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Piacenza, Nicola. "Tre personaggi in cerca di autore: il Mimiambo 3 di Eronda e la critica letteraria nel Giambo 2 di Callimaco". Myrtia 36 (11 de noviembre de 2021): 45–60. http://dx.doi.org/10.6018/myrtia.500101.

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The first part of the article offers a metapoetic interpretation of Herondas’ Mimiamb 3, suggesting that the Hellenistic poet describes Cottalos and his passion for dice with allusion to Alexander Aetolus that wrote Astragalistai. In the second part, starting from some touch points between Mimiamb 3 and Calliamchus’ Iambus 2 (in particular the presence of three mysterious characters with similar names), the author gives some evidence for the identification of that characters with three poets who lived at that time and had undoubted contacts both with Alexander Aetolus and Callimachus: they are Antagoras of Rhodes, Philicus of Corcyra and Timon of Phlius. L’articolo offre nella prima parte un’interpretazione metapoetica del Mimiambo 3 di Eronda, suggerendo che il poeta ellenistico descriva Cottalo e la sua passione per i dadi con allusione ad Alessandro Etolo che scrisse gli Astragalistai. Nella seconda parte, prendendo le mosse da alcuni punti in comune tra il Mimiambo 3 ed il Giambo 2 di Callimaco (in particolare la presenza di tre misteriosi personaggi con nomi simili), vengono fornite alcune prove per l’identificazione di tali personaggi con tre poeti che vissero in quel periodo ed ebbero sicuri contatti sia con Alessandro Etolo che con Callimaco: si tratta di Antagora di Rodi, Filisco di Corcira e Timone di Fliunte.
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Damiani, Martina. "La centralità politico-culturale di Venezia negli scambi epistolari del primo Cinquecento". Tabula, n.º 17 (16 de noviembre de 2020): 105–24. http://dx.doi.org/10.32728/tab.17.2020.4.

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Pietro Aretino intrattiene da Venezia diverse corrispondenze con personaggi di spicco del panorama politico e culturale, come traspare dai nomi altisonanti presenti nelle sue Lettere. Quando decide di rendere noti i suoi contatti epistolari e di includerli in un libro, ottiene un immediato successo che spinge il suo editore, Francesco Marcolini, a stampare nuove edizioni dell’opera. Con l’intento di ribadire il suo primato nell’epistolografia in volgare, Aretino biasima gli scrittori e i tipografi che pubblicano, subito dopo di lui, una moltitudine di libri di lettere, imitandolo. Dalla sua critica esonera però le persone più in vista di Venezia, tra cui Paolo Manuzio, prolifico autore ed editore di raccolte epistolari. Il presente lavoro si propone di analizzare quelle lettere che svelano il complesso meccanismo editoriale che sta dietro agli scambi epistolari del primo Cinquecento.
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Jarosz, Anna. "(In)traducibilità di testi letterari. I nomi dei personaggi nel dramma "Obywatel męczennik" di Tomasz Kaczmarek nella traduzione italiana". Translatorica & Translata 2 (30 de diciembre de 2021): 9–28. http://dx.doi.org/10.18778/2544-9796.02.01.

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Gli aspetti principali che riguardano la traduzione e che infatti sono i concetti chiave nella discussione sull’attivita di tradurre come l’equivalenza e l’intraducibilita vengono presentati nell’articolo, che cerca di spiegare e chiarire gli studi sulla traduzione e il loro sviluppo riguardando particolarmente la traduzione letteraria. Tradurre i testi letterari significa approfondire, comprendere ed esplorare il mondo unico ed eccezionale dell’autore, cioe entrare in questo mondo e poi creare un duplicato in un’altra lingua che potrebbe evocare simili reazioni, emozioni e riflessioni.
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Donati, Angela. "MECENATE: LA “FORTUNA” DI UN NOME". Conimbriga 55 (20 de diciembre de 2016): 51–56. http://dx.doi.org/10.14195/1647-8657_55_12.

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I diversi elementi che costituiscono il sistema onomastico di Mecenate si incontrano utilizzati per altri personaggi, tutti di origine libertina, e possono fornire indicazioni per ricostruire la familia dell’amico di Augusto.
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Cordano, Federica. "Onomastica personale a Megara Iblea". Aristonothos. Rivista di Studi sul Mediterraneo Antico, n.º 18 (18 de julio de 2022): 7–11. http://dx.doi.org/10.54103/2037-4488/18096.

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Si ricordano le iscrizioni pubblicate per merito di Henri Treziny e si ripercorre la bibliografia su due nomi personali, l’unico femminile noto a Megara Iblea e il secondo inesistente. The inscriptions published thanks to Henri Tréziny are remembered, and two personal names are used to retrace the bibliography: the first being the only female known in Mégara Hyblaea and the second non-existent.
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Polara, Giovanni. "A proposito delle dottrine grammaticali di Virgilio Marone". Historiographia Linguistica 20, n.º 1 (1 de enero de 1993): 205–22. http://dx.doi.org/10.1075/hl.20.1.11pol.

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Riassunto Il confronto fra le teorie grammaticali di Virgilio Marone e quelle correnti nella tarda antichità e nell’alto medioevo è cosa non facile: a differenza degli altri trattati dell’epoca, le sue opere non seguono (e non tentano di seguire) un’organica linea di esposizione, ma procedono per singole osservazioni, ed alternano a parti che possono sembrare riprese dai grandi autori come Donato ed Isidoro, per riaffermare o più spesso per confutare le posizioni da essi espresse, altre e più ampie sezioni completamente innovative, che rispondono solo alle imperscrutabili scelte di Virgilio, quali che ne siano le recondite motivazioni. In questa nota si è cercato di riordinare, nei limiti del possibile, alcuni aspetti delle trattazioni contenute nelle due opere virgiliane, allo scopo di operare un primo confronto con il modello dell’Ars maior, certamente non ignoto al grammatico medievale, che dà il nome di Donato ad uno dei personaggi presenti nelle sue opere e quello di Don, abbreviazione di Donato, al fratello. Ci si è attenuti alla disposizione delle singole parti del discorso, così come sono elencate nell’Ars maior, nelle Epistole e nella parte centrale delle Epitomi, per distribuire la materia in forme più omogenee e più agevolmente sovrapponibili. In alcuni casi è possibile individuare affinità di argomenti (ma assai meno di teorie o di esposizione) che non sono certamente casuali, e potranno essere oggetto di utili ulteriori approfondimenti tendenti ad individuare la tecnica secondo cui ha operato lo scrittore; in altri invece non si è potuto far altro che esporre sinteticamente le sue posizioni, tralasciandone comunque gli aspetti più personali ed anomali. Si è ritenuto comunque che anche questo potesse riuscire utile ai fini di ulteriori ricerche che puntino a delineare con maggiore precisione i suoi rapporti con i testi grammaticali canonici.
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Démier, Francis. "1814: di fronte all'Europa dei vincitori. La metamorfosi liberale dell'apparato di Stato francese". IL RISORGIMENTO, n.º 1 (junio de 2016): 5–20. http://dx.doi.org/10.3280/riso2016-001001.

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Il ritorno dei Borbone sul trono di Francia nel 1814, alla caduta dell'Impero napoleonico, fu caratterizzato - malgrado le aspirazioni della destra reazionaria - dalla necessita di stabilire una linea di continuita con il recente passato attraverso l'epurazione dei personaggi politicamente piu compromessi. Il saggio mostra come la potente macchina amministrativa, erede di una lunga tradizione, sia stata in grado di assicurare la transizione tra i due regimi (imperiale e monarchico), intervenendo soprattutto in campo economico. Memore della lezione di Turgot e di Necker (ma anche di Colbert), appassionata lettrice del liberismo inglese, l'elite tecnocratica di inizio Restaurazione, variamente composta da un personale amministrativo che si era fatto le ossa negli anni precedenti (o addirittura in Ancien Regime), riesce a gestire questo delicato passaggio facendo dello Stato, in nome di un liberismo fortemente pragmatico, una sorta di supervisore della modernizzazione economica ineludibile per mantenere la Francia al rango di potenza europea.
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Veronesi, Umberto. "Ricordo Di: Pietro Bucalossi". Tumori Journal 78, n.º 2 (abril de 1992): 1. http://dx.doi.org/10.1177/030089169207800201.

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Contrariamente a quanto ci saremmo attesi, la scomparsa di Pietro Bucalossi è passata quasi inosservata ed è stata come frettolosamente archiviata dalla memoria collettiva nella categoria dei politici e dei personaggi sociali più che in quella dei medici e degli uomini di scienza. Eppure, se può avere senso che per molti italiani Pietro Bucalossi venga ricordato per la legge che porta il suo nome e per quanto ha fatto come Sindaco di Milano, per chi lavora nel vasto campo della lotta contro il cancro, egli va onorato dai più anziani e raccontato ai più giovani per le grandi energie dedicate allo sviluppo della oncologia, anzi della « cancerologia », come egli amava definirla. E, come la sua figura politica appare oggi di statura ancora maggiore per la sua integrità morale e per l'infinita distanza dai personaggi che negli ultimi anni hanno invaso le nostre istituzioni, così il suo contributo all'oncologia emerge oggi ancora più evidente per essere stato tra i primi a credere nella specificità di questa scienza e nella sua autonomia culturale e operativa rispetto al resto della medicina. Perché proprio in questo sta l'originalità del suo pensiero, nella determinata certezza che a occuparsi dei malati di cancro dovessero essere i « cancerologi » e che l'oncologia clinica fosse quindi l'ambito corretto in cui chirurghi, medici e radioterapisti potessero esprimere collettivamente un equilibrato piano di cura. Convinto assertore quindi dell'interdisciplinarietà dell'oncologia ma anche della necessità di un dialogo continuo fra ricercatori clinici e sperimentali, Pietro Bucalossi ha lasciato un'eredità scientifica di alto profilo all'intero Paese ed un imperativo morale di intransigenza ed onestà intellettuale per le nuove generazioni.
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Marinetti, Anna. "Venetico". Palaeohispanica. Revista sobre lenguas y culturas de la Hispania Antigua, n.º 20 (1 de mayo de 2020): 367–401. http://dx.doi.org/10.36707/palaeohispanica.v0i20.374.

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Il venetico è una lingua indeuropea, attestata da oltre 500 iscrizioni datate dal VI al I sec.a.C. e provenienti soprattutto dall’attuale regione italiana del Veneto (in pochi casi, dal Friuli Venezia-Giulia, dall’Austria e dalla Slovenia). La scrittura utilizzata è un alfabeto locale di derivazione etrusca. Le iscrizioni venetiche comprendono testi funerari, votivi e pubblici, resi - tranne alcune eccezioni -mediante schemi formulari. Ampiamente documentata è l’onomastica (nomi personali; formula onomastica maschile e femminile). Le strutture della lingua (fonologia, morfologia, sintassi e lessico), data la natura frammentaria del venetico, sono conosciute solo parzialmente; permangono problemi relativi alla classificazione, anche se è ormai accertata l’appartenenza al ramo italico dell’indeuropeo.
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Merkù, Pavle. "Onomastica tergestina nel Trecento". Linguistica 31, n.º 1 (1 de diciembre de 1991): 317–24. http://dx.doi.org/10.4312/linguistica.31.1.317-324.

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Dallo spoglio dei nomi personali attestati nei sette codici di entrate e uscite conservati presso l' Archivio Capitolare di S. Giusto in Trieste e che riguardano uno dei secoli piu ricchi di testimonianze storiche della città giuliana (1307-1406), risultano numerose forme cognominali e soprannominali espresse nel registro linguistico tergestino. La mancata pubblicazione del dizionario linguistico tergestino di Mario Doria rende impossibile un raffronto con il materiale lessicale tergestino fino a oggi noto, per cui si basa, a fini comparativi, esclusivamente sui due repertori lessicali tergestini dal Doria finora publicati (Elementi friulaneggianti ne/ dialetto triestino, in Italia linguistica nuova ed antica II, Galatina 1978, 329-405; Nuovi materiali per lo studio degli elementi lessicali friulaneggianti del dialetto triestino, in Archivio per l' Alto Adige LXVII, 1979 (Studi in memoria di Carlo Battisti editi dall'Istituto di Studi per l' Alto Adige), Firenze 1979, 65-100); sul Dizionario del dialetto muglisano di Diomiro Zudini e Pierpaolo Dorsi (Casamassima, Udine 1981) e sui due grandi vocabolari friulani: II nuovo Pirana di Giulio Andrea Pirona, Ercole Carletti e Giovanni Battista Corgnali (Udine 1935, rist. 1977) e il Vocabolario de/la linguafriu/ana di Giorgio Faggin (Del Bianco, Udine 1985).
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Stokłosa, Marek. "Legalne przebywanie zakonnika poza wspólnotą zakonną". Prawo Kanoniczne 53, n.º 1-2 (9 de enero de 2010): 105–28. http://dx.doi.org/10.21697/pk.2010.53.1-2.06.

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Uno tra i doveri della vita religiosa si riferisce all’obbligo di residenza nella propria casa religiosa nella quale i membri della comunità osservano la vita comune dell’istituto. L’oggetto proprio della norma canonica del can. 665 § 1 è la permanenza abituale del religioso nella propria casa religiosa. Tuttavia, per esigenze dello stesso istituto, come pure per motivi personali, il religioso può assentarsi dalla propria casa religiosa, però con l’autorizzazione del competente superiore. Questo allontanamento potrebbe essere trattato come una semplice uscita quotidiana, o può diventare una vera assenza di breve termine, o un’assenza prolungata. Tutte queste uscite quotidiane per ragioni tanto ministeriali, quanto personali, devono essere regolate dai superiori locali, non dai superiori provinciali, per mezzo di permessi concessi secondo le usanze della rispettiva comunità, che possono essere ad actum o abituali, espressi o taciti, o anche impliciti e presunti. Il diritto comune, dopo aver stabilito l’obbligo di risiedere nella propria casa di assegnazione, determina che spetta al superiore maggiore, con il consenso del suo consiglio, concedere, per una giusta causa, a un religioso, di vivere fuori delle comunità dell’istituto (“extra domum instituti”) per un tempo che non superi la durata di un anno, a meno che non si tratti di malattia del religioso, tempo dei suoi studi, o di apostolato svolto in nome dell’istituto. È da osservare il fatto che la suddetta norma del diritto comune fa tacitamente una distinzione tra assenza prolungata dalla propria casa per dimorare in un’altra casa dell’istituto, dall’assenza prolungata dalla casa dell’istituto in genere. Considerando che il primo tipo di assenza non viene contemplato dal diritto comune, il diritto proprio potrà stabilire norme applicative più particolareggiate. Il superiore maggiore, con il consenso del proprio consiglio, può concedere, a norma del can. 665 § 1, la licenza di assenza dalla casa dell’istituto per un periodo superiore a un anno per motivo di malattia, di studio o di apostolato svolto a nome dell’istituto.
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Vincenzo Lisciani. "Le suggestioni del Purgatorio ne Il deserto dei Tartari: Buzzati e il modello dantesco tra poetica, immaginario e missione morale". Quaderni d'italianistica 41, n.º 2 (11 de junio de 2021): 175–93. http://dx.doi.org/10.33137/q.i..v41i2.36777.

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Dino Buzzati offre ne Il deserto dei Tartari una rielaborazione audace del Purgatorio dantesco per atmosfera e stile. L’aspetto temporale del romanzo è ricalcato esattamente sulla prospettiva dantesca, in cui linearità e circolarità poggiano sull’ambientazione desertica. Tempo e spazio si dilatano o restringono a seconda della prospettiva interiore del personaggio, in una perfetta unione di circolarità e linearità; ugualmente, anche lo spazio sembra oscillare tra Fortezza e deserto per poi subire improvvise verticalizzazioni. Il modello dantesco, come “scrittura verticale” e come “retorica della salvezza,” emerge dunque nei nodi più cruciali dell’immaginazione buzzatiana, mettendo in luce una consonanza profonda e radicata.
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Salibra, Luciana. "“ALTRE RICETTE DI PETRONILLA” (1937): OSSERVAZIONI LINGUISTICHE". Italiano LinguaDue 14, n.º 1 (28 de julio de 2022): 950–71. http://dx.doi.org/10.54103/2037-3597/18334.

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L’indagine si concentra sull’aderenza del ricettario al canone della prescrittività, evidenziandone i supporti lessicali, che fanno riferimento al ruolo dell’enunciatore e alla pressione sul destinatario, le forme verbali ricorrenti e gli allocutivi. Lo schema comune alle ricette è articolato in promessa – difficoltà e avvertimenti – risultato, con una promozione dei piatti che ricorda molto da vicino il messaggio pubblicitario: elativi, alterati, anafore, nell’ambito di una concezione della buona cucina i cui parametri sono l’economicità, la velocità e la facilità di realizzazione, la sostanziosità, la bontà al gusto, la novità, il “far figura”. Si è dato spazio in particolare alla dialogicità della parola di Petronilla: verticale, con la costante interpellazione delle lettrici riguardo al numero delle persone, alle difficoltà nel realizzare una pietanza, alle piccole preferenze nell’approntarla; orizzontale, all’interno del testo, fra i personaggi che compaiono e che interagiscono fra loro. Della fitta trama di domande fittizie alle lettrici si è ricercato il valore pragmatico e testuale, a partire da quelle con cui inizia la presa di contatto con le «amichette» fino allo stereotipato «Non v’ho detto?» che sottolinea, nel finale, il raggiungimento dei risultati promessi. Sulla base dell’impalcatura pragmatica e retorica e delle annotazioni di carattere metalinguistico (chiarimenti sul nome dei piatti e sulla loro origine, spiegazioni riguardanti la terminologia medica) la ricerca rintraccia alcune analogie, pur con le difformità lessicali che la diversità delle materie trattate impone, con la lingua dell’altro personaggio inventato dall’autrice, il dottor Amal. Other recipes by Petronilla (1937): linguistic observations The investigation focuses on the cookbook’s adherence to the canon of prescriptiveness, highlighting its lexical supports, which refer to the role of the enunciator and the pressure on the addressee, recurrent verbal forms and allocutives. The common pattern of the recipes is divided into promise-difficulty and warnings-result, with a promotion of the dishes that closely resembles the advertising message: elatives, alteratives, anaphora, in the context of a conception of good cooking whose parameters are affordability, speed and ease of preparation, substantiality, tastiness, novelty, and “making an impression”. Particular space was given to the dialogical nature of Petronilla’s words: vertical, with the constant questioning of the readers about the number of people, the difficulties in making a dish, the small preferences in preparing it; horizontal, within the text, among the characters who appear and interact with each other. Within the dense web of fictitious questions to the readers, the pragmatic and textual value has been sought, starting with those with which the contact with the “little friends” begins and ending with the stereotypical “Didn't I tell you?” that emphasizes, in the finale, the achievement of the promised results. On the basis of the pragmatic and rhetorical scaffolding and metalinguistic annotations (clarifications on the name of the dishes and their origin, explanations concerning medical terminology), the paper traces some similarities, albeit with the lexical dissimilarities that the diversity of the subjects dealt with imposes, with the language of the other character invented by the author, Dr. Amal.
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Gedda, Luigi. "Come Nacque l'Istituto Mendel". Acta geneticae medicae et gemellologiae: twin research 46, n.º 3 (julio de 1997): 129–33. http://dx.doi.org/10.1017/s0001566000000532.

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Nelle aule delle Università di Pavia, Milano e Torino che ho frequentato a motivo dei continui spostamenti della mia famiglia ho trascorso e concluso il mio “curriculum” conseguendo la laurea in Medicina nel 1927 e poi la Libera Docenza in Patologia Speciale Medica nel 1931.Nel mio trasferimento a Roma ebbi l'intuizione della Genetica studiando i caratteri somatici di una coppia di gemelli identici osservandone la concordanza contemporanea caratteristica ed in particolare la concordanza anche quantitativa di polimorfismi ematici, in particolare delle frazioni del glutatione ematico. Le concordanze nei gemelli monozigotici mi aprirono la strada alla genetica. Questo avvenne nel 1933.Nel 1938, ebbi occasione di conoscere Madre Luisa Tincani che avendo fondato un Istituto Superiore parificato per religiose si trovava in difficoltà perché avrebbe dovuto rispettare il decreto del Governo fascista sull'insegnamento delle leggi razziali. Ritenni che avrei potuto aggirare l'ostacolo insegnando a quelle religiose le leggi di Mendel che sono il punto di partenza per lo studio di ogni carattere ereditario normale o patologico.Quel mio corso andò benissimo in quanto insegnai non solo le leggi di Mendel ma conobbi la figura di un grande personaggio sacerdote, confessore dei prigionieri nel carcere dello Spielberg e Abate che, nel giardino del convento conduceva le sue esperienze che ebbero come oggetto principale il pisum sativum. cioè il pisello.Mentre andavo approfondendo la mia conoscenza dell'Abate agostiniano Gregorio Mendel mi sorprendevo che a Roma non ci fosse nessuna traccia di lui. Di qui nacque l'idea di creare in Roma un Istituto dedicato alla Genetica che portasse il suo nome anche perché questa scienza aveva, nel frattempo, fatto dei passi giganteschi, per cui progettai di costruire nelle adiacenze della Università “La Sapienza” un Istituto che portasse il nome di Mendel (Fig. 1).
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Miglietta, Donata. "Un'esperienza tra passione e ragione". GRUPPI, n.º 1 (marzo de 2013): 29–41. http://dx.doi.org/10.3280/gru2012-001003.

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L'autrice ripercorre gli anni in cui la psicoterapia di gruppo stava consolidandosi in Italia grazie al lavoro pionieristico di Ferdinando Vanni, incontrato all'inizio della carriera e poi ritrovato come collega, e di altri psicoanalisti. Attraverso l'esperienza diretta dell'autore, il racconto ci porta dalla formazione psicodrammatica degli inizi all'incontro con la gruppoanalisi e con il gruppo a funzione analitica. In evidenza viene messa la nascita e la crescita del Centro Ricerche di Gruppo de "Il Pollaiolo" di Roma, ispirato al pensiero di Bion, e il gruppo di supervisione, condotto da Francesco Corrao con il nome di gruppo di modellizzazione, come luogo dove il pensiero e la conoscenza si generavano nella continua oscillazione tra passione e ragione. L'autrice racconta la sua partecipazione alla vita culturale e scientifica del CRG e ci trasmette l'immagine vivida di un altro importante maestro della psicoanalisi e della psicoanalisi applicata ai gruppi: Francesco Corrao, sapiente animatore del Centro "Il Pollaiolo" prima che lo stesso diventasse l'Istituto Italiano di Psicoanalisi di Gruppo. Le memorie personali e dirette dell'autrice vanno cosě dalla nascita del CRG di Roma a quello di Milano fondato nel 1994 e ci riportano infine al momento della nascita della COIRAG.
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Anfilocchi, Silvia. "Ri-inventare il passato per sognare il futuro". GRUPPI, n.º 3 (diciembre de 2012): 75–87. http://dx.doi.org/10.3280/gru2011-003006.

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Depressione strisciante, angoscia senza nome, mancanza di energia e dinamismo, scarsitŕ o assenza di risorse materiali e personali sono spesso lo sfondo, ma anche l'oggetto, delle richieste di aiuto - o della rinuncia al lavoro - che riceviamo dai nostri pazienti. I vissuti soggettivi di insufficienza e impossibilitŕ trovano facilmente riscontro negli eventi economici e sociali che caratterizzano il clima culturale in cui viviamo e, spesso, la realtŕ oggettiva viene utilizzata per giustificare posizioni emotive dolorose o insostenibili. La fiducia e la fede nei nostri strumenti terapeutici viene messa costantemente in discussione da chi propone tecniche e setting appositamente modulati per appoggiarsi - e incastrarsi - comodamente sui fatti esterni. A partire da situazioni cliniche in cui il reale entra potentemente sulla scena terapeutica, l'autrice analizza i processi di trasformazione avvenuti in un gruppo di "giovani adulti" nel corso di alcune sedute di psicoterapia. Come tutti i cambiamenti veramente creativi, ciň che č avvenuto nel gruppo e nei suoi componenti, si fonda sulla convergenza di presente e passato, sul riconoscimento delle proprie radici, sull'acquisizione della consapevolezza del proprio posto tra le generazioni e sulla conquista di un buon uso della posizione depressiva.
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Callegari, Roberto, Maria Grazia Fusacchia y Paola Re. "Fallimento adottivo e crisi adolescenziale: un destino prevedibile?" INTERAZIONI, n.º 2 (febrero de 2013): 40–54. http://dx.doi.org/10.3280/int2012-002005.

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Questo scritto ha lo scopo di riflettere sulla dinamica relazionale e affettiva che qualifica alcune adozioni difficili, quando all'ingresso dell'adolescenza, si verifica una grave crisi del rapporto genitore-figlio, crisi che puň anche comportare l'allontanamento del figlio adottivo. Nel corso della valutazione clinica e/o del trattamento di questi casi, ricompaiono fantasie di esperienze dolorose e di carenza primaria sperimentati dal figlio adottivo che la sessualitŕ pubertaria riattualizza, spingendo la coppia genitoriale a sperimentare livelli insostenibili di ansia e parallele difensive manovre di espulsione Questi movimenti risultano essere strettamente collegati con le esperienze personali dei genitori, che non sono state preventivamente considerate come potenti fattori di rischio, che possono condurre alla rinuncia del progetto adottivo. Gli autori sollevano alcune ipotesi circa la qualitŕ narcisistica e anti-libidica della coppia, strettamente legata alla scelta adottiva, spesso, considerata essenziale. Eppure, questo collegamento č anche il bastione che contiene in sé i germi del potenziale fallimento. Attraverso esempi clinici, gli autori mettono in evidenza come i nodi problematici si riferiscano alla coppia adottiva che non sembra aver debitamente elaborato la propria infertilitŕ, rimanendo catturata in fantasie infantili e/o edipiche, riacutizzate dallo sviluppo puberale dei loro figli adolescenti.
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Barbalato, Beatrice. "La teatralizzazione dell’io, Narciso sul web." Mnemosyne, n.º 1 (1 de septiembre de 2008): 16. http://dx.doi.org/10.14428/mnemosyne.v0i1.11533.

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«’Cosa succede – scrive nel suo blog Vincent Olivier - digitando il mio nome su un motore di ricerca?’ Se non appare nulla, non esisto. Se ciò che appare è costituito dalle mie tracce numeriche (partecipazione a un colloquio, pubblicazione, firma di una petizione in linea...) il rischio è grande, perché questi dati possono dare un’immagine non conforme a quella che desidero. Da qui l’imperativo sempre più pressante di una gestione della mia extimité, concetto lacaniano mi dicono». http://lewebpedagogique.vincent/com/mon-extimite-sur-internet/, 19 gennaio 2007. Michel Tournier definisce il blog autobiografico Journal extime, cioè un diario personale sottoposto al vaglio altrui. Il termine ‘extime’, è un neologismo di Jacques Lacan, ripreso da Jacques-Alain Miller, sta ad indicare ciò che l’io spera di trovare fuori di sé stesso nel campo dell’Altro (1969): l’«extime, conjoignant l’intime à la radicale extériorité ». Un concetto che precede la nascita dei blogs, ai quali questo termine si adatta perfettamente. Il blog mette in luce ed estremizza un aspetto che nei diari personali resta implicito: l’attesa e il fantasma di un lettore che interagisca con lo scrivente.
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Guerini, Federica. "APPUNTI PER UNA EDIZIONE DEL GLOSSARIO BERGAMASCO MEDIOEVALE DI ANTONIO TIRABOSCHI". Italiano LinguaDue 13, n.º 2 (26 de enero de 2022): 589–605. http://dx.doi.org/10.54103/2037-3597/17150.

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Il presente contribuito descrive la struttura e i contenuti del Glossario Bergamasco Medioevale di Antonio Tiraboschi, attualmente conservato presso la Biblioteca Civica Angelo Mai di Bergamo, e costituito da quattro quaderni manoscritti e inediti, all’interno dei quali sono registrati oltre 2000 lemmi organizzati alfabeticamente. Si descrivono le fonti, edite e inedite, dalle quali Tiraboschi attinge i frammenti citati all’interno di ciascun lemma e si propone una classificazione delle annotazioni di cui il Glossario si compone in tre sottogruppi: note di carattere dialettologico, riguardanti gli esiti di forme latine o proto-romanze in italiano e nei dialetti gallo-italici (bergamasco, in primis) o relative alle particolari sfumature semantiche osservabili nel lessico del bergamasco; annotazioni di natura linguistica sulla comparsa di costruzioni romanze in sostituzione delle costruzioni latine, e sulle innovazioni semantiche romanze ravvisabili all’interno dei frammenti citati ad esemplificazione di ciascun lemma; osservazioni di carattere onomastico, relative a toponimi, microtoponimi e – più raramente – nomi personali. L’analisi condotta rappresenta un passo preliminare alla realizzazione di una edizione digitale (consultabile in modalità Open access a partire dalla home page della Biblioteca Civica Angelo Mai) dei preziosi materiali linguistici di cui il Glossario si compone e di una corrispondente edizione cartacea, che favoriscano valorizzazione e la fruizione del lavoro svolto dallo studioso bergamasco. Notes for an edition of Glossario Bergamasco Medioevale by Antonio Tiraboschi This paper describes the structure and the content of Antonio Tiraboschi's Glossario Bergamasco Medioevale, currently preserved at the Biblioteca Civica Angelo Mai in Bergamo, consisting of four manuscripts and unpublished notebooks containing more than 2000 alphabetically organized headwords. The sources, both published and unpublished, from which Tiraboschi drew the fragments cited as part of each lemma are described and a classification of the annotations into three subgroups is proposed: notes of a dialectological nature, concerning either Latin or proto-Roman forms in Italian as well as in the Gallo-Italic dialects (Bergamasque, in primis) or relating to particular semantic nuances observable in the lexicon of Bergamasque; linguistic notes on the appearance of Romance constructions replacing Latin constructions and questionable Romance semantic innovations in the fragments cited as examples of each lemma; onomastic observations, concerning toponyms, microtoponyms and - more rarely - personal names. This analysis is preliminary step towards creating a digital edition (available in Open access mode from the home page of the Biblioteca Civica Angelo Mai) of the precious linguistic materials which compose the Glossary and a corresponding paper edition, which will favor the valorization and fruition of the work carried out by the Bergamasque scholar.
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Butera, Federico y Fernando Alberti. "Il governo delle reti inter-organizzative per la competitivitŕ". STUDI ORGANIZZATIVI, n.º 1 (diciembre de 2012): 77–111. http://dx.doi.org/10.3280/so2012-001004.

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I policy maker sono costantemente alla ricerca delle forme e degli strumenti per contribuire ad aumentare la prosperitŕ economica e sociale del proprio territorio. Gli studi a livello internazionale ci dicono che la prosperitŕ di un territorio č direttamente riconducibile alla sua competitivitŕ, e quindi in primis al livello di produttivitŕ e innovazione del sistema delle imprese. Come verrŕ ampiamente illustrato in questo articolo, le reti inter-organizzative - nella varietŕ di forme che l'evidenza empirica ci suggerisce - attraverso una flessibilitŕ senza precedenti, una piů veloce circolazione delle informazioni, la condivisione di visioni, saperi e conoscenza, l'efficiente e rapido scambio di risorse e competenze per competere, assicurano al tempo stesso specializzazione, efficienza e alti livelli di produttivitŕ. La configurazione e la natura di tali reti č in via di continua ridefinizione ed espansione e l'uso del termine rete č spesso generico o inappropriato. Anche i confini delle reti vanno continuamente ridefiniti, in un continuum che va dalle imprese tradizionali che esternalizzano e delocalizzano parte della loro produzione fino al puro networking di varia natura. Noi ci concentreremo solo su quelle reti interorganizzative che rappresentano forme nuove di impresa, di quasi impresa, di sistemi di imprese che consentono una gestione competitiva e innovativa della catena del valore e dei processi fondamentali, conseguendo risultati economici e sociali, in una parola prosperitŕ. Ci occuperemo in particolare del fenomeno piů nuovo che caratterizza l'Italian way of doing industry, ossia lo sviluppo e i successi delle medie imprese, nodi di reti inter-organizzative che coinvolgono non solo imprese piccole, ma anche imprese grandi, in una proiezione spesso globale. Su queste nuove forme di reti inter-organizzative, si apre uno spazio di intervento straordinario per i policy maker in azioni di attivazione, incentivazione e supporto, capaci di condurre a superiori livelli di competitivitŕ le imprese componenti le reti, le reti stesse e i territori da cui esse muovono, ovvero capaci di favorire una maggiore prosperitŕ. Tali spazi di governo delle reti inter-organizzative possono avere natura infrastrutturale (trasporti, edilizia, tecnologie, credito, servizi, ecc.), relazionale (governo della catena del valore, dei processi, dei flussi, delle architetture d'impresa, dei sistemi informativi e di comunicazione, dei sistemi professionali ecc.) e cognitiva (capitale umano, capitale intellettuale, sistema di valori e norme, ecc.). Tutte e tre queste dimensioni sono importantissime e vanno gestite congiuntamente in nuove forme di management assicurate dalle imprese "pivotali" e nell'ambito di quello che nell'articolo č definito come meta-management, ovvero quelle posizioni di attori pubblici e privati - spesso in raccordo fra loro - che assicurano supporto e guida strategica alle reti. Nuovi modelli di management e di meta-management implicano una conoscenza profonda della rete e, di conseguenza, una visione d'insieme attuale e futura sicura e convincente e una capacitŕ di execution che sappia consolidare o riorientare la rete; valorizzare le risorse, materiali e personali, lě racchiuse e soprattutto perseguire obiettivi e misurare risultati. Meta-management non significa favorire il mero networking tra imprese, ma attivarsi come agenzie strategiche e provvedimenti concreti capaci di disegnare politiche di accompagnamento e sostegno alla creazione e alla valorizzazione di robusti network tra imprese e tra imprese e istituzioni, che trascendano le consuete filiere e agglomerazioni locali. Una economia e una societŕ fatta di reti inter-organizzative non č uguale a quella fatta prevalentemente di singole imprese "castello". Sulle reti di impresa e sull'impresa rete incombono alcune rilevanti questioni a cui il nostro lavoro tenta di dare alcune risposte Vediamole qui di seguito. 1. Diagnosi. L'organizzazione a rete č oggi scarsamente riconoscibile. Come diagnosticarla, come identificarne le caratteristiche strutturali e comprenderne i problemi critici? 2. Sviluppo e progettazione. L'organizzazione a rete si puň supportare con adeguati servizi, sviluppare intenzionalmente o addirittura progettare, come qui si sostiene? E se sě, in che modo? I metodi da adoperare per gestire questo sviluppo sono certo diversi da quelli adottati da strutture accentrate, sono meno top-down e meno razionalistici: ma quali possono essere? 3. Stabilitŕ e mutamento. Ogni nodo o soggetto della rete fa parte di reti diverse, in alcuni casi abbandona in rapida successione le une per legarsi ad altre. Come combinare l'estrema mutevolezza di queste multiple appartenenze con l'esigenza di stabilitŕ e crescita di ogni singolo nodo, come far sě che l'intera rete si comporti come un "attore collettivo" capace di un governo? 4. Risultati. Se e come definire obiettivi o ri-articolarli velocemente nel tempo? Come valutare i risultati delle diverse dimensioni economiche e sociali? 5. Decisioni e misura. L'organizzazione a rete - come e piů dell'impresa tradizionale - cambia per repentine innovazioni, per adattamento, per micro-decisioni, per miglioramento continuo, č il risultato di scelte su cosa fare dentro e cosa comprare, su quali funzioni accentrare e quali decentrare, su quando acquisire o vendere unitŕ aziendali e su quando fare accordi, dove allocare geograficamente le attivitŕ. Vi sono criteri e metodi da adottare, per operare in questi contesti di agilitŕ, velocitŕ e rapiditŕ di processi decisionali? 6. Sistemi. Quali tecniche o sistemi operativi adatti all'impresa rete dovranno essere sviluppati? Quali sistemi di pianificazione e controllo di gestione dell'impresa rete, if any? Č possibile stabilire standard di qualitŕ per la rete? Come sviluppare dimensioni quali linguaggi, culture, politiche di marchio e di visibilitŕ, come potenziare le comunitŕ, come promuovere formazione e apprendimenti? 7. Strutture. Le reti di impresa includono una grande varietŕ di forme, come vedremo. La rete di imprese puň includere una parte di gerarchia: quali modelli di organigrammi sono compatibili? Quali sistemi informativi, di telecomunicazioni, di social network sono adatti per la rete di imprese? Quali sistemi logistici? Quali regole e contratti formali? Quali flussi finanziari? Le risorse umane si possono gestire e sviluppare lungo la rete? E in che modo? E che dire dei sistemi di controllo della qualitŕ? 8. Nascita e morte. La rete di imprese e soprattutto i suoi "nodi" hanno un tasso di natalitŕ/ mortalitŕ piů elevato dell'impresa tradizionale. Gestire la nascita e la morte delle imprese diventerŕ ancora piů importante che gestire le imprese. Chi lo farŕ e come? 9. Vincoli e opportunitŕ. La legislazione, le relazioni industriali, la cultura manageriale sono oggi vincoli e opportunitŕ allo sviluppo di forme di rete di imprese. La globalizzazione dell'economia, lo sviluppo dei servizi, le nuove tecnologie, la cultura dei giovani, invece, sembrano operare piů come fattori facilitanti quando addirittura non cogenti. Come gestire (e non subire) vincoli e opportunitŕ? Cosa puň fare l'impresa, e cosa possono fare le istituzioni pubbliche? Vi sono nuovi programmi e regole nazionali e regionali per la costituzione delle reti di impresa: quale č la loro efficacia e impatto? In tale quadro, un'Agenzia Strategica (una grande impresa, una media impresa, un ente governativo, una Camera di commercio, un'associazione imprenditoriale, un istituto di credito) puň esercitare un ruolo centrale nella promozione e governo delle reti inter-organizzative per la competitivitŕ dei territori, mettendo a fuoco i propri interventi di policy avendo come oggetto prioritario queste nuove forme di impresa, quasi-impresa, sistemi di impresa usando diverse leve: - innanzitutto, fornendo o favorendo l'accesso a risorse chiave, come credito, finanziamenti, sgravi fiscali, servizi per l'internazionalizzazione, conoscenze, marketing ecc.; - agendo da fluidificatore delle reti tra imprese, che sappia rimuovere ostacoli nelle strutture relazionali e irrobustire nodi, processi, strutture di governance laddove necessario; inserendosi direttamente nelle strutture relazionali come ponte per connettere nodi disconnessi; - esercitando a pieno il ruolo di meta-manager di reti inter-organizzative ossia imprimendo al sistema un indirizzo strategico di fondo, governando i processi "politici" interni alla rete ossia la distribuzione di potere e risorse e creando le condizioni culturali, strategiche organizzative e tecnologiche; - facendo leva sull'essere un policy maker cross-settoriale e multi-territoriale. Le reti di impresa hanno successo se si integrano entro "piattaforme industriali" (ad es. IT, Green economy, portualitŕ e logistica), entro cluster territoriali (es. distretti, economie regionali, etc.), sistemi eterogenei interistituzionali (che includono imprese pubbliche, amministrazioni, istituzioni e associazioni). La nostra tesi č che azioni di governo della rete attraverso nuove forme di management e di meta-management sono tanto piů efficaci quanto piů contribuiscono a supportare e strutturare reti organizzative robuste o che tendono a diventare tali, ossia imprese reti e reti di impresa governate; sono tanto meno efficaci o quanto meno misurabili quanto piů supportano solo processi di networking poco definiti destinati a rimanere tali. Nei termini di Axelsson, policy e management hanno effetto su reti che esprimono a) modelli di relazione fra diverse organizzazioni per raggiungere fini comuni. Hanno un effetto minore o nullo quando le reti di cui si parla sono solo b) "connessioni lasche fra organizzazioni legate da relazioni sociali" o c) un insieme di due o piů relazioni di scambio.
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Pantaleoni, Daniele. "I nomi di Pinocchio in romeno". Translationes 3, n.º 1 (1 de enero de 2011). http://dx.doi.org/10.2478/tran-2014-0055.

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Riassunto L’articolo affronta il tema della traduzione dei nomi propri di tre edizioni romene del libro Pinocchio, evidenziando le differenti strategie adottate dai traduttori e illustrando il grado di scostamento dal testo di partenza. Il contributo include uno studio esaustivo su tutta la gamma dei nomi propri presenti nel romanzo di Collodi, confrontando le diverse soluzioni adottate dai traduttori romeni. Inoltre vengono esaminate le implicazioni inerenti alla traducibilità di alcuni tipi onomastici come gli antroponimi dei personaggi fantastici e i nomi dei luoghi immaginari, mettendoli in relazione con il repertorio stilistico romeno.
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Caffarelli, Enzo. "America Latina en Italia: odonimia, microtoponimia, antroponimia, crematonimia y deonimia". Onomástica desde América Latina 3, n.º 5 (12 de abril de 2022). http://dx.doi.org/10.48075/odal.v3i5.28718.

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La percezione dell’America Latina in Italia può misurarsi anche attraverso qualità e quantità dei nomi geografici (coronimi, poleonimi, microtoponimi nesonimi, oronimi etc.) e degli antroponimi, dei crematonimi e delle voci deonimiche presenti nel lessico e in sintagmi lessicalizzati. Lo studio analizza quali nomi di nazioni, città, enti geografici, cognomi, nomi personali, soprannomi, nomi di insegne commerciali, voci lessicalizzate sono presenti nelle regioni e nelle città italiane, ove possibile indicandone le motivazione delle scelte. Tali scelte risultano legate alla grande migrazione degli italiani tra fine Ottocento e metà Novecento nel Sud America, all’interesse per le vicende storiche – in particolare le lotte indipendentiste – dei Paesi latinoamericani, alla curiosità di fronte a vegetali, animali, tessuti ecc. tipici, ad alcuni stereotipi culturali e di consumo come il caffè per il Brasile, la carne e il tango per l’Argentina, le ricchezze leggendarie per il Perù.
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Massi Albanese, Carolina. "LA POETICA DI ANTONIO FOGAZZARO". Revista Letras 31 (13 de octubre de 2010). http://dx.doi.org/10.5380/rel.v31i0.19350.

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Le opere del Fogazzaro traboccano nell'autobiografismo,che non è confessione dolente, ma si, rappresentazionedelle perplessità, delle esperienze morali e religiose dell'autore. In esse vi è una proposta religiosa ed anche unaproposta poltica che, scaturite da una congiunzione ibridadell'ideale e del reale, si revelano contaminate e confuse.Questi "principi" fogazzariani, tuttavia, sotto una prospettivadiversa inquadrata nel tempi e nella realtà storica del momento, danno una validità al proposito di predicazionereligiosa e politica.I protagonisti dei romanzi, esseri fuori della norma, sono in complesso, piuttosto scialbi, sofisticati e staccati dal contesto poetico perchè soverchiati dalla presenza dell'autore. L'autore, difatti, ripropone il protagonista anteriore con alcune pcche variazioni e con nome differente: il personaggio principale non è altro che il personaggio nel quale l'autore vuol rappresentarsi con tutti i suoi conflitti, i suoi contrasti fra la terra e il cielo.
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Riccobono, Marta. "«Cosa umana non sono»: la Turandot di Puccini tra devianza e addomesticamento". altrelettere, 13 de junio de 2018. http://dx.doi.org/10.5903/al_uzh-39.

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Nel repertorio delle donne pucciniane Turandot rappresenta un unicum. Definita «principessa di morte» dallo stesso Puccini, nell’opera eponima essa si mostra del tutto estranea a quella femminilità appassionata, a tratti patetica, che contraddistingue eroine come Tosca, Mimì o Cio-Cio-San, donne che non temono di sacrificare la propria vita in nome dell’amore. Turandot, dal canto suo, rifiutando il matrimonio e la maternità mette in crisi un sistema basato su rigide distinzioni di genere e rappresenta una minaccia per il mantenimento dell’ordine sociale di matrice patriarcale. Se vista in relazione al personaggio di Liù, schiava dolce e remissiva, Turandot emerge in tutta la sua statura di creatura mostruosa e anti-materna, fredda incarnazione lunare, che il compositore e i suoi librettisti cercano strenuamente di ricondurre entro gli argini di una femminilità “corretta” e socialmente accettabile. Obiettivo del saggio è cogliere nella relazione che si instaura tra autore e personaggio i segni di un disagio che colpisce la società nel momento in cui si trova ad avere a che fare con elementi dalla sessualità non normativa. Il modo in cui il personaggio di Turandot viene codificato nel contesto della produzione pucciniana e i tentativi di normalizzazione cui tanto il Maestro quanto i suoi librettisti lo sottopongono sono sintomatici di una tendenza che, al di là della finzione artistica, stigmatizza quei soggetti che in maniera più o meno consapevole si ribellano al binarismo di genere e all’imposizione di ruoli sociali cui si cerca solitamente di attribuire un fondamento biologico.
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Schwarze, Michael. "Do ut des oder wie ›Dante‹ in der Commedia mit den Seelen handelt". Deutsches Dante-Jahrbuch 87-88, n.º 1 (11 de enero de 2014). http://dx.doi.org/10.1515/dante-2013-0009.

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RiassuntoIl quesito che fa da sfondo al presente lavoro è quello di individuare, nella Commedia, argomentazioni o procedimenti discorsivi che mostrino analogie strutturali con principi fondamentali dello scambio di denaro. L’analisi si concentra sugli scambi di battute, perlopiù brevi, fra Dante-personaggio e le anime che incontra nell’Inferno e nel Purgatorio. In questi dialoghi, Dante si serve di un modello argomentativo di stampo mercantile: infatti, essi si presentano spesso come delle trattative in cui, seguendo il principio del Do ut des, si scambiano favori immateriali. Partendo da questo assunto, il saggio propone alcune microletture che s’interrogano sul profitto di tali scambi - sia per le anime che vi partecipano, sia per l’io narrante della Commedia. Ne emergerà che, a più riprese, il modello argomentativo mercantile sovrasta il modello esegetico cristiano, che pur gli è generalmente sovraordinato. In questo modo, dal testo dantesco scaturisce una fondamentale ambivalenza: gli affari di scambi assolvono sia ad una funzione esemplare che autocostruttiva. Questa doppia strategia della Commedia, infatti, consiste nel fatto che gli scambi di favori immateriali messi in scena da essa sono sia affari conclusi nel nome di Dio che nel nome di un autore alla ricerca di autorità.
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Carratta, Antonio. "DECISIONE ROBOTICA E VALORI DEL PROCESSO". Revista Eletrônica de Direito Processual 22, n.º 2 (3 de mayo de 2021). http://dx.doi.org/10.12957/redp.2021.59558.

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La questione dalla quale prende le mosse la riflessione di questo articolo è sapere a cosa siamo disposti a rinunciare in nome dell’efficienza del sistema giurisdizionale e della prevedibilità della decisione giudiziale. Faccio notare che si tratta di un quesito che comunque dovremmo porci, a prescindere dai convincimenti personali sull’utilizzo della decisione robotica. Siamo proprio sicuri che la decisione esclusivamente robotica possa essere anche «giusta»? Ebbene, il rischio più grave insito nella piena robotizzazione della decisione giudiziale è quello di affidarsi alla tecnica in modo assoluto anche per la produzione delle decisioni giudiziali. Proponiamo di riflettere su questo nel articolo
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