Dall'etica dell'impresa alla responsabilitŕ sociale: il percorso di una ideologia". RIVISTA TRIMESTRALE DI SCIENZA DELL'AMMINISTRAZIONE, n.º 1 (abril de 2011): 85–104. http://dx.doi.org/10.3280/sa2011-001007.
Texto completoTesis sobre el tema "Riduzione fenomenologica"
Altobrando, Andrea. "Il problema dell'infinito nell'orizzonte fenomenologico husserliano". Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2012. http://hdl.handle.net/11577/3422914.
Texto completoScopo del presente lavoro è la chiarificazione del significato di 'infinito' all’interno di una prospettiva fenomenologica, in particolare nel quadro della teoria della conoscenza e della percezione di Husserl. Nel primo capitolo descrivo sommariamente i tratti fondamentali della fenomenologia husserliana della conoscenza. Dopo di che approfondisco le questioni concernenti la riduzione al 'reellen Bestand', il quale nelle "Ricerche logiche" è considerato il terreno di verificazione delle intenzioni. Quindi propongo un’interpretazione dell’intuizione categoriale come diretta alle leggi seguite da un’'Auffassung' nell'organizzazione dei dati sensoriali relativi a un oggetto. Nel secondo capitolo espongo brevemente la fenomenologia della percezione di Husserl e mostro in che modo la percezione si possa considerare un’esperienza intenzionale. Dopo di che mi concentro sulla costituzione dello spazio e della cosa (Ding). Mostro in che senso le strutture di entrambe le costituzioni dipendono dalle sensazioni e dalle cinestesi che un soggetto esperisce. Nel terzo capitolo giungo infine ad affrontare il problema dell’infinito. Mi confronto dapprima con alcune recenti interpretazioni della teoria della percezione di Husserl secondo le quali l’infinito è in qualche modo connesso con - e persino intuito attraverso - la percezione di cosa (Dingwahrnehmung). Sostengo che la percezione di cosa non può essere considerata un accesso all’infinito, vale a dire che nessuna percezione di cosa è percezione di qualcosa in quanto infinito. Sulla base di alcuni manoscritti di Husserl e attraverso un confronto con l’Analitica del sublime di Kant, giungo a sostenere che l’infinito può essere intuito a livello sensibile nei sensi di illimitato e di informe. Quindi mostro che l’intuizione categoriale è necessaria al fine di costituire il significato dell’infinito matematico, vale a dire un intero senza fine di parti discrete. Infatti, l’idea di una tale “entità” dipende dalla capacità di cogliere la legge di una produzione seriale. Nelle conclusioni rilevo che l’infinito matematico è l’unico tipo di infinito che non può trovare un correlato sensibile. Questo dipende dal fatto che esso è un significato composto da due prescrizioni contraddittorie tra loro: 'raggiungi l’illimitato' e 'vai avanti senza fine'. Conseguentemente affermo che l’idea di infinito è fondata sull’esperienza sensibile e che non necessita di alcuna origine sovrannaturale.
Togni, Alice. "Fenomenologia e psicologia in Husserl : la « riduzione psicologica »". Thesis, Sorbonne université, 2018. http://www.theses.fr/2018SORUL194.
Texto completoAmong the many questions raised by Husserl's phenomenology, one concerns in particular the complex relationship with psychology. In this regard, the concept of psychological reduction can offer a key to successful understanding of this complexity by clarifying the connection between the different levels phenomenological analysis consists of. It is in this perspective that we need to look at Husserl's philosophical project as a whole in order to retrace his steps from beginning to end : the first chapter is therefore focused on Husserl's connection with Brentano and Stumpf, his masters, as well as with his confrontation with Lipps, Dilthey and Natorp, his privileged dialogue partners in the framework of early twentieth-century psychology. Then, it must be shown that Husserl develops his own phenomenology as genuine fulfillment of the idea of philosophy and, correlatively, as truly foundational science compared to all the other sciences, including psychology. Husserl's project of a “phenomenological” psychology, to which the second chapter is devoted, arises exactly in this context. Phenomenological psychology as pure intentional psychology has the twofold task of reforming traditional psychology and playing the role both of mediator and facilitator for ensuring a phenomenological inquiry properly performed in transcendental terms. This is a matter of method that the third chapter intends to resolve by focusing on psychological reduction : presenting all the different making levels of (phenomenological)- psychological reduction to allow a proper interpretation of the development of the relation between phenomenology and psychology in Husserl, without affecting the coherence and unity of his philosophical purpose, this is the main aim of the current study. The fourth chapter deals, finally, with the eradication of the misunderstandings which cause paradoxes concerning Husserl's phenomenological method of epoché and reduction, even at the level of psychological phenomenology. This clarification opens up new research prospects both in philosophy and in psychology
FEDERICO, LUCA. "L'apprendistato letterario di Raffaele La Capria". Doctoral thesis, Università degli studi di Genova, 2020. http://hdl.handle.net/11567/1005664.
Texto completoCUSINATO, Guido. "La messa fra parentesi dell'ego e i gradi dell'apertura al mondo". Doctoral thesis, 1997. http://hdl.handle.net/11562/473559.
Texto completoLa tesi di questo lavoro è che ogni azione che si muova nel senso d’un incremento del grado d’apertura estatica al mondo sia un’azione etica. Anzi che l’etica consista proprio in quest’incremento. Il problema non è affatto nuovo e devo anzi dire che uno stimolo importante in questa direzione mi è stato offerto dalla lettura di un passo della Lettera ai Filippesi, quello in cui Paolo dice: «la loro fine è la perdizione, il loro dio è il ventre» (3, 19). Anche il «ventre» ha infatti le sue esigenze, anche il ventre ha gli «occhi», ecco — ho pensato — se l’uomo si riduce a guardare il mondo attraverso gli occhi del proprio «ventre» allora è dannato, ma non nel senso che verrà poi condannato da un qualche tribunale celeste quanto che già in tale condizione è implicito un danno esistenziale, una chiusura e un ripiegamento della vita su se stessa. L’etica mi pare in primo luogo un invito ad evitare tale danno. Ma poi rileggendo Platone ho avuto l’impressione che qualcosa in questa direzione si muovesse già nel Fedone: non si parla forse lì di catarsi da un certo modo di vivere per accedere a «vita nuova» (la filosofia) già in questa vita terrena? Pure la riflessione moderna è ricca di spunti in questa direzione, come quelli offerti da Schelling quando, introducendo il concetto di estasi dall’Io, evidenzia che qui non si tratta di mettere fra parentesi solo la prospettiva sensibile, ma anche il pensiero oggettivante e di dirigersi verso un centro personale concreto. Infine Schopenhauer pone in rilievo come il problema metafisico dell’etica consista essenzialmente nella messa fra parentesi dell’egoismo (cfr. le interessantissime analisi contenute in Die beiden Grundprobleme der Ethik), anche se poi rimane ancorato ad una concezione assolutizzante dell’ego stesso, tanto da ritenere che la sua scomparsa conduca inevitabilmente nel Nirvana. L’etica non richiede però di depauperare la nostra esistenza terrena in nome di valori ultraterreni, ma al contrario è un invito a renderla più ricca e intensa. Bisogna voler veramente bene a se stessi per riuscire a superare l’egoismo. Non si tratta in nessun caso di condannare preventivamente un egoismo inteso come orgoglio per il proprio essere relativo e capace di riconosce all’altro un eguale diritto; in un primo momento il problema è quello di prendere le distanze da quell’assolutizzazione del proprio ego che ricade nell’egocentrismo. Con l’espressione proiettivismo egologico si potrebbe cercare di indicare una delle tendenze fondamentali dell’uomo: la tendenza che, connettendosi alla volontà di potenza nietzschiana dell’homo faber, ha permesso l’importantissimo e irrinunciabile processo di oggettivazione alla base anche del sapere scientifico. Essa tuttavia, se assolutizzata, tende a cancellare la dimensione dell’alterità riducendo all’ego ogni differenza e alimentando l’equivoco di fondo secondo cui il mondo altro non sarebbe che il riflesso del proprio ego. Qui l’ego è pronto a svelare un’indole mistificatoria non appena l’oggettività arrivi a metterne in discussione la centralità. Anche gli «occhi dell’ego» rischiano infine di ricadere in una dannazione analoga a quella degli «occhi del ventre». Nell’etica si fa strada una nuova visuale, capace di trascendere estaticamente la disposizione egologico-proiettiva e che si può identificare con quella della persona. È come se ognuno di questi «sguardi» delimitasse un ambito di realtà sempre meno ristretto e sempre più complesso, in modo da rappresentare un incremento del grado d’apertura e di sintonia col mondo. In una tale concezione dell’etica non è però prevista né una svalutazione del mondo e neppure della corporeità. Si tratta piuttosto di superare l’alternativa fra Idealismo e Realismo cercando di esperire qualcosa che rimane incommensurabile alla logica dell’ego e verso la quale l’ego stesso rimane cieco: la sfera dell’alterità, del diverso, in altre parole di ciò che rimane asimmetrico rispetto alla propria autoprogettualità.