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Artículos de revistas sobre el tema "Pensiero della differenza sessuale"

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Del Bello, Sara. "donne di María Zambrano. L ’attualità del suo pensiero in una prospettiva filosofico-femminile." Bajo Palabra, n.º 25 (14 de junio de 2021): 239–50. http://dx.doi.org/10.15366/bp2020.25.011.

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L’attenzione che María Zambrano presta all’universo femminile si concretizza sia attraverso pagine di intensa riflessione socio-politica, sia grazie ad una ricerca linguistico-concettuale della quale le sue donne sono viva espressione. Toccando, in particolare, il mondo di Eloisa e Antigone, in questo breve spazio abbiamo l’opportunità di sviluppare temi quali la responsabilità, l’etica e la coscienza, grazie ad un’analisi politica, caratteristica fondamentale del suo pensiero, anche quando non si manifesta esplicitamente. E ancora una volta la filosofa spagnola fa sì che emergano i suoi tratti distintivi, spesso precursori di molti temi posteriori, come il pensiero della differenza sessuale.
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2

Valdrè, Rossella. "Sulla sublimazione: il destino indiretto della pulsione. Rivisitazione di un concetto fondante nella teoria, la clinica, l'arte e la Civiltà". PSICOTERAPIA PSICOANALITICA, n.º 2 (noviembre de 2022): 59–87. http://dx.doi.org/10.3280/psp2022-002004.

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Il lavoro presenta un'ampia revisione del concetto freudiano di su-blimazione, ripercorrendone la storia nel pensiero di Freud, l'evoluzione nel dopo-Freud, le controversie teoriche, e le vaste ricadu-te sull'arte, sulla Civiltà e sulla clinica. Autrice di un saggio sulla su-blimazione del 2014, l'autrice si domanda se si sia di fronte ad una scomparsa della sublimazione, apparentemente meno diffusa nel dibat-tito contemporaneo. In realtà, sotto mentite spoglie nelle diverse teoriz-zazioni, essa ha continuato ad operare nella clinica e nella collettività. Freud non vi dedicò mai un saggio specifico, per cui occorre ricavarla da tutto il suo pensiero, ma è considerato il Leonardo da Vinci l'opera dove meglio viene teorizzata. Sebbene Freud ponesse la sublimazione ad esito del percorso analitico e come necessità per la sopravvivenza dell'uomo e della Civiltà, negli scritti clinici si mostrò poco ottimista, data la difficoltà che l'uomo ha verso la rinuncia pulsionale. Per sublimazione si intende infatti un destino diverso della pulsione, un cambiamento di meta, che anziché dirigersi sull'oggetto sessuale, si sposta su altri oggetti, non più sessuali, ma in grado di dare ugualmente piacere. Gli investimenti sublimati alla meta comprendono l'amicizia, il lavoro, l'arte, il pensiero, fino alla fondazione della Cultura. Grazie al-la flessibilità pulsionale, l'uomo, a differenza dell'animale in cui gli istinti sono rigidi, può cambiare gli oggetti del desiderio, sostituirli con altri più adeguati, e avviarsi così al processo propriamente umano della simbolizzazione. La sublimazione implica una rinuncia all'oggetto, e questo ne fa un processo non facile per molti individui. Nel dopo Freud, la si è sostituita con la "riparazione", o ci si è spostati nell'area potenziale ma uscendo dalla metapsicologia non si può più, a rigore, parlare di sublimazione, sebbene l'esito pratico possa somigliarle. Ven-gono discusse le misteriose modalità dell'arte, il complesso rapporto con la pulsione di morte e il ruolo della contemporaneità.
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Weber, Carla. "Ambiguitŕ della differenza". EDUCAZIONE SENTIMENTALE, n.º 18 (septiembre de 2012): 28–44. http://dx.doi.org/10.3280/eds2012-018005.

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Il contributo, avvalendosi di un approccio clinico, considera l'identitŕ di genere in relazione ai processi di individuazione psichica e sessuale. Mette in evidenza come tali processi siano simultaneamente interni ed esterni, cioč non riconducibili solo alla base endogena del dato biologico, ma co-generati nelle relazioni primarie fin dal concepimento, e co-evolutivamente appresi nell'esperienza. Accanto al costrutto culturale di genere e alla differenza genitale del sesso, viene proposta la rilevanza dei codici affettivi inconsci, nella loro funzione di significanti dell'esperienza di sé e dell'altro che si esprime nella risonanza della relazione. Viene posta l'attenzione, inoltre, alla dimensione creativa della differenza in un margine d'individuazione possibile che rinvia ad un femminile e maschile, che si perturbano e si ibridano conflittualmente.
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4

Lembo, Pietro. "Tra beatitudine ed im-potere: note sull’avvenire del biopolitico (Deleuze vs Derrida)". Veritas (Porto Alegre) 63, n.º 2 (5 de octubre de 2018): 473. http://dx.doi.org/10.15448/1984-6746.2018.2.30123.

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partendo dal pensiero foucaultiano, ed in particolare dalla tesi secondo cui la rottura epistemologica tra sovranità e biopolitica avrebbe svelato la consustanzialità tra potere e vita, il presente contributo intende rintracciare nelle filosofie francesi della differenza, ossia nel pensiero di Deleuze e di Derrida, due filosofie della vita che, nel pensare il nesso tra vita e potere in modo antitetico, risultano imprescindibili qualora si voglia riflettere circa l’avvenire della bipolitica.
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5

Ansermet, François. "Scegliere il proprio sesso: usi contemporanei della differenza sessuale". RIVISTA SPERIMENTALE DI FRENIATRIA, n.º 2 (julio de 2014): 11–22. http://dx.doi.org/10.3280/rsf2014-002002.

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Paggi, Leonardo. "Gramsci, la mondializzazione e il pensiero della differenza". DEMOCRAZIA E DIRITTO, n.º 2 (enero de 2018): 37–46. http://dx.doi.org/10.3280/ded2017-002003.

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Trębski, Krzysztof. "LA QUESTIONE “GENDER”: UNA SFIDA PER L’ANTROPOLOGIA CRISTIANA". Forum Teologiczne 20 (13 de diciembre de 2019): 97–108. http://dx.doi.org/10.31648/ft.4806.

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La teoria del “gender” si riferisce all’opinione che l’identità sessuale non è determinata dal sesso biologico di una persona, ma indica il genere in cui un individuo si identifica in base ai propri desideri soggettivi. Tale teoria tratta le differenze tra i sessi come elettive e socialmente costruite. Sostiene che una persona può nascere con un corpo che non corrisponde all’identità maschile o femminile “percepita”. Questo ha profonde implicazioni sociali: nega la differenza e la reciprocità nella natura di un uomo e una donna e immagina una società senza differenze sessuali, eliminando così la base antropologica della famiglia.La Chiesa cattolica respinge questa ideologia, insegnando che Dio crea le persone come maschio o femmina e che il corpo e l’anima sono così uniti da formare un essere completo; quindi la differenza sessuale non è un incidente o un difetto, ma è un dono di Dio che aiuta le persone ad avvicinarsi l’uno all’altra e a Dio stesso. La Chiesa afferma altresì che il proprio sesso biologico fa parte del piano divino e che ogni persona dovrebbe riconoscere e accettare la propria identità sessuale basata sulla complementarietà dei sessi. Ogni persona è chiamata a sviluppare la propria identità sessuale in un modo che integri la propria mascolinità o femminilità nell’ambito delle relazioni con gli altri.L’articolo presenta l’insegnamento del Magistero della Chiesa cattolica e spiega che la complementarità tra i sessi non è intesa come fonte di oppressione o disuguaglianza, ma testimonia la bellezza del piano di Dio per l’umanità.
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Ferraro, Giuseppe. "Differenza epistemologica e identità ontologica tra Saṃsāra e Nirvāṇa nel pensiero buddhista". Trans/Form/Ação 35, n.º 1 (abril de 2012): 193–212. http://dx.doi.org/10.1590/s0101-31732012000100012.

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La differenza tra i concetti di saṃsāra e nirvāṇastabilita dal Buddha (VI-V sec. a.C.) nel suo primo sermone sembra essere messa in discussione dall'equiparazione dei due termini effettuata da Nāgārjuna (II sec. d.C.) in un passaggio-chiave delle sue MK. Questo articolo, in primo luogo, difende la tesi che la contraddizione sia soltanto apparente e che la relazione, di differenza o di identità, tra le due dimensioni dipende dal registro filosofico, rispettivamente epistemologico e ontologico, usato - in entrambi i casi per finalità soteriologiche - dal Buddha e da Nāgārjuna. In secondo luogo, cercheremo di provare che, in ogni caso, l'ontologia di Nāgārjuna, lungi dall'essere una novità filosofica o un'evoluzione rispetto al pensiero del fondatore del buddhismo è, al contrario, una delle possibili applicazioni della dottrina del non-sé (anātma-vāda) - probabilmente il contributo più importante e originale del pensiero buddhista alla storia della filosofia universale - esposta dal Buddha nel suo secondo sermone.
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Nunziante Cesarň, Adele y Anna Zurolo. "Il paradigma della seduzione materna: note storiche sui destini di un concetto freudiano". PSICOTERAPIA E SCIENZE UMANE, n.º 2 (junio de 2010): 169–88. http://dx.doi.org/10.3280/pu2010-002002.

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Viene proposta una riflessione intorno alle problematiche che si incontrano nella definizione della teoria della seduzione all'interno del pensiero freudiano. A partire da un dialogo serrato con i testi, vengono ricostruiti i punti salienti della teoria alla ricerca delle sue molteplici sopravvivenze nel sapere psicoanalitico, nonché gli aspetti di deriva e di smembramento cui verrŕ sottoposta; sarŕ possibile cosě ricostruire, accanto a una storia ufficiale del concetto, l'insorgenza di un paradigma, quello del sessuale materno, destinato a passare sotto silenzio. Il riferimento al lavoro di Laplanche consente di riposizionare, infine, tutti i resti precipitati dall'abbandono della teoria della seduzione e di discutere ciň che risulta materia per il riconoscimento di movimenti di epurazione della scoperta freudiana della sessualitŕ inconscia, all'opera in certa parte del sapere psicoanalitico.
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Vallini, Cristina. "Freud, Jung e la prova etimologica". STUDI JUNGHIANI, n.º 31 (julio de 2010): 69–91. http://dx.doi.org/10.3280/jun2010-031005.

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L'autrice esamina la diversa posizione di Freud e Jung riguardo all'utilizzo dei dati etimologici a disposizione all'inizio del ‘900. Dal confronto fra gli atteggiamenti dei due risulta per entrambi la convinzione che sia possibile riuscire a decifrare il geroglifico linguistico, interpretare il monosillabo aurorale, la "radice", deposito dei significati piů antichi. Freud utilizza i dati etimologici per confermare la propria idea sull'originario significato "opposto" delle parole primitive, e sul valore sessuale delle prime radici. Jung inquadra l'etimologia indeuropea nella sua teoria della creativitŕ della Libido, trovando riscontri con i momenti chiave del suo pensiero giŕ consapevolmente anti-freudiano.
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Zanelli, Silvia. "Attraverso Deleuze e Simondon: ontogenesi, processo e relazione". ACME 74, n.º 1 (26 de noviembre de 2021): 201–16. http://dx.doi.org/10.54103/2282-0035/16798.

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Obiettivo del presente contributo è tracciare una cartografia della nozione di individuazione, nella sua relazionalità con la dimensione del pre-individuale, lavorando tra il pensiero di Gilles Deleuze e Gilbert Simondon, attraverso un percorso di ripensamento dell’idea di umanità. Si vorrebbe cioè mostrare come sia possibile risemantizzare la vexata quaestio della “Fine dell’Uomo”, rileggendola piuttosto come un problema di con-fini e di margini, sempre attivi e divenienti. Al fine di mettere in luce questa costitutiva interrelazione fra il campo del pre-personale e dei processi di individuazione, si prenderanno in analisi i concetti di differenza, affettività e di “comunismo ontologico”.
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Simone, Anna. "Corpi a-normali. Eccedenze del diritto e norma eterossessuale". SOCIOLOGIA DEL DIRITTO, n.º 1 (julio de 2010): 65–79. http://dx.doi.org/10.3280/sd2010-001003.

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Norma eterosessuale - diritti differenzianti - status - normalizzazione. Tutte le costruzioni identitarie dei ruoli di genere legate al sesso biologico e all'orientamento sessuale partono da un assunto aprioristico voluto dal processo di "naturalizzazione" dei corpi e dalla relativa nascita della norma eterosessuale. Tale processo ha anche contribuito a costruire una cultura giuridica fondamentalmente sancita a partire dalla stessa norma eterosessuale. Il processo di naturalizzazione prima e di "normalizzazione" poi dei corpi, dei rispettivi ruoli di genere e delle relative condotte sessuali, assieme al diritto, ha cosě favorito la nascita di nuove forme di status (il gay, la lesbica, il trans etc.) che, anziché intaccare il diritto di famiglia e la norma eterosessuale che lo predetermina, ha favorito la nascita di "diritti differenzianti" a seconda dell'orientamento sessuale. D'altronde anche il dibattito consumatosi in Italia attorno ai diritti civili delle persone gay e lesbiche non ha mai preso in considerazione la fondazione antropologico-giuridica della norma eterosessuale nella cultura occidentale e nella cultura giuridica. Attraverso una breve ricostruzione genealogica della costituzione di codici culturali, sociali e giuridici predefiniti in occidente, nonché del tutto funzionali alla determinazione di una cultura giuridica fondata sulla norma eterosessuale, in questo articolo si rimettono in discussione le categorie di differenza ed eguaglianza.
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Di Pietro, Maria Luisa. "Sessualità umana: verità e significato. Una guida per i genitori". Medicina e Morale 45, n.º 2 (30 de abril de 1996): 209–35. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1996.913.

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L’articolo si propone di commentare il recente documento del Pontificio Consiglio per la Famiglia (PCF) su Sessualità umana: verità e significato. Orientamenti educativi in famiglia, il quale intende porsi non come un trattato di teologia morale né di psicologia, bensì un momento di formazione per i genitori, anzitutto. L’Autore affronta poi i due aspetti cardine del documento pontificio: l’antropologia di riferimento e le indicazioni metodologiche. Sul primo punto, il riferimento fondamentale è la persona nella sua totalità di spirito e corpo. E la sessualità è vista come modalità dell’essere da una parte, e dimensione relazionale dall’altra. Essa, perciò, è segno di reciprocità e di complementarità, e come tale naturalmente strutturata all’apertura e al dono all’altro. Sulle indicazioni metodologiche, l’articolo nota che nel documento del PCF si sostiene l’opportunità di educare la persona alla differenza sessuale e alla vita nel senso di una educazione del sentimento morale, ovvero dell’educazione alla gestione responsabile della libertà. Tale opera deve poter avvenire nella famiglia, primo luogo educativo, ad opera dei genitori, eventualmente aiutati - in modo sussidiario e subordinato - da opportune agenzie educative. L’articolo si conclude con le indicazioni che il documento del PCF fornisce sulle modalità educative: 1. informare formando e formare informando, secondo i criteri della verità, dell’adeguazione e dell’individualizzazione, della progressività, della tempestività, della decenza e del rispetto del fanciullo; 2. la diversificazione per epoca di sviluppo e per vocazione dell’individuo; 3. l’affrontamento in termini educativi di situazioni impegnative, come l’omosessualità e la prevenzione delle malattie a trasmissione sessuale.
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Migone, Paolo. "Vari modi di formare". PSICOTERAPIA E SCIENZE UMANE, n.º 4 (diciembre de 2011): 491–94. http://dx.doi.org/10.3280/pu2011-004007.

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Vengono discussi i seguenti tre punti: (1) Facendo riferimento a un dibattito che Paolo Migone ha avuto con André Green e Otto F. Kernberg sulla differenza tra psicoanalisi e psicoterapia (vedi pp. 215-234 del n. 2/2009 di Psicoterapia e Scienze Umane), si argomenta che non vi č differenza tra formazione in psicoanalisi e in psicoterapia nella misura in cui la psicoanalisi viene concepita non come una tecnica ma come una teoria generale declinata in diverse tecniche; (2) Princěpi psicoanalitici possono essere utilizzati anche nella formazione di terapeuti non psicodinamici, ai quali si puň mostrare come le stesse problematiche od operazioni cliniche, spesso chiamate in altro modo, sono presenti trasversalmente in diversi approcci; (3) Una rivista di psicoterapia, come ad esempio Psicoterapia e Scienze Umane (di cui l'Autore č condirettore), puň giocare un ruolo importante nella formazione dei professionisti della salute mentale perché puň accompagnare i lettori, nel corso degli anni, in percorsi di lettura che abituino al pensiero critico.
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Fiorelli, Fabio. "La scomparsa della realtà". PSICOTERAPIA PSICOANALITICA, n.º 2 (noviembre de 2021): 143–63. http://dx.doi.org/10.3280/psp2021-002010.

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In questo lavoro l'autore si interroga sulle possibili conseguenze delle trasformazioni attuali in campo tecnologico sulla teoria e sulla pratica psicoanalitiche. In particolare, viene presa in considerazione la progressiva "virtualizzazione" della realtà che molti autori, in ambito filosofico e no, rilevano. Se viene meno la nozione di realtà per come la si è sempre pensata - per esempio contrapposta alla fantasia e all'immaginazione - sono ancora valide le categorie che la psicoanalisi utilizza e che derivano da un pensiero che si è costituito prima che tali trasformazioni avvenissero? La stessa nozione di genealogia sembra in profonda trasformazione: come incide su alcuni dei fondamenti su cui la psicoanalisi poggia, per esempio la differenza tra le generazioni? Anche il corpo appare soggetto alla stessa opera di smaterializzazione e disseminazione; ne sarebbero testimonianza le opere recenti di artisti che utilizzano ciò che le nuove tecnologie mettono a disposizione. Non occorre allora ripensare alcuni fondamenti della psicoanalisi proprio a partire, però, dal metodo classico che può fornire comunque una sonda e uno sguardo scientifico su questa nuova categoria di umano che sembra andare costituendosi? Anche nell'ambito psicoanalitico stesso si sta riflettendo sull'impatto di tali cambiamenti, forse irreversibili, e confrontando con l'esigenza di individuare un possibile, ma probabil-mente necessario, punto di equilibrio tra la tradizione psicoanalitica, con i suoi strumenti di indagine, e il "nuovo" che si sta manifestando.
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Marcon, Alessandra y Elvira Pietrobon. "Deconstructing paradigms of Western thought". CRIOS, n.º 23 (octubre de 2022): 78–87. http://dx.doi.org/10.3280/crios2022-023008.

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Questo articolo ripercorre le due giornate del seminario Deconstructing paradigms of Western thought organizzato dalla Scuola di Dottorato in Urbanistica IUAV a Venezia nel maggio 2022. L'obiettivo del seminario era quello di esplorare due approcci emergenti che stanno contribuendo a reinterrogare alcuni paradigmi del pensiero occidentale, al fine di evidenziarne le ripercussioni sulla cultura della ricerca e del progetto urbanistici. Alla discussione sono stati invitati a partecipare gli autori di due libri: Sébastien Marot, autore di Taking the country's side, Agriculture and Architecture, e Antonio Di Campli, autore di La differenza amazzonica, Forme ed ecologie della coesistenza. Due prospettive hanno guidato la discussione all'interno dei rispettivi incontri: come fare ricerca e progettazione Beyond Nature and Nurture e cosa significa Decoloniale dal punto di vista dell'urbanistica. Attraverso la recensione del seminario, l'articolo intende riportare la discussione sulla ricerca e il progetto alla loro dimensione politica ed epistemologica attraverso strumenti rinnovati che tengano conto delle attuali condizioni di crisi e le riflessioni critiche che ne scaturiscono.
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Royer, Denis. "Passione: al cuore del corpo adolescente". GROUNDING, n.º 1 (junio de 2011): 93–110. http://dx.doi.org/10.3280/gro2011-001010.

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Il contributo intende inserire nella teoria e nella pratica dell'analisi bioenergetica l'attenzione per la fase adolescenziale accanto a quella per la fase infantile dello sviluppo della personalitŕ, accogliendo i suggerimenti che provengono dall'ambito psicoanalitico, a partire dagli anni ‘80. L'autore affronta l'argomento offrendo un approccio basato sui presupposti dell'analisi bioenergetica e coglie l'occasione per suggerire interessanti linee di sviluppo per la nostra disciplina, come la definizione di "corpo adolescente". Ricollegandosi al dibattito sul rinnovamento della conoscenza e sulla "svolta affettiva" nelle neuroscienze, l'autore propone di andare oltre la definizione dell'adolescenza come ricapitolazione, per porre al centro dell'adolescenza l'intreccio dello sviluppo sessuale con lo sviluppo intellettuale, al crocevia di tale intreccio c'č la "passione" intesa come uno stato sia emotivo che intellettuale che prende forma proprio nell'adolescenza. Sia l'intelligenza che la sessualitŕ ricevono una luce nuova e il pensiero, in quest'ottica, viene affrontato bioenergeticamente come una modalitŕ dell'auto-espressione e come un evento che coinvolge tutto il corpo. Il contributo č, inoltre, ricco di esempi di come nella terapia bioenergetica di persone adulte sia importante esplorare le esperienze adolescenziali.
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Romano, Lucio. "Educazione della sessualità ed adolescenti. Indagine conoscitiva ed antropologie di riferimento". Medicina e Morale 49, n.º 6 (31 de diciembre de 2000): 1–30. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2000.772.

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L’importanza e l’attualità di un percorso educativo nell’ambito della sessualità si evince, nell’articolo, da una indagine conoscitiva svolta in un gruppo di adolescenti (648 studenti dell’ultimo anno della scuola secondaria superiore, con un’età media di 17.2 anni). Nella compilazione di un questionario anonimo, semiaperto, gli adolescenti intervistati hanno palesato una evidente, e statisticamente significativa, richiesta di partecipazione a programmi di educazione della sessualità e di formazione al sentimento morale. La dimostrazione di un bisogno educativo da parte degli adolescenti è dimostrata altresì dalla confusione tra informazione ed educazione, dal disagio nel coinvolgere i genitori o i docenti, ad esempio, nelle problematiche inerenti la sessualità a fronte di una supposta pretesa conoscenza di educazione della sessualità. Prevale, infatti, una cultura informata ad una antropologia naturalistica e a una ideologia liberalizzante che ha ridotto l’adolescente, e non solo, a mero fruitore di una sessualità intesa come bene di consumo dove non alberga alcuna morale che si basi sulla responsabile apertura verso l’altro: sessualità che si traduce in sesso, in sola genitalità dove la norma è costituita da ciò che è biologicamente morale, ovvero il dato statistico diventa legge e determina il valore. Dall’analisi del questionario si palesa la necessità, pertanto, di una educazione della sessualità che proceda nell’ambito di uno sviluppo integrale della persona, processo educativo da intendere come perfezionamento ed intervento a favore della persona nella sua globalità fisica psichica spirituale, ovvero educazione alla differenza sessuale, educazione affettiva e morale, educazione al valore della vita. I punti di riferimento imprescindibili per una corretta formazione della sessualità e del sentimento morale sono rappresentati dalla unitotalità della persona, apertura e oblatività dell’amore, complementarietà, inscindibilità della dimensione unitiva e procreativa, trascendenza oltre il sé, verso l’altro e verso l’Altro.
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Poma, Andrea. "Commento a Colpa e sensi di colpa di Martin Buber". QUADERNI DI GESTALT, n.º 1 (octubre de 2010): 79–87. http://dx.doi.org/10.3280/gest2010-001005.

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L'autore prende le mosse dall'edizione italiana del testo Colpa e sensi di colpa di Martin Buber per sottolineare il rapporto fra il pensiero del filosofo e la svolta umanistica in psicoterapia, mettendone in risalto non solo la nota vicinanza, ma anche alcuni punti di distanza e differenza che le caratterizza. In particolare si sofferma su due problemi aperti che ancora interrogano la psicoterapia: la dimensione etica della colpa e il rapporto fra terapeuta e paziente. In primo luogo, la colpa, considerata in senso etico e non solo come sentimento di colpa, č interamente riconducibile all'ambito psicologico o trascende questa sfera radicandosi in un orizzonte esistenziale e quindi irraggiungibile dalla psicoterapia? In secondo luogo, come č possibile incontrare il paziente su un piano esistenziale (il che significa rinunciare a una posizione io-esso per sostare nell'autentico io-tu) senza perdere il proprio metodo, ruolo e infine se stessi? Questi interrogativi sono proposti come stimoli di riflessione per la psicoterapia e per lo sviluppo dei suoi fondamenti.
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Antonella Meccariello y Renata Mentasti. "Parola d’ordine STEM-conoscere per colmare il divario di genere. L'importanza del curricolo interdisciplinare di educazione finanziaria per promuovere il pensiero scientifico nella scuola primaria". IUL Research 1, n.º 2 (1 de diciembre de 2020): 107–17. http://dx.doi.org/10.57568/iulres.v1i2.57.

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L’articolo rientra nella categoria delle “reflection papers” in quanto rappresenta un contributo teorico di approfondimento sulle tematiche della pedagogia e curricula innovativi nell'educazione STEM nonché sugli approcci e le metodologie per la ricerca educativa STEM. Nel documento vengono messe in evidenza le problematiche legate alla didattica delle STEM, partendo dalle evidenze dell’ultima indagine dell’OCSE PISA che sottolinea fortemente l’attuale divario di genere nell’apprendimento delle discipline scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche. Tale differenza sembra condurre inevitabilmente ad una disuguaglianza sociale crescente, allontanando sempre di più i cittadini dal traguardo di sostenibilità individuato dall’Assemblea delle Nazioni Unite nella Risoluzione adottata nel 2015 e limitando fortemente l’indipendenza della popolazione femminile. Nell’articolo viene evidenziato che l’indagine summenzionata rivela una stretta correlazione tra l’alfabetizzazione matematica e quella finanziaria, tanto da indurre a considerare l’importanza dell’educazione precoce alle STEM anche attraverso percorsi didattici di educazione finanziaria nella scuola primaria, da inserire nei curricoli verticali degli istituti scolastici. Vengono suggerite alcune delle tematiche da affrontare con le diverse fasce d’età, le strategie educative da mettere in atto e le metodologie didattiche da utilizzare passando attraverso l’interdisciplinarietà e l’innovazione tecnologica. L’articolo si conclude con la convinzione che la scuola, non solo la famiglia, sia un contesto efficace per fornire ai giovanissimi gli strumenti di pensiero per sviluppare le competenze di problem solving e per effettuare scelte consapevoli ed informate.
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Dziuba, Andrzej F. "Sessualità, differenza sessuale, generazione. A cinquant’anni da „Humanae vitae”. Atti del XXVII Congresso Nazionale dell’ATISM (Torino, 3-6 luglio 2018), a cura di Salvatore Cipressa. Associazione Teologica Italiana per lo Studio della Morale. Cittadella". Ius Matrimoniale 30, n.º 1 (15 de marzo de 2019): 109–14. http://dx.doi.org/10.21697/2019.30.1.07.

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Migliorini, Damiano. "Per un’etica delle differenze sessuali". Ricerca Psicoanalitica 31, n.º 2 (15 de octubre de 2020). http://dx.doi.org/10.4081/rp.2020.252.

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L’autore analizza l’origine e il significato dell’espressione ‘Etica della Differenza Sessuale’ (EDS); contestualizzandola nel paradigma del ‘Pensiero della Differenza Sessuale’ (PDS), del quale vengono evidenziate potenzialità e aporie emerse nel dibattito interno al femminismo. Vengono poi illustrate e valutate alcune possibili interpretazioni di tale etica sviluppatesi nel contesto filosofico italiano. L’autore propone un confronto critico con altri modelli, ad esempio le teorie queer, cercando di far emergere come il pensiero della differenza sessuale si apra alla destabilizzazione prodotta dall’emergere di nuovi soggetti (gay e lesbiche, transessuali, intersessuali) e le relative conoscenze scientifiche. Viene quindi proposto l’aggiornamento al plurale ‘Etica delle Differenze Sessuali’ elencando quali possano essere le assunzioni metodologiche, contenutistiche (tra cui l’elaborazione di un modello relazionale in tutte le discipline scientifiche) e le declinazioni disciplinari (anche in ambito psicoanalitico) di un’etica così definita. Con un riferimento concreto alla discussione sulla cosiddetta ‘ideologia gender’, nella quale i protagonisti hanno spesso mostrato una certa difficoltà a implementare un’etica delle differenze.
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Proietti, Domenico. "Oggettivare e oggettivazione, oggettificare e oggettificazione". XXII, 2022/3 (luglio-settembre), n.º 22 (6 de julio de 2022). http://dx.doi.org/10.35948/2532-9006/2022.20794.

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Sul verbo oggettivare e sui deverbali oggettivazione e oggettificazione sono pervenuti due quesiti: un lettore, rilevando che il verbo oggettivare è usato “nell’ambito della ricerca scientifica ed in filosofia”, chiede perché esso “non è presente nei vocabolari”; una lettrice, nella convinzione che oggettivare significhi ‘rendere oggettivo’ e oggettificare ‘considerare come oggetto’, ‘spersonalizzare’, chiede quale eventualmente sia la differenza di significato tra i sostantivi oggettivazione e oggettificazione che trova usati come sinonimi nella locuzione oggettivazione/oggettificazione sessuale.
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Bevilacqua, Fiorenza. "Economico di Senofonte: la “maîtresse de la maison”". Revista Archai, n.º 31 (12 de junio de 2021). http://dx.doi.org/10.14195/1984-249x_31_09.

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L’Economico di Senofonte contiene un interessante trattato sulla vita matrimoniale: al centro di questo trattato si colloca la figura della moglie di Iscomaco, così come viene delineata da quanto quest’ultimo narra a Socrate. Una figura in parte innovativa, in quanto viene associata alla gestione dell’oikos come responsabile di quanto si svolge all’interno della casa: un ruolo diverso da quello del marito, che si occupa e dirige ciò che si svolge all’esterno: i compiti di moglie e marito risultano quindi diversi ma complementari. Questa differenza di attitudini e quindi di ruoli è presentata come voluta sia dalla divinità, sia dalla natura (in quanto strumento della divinità) sia dalla consuetudine (nomos). La moglie di Iscomaco viene quindi a configurarsi come una collaboratrice e una compagna per il marito. Tuttavia questa moglie non intrattiene con il marito una relazione paritaria: infatti gestisce attività e persone all’interno della casa secondo le direttive impartite dal marito; anche nella sfera della vita sessuale deve adeguarsi ai desideri e alle convinzioni di Iscomaco; il suo stesso status di moglie sarà mantenuto soltanto se lei risponderà alle sue aspettative: paradossalmente la sua stessa autonomia è in realtà eterodiretta. Se pure può considerarsi una “maîtresse de la maison”, tuttavia, come ha sottolineato con una formula efficacissima Foucault, si tratta comunque di una “maîtresse obéissante de la maison”.
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Bozzato, Daria. "Papini esoterico: L’occultismo come “millenario intruglio di ermetismo e di cabala”". Forum Italicum: A Journal of Italian Studies, 5 de octubre de 2022, 001458582211287. http://dx.doi.org/10.1177/00145858221128785.

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Agli inizi del Novecento, grazie alla frequentazione di fucine esoteriche come la Biblioteca Filosofica di Firenze e il caffè delle Giubbe Rosse, Giovanni Papini alimentò il suo interesse nei confronti della tradizione esoterica, dal momento che questa permetteva un allontanamento dall’eccesso razionale proprio del positivismo e, di conseguenza, una trasformazione della sensibilità umana. Come evidenziato in alcuni articoli pubblicati nella fase finale del Leonardo, Papini ammirava, però, solo alcuni aspetti dell’occultismo e ne criticava la mancanza di metodo e la superficialità di osservazioni. Il rapporto ambiguo di Papini con l’occulto rafforza, di fatto, i tratti non lineari e ossimorici del suo pensiero, tratti che saranno caratteristici anche del periodo post conversione. A differenza di precedenti studi sul rapporto tra Papini e l’occulto che si soffermano soprattutto sulla fase iniziale del Leonardo, l’obiettivo di questo saggio è evidenziare come l’intellettuale fiorentino, anche nella fase successiva alla conversione del 1919, continuò a parlare di maghi ed occultisti in maniera ambigua. Questo è ben evidente in un manoscritto inedito scoperto presso l’archivio Papini della Fondazione Primo Conti di Fiesole dal titolo Occultisti, che il seguente articolo esaminerà e citerà per la prima volta in maniera parziale.
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Cristofari, Fabiana. "Autodeterminazione nelle scelte procreative: identità di genere e famiglia". Medicina e Morale 56, n.º 3 (30 de junio de 2007). http://dx.doi.org/10.4081/mem.2007.319.

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Alcune pronunce giurisprudenziali mostrano un’evoluzione nella presa di coscienza da parte dei giudici della procreazione come oggetto di un autonomo diritto di personalità. Il fatto che all’interno del “diritto a procreare”, come diritto fondamentale del singolo, vada ricompreso anche il diritto negativo di “non procreare”, pone il problema del bilanciamento d’interessi nel caso in cui, ad avvenuto concepimento, la volontà di procreare di un coniuge si opponga a quella di non procreare dell’altro. L’autrice, a partire da un’analisi e un confronto della giurisprudenza anglo- americana ed europea, mette in luce come la rapida evoluzione della scienza medica e la diffusione dell’applicazione delle nuove tecnologie riproduttive (con la circostanza per cui il materiale genetico dell’ovocita può essere fuso in ambiente extra-uterino dando vita ad un embrione) hanno aperto nuove ed inattese prospettive di riflessione, rispetto a quelle poste dalla problematica dell’aborto, con riferimento alla simmetria dei diritti riproduttivi da attribuire ai generanti. Il contributo invita a riflettere sul rilievo della gestazione nella specificazione diversa dei sessi e dei diritti ad essi riconosciuti. Secondo alcuni, assegnare un’indiscriminata uguaglianza di diritti nell’ambito delle “reproductive decision-making” - in ordine alla volontà di procreare o non procreare - equivale a non tenere in sufficiente considerazione la specifica caratterizzazione sessuale-riproduttiva che inevitabilmente pone un uomo ed una donna in maniera differente in relazione alla vita nascente. Ma, la radicalizzazione della differenza corporea e la polarizzazione dei ruoli che ne deriva rischia che sorgano quei rapporti di potere che rendono inessenziali gli altri soggetti ridotti a possesso. La proposta alternativa per la realizzazione di una situazione di equità, è quella dell’“astrazione dalla corporeità” e quindi dell’omologazione. Ma, se quest’ultima in apparenza annulla le differenze, ripropone poi, l’asimmetria dei diritti sul piano delle volontà. L’Autrice, superando il modello della radicalizzazione della differenza corporea e il modello dell’omologazione, propone quello della “democrazia” come fatto intersoggettivo e relazionale e, quindi, collegato ad un riconoscimento reciproco, sostenendo che l’autodeterminazione del singolo, nelle scelte riproduttive, una volta avvenuto il concepimento/fecondazione, non sia conciliabile con tale principio. ---------- Some jurisprudential pronunciations demonstrate that judges are becoming always more conscious of procreation as object of an autonomous right of privacy. The fact that inside of the procreating right, as a fundamental human right, must also be considered the negative one of no-procreating, puts the problem of the balance of interests in the case that, after the conception, the procreating will of one consort opposes to the no-procreating will of the other one. The author, beginning from an analysis and a comparison of Angloamerican and European jurisprudential cases, points out that the rapid evolution of medical science and the diffusion of the new reproductive technologies (together with the fact that genetic material of the oocyte can be fused out of uterus giving life to an embryo) has opened new and unexpected considerations compared with those offered by abortion problems, about the same reproductive rights of the progenitors. This contribution invites to consider the importance to tribute to the gestation for the different specification of the sexes and of their rights. Someone thinks that to tribute an indiscriminated equality of rights within the “reproductive decision-making”- in order to the procreating or noprocreating will - means not to consider enough the specific sexualreproductive characterization which inevitably puts a man and a woman in a different position in front of the unborn child. But the radicalization of the difference and the deriving polarization of the roles brings the rising of risks of power relations that make unessential the other subjects reduced to be simple property. The alternative proposal for the realization of an equity situation is the abstraction of the bodility, and then of the homologation. But, if this one, in seeming, nullifies the differences, it presents again, the asymmetry of the reproductive rights in the field of the wills. The author, between the homologation model and the bodility-difference model suggests the “democracy” one as a relational fact between the subjects and, therefore, connected to a mutual acknowledgement. She thinks that individual self-determination in the “reproductive decision-making”, after fecondation/conception, is not reconcilable with this principle.
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Barile, Emilia. "Dell’incertezza: che cosa provano i pazienti in PVS?" Medicina e Morale 55, n.º 1 (28 de febrero de 2006). http://dx.doi.org/10.4081/mem.2006.366.

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Obiettivo di questo intervento, critico nei confronti delle posizioni funzionaliste in ambito bioetico, non è tanto opporvi il principio uguale e contrario della sacralità della vita, quanto, piuttosto, evidenziare le contraddizioni di tali posizioni con le loro stesse premesse. Allo stato attuale, infatti, i riscontri scientifici su cui si basa la definizione della coscienza, ad esempio, che, secondo queste stesse concezioni, è uno dei tratti distintivi della persona, sono tutt’altro che inoppugnabili. A livello teoretico, poi, riguardo alla “coscienza” ci sembra onesto riconoscere che, allo stato attuale, di certo esiste solo una sterminata bibliografia di filosofia della mente; non si dispone, infatti, di una teoria generale e unificata nemmeno su cosa significhi “sentire”, “provare” qualcosa, che è, poi, uno dei modi per tentare di “dire” la coscienza. In ambito neuroscientifico, le ricerche di A. Damasio, qui proposte, stanno contribuendo a demolire quella vera e propria “mistica del cervello” alla base dell’equazione persona=pensiero=cervello formulata dalle posizioni funzionaliste di matrice cognitivista. Dai suoi esperimenti emerge una differenza tra “sentire” (feeling) e “sapere” (knowing), generalmente considerati aspetti inscindibili dell’esperienza cosciente; gli stessi, inoltre, suggeriscono l’esistenza di diversi livelli di stati di coscienza, radicati a livello corporeo, prima ancora che corticale. Pur non essendosi il neurobiologo mai occupato direttamente di problemi bioetici, né della definizione dello stato vegetativo, le sue conclusioni ci sembrano particolarmente rilevanti nel caso dei pazienti in PVS, la cui corteccia è probabilmente distrutta in modo irrimediabile, ma che pure hanno un corpo. A causa della distruzione dell’attività emisferica, detti pazienti molto probabilmente non sono più capaci di pensare, di avere accesso ai contenuti di coscienza; ma soffrono? hanno paura? si emozionano? Quando gli stati superiori sono distrutti, insomma, ma il corpo c’è, è ancora possibile “provare” qualcosa? In coda di articolo, infine, si richiama l’attenzione del lettore su uno scivolamento semantico apparentemente innocuo: la consuetudine linguistica di definire lo stato vegetativo in termini di “morte” (seppur solo “corticale”), infatti, sembra suggerire una scelta, insita nei termini adoperati, che si orienta sempre più pressantemente nella direzione di una illegittima assimilazione di questi due stati, al fine di trarne conseguenze pratiche analoghe. ---------- In this article the author’s aim is not simply opposing the principle of the sacrality of life to the quality one, but rather underlining the inner contradictions of the functional positions in bioethics with their own assumptions. The definition of consciousness, e.g., (that, by these same positions, is a basic feature in defining the concept of person) is grounded on neuroscientifical data still in progress. Nowadays, we have not a common definition of “consciousness”, neither from a theoretical point of view; on the contrary, for sure there exists an endless bibliography in philosophy of mind… We don’t even have a general and unified theory on “feeling”, that is only one way of defining “consciousness”. The article proposes some of Damasio’s researches in neuroscience against the functional issue (grounded on the cognitive paradigm) that person=thought= brain, based on a sort of “mystique” of the brain. In his experiments we can find a difference between “feeling” and “knowing”, always considered connected features in conscious experience, conceived as a high level phenomenon only. On the contrary, there is a level of feeling (background feeling) coming from the body experience, before the cortical one: there are different levels of consciousness too, all intimately connected to the body. Even if Damasio has never approached bioethical problems or persistent vegetative state (PVS) definition, his conclusions seem particularly remarkable for this kind of patients. Pvs people, whose cortical functions are (probably) completely destroyed, have still a body. Their brain doesn’t work any more; so, they (probably) have no possibility of thinking or having an access to their conscious contents; but do they suffer pain? Are they afraid of anything? Do they have any feeling? In sum, when cortical functions are destroyed, but there is still a body, is it possible feeling anything any more? At the end of the article, the author focuses the reader’s attention on a dangerous semantic “slippery slope”; the linguistic habit of speaking about vegetative state in terms of death (though only a cortical one) implies an implicit choice, following from the same words used. Pvs patients should be not considered as still alive, but as already dead, at the end. This arbitrary comparison should legitimate some people’s request, for example, to explant Pvs’s organs, just like it happens for people already dead.
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Casini, Carlo y Marina Casini. "Una nuova riflessione sul significato dell’obiezione di coscienza alla luce di una sentenza ingiusta Nota a Cass. n. 14979 del 2 aprile 2013". Medicina e Morale 62, n.º 2 (30 de abril de 2013). http://dx.doi.org/10.4081/mem.2013.100.

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Il contributo esamina la sentenza della Corte Suprema di Cassazione n. 14979 del 2013 che ha per tema l’obiezione di coscienza all’aborto. Nella fattispecie, un medico ginecologo viene pesantemente condannato per aver fatto valere il suo diritto di sollevare obiezione di coscienza (previsto dalla legge 194/1978) per attività che secondo i giudici non sono coperte dall’obiezione di coscienza. Nella prima parte dell’articolo, gli Autori muovono osservazioni critiche riguardo alla particolare severità della sentenza e riportano la ricostruzione dei fatti così come emerge dalle indagini giudiziarie. Di seguito concentrano l’attenzione sul significato e l’estensione del concetto di intervento medico- chirugico in generale e abortivo in particolare, osservando che nella misura in cui un’attività, sebbene non rientrante nel “nucleo” dell’intervento, è programmata dall’inizio come fase conclusiva (tanto che se non vi fosse la certezza di effettuarla, non potrebbe neanche iniziarsi l’intervento) tale attività è parte integrante dell’intervento stesso e dunque, trattandosi di aborto, coperta da obiezione di coscienza. Rilevante ai fini di questa valutazione è l’evidente nesso di causalità che tiene in un tutto unitario i vari momenti che si susseguono cronologicamente. La questione squisitamente giuridica della revoca immediata dell’obiezione viene risolta alla luce della differenza tra l’eventuale accettazione preventiva e l’esecuzione dell’ordine imprevisto. L’aspetto comunque più significativo è legato all’interrogativo che fa da cornice a tutto il contributo: perché tanta avversione contro l’obiezione di coscienza sanitaria con riferimento all’aborto? La risposta si trova nella negazione esplicita o implicita, ma anche nella semplice dimenticanza, che il figlio è figlio sin dal momento del concepimento. “Il diritto di aborto – si legge nella sentenza della Cassazione – è stato riconosciuto come ricompreso nella sfera di autodeterminazione della donna”. Questo pensiero, sottolineano gli Autori, è espressione di una deriva che, avviatasi con la sentenza costituzionale del 1975, avanzata con la legge 194/1978 e gravemente consolidatasi con la pretesa del “diritto” di aborto, nasce dal rifiuto di porre lo sguardo sul figlio concepito e, di conseguenza, avversa l’obiezione di coscienza. Per questo c’è ancor più bisogno di ripetere, concludono gi Autori, che il fondamento e la tutela dell’obiezione di coscienza dipendono dal riconoscimento che il concepito è uno di noi. Interessanti anche gli spunti giuridici di livello internazionale. ---------- The article examines the judgement of the Supreme Court of Cassation n. 14979 of 2013 about conscientious objection to abortion. In this case, a gynecologist was heavily condemned for having asserted his right to raise conscientious objection (provided by Law 194/1978) for activities that according to the judges are not covered by the conscientious objection. In the first part of the article, the Authors criticize the particular severity of the sentence and report the reconstruction of the events emerging from the judicial investigations. Afterward they focus attention on the meaning and the extension of the concept of surgical intervention to understand what the boundaries are of an abortion. Whether a final activity is planned from the outset (so that if it were not sure to perform it, the intervention should not be started) this activity is an integral part of the intervention itself and, therefore, in the case of abortion, covered by conscientious objection. For the purposes of this evaluation, the Authors write, it is very important the clear causal link that takes into a unified whole the various moments that follow one other chronologically. The purely legal question of immediate withdrawal of the objection is resolved in the light of the difference between the possible preventive acceptance of the execution and the execution of an unexpected order. The most significant aspect, however, is tied to the question that frames the entire contribution: why so much aversion against conscientious objection with regard to abortion? The answer lies in the express or implied negation – but also in the simple forgetfulness – that the child is a child from the moment of conception. “The right to abortion – it is written in the Supreme Court’s ruling – has been recognized as coming within the sphere of women’s self-determination” This thought, the Authors point out, is an expression of a drift originally triggered by the constitutional ruling of 1975, then advanced with the Law 194/1978 and finally severely consolidated with the claim of “right” to abortion. Since this drift arises from the refusal to look at the child conceived, consequently it adverse conscientious objection. For this there is even more need to repeat, the Authors conclude, that the foundation and the protection of conscientious objection depends on the recognition that the unborn is one of us. The legal references on the international level are also interesting.
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Gotia, Oana. "L’amore e la sessualità: valore e significato". Medicina e Morale 62, n.º 4 (30 de agosto de 2013). http://dx.doi.org/10.4081/mem.2013.90.

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Alla luce dell’Enciclica di Papa Benedetto XVI , Deus Caritas est, l’articolo cerca di mostrare che il desiderio umano di essere amato per se stesso e di amare profondamente non è un’utopia, ma, se segue un cammino di armonizzazione e di guarigione, diventa veramente atto a rendere l’eros non solo forte nel tempo, ma anche bello, perché integro e pieno. Si tratta infatti di un cammino nel quale lo sguardo della persona diventa limpido e capace di vedere nella carne la persona dell’altro, in grado di unificare i vari vissuti destati nell’amore – l’attrazione sessuale, l’emozione, la scelta della volontà, il ragionamento – in un agire sempre rivolto al bene vero dell’altro. Se invece questi elementi preziosi immanenti dell’amore non custoditi congiunti, l’eros non è soltanto impoverito, ma è minacciato dalla disintegrazione morale. L’uomo ha bisogno di trovare quelle vie di unificazione, di armonizzazione del vissuto amoroso, che sono le virtù, soprattutto la virtù della castità. Le virtù umane sono veri serbatoi di quelle maestrie interne che ci aiutano a trovare la qualità nell’amore, a tendere alla sua pienezza ed eccellenza. Le virtù non ci rendono immuni o opachi al reale, non ci tolgono quella vulnerabilità ontologica rispetto al mondo e alle persone. Esse ci aiutano invece a sradicare quella malattia che ci disintegra moralmente e ci lascia soli con le nostre fragilità, che diventano poi ferite non guarite che ci immergono nel dramma dell’eros frammentato, che non potrà mai raggiungere ciò che promette. L’amore umano armonizzato è un eros toccato e rinato dall’Eterno, che abbraccia il tempo e trova in esso il modo prediletto di costruire un amore forte, genialmente creativo, giusto, senza negare la propria corporeità. L’agape non distrugge l’eros, ma lo custodisce e lo esalta, offrendoci dunque quella libertà autentica necessaria per amare: per amare nella differenza, rispondendo al dono con il dono di noi stessi e accogliendo la fecondità dell’amore vero che non è mai sterile. ---------- In the light of Pope Benedict the XVIth’s Deus Caritas est, the article seeks to show that man’s desire to be profoundly loved for himself and to love is not a utopian one; if it follows a path of healing and of harmonization with the other goals of human life, this desire becomes whole and complete, thus permeating and rendering human eros strong and beautiful. It is a path that leads and helps the person to achieve a limpid gaze, capable of seeing the person in the flesh of the beloved, unifying the various elements the make up the rich experience of love – sexual attraction, emotions, the will’s choice, reason – within an action that is ordered towards the true good of the other. If these precious elements are not kept together though, love is not just impoverished, but most importantly it is threatened to fall apart. Man needs therefore to find those ways of unification and harmonization of love, which are none other than the virtues, especially the virtue of chastity. Human virtues are true resources for acquiring the art of a qualitative love, which continues to seek its fullness and excellence. Thus the virtues do not render us “immune” or “opaque” towards reality, they do not do away with the ontological vulnerability to the world and to the other people. Instead, they help us to eradicate that malady which disintegrates us morally and which abandons us to our weaknesses, which then become wounds that can never heal; a fragmented eros make us drown in the tragedy of not being able to reach what eros promises. Human love thus harmonized is in fact an eros touched and reborn of Eternity, which embraces time – instead of escaping it – edifying a strong and genially creative love, a love which always affirming its bodily mediation. Agape does not destroy eros, but it cherishes and exalts it, offering man the necessary freedom to love: to love preserving the concept of difference involved in a relationship; to love responding to the gift with a gift of self; to love the fruitfulness that true love implies, since true love is never sterile.
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Zuliani, Federico. "En samling politiske håndskrifter fra slutningen af det 16. århundrede : Giacomo Castelvetro og Christian Barnekows bibliotek". Fund og Forskning i Det Kongelige Biblioteks Samlinger 50 (29 de abril de 2015). http://dx.doi.org/10.7146/fof.v50i0.41248.

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Federico Zuliani: Una raccolta di scritture politiche della fine del sedicesimo secolo. Giacomo Castelvetro e la biblioteca di Christian Barnekow. Alla pagina 68 recto del manoscritto Vault Case Ms. 5086, 73/2, Newberry Library, Chicago, ha inizio il “Registro di tutte le scritture politiche del S[igno]r Christiano Bernicò”. Il testo è preceduto da un altro elenco simile, sebbene più breve, che va sotto il titolo di “Memoriale D’alcune scritture politiche, che furon donate alla Reina Maria Stuarda Prigioniera in Inghilterra l’anno di salute m.d.lxxxiii. Dal S[igno]re di Cherelles”. Il manoscritto 5086, 73/2 fa parte di una collezione di dieci volumi (originariamente undici) appartenuti a Giacomo Castelvetro e oggi conservati negli Stati Uniti. I codici, le cui vicende di trasmissione sono, in parte, ancora poco chiare, furono sicuramente compilati da Castelvetro durante il periodo che passò in Danimarca, tra l’estate del 1594 e l’autunno del 1595. Il soggiorno danese di Castelvetro ha ricevuto attenzioni decisamente minori di quelle che invece meriterebbe. Alla permanenza in Danimarca è riconducibile infatti l’opera più ambiziosa dell’intera carriera del letterato italiano: vi vennero assemblati, con l’idea di darli poi alle stampe, proprio i volumi oggi negli Stati Uniti. La provenienza è provata tanto dall’indicazione, nei frontespizi, di Copenaghen come luogo di composizione, quanto dalle annotazioni autografe apportate da Castelvetro, a conclusione dei testi, a ricordare quando e dove fossero stati trascritti; oltre a Copenaghen vi si citano altre due località, Birkholm e Tølløse, entrambe sull’isola danese di Sjællad, ed entrambe amministrate da membri dell’influente famiglia Barnekow. E’ a Giuseppe Migliorato che va il merito di aver identificato per primo in Christian Barnekow il “Christiano Bernicò” della lista oggi alla Newberry Library. Christian Barnekow, nobile danese dalla straordinaria cultura (acquisita in uno studierejse durato ben diciassette anni), a partire dal 1591 fu al servizio personale di Cristiano IV di Danimarca. Barnekow e Castelvetro si dovettero incontrare a Edimburgo, dove il primo era giunto quale ambasciatore del monarca danese e dove il secondo si trovava già dal 1592, come maestro di italiano di Giacomo Stuart e di Anna di Danimarca, sorella di Cristiano IV. Sebbene non si possa escludere un ruolo di Anna nell’introdurli, è più probabile che sia stata la comune amicizia con Johann Jacob Grynaeus a propiziarne la conoscenza. Il dotto svizzero aveva infatti dato ospitalità a Barnekow, quando questi era studente presso l’università di Basilea, ne era divenuto amico e aveva mantenuto i rapporti nel momento in cui il giovane aveva lasciato la città elvetica. Grynaeus era però anche il cognato di Castelvetro il quale aveva sposato Isotta de’ Canonici, vedova di Thomas Liebler, e sorella di Lavinia, moglie di Grynaeus sin dal 1569. Isotta era morta però nel marzo del 1594, in Scozia, ed è facile immaginare come Barnekow abbia desiderato esprimere le proprie condoglianze al marito, cognato di un suo caro amico, e vedovo di una persona che doveva aver conosciuto bene quando aveva alloggiato presso la casa della sorella. Castelvetro, inoltre, potrebbe essere risultato noto a Barnekow anche a causa di due edizioni di opere del primo marito della moglie curate postume dal letterato italiano, tra il 1589 e il 1590. Thomas Liebler, più famoso con il nome latinizzato di Erasto, era stato infatti uno dei più acerrimi oppositori di Pietro Severino, il celebre paracelsiano danese; Giacomo Castelvetro non doveva essere quindi completamente ignoto nei circoli dotti della Danimarca. La vasta cultura di Christian Barnekow ci è nota attraverso l’apprezzamento di diversi suoi contemporanei, quali Grynaeus, Jon Venusinus e, soprattutto, Hans Poulsen Resen, futuro vescovo di Sjælland e amico personale di Barnekow a cui dobbiamo molte delle informazioni in nostro possesso circa la vita del nobile danese, grazie all’orazione funebre che questi tenne nel 1612 e che venne data alle stampe l’anno successivo, a Copenaghen. Qui, ricordandone lo studierejse, il vescovo raccontò come Barnekow fosse ritornato in Danimarca “pieno di conoscenza e di storie” oltre che di “relazioni e discorsi” in diverse lingue. Con questi due termini l’ecclesiastico danese alludeva, con tutta probabilità, a quei documenti diplomatici, relazioni e discorsi di ambasciatori, per l’appunto, che rientravano tra le letture preferite degli studenti universitari padovani. La lista compilata da Castelvetro, dove figurano lettere e istrutioni ma, soprattutto, relationi e discorsi, era un catalogo di quella collezione di manoscritti, portata dall’Italia, a cui fece riferimento l’ecclesiastico danese commemorando Christian Barnekow. Tutti coloro i quali si sono occupati dei volumi oggi negli Stati Uniti si sono trovati concordi nel ritenerli pronti per la pubblicazione: oltre alle abbondanti correzioni (tra cui numerose alle spaziature e ai rientri) i volumi presentano infatti frontespizi provvisori, ma completi (con data di stampa, luogo, impaginazione dei titoli – a loro volta occasionalmente corretti – motto etc.), indici del contenuto e titolature laterali per agevolare lettura e consultazione. Anche Jakob Ulfeldt, amico e compagno di viaggi e di studi di Barnekow, riportò a casa una collezione di documenti (GKS 500–505 fol.) per molti aspetti analoga a quella di Barnekow e che si dimostra di grande importanza per comprendere peculiarità e specificità di quella di quest’ultimo. I testi di Ulfeldt risultano assemblati senza alcuna coerenza, si rivelano ricchi di errori di trascrizione e di grammatica, e non offrono alcuna divisione interna, rendendone l’impiego particolarmente arduo. Le annotazioni di un copista italiano suggeriscono inoltre come, già a Padova, potesse essere stato difficoltoso sapere con certezza quali documenti fossero effettivamente presenti nella collezione e quali si fossero smarriti (prestati, perduti, pagati ma mai ricevuti…). La raccolta di Barnekow, che aveva le stesse fonti semi-clandestine di quella dell’amico, doveva trovarsi in condizioni per molti versi simili e solo la mano di un esperto avrebbe potuto portarvi ordine. Giacomo Castelvetro – nipote di Ludovico Castelvetro, uno dei filologi più celebri della propria generazione, e un filologo egli stesso, fluente in italiano, latino e francese, oltre che collaboratore di lunga data di John Wolfe, editore londinese specializzato nella pubblicazione di opere italiane – possedeva esattamente quelle competenze di cui Barnekow aveva bisogno e ben si intuisce come mai quest’ultimo lo convinse a seguirlo in Danimarca. I compiti di Castelvetro presso Barnekow furono quelli di passarne in rassegna la collezione, accertarsi dell’effettivo contenuto, leggerne i testi, raggrupparli per tematica e area geografica, sceglierne i più significativi, emendarli, e prepararne quindi un’edizione. Sapendo che Castelvetro poté occuparsi della prima parte del compito nei, frenetici, mesi danesi, diviene pure comprensibile come mai egli portò con sé i volumi oggi negli Stati Uniti quando si diresse in Svezia: mancava ancora la parte forse più delicata del lavoro, un’ultima revisione dei testi prima che questi fossero passati a un tipografo perché li desse alle stampe. La ragione principale che sottostò all’idea di pubblicare un’edizione di “scritture politiche” italiane in Danimarca fu la presenza, in tutta l’Europa centro settentrionale del tempo, di una vera e propria moda italiana che i contatti tra corti, oltre che i viaggi d’istruzione della nobiltà, dovettero diffondere anche in Danimarca. Nel tardo Cinquecento gli autori italiani cominciarono ad essere sempre più abituali nelle biblioteche private danesi e la conoscenza dell’italiano, sebbene non completamente assente anche in altri settori della popolazione, divenne una parte fondamentale dell’educazione della futura classe dirigente del paese nordico, come prova l’istituzione di una cattedra di italiano presso l’appena fondata Accademia di Sorø, nel 1623. Anche in Danimarca, inoltre, si tentò di attrarre esperti e artisti italiani; tra questi, l’architetto Domenico Badiaz, Giovannimaria Borcht, che fu segretario personale di Frederik Leye, borgomastro di Helsingør, il maestro di scherma Salvator Fabris, l’organista Vincenzo Bertolusi, il violinista Giovanni Giacomo Merlis o, ancora, lo scultore Pietro Crevelli. A differenza dell’Inghilterra non si ebbero in Danimarca edizioni critiche di testi italiani; videro però la luce alcune traduzioni, anche se spesso dal tedesco, di autori italiani, quali Boccaccio e Petrarca, e, soprattutto, si arrivò a pubblicare anche in italiano, come dimostrano i due volumi di madrigali del Giardino Novo e il trattato De lo schermo overo scienza d’arme di Salvator Fabris, usciti tutti a Copenaghen tra il 1605 e il 1606. Un’ulteriore ragione che motivò la scelta di stampare una raccolta come quella curata da Castelvetro è da ricercarsi poi nello straordinario successo che la letteratura di “maneggio di stato” (relazioni diplomatiche, compendi di storia, analisi dell’erario) godette all’epoca, anche, se non specialmente, presso i giovani aristocratici centro e nord europei che studiavano in Italia. Non a caso, presso Det Kongelige Bibliotek, si trovano diverse collezioni di questo genere di testi (GKS 511–512 fol.; GKS 525 fol.; GKS 500–505 fol.; GKS 2164–2167 4º; GKS 523 fol.; GKS 598 fol.; GKS 507–510 fol.; Thott 576 fol.; Kall 333 4º e NKS 244 fol.). Tali scritti, considerati come particolarmente adatti per la formazione di coloro che si fossero voluti dedicare all’attività politica in senso lato, supplivano a una mancanza propria dei curricula universitari dell’epoca: quella della totale assenza di qualsivoglia materia che si occupasse di “attualità”. Le relazioni diplomatiche risultavano infatti utilissime agli studenti, futuri servitori dello Stato, per aggiornarsi circa i più recenti avvenimenti politici e religiosi europei oltre che per ottenere informazioni attorno a paesi lontani o da poco scoperti. Sebbene sia impossibile stabilire con assoluta certezza quali e quante delle collezioni di documenti oggi conservate presso Det Kongelige Bibliotek siano state riportate in Danimarca da studenti danesi, pare legittimo immaginare che almeno una buona parte di esse lo sia stata. L’interesse doveva essere alto e un’edizione avrebbe avuto mercato, con tutta probabilità, anche fuori dalla Danimarca: una pubblicazione curata filologicamente avrebbe offerto infatti testi di gran lunga superiori a quelli normalmente acquistati da giovani dalle possibilità economiche limitate e spesso sprovvisti di una padronanza adeguata delle lingue romanze. Non a caso, nei medesimi anni, si ebbero edizioni per molti versi equivalenti a quella pensata da Barnekow e da Castelvetro. Nel 1589, a Colonia, venne pubblicato il Tesoro politico, una scelta di materiale diplomatico italiano (ristampato anche nel 1592 e nel 1598), mentre tra il 1610 e il 1612, un altro testo di questo genere, la Praxis prudentiae politicae, vide la luce a Francoforte. La raccolta manoscritta di Barnekow ebbe però anche caratteristiche a sé stanti rispetto a quelle degli altri giovani danesi a lui contemporanei. Barnekow, anzitutto, continuò ad arricchire la propria collezione anche dopo il rientro in patria come dimostra, per esempio, una relazione d’area fiamminga datata 1594. La biblioteca manoscritta di Barnekow si distingue inoltre per l’ampiezza. Se conosciamo per Ulfeldt trentadue testi che questi portò con sé dall’Italia (uno dei suoi volumi è comunque andato perduto) la lista di “scritture politiche” di Barnekow ne conta ben duecentoottantaquattro. Un’altra peculiarità è quella di essere composta inoltre di testi sciolti, cioè a dirsi non ancora copiati o rilegati in volume. Presso Det Kongelige Bibliotek è possibile ritrovare infatti diversi degli scritti registrati nella lista stilata da Castelvetro: dodici riconducibili con sicurezza e sette per cui la provenienza parrebbe per lo meno probabile. A lungo il problema di chi sia stato Michele – una persona vicina a Barnekow a cui Castelvetro afferma di aver pagato parte degli originali dei manoscritti oggi in America – è parso, di fatto, irrisolvibile. Come ipotesi di lavoro, e basandosi sulle annotazioni apposte ai colophon, si è proposto che Michele potesse essere il proprietario di quei, pochi, testi che compaiono nei volumi oggi a Chicago e New York ma che non possono essere ricondotti all’elenco redatto da Castelvetro. Michele sarebbe stato quindi un privato, legato a Barnekow e a lui prossimo, da lui magari addirittura protetto, ma del quale non era al servizio, e che doveva avere presso di sé una biblioteca di cui Castelvetro provò ad avere visione al fine di integrare le scritture del nobile danese in vista della sua progettata edizione. Il fatto che nel 1596 Michele fosse in Italia spiegherebbe poi come potesse avere accesso a questo genere di opere. Che le possedesse per proprio diletto oppure che, magari, le commerciasse addirittura, non è invece dato dire. L’analisi del materiale oggi negli Stati Uniti si rivela ricca di spunti. Per quanto riguarda Castelvetro pare delinearsi, sempre di più, un ruolo di primo piano nella diffusione della cultura italiana nell’Europa del secondo Cinquecento, mentre Barnekow emerge come una figura veramente centrale nella vita intellettuale della Danimarca a cavallo tra Cinque e Seicento. Sempre Barnekow si dimostra poi di grandissima utilità per iniziare a studiare un tema che sino ad oggi ha ricevuto, probabilmente, troppa poca attenzione: quello dell’importazione in Danimarca di modelli culturali italiani grazie all’azione di quei giovani aristocratici che si erano formati presso le università della penisola. A tale proposito l’influenza esercitata dalla letteratura italiana di “maneggio di stato” sul pensiero politico danese tra sedicesimo e diciassettesimo secolo è tra gli aspetti che meriterebbero studi più approfonditi. Tra i risultati meno esaurienti si collocano invece quelli legati all’indagine e alla ricostruzione della biblioteca di Barnekow e, in particolare, di quanto ne sia sopravvissuto. Solo un esame sistematico, non solo dei fondi manoscritti di Det Kongelige Bibliotek, ma, più in generale, di tutte le altre biblioteche e collezioni scandinave, potrebbe dare in futuro esiti soddisfacenti.
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