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Pasquale, Gianluigi. "Fede e ragione". Služba Božja 59, n.º 3 (13 de septiembre de 2019): 233–51. http://dx.doi.org/10.34075/sb.59.3.1.

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Resumen
L’articolo sviluppa cinque tesi innestate nella più lunga Lettera Enciclica scritta da San Giovanni Paolo II (1920-2005) esattamente a vent’anni dalla sua promulgazione (1998-2018), «Fides et ratio» inerente i rapporti intercorrenti tra fede e ragione. Alcune vennero intercettate durante il ventennio trascorso, altre sono inedite. Con la prima si ribadisce la completa autonomia della filosofia rispetto alla teologia cristiana, quale scienza della fede che pensa se stessa, motivo per il quale il sapere teologico non sposa nessun tipo di filosofia, ovvero la utilizza «qua talis». Con la seconda si ribadisce che la fede senza la «recta ratio» – oggi intorbidita e indebolita dalla società della tecnica – non potrebbe nulla senza il logos di cui si è attrezzata fin dall’inizio. Così, con la terza tesi si (di)mostra che, onde evitare che il pensiero riproducente se stesso prosegua all’infinito, essi trovi nella forma incarnata del logos – Gesù Cristo – l’unica «saturazione» del proprio ricercare. La quarta tesi rivela qualcosa che era sfuggito fino a qualche mese fa, ossia l’insistenza di «Fides et ratio» ad aprirsi ad altre culture, oltre a quella cristiana piuttosto secolarizzatasi, tipo quella indiana o asiatica, essendovi una «ratio». Con la quinta tesi, ugualmente inedita, si ravvisa che solo una «ragione etica» ovvero amicale, responsabile, fiduciale, appunto, può permettere alla fede di raggiungere quel livello rivelativo cui anela: nella persona di Gesù Cristo.
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Gehl, Liana. "Faith and Reason in Thomas Merton: the “Unified Heart” – a Monk’s Solution?" Studia Universitatis Babeș-Bolyai Theologia Catholica 65, n.º 1-2 (30 de diciembre de 2020): 91–106. http://dx.doi.org/10.24193/theol.cath.2020.04.

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"Fede e ragione in Thomas Merton: il “cuore unificato” – la soluzione di un monaco? L’articolo prende l’avvio da uno scambio di lettere tra il monaco americano Thomas Merton ed il filosofo francese Jacques Maritain sul rapporto fede-ragione. Dopo aver considerato l’approccio mertoniano, avvicinandolo ad una posizione simile riscontrata in un carteggio anteriore tra Jacques Maritain ed il Beato Vladimir Ghika (un altro corrispondente affiattato del filosofo francese), l’articolo prosegue suggerendo che per Merton il problema non consistette tanto nel conciliare i dati della scienza con i dogmi della fede, quanto nel raggiungere quell’ “unificazione del cuore” auspicata dal filosofo Martin Buber come il vero cammino dell’uomo. Parole-chiave: fede e ragione, Thomas Merton, Vladimir Ghika, Jacques Maritain, Martin Buber, hasidismo, neotomismo, monachesimo, intelligenza, intuizione"
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Ceccarini, Luigi. "La ragione e la fede". MAGAZZINO DI FILOSOFIA, n.º 17 (marzo de 2010): 195–216. http://dx.doi.org/10.3280/maf2010-017013.

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Migliorini, Damiano. "Lineamenti di cristeologia. «Fede critica» e umiltà epistemica: il rapporto ragione-fede al confine tra meta-teologia, metodologia e vita". TheoLogica: An International Journal for Philosophy of Religion and Philosophical Theology 1, n.º 1 (19 de julio de 2017): 94–147. http://dx.doi.org/10.14428/thl.v1i1.103.

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Il rapporto tra fede e ragione è la questione meta-teologica per eccellenza. L’autore si propone dunque d’indagare se il modello oggi prevalente di “ragione umile” – basato su fallibilismo e umiltà epistemica – sia il più adeguato per esprimere le verità teologiche, anche alla luce del dibattito interno al teismo contemporaneo (teologia razionale). Per rispondere a questa domanda è necessario esaminare lo statuto epistemologico della verità umana e della verità di fede, per poter elaborare un metodo comune alle discipline scientifiche, filosofiche e teologiche, capace di trovare un equilibrio tra fideismo e positivismo teologico. Dopo una breve panoramica storica dei rapporti tra fede e ragione nel pensiero occidentale (con particolare attenzione alla dottrina dei praeambula fidei), l’articolo cercherà di mostrare come, nel paradigma della verità relazionale e del fallibilismo sia necessario integrare il problema delle fonti, dell’autorità, del concetto di ispirazione e della nozione di “rivelazione”, giacché contraddistinguono la teologia rispetto alla filosofia. Si mostrerà infine come la dimensione comunitaria e della scelta (appello alla libertà) siano connaturate alla teologia intesa come fede critica, la cui peculiarità è di collocarsi senza nostalgie nel mezzo tra fideismo, razionalismo e un certo relativismo. Dal percorso emergerà infine la proposta di una nuova cristeologia.
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Zordan, Davide. "Ma cosa vedono gli "occhi della fede"? Considerazioni sulla dimensione immaginativa del credere". SOCIETÀ DEGLI INDIVIDUI (LA), n.º 35 (septiembre de 2009): 21–36. http://dx.doi.org/10.3280/las2009-035002.

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Resumen
- Riflettere sulla natura del credere tenendo conto della globalitÀ dell'umano e dell'attivitÀ immaginativa della coscienza non č mai stato un compito facile per la teologia. Oggi come ieri essa preferisce, di norma, affidarsi a criteri apologetici piů rassicuranti. Tuttavia č possibile individuare, nell'antica e inconsueta metafora degli ‘occhi della fede', una modalitÀ unitaria di comprensione della fede fondata su un implicito riferimento alla tensione fra vedere e immaginare, che renda possibile il credere come atto pienamente umano. I tentativi di Pierre Rousselot e di John H. Newman di reintrodurre questi temi nella teologia cattolica moderna meritano attenta considerazione. Essi offrono elementi ancora validi per l'autocomprensione dei credenti e per rendere ragione della persistenza delle fedi in una societÀ secolarizzata.
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Sabetta, Antonio. "Annunciare la gioia del Vangelo nell’areopago della contemporaneità. Conoscere l’“a chi” ci rivolgiamo per meglio comunicare il “Chi”". Služba Božja 60, n.º 3 (21 de septiembre de 2020): 319–46. http://dx.doi.org/10.34075/sb.60.3.1.

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Viviamo un cambiamento d’epoca che sta radicalmente trasformando sia l’identità dell’Occidente sia ponendo nuove e radicali sfide al cristianesimo chiamato ad inculturarsi di nuovo in una realtà che da esso si sta progressivamente allontanando. L’articolo in una prima parte ricostruisce alcuni tratti salienti della postmodernità e dell’esperienza religiosa postmoderna per poi soffermarsi su alcune questioni decisive per l’annuncio credibile del vangelo. Preso atto dell’inadeguatezza di alcune rappresentazioni trasmesse di Dio, della Chiesa, e della fede, l’articolo cerca di valorizzare alcune istanze della sensibilità contem-poranea. Soprattutto insiste sulla necessità di rimettere al centro la domanda di senso e su-perare la crisi della ragione per ritrovare per ricostruire l’alleanza tra fede e ragione ricono-scendo nel logos lo strumento per annunciare il vangelo e dialogare con le culture.
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Giorgini, Giovanni. "OAKESHOTT E IL RAZIONALISMO IN POLITICA". Il Politico 254, n.º 1 (7 de junio de 2021): 131–33. http://dx.doi.org/10.4081/ilpolitico.2021.568.

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L’attacco al razionalismo in politica costituisce il fulcro degli interessi teorici, e delle preoccupazioni pratiche, di Oakeshott negli anni Cinquanta. Con il termine razionalismo egli intende il supposto uso senza vincoli e senza pregiudizi della ragione e la fede che in questo modo si arriverà a un sicuro miglioramento della condizione umana. Nella sua ricostruzione, il primo autore a proporre l’uso della ragione, acuminata dal metodo induttivo e purificata da pregiudizi, come strumento della conquista della natura da parte dell’uomo fu Francis Bacon; una ragione strumentale che aveva fatto tabula rasa dei pregiudizi derivanti dalla società, dal principio di autorità, dalle opinioni comuni (i vari tipi di idola).
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Oleksowicz, Michał. "Ragionevolezza della fede. Rapporto tra fede e ragione in Tommaso d’Aquino". Scientia et Fides 3, n.º 1 (30 de mayo de 2015): 139. http://dx.doi.org/10.12775/setf.2015.012.

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Gurashi, Dario. "Religione e ideologia nel giovane Agrippa: Appunti sulla vocazione intellettuale". Mediterranea. International Journal on the Transfer of Knowledge 5 (20 de marzo de 2020): 153–92. http://dx.doi.org/10.21071/mijtk.v5i.12250.

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La riforma della cultura promossa da Cornelio Agrippa richiede una riorganizzazione della teologia tradizionale. Recuperando la prisca theologia, Agrippa mira ad emancipare l’esegesi delle Scritture dalla filosofia scolastica, responsabile di aver corrotto il significato autentico della Parola di Dio tramite un impiego indisciplinato della ragione a scapito della fede. Ripensare l’approccio alla Bibbia significa allora ridefinire il concetto di teologia: in quanto meditazione sulla parola divina, essa dovrà abbandonare le dispute dialettiche per tradursi in uno stile di vita contrassegnato dalla virtù e dall’integrità della fede in Cristo. Il programma di Agrippa, dunque, intende dimostrare l’incompetenza dei teologi scolastici e allo stesso tempo rivendica per il pensatore laico la libertà di interpretare le fonti della vera sapienza.
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Fiore, Vincenzo. "Fede e ragione in Manzoni dal 1817 alla Morale cattolica". Филолог – часопис за језик књижевност и културу 17, n.º 17 (30 de junio de 2018): 443–55. http://dx.doi.org/10.21618/fil1817443f.

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Biagiotti, Alice. "Le interazioni fiduciarie nel rapporto di lavoro. Dalle origini ai cambiamenti in atto". QUADERNI DI ECONOMIA DEL LAVORO, n.º 113 (julio de 2022): 183–205. http://dx.doi.org/10.3280/qua2021-113009.

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Il presente contributo si prefigge lo scopo di rilevare come l'elemento fiduciario, ricollegabile al più ampio concetto di fides, permea, ancora oggi, l'intero rapporto di lavoro sotto una duplice angolazione. Nella fase iniziale del rapporto stesso, la fiducia viene in rilievo sotto il profilo soggettivo così si desume dagli artt. 2094 e 2086 c.c. e valutabile secondo i generali criteri di buona fede e correttezza. Invece, nella fase estintiva, l'elemento fiduciario si oggettivizza costituendo la ragione giu-stificativa dell'adempimento della prestazione lavorativa da parte del lavoratore.
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Kopiec, Adam Maksym. "LA CRITICA TEOLOGICA DELL’ODIERNO UMANESIMO LAICO. PARTE SECONDA". Forum Teologiczne 18 (12 de octubre de 2017): 149–62. http://dx.doi.org/10.31648/ft.2323.

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Il testo è la continuazionedella prima parte in cui è stato presentato l’attuale tentativo di formulare, ai tempi della crisi globale su diversi piani della vita sociale e individuale dell’uomo, un “nuovo umanesimo” del tutto laico e secolarizzato. In questa sede invece si cercherà di articolare ed esprimere la posizione dell’universo cristiano di fronte a tali proposte e di mettere in risalto gli elementi vulnerabili e pericolosamente riduttivi dell’umanesimo puramente laico ed immanente, alla luce della ragione e della fede. Inoltre si cercherà di aprire gli spazi all’eventuale elaborazione di un “nuovo umanesimo cristiano”.
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Ostenc, Michel. "Claudio Giuliodori, Roberto Sani, Scienza, Ragione, Fede. Il genio di P. Matteo Ricci". Archives de sciences sociales des religions, n.º 164 (30 de diciembre de 2013): 202. http://dx.doi.org/10.4000/assr.25486.

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Radice, Roberto. "L’allegoria come filosofia rivelata. L’incontro fra ragione e fede nell’ellenismo e nell’età imperiale". Annali di Scienze Religiose 7 (enero de 2014): 15–33. http://dx.doi.org/10.1484/j.asr.5.107494.

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De Paula, Ignacio Carrasco. "Il concetto di persona e la sua rilevanza assiologica: i principi della bioetica personalista". Medicina e Morale 53, n.º 2 (30 de abril de 2004): 265–78. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2004.643.

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La Bioetica personalista è una riflessione che affronta le questioni etiche riguardanti la vita umana da una prospettiva che riconosce l’essere e la dignità della persona come valori assoluti, e, di conseguenza, pone come primum principium il rispetto incondizionato della loro inviolabilità e la tutela della loro libera espressione, in primis sul versante dei diritti umani. Nella prospettiva personalista il bonum, cioè il valore ultimo che misura l’agire morale, viene inteso come promozione dell’essere e della preziosità o dignità della persona in quanto persona. Il credente, sia esso un moralista, un filosofo, un bioeticista, o quant’altro, si trova a suo agio quando la sua mente percorre le vie della persona; egli, in altre parole, si sente particolarmente agevolato, similmente al pellegrino che dopo aver battuto sentieri impervi e sconosciuti, ritrova le strade familiari della sua casa. Nella dimora della persona, fede e ragione verificano la propria identità e forza, libere da patteggiamenti o da innaturali rinunce ai propri doveri e diritti; una morale personalista intesa come una sintesi organica e rigorosa è un desiderio che ancora si deve realizzare. Una Bioetica personalista dovrebbe, ad esempio, concedere maggiore spazio alla domanda propriamente etica, cioè se e perché l’embrione deve essere trattato come un qualsiasi essere umano, anche senza esplicitare il problema ontologico. Tre fondamentali ragioni possiamo addurre a fondamento della dimostrazione del primato valoriale della persona. La prima ragione è contenuta nella nota affermazione di S. Tommaso: “persona significat id quod est perfectissimum in tota natura, scilicet subsistens in rationali natura”. La dignità della persona trova qui un sostegno fortemente ontologico: chi è massimamente perfetto non può non essere riconosciuto e rispettato semper et pro semper, in ogni circostanza di tempo e di luogo, cioè in modo assoluto. Nessun valore creato - neanche il superamento di tutte le malattie e sofferenze - può reggere al confronto del valore di ogni singola persona. La seconda ragione fondativa è merito di I. Kant ed in fondo può essere interpretata come una applicazione della tesi di Tommaso d’Aquino: l’essere perfettissimum in tota natura resiste a qualsiasi tentativo di abbassarlo alla condizione di semplice strumento. Come dice il filosofo tedesco nel famoso paragrafo dei Fondamenti della metafisica dei costumi, la persona impone l’imperativo categorico di agire in modo da trattare l’umanità, in te e negli altri, sempre come fine e mai soltanto come mezzo. Infine, la terza ragione proviene da un brano molto noto, come i due precedenti, anche se poco utilizzato in ambito bioetico, forse per l’evidente contenuto teologico. Ci si riferisce alla definizione antropologica del documento conciliare Gaudium et spes che indica l’uomo come “la sola creatura in terra che Iddio abbia voluto per se stessa”.
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Mejzner, Mirosław. "Ludzkie ciało i nieśmiertelność. Wybrane przykłady z argumentacji Metodego z Olimpu "O zmartwychwstaniu" (De resurrectione II 19-25)". Vox Patrum 52, n.º 1 (15 de junio de 2008): 635–46. http://dx.doi.org/10.31743/vp.8940.

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La dimostrazione dell'idoneita della came all'esistenza incorruttibile ed eterna costituisce uno dei cardini della difesa del dogma della risurrezione tradizionalmente inteso. L’obiettivo dell'articolo (II corpo umano e l’immortalita) e di presentare l’argomentazione svolta in favore di essa da Metodio di Olimpo nel De resurrectione II 19-25 (GCS 27, 371-382). L’autore rievoca alcuni esempi presi dal mondo della natura (botanico, zoologico, astronomico), dal campo artistico e dalia storia biblica non solo per ilłustrare la possibile longevita dei corpi nell'esistenza terrena, ma anche per provare che Dio, plasmatore del corpo, ha destinato l’uomo all'immortalita. Applicare il principio dell'onnipotenza divina alla risurrezione della carne non costituisce per Metodio una scappatoia insensata, ma un tentativo di assumere, entro i confini di una razionalita alimentata dai dati della fede cristiana, un elemento che, seppur comprensibile per la ragione, tuttavia la supera.
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Fidalgo, José Manuel. "Antonio PORRAS (ed.), Fede e ragione. Le luci della verità, Roma: Edusc, 2012, 460 pp." Scripta Theologica 45, n.º 2 (4 de marzo de 2015): 518. http://dx.doi.org/10.15581/006.45.1112.

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Baragli, Matteo. "Il Centro nazionale italiano e la Santa sede Profili e progetti del clerico-fascismo in Italia 1922-1929". ITALIA CONTEMPORANEA, n.º 263 (diciembre de 2011): 239–54. http://dx.doi.org/10.3280/ic2011-263004.

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L'articolo analizza la vita e l'ideologia del Centro nazionale italiano, la formazione politica piů rappresentativa del clerico-fascismo italiano fondata nel 1924 da cattolici conservatori e filofascisti espulsi dal Partito popolare italiano. Il Cni garantě il suo pieno sostegno politico al fascismo, traendone ragione dal legame indissolubile e provvidenziale esistente, a suo avviso, fra cattolicesimo e nazione italiana. Un legame che la politica religiosa del fascismo avvalorava, restituendo alla fede cattolica il rilievo pubblico che il liberalismo le aveva sottratto. Il Vaticano vide con iniziale benevolenza l'attivitŕ del Cni, ma poi incominciň a diffidarne per l'eccessivo filofascismo e per l'autonomia con cui esso si muoveva rispetto alla Santa sede. I sospetti si accrebbero a seguito delle frizioni con l'Azione cattolica e della condanna dell'Action française. Nel 1928 Pio XI condannň duramente il Cni, segnando la fine di questo progetto clerico-fascista, mentre l'accordo fra regime e istanze cattoliche avrebbe seguito la via del Concordato del 1929.
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Kita, Marek. "„Niebiańska filozofia”, czyli chrześcijaństwo jako umiłowanie Mądrości". Analecta Cracoviensia 40 (4 de enero de 2023): 179–90. http://dx.doi.org/10.15633/acr.4012.

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L’idea antica del cristianesimo come „filosofia celeste di Cristo” può apparire al giorno d’oggi ambigua e anacronistica. Nella cultura occidentale dopo un lungo periodo di riflessione sul rapporto tra cristianesimo e filosofia si assiste alla nascita del fenomeno della „filosofia cristiana” – una cosa diversa dalla teologia – che reca in sé l’affermazione che il cristianesimo stesso non si riduce alla filosofia. Eppure in tutta la storia della Chiesa troviamo alcuni pensa- tori che parlano del cristianesimo come una filosofia in senso estensivo. Anche Benedetto XVI nella enciclica Spe salvi ci ha ricordato una visione di Cristo come Filosofo, cioè una persona che sa insegnare l’arte della vita. Infatti potremo dire anche di piú: se pensiamo a Cristo come Sapienza incarnata, allora la nostra filosofia – l’amore della sapienza – diventa l’amore per Lui.Il cristianesimo come filosofia per estensione ci offre una visione integrale della realtà, in conformità alla frase di Pascal: „Chi conosce Cristo, conosce la ragione di tutte le cose”. In Gesù è stato incarnato un progetto divino dell’uomo e del mondo. L’insegnamento della Sapienza crocifissa ci apre gli occhi del cuore al senso vero dell’essere e dell’esistenza. Il suo sacrificio ci rivela una nuova ontologia, in cui l’essere significa dono. Nella luce di Cristo contempliamo il senso della storia e della cultura umana.Il cristianesimo come „amore della Sapienza eterna” realizza il compito della filosofia (nel suo concetto antico) e lo completa. Esso si presenta come una saggezza del cuore ma questo non significa irrazionalismo – nella saggezza così s’incontrano la ragione discorsiva, l’intuizione e la fede. Inoltre „filosofia celeste” corregge ogni filosofia della terra insegnandoci che l’amore vale più del pensiero. Alla scuola del Vangelo il frutto dell’amore della sapienza diventa sapienza dell’amore.
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Valbousquet, Nina. "Catholic Anti-Modernism And the Modernity of Fascism: Integralist Catholicism, Nationalism, and Antisemitism in Fede e Ragione (1919-1929)". Incontri. Rivista europea di studi italiani 32, n.º 2 (31 de diciembre de 2017): 80. http://dx.doi.org/10.18352/incontri.10217.

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Alviar, José. "Renzo LAVATORI, Il diavolo tra fede e ragione, EDB, Bologna 2001, 196 pp., 14 x 21, ISBN 88-10-40950-7." Scripta Theologica 34, n.º 2 (30 de noviembre de 2017): 728. http://dx.doi.org/10.15581/006.34.13896.

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Ziemiański, Stanisław. "Filosofia e rivelazione, Un contributo al dibattito su ragione e fede [Filozofia a objawienie. Przyczynek do debaty na temat rozumu i wiary]". Forum Philosophicum 8 (2003): 294–97. http://dx.doi.org/10.5840/forphil2003837.

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Sol, Román. "Silvano M. MAGGIANI y Antonio MAZZELLA (a cura di), La figura di Maria tra fede, ragione e sentimento, Roma: Edizioni Marianum, 2013, 492 pp." Scripta Theologica 45, n.º 3 (2 de marzo de 2015): 799–804. http://dx.doi.org/10.15581/006.45.1042.

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Illanes, J. L. "Mario TOSO, Fede, ragione e civiltà. Saggio sul pensiero di Étienne Gilson, Libreria Ateneo Salesiano («Biblioteca di Scienze Religiose», 72), Roma 1986, 299 pp., 16,5 x 24." Scripta Theologica 18, n.º 2 (6 de marzo de 2018): 728. http://dx.doi.org/10.15581/006.18.20281.

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Izquierdo, C. "Antonio STAGLIANO, La «Teologia» secondo Antonio Rosmini. Sistematica-critica-interpretazione del rapporto fede e ragione, Ed. Morcelliana («Richerche di Scienze Teologiche», 29), 429 pp., 17 x 24." Scripta Theologica 21, n.º 3 (28 de febrero de 2018): 975. http://dx.doi.org/10.15581/006.21.20387.

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Blanco, Pablo. "Joseph RATZINGER-BENEDETTO XVI, Fede, ragione, verità e amore. La teologia di Joseph Ratzinger. Collana I pellicani, CASALE, U. (a cura di), Torino: Lindau, 2009, 818 pp., 17 x 25, ISBN 978-88-7180-804-8. —, Fede e scienza. Un dialogo necessario. Collana". Scripta Theologica 43, n.º 2 (10 de noviembre de 2015): 513. http://dx.doi.org/10.15581/006.43.3270.

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Aranda, Antonio. "Salvatore M. PERRELLA, Le apparizioni mariane. «Dono» per la fede e «sfida» per la ragione, Edizioni San Paolo, Torino 2007, 224 pp., 13,5 x 21, ISBN 978- 88-2155-8337." Scripta Theologica 41, n.º 1 (20 de noviembre de 2017): 326. http://dx.doi.org/10.15581/006.41.13357.

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Alonso, Juan. "Lorenzo FAZZINI, Nuovi cristiani d’Europa. Dieci storie di conversione tra fede e ragione, Prefazione di Lucetta Scaraffia, Torino: Lindau s.r.l., 2009, 214 pp., 14 x 20,5, ISBN 978-88-7180-830-7." Scripta Theologica 42, n.º 3 (20 de noviembre de 2015): 834. http://dx.doi.org/10.15581/006.42.3396.

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Alonso, Juan. "Antonio SABETTA, Dal senso cercato al senso donato. Pensare la ragione nell’orizzonte della fede, Lateran University Press (Collana «Prospettive», 1), Città del Vaticano 2007, 191 pp., 24 x 17, ISBN 978-88-465-0596-5." Scripta Theologica 41, n.º 1 (20 de noviembre de 2017): 306. http://dx.doi.org/10.15581/006.41.13261.

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Bullivant, Stephen. "Dio? Ateismo della ragione e ragioni della fede [God? The Atheism of Reason and the Reasons of Faith]- By Angelo Scola and Paolo Flores d'Arcais�Atei o Credenti? Filosofia, politica, etica, scienza [Atheists or Believers? Philosophy, Politics, Ethics, Science]- By Paolo Flores d'Arcais, Michel Onfray and Gianni Vattimo". Reviews in Religion & Theology 16, n.º 4 (septiembre de 2009): 649–52. http://dx.doi.org/10.1111/j.1467-9418.2009.00442_12.x.

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Ratzinger, Joseph. "Presentazione dell'Enciclica "Veritatis Splendor"". Medicina e Morale 42, n.º 6 (31 de diciembre de 1993): 1101–10. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1993.1031.

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Resumen
Il presente articolo intende fornire alcune possibili coordinate per un approccio all'ultima Enciclica "Veritatis Splender" di Giovanni Paolo II. L'Autore, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, individua anzitutto due ragioni fondamentali per le quali l'Enciclica risulti necessaria: da una parte perché il cristianesimo non è pura teoria, ma prassi concreta, dall'altra a motivo della morale come questione di sopravvivenza per l'umanità. L'articolo prosegue poi illustrando la struttura ed i contenuti del documento papale.
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Alonso, Juan. "Vittorio MESSORI y Andrea TORNIELLI, Por qué creo. Una vida para dar razón de la fe, Madrid: Libroslibres, 2009, 370 pp., 15 x 23, ISBN 978-84-92654-14-7 (original, en italiano: Perché credo. Una vita per rendere ragione della fede, Casale Monferrato: Pie". Scripta Theologica 42, n.º 3 (20 de noviembre de 2015): 822. http://dx.doi.org/10.15581/006.42.3387.

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Pepino, Livio. "Ancora sulla obbligatorietŕ dell'azione penale. Qualche spunto per una riflessione realistica". QUESTIONE GIUSTIZIA, n.º 2 (junio de 2011): 102–10. http://dx.doi.org/10.3280/qg2011-002010.

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Non amo i dogmi di nessun genere. Anche per questo non credo che l'obbligatorietŕ dell'azione penale sia una veritŕ di fede, insuscettibile di discussione. E, tuttavia, sono convinto che si tratti, oggi piů che mai, di un principio irrinunciabile nel contesto italiano. Un principio irrinunciabile che, proprio per questo, non va celebrato ma governato in modo intelligente e razionale. Le pagine che seguono si propongono di esporre le ragioni che sostengono la mia convinzione e di indicare alcune linee utili a perseguire l'obbligatorietŕ possibile e necessaria.
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Villar, José R. "Franco ARDUSSO, lmparare a credere. Le ragioni della fede cristiana, ed. Paoline, (col. «Universo Teologia» n. 8), Milano 1992, 211 pp., 13,5 x 21." Scripta Theologica 26, n.º 2 (5 de febrero de 2018): 846–47. http://dx.doi.org/10.15581/006.26.16792.

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Villar, José R. "Livio FANZAGA, «Credo». Le verità fondamentali della fede, San Paolo («Le ragioni della speranza», 54), Cinisello Balsamo 2005, 296 pp., 14 x 22, ISBN 88-215-5204-7." Scripta Theologica 38, n.º 1 (23 de octubre de 2017): 316. http://dx.doi.org/10.15581/006.38.11547.

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Caroni, Pio. "E se anche il codice fosse un messaggio? La storia del codice ha senso solo se il codice non ne è il protagonista". Revista da Faculdade de Direito, Universidade de São Paulo 112 (28 de agosto de 2018): 421–38. http://dx.doi.org/10.11606/issn.2318-8235.v112i0p421-438.

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Questo saggio conclude ricerche sulla storia della codificazione del diritto, che l’autore ha iniziato mezzo secolo fa. Se aveva finora concesso molto (e forse troppo) spazio alla elaborazione storica di concetti e quindi alla definizione dello ‘statuto ontologico’ del codice, qui ne prescinde quasi totalmente. Ma si interroga in compenso sul destino concreto affrontato dai codici quando, oramai diritto vigente, entrano nella società, alla quale erano destinati, e tentano di disciplinarla. Vede perciò nel codice un messaggio, il cui valore (rispettivamente significato) non viene anticipato dal legislatore, ma via via appurato dal destinatario, in questo caso dalla società. E per essa (la precisazione non è superflua) da chi emergeva, quindi la dominava, ossia da chi era in grado di imporre proprie scelte di natura giuridica, sociale, economica, politica, rispettivamente di sintonizzare l’astratto codice sulle proprie personali frequenze. Mentre finora la ricerca era come stregata dalla storia dell’elaborazione/formazione del codice, questo diverso approccio sposta l’obiettivo sul dopo-codice, tenta cioè di descrivere in quale realtà si imbatte il codice una volta arrivato a destinazione e cosa nasce concretamente da questo incontro-scontro. E lo fa non per screditare quanto già si fece, ma per scoprirne (e descriverne) ora la parabola completa, grazie ad uno sguardo binario, rispettoso tanto dell’ottica del mittente, quanto di quella del destinatario. A chi interroga siffattamente il passato, molte ricerch non interessano più, massime quelle che gli autori hanno finora svolto muovendo esclusivamente dal testo sanzionato dal codice. Gli sembrano virtuali, immaginarie, frammentarie, una traccia sempre più smunta, che poi si perde nella sabbia. Ma in compenso, forte del suo sguardo binario, riesce magari a dissodare qualche incolto. A spiegare diversamente il rapporto istaurato fra codici regolari e irregolari, a ragionare in modo meno preconcetto sulla nozione di recezione/trapianto, oppure a rendersi conto che – a dispetto di quanto tuttora molti sostengono – ogni codice modifica inevitabilmente, tanto o poco, il quadro della realtà giuridica.
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Sobański, Remigiusz. "Prawo kanoniczne a kultura prawna". Prawo Kanoniczne 35, n.º 1-2 (5 de junio de 1992): 15–33. http://dx.doi.org/10.21697/pk.1992.35.1-2.02.

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Si presenta la versione polacca di una relazione tenuta nell’ambito dei seminari sul tema „Scienza giuridica e diritto canonico” al’Università di Torino 2. 5. 1990. Il testo originale viene pubblicato nel volume sullo stesso tema curato da Rinaldo Bertolino, Torino 1991. Ci presentiamo le osservazioni finali. 1. Il diritto canonico non può non giovarsi dello sviluppo della cultura giuridica (allo stesso modo che l'intero magistero della Chiesa non può non giovarsi del patrimonio culturale dell’umanità). Immutato è il quesito di fondo: in che misura queste vicende possono riuscire utili ad esprimere la „verità” ecclesiale. L’utilità dipende dallo sviluppo delle scienze giuridiche, come di quelle ecclesiali: il che significa che il diritto canonico ha, di fronte alla cultura giuridica, un atteggiamento aperto ed assorbente, pur se differenziato e non privo di critica. 2. Per sua vocazione universale la Chiesa ha un atteggiamento aperto di fronte alla cultura giuridica d’ogni ambiente in cui esse è presente ed agisce. Il riferimento alla cultura giuridica locale e i rapporti con le vicende delle culture regionali sono omogenei con i principi fondamentali della relazione Chiesa universale-Chiese locali. L’influsso del diritto romano e di quello germanico sul diritto canonico, da un lato; la romanizzazione del diritto dei barbari attraverso la Chiesa o, anche, l’influsso del diritto canonico p. es. sul diritto polacco dall’altro, dimostrano quanto il contatto della Chiesa con la cultura giuridica dell’ambiente possa ruiscire fecondo. 3. Negli ultimi secoli la presenza del diritto canonico nella cultura giuridica è, al massimo, passiva. Cerca d’assicurarsela una presenza mediante l’adattamento. Se anche sia vero che qualunque presenza debba accompagnarsi con la disponibilità ad imparare, occorre riconoscere che questa posizione unicamente difensiva non consente al diritto canonico di incidere e di ispirare la cultura giuridica. Inoltre, l’esito di questa presenza (passiva) è parziale, non solo perché le premesse filosofiche che fondano il pensiero giuridico sono (o sembrano essere) per la Chiesa inaccettabili, ma perché, in seguito all‘atteggiamento esclusivamente recettizio, si corre il rischio di trasferire nell’ambito metagiuridico tutto cio che non si ritrovi nell’ottica delle attuali dottrine giuridiche. 4. Non c’è dubbio che la Chiesa non sia l’ambiente topico di sviluppo delle scienze giuridiche e che la scienza giuridica goda di una sua piena autonomia. Ma la comunione ecclesiale, non di raro definita Ecclesia iuris, non lo è in seguito alla recezione del diritto ab extrinseco, ma in forza della propria immanente dimensione giuridica. (Senza di essa non avrebbe ragion d’essere un autonomo diritto canonico, ed i problemi organizzativi della Chiesa potrebbero essere risolti alla stregua del solo diritto ecclesiastico dello Stato). Si deve quindi riconoscere che la Chiesa, iscritta nella storia umana del diritto, ha qualche cosa da dire nella sfera del diritto, sia nella sua dimensione ideologica che in quella della sua realizzazione pratica. L’assenza di un ruolo ispiratore del diritto canonico sulla scienza giuridica contemporanea dovrebbe dar a pensare per la più che i fondamentali problemi giuridici vengono continuamente discussi dai cultori di diritto: viviamo tuttavia in un mondo di nazioni sempre più unite nel quale le interferenze di differenti teorie e sistemi giuridici tendono ad aumentare e le dottrine giuridiche si rivelano particolarmente suscettibili agli influssi di molteplici filosofie. 5. Su un contatto non unidirezionale ma bilaterale del diritto canonico con la cultura giuridica si potrà contare soltanto allora, quando la canonistica abbia fatto proprio il metodo del Concilio Vaticano II, durante il quale la Chiesa ha rinunciato a presentarsi ratione status, ed ha invece cercato di esporre la sua natura secondo la propria convinzione di fede. Anche nel diritto canonico bisogna finalmente decidersi ad una riflessione profondo sulla Chiesa alla luce della fede, sulle proprie radici e finalità, per poter realizzare il diritto ecclesiale nel modo più coerente e per potere, per cio stesso, dialogare con le altre culture giuridiche. Il dialogo non nascerà da una passiva traslitterazione, quasi a ricalco, del diritto civile nell’ambiente ecclesiale, ma attraverso una franca ed aperta meditazione sulle proprie premesse ontologiche, le proprie peculiarità, le proprie esigenze: anche quelle di una „nuova giustizia”. Soltanto allora la presenza del diritto canonico nella cultura giuridica potrà essere non solo riproduttiva, ma anche produttiva. 6. Anche sotto questo punto di vista appare urgente la necessità di una robusta elaborazione di una teoria generale del diritto canonico. Si tratta di una teoria del diritto della Chiesa secondo il suo proprio „credo Ecclesiam”, non già elaborata all’interno di rigide teorie aprioristiche. Troppo generiche e scarsamente feconde le prese di posizione a favore di una deteologizzazione del diritto ecclesiale e, al contrario, le obiezioni stesse contro una presunta sua teologizzazione. Non si tratta invero di una „teologizzazione”, ma di prendere in seria considerazione i principi teologici, grazie ai quali il dialogo con la cultura giuridica diventa possibile e razionale.
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Agazzi, Evandro. "Il dolore e la sofferenza umana alla luce della ragione e della fede cristiana". Medicina e Morale 61, n.º 5 (30 de octubre de 2012). http://dx.doi.org/10.4081/mem.2012.121.

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Il dolore e la sofferenza sono realtà negative la cui evidenza non può essere dissolta da sottili disquisizioni filosofiche. L’essere umano cerca di “dare una ragione e un senso” alla realtà che lo circonda, ma non riesce a farlo per la zona della realtà costituita dal male (ossia non trova una risposta razionale alla domanda “perché il male?”). Nell’ambito puramente “mondano” il male rimane un enigma, ma diventa un autentico problema quando si ammetta l’esistenza di Dio: “problema del male” e “problema di Dio” si condizionano mutuamente. “Se Dio esiste, da dove viene il male?” Non può venire da lui (tutto ciò che esiste è di per sé buono), ma è solo prodotto dal cattivo uso che l’uomo fa del suo libero arbitrio (male “morale”) e Dio “tollera” questo male perché rispetta il libero arbitrio umano. Dolore e sofferenza (male detto talora “fisico”) sono conseguenza (come espiazione) del male morale e Dio, pur essendo infinitamente buono e onnipotente, non li elimina perché è anche sommamente giusto. Questa la risposta più classica della teodicea. Essa tuttavia non spiega per davvero il dolore dell’innocente. In conclusione, il male rimane sostanzialmente inintelligibile utilizzando le categorie della razionalità umana e l’unica risorsa per una filosofia davvero razionalista (ossia che ritiene che una ragione deve esserci per ogni aspetto della realtà), è quella di ammettere che tale “ragione” supera le limitatezze della ragione umana e con ciò si apre verso l’accettazione della razionalità divina. La tesi che dolore e sofferenza umana sono espiazione del male morale è esplicitamente respinta da Gesú nel Vangelo ed egli ha compiuto molte opere miracolose per alleviare questi mali. D’altro canto ha liberamente accettato per se stesso il dolore, la sofferenza e la morte, mostrando così concretamente che anche Dio può soffrire, ma la sua resurrezione mostra nello stesso tempo l’onnipotenza di Dio, offrendo una risposta non concettuale, ma concreta alla compatibilità di dolore e onnipotenza divina. L’uomo è così invitato a combattere assieme a Dio dolore e sofferenza mediante opere effettive, e nello stesso tempo a dare un senso escatologico al dolore e al male presente nel mondo fondandosi sulla bontà e onnipotenza di Dio. Gesù ha anche rotto la spontanea convinzione che il male compiuto debba essere espiato infliggendo altro male (la pena) a chi lo commette. Due mali non si compensano, bensì si sommano. La compensazione del male consiste nel perdono, che ne spezza la spirale esterna, mentre il pentimento ripara la ferita interna che la colpa infligge all’animo di colui che la commette. Tutto ciò rientra nella nuova visione dei rapporti che debbono legare gli uomini fra di loro e con Dio, ossia la prospettiva dell’amore, anche se rimane pur sempre misterioso per la ragione umana perché l’amore debba passare attraverso il dolore come sua prova. ---------- Pain and suffering are negative realities whose evidence cannot be dissolved by subtle philosophical arguments. The human being tries to “find a reason and a sense” for the whole of reality surrounding him, but is unable to do this for that portion of reality constituted by evil (i.e. he cannot answer the question, “why evil?”). On the purely mundane plane evil remains an enigma but becomes a real problem when the existence of God is admitted: “problem of evil” and “problem of God” are mutually interrelated. If God exists “from where does evil come?” It cannot come from God (everything that exists is good in itself) but is produced by man when he makes bad use of his free will (moral evil) and God “tolerates” this evil because he respects human free will. Pain and suffering (often called “physical evil”) are the consequence of moral evil (are its expiation) and God, though being infinitely good and omnipotent, does not eliminate them because he is at the same time infinitely just. This is the most classical answer of theodicy. It does not really explain, however, the suffering of the innocent. In conclusion, evil remains essentially unintelligible by using the categories of human reason, and the only way out for a genuinely rationalist philosophy (i.e. a philosophy according to which there is a reason for whatever exists) is that of admitting that such a “reason” oversteps the limits of human rationality and in such a way opens itself to the admission af a divine rationality. The claim that pain and suffering are the expiation of moral evil is explicitly rejected by Jesus in the Gospel, and he has accomplished several miraculous works in order to diminish their impact. On the other hand, he has freely accepted pain, suffering and even death for himself, concretely showing in such a way that God himself can suffer, but his resurrection shows at the same time the omnipotence of God, thereby offering not a conceptual but a concrete answer to the question of the compatibility of pain with divine omnipotence. Hence man is invited to fight with God against pain and suffering by dong good works and at the same time to give a positive eschatological sense to the pain and evil that are present in the world, relying on God’s goodness and omnipotence. Jesus has also broken the spontaneous conviction that the evil committed must be compensated by another evil (the punishment) inflicted on the person who has committed it. Two evils do not compensate each other, but they sum up. The compensation of evil consists in forgiveness, that breaks the external spiral of evil, while repentance heals the internal wound that the wrong action produces in the soul of the person committing it. All this is part of the new perspective regarding the relations that humans must entertain among themselves and with God, that is, the perspective of love, though it still remains mysterious for human reason why love should pass through pain as its test.
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Guerra López, Rodrigo. "El personalismo en el Magisterio de Juan Pablo II Elementos para valorar la trascendencia de la comprensión personalista en la renovación del pensamiento cristiano contemporáneo". Medicina e Morale 58, n.º 1 (28 de febrero de 2009). http://dx.doi.org/10.4081/mem.2009.259.

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Il contributo rappresenta una sintesi del pensiero di Giovanni Paolo II sul tema del Personalismo. Alla ricostruzione della prima fase di questo pensiero (come Karol Wojtyla), segue una dettagliata esplicitazione dei punti di continuità e discontinuità tra la prima e la seconda (quella rappresentata da Giovanni Paolo II). Il lavoro approfondisce in particolare la filosofia implicita al Suo Magistero Pontificio e le considerazioni sul rapporto tra fede e ragione. Il parere dell’Autore, è che, sebbene occorra una certa “distanza storica” per effettuare una valutazione più ponderata, ci sono molte buone ragioni per affermare, sin da ora, che Giovanni Paolo II sarà riconosciuto nella storia della Chiesa e del mondo come un nuovo punto di riferimento pastorale, teologico e filosofico. ---------- The contribution represents a synthesis of the John Paul II’s thought on the theme of Personalism. A detailed explanation of the points of continuity and discontinuity between the first phase of this thought (as Karol Wojtyla) and the second (as John Paul II) follows the reconstruction of the first one. In particular, the work studies the implicit philosophy in His Pontifical Teaching and the considerations on the faith-reason relationship. The opinion of the author, is that, although a certain “historical distance” to realize a more serious evaluation needs, there are many good reasons to affirm, since now, that John Paul II will be recognized in the history of the Church and the world as a new point of pastoral, theological and philosophical reference.
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Sgreccia, Elio. "L’insegnamento di Giovanni Paolo II sulla vita umana La prospettiva cristocentrica". Medicina e Morale 56, n.º 5 (30 de octubre de 2007). http://dx.doi.org/10.4081/mem.2007.301.

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L’articolo intende ricostruire il pensiero di Giovanni Paolo II sulla vita umana, così come risulta dal suo insegnamento, sottolineandone la concezione sulla dignità e il valore dell’uomo. Dopo un’attenta analisi dell’ambiente culturale in cui si svolge e si colloca il suo pensiero, l’Autore pone in evidenziare i punti fondativi delle sue argomentazioni filosofico-teologiche in risposta alla cultura laica. Di fronte alla cultura secolarista, infatti, egli assunse una posizione epistemologica imperniata sull’incontro di tre ambiti del sapere: il sapere scientifico, il sapere antropologico (inteso come incontro tra fede e ragione) e il sapere etico. Tale incontro avviene ponendo al vertice il sapere antropologico, come in forma di un triangolo ideale. La concezione antropologica plenaria – che abbraccia e unifica tutte le dimensioni che il pensiero cristiano anche nel periodo della modernità ha esaminato – assume così valore centrale nella speculazione del Pontefice: da un lato, con essa si intende sottolineare come la vita del corpo nella sua condizione terrena viene a partecipare della inviolabilità per la sua unione alla persona e per la sua partecipazione alla sua dignità che deriva dal Creatore. Dall’altro, il personalismo etico di Giovanni Paolo II si arricchisce di due elementi essenziali: la creaturalità e l’inserimento in Cristo. La comprensione del valore della vita del singolo uomo in qualsiasi condizione e momento della sua esistenza è così ricondotto a queste due polarità: l’uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio, ma l’Immagine perfetta e vivente di Dio è l’uomo, Cristo Gesù per cui ciascuno di noi è figlio nel Figlio. Le due polarità sono così riassunte nell’incontro dell’antropologia con la Cristologia. ---------- The article aims to reconstruct John Paul II’s thought on human life, as it results from his teaching, underlining the conception on the dignity and the value of human being. After a careful analysis of the cultural environment in which his thought develops and takes place, the author shows the fundamental point of his philosophical- theological reasoning in reply to the secular culture. In front of the secular culture, in fact, he assumed an epistemological position hinged on the meeting of three spheres of knowledge: scientific knowledge, anthropological knowledge (understood as the meeting between faith and reason) and ethical knowledge. Such meeting happens setting to the vertex the anthropological knowledge, as in form of an ideal triangle. The complete anthropological conception – that embraces and unifies all the dimensions that the Christian thought has examined even in the period of the modernity – assumes, so, a central value in the speculation of the Pontiff: from one side, with it he intends to underline how the life of the body in its terrestrial condition comes to participate of the inviolability for its union to the person and for its sharing its dignity that derives from the Creator. From the other, the ethical personalism of John Paul II is enriched by two essential elements: the creatural nature and the insertion in Christ. The understanding of the value of the life of the single man in any condition and moment of his existence it is so brought back to these two polarities: the man is created to image and similarity of God, but the perfect and living image of God is the man Jesus Christ for which every of us is son in the Son. This two polarities are so reassumed in the meeting of the anthropology with the Christology.
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Ciarocchi, Valerio. "Repertori dei movimenti ecclesiali". De Musica, 21 de julio de 2022. http://dx.doi.org/10.54103/2465-0137/17760.

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Il presente contributo muove da considerazioni generali sul valore educativo della musica e sulle caratteristiche della musica sacra per offrire alcune riflessioni sul rapporto tra musica liturgica e mistagogia, sulle ragioni della necessità di tale rapporto, sulle sue esigenze, su ciò che implica e quali sono i suoi obiettivi attesi. Tratteremo i repertori di alcuni movimenti ecclesiali significativi sia per la loro struttura consolidata, sia per il gran numero di aderenti. Sono gruppi strutturati con un proprio programma e statuti, approvati dalla Chiesa cattolica, che hanno riconosciuto, ciascuno con le proprie peculiarità e differenziazioni, la necessità di conciliare musica liturgica e mistagogia nel proprio itinerario di fede. Daremo uno sguardo più da vicino ai loro repertori e faremo alcune considerazioni su di essi. Prenderemo in considerazione anche quei repertori che non sono espressione diretta dei movimenti, ma sono ampiamente utilizzati nelle parrocchie e nelle comunità, talvolta utilizzati dagli stessi movimenti insieme ai propri.
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Huss, Bernhard. "Der wissende Pilger und der unwissende Reisende. Eine kursorische Lektüre des XXVI. Gesangs von Dantes Inferno". Deutsches Dante-Jahrbuch 91, n.º 1 (8 de enero de 2016). http://dx.doi.org/10.1515/dante-2016-0005.

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RiassuntoQuesta lettura cursoria si propone di trattare il fondamentale problema del giudizio etico sul viaggio atlantico di Ulisse partendo dall’assunto che lo stesso Ulisse viene destinato da Dante alla condanna infernale e che le ragioni di tale scelta punitiva sono tuttora estremamente discusse dalla critica. Dal racconto autodiegetico dell’ultima azione della sua vita emerge l’immagine di un Ulisse viaggiatore ›inconsapevole‹: un uomo temerario di epoca precristiana, a cui manca necessariamente, così come al suo interlocutore Virgilio, qualsiasi tipo di ancoraggio teologico e di fede nella salvezza ultraterrena. Sulla base soprattutto della situazione comunicativa instauratasi nel canto XXVI, che esclude ›Dante‹, pellegrino consapevole, dal colloquio del poeta epico pagano con gli eroi epici dell’antichità precristiana, si mette qui in evidenza come il canto intenda fornire l’esplicita rappresentazione di un dislivello informativo escatologicamente determinato (ed escatologicamente determinante). Soltanto all’orizzonte conoscitivo cristiano si dischiude la consapevolezza che il pagano Ulisse, scaltrito e abilissimo negli inganni, si converte con la sua traversata marittima in un uomo ingannato e fuorviato, al quale la cognizione del vero significato del proprio agire rimane costantemente inattingibile persino nell’inferno.
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Laffitte, Jean. "Creati per amare: la sessualità umana secondo Giovanni Paolo II". Medicina e Morale 56, n.º 5 (30 de octubre de 2007). http://dx.doi.org/10.4081/mem.2007.303.

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A partire dalla seconda metà del secolo scorso, la Chiesa si è trovata a dover ripensare i rapporti tra fede, teologia e antropologia in problematiche nuove come, ad esempio, la sessualità umana. Interprete privilegiato di questa rielaborazione è stato, senza dubbio, Giovanni Paolo II che in più occasioni ha avuto modo di riflettere e illustrare la teologia, la antropologia e l’etica che sostengono la visione cristiana della sessualità umana. Di questa vasta produzione, l’articolo prende in esame soprattutto le Catechesi di Giovanni Paolo II con frequenti richiami e illustrazioni del pensiero del filosofo Karol Wojty´la. L’analisi dell’autore prende le mosse dall’esposizione di Giovanni Paolo II dei dati creaturali dei tre primi capitoli del libro della Genesi, esaminando, in particolar modo, i significati fondamentali della solitudine originaria dell’uomo verso la creazione e poi il rapporto maschio-femmina. Vengono illustrati quindi l’esperienza dell’amore e l’ethos del dono: l’esperienza cristiana è presentata dal Pontefice come evento e saggezza e legata all’esperienza di amore che l’uomo sperimenta nel rapporto di filiazione che lo unisce a Dio; l’esperienza dell’amore coniugale ruota attorno alla corporeità umana e ai suoi valori/significati. Il corpo assume dunque un significato sponsale che conserva anche dopo la caduta, testimonianza dell’innocenza originaria e della libertà del dono. In tale contesto l’esperienza dell’amore è vissuta come mediazione di una conoscenza che va al di là della persona dell’amato aprendo l’orizzonte al dono divino anteriore. Nella seconda parte del contributo si prendono in esame i significati dell’amore e l’esperienza etica della sessualità così come sviluppati da Giovanni Paolo II: nella corporeità umana, in cui è impressa la complementarietà biologica, vi è una chiamata alla comunione che non è solo comunione tra i due sessi, ma che rimanda a una divina comunione di Persone. L’autore esamina anche l’esercizio della sessualità in rapporto alla legge naturale intesa come conformità alla ragione umana protesa verso la verità. Tale conformità conduce alla retta comprensione dell’intima struttura dell’atto coniugale, la cui “verità ontologica” si manifesta nell'inscindibilità delle due dimensioni unitiva e procreativa. In questa ampia visione della sessualità è compreso anche il mistero dell’amore nuziale tra Cristo e la Chiesa: la comunione di vita e d’amore tra l’uomo e la donna ha come missione propria di significare e rendere attuale l’unione tra Cristo e la sua Chiesa. L’articolo termina con l’analisi del legame tra corpo e sacramento e della dimensione sacrificale e nuziale del dono eucaristico. ---------- Since the second half of the last century, the Church has found herself having to rethink the relationship between faith, theology, and anthropology within new problems concerning, for example, human sexuality. Without any doubt, a privileged interpreter of this reprocessing was John Paul II, who on more occasions had a way of reflecting upon and illustrating the theology, anthropology, and ethics that support the Christian vision of human sexuality. Out of the vast work produced, the article examines especially the Catecheses of John Paul II with frequent appeals to and illustrations of the thought of Karol Wojty´la. The author’s analysis begins its quest with John Paul II’s exposition of creatural data in the first three chapters of the Book of Genesis, examining in particular the fundamental meanings of the original solitude of man toward creation and then the relationship between male and female. The experience of love and the ethos of gift thus come to be illustrated: Christian experience is presented by the Pontiff as event and wisdom and is connected to the experience of love that man experiences in the relationship of filiation that unites Him to God. The experience of conjugal love revolves around human corporeity and its values/meanings. The body thus assumes a spousal meaning that remains even after the Fall, serving as testimony of original innocence and the freedom of gift. Within such a context, the experience of love is lived out as the mediation of knowledge that goes beyond the person of the loved, opening up the horizon to the earlier divine gift. In the second part of this contribution, the meanings of love and the ethical experience of sexuality as such are examined as developments by John Paul II: In human corporeity, upon which biological complementarity is impressed, there is a call to communion that is not only communion between the two sexes, but which refers back to a divine communion of Persons. The author also examines the exercise of sexuality in relation to a natural law intended as conformity to a human reason reaching toward truth. Such conformity leads to the proper understanding of the intimate structure of the conjugal act, whose “ontological truth” manifests itself through the inseparability of the two dimensions: unitive and the procreative. Within this comprehensive vision of sexuality also resonates the mystery of nuptial love between Christ and the Church: The communion of life and love between man and woman that has as its own mission to signify and render present the union between Christ and His Church. The article ends with an analysis of the connection between body and sacrament and of the sacrificial and nuptial dimension of the Eucharistic gift.
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Hoskins, Andrew y Pavel Shchelin. "The War Feed: Digital War in Plain Sight". American Behavioral Scientist, 21 de diciembre de 2022, 000276422211448. http://dx.doi.org/10.1177/00027642221144848.

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Today’s Russian war against Ukraine is unique in its unfolding through a prism of personalized realities, made and remade for individuals, in what we call the “war feed.” This is a new disruptor of war fought in plain sight, revolutionizing both war and media, in and through a frenzy of participation in immediate yet continuous, personalized yet global, digital feeds. The war feed renders the war in and against Ukraine up close and personal. Never have so many images and videos of human suffering and death in war been so quickly available, streaming from the battlefield. A digital multitude posting, liking, sharing, and applauding each individual image or short form video, are all participants in a fractalized psychological war. In this article we propose that the war feed transforms the way war today is perceived, participated in, and fought over, but also how it will be remembered and forgotten. We focus on the messaging app Telegram as a rapidly evolving weapon of psychological warfare, which utterly disrupts the relationship between the showing, hiding, and the seeing of modern war. There seems little point in raging against ineffectual moderation and regulation of social media platforms, whilst the world burns on Telegram.
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Golser, Karl. "La fondazione filosofico-teologica dell’etica dell’ambiente". Medicina e Morale 54, n.º 1 (28 de febrero de 2005). http://dx.doi.org/10.4081/mem.2005.409.

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Storicamente si può affermare che la Santa Sede è stata all’avanguardia nell’attenzione posta ai problemi ecologici, perché le sue prime prese di posizione risalgono all’inizio degli anni ‘70. Un’etica teologica cattolica si è sviluppata dalla metà degli anni ’80, dopo che le scienze bibliche hanno dovuto confutare l’accusa che l’antropocentrismo della Bibbia sia stata una delle cause dello sfruttamento della terra. Le ragioni storiche di un atteggiamento sbagliato verso la natura sono da vedere piuttosto nel pensiero filosofico moderno che si è sviluppato spesso in contrapposizione al cristianesimo, mentre la Bibbia e la teologia hanno in verità una visione teocentrica della creazione. I tentativi filosofici, che al posto dell’uomo vogliono mettere al centro della riflessione etica la natura stessa o la vita o anche la possibilità di soffrire, non hanno consistenza perché soltanto la persona umana come essere consapevole e libero può assumersi una responsabilità etica. Bisogna però tener conto di tutte le altre creature che in quanto create hanno una loro dignità propria. Essere creati significa essere relazionati a Dio; la fede in Dio Creatore comporta così un l’antropocentrismo relazionale. Da questi presupposti può essere sviluppata un’etica ecologica teologica che ha due percorsi, uno che insiste sul cambiamento necessario degli atteggiamenti di fondo verso la natura (le virtù ecologiche), ed uno che da determinati principi e da esperienze consolidate formula delle norme concrete per l’agire ecologico responsabile. ---------- Historically, one can say that the Holy See has been a pioneer for the attention paid to ecological issues, as it started taking a stance on the topic already in the early ‘70s of XX century. A catholic theological ethics was developed in the mid-‘80s, after the biblical sciences had to refuse the accusation that made biblical anthropocentrism one of the main causes of the exploitation of the earth. The historical reasons for a wrong attitude toward nature are to be found instead in the contemporary philosophical thinking that often developed against Christianity, while theology and the Bible promote a theocentric vision of creation. The philosophical attempts that place nature or life, or even the chance to suffer in lieu of man at the center of the ethical way of thinking, have no grounds because only human beings, self-aware and free, can take ethical responsibility. One needs to consider all creatures that, being created, have a dignity of their own. Being created means having a relation with God. Hence, the faith in the Creator involves a relational anthropocentrism. Departing from such assumptions, a theological environmental ethics can be developed along two paths, one insisting on the necessary change of the basic stance toward nature (i.e. ecological virtues), the other starting from recognized principles and experiences and postulating actual rules for responsible ecological behavior.
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Zuliani, Federico. "En samling politiske håndskrifter fra slutningen af det 16. århundrede : Giacomo Castelvetro og Christian Barnekows bibliotek". Fund og Forskning i Det Kongelige Biblioteks Samlinger 50 (29 de abril de 2015). http://dx.doi.org/10.7146/fof.v50i0.41248.

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Federico Zuliani: Una raccolta di scritture politiche della fine del sedicesimo secolo. Giacomo Castelvetro e la biblioteca di Christian Barnekow. Alla pagina 68 recto del manoscritto Vault Case Ms. 5086, 73/2, Newberry Library, Chicago, ha inizio il “Registro di tutte le scritture politiche del S[igno]r Christiano Bernicò”. Il testo è preceduto da un altro elenco simile, sebbene più breve, che va sotto il titolo di “Memoriale D’alcune scritture politiche, che furon donate alla Reina Maria Stuarda Prigioniera in Inghilterra l’anno di salute m.d.lxxxiii. Dal S[igno]re di Cherelles”. Il manoscritto 5086, 73/2 fa parte di una collezione di dieci volumi (originariamente undici) appartenuti a Giacomo Castelvetro e oggi conservati negli Stati Uniti. I codici, le cui vicende di trasmissione sono, in parte, ancora poco chiare, furono sicuramente compilati da Castelvetro durante il periodo che passò in Danimarca, tra l’estate del 1594 e l’autunno del 1595. Il soggiorno danese di Castelvetro ha ricevuto attenzioni decisamente minori di quelle che invece meriterebbe. Alla permanenza in Danimarca è riconducibile infatti l’opera più ambiziosa dell’intera carriera del letterato italiano: vi vennero assemblati, con l’idea di darli poi alle stampe, proprio i volumi oggi negli Stati Uniti. La provenienza è provata tanto dall’indicazione, nei frontespizi, di Copenaghen come luogo di composizione, quanto dalle annotazioni autografe apportate da Castelvetro, a conclusione dei testi, a ricordare quando e dove fossero stati trascritti; oltre a Copenaghen vi si citano altre due località, Birkholm e Tølløse, entrambe sull’isola danese di Sjællad, ed entrambe amministrate da membri dell’influente famiglia Barnekow. E’ a Giuseppe Migliorato che va il merito di aver identificato per primo in Christian Barnekow il “Christiano Bernicò” della lista oggi alla Newberry Library. Christian Barnekow, nobile danese dalla straordinaria cultura (acquisita in uno studierejse durato ben diciassette anni), a partire dal 1591 fu al servizio personale di Cristiano IV di Danimarca. Barnekow e Castelvetro si dovettero incontrare a Edimburgo, dove il primo era giunto quale ambasciatore del monarca danese e dove il secondo si trovava già dal 1592, come maestro di italiano di Giacomo Stuart e di Anna di Danimarca, sorella di Cristiano IV. Sebbene non si possa escludere un ruolo di Anna nell’introdurli, è più probabile che sia stata la comune amicizia con Johann Jacob Grynaeus a propiziarne la conoscenza. Il dotto svizzero aveva infatti dato ospitalità a Barnekow, quando questi era studente presso l’università di Basilea, ne era divenuto amico e aveva mantenuto i rapporti nel momento in cui il giovane aveva lasciato la città elvetica. Grynaeus era però anche il cognato di Castelvetro il quale aveva sposato Isotta de’ Canonici, vedova di Thomas Liebler, e sorella di Lavinia, moglie di Grynaeus sin dal 1569. Isotta era morta però nel marzo del 1594, in Scozia, ed è facile immaginare come Barnekow abbia desiderato esprimere le proprie condoglianze al marito, cognato di un suo caro amico, e vedovo di una persona che doveva aver conosciuto bene quando aveva alloggiato presso la casa della sorella. Castelvetro, inoltre, potrebbe essere risultato noto a Barnekow anche a causa di due edizioni di opere del primo marito della moglie curate postume dal letterato italiano, tra il 1589 e il 1590. Thomas Liebler, più famoso con il nome latinizzato di Erasto, era stato infatti uno dei più acerrimi oppositori di Pietro Severino, il celebre paracelsiano danese; Giacomo Castelvetro non doveva essere quindi completamente ignoto nei circoli dotti della Danimarca. La vasta cultura di Christian Barnekow ci è nota attraverso l’apprezzamento di diversi suoi contemporanei, quali Grynaeus, Jon Venusinus e, soprattutto, Hans Poulsen Resen, futuro vescovo di Sjælland e amico personale di Barnekow a cui dobbiamo molte delle informazioni in nostro possesso circa la vita del nobile danese, grazie all’orazione funebre che questi tenne nel 1612 e che venne data alle stampe l’anno successivo, a Copenaghen. Qui, ricordandone lo studierejse, il vescovo raccontò come Barnekow fosse ritornato in Danimarca “pieno di conoscenza e di storie” oltre che di “relazioni e discorsi” in diverse lingue. Con questi due termini l’ecclesiastico danese alludeva, con tutta probabilità, a quei documenti diplomatici, relazioni e discorsi di ambasciatori, per l’appunto, che rientravano tra le letture preferite degli studenti universitari padovani. La lista compilata da Castelvetro, dove figurano lettere e istrutioni ma, soprattutto, relationi e discorsi, era un catalogo di quella collezione di manoscritti, portata dall’Italia, a cui fece riferimento l’ecclesiastico danese commemorando Christian Barnekow. Tutti coloro i quali si sono occupati dei volumi oggi negli Stati Uniti si sono trovati concordi nel ritenerli pronti per la pubblicazione: oltre alle abbondanti correzioni (tra cui numerose alle spaziature e ai rientri) i volumi presentano infatti frontespizi provvisori, ma completi (con data di stampa, luogo, impaginazione dei titoli – a loro volta occasionalmente corretti – motto etc.), indici del contenuto e titolature laterali per agevolare lettura e consultazione. Anche Jakob Ulfeldt, amico e compagno di viaggi e di studi di Barnekow, riportò a casa una collezione di documenti (GKS 500–505 fol.) per molti aspetti analoga a quella di Barnekow e che si dimostra di grande importanza per comprendere peculiarità e specificità di quella di quest’ultimo. I testi di Ulfeldt risultano assemblati senza alcuna coerenza, si rivelano ricchi di errori di trascrizione e di grammatica, e non offrono alcuna divisione interna, rendendone l’impiego particolarmente arduo. Le annotazioni di un copista italiano suggeriscono inoltre come, già a Padova, potesse essere stato difficoltoso sapere con certezza quali documenti fossero effettivamente presenti nella collezione e quali si fossero smarriti (prestati, perduti, pagati ma mai ricevuti…). La raccolta di Barnekow, che aveva le stesse fonti semi-clandestine di quella dell’amico, doveva trovarsi in condizioni per molti versi simili e solo la mano di un esperto avrebbe potuto portarvi ordine. Giacomo Castelvetro – nipote di Ludovico Castelvetro, uno dei filologi più celebri della propria generazione, e un filologo egli stesso, fluente in italiano, latino e francese, oltre che collaboratore di lunga data di John Wolfe, editore londinese specializzato nella pubblicazione di opere italiane – possedeva esattamente quelle competenze di cui Barnekow aveva bisogno e ben si intuisce come mai quest’ultimo lo convinse a seguirlo in Danimarca. I compiti di Castelvetro presso Barnekow furono quelli di passarne in rassegna la collezione, accertarsi dell’effettivo contenuto, leggerne i testi, raggrupparli per tematica e area geografica, sceglierne i più significativi, emendarli, e prepararne quindi un’edizione. Sapendo che Castelvetro poté occuparsi della prima parte del compito nei, frenetici, mesi danesi, diviene pure comprensibile come mai egli portò con sé i volumi oggi negli Stati Uniti quando si diresse in Svezia: mancava ancora la parte forse più delicata del lavoro, un’ultima revisione dei testi prima che questi fossero passati a un tipografo perché li desse alle stampe. La ragione principale che sottostò all’idea di pubblicare un’edizione di “scritture politiche” italiane in Danimarca fu la presenza, in tutta l’Europa centro settentrionale del tempo, di una vera e propria moda italiana che i contatti tra corti, oltre che i viaggi d’istruzione della nobiltà, dovettero diffondere anche in Danimarca. Nel tardo Cinquecento gli autori italiani cominciarono ad essere sempre più abituali nelle biblioteche private danesi e la conoscenza dell’italiano, sebbene non completamente assente anche in altri settori della popolazione, divenne una parte fondamentale dell’educazione della futura classe dirigente del paese nordico, come prova l’istituzione di una cattedra di italiano presso l’appena fondata Accademia di Sorø, nel 1623. Anche in Danimarca, inoltre, si tentò di attrarre esperti e artisti italiani; tra questi, l’architetto Domenico Badiaz, Giovannimaria Borcht, che fu segretario personale di Frederik Leye, borgomastro di Helsingør, il maestro di scherma Salvator Fabris, l’organista Vincenzo Bertolusi, il violinista Giovanni Giacomo Merlis o, ancora, lo scultore Pietro Crevelli. A differenza dell’Inghilterra non si ebbero in Danimarca edizioni critiche di testi italiani; videro però la luce alcune traduzioni, anche se spesso dal tedesco, di autori italiani, quali Boccaccio e Petrarca, e, soprattutto, si arrivò a pubblicare anche in italiano, come dimostrano i due volumi di madrigali del Giardino Novo e il trattato De lo schermo overo scienza d’arme di Salvator Fabris, usciti tutti a Copenaghen tra il 1605 e il 1606. Un’ulteriore ragione che motivò la scelta di stampare una raccolta come quella curata da Castelvetro è da ricercarsi poi nello straordinario successo che la letteratura di “maneggio di stato” (relazioni diplomatiche, compendi di storia, analisi dell’erario) godette all’epoca, anche, se non specialmente, presso i giovani aristocratici centro e nord europei che studiavano in Italia. Non a caso, presso Det Kongelige Bibliotek, si trovano diverse collezioni di questo genere di testi (GKS 511–512 fol.; GKS 525 fol.; GKS 500–505 fol.; GKS 2164–2167 4º; GKS 523 fol.; GKS 598 fol.; GKS 507–510 fol.; Thott 576 fol.; Kall 333 4º e NKS 244 fol.). Tali scritti, considerati come particolarmente adatti per la formazione di coloro che si fossero voluti dedicare all’attività politica in senso lato, supplivano a una mancanza propria dei curricula universitari dell’epoca: quella della totale assenza di qualsivoglia materia che si occupasse di “attualità”. Le relazioni diplomatiche risultavano infatti utilissime agli studenti, futuri servitori dello Stato, per aggiornarsi circa i più recenti avvenimenti politici e religiosi europei oltre che per ottenere informazioni attorno a paesi lontani o da poco scoperti. Sebbene sia impossibile stabilire con assoluta certezza quali e quante delle collezioni di documenti oggi conservate presso Det Kongelige Bibliotek siano state riportate in Danimarca da studenti danesi, pare legittimo immaginare che almeno una buona parte di esse lo sia stata. L’interesse doveva essere alto e un’edizione avrebbe avuto mercato, con tutta probabilità, anche fuori dalla Danimarca: una pubblicazione curata filologicamente avrebbe offerto infatti testi di gran lunga superiori a quelli normalmente acquistati da giovani dalle possibilità economiche limitate e spesso sprovvisti di una padronanza adeguata delle lingue romanze. Non a caso, nei medesimi anni, si ebbero edizioni per molti versi equivalenti a quella pensata da Barnekow e da Castelvetro. Nel 1589, a Colonia, venne pubblicato il Tesoro politico, una scelta di materiale diplomatico italiano (ristampato anche nel 1592 e nel 1598), mentre tra il 1610 e il 1612, un altro testo di questo genere, la Praxis prudentiae politicae, vide la luce a Francoforte. La raccolta manoscritta di Barnekow ebbe però anche caratteristiche a sé stanti rispetto a quelle degli altri giovani danesi a lui contemporanei. Barnekow, anzitutto, continuò ad arricchire la propria collezione anche dopo il rientro in patria come dimostra, per esempio, una relazione d’area fiamminga datata 1594. La biblioteca manoscritta di Barnekow si distingue inoltre per l’ampiezza. Se conosciamo per Ulfeldt trentadue testi che questi portò con sé dall’Italia (uno dei suoi volumi è comunque andato perduto) la lista di “scritture politiche” di Barnekow ne conta ben duecentoottantaquattro. Un’altra peculiarità è quella di essere composta inoltre di testi sciolti, cioè a dirsi non ancora copiati o rilegati in volume. Presso Det Kongelige Bibliotek è possibile ritrovare infatti diversi degli scritti registrati nella lista stilata da Castelvetro: dodici riconducibili con sicurezza e sette per cui la provenienza parrebbe per lo meno probabile. A lungo il problema di chi sia stato Michele – una persona vicina a Barnekow a cui Castelvetro afferma di aver pagato parte degli originali dei manoscritti oggi in America – è parso, di fatto, irrisolvibile. Come ipotesi di lavoro, e basandosi sulle annotazioni apposte ai colophon, si è proposto che Michele potesse essere il proprietario di quei, pochi, testi che compaiono nei volumi oggi a Chicago e New York ma che non possono essere ricondotti all’elenco redatto da Castelvetro. Michele sarebbe stato quindi un privato, legato a Barnekow e a lui prossimo, da lui magari addirittura protetto, ma del quale non era al servizio, e che doveva avere presso di sé una biblioteca di cui Castelvetro provò ad avere visione al fine di integrare le scritture del nobile danese in vista della sua progettata edizione. Il fatto che nel 1596 Michele fosse in Italia spiegherebbe poi come potesse avere accesso a questo genere di opere. Che le possedesse per proprio diletto oppure che, magari, le commerciasse addirittura, non è invece dato dire. L’analisi del materiale oggi negli Stati Uniti si rivela ricca di spunti. Per quanto riguarda Castelvetro pare delinearsi, sempre di più, un ruolo di primo piano nella diffusione della cultura italiana nell’Europa del secondo Cinquecento, mentre Barnekow emerge come una figura veramente centrale nella vita intellettuale della Danimarca a cavallo tra Cinque e Seicento. Sempre Barnekow si dimostra poi di grandissima utilità per iniziare a studiare un tema che sino ad oggi ha ricevuto, probabilmente, troppa poca attenzione: quello dell’importazione in Danimarca di modelli culturali italiani grazie all’azione di quei giovani aristocratici che si erano formati presso le università della penisola. A tale proposito l’influenza esercitata dalla letteratura italiana di “maneggio di stato” sul pensiero politico danese tra sedicesimo e diciassettesimo secolo è tra gli aspetti che meriterebbero studi più approfonditi. Tra i risultati meno esaurienti si collocano invece quelli legati all’indagine e alla ricostruzione della biblioteca di Barnekow e, in particolare, di quanto ne sia sopravvissuto. Solo un esame sistematico, non solo dei fondi manoscritti di Det Kongelige Bibliotek, ma, più in generale, di tutte le altre biblioteche e collezioni scandinave, potrebbe dare in futuro esiti soddisfacenti.
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