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Montani, Guido. "IDEOLOGY, UTOPIA AND THE CRISIS OF POLITICS". Il Politico 252, n.º 1 (22 de junio de 2020): 5–23. http://dx.doi.org/10.4081/ilpolitico.2020.294.

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I partiti politici che si ispirano ai valori del liberalismo, della democrazia e del socialismo non riescono più a concepire un progetto di lungo periodo per i propri concittadini e per l’umanità. Dopo il crollo del Muro di Berlino, grandi e piccole potenze hanno avviato una sordida lotta per la supremazia mondiale, alimentando conflitti locali e globali, e il ritorno del nazionalismo come ideologia dominante. In questo saggio si intende mostrare che la tesi sulla “fine delle ideologie” è infondata: le ideologie tradizionali sono incapaci di progettare un futuro di progresso perché subiscono passivamente l’ideologia della sovranità assoluta degli stati e della guerra giusta per difendere gli interessi nazionali. Il futuro dell’umanità è minacciato da una nuova corsa agli armamenti nucleari e convenzionali, ai quali i governi dedicano immense risorse, che dovrebbero invece servire per salvare il Pianeta dal surriscaldamento climatico, dallo sterminio della vita animale e vegetale e dalle pandemie. La via intrapresa dai popoli europei, con la costruzione della prima Unione sovranazionale della storia, dovrebbe ispirare anche le politiche necessarie per la costruzione di un ordine mondiale fondato sulla cooperazione pacifica tra stati e l’avvio di politiche che si propongano di consentire ai cittadini del mondo di godere dei medesimi diritti di libertà e solidarietà che, seppure imperfettamente, si sono realizzati in Europa. Il progresso dell’umanità è un’utopia positiva che può diventare realtà.
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Marini, Luigi. "I ghiacci si sciolgono. Lo scongelamento del comportamento di voto nei tre sistemi scandinavi". Quaderni dell'Osservatorio elettorale QOE - IJES 65, n.º 1 (30 de junio de 2011): 67–119. http://dx.doi.org/10.36253/qoe-9776.

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I sistemi partitico-elettorali di Svezia, Danimarca e Norvegia sono stati tradizionalmente caratterizzati da un’alta stabilità e prevedibilità, ma nel corso degli ultimi decenni hanno conosciuto signifcative trasformazioni, con un aumento dell’incertezza, della volatilità e della frammentazione: tendenze comuni a molti paesi europei, ma sviluppate in Scandinavia con caratteristiche peculiari. Se le tradizionali fratture sociali si riflettevano fino agli anni Sessanta in un sistema partitico «congelato», secondo la celebre definizione di Lipset e Rokkan (1967), e in un assetto democratico «consensuale» (Lijphart 1984), dai primi anni Settanta emergono nuovi conflitti che destabilizzano l’arena elettorale. Il vecchio «sistema scandinavo a cinque partiti» (Berglund e Lindström 1978) con un partito socialdemocratico dominante si trova a fronteggiare vere e proprie valanghe, negli anni Settanta prima e negli anni Novanta poi, causate da fenomeni contingenti inseriti in un processo di mutamento di lungo periodo. Il declino della classe operaia e contadina, il dibattito sull’integrazione europea, la nascita di movimenti «post-materialisti» (Inglehart 1977), la crisi del welfare state e il tema dell’immigrazione producono profonde trasformazioni nel sistema politico, attraverso una serie di terremoti elettorali. Le vecchie alleanze politico-sociali sono scardinate e si fanno strada nuovi partiti, tra cui una forte destra populista, mentre la competizione elettorale, fattasi più uida ed incerta, tende oggi verso un assetto sostanzialmente bipolare e «maggioritario», più simile a quello degli altri paesi europei. Se un «modello scandinavo» ancora esiste, esso rappresenta oggi non più una singolare eccezione, bensì un caso esemplare di un processo di mutamento comune al più ampio contesto europeo.
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Natale, Paolo. "GLI ITALIANI E IL VOTO EUROPEO: MOLTE CONFERME, POCHE SMENTITE". Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 29, n.º 3 (diciembre de 1999): 547–71. http://dx.doi.org/10.1017/s004884020002894x.

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IntroduzioneCome da molte parti è stato sottolineato, e come confermano puntualmente i sondaggi d'opinione, Fattuale fase politica nazionale è marcata da una profonda e crescente disaffezione dei cittadini nei confronti del mondo della politica in generale e di quello partitico in particolare.Tutti i giudizi che vengono formulati dagli italiani in merito alle più rilevanti istituzioni politiche o agli attori politici occupano - nel ranking complessivo delle «fiducie» (riportate in tab. 1) - le posizioni decisamente più basse. Senza particolari distinzioni tra elettori di sinistra o di destra, la popolazione italiana appare unanime nel considerare gravemente insufficienti sia i partiti che i principali organi di rappresentanza politica.
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Gutiérrez, José Manuel y Ivan Llamazares. "Collective members in West European political parties". Revista Internacional de Sociología 74, n.º 2 (3 de mayo de 2016): e030. http://dx.doi.org/10.3989/ris.2016.74.2.030.

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Bartolini, Stefano. "I PRIMI MOVIMENTI SOCIALISTI IN EUROPA. CONSOLIDAMENTO ORGANIZZATIVO E MOBILITAZIONE POLITICA". Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 23, n.º 2 (agosto de 1993): 217–81. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200022243.

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Resumen
IntroduzioneQuesto saggio tratta della relazione tra socialismo politico-elettorale e socialismo corporato; cioè fra forme dirappresentanza politicae dirappresentanza degli interessinei primi movimenti socialisti europei, fra il 1860-1880 e il 1940. Il tema è affrontato sotto la duplice dimensione delconsolidamento organizzativoe dellamobilitazione degli aderenti.La prima si riferisce al processo di instaurazione e consolidamento di organizzazioni specifiche nel canale corporato-di gruppo e in quello partitico-elettorale, e al legame istituito fra di esse. La seconda alla capacità delle medesime organizzazioni di mobilitare soggetti individuali come membri dei sindacati, iscritti al partito e elettori. Nella prima parte il saggio passa in rassegna e discute il tema della mobilitazione politica; successivamente presenta un quadro concettuale dei legami tra i diversi canali di mobilitazione politica; in terzo luogo analizza brevemente le esperienze nazionali dei movimenti socialisti europei in riferimento a tale schema concettuale; infine prende in esame i livelli di mobilitazione elettorale, partitica e sindacale, ricollegandoli a quelli di consolidamento organizzativo.
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Di Donato, Michele. "Partito comunista italiano e socialdemocrazia tedesca negli anni Settanta". MONDO CONTEMPORANEO, n.º 3 (abril de 2011): 91–117. http://dx.doi.org/10.3280/mon2010-003004.

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Il saggio ricostruisce i caratteri delle relazioni intercorse tra il Pci e il Partito socialdemocratico tedesco negli anni in cui la «questione comunista» italiana andava assumendo importanza centrale nel dibattito politico europeo. Rispetto ad una lettura diffusa che enfatizza le consonanze ideali tra i leader Willy Brandt ed Enrico Berlinguer, l'autore si concentra piuttosto sulle concrete occasioni di dialogo politico tra i due partiti, delle quali analizza consistenza e rilevanza. L'analisi della documentazione archivistica italiana e tedesca mostra come, anche nel decennio della distensione, a caratterizzare il rapporto tra i rappresentanti piů eminenti dei movimenti comunista e socialdemocratico in Europa occidentale fu la prudenza, che fece da portavoce di strategie differenti per lo sviluppo del continente. Il rapporto con le socialdemocrazie svolse un suo ruolo all'interno del processo di rinnovamento del Pci di Berlinguer; tuttavia, mai perseguito come una prioritŕ, produsse risultati politici limitati.
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Ertuğrul, Kürşad. "AKP's neo-conservatism and politics of otherness in Europe-Turkey relations". New Perspectives on Turkey 46 (2012): 157–86. http://dx.doi.org/10.1017/s0896634600001540.

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Resumen
AbstractThis study uncovers the neo-conservative “style of thought” informing the ideology of theAdalet ve Kalkinma Partisi(Justice and Development Party, AKP). The AKP's politico-cultural strategy in pursuing Turkey's goal of full membership to the EU is constituted on this ideological ground. Based on critical constructivism, this article argues that the AKP constitutes a domestic-foreign policy nexus of change characterized by a neo-conservative “style of thought” that aims to redefine the identity of Turkey. Along this line of politics, Europe appears as a politico-cultural space, as an ideational structure, enabling and limiting the AKP to act as a political and cultural agent. While the AKP adopts and sublimates the position of the “other” in the ideational structure of Europe, it reconstitutes the identity and interests of Turkey through neo-conservative ideas. Both are mutually reinforcing.
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Polese Remaggi, Luca. "Pechino 1955. Intellettuali e politici europei alla scoperta della Cina di Mao". MONDO CONTEMPORANEO, n.º 3 (abril de 2011): 55–89. http://dx.doi.org/10.3280/mon2010-003003.

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Questo saggio studia i viaggi che gruppi di intellettuali e politici europei (soprattutto italiani e francesi) intrapresero alla volta di Pechino nel 1955. L'attrazione intellettuale verso il regime di Mao si concretizzň in seguito all'invito che il primo ministro Zhou Enlai rivolse all'opinione pubblica mondiale nel corso della conferenza di Bandung. Il suo messaggio («venite a vedere») fu raccolto entusiasticamente da quegli intellettuali che faticavano a trovare una collocazione nel contesto della politica della guerra fredda in Europa. L'autore mostra che la formazione del nuovo regime comunista stimolň nel discorso politico l'immagine di una terza via rivoluzionaria e democratica. Nel corso delle visite degli intellettuali occidentali, le autoritŕ cinesi impiegarono i metodi che Mao aveva collaudato giŕ durante la Lunga Marcia: «sicurezza, segretezza, cordialitŕ e guide rosse». La volontŕ di credere dei visitatori rese il lavoro delle autoritŕ piů semplice. I viaggiatori infatti riportarono a casa l'immagine positiva di uno Stato-partito impegnato nello sforzo di sradicare la miseria e l'arretratezza. L'autore discute infine le ragioni per cui soltanto una parte dei viaggiatori si preoccupň della violazione dei diritti civili e delle libertŕ.
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Diamanti, Ilvo y Fabio Bordignon. "La mobilitazione inattesa. Le primarie del centrosinistra: geografia, politica e sociologia". Quaderni dell'Osservatorio elettorale QOE - IJES 55, n.º 1 (30 de junio de 2006): 63–89. http://dx.doi.org/10.36253/qoe-12710.

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Le primarie, organizzate dall’Unione di centrosinistra, domenica 16 ottobre 2005, costituiscono un caso singolare. Hanno, infatti, offerto molti motivi di sorpresa agli osservatori e agli analisti, ma anche ai leader della coalizione. Ha sorpreso, sicuramente, l’afflusso alla consultazione. Più di quattro milioni di elettori. Ha sorpreso, altresì, l’alto livello dei consensi attribuiti a Prodi, il candidato dei partiti dell’Ulivo. Nessuno si attendeva un partecipazione così ampia, né un consenso tanto elevato all’ex presidente della Commissione europea. D’altra parte, trattandosi di primarie “di coalizione”, esse costituivano un’esperienza “singolare”. Inedita, in ambito europeo. E, per questo, “sorprendente”. Sicuramente diversa dal “modello americano”, dove la competizione è davvero aperta: non c’è un vincitore sicuro; si rivolge agli elettori di un “partito” (per quanto ampio, trasversale e focalizzato sulla missione “elettorale” e, parallelamente, sulla selezione dei candidati alle cariche di governo), non di una coalizione; e si svolge attraverso una sequenza di consultazioni, nei diversi stati. Da ciò la sorpresa per una partecipazione tanto elevata che suscita interesse. In particolare, il confronto si concentra su due questioni: 1) le ragioni di una partecipazione tanto ampia; 2) la riproducibilità dell’esperienza.
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Nencioni, Tommaso. "Un capitolo di storia della sinistra italiana Riccardo Lombardi, Lelio Basso e la crisi del Partito d'azione". ITALIA CONTEMPORANEA, n.º 267 (noviembre de 2012): 211–37. http://dx.doi.org/10.3280/ic2012-267002.

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Resumen
L'autore individua nel 1947 un anno di svolta nella lotta politica italiana e internazionale. Nell'ambito della sinistra, questo decisivo tornante sanziona tanto il passaggio all'opposizione dei partiti del movimento operaio con l'affermarsi del centrismo degasperiano, quanto, all'interno di quel campo, l'egemonia comunista. Questi fattori sono allo stesso tempo causa ed ef- fetto di profondi mutamenti nella galassia socialista. Sempre nel 1947 il Partito socialista italiano (Psi) inizia un percorso che lo porterŕ a una netta cesura sia con la tradizione prefascista, sia con le socialdemocrazie europee, e dunque alla costituzione insieme al Pci, in vista delle elezioni del 1948, del Fronte popolare. Infine, in quell'anno giunge a maturazione la definitiva crisi di un altro dei soggetti politici che, da sinistra, aveva contribuito all'abbattimento del fascismo: il Partito d'azione (Pd'a), la maggioranza del cui gruppo dirigente andrŕ a ingrossare proprio le file del Psi. Attraverso la ricognizione di come Riccardo Lombardi, ultimo segretario azionista, e Lelio Basso, allora segretario socialista, agirono nel corso di quei tumultuosi eventi, l'Autore intende gettare luce su alcuni aspetti di lungo periodo delle relazioni interne al campo della sinistra in Italia.
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Staiano, Sandro. "LA FRATTURA NORD-SUD. L’ASIMMETRIA TERRITORIALE COME QUESTIONE DEMOCRATICA". Il Politico 251, n.º 2 (3 de marzo de 2020): 268–307. http://dx.doi.org/10.4081/ilpolitico.2019.249.

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Lo schema analitico delle fratture elaborato da Stein Rokkan e Seymour M. Lipset può essere utilmente applicato alla "questione meridionale", in quanto riguarda la doppia dimensione del processo politico, caratterizzato da conflitti culturale-territoriali ed economicofunzionali Passando da queste opzioni metodologiche, per quanto riguarda il "Mezzogiorno", è importante notare che le premesse costitutive prevedevano il superamento della frattura all'interno dei processi di democratizzazione dell'ordinamento giuridico guidati dai partiti politici e basati, in larga misura, sulla regionalizzazione; il ritardo nell'attuazione delle Regioni, tuttavia, ha portato immediatamente al carattere centralizzato e tecnocratico delle grandi riforme volte a incidere sulla condizione meridionale: la riforma agraria e l'intervento straordinario attraverso la "Cassa per il Mezzogiorno". E, una volta costituite, le Regioni non sono più quelle auspicate dall'assemblea costituente: da enti legislativi e pianificatori, diventano minuscoli organi amministrativi affollati di dipendenti, in sistemi ipertrofici. Diventano quindi il veicolo di infiltrazione dei partiti politici - lontani dall'idea costituzionale - che pervadono le agenzie che avrebbero dovuto occuparsi della frattura Nord-Sud. Le politiche - dopo un primo successo - si degradano e falliscono. Ma l'asimmetria territoriale rimane la questione principale. Senza risolverla, l'Italia sarà sempre meno adeguata ad affrontare la concorrenza nella dimensione europea e internazionale: al "ritardo" del "Mezzogiorno" si aggiunge ora quello dell'intero Paese. Per questo motivo, i nuovi impulsi per una "separazione del Nord", nell'illusione di creare piccole patrie economiche su scala regionale, sono particolarmente rischiosi.
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Bursać, Dejan. "Być zielonym na Wschodzie: sukces i wpływ partii Zielonych w krajach postsocjalistycznych". Przegląd Europejski, n.º 2-2022 (30 de agosto de 2022): 151–63. http://dx.doi.org/10.31338/1641-2478pe.2.22.9.

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This article examines the presence and activities of Green parties in governments of Central and Eastern Europe. In recent years, many ecologist parties and movements gained considerable electoral and general political success, especially in developed democracies of Western Europe. However, their ideological counterparts in new democracies tend to remain out of power and often out of parliament, albeit with a few notable exceptions. In this study, success of the Greens in CEE is operationalised through their impact on public spending and direct investments allocated to environmental protection. The hypothesis regarding the Greens’ impact on spending is tested within the regression models, along with other potential predictors of government expenditure. The research results demonstrate a low significance of Greens in government participation and also their impact on budgetary allocation, contributing to the debate about the Green politics’ position in the context of social and political cleavages in post-socialist societies.
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Blažek, P. y M. Kubalek. "Comparison of agrarian political  parties in selected Central European states after 1989". Agricultural Economics (Zemědělská ekonomika) 48, No. 12 (1 de marzo de 2012): 544–53. http://dx.doi.org/10.17221/5366-agricecon.

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This study deals with the founding and development of agrarian political parties and movements in selected postcommunist states (with the emphasis put on the Czech party system in the early 1990‘s). The topic is discussed from the point of view of classic political science theories, namely the historical conflict approach of Stein Rokkan and Seymour Martin Lipset, complemented with Derek Urwin’s theory regarding emergence of agrarian parties as a means of defense of country against urbanization. The results of research into the urban – rural cleavage and its influence on the genesis of agrarian political parties in selected post-communist countries after 1989 seem to support the above mentioned theories (even though those were originally formulated for a much earlier period when the Western party systems were first coming into existence. These can be applied also to the Czech environment, where several profession-based political parties were established in the early 1990’s, some of which were concerned with the defense of peasants’ and farmers’ interests. The attempts to create profession-based parties in the Czech political system were destined to fail for several reasons. The first was a striking ideological profiling of the bipolar party spectrum, causing general parties to pick up the themes and voters concerned with economic recession, and radicalization of electorate. The second reason lied in the diminishing numbers of potential voters, a result of agriculture modernization and general urbanization of society, which caused that the city-country conflict was reflected in the election results only marginally. The result was similar to other post-Soviet states, with a specific exception of Poland: agrarian parties and movements lost their former influence.
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Puigsech, Farrŕs Josep. "Un caso eccezionale. L'Internazionale comunista e la "questione spagnola" 1936-1943". ITALIA CONTEMPORANEA, n.º 259 (noviembre de 2010): 216–36. http://dx.doi.org/10.3280/ic2010-259002.

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La creazione nel luglio del 1936 del Partito socialista unificato della Catalogna (Psuc), frutto dell'unione tra una parte dei socialisti e una parte dei comunisti catalani, trasformň il rapporto dei comunisti spagnoli con la Terza internazionale in un caso unico e anomalo rispetto alla situazione esistente fino a quel momento nel movimento comunista. La presenza, in uno stesso Stato, di due formazioni politiche che si dichiaravano entrambe legittime rappresentanti dell'Internazionale comunista (il Partito comunista di Spagna, Pse, e il partito catalano) metteva in discussione il dogma "uno Stato, un partito", stabilito dall'organismo internazionale diretto da Mosca, fin dalla sua fondazione nel 1919. L'ufficializzazione dell'adesione avvenne solo nell'estate del 1939, a guerra civile terminata e con la maggioranza dei dirigenti e dei militanti in esilio. Nel saggio, l'autore ripercorre, sulla scorta di fonti documentarie inedite conservate in archivi spagnoli e russi (RGASPI), l'intero e complicato percorso che vide confrontarsi, in alcuni momenti con estrema asprezza, i due partiti comunisti spagnoli, l'Internazionale con i suoi organi dirigenti e i delegati inviati nella Spagna repubblicana, altri partiti comunisti europei e le due componenti in cui si divise lo stesso partito catalano.
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ÖZOFLU, Melek Aylin. "Avrupa Yanlısı Siyasi Partiler Tarafından Avrupa Kimliği İnşası". Uluslararası İlişkiler Dergisi 19, n.º 74 (2 de junio de 2022): 73–87. http://dx.doi.org/10.33458/uidergisi.1124976.

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Avrupa Birliği (AB) siyasi sahnesi, kimlik inşasının siyasi partiler için siyasi bir meşrutiyet kazanma aracı haline geldiği söylemsel bir alan sunmaktadır. Avrupa yanlısı partiler, Avrupa kimliğinin grup içi anlatılarını kullanırken Avrupa şüpheci partiler, siyasi gerçekliği yeniden şekillendirmek için gruplar arası farklılaşma anlatılarını kullanarak “biz” ve “onlar” arasındaki grup ayrımını sorunsallaştırır. Literatür çoğunlukla, söylemsel sosyo-politik dışlama yoluyla grup içi ulus kimliği inşa eden Avrupa şüpheci popülist söylem ve sağcı retoriğe odaklanır. Bu makale, farklı bir duruş benimseyerek 2019 Avrupa Parlamentosu seçim kampanyaları süresince Avrupa yanlısı siyasi partilerin başvurduğu söylemsel stratejileri söylem-tarihsel yaklaşım yöntemiyle ele almayı amaçlamaktadır. Çalkantılı Avrupa siyaset sahnesindeki Avrupa yanlısı söylemi araştırmak bu partilerin grup içi kimlik bölünmesine ilişkin duruşunu ortaya koymakta kritik bir öneme sahiptir.
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Pasquino, Gianfranco. "Democrazia, partiti, primarie". Quaderni dell'Osservatorio elettorale QOE - IJES 55, n.º 1 (30 de junio de 2006): 21–39. http://dx.doi.org/10.36253/qoe-12708.

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Per cominciare, mi sembra opportuno delineare le caratteristiche della, come direbbero gli inglesi, big picture , vale a dire del quadro generale nel quale si inquadrano le trasformazioni dei regimi democratici, in special modo di quelle democrazie che si sono consolidate nel secondo dopoguerra. A partire dalla pubblicazione in inglese (1992) del libro di Francis Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, sono proliferate le analisi di queste trasformazioni della democrazia, spesso effettuate con visioni ideologiche talvolta con riferimenti quasi kantiani alla necessità di estendere la democrazia ai livelli sopranazionali (Unione Europea, Nazioni Unite). Correttamente inteso, ma era sufficiente essere andati oltre la lettura del titolo, il libro di Fukuyama aveva assunto una prospettiva piuttosto diversa. Con straordinario tempismo, l’autore argomentava che, avendo vinto la sfida con i totalitarismi, le democrazie liberali si trovavano finalmente nelle condizioni migliori per iniziare il complesso cammino del loro perfezionamento. Oggi sappiamo che, con la comparsa del terrorismo internazionale, sotto forma di sfida alla civiltà occidentale, come correttamente previsto, ma sicuramente non auspicato, da Samuel Huntington (Lo scontro di civiltà e il nuovo ordine mondiale), la situazione si è molto complicata. Non per questo, le democrazie hanno rinunciato ai loro principi fondanti né li hanno stravolti anche se qualcosa del genere può essere avvenuto, come affermano diversi studiosi e commentatori, alla democrazia degli Stati Uniti sotto l’amministrazione Bush, seppur in maniera non irreversibile. Al contrario, la maggior parte delle democrazie hanno accettato la sfida della qualità delle loro istituzioni e delle loro prestazioni tanto che quello della “qualità della democrazia” è attualmente il campo di analisi in ascesa nella scienza politica contemporanea (sul punto Diamond e Morlino 2005). E, naturalmente, quando si parla di qualità della democrazia è assolutamente inevitabile interrogarsi non tanto e non soltanto sui diritti dei cittadini, che qualsiasi democraziadegna di questo nome deve promuovere e proteggere, quanto, piuttosto e più precisamente, sui poteri dei cittadini. Questa, peraltro non lunga, ma appena leggermente pomposa, premessa mira a suggerire che, come vedremo meglio in seguito, le elezioni primarie non cadono dal cielo e neppure vengono dall’inferno, ma possono e debbono essere inserite nel discorso relativo al perfezionamento delle democrazie. Peraltro, non ho nessun dubbio sul fatto che la qualità della democrazia dipende anche, gli elitisti direbbero in special modo, dalla qualità delle loro leadership, delle minoranze organizzate che conquistano il potere politico. Ritengo, però, assiomatico affermare che nelle democrazie sono gli elettori a scegliere e, eventualmente e periodicamente, a fare circolare le leadership, ovvero a fare entrare e uscire dalle stanze del potere le minoranze organizzate dei loro sistemi politici. Dunque, mi pare opportuno condurre il discorso che segue con riferimento proprio al potere degli elettori di scegliere non soltanto rappresentanti e governanti, ma anche coloro che ambiscono a diventare rappresentanti e governanti.
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Mair, Peter. "IL DESTINO DEI PICCOLI PARTITI". Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 19, n.º 3 (diciembre de 1989): 467–98. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200008662.

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IntroduzioneNella abbondante letteratura che prefigura una crisi delle convenzionali forme di politica nelle democrazie dell'Europa occidentale un'enfasi speciale è stata posta sulla presunta sfida rivolta ai più tradizionali e consolidati partiti di massa. La stessa politica tradizionale è vista come passè ed i grandi partiti di massa, che ne rappresentano la più classica incarnazione, sono ritenuti — a torto o a ragione — strumenti sempre più inadeguati all'incanalamento delle forme contemporanee della rappresentanza.La vulnerabilità dei partiti di massa tradizionali pare derivare da due distinti processi. In primo luogo questi partiti sono ritenuti vulnerabili in termini ideologici e di politiche, in quanto rifletterebbero temi e problemi che corrispondono sempre meno agli interessi contemporanei. In secondo luogo, sono visti come vulnerabili sotto il profilo organizzativo, in quanto cittadini più istruiti, articolati e informati non sarebbero più soddisfatti della passività e/o anonimità che caratterizza la partecipazione in questo tipo di partiti e della natura essenzialmente oligarchica attraverso la quale si ritiene venga esercitato il loro controllo. Seguendo con varie intonazioni entrambe queste linee di ragionamento, gran parte della letteratura contemporanea pone conseguentemente l'accen to sulla erosione dei partiti tradizionali e suggerisce un potenziale riallineamento a favore di partiti più recenti e più piccoli, che appaiono allo stesso tempo più sensibili verso le nuove issues e più aperti verso nuove forme di partecipazione. L'emergere di partiti ecologisti in un gran numero di democrazie europee è spesso citato come la prova più evidente della base di un tale riallineamento, ma evidenza dello stesso tipo può anche essere individuata per un gruppo più ampio di partiti che vanno dai Radicali italiani a D'66 nei Paesi Bassi e ai Socialisti di sinistra in Danimarca e Norvegia (Poguntke 1987).Tuttavia, è chiaro che ognuno di questi argomenti ha implicazioni alquanto diverse. Se, per esempio, quello corretto è il primo, allora il motore principale del cambiamento è il grado di insoddisfazione programmatica e se i partiti tradizionali si rivelassero incapaci di adattarsi dovremmo aspettarci che il riallineamento conseguente favorisca i nuovi partiti. Se invece è corretta la seconda ipotesi, allora il cambiamento principale deriva da insoddisfazione organizzativa e potrebbe risultarne un riallineamento a favore dei piccoli partiti. In realtà i due processi possono essere combinati solo nella misura in cui partiti nuovi tendono anche ad essere partiti piccoli e viceversa, un punto su cui dovremo tornare in seguito.L'importanza di distinguere tra partiti nuovi e partiti piccoli emerge anche al semplice livello di definizione. Mentre la definizione di cosa costituisca un «nuovo» partito (rispetto a un partito della «nuova politica») non sembra porre difficoltà molto superiori a quelle di stabilire una data di soglia temporale, la definizione di cosa sia un partito «piccolo» è molto più problematica. In quest'ultimo caso sono disponibili due strategie. In primo luogo possiamo definire la piccola dimensione in termini di nlevanza sistemica, o facendo ricorso ai criteri identificati da Sartori (1976, 121-25) oppure a criteri alternativi anch'essi basati sul ruolo sistemico dei partiti in questione (Smith 1987). Tuttavia, in questo caso si tende inevitabilmente a parlare di partiti rilevanti o irrilevanti piuttosto che di partiti piccoli o grandi per sè. La seconda alternativa è quella più ovvia, secondo cui piccoli e grandi partiti possono essere distinti sulla base della semplice dimensione, sia essa elettorale, parlamentare, organizzativa o altro. Di sicuro i piccoli partiti possono essere partiti rilevanti e quelliirrilevanti · possono essere piccoli. In ultima analisi, tuttavia, nel nostro caso «piccolo» si deve riferire alla dimensione piuttosto che al ruolo.Questo lavoro è parte di un più ampio progetto dedicato alla esperienza dei piccoli partiti nell'Europa occidentale ed altri contributi del progetto tratteranno il ruolo sistemico dei piccoli partiti, le varie soglie di rilevanza nella loro vita e le varie esperienze in un gran numero di diversi contesti nazionali (Mueller, Rommel e Pridham, in via di pubblicazione). L'obiettivo di questo lavoro è semplicemente quello di offrire un quadro di sintesi sull'universo elettorale dei piccoli partiti nell'Europa occidentale del dopoguerra. Attraverso questa analisi spero di mostrare il grado in cui le fortune elettorali di tali partiti sono cambiate nel tempo, di identificare quei paesi e quei periodi in cui tali cambiamenti sono stati più pronunciati e, in particolare, di identificare quali piccoli partiti ne sono stati coinvolti.Va inoltre aggiunto che si tratta di una analisi a carattere largamente induttivo: cercherò prima di definire cosa costituisca un piccolo partito e in seguito di investigare le modalità e le spiegazioni del cambiamento nel sostegno elettorale aggregato di questi partiti. Intuitivamente si ha la sensazione che il sostegno elettorale dei piccoli partiti sia aumentato negli anni del dopoguerra. Per esempio, la recente nascita di piccoli partiti ecologici, così come le numerose analisi che suggeriscono un declino dei cleavages tradizionali di classe e religione e la crisi concomitante affrontata da quei partiti tradizionali e di grandi dimensioni che mobilitano il voto lungo queste linee di cleavage, sembrano implicare che i partiti di piccola taglia siano divenuti sempre più importanti con il tempo. Anche in questo caso, tuttavia, ci vuole cautela nel mettere in relazione prognosi di mutamento con una classificazione di partiti derivata dalla sola taglia. Non tutti i partiti piccoli sono partiti nuovi, né tantomeno partiti della «nuova politica», e molti si mobilitano elettoralmente in riferimento a linee di frattura molto tradizionali. Un esempio pertinente è quello del Partito popolare svedese in Finlandia. Inoltre, non tutti i nuovi partiti sono partiti piccoli, come evidenzia il successo elettorale della nuova Associazione Cristiano-democratica nei Paesi Bassi. Per la verità, si può anche dubitare che una categorizzazione dei partiti in soli termini di taglia abbia un significato teorico; ma questo è un problema diverso, sul quale torneremo in seguito.Nonostante questi caveat rimane incontestabile che una lettura non-critica della letteratura contemporanea suggerirebbe che vi è stato nel tempo un aumento di voti verso i piccoli partiti e questa ipotesi di partenza dirigerà la nostra analisi. Nella prossima sezione opereremo una classificazione dei partiti a seconda della loro taglia e, su questa base, una classificazione dei sistemi di partito a seconda della distribuzione dei diversi tipi di partiti. Successivamente analizzeremo la tendenza temporale del sostegno elettorale ai piccoli partiti e cercheremo di offrire alcune spiegazioni per la variazione di queste tendenze. Infine, esamineremo in che modo il voto per i piccoli partiti si distribuisce nelle diverse famiglie politico-ideologiche e studiere-mo l'andamento elettorale dei diversi sottogruppi di piccoli partiti, inclusi i «nuovi» piccoli partiti e i «vecchi» piccoli partiti.
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Di Virgilio, Aldo. "Elezioni in Italia –Le elezioni europee del 6-7 giugno 2009: il "Sistema 2008" tiene, la sua differenziazione territoriale cresce". Quaderni dell'Osservatorio elettorale QOE - IJES 62, n.º 2 (30 de diciembre de 2009): 145–64. http://dx.doi.org/10.36253/qoe-10156.

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Review of Italian elections, 2009 EP elections Europee 2009: sequenza elettorale e interrogativi della vigilia Una nuova legge lettorale e una nuova offerta Partecipazione in calo La tenuta del "Sistema 2008": cinque partiti leggono deputati a Strasburgo Ricognizione del voto per circoscrizione e per regione: esistono ancora "partiti nazionali"? I confronti: con le europee 2004, con le politiche 2008
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Nencioni, Tommaso. "Tra neutralismo e atlantismo. La politica internazionale del Partito socialista italiano 1956-1966". ITALIA CONTEMPORANEA, n.º 260 (febrero de 2011): 438–70. http://dx.doi.org/10.3280/ic2010-260005.

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L'articolo illustra gli elementi di continuitŕ e di rottura nell'azione internazionale del Partito socialista italiano, e la stretta relazione tra i cambiamenti nei riferimenti internazionali del partito e le mutazioni nella strategia da esso adottata per la lotta politica in Italia. Nella prima parte, l'autore analizza i caratteri del dibattito teorico che si sviluppa all'interno del partito socialista nel periodo in cui esso definisce la sua strategia in termini neutralisti. Sono passati in rassegna i termini del dibattito ideologico tra la corrente autonomista guidata da Nenni e Lombardi e quella di sinistra sui temi del neutralismo: europeismo, sostegno al Movimento dei non allineati, riavvicinamento al socialismo europeo e azione da svolgere in politica estera col governo di centrosinistra. Nella seconda parte dell'articolo l'autore esamina il ruolo della politica internazionale nella definizione degli equilibri del centrosinistra e il dibattito sull'Europa e sulle rivoluzioni in atto nel "terzo mondo" che si sviluppa all'interno del Psi, fino alla riunificazione di questo col Partito socialdemocratico e il suo ingresso nell'alveo del socialismo europeo.
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Gellner, Ernest. "Nationalism and politics in Eastern Europe". European Review 1, n.º 4 (octubre de 1993): 341–45. http://dx.doi.org/10.1017/s1062798700000752.

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The article restates the theory of Nationalism, which it links to the transition from agrarian to industrial or industrializing society. In an agrarian society, culture is used to underscore a complex and fairly stable system of statuses. Political units themselves are complicated and overlapping and ill-defined, and culture does not demarcate their boundaries. In an industrial society, work ceases to be physical and becomes semantic, and society itself is highly mobile. Under these circumstances, a shared and standardized, codified culture, inculcated by formal education, becomes a precondition of social participation and employability. When shared, literacy-linked culture is very important, people identify with it and thus become ‘nationalists’. The article also traces the five stages which Europe has passed in the course of this transition: the perpetuation of the old dynastic/religious political system in 1815, the century of nationalist irredentism, the setting up of a political system in 1918 based on nationalities which was weak and self-defeating, the most intensive period of ‘ ethnic cleansing’ in the 1940s under the cover of war-time secrecy and post-war retaliation, and finally a certain demolition of the intensity of ethnic feeling during advanced industrialism, thanks to the partial convergence of industrial cultures and the softening impact of affluence.
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Colloca, Pasquale. "Le elezioni europee del 6-7 giugno 2009: ancora elezioni di second'ordine o primi cenni di un riallineamento? Un'analisi dei flussi elettorali in 13 città italiane". Quaderni dell'Osservatorio elettorale QOE - IJES 62, n.º 2 (30 de diciembre de 2009): 5–36. http://dx.doi.org/10.36253/qoe-10152.

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A livello di saldi finali, le tendenze più rilevanti alle elezioni europee del 6-7 giugno 2009, sono costituiti sostanzialmente da: 1) il sostanziale equilibrio finale tra le macro-aree politiche di centrosinistra e centrodestra; 2) la diminuzione del consenso per i partiti maggiori e la significativa crescita dei partiti minori; 3) l’elevato livello di astensionismo.Queste tendenze generali, oramai note a tutti, hanno caratterizzato l’esito finale dei risultati alle elezioni europee del 6-7 giugno 2009. Tuttavia, esse non ci dicono quali sono stati gli effettivi movimenti di voto sottostanti che le hanno generate: riuscire a stimare questi movimenti di voto – i flussi elettorali – rappresenta un passo decisivo attraverso il quale fornire la necessaria prova empirica sui cambiamenti che sono intervenuti tra due elezioni.L’obiettivo di questo saggio è proprio quello di cercare di interpretare i risultati delle elezioni europee del 2009 attraverso un’analisi dei flussi elettorali avvenuti tra le elezioni politiche del 2008 e le elezioni europee del 2009. Stimare gli spostamenti di voto avvenuti tra le due elezioni sarà occasione per valutare le caratteristiche delle elezioni europee del 2009 anche alla luce della significatività del modello teorico dell’elezione di second’ordine.
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Bardi, Luciano. "IL VOTO DI PREFERENZA IN ITALIA E LA LEGGE ELETTORALE EUROPEA". Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 15, n.º 2 (agosto de 1985): 293–313. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200003154.

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IntroduzioneIl voto di preferenza è da tempo uno degli elementi più discussi del sistema elettorale italiano. Nel corso del dibattito apertosi in concomitanza con i lavori della commissione bicamerale per le riforme istituzionali, è emerso un quasi unanime orientamento a favore di una soppressione di tale strumento. Si ritiene che il voto di preferenza favorisca i processi disgregativi all'interno dei partiti e che una sua eliminazione, o quanto meno una revisione dei meccanismi che lo regolano, possa avere l'effetto «di moralizzare la vita politica e di evitare una malsana lotta fratricida all'interno dei partiti». Tale opinione riassume, forse un po’ enfaticamente, alcune delle osservazioni di quanti hanno studiato il voto di preferenza nel contesto del sistema e del comportamento elettorale in Italia. Il voto di preferenza sembra infatti essere maggiormente utilizzato in presenza di situazioni clientelari (quali il ‘voto di scambio’) e caratterizzate da un alto grado di frazionismo dei partiti.
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Garcia-Blanco, Iñaki y Stephen Cushion. "A PARTIAL EUROPE WITHOUT CITIZENS OR EU-LEVEL POLITICAL INSTITUTIONS". Journalism Studies 11, n.º 3 (junio de 2010): 393–411. http://dx.doi.org/10.1080/14616700903378653.

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Anderson, James. "The Shifting Stage of Politics: New Medieval and Postmodern Territorialities?" Environment and Planning D: Society and Space 14, n.º 2 (abril de 1996): 133–53. http://dx.doi.org/10.1068/d140133.

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With intensified globalization, and more specifically European integration, the ground is shifting under established political institutions, practices, and concepts. The European Union (EU), however, is usually conceived in traditional ‘realist’ or ‘functionalist’ terms which obscure the possibility that distinctly new political forms arc emerging; or, alternatively, some self-styled ‘postmodernists’ speculate implausably about a ‘Europe of the regions’ replacing the ‘Europe of states’. In contrast, I argue for ‘new medieval’ and ‘postmodern’ conceptualizations of territoriality and sovereignty, which recognize that geographic space is becoming more complex and ‘relative’: Conventional political concepts based on ‘absolute’ space are increasingly problematic for understanding the political complexities of contemporary globalization. Here ‘postmodernity’ may mean something different from what some postmodernists think it means: not, for instance, a federalized ‘United States of Europe’ where regions and regionalism replace nations and nationalism, nor simply an intergovernmental arrangement of sovereign states, but something quite distinct—‘arrested federalization’ and an ‘intermediate’ arrangement distinct in its own right rather than ‘transitional’. In this paper I sketch transformations of sovereignty from ‘medieval to modern’, and from the ‘modern’ to the allegedly ‘postmodern’. I focus on the ‘unbundling’ of territorial sovereignty, which has reputedly gone furthest in the EU. However, even here the process is partial and selective, with globalization affecting different state activities unevenly. Contemporary configurations of political space are a complex mixture of new and old forms, the latter continuing to exist rather than being tidily removed to clear the ground for new politics. The EU itself is still territorial, and in many respects traditional conceptions of sovereignty remain dominant, whether exercised by the member states or by the EU as a whole. Moreover there are problems both with the elusive notion of postmodern, and with the historical analogies of new medievalism. Nevertheless, despite problems and qualifications, these concepts are useful for exploring the possibility of radical transformations, not just with respect to the ‘actors’ of global and local politics, but to the space–time of the ‘stage’ on which they operate.
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KOPKA, Artur. "Populizm lewicowy w Europie na przykładzie partii „Die Linke” w Republice Federalnej Niemiec". Przegląd Politologiczny, n.º 4 (2 de noviembre de 2018): 79–96. http://dx.doi.org/10.14746/pp.2010.15.4.7.

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One of the main challenges European democracy has faced recently is growing political radicalism, and primarily the increasing importance of populist parties originating from both left and right sides of the political arena. This paper refers to the theoretical assumptions concerning this phenomenon to analyze the operations of the ‘Die Linke’ party in the German party system. This party is an excellent example of taking skillful advantage of the circumstances favoring the development of the populist tendencies that have emerged following the recent, radical, social, and political changes in the Federal Republic of Germany. Against the background of European extremist left-wing parties, the paper presents the influence this Left-Wing Party exerts on the changing balance of power on the German political arena on a regional and national level, the ideological profile and party platform, and the changing structure of both its members and voters.
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Iordachi, Constantin. "Introduction: Fascism in Interwar East Central and Southeastern Europe: Toward a New Transnational Research Agenda". East Central Europe 37, n.º 2-3 (25 de marzo de 2010): 161–213. http://dx.doi.org/10.1163/187633010x541786.

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This introductory essay provides a first, much needed comprehensive overview of the recent scholarship on fascism and the radical right in East Central and Southeastern Europe in local and international historiography. Its aim is to identify a new research agenda for studying fascism comparatively, potentially contributing to the fine-tuning or substantial modification of the existing explanatory paradigms. It is argued that comparative research on fascism and the radical right in these regions should be set on new theoretical and methodological foundations, as part of an effort toward greater interaction and convergence between scholarly research traditions in Eastern and Western Europe. My endeavor is based on the assumption that the study of fascist movements and regimes in East Central and Southeastern Europe is essential to the more general scholarly effort to understand radical politics in interwar Europe; without it, comparative research results remain partial and incomplete. Yet, this analytical effort does not simply mean an extension of the existing theoretical framework of generic fascism to previously uncharted regions. Regional explorations of fascism might function as a laboratory for further methodological innovation and as a field of experimentation and interaction of scholars from various disciplines and national historiographic traditions. They can potentially lead to the rejuvenation of fascist studies by renewing their thematic scope and by redirecting research from the prevailing Weberian ideal-type methodology fixated on the fascist “ideological minimum” to new comparative-historical analyses focusing on the triad ideology-movements-regimes. This novel agenda of research prompts scholars to rethink their units of analysis, and to renounce teleological comparative perspectives still prevalent in Cold War-type scholarship which takes Western Europe as a measuring stick and normatively evaluates other historical case studies only by means of negative comparisons (e.g.: what was missing, or what “went wrong” in non-Western regions). Instead of treating fascist movements and regimes in these regions as carbon copies of their more “genuine” Western counterparts, scholars should rather explore multiple laboratories for the elaboration of fascist ideology in interwar politics and the transfer of illiberal political ideas and practices over spatial or temporal borders, resulting in radical political experiments in East and West alike.
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Zimmermann, Susan. "The Institutionalization of Women’s and Gender Studies in Higher Education in Central and Eastern Europe and the Former Soviet Union: Asymmetric Politics and the Regional-Transnational Configuration". East Central Europe 34-35, n.º 1-2 (2008): 131–60. http://dx.doi.org/10.1163/18763308-0340350102007.

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Women’s and Gender Studies in higher education have developed in Central Eastern Europe and the post-Soviet space since the late 1980s within the context of a complex triangle made up of the interests and impact of a whole variety of transnational actors, the changing politics of higher education at national and university levels, and the interests and aspirations of academics on the ground. The study explores these constellations as they changed over time, and varied within the post-“state-socialist” world from one sub-region to the other. It highlights the often unequal processes of internationalization, the partial privatization, EU-ization, and national reform of higher education and the role played by the dedication of academics spreading the word and the institution, as the major factors producing the success story ― even if always endangered ― of the Women’s and Gender Studies trade in the “other half of Europe”. The strategic function ascribed in Central and Eastern Europe to Gender Studies as a symbolic marker of pro-Western educational “reform” has been shaping both the fortunes of Women’s and Gender Studies in the region and the academic, political, and discursive opportunities available for those involved in research and teaching in this field.
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Sassen, Saskia. "Nuove politiche di appartenenza". MONDI MIGRANTI, n.º 3 (marzo de 2009): 7–29. http://dx.doi.org/10.3280/mm2008-003001.

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- The two foundational subjects for membership in the modern nation-state, the citizen and the alien, are undergoing significant changes in the current period. The effect is a partial blurring of each the citizen subject and of the alien subject. I first outline these changes vis-ŕ-vis nationality and citizenship. Second, I dissect notions of membership in order to create a set of tools for incorporating the undocumented immigrant as well as the minoritized citizenship. In the third section, I examine some key features of Europe and its immigrations in order to extract these ambiguities in the politics of membership. Fourth, I situate these repositionings within contemporary immigration facts and politics.Keywords Citizenship, membership, minorities politics.
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Curp, T. David. "The Politics of Ethnic Cleansing: The P.P.R., The P.Z.Z. and Wielkopolska's Nationalist Revolution, 1944–1946". Nationalities Papers 29, n.º 4 (diciembre de 2001): 575–603. http://dx.doi.org/10.1080/00905990120102101.

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“… all of society is caught up in a hatred of Germany … [this] creates a serious possibility of uniting all of society into one entire national front.”Władysław GomułkaThree costly revolutions began in Poland between spring 1944 and summer 1946. The first two were primarily state-sponsored political and socioeconomic revolutions initiated by a minority comprising the Moscow-appointed and -controlled Polish Workers' Party (Polska Partia Robotnicza, P.P.R.) and their allies. Although they dominated the commanding heights of regional and national politics and administration, the P.P.R. and its supporters faced fierce opposition and waged these revolutions with only partial success, relying heavily on fraud and force. These ongoing state-sponsored transformations established an uneven hold on Polish society and depended upon the police power of the new Polish state and, ultimately, the Soviet Union. When the Soviet Union was no longer willing to support its satellites in Eastern Europe by force of arms and the Polish people dismantled their regime's coercive power, much of the laboriously developed political and socioeconomic superstructure of the People's Republic of Poland collapsed.
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Gould-Davies, Nigel. "Rethinking the Role of Ideology in International Politics During the Cold War". Journal of Cold War Studies 1, n.º 1 (enero de 1999): 90–109. http://dx.doi.org/10.1162/15203970152521908.

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The partial opening of East-bloc archives has sparked renewed interest in the study of ideological influences in Soviet foreign policy. The task of weighing the relative importance of ideology is complicated, however, by the failure of most scholars to develop sound evaluative criteria. This article discusses the shortcomings of previous analyses of Soviet ideology and puts forth a more theoretically coherent approach, based on three explicit criteria for assessing ideological and security-seeking goals. A Few Unresolved Mysteries about Stalin and the Cold War in Europe: A Modest Agenda for Research
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Treu, Tiziano. "Flessibilitŕ e tutele nella riforma del lavoro". GIORNALE DI DIRITTO DEL LAVORO E DI RELAZIONI INDUSTRIALI, n.º 137 (febrero de 2013): 1–51. http://dx.doi.org/10.3280/gdl2013-137001.

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Il saggio contiene un'analisi generale della recente riforma del lavoro (l. n. 92/2012). In premessa si ricostruisce l'iter formativo del provvedimento anzitutto nel dibattito fra le parti sociali e il governo, di cui si sottolinea l'andamento contrastato, e poi in sede parlamentare, dove si č verificata una larga convergenza politica sul testo e sulle sue modifiche, che peraltro non ha impedito forti tensioni e diffuse critiche. Il saggio discute l'impostazione generale della legge ispirata al modello europeo della flexicurity, mettendola a confronto con le esperienze di altri paesi e tenendo conto delle particolaritŕ italiane. Sottolinea inoltre l'importanza della delega sulla partecipazione dei lavoratori nell'impresa, che č indicata fra i principi ispiratori del provvedimento. Il commento rileva la non completa corrispondenza dei principali blocchi della legge rispetto agli obiettivi dichiarati dal governo e ai modelli europei: la persistente debolezza degli ammortizzatori sociali, accentuata dalla storica inadeguatezza degli strumenti di politica attiva del lavoro; l'importanza della promozione dell'apprendistato come canale privilegiato di ingresso dei giovani al lavoro; le scelte contrastanti in tema di flessibilitŕ in entrata, consistenti da una parte in una parziale liberalizzazione del contratto a termine, dall'altra in interventi limitativi dei contratti a progetto, partite IVA, associazione in partecipazione, con il ricorso alla tecnica delle presunzioni e, per altro verso, con l'aumento dei costi contributivi (interventi non omogenei che riflettono la mancanza di una rivisitazione complessiva del lavoro autonomo); infine, la modifica dell'art. 18 dello St.lav. che realizza il superamento dell'anomalia italiana della reintegrazione come unica sanzione del licenziamento ingiustificato e riconduce la reintegrazione a ipotesi tassativamente indicate dalla legge, sostanzialmente marginali rispetto alla indennitŕ risarcitoria. Il saggio sottolinea, infine, l'importanza delle vicende applicative della legge, opportunamente soggette a monitoraggio, e il ruolo decisivo non solo della giurisprudenza, ma della contrattazione collettiva che č chiamata a modificare la normativa con interventi ai vari livelli nazionali e decentrati.
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Montanari, Andrea. "I Gruppi giovanili della Democrazia cristiana da De Gasperi a Fanfani. Nascita di un movimento politico (1943-1955)". ITALIA CONTEMPORANEA, n.º 294 (diciembre de 2020): 46–71. http://dx.doi.org/10.3280/ic2020-294002.

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L'associazionismo giovanile di partito č una realtŕ a tutt'oggi indagata solo in parte dalla ricerca storica. Il saggio ricostruisce, tramite una pluralitŕ di fonti, la nascita dei Gruppi giovanili della Democrazia cristiana, dal 1953 rinominati Movimento giovanile Dc, dalle origini nel 1944 al 1955, segnato dalla segreteria di Amintore Fanfani. L'intento č precisare alcune informazioni non corrette riportate da ricerche precedenti e dalla memorialistica, analizzando il dibattito interno all'organizzazione in alcuni tornanti decisivi del primo decennio repubblicano, mettendo in luce elementi di originalitŕ rispetto ai temi prevalenti fra gli "adulti" e offrendo, per quanto possibile, uno sguardo a livello europeo dell'associazionismo giovanile democristiano.
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Hanoteau, Julien. "Lobbying for carbon permits in Europe". Recherches économiques de Louvain 80, n.º 1 (2014): 61–87. http://dx.doi.org/10.1017/s0770451800002037.

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SummaryUsing cross-sector and cross-country data, this paper evidences that rent seeking influenced the allocation of CO2 emission permits in the two first phases of the European emissions trading scheme. Industry lobbies effectively used the 'job loss' and 'competitiveness' arguments, as unemployment proxy variables significantly impacted the allocation in both phases, and carbon intensity influenced it in the second phase. The countries that adopted a partial auction scheme also gave relatively more permits and in particular to the politically more powerful sectors. This suggests a compensation mechanism and supports the assumption of a political tradeoff between the quantity of permits issued and the decision between free grant and auction. It also confirms that the initial allocation is not neutral in the presence of special interest lobbying.
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Fossati, Fabio. "Populism as the post-Marxist adaptation of leftist Manicheanism". Revista Euro latinoamericana de Análisis Social y Político (RELASP) 1, n.º 1 (1 de junio de 2020): 87–104. http://dx.doi.org/10.35305/rr.v1i1.39.

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Populism can be defined as the post-Marxist adaptation of leftist Manicheanism. In Western Europe, this process materialized after 1989, while in Latin America populism was applied before 1989. Populism is based on: a Manichean ideology with a binary cosmology of the world; the expansion of the public expenditure with damaging effects (high inflation rates) on the economy; charismatic leaders making plebiscitary appeals to the population, with a limited role of intermediate actors (interests groups or parties) and institutions; a high mobilization process from above leading to a movimientismo of the lower sectors of the population. The four cases of orthodox macro-economic populism were: Peron in Argentina, Allende in Chile, Garcia in Peru, and Chavez/Maduro in Venezuela. In partial populism, there is plebiscitarianism, but the increase of the public expenditure and of the inflation rate remains under control (Syriza, Movimento 5 Stelle, Correa, Morales, and Cristina Kirchner). Orthodox populism has always had negative consequences in politics, leading to authoritarian regimes, increased conflict and military coups; instead, partial populism has never endangered democracy and is usually coupled with hybrid/illiberal regimes. The political cultures of the right are not populist, because there is not the increase of public expenditure, but there is plebiscitarianism.
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Fossati, Fabio. "Italy and European Union enlargement: A comparative analysis of left and right governments". Modern Italy 13, n.º 2 (mayo de 2008): 187–98. http://dx.doi.org/10.1080/13532940801962140.

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This article explores the attitudes of Italy's ruling and opposition parties towards the European Union (EU) enlargement process in Central and Eastern Europe. It shows that during both left (1996–2001) and right (2001–2006) governments there was a convergence between conservative and constructivist political platforms. In the first case, support for the Balkan countries (i.e., Slovenia, Romania, Bulgaria, Croatia) and Turkey was based on their economic (penetration of Italian firms) and political (stabilisation of a difficult area) potential. In the second case, support was justified for both economic (i.e., redistributive policy towards Romania, Bulgaria and Croatia) and cultural (i.e., pursuing a ‘plural’ Europe by including Turkey) reasons. Some liberal criticism based on Turkey's partial compliance with the political requirements for accession were raised by individual politicians of moderate right and left parties, and cultural biases against Islamic Turkey were stressed by the Lega Nord. Neither view, however, had a significant impact on the decision-making process.
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Arzheimer, Kai. "A partial micro-foundation for the ‘two-worlds’ theory of morality policymaking: Evidence from Germany". Research & Politics 7, n.º 2 (abril de 2020): 205316802091782. http://dx.doi.org/10.1177/2053168020917823.

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The two-worlds framework is currently the most important account of morality policymaking in Europe. For this theory of elite behaviour to be valid, a number of implicit assumptions about political belief systems at the mass level must hold. This contribution spells out these assumptions and tests them within a structural equation modelling framework, using original survey data from Germany, a country that constitutes a crucial case for the two-worlds theory. The results showed that the implicit individual-level preconditions of the two-worlds framework were fulfilled. Political secularism and partisanship were strongly associated. Political secularism also had strong effects on morality policy preferences regarding the preferred regulation of abortion, embryo and stem cell research, and gene therapies, even when controlling for a host of background variables. However, the size of the effects did not vary across politicised and non-politicised issues. This casts some doubt over the ability of partisan actors to unilaterally control the morality policy agenda.
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Grosse, Tomasz Grzegorz. "Overcoming the crisis in the Economic and Monetary Union". Przegląd Europejski, n.º 1-2016 (26 de junio de 2016): 28–50. http://dx.doi.org/10.31338/1641-2478pe.1.16.2.

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The purpose of the article is to assess the extent to which it has been possible to overcome the crisis situation in the economic and political/systemic dimension in Europe. The events of the crisis in the Eurozone mobilised the national and European elites to respond above all with respect to the economic situation. But in part, the changes concerned also the political dimension or precipitated consequences of a systemic character (related to the mechanisms of European integration). Some ideas were only discussed and did not gain practical implementation due to differing opinions and interests among the leading political actors, above all the EU member states. As a result, the crisis was overcome to a partial or incomplete extent both in the economic and political respect.
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Cichosz, Marzena. "New Parties in Political Markets of Central and Eastern Europe in the Years 1991-2018 – a Comparative Perspective". Annales Universitatis Mariae Curie-Sklodowska, sectio M – Balcaniensis et Carpathiensis 3 (15 de julio de 2019): 67. http://dx.doi.org/10.17951/bc.2018.3.67-74.

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<span style="font-family: WarnockPro-Regular; font-size: 9pt; color: #231f20; font-style: normal; font-variant: normal;">Celem artykułu była analiza wybranych aspektów aktywności partii nowych na<span style="font-family: WarnockPro-Regular; font-size: 9pt; color: #231f20; font-style: normal; font-variant: normal;"> scenach politycznych dziesięciu państw Europy Środkowej i Wschodniej w latach 1991–2018.<span style="font-family: WarnockPro-Regular; font-size: 9pt; color: #231f20; font-style: normal; font-variant: normal;"> Autor skupił uwagę przede wszystkim na skali poparcia wyborczego, uzyskiwanego przez partie<span style="font-family: WarnockPro-Regular; font-size: 9pt; color: #231f20; font-style: normal; font-variant: normal;"> nowe w wyborach do izby niższej parlamentów, jako jednej z przesłanek decydujących o otwartości rynków politycznych. Analizie poddano także liczbę i wielkość (mierzoną skalą poparcia<span style="font-family: WarnockPro-Regular; font-size: 9pt; color: #231f20; font-style: normal; font-variant: normal;"> wyborczego) partii nowych, które uzyskały reprezentację parlamentarną w państwach regionu.</span></span></span></span><br style="font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; letter-spacing: normal; line-height: normal; orphans: 2; text-align: -webkit-auto; text-indent: 0px; text-transform: none; white-space: normal; widows: 2; word-spacing: 0px; -webkit-text-size-adjust: auto; -webkit-text-stroke-width: 0px;" /></span>
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Giniyatullina, Lyutsiya S. "Transformation of the Political and Ethnic Map of Eastern Europe: A Triptych". Golden Horde Review 9, n.º 3 (29 de septiembre de 2021): 671–74. http://dx.doi.org/10.22378/2313-6197.2021-9-3.671-674.

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At the beginning of 2021, the Usmanov Center for Research of the Golden Horde and Tatar Khanates (Marjani Institute of History of Tatarstan Academy of Sciences) planned an international research conference: “Transformation of the Political and Ethnic Map of Eas­tern Europe”. The main issues of the conference turned out to be very popular and relevant, and extremely numerous specialists expressed a desire to take part in it. Therefore, the organizers of the conference decided to hold the planned conference in the form of a triptych. The general picture of medieval political-ethnic transformations was successfully divided into three main formations: the Great Hungarians, Volga Bulghars, and Tatars of the Golden Horde. Quarantine and preventive measures to counter the new coronavirus infection Covid-19 have resulted in the proliferation of online conferences. Thus, the three planned meetings were held in an extended face-to-face format with partial online participation. Thanks to this, a significantly larger number of specialists were able to take part in meetings with presentations on the history of political and ethnic transformations in the territory of medieval Eastern Europe under the influence of the migration factor. The staff of the Center discussed a number of very significant issues of the history of the Great Hungarians, Volga Bulghars, and Tatars of the Golden Horde with colleagues from other research centers of the Russian Federation and foreign countries. As a result, the academic meeting led to ambiguous results on seemingly resolved problems.
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Patterson, James M. "The Anti-Nationalist Patriotism of Venerable Archbishop Fulton J. Sheen". Religions 13, n.º 9 (4 de septiembre de 2022): 822. http://dx.doi.org/10.3390/rel13090822.

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Scholars today regard Venerable Archbishop Fulton J. Sheen as a supporting player in the American efforts to drum up support for the Cold War; however, this view limits Sheen’s influence to the years he spent on television hosting his program, Life Is Worth Living (1952–1957). Yet, by the time Sheen left his program, he had been part of public discussions of religion and American politics for almost thirty years. Before his 1930 debut as an authoritative Catholic voice in America, Sheen had become a decorated Catholic scholar, both in his home country and in Europe, earning him a papal audience and broad support in the American Catholic hierarchy. His early contributions to public discussion were sophisticated adaptations of Leonine Catholic social teaching to American circumstances. Critical to his teachings was his view of the American people as the source for political legitimacy. In this respect, he defied the more reactionary clergy of Europe; however, Sheen’s views were vital to his efforts to distinguish why America had a just war against the totalitarian governments of the Axis powers but also a duty to spare people who were as likely to be victims of the regime as they were supporters. Sheen carried this distinction into the Cold War, in which he called for Americans to support the Russian people by opposing totalitarian government there. Therefore, Sheen never advocated the “us vs. them” nationalism so common among Cold War propaganda, which is consistent with his initial opposition to the Vietnam War and his only partial reconsideration of that opposition later.
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Wichmanowski, Marcin. "Integracja narodów i partii agrarnych w Europie Środkowo-Wschodniej w myśli politycznej polskiego ruchu ludowego w końcowym okresie zaborów i dwudziestoleciu międzywojennym". Nowa Polityka Wschodnia 35, n.º 1 (2022): 115–44. http://dx.doi.org/10.15804/npw20223506.

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The question of European integration in the political thought of the peasant movement in Central and Eastern Europe appeared many times since the second half of the 19th century. In the period of partitions, people searched for paths to freedom and independence. The ideas of creating multinational political organisms were to be means for obtaining a certain degree of subjectivity. Poles saw development opportunities in the federation within the Habsburg monarchy. On the other hand, the union of the peoples of the former Polish-Lithuanian Commonwealth, mainly Lithuanians, Belarusians and Ukrainians – there was an apparent chance joint struggle with the Russian invader. The geopolitics of the region, constructed in the result of the First World War, meant that the newly created Central European states found themselves between Germany and Russia – both of which were states with imperialist traditions. The question of the union of states, or mainly peasant parties in the political thought of the Polish and European peasant movements appeared several times, but in the 1930s it was rather an addition to the programs of these parties. Initially, the Poles sought an agreement mainly with neighbours facing similar threats. When the implementation of these plans failed, their programs contented with peaceful international cooperation based on the League of Nations.
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Lee, Joanne. "Political utopia or Potemkin village? Italian travellers to the Soviet Union in the early Cold War". Modern Italy 20, n.º 4 (noviembre de 2015): 379–93. http://dx.doi.org/10.1017/s1353294400014836.

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Situated on the border between the capitalist West and Communist East, and with the largest Communist party in Western Europe, Italy found itself at the centre of global ideological struggles in the early Cold War years. A number of Italian writers and intellectuals who had joined the PCI (Partito Comunista Italiano) during the Resistance had hoped that the party would play a central role in the post-war reconstruction of Italy and were attracted to the Soviet Union as an example of Communism in action. This article centres on accounts of journeys to the USSR by Sibilla Aleramo, Renata Viganò and Italo Calvino. It will argue that although their writings portray a largely positive vision of the USSR, they should not be dismissed as naive, or worse, disingenuous travellers whose willingness to embrace Soviet-style Communism was based on a wholescale rejection of Western society and its values (see P. Hollander's 1998 [1981] work, Political Pilgrims: Western Intellectuals in Search of the Good Society). Rather, the article shows how their accounts of the USSR shed light on the writers' relationship with the PCI and argues that the views expressed in the travelogues emerge from the writers' personal experiences of war and resistance, a fervent desire to position themselves as anti-Fascist intellectuals, and their concerns regarding the direction that Italian politics was taking at a pivotal moment in the nation's history.
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Bakke, Elisabeth. "It’s My Generation, Baby! How Different Are (New) Parties in Slovakia in Terms of Descriptive Representation?" Politologický časopis - Czech Journal of Political Science 27, n.º 3 (2020): 353–71. http://dx.doi.org/10.5817/pc2020-3-353.

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Party systems all over Europe are becoming more unstable, as new parties win representation. Many of these parties have few members and little or no presence ‘on the ground’ and they tend to present themselves as an alternative to the old, corrupt, and/or incompetent elites. But are they really? In this article I investigate how the parliamentary elites of new parties differ from the elites of more established parties, using the 2020 election as a point of departure. Slovakia is a particularly interesting case, because since 1992, at least one new party has entered parliament in every election bar one. I find that new and/or populist parties are not necessarily much more representative, but most of them do represent an alternative to the established elite in some respect. Strikingly, genuinely new parties not only have younger legislators, but also literally represent a new generation: the generation of the party leader. However, as new parties grow older, so do their parliamentary elites. In leadership-dominated parties the composition of the party leader’s inner circle clearly matters for candidate selection and hence, for the social bias of the parliamentary elite. Finally, the idiosyncratic nomination practice of OĽaNO, the new prime minister’s party, is part of the reason for the party’s relative social pluralism, as well as for high turnover, ideological diversity and low party loyalty.
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Lai, Luca y Sharon Watson. "Sardinian Lives Matter". Anthropological Journal of European Cultures 30, n.º 2 (1 de septiembre de 2021): 123–31. http://dx.doi.org/10.3167/ajec.2021.300209.

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Sardinia had five centuries of independence up until the fifteenth century, and thereafter partial institutional autonomy until 1847. With its inclusion in the Italian state, Sardinia’s cultural, economic, institutional and political systems make it uniquely colonial in comparison to other ethnic/national minorities across Europe (Basque, Welsh, Catalan, etc.), leaving limited real choices for development to the locals and constraining what is seen as real and attainable for its future (Escobar 2020). This contribution demonstrates how Sardinia is an internal colony of Italy. We provide examples of decolonisation initiatives and provoke further interrogation on the ways in which the Black Lives Matter movement (and other efforts) are sustaining alternative visions for Sardinians’ political, economic, cultural and social future.
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Demir, Firat. "From Islamic Renaissance to Neo-fascism in Turkey". Review of Middle East Studies 50, n.º 2 (agosto de 2016): 186–94. http://dx.doi.org/10.1017/rms.2016.154.

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The Neoliberal Landscape is a collection of nine essays exploring the economic, political, social, and historical dynamics behind the rise of Islamic political parties in the Middle East, particularly the Justice and Development Party (Adalet ve Kalkınma Partisi, AKP) in Turkey. For scholars studying Turkey and the wider Middle East, understanding the rise of the AKP as well as its internal and external undercurrents has been a challenge. On the one hand, its founding leaders marketed their party as a democratic Islamic party, similar to Christian Democrats in Europe, and claimed to focus their efforts on democratizing Turkey by limiting the military and Kemalist hegemony. To this end, they formed alliances with the liberals and the liberal-left as well as the outward oriented business groups, and used the support of the European Union and the United States as leverage to increase their legitimacy. The AKP's strong neoliberal stance in economic policy also allowed it to win over domestic and international capital to its side. The changing times in global politics were also in the AKP's favor, coinciding with the post-9/11 period when the United States and its allies were desperate to find a liberal and democratic Muslim country with a market economy that they could use as a showcase. The AKP project, however, proved to be short-lived as it has increasingly become authoritarian at home, bordering on neo-fascist, and confrontational abroad. In fact, many analysts have suggested that what Turkey is experiencing is nothing short of a regime change, moving the country from a secular republic, albeit a semi-democratic one, to a neo-fascist one-party state with some Islamic flavor, ruled by a strong-man with no pretense of democracy. In fact, since the 7 June 2015 elections, the country has moved to a de facto presidential system, even without constitutional change.
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HUBERMAN, MICHAEL. "Working Hours of the World Unite? New International Evidence of Worktime, 1870–1913". Journal of Economic History 64, n.º 4 (diciembre de 2004): 964–1001. http://dx.doi.org/10.1017/s0022050704043050.

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This article constructs new measures of worktime for Europe, North America, and Australia, 1870–1913. Great Britain began with the shortest work year and Belgium the longest. By 1913 certain continental countries approached British worktimes, and, consistent with recent findings on real wages, annual hours in Old and New Worlds had converged. Although globalization did not lead to a race to the bottom of worktimes, there is only partial evidence of a race to the top. National work routines, the outcome of different legal, labor, and political histories, mediated relations between hours and income.
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Vittori, Davide. "Cartelization and party change in social democracies: a comparative perspective on theParti Socialiste(PS),Partido Socialista Obrero Español(PSOE), andPartito Democratico(PD)". Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 48, n.º 1 (23 de junio de 2017): 43–64. http://dx.doi.org/10.1017/ipo.2017.15.

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In the last decades, the cartel party theory has been one of the most discussed topics in the academic literature on political parties. Several publications have dealt with the application of the theory at the systemic level, using a country as a unit of analysis. Less attention has been given thus far to the party level. This analysis is aimed at improving the study of the cartel party theory by focussing on the transformations of three social-democratic parties in Europe: theParti Socialistein France, thePartido Socialista Obrero Españolin Spain, and thePartito Democraticoin Italy. The main findings in this work will not confirmin totothe theoretical assumption of the cartel party, in particular as regards membership and, in part, political convergence. Albeit declining, membership has been resilient in the last two decades. Despite a clear-cut convergence in EU-related issues, political manifestos of mainstream parties have shown a certain degree of polarization. Finally, while the three parties under examination rely almost entirely on public subventions, political parties proved to be capable of reforming the public funding laws, increasing the transparency of donations and reducing the total amount of public subvention.
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Wodak, Ruth. "Language, power and identity". Language Teaching 45, n.º 2 (25 de marzo de 2011): 215–33. http://dx.doi.org/10.1017/s0261444811000048.

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How are identities constructed in discourse? How are national and European identities tied to language and communication? And what role does power have – power in discourse, over discourse and of discourse? This paper seeks to identify and analyse processes of identity construction within Europe and at its boundaries, particularly the diversity of sources and forms of expression in several genres and contexts. It draws on media debates on Austrian versus Standard High German, on focus group discussions with migrants in eight European countries and on public and political debates on citizenship in the European Union which screen newly installed language tests. The analysis of different genres and publics all illustrate the complexity of national and transnational identity constructions in a globalised world. What is experienced as European or as outside of Europe is the result of multiple activities, some of them consciously planned in the sense of political, economic or cultural intervention, others more hidden, indirect, in the background. Such developments are contradictory rather than harmonious, proceeding in ‘loops’ and partial regressions (rather than in a linear, uni-directional or teleological way). Thus, an interdisciplinary approach suggests itself which accounts for diverse context-dependent discursive and social practices.
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Sales, Jean Rodrigues. "O Partido Comunista do Brasil e a crise do socialismo real". Revista Brasileira de História 28, n.º 56 (2008): 507–28. http://dx.doi.org/10.1590/s0102-01882008000200012.

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O artigo analisa o impacto da crise do socialismo real na trajetória do Partido Comunista do Brasil. Destaca os caminhos escolhidos pelo partido para lidar com os dilemas do fim do socialismo no Leste Europeu e as modificações pelas quais passaram as suas formulações políticas na década de 1990, em conseqüência das transformações do comunismo em nível mundial.
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Cirone, Alexandra y Brenda Van Coppenolle. "Bridging the Gap: Lottery-Based Procedures in Early Parliamentarization". World Politics 71, n.º 2 (11 de marzo de 2019): 197–235. http://dx.doi.org/10.1017/s0043887118000291.

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AbstractHow is the use of political lotteries related to party development? This article discusses the effects of a lottery-based procedure used to distribute committee appointments that was once common across legislatures in nineteenth-century Europe. The authors analyze the effects of a political lottery in budget committee selection in the French Third Republic using a microlevel data set of French deputies from 1877 to 1914. They argue that the adoption and benefit of lottery-based procedures were to prevent the capture of early institutions by party factions or groups of self-interested political elites. The authors find that partial randomization of selection resulted in the appointment of young, skilled, middle-class deputies at the expense of influential elites. When parties gained control of committee assignments in 1910, selection once again favored elites and loyal party members. The authors link lottery-based procedures to party development by showing that cohesive parties were behind the institutional reform that ultimately dismantled this selection process. Lottery-based procedures thus played a sanitizing role during the transformation of emerging parliamentary groups into unified, cohesive political parties.
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