Literatura académica sobre el tema "Norma penale in bianco"

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Artículos de revistas sobre el tema "Norma penale in bianco"

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Bignami, Marco. "Il crocefisso nelle aule scolastiche dopo Strasburgo: una questione ancora aperta". QUESTIONE GIUSTIZIA, n.º 5 (diciembre de 2011): 22–41. http://dx.doi.org/10.3280/qg2011-005003.

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Resumen
1. Invaliditŕ delle norme che impongono l'esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche / 2. Il limite della sentenza/ 3. Insufficienza della soluzione bavarese / 4. Muro bianco o muro barocco? / 5. Una proposta minore 004 1. Piů mercato e meno Stato: un sommario bilancio / 2. Diritto penale societario / 3. Diritto penale fallimentare / 4. Conclusioni.
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Valbonesi, Cecilia. "Scienza e rischio fra prevedibilità dell’evento e predittività della decisione giudiziaria". Revista Estudios Jurídicos. Segunda Época, n.º 20 (10 de diciembre de 2020): 379–423. http://dx.doi.org/10.17561/rej.n20.a16.

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Resumen
Il lavoro vuole affrontare il rapporto fra prova scientifica, diritto e processo penale, sottolineando come in Italia la mancanza di cultura scientifica dei giudici e, parimenti, la carenza di regole riferite ai criteri di scelta dei periti e dei consulenti tecnici, porti spesso a decisioni giudiziarie molto lontane dal rispetto dell’ortodossia del rimprovero penale. Dopo aver illustrato alcuni casi giurisprudenziali, la riflessione si sofferma sulle possibili soluzioni di questa annosa questione, muovendo dalla disciplina introdotta dalla legge Gelli Bianco e dal DDL sul Testo Unico Amianto.
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Santoriello, Ciro. "Il movente politico come criterio esegetico della norma penale". Archivio penale, n.º 1 (2014): 65–73. http://dx.doi.org/10.12871/97888674131576.

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Capparelli, Bruna. "Decisioni della Corte europea e giudicato penale “iniquo”". Revista Brasileira de Direito Processual Penal 2, n.º 1 (2 de septiembre de 2016): 241. http://dx.doi.org/10.22197/rbdpp.v2i1.23.

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Resumen
O presente artigo aborda uma temática precipuamente envolta no discurso interdisciplinar entre o direito constitucional, direito internacional e direito processual penal, já que analisa os reflexos jurídicos dos pronunciamentos do Tribunal europeu de Direitos humanos à luz do constitucionalismo italiano. Neste aspecto, a corte Constitucional italiana criou uma hipótese especial de “revisão europeia” com a sentença paradigma número 113 de 2011, a qual, a partir da análise da trajetória legislativa, jurisprudencial e doutrinaria italianos, nos perguntamos se atualmente existe uma norma em capaz de subtrair à sentença irrevogável a força executiva que o CPP italiano à atribui e que garanta suficientemente o realizar-se da restitutio in integrum.
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Manna, Adelmo. "L'incandidabilità sopravvenuta nel corso del mandato parlamentare e l'irretroattività della norma penale". Archivio penale, n.º 1 (2014): 51–73. http://dx.doi.org/10.12871/97888674131575.

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Salvi, Giovanni. "Obiettivo 1. Processo penale e segreto di Stato. Oltre Abu Omar". QUESTIONE GIUSTIZIA, n.º 2 (junio de 2010): 71–101. http://dx.doi.org/10.3280/qg2010-002007.

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Resumen
Il trasferimento d'ufficio ex art. 2 legge guarentigie mette alla prova il bilanciamento fra due princěpi costituzionali fondamentali: l'inamovibilitŕ del magistrato (art. 107) e il ruolo del Consiglio superiore della magistratura a tutela della credibilitŕ, indipendenza e imparzialitŕ della giurisdizione (art. 105). Tali princěpi non si affermano da soli, ma richiedono uno sforzo interpretativo per dare coerenza e armonia al sistema che, in seguito alla modifica della norma di cui all'art. 2, appare piů controverso.
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Wołodkiewicz, Witold. "LEX RETRO NON AGIT. SFORMUŁOWANIE W POLSKIEJ DOKTRYNIE PRAWNICZEJ". Zeszyty Prawnicze 1 (27 de enero de 2017): 103. http://dx.doi.org/10.21697/zp.2001.1.06.

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Resumen
LEX RETRO NON AGIT. UN BROCARDO NELLA GIURISPRUDENZA POLACCAII problema della irretroattività della norma giuridica è stato trattato molto spesso nella dottrina giuridica generale e in quella romanistica. La regola lex retro non agit (che nella giurisprudenza e dottrina giuridica polacca esprime il principio délia irretroattività del diritto) è il brocardo latino il più spesso usato nella giurisprudenza polacca.Considerazioni a proposito del vigore délia norma giuridica nel tempo si incontrano nelle fond del diritto romano nelle varie epoche del suo sviluppo. Il problema délla retroattività délia legge fu affrontato già dai giuristi repubblicani. Fu toccato anche dai giuristi classici. La generalizzazione del principio secondo il quale la legge non deve retroagire, si trova peraltro in diverse costituzioni imperiali del Basso Impero. Il principio délia irretroattività del diritto compare più volte nella storia giuridica postgiustinianea.Nelle visioni dello Stato di diritto, sviluppate dai filosofi del Secolo dei Lumi il principio dell’irretroattività délia legge è stato trattato come un dogma fondamentale ed assoluto.II principio d’irretroattività è molto spesso enunciato nei codici contemporanei. E un elemento fondamentale della definizione classica del delitto penale, peró la dottrina e la pratica penale e costituzionale dopo la seconda guerra mondiale hanno cominciato, almeno in certa misura, ad allontanarsi dal principio d’irretroattività nel diritto penale. Questa tendenza fu stata già notata, a proposito del processo di Norimberga, dal Berger in un articolo del 1949. Le dichiarazioni e convenzioni internazionali sui crimini di guerra e contro l’umanità , hanno poi introdotto diverse eccezioni al principio dell’irretroattività della legge penale. Questi atti di diritto internazionale hanno tendenzialmente influenzato i sistemi nazionali di diritto costituzionale e penale (come esempio si puô citare l’art. 42 punto 1 della Costituzione polacca del 2 aprile 1997).II brocardo lex retro non agit non fu mai esplicitamente individuato eon queste parole, né ai tempi romani, né nella storia posteriore del diritto. Questa formulazione è infatti sconosciuta ai dizionari ed alle enciclopedie giuridiche in quasi tutta Europa al di fuori della Polonia.Nella romanistica polacca, l’autore che cita il brocardo lex retro non agit fu Stanisław Wróblewski (nel suo manuale di diritto romano, pubblicato nel 1916). E probabile che l’autorità del Wróblewski (a lungo professore di diritto romano a Cracovia, ed influente membro della Commissione di Codificazione polacca, chiamato spesso il „Papiniano polacco”) abbia influenzato la divulgazione del brocardo lex retro non agit nella dottrina e nella giurisprudenza polacca e radicato per conseguenza la persuasione della derivazione romanistica del concetto d’irretroattività del diritto, letteralmente cosi individuato, nell’odierna pratica giurisprudenziale polacca.
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Macrì, Francesco. "LA RIFORMA DEI REATI SESSUALI IN FERMANIA DEL 2016". Revista Eletrônica do Curso de Direito da UFSM 13, n.º 1 (5 de mayo de 2018): 370. http://dx.doi.org/10.5902/1981369432281.

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Resumen
Il legislatore tedesco ha nel 2016 riformato incisivamente la legislazione penale sessuale. La norma di maggiore impatto giuridico e simbolico è il § 177/1 StGB, che sancisce – per la prima volta in un grande ordinamento di Civil Law – la punibilità degli atti sessuali “meramente dissensuali”. Ulteriore modifica rilevante è l'incriminazione degli atti sessuali commessi “a sorpresa”, così come quella delle molestie sessuali. È stato poi introdotto un peculiare delitto “accessorio” (§ 184j StGB) che sanziona la mera partecipazione ad un gruppo che induca uno dei membri a commettere un reato sessuale. Siffatta previsione, peraltro, si connota per una strumentalizzazione simbolica del diritto penale che non appare accompagnata da un potenziamento funzionale della tutela della libertà sessuale. In un'ottica complessiva, tuttavia, va osservato come la suddetta ombra (così come altre minori) sia affiancata da importanti luci, a partire dalla svolta “consensualistica” del Sexualstrafrecht tedesco, che ad avviso dello scrivente consentono un giudizio globalmente positivo – pur con talune riserve – sulla riforma.
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Eusebi, Luciano. "Il diritto penale di fronte alla malattia". Medicina e Morale 50, n.º 5 (31 de octubre de 2001): 905–28. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2001.736.

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Resumen
Viene discusso il ruolo del consenso rispetto alla qualificazione giuridicopenale del trattamento medico-chirurgico. Si sostiene che il principio di autodeterminazione non può costituire unico criterio orientativo per risolvere le problematiche etiche e giuridiche oggi emergenti in ambito biomedico, configurandosi altrimenti il pericolo di una medicina puramente contrattualistica e difensiva, ovvero concepita non come scienza (umana), ma come mero insieme di abilità tecniche. Sono in questo senso evidenziate varie situazioni in merito alle quali il riferimento al consenso è impossibile o inadeguato. Si mette in luce, del resto, come sia coessenziale al concetto moderno di democrazia il confronto teso a definire convergenze su ciò che risulti fondamentale per la tutela della dignità umana, e dunque a definire linee-guida condivise circa settori di attività particolarmente delicati. In particolare vengono sviluppate motivazioni pertinenti anche in un contesto laico e pluralista al fine di mantenere fermo il divieto giuridico dell’eutanasia sia passiva che attiva, nell’ottica di un approccio solidaristico alla sofferenza: approccio che dalle normative favorevoli all’eutanasia risulta inevitabilmente compromesso. In questo senso, è individuato un limite intrinseco al diritto nell’impossibilità di autorizzare giuridicamente una relazionalità inter-soggettiva – come quella fra medico e paziente – giocata per la morte. La questione dell’eutanasia viene tenuta distinta, ovviamente, dai problemi attinenti all’accanimento terapeutico e alla proporzionalità dell’intervento medico. In rapporto alla permanente validità giuridica del principio di indisponibilità della vita uno specifico approfondimento è dedicato all’interpretazione dell’art. 32, 2° comma, della Costituzione italiana. Sono altresì presi in considerazione problemi concernenti i soggetti incapaci, il ruolo della norma sullo stato di necessità, i compiti assolti dai comitati etici ospedalieri (anche con riguardo alla responsabilità dei relativi membri) e la necessità di nuovi modelli giuridici intesi alla prevenzione degli eventi medici “avversi”.
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Di Donato, Giulio. "TRAME DEL RICONOSCIMENTO: DA HEGEL ALL’IDENTITÀ DI GENERE". Il Politico 256, n.º 1 (28 de junio de 2022): 179–89. http://dx.doi.org/10.4081/ilpolitico.2022.690.

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La prevenzione e il contrasto alle discriminazioni e alla violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere e sull’orientamento sessuale rappresentano un’esigenza sentita in maniera ormai trasversale e allo stesso tempo un tema oggetto di polemiche infuocate nel momento in cui si passa dal piano della petizione di principio al piano della traduzione normativa (se ad esempio si tratta di modificare gli articoli 604 bis e ter del Codice penale e la successiva legislazione in materia di istigazione a delinquere, equiparando la discriminazione per i motivi di cui sopra a quella su base razziale, etnica o religiosa). Polemiche che hanno reso e rendono assai difficile intavolare una discussione laica e ragionata sul merito, al di là degli opposti isterismi e delle opposte strumentalizzazioni. In questa sede, lontani dalla concitazione del dibattito più acceso e fanatico, proveremo a riflettere sulle implicazioni di carattere filosofico-giuridico che l’eventualità di un intervento normativo in materia solleva: dalle definizioni di sesso e di genere all’equilibrio fra salvaguardia della libertà di opinione e lotta alle discriminazioni, per soffermarci infine sulla contraddizione fra le istanze soggettivistiche e contingenti alla base del concetto di identità di genere (comunemente definita l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione) e i criteri di oggettività e stabilità che sono propri della dimensione giuridica e in particolar modo della norma penale.
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Tesis sobre el tema "Norma penale in bianco"

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MOSTARDINI, CAMILLA. "I confini della norma penale: fondamento e limiti territoriali della potestà punitiva". Doctoral thesis, Università Bocconi, 2021. http://hdl.handle.net/11565/4039515.

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Resumen
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La tematica che attiene ai limiti spaziali all’applicazione della legge penale non sembra aver suscitato grande interesse in dottrina, e la stessa marginalità le risulta riservata dalle pronunce della giurisprudenza, ancorché sempre più spesso sia chiamata ad affrontare questioni che concernono l’effettiva portata del diritto penale internazionale. A fronte di tale silenzio, la disciplina di cui agli artt. 7-10 c.p. trova concreta applicazione in termini sempre più lati, al punto che la giurisdizione extraterritoriale è a molti parsa avviata verso una inarrestabile espansione, a scapito della dimensione prettamente territoriale del diritto penale più classico. Il presente lavoro si propone di ripensare questa visione, attraverso un’analisi che guarda al diritto nazionale muovendo dal piano dei principi individuati a livello internazionale al fine legittimare il riparto di giurisdizione penale tra Stati. Poste in questi termini le basi del quadro normativo di riferimento, la questione verrà in primo luogo affrontata in un’ottica de iure condendo: una volta individuato il paradigma di riferimento – ricercato nel fondamento politico e filosofico della potestà punitiva – verrà vagliata alla luce dello stesso la resistenza dei vari criteri di collegamento tra fatto di reato e giurisdizione competente a giudicarlo (territorialità, difesa, personalità attiva e passiva, universalità). All’esito di tale verifica verrà ricavato il leitmotiv delle successive riflessioni, vale a dire la dimensione prevalentemente territoriale della giurisdizione penale, che in quanto ‘regola’ si apre a qualche eccezione dettata dalla peculiarità delle caratteristiche inerenti al reato. La stessa territorialità della giurisdizione penale sarà poi il faro che guiderà le nostre riflessioni allorché affronteremo, in un’ottica de iure condito, alcune questioni giuridiche connesse all’interpretazione delle disciplina italiana sui limiti all’applicazione della legge penale nello spazio. Muovendosi su questo diverso paino, l’obiettivo prefissato è dunque quello di offrire una nuova chiave di lettura della normativa italiana sul punto, con riferimento alla quale dottrina e giurisprudenza sembrano proporre interpretazioni sempre più orientate ad ampliare i confini dell’ambito di giurisdizione penale. Verranno pertanto approfonditi gli aspetti legati alla nozione di locus commissi delicti, dettata ai fini del radicamento della giurisdizione territoriale italiana dall’art. 6 co 2 c.p., nonché al requisito della doppia incriminazione per i delitti comuni realizzati all’estero da cittadino italiano o da straniero, la cui astratta perseguibilità in Italia è sancita dagli artt. 9 e 10 c.p. Ancora, verrà proposta una lettura restrittiva del concetto di delitto politico che ai sensi dell’art. 8 c.p. può essere attirato nella sfera di giurisdizione penale italiana con la sola richiesta del Ministro di giustizia, ancorché commesso all’estero da cittadino straniero, e, da ultimo, affronteremo il tema dei delitti commessi a bordo di navi che si trovino in alto mare. Il tutto volgendo costantemente e contestualmente lo sguardo alla casistica che ha visto affiorare queste tematiche nelle corti penali italiane (maternità surrogata all’estero, traffico di migranti nelle acque internazionali, massacro degli oppositori ai regimi dittatoriali dell’America latina degli anni ’70 ne sono solo alcuni esempi), nella convinzione che un’interpretazione evolutiva della teoria debba prendere le mosse anche – e forse soprattutto – dalla prassi.
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Alessio, Infantino. "I delitti di corruzione tra empiria e norma. Repressione penale e prevenzione amministrativa". Doctoral thesis, Urbino, 2020. http://hdl.handle.net/11576/2677860.

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CANZIAN, NICOLA. "La reviviscenza delle norme nella crisi della certezza del diritto". Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2017. http://hdl.handle.net/10281/158259.

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Resumen
L’oggetto della ricerca è la reviviscenza delle norme, intesa come ripresa in vigore di norme già abrogate a seguito del venir meno della norma abrogatrice, soprattutto in relazione ai profili della certezza del diritto. Si individuano le varie tipologie di reviviscenza possibile a seconda della causa che la determina (per abrogazione della norma abrogatrice, per illegittimità della norma abrogatrice…), specificando caso per caso quali siano gli effetti prodotti in concreto nell’ordinamento. Si cerca infine di dare una risposta al quesito se la reviviscenza sia una causa o una conseguenza della crisi della certezza del diritto e, al contempo, se essa sia sempre e comunque da considerarsi come fattore di incertezza. Si evidenziano casi in cui la reviviscenza può essere considerata un fenomeno che garantisce esiti più solidi e certi rispetto ad altre soluzioni (ciò, in particolare, con riferimento alla reviviscenza a seguito di illegittimità di norma abrogatrice).
The subject of the research is the restoration of laws, which happens when an abrogated law re-enter into force following the repeal of the original abrogating law; the research particularly analyses the above subject in relation to legal certainty. The research identifies the restoration of laws according to its causes (ex: restoration due to the repeal of the abrogating law or due to the illegitimacy of the abrogating law…) by specifying how each case would impact the legal system. The research also tries to answer the question whether the restoration is the cause or, on the contrary, the effect of the legal certainty crisis and whether it should always be considered as an element of uncertainty. It will also highlight that in some situations the restoration could be rather considered as a positive factor to guarantee a better outcome than other solutions (especially regarding the restoration due to the illegitimacy of the abrogating law).
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TAVERRITI, SARA BIANCA. "L'AUTOCONTROLLO PENALE. RESPONSABILITÀ PENALE E MODELLI DI AUTONORMAZIONE DEI DESTINATARI DEL PRECETTO". Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2019. http://hdl.handle.net/2434/619498.

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Resumen
La ricerca prende l’abbrivio dalla constatazione della crescente importanza acquisita, nel panorama delle fonti penalistiche, dal fenomeno dell’autonormazione: prodotto del diritto penale post-moderno consistente nell’autoimposizione, da parte dei destinatari stessi della norma, di precetti comportamentali in chiave criminal-preventiva. Oltre al ruolo ambivalente del principio di legalità penale (effetto e causa, al contempo, del fenomeno qui preso in considerazione), l’interesse del penalista per l’approfondimento scientifico del fenomeno è sollecitato dal potenziale che quest’ultimo rivela come alternativa (sostitutiva o integrata) rispetto al diritto penale. Il primo capitolo è dedicato alla ricostruzione delle cause che hanno dato origine al fenomeno, all’uopo ripartite in due macro-categorie: (i) le cause di ordine generale, per l’enucleazione delle quali è stata condotta una ricerca che spazia nelle materie sociologiche, economiche e giusfilosofiche; (ii) le cause di natura giuridica, che sono state investigate considerando sia le manifestazioni comuni all’intero ordinamento giuridico, sia quelle specifiche della penalistica, in cui la crisi del principio della riserva di legge e il declino del diritto penale classico assumono un’importanza cruciale. Nel secondo capitolo, il focus dell’analisi si concentra sulla dimensione strutturale del paradigma autonormativo per come emerso nelle sue principali manifestazioni e nelle concettualizzazioni teoriche maturate soprattutto grazie all’approfondimento riservato al fenomeno della Self-Regulation dagli studiosi di area anglosassone. La paradigmatica dell’autonormazione viene scrutinata tanto nelle sue singole componenti costitutive statiche, quanto nei suoi moti dinamici come strategia regolatoria all’interno dell’ordinamento. La ricerca si sposta nel terzo capitolo dalla struttura alla funzione, con l’obiettivo di ricavare i criteri di politica-criminale strumentali all’impiego dell’autonormazione nel sistema penale. A tal fine, sono state esplorate le possibili relazioni interordinamentali di raccordo tra sistemi autonormativi e ordinamento statale, applicando una metodologia mutuata dall’impostazione di Santi Romano ma ambientata sul terreno del diritto penale e delle sue alternative. Nel quarto capitolo l’indagine si rivolge verso i più eminenti esempi di autonormazione manifestatisi nell’ordinamento italiano: i modelli organizzativi ex D. Lgs. 231 del 2001; i piani per la prevenzione della corruzione nella P.A.; le linee guida medico-chirurgiche per lo svolgimento delle attività sanitaria. Oltre a una disamina ricognitiva della disciplina di questi sub-sistemi normativi, i tre banchi di prova vengono scandagliati in chiave struttural-funzionalistica alla luce dei criteri di analisi illustrati nel secondo capitolo e ricavati nel terzo. Il capitolo 5 chiude il lavoro proiettando i risultati delle ricerche sul piano della teoria del reato, per verificare quale impatto abbia/possa avere l’autonormazione sulla dogmatica. Dopo aver passato in rassegna le possibili ricadute sulle diverse categorie penalistiche, la chiosa finale valorizza il potenziale del diritto riflessivo come candidato ideale per la concretizzazione della clausola di extrema ratio in materia penale. L’uso dell’autonormazione come strumento alternativo rispetto al diritto penale viene ritenuto, infatti, il profilo applicativo più promettente e degno di essere ulteriormente esplorato.
One of the crucial challenges of Criminal Law in the new millennium is to deal with the complexity of contemporary society. The traditional approach based on the State monopoly on criminal matters keeps abreast no longer with the scientific-technological sophistication and the rate of changes in criminal behavior in the era of globalization. In this scenario, we witness the rise of Self-Regulation as an auxiliary tool of crime prevention, whose main goal is to fill the vacuum and to compensate for the rapid obsolescence of state legislation. Compliance Programs, Anti-Bribery Plans, Clinical Guidelines are some of the elements of a diverse constellation of cases in which preventive measures, behavioral rules, surveillance, and sanctions are issued and enforced by a legislator who coincides with the recipient, and which is often a private actor. Nevertheless, the ambivalence of Self-Regulation lies in the fact that – in the face of some positive externalities promised – this paradigm could jeopardize some of the fundamental principles of Criminal Law. The aim of this work is to provide a critical analysis of such phenomenon in order to verify the compatibility of Self-Regulation with the Rule of Law and to assess its efficacy in deterring and detecting misconducts.
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MARANI, SIMONE. "Principio di determinatezza e norma integratrice del precetto penale". Doctoral thesis, 2013. http://hdl.handle.net/2158/803917.

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Il lavoro è stato suddiviso sostanzialmente in due parti: nella prima parte ho proceduto, innanzitutto, a descrivere l’istituto del principio di determinatezza, evidenziando la funzione che sta alla base del principio medesimo e la problematica delle fonti e della sua costituzionalizzazione, con particolare attenzione dedicata ad alcune importanti pronunce della Corte Costituzionale diretta a verificare in che modo il giudice delle leggi abbia inteso accogliere o meno le eccezioni di incostituzionalità di diverse disposizioni normative, ritenute in contrasto con il principio in commento; diversi sono i criteri utilizzati dalla Corte prudentemente diretti, nella maggior parte dei casi, a negarne la violazione (criterio del significato linguistico, criterio del diritto vivente, e criterio tipologico). Sono poi passato a verificare gli strumenti in grado di garantire la determinatezza della norma penale, nonché i diversi fattori in grado di incidere sul principio di determinatezza, evidenziando la necessità di utilizzazione di un corretto canone di tecnica legislativa da adottare al momento della redazione della fattispecie, al fine di evitare una tecnica legislativa per clausole generali, soffermandomi, in particolare, sulla tecnica “casistica” e sulla tecnica della “normazione sintetica”. La descrizione degli strumenti di tecnica legislativa, diretti a garantire la determinatezza della fattispecie, pone in auge un problema di linguaggio, ed in particolare, di rapporti tra il diritto ed il linguaggio. In tal senso si spiega l’ulteriore approfondimento diretto alla distinzione tra elementi “normativi” e “descrittivi” della fattispecie, durante il quale ho evidenziato in quali casi le problematiche della determinatezza della norma penale assumano una maggiore criticità. Tale approfondimento mi ha portato a delimitare il mio campo di indagine all’elemento sul quale, più di ogni altro, si pongono le esigenze di determinatezza, ovvero l’“enunciato normativo”, nonché il rapporto di integrazione con gli atti amministrativi, avendo l’accortezza di determinare, a priori, i casi in cui possa dirsi effettivamente sussistente una simile integrazione da quelli nei quali l’integrazione sia solo apparente. Necessario, quindi, dedicare un apposito Capitolo alle diverse ipotesi di integrazione del precetto penale da parte di norme diverse da quella incriminatrice, con particolare attenzione alla individuazione della tipologia di richiamo in virtù del quale la norma richiamata viene ad integrare il precetto, costituendo proprio questo il caso nel quale si pone un delicato problema di determinatezza. Le diverse tesi, da me evidenziate, sulla distinzione tra elemento normativo e norma penale in bianco, sono ripercorse in quanto corrispondenti all’interrogativo di fondo se la valutazione di determinatezza possa essere un valido criterio per distinguere la norma penale in bianco dall’elemento normativo. Una volta definito il criterio per distinguere le norme che integrano il precetto, mi sono posto il problema della determinatezza di queste norme, ovvero se anche in relazione ad esse valga o meno il principio di determinatezza ed in quale misura. In chiusura ho proposto, con una sorta di inversione di prospettiva, se non sia proprio la determinatezza, o la non determinatezza, della norma richiamata ad incidere sulla natura integratrice del precetto, esplorando un territorio poco o per nulla approfondito dalla manualistica. Nella seconda parte della ricerca mi sono voluto soffermare su alcune fattispecie incriminatrici nelle quali l’esigenza di determinatezza si propone in maniera particolarmente problematica. Un primo Capitolo è dedicato alla fattispecie di “esercizio abusivo della professione” (art. 348 c.p.), approfondimento particolarmente interessante se si considera come, rispetto al momento in cui venne introdotta, laddove assumevano rilievo le sole professioni liberali, che non presentavano grossi problemi di inquadramento, la norma abbia subito una vera e propria “dilatazione”, a causa della incessante espansione delle professioni il cui accesso richiede una speciale abilitazione e l’iscrizione in appositi albi tenuti dai rispettivi Consigli dell’Ordine, innescata da meccanismi di eterointegrazione con disposizioni extrapenali alle quali è necessario fare riferimento per definire i profili di abusività dell’esercizio della professione. All’interno del secondo Capitolo ho approfondito il rapporto tra la fattispecie di “abuso di ufficio” (art. 323 c.p.) e principio di determinatezza, soffermandomi, in particolare, su alcuni elementi costitutivi del reato direttamente interessati dal principio, ovvero: a) lo svolgimento delle funzioni o del servizio; b) la violazione di norme di legge o di regolamento. Viene, poi, dedicato un accenno agli ulteriori problemi di determinatezza relativi alle qualifiche soggettive di pubblico ufficiale ed incaricato di un pubblico servizio. Il terzo Capitolo analizza le problematiche di determinatezza sottese alla fattispecie di inosservanza del provvedimenti dell’autorità (art. 650 c.p.) all’interno del quale specifica attenzione viene dedicata alle scelte operate dal legislatore capaci di fornire, a livello di fattispecie legale, un’immagine sufficientemente compiuta dell’oggetto del divieto, specificando, già all’interno del precetto, che il provvedimento debba essere “legalmente dato” e dettato da specifiche ragioni di giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico o igiene, tutte singolarmente analizzate. Un cenno conclusivo, al quale è dedicato il quarto Capitolo, attiene al rapporto tra determinatezza e regola cautelare nella colpa penale, posto che, proprio con riferimento al grado di determinatezza della fattispecie colposa, siamo in presenza, anche in questo caso, di situazioni che necessitano di una eterointegrazione, mediante il rinvio a regole di comportamento esterne, che prendono il nome di regole cautelari. La parte conclusiva evidenzia brevi considerazioni in tema di responsabilità colposa da prodotto, concludendo una ricerca che non costituisce un punto di arrivo ma che ritengo rappresentare un punto di partenza verso ulteriori, quanto mai, opportuni, approfondimenti.
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GUIDI, Arianna. "Il reato a concorso necessario improprio". Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11393/251080.

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Oggetto del presente lavoro è stata la tematica dei reati a concorso necessario (detti anche plurisoggettivi): una categoria penalistica scarsamente presa in considerazione da parte della dottrina e giurisprudenza più recenti, eppure dai risvolti sistematici di un certo rilievo, in quanto coinvolge profili sia di parte generale che speciale del diritto penale. L’indagine è partita dal piano definitorio e classificatorio: sono state riportate dettagliatamente le diverse tesi dottrinali sviluppatesi sul tema (suddivisibili in due macrocategorie, quella dei sostenitori di una concezione ampia di reato a concorso necessario e quella dei sostenitori di una concezione ristretta dello stesso), nonché le pronunce della Cassazione ritenute maggiormente significative. Un’attenzione particolare è stata dedicata alla delimitazione – in negativo – del campo d’indagine, tracciando le differenze intercorrenti fra i reati a concorso necessario (o plurisoggettivi, a seconda della terminologia impiegata) ed istituti ritenuti erroneamente contigui, primo fra tutti quello del concorso eventuale di persone nel reato. Dopodiché, all’interno del secondo capitolo si è scelto di riflettere sulle questioni maggiormente rilevanti e problematiche attinenti ai reati a concorso necessario impropri: in primis, la ratio che giustifica l’esenzione dalla pena in capo ad un soggetto; secondariamente, la possibilità di punire o meno la condotta tipica, nonché le eventuali condotte atipiche, poste in essere dal soggetto non punibile per mezzo dell’applicazione degli artt. 110 ss. c.p. in funzione incriminatrice. La panoramica di orientamenti dottrinali e giurisprudenziali quanto mai oscillanti e fra loro divergenti su questioni di particolare importanza, non è stata solo funzionale ad offrire al lettore una dettagliata ricognizione in generale, piuttosto, da questa è scaturita una vera e propria esigenza di (ri)considerare l’intera materia in modo organico e chiarificatore. Per tale ragione, nel terzo capitolo è stata introdotta una nuova definizione, in sostituzione a quella maggiormente impiegata da dottrina e giurisprudenza: “fattispecie incriminatrici normativamente plurisoggettive”. Una definizione idonea a ricomprendere tutti quegli illeciti penali che, a livello astratto, presentano caratteristiche simili: il riscontro di una pluralità di soggetti e di condotte quali elementi costitutivi del fatto tipico. Pertanto, si è cercato di individuare i confini della categoria assumendo quale criterio di partenza il piano normativo astratto, in considerazione del fatto che ciò che il legislatore ha scelto di codificare come tipo criminoso è dato dall’insieme degli elementi oggettivi e soggettivi, i quali compaiono nella descrizione della norma incriminatrice. La visione d’insieme ha permesso di non limitare l’attenzione al solo soggetto punibile, bensì di spostarla anche sul soggetto non punibile, il quale, con la sua condotta rientrante fra gli elementi oggettivi del fatto tipico, contribuisce alla configurabilità del reato. Infine, all’interno del quarto capitolo si è proceduto all’analisi dei principali reati classificati da parte della dottrina come a concorso necessario impropri, per verificare, tenuto conto della nuova definizione proposta, se possano o meno essere qualificati come fattispecie incriminatrici normativamente plurisoggettive improprie. Il confronto con la parte speciale ha permesso di evidenziare l’estrema delicatezza dell’operazione d’individuazione di fattispecie incriminatrici normativamente plurisoggettive (in senso lato): anzitutto, perché non sempre la pluralità di soggetti e di condotte costitutive del fatto tipico è oggetto di descrizione espressa, risultando alle volte ricavabile solo a seguito di un attento esame della tipologia e del significato delle parole impiegate dal legislatore; secondariamente, perché alle volte è facile lasciarsi confondere dal piano naturalistico della realtà concreta, mentre l’individuazione di una fattispecie incriminatrice in termini di plurisoggettività normativa dovrebbe avvenire, secondo l’impostazione adottata, a partire dal piano normativo astratto. Da ultimo, ci si è soffermati sul ruolo del soggetto non punibile che tenga rispettivamente la condotta tipica o una condotta ulteriore e diversa da quella descritta, cercando di offrire una possibile soluzione al problema. Nel primo caso, si è concluso per l’impossibilità di applicare l’art. 110 c.p. in funzione incriminatrice, pena la violazione delle garanzie proprie del sistema penalistico. Nel secondo, invece, si è concluso in senso affermativo, precisando che l’interprete è tenuto a prestare attenzione a diversi aspetti, fra cui il tipo d’equilibrio intercorrente fra le condotte dei soggetti parte della fattispecie incriminatrice normativamente plurisoggettiva impropria, nonché l’alterità effettiva della condotta atipica rispetto a quella descritta, pena la violazione dei principi di legalità, tipicità e certezza del diritto.
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Libros sobre el tema "Norma penale in bianco"

1

Botta, Raffaele. La norma penale nel diritto della Chiesa. Bologna: Il Mulino, 2001.

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2

Licci, Giorgio. Ragionevolezza e significatività come parametri di determinatezza della norma penale. Milano: A. Giuffrè, 1989.

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3

Notaro, Domenico. Autorità indipendenti e norma penale: La crisi del principio di legalità nello stato policentrico. Torino: G. Giappichelli, 2010.

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4

Alagna, Rocco. Tipicità e riformulazione del reato. Bononia University Press, 2021. http://dx.doi.org/10.30682/sg235.

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Resumen
L’entità e la frequenza delle riforme penali degli ultimi due decenni hanno portato alla ribalta del dibattito penalistico il tema della persistenza della funzione incriminatrice della fattispecie penale oggetto di modifica. Se e come un soggetto, che ha commesso un fatto di reato sotto la vigenza di una fattispecie poi riformulata, possa essere punito ai sensi della norma successiva è questione che ha impegnato dottrina e giurisprudenza in un serrato confronto volto a individuare le condizioni della continua punibilità. L’autore ricostruisce il tema dell’"inerzia" della funzione incriminatrice della fattispecie percorrendo i sentieri italiani e tedeschi del dibattito. Facendo riferimento alle teorie gradualistiche del reato e alla forma tipologica della fattispecie penale, approfondisce i rapporti tra fattispecie astratta e fatto storico, rapporti che disegnano lo scenario dentro il quale egli muove il tentativo di un fondamento epistemologico del concetto di sottofattispecie penale.
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