Bellia, Marcello. "Herculea ope vobis Menaechmis Scena revixit: il Principe e la commedia (Ferrara, 1486-1505)". Doctoral thesis, 2021. http://hdl.handle.net/2158/1265159.
Resumen
La tesi indaga la civiltà dello spettacolo ferrarese sotto Ercole I d’Este, un sovrano che controlla, promuove e dirige la vita festiva e cerimoniale con fermezza secondo un preciso disegno politico. Con il sussidio di un’ampia gamma di fonti cronistiche, epistolari, archivistiche, letterarie e iconografiche, il lavoro tenta di ricostruire le fonti di ispirazione, la trama simbolica e allegorica del progetto teatrale erculeo e le realizzazioni materiali di alcuni spettacoli. Il focus si concentra su un aspetto ancora non indagato in profondità, perché dato per scontato o ingiustamente ritenuto estraneo all’ambito delle discipline dello spettacolo: la ricezione attiva di Plauto e Terenzio ma anche di Luciano o Ovidio e il loro specifico riuso nei volgarizzamenti commissionati dal Duca agli intellettuali della sua corte. Intrecciando le prospettive tradizionali della filologia classica con quelle teatrologiche si indagano, cioè, i modi attraverso i quali si assimila a più livelli e si attualizza espressivamente il patrimonio ritrovato della cultura classica identificando in questo passaggio la cifra costitutiva della scena erculea, l’aspetto che, in altre parole, maggiormente la definisce e la distingue da altre realtà coeve.
Il lavoro è articolato in due parti precedute da un’introduzione, nella quale si fissano alcuni punti nodali relativi al contesto ferrarese tardo-quattrocentesco. Ai nastri di partenza si colloca l’illustre umanista Guarino Veronese, decisivo protagonista, con il suo magistero, nell’esegesi e nella diffusione dei capolavori comici latini, che imprime un forte impulso riformista alla vita culturale estense, arrivando a rivoluzionare il concetto stesso di princeps e di corte.
Dallo Studio alla città: un Apologo di Pandolfo Collenuccio è il punto di avvio di una riflessione teorica intorno alla categoria estetica di comico e di commedia; quindi, si guarda al laboratorio teatrale erculeo nei suoi tratti ibridi e polimorfi, quale spazio privilegiato di incontro tra l’eredità romanza della cultura volgare e i classici da poco riscoperti dagli umanisti. L’indagine è condotta attraverso una campionatura di episodi festivi e di documenti estrapolati come più significativi.
La prima sezione esplora la festa per le nozze di Alfonso d’Este, primogenito di Ercole ed erede al soglio ducale, e Anna Sforza, nipote di Ludovico il Moro e sorella del duca nominale di Milano Gian Galeazzo Maria Sforza, ricostruita alla luce di evidenze documentarie inedite. Il confronto tra l’ingresso trionfale della sposa a Ferrara, avvenuto il 12 febbraio 1491, e la speculare entrata processionale degli Este a Milano del 22 gennaio dello stesso anno, rivela con chiarezza le differenze tra le rispettive tattiche promozionali di Ercole I e Ludovico il Moro. Il complesso cerimoniale architettato da Ercole per la giornata conclusiva dei festeggiamenti costituisce da questo punto di vista una sorta di prototipo delle sue strategie mitopoietiche con cui l’immagine del principe e della corte vengono trasfigurate tra teatro, iconografia e letteratura.
L’Amphitrione di Pandolfo Collenuccio, andato in scena con tutta probabilità proprio in quella circostanza, funge da ponte con la seconda sezione della ricerca, dedicata ai volgarizzamenti plautini. La scelta è ricaduta su quelli di sicura provenienza ferrarese: oltre al volgarizzamento collenucciano dell’Amphitruo, rientrano nel gruppo la Cassina e la Mustellaria di Girolamo Berardo e l’Asinaria finora ritenuta anonima e della quale si tenta un’attribuzione. A questo insieme si è aggiunta la Vita de Iosep andata in scena a Ferrara nel 1504, un singolare esperimento di “commedia religiosa” ascrivibile a Collenuccio che assimila il duca estense alla figura del patriarca biblico Giuseppe.
L’indagine sui singoli testi si svolge lungo due principali direttrici:
A. L’analisi dei motivi tematici. Il filtro culturale imposto dalla scrittura in volgare condiziona le originarie tematiche plautine, di cui naturalmente il volgarizzamento fornisce una declinazione sua propria. L’obiettivo è valutare l’originale apporto dell’autore, che non si limita a ricevere e rielaborare attivamente gli spunti plautini, ma ne aggiunge anche di nuovi, provenienti dal repertorio novellistico-popolare.
B. L’interpretazione delle modifiche “strutturali” apportate dai volgarizzatori al dettato plautino. In questa fase si cercano di individuare e analizzare i moduli del testo che ricorrono spesso in corrispondenza di situazioni in cui venga alterato significativamente il testo di Plauto, come ad esempio laddove viene inserita una fine d’atto diversa da quella dell’originale (reimpostando di conseguenza la sequenza fine di atto–inizio del successivo secondo una serie di schemi che hanno tutta l’aria di essere considerati dai traduttori come “canonici”) o in corrispondenza delle sequenze testuali lacunose, mutile o molto problematiche dell’originale. Si tratta di passi che per forza di cose richiedevano un considerevole lavoro di rimaneggiamento (quando non di scrittura ex novo) per poter essere adattati alle esigenze della rappresentazione. In gran conto è tenuta l’eventuale presenza di un codice formulare che descriva il movimento e le forme di interazione dei personaggi sul palco, per noi potenzialmente utilissimo in qualità di porta di (parziale) accesso all’azione scenica.