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Fedeli, Paolo. "L'immagine come interpretazione nei manoscritti latini". Euphrosyne 30 (enero de 2002): 297–316. http://dx.doi.org/10.1484/j.euphr.5.125661.

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Maniaci, Marilena. "Ricette di costruzione della pagina nei manoscritti greci e latini". Scriptorium 49, n.º 1 (1995): 16–41. http://dx.doi.org/10.3406/scrip.1995.1713.

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Dąbek, Tomasz Maria. "Refleksje na temat współczesnych kierunków interpretacji chorału gregoriańskiego". Ruch Biblijny i Liturgiczny 57, n.º 3 (30 de septiembre de 2004): 185. http://dx.doi.org/10.21906/rbl.514.

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Resumen
Nei nostri tempi si sviluppa un nuovo metodo di eseguire il canto gregoriano, ispirato al lavoro di E. Cardine, Semiologie Grégorienne (Extrait des Etudes Grégoriennes, Tome XI), Solesmes 1970, ma anche alla pratica di canto da parte dei monaci orientali e dei cantori dalle isole del Mar Mediterraneo. Le spiegazioni della ricca tradizione di Solesmes vengono messe in discussione. Nel pressus i cantori fanno la ripercussione delle note colla stessa altezza, spesso in modo nervoso. Si cerca di badare tutti i dati degli antichi manoscritti e di eseguire esattamente i più piccoli segmenti, a scapito di frasi più grandi e d’insieme di un canto. Interessanti sono gli studi sul trattato di Girolamo di Moravia, ma bisogna sapere che questo è una fonte del canto del XIII secolo, autentico solo per l’Ordine dei Predicatori. Dal IX secolo molti musicisti s’interessavano più alla primitiva musica polifonica che al monodico canto gregoriano. Sarebbe bene studiare gl’influssi orientali sul canto della Chiesa latina e i costumi dei monaci e dei cantori diocesani dei duomi e delle collegiate nel medioevo per conoscere meglio le autentiche tradizioni, ma è una cosa per gli specialisti; gli elementi orientali interessano solo i giovani musicisti e quelli più maturi. Invece nella pratica quotidiana del canto gregoriano importante è che ciascuno brano venga eseguito con i suoi dati specifici senza mescolanza e sincretismo e poi le cose concrete come: la conoscenza del senso dei testi liturgici latini, l’altezza commoda per i cantori, il tempo moderato, non troppo lento e non troppo veloce, il modo normale di cantare dei solisti e dei gruppi.
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4

Orsi, Elisa. "codice senese nella storia delle illustrazioni dantesche: note sulla fortuna critica della Commedia Yates Thompson 36". Dante e l'Arte 8 (7 de marzo de 2022): 65–86. http://dx.doi.org/10.5565/rev/dea.155.

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Il contributo intende ripercorrere brevemente la ricezione critica del ms. Yates Thompson 36, mostrando le intersezioni tra la storia della fortuna del manoscritto e la storia della fortuna dei manoscritti illustrati danteschi dal Novecento ad oggi. Quanto emerge dimostra che la parabola della Commedia di Alfonso V di Aragona coincide, fino alla metà del secolo scorso, con quella di altri manoscritti signorili come l’Urbinate Latino 365, precocemente valorizzati per il loro interesse storico-artistico. Con l’avvento di una nuova stagione degli studi, orientata allo studio della valenza esegetica del corredo illustrativo, il destino dello Yates Thompson si riallinea a quello di altri manoscritti, più antichi e ‘meno celebri’, nel segno di una nuova prospettiva sulla tradizione figurativa dantesca fondata sulla ricostruzione della storia materiale e culturale del codice.
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Ziolkowski, Jan M. "Poesia dell'alto medioevo europeo: Manoscritti, lingua e musica dei ritmi latini/Poetry of Early Medieval Europe: Manuscripts, Language and Music of the Latin Rhythmical Texts. Francesco Stella". Speculum 80, n.º 3 (julio de 2005): 985–87. http://dx.doi.org/10.1017/s0038713400008861.

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Gendre, Renato. "Nota Gotica". Linguistica 42, n.º 1 (1 de diciembre de 2002): 5–7. http://dx.doi.org/10.4312/linguistica.42.1.5-7.

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Dalla documentazione presentata, ancorché in modo non completo, si può constatare che ogni qual volta il testo greco presenta i1 verbo nella posizione 'in incastro', 2 anche in quello gotico troviamo la stessa situazione. E benché crediamo a una sostanziale dipendenza dal greco dalla prassi sintattica gotica, 3 tuttavia riteniamo che non si possa del tutto escludere di trovarsi in presenza di uno stesso tratto sintattico, cioé di uno stesso modo di distribuire l'informazione, secondo un preciso ordine dei costituenti di frase, di origine indoeuropea. La "spezzatura di ciò che secondo il nostro sentimento linguistico è unito [ ... ] è comune sia tra i Greci che tra i Latini e gli Indiani4 e si trova in tracce ben riconoscibili anche nell'epica germanica".5 Purtroppo, come già G. Bonfante, anche noi pur "scandagliando l'epopea germanica [non abbiamo] trovato nulla in questo senso".6 La presenza sicura di questo tratto nel gotico però e, per chi come noi gli dà valore, l 'uso della tmesi 7 in testi epici germanici 8 sono 1í ad avvalorare l'ipotesi che la posizione 'in incastro' del verbo rappresenta "il modo più antico, facilmente c omprensibile dal p unto di v ista psicologico, di ordinare le paro le n ella frase idg". 9 È ben vero che il passo del Vangelo di Luca (2, 25) "7tveuμa. Tiv &ytov E7t' a.u't6v", reso in gotico "ahma weihs was ana imma", sembrerebbe opporsi a quanto è stato appena affermato. Ma cosí non è. Infatti, "il ne faut pas perdre de vue que Wulfila a suivi un manuscrit grec du type de *K ou *Kt, mais que la version gotique présente des leçons propre à 1cxo5" .1 O E molti manoscritti appartenenti al 'Ti po I' 11 riportano la lezione "7tveuμa. &ytov Tiv". 12 Pertanto, l'unica conclusione che da questo esempio si deve trarre è che il grande Vescovo dei Goti abbia avuto sotto gli occhi un testo di questa ultima famiglia e, come è nel suo stile, ne sia stato condizionato.
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Tommasi, Alessia. "Il volo di Alessandro Magno nel Medioevo romanzo: fra testi e immagini". Revista de Filología Románica 39 (3 de noviembre de 2022): 29–43. http://dx.doi.org/10.5209/rfrm.81629.

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Questo contributo prende spunto dal celebre volume di Chiara Frugoni, Historia Alexandri Magni elevati per griphos ad aerem. Origine, iconografia e fortuna di un tema (Roma, Istituto Storico per il Medioevo Italiano, 1973), e vuole presentare un approfondimento per quanto riguarda l’ambito dei volgarizzamenti italiani del Romanzo di Alessandro, che pare non aver riscosso finora grande attenzione da parte degli studiosi. In questo saggio si propone dunque uno studio delle caratteristiche della scena del volo nei volgarizzamenti italiani della seconda redazione della Historia de preliis Alexandri Magni, passando attraverso lo studio delle tradizioni illustrative dei manoscritti miniati (prevalentemente di ambito francese). Particolarmente innovativo è l’allargamento del campo di indagine alle possibili relazioni tra i manoscritti figurati e la presenza nei volgarizzamenti di dettagli assenti nella versione latina di partenza (forse per il tramite di un modello latino che già conteneva in sé una o più variabili).
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Zvonareva, Alina. "Le rubriche in volgare del códice 7-1-52 della biblioteca Colombina di Siviglia". Revista Galega de Filoloxía 13 (17 de mayo de 2012): 151–77. http://dx.doi.org/10.17979/rgf.2012.13.0.3830.

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Il presente contributo propone uno studio storico-linguistico delle rubriche in volgare del ms. 7-1-52 della biblioteca Colombina di Siviglia. Si tratta di un codice francescano trecentesco trascritto in Italia settentrionale, contenente testi di carattere didattico-religioso e contraddistinto da uno spiccato ibridismo linguistico: nel corpus di riferimento si riscontrano tratti veronesi, veneziani o venezianeggianti, padovani ed emiliani. Il quadro dei fenomeni linguistici che emerge dalle rubriche viene confrontato nell’articolo con le peculiarità linguistiche che presenta il testo principale dei componimenti tràditi dal manoscritto; sulla base dello studio svolto si formulano delle ipotesi riguardo la datazione e la localizzazione delle rubriche. Inoltre, tale confronto permette di mettere il materiale linguistico in relazione con il problema della trasmissione e ricezione dei testi copiati. In particolare, viene postulato che i titoli del nostro codice rappresentino un volgarizzamento delle rubriche latine dell’archetipo perduto, e a tale proposito vengono esaminati anche gli altri testimoni manoscritti dei testi del corpus. Ci si interroga anche sul valore stilistico di tratti latineggianti, toscaneggianti e marcatamente locali, nonché su cosa significhi il fatto stesso di volgere le rubriche in un volgare settentrionale.
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GOLDSTEIN, BERNARD R. y A. MARK SMITH. "THE MEDIEVAL HEBREW AND ITALIAN VERSIONS OF IBN MU'DH'S ON TWILIGHT AND THE RISING OF CLOUDS". Nuncius 8, n.º 2 (1993): 611–13. http://dx.doi.org/10.1163/182539183x00749.

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Abstracttitle RIASSUNTO /title Il breve trattato di Ibn Mu'dh, scienziato arabo spagnolo dell'undicesimo secolo, presenta un metodo singolare per determinare l'altezza dell'atmosfera. L'originale arabo perduto, ma il testo conservato in tre versioni medievali. Due di esse sono tradotte direttamente dall'arabo: una versione latina del tardo dodicesimo secolo attribuibile a Gerardo da Cremona, e una traduzione ebraica di Samuel ben Judah di Marsiglia, redatta nel quattordicesimo secolo. La terza una versione italiana anonima, tradotta dal latino, conservata soltanto in un manoscritto del Trecento. Qui vengono pubblicate le versioni ebraica e italiana.
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Volpi, Irene. "Il Corpus Rhythmorum Musicum Opportunità e prospettive di una edizione critica digitale". Revista de Poética Medieval 33 (31 de diciembre de 2019): 99–120. http://dx.doi.org/10.37536/rpm.2019.33.0.69092.

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Il Corpus Rhythmorm Musicum (CRM) è un progetto ideato da Francesco Stella, che dà edizione critica dei rhytmhi – poesie latine medievali basate su un principio sillabico e accentuativo – che siano prodotti dal quarto al nono secolo e provvisti di almeno una melodia attestata nella tradizione manoscritta. A seguito della pubblicazione del primo volume e del CD-ROM (Firenze, SISMEL, Edizioni Del Galluzzo, 2007), contenenti canti di tradizione non liturgica, Luigi Tessarolo ha riprogrammato il database per il web nel 2011. Nel database, liberamente accessibile online (<http://www.corimu.unisi.it/>), per ogni rhythmus, oltre all’edizione digitale di poesie e musiche (curate da S. Barrett), è possibile visualizzare: tutti i manoscritti collazionati e le loro descrizioni; le trascrizioni di poesie e melodie nei diversi testimoni (insieme a quelle alfanumeriche e alle esecuzioni musicali dirette da G. Baroffio, curatore del reperimento delle trascrizioni moderne); le schede con il profilo storico, letterario ed ecdotico, quelle su versi e lingua. Da esse derivano le tavole linguistiche di C. Cenni, F. Sivo, P. Stoppacci e le statistiche lessicali, un repertorio delle forme ritmiche curato da E. D’Angelo e C. Pérez González e un menù di ricerca che permette di porre domande complesse al database. Si presentano in questa sede le possibilità d’analisi offerte dal CRM e si indaga sul ruolo svolto dall’elemento melodico nella formazione di questi componimenti. S’indicano, infine, alcuni studi sorti grazie al database, nonché i progetti in corso: l’edizione dei rhythmi computistici – su calendario, astronomia e metodo per calcolare la data della Pasqua – e gli inni ritmici.
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Vaccari, Debora. "Canzonieri spagnoli popolareggianti conservati a Roma (IV): il Ms. Barberini 3602". Revista de Cancioneros Impresos y Manuscritos, n.º 4 (15 de diciembre de 2015): 110. http://dx.doi.org/10.14198/rcim.2015.4.06.

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In queste pagine si offre una prima breve descrizione del Ms. Barberini Latini 3602 della Biblioteca Vaticana. Si tratta di un canzoniere manoscritto, fattizio, che contiene testi quasi esclusivamente in spagnolo, risalente al XVII secolo. In particolare, si studiano alcuni testi che presentano non solo una forma ma anche un tema tradizionale.
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Beretta, Andrea. "Un nuovo testimone del volgarizzamento veneto dell’Esopus attribuito a Gualtiero Anglico". Reinardus / Yearbook of the International Reynard Society 30 (31 de diciembre de 2018): 1–23. http://dx.doi.org/10.1075/rein.00012.ber.

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Astratto L’articolo intende dare conto del ritrovamento di un nuovo testimone del volgarizzamento veneto dell’Esopus attribuito a Gualterus Anglicus, del quale era precedentemente noto un solo codice (London, British Library, 38023), edito da Vittore Branca. Il manoscritto che qui si presenta (segnato Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, It. Z 74 (4826)) reca anche il testo integrale della fonte latina e si configura dunque come un esemplare notevolissimo nell’ambito della fortuna della favolistica esopica in Italia. L’analisi fornisce una descrizione il più accurata possibile del codice e del suo corredo illustrativo, e illumina i rapporti dei due testimoni latino e veneto in esso compresi con il resto delle rispettive tradizioni testuali. Particolarmente interessante risulta inoltre l’esame dell’aspetto linguistico del testo veneto: la maggiore antichità del codice Marciano (trecentesco) rispetto al (quattrocentesco) Londinese consente infatti di delineare con maggiore chiarezza le diverse componenti di base della lingua del volgarizzamento.
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Stock, Fabio y Giuseppe Ramires. "Interpolazioni greche nella tradizione manoscritta di servio". Argos, n.º 45 (17 de febrero de 2022): e0025. http://dx.doi.org/10.14409/argos.2020.45.e0025.

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Copisti medievali, dotati di qualche conoscenza del greco, non si limitavano a riprodurre e restaurare parole e sequenze in greco presenti nelle opere latine copiate, ma talora effettuavano aggiunte ed interpolazioni in caratteri greci. Nell’articolo sono esaminati alcuni casi relativi alla tradizione serviana, in codici di tradizione insulare. L’analisi consente in alcuni casi di correggere il testo del commento pubblicato da Thilo.
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Mordeglia, Caterina. "La rappresentazione del corpo animale nei manoscritti di favole esopiche latine". Reinardus / Yearbook of the International Reynard Society 25 (31 de diciembre de 2013): 120–40. http://dx.doi.org/10.1075/rein.25.08mor.

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L’ampia diffusione e la ricca presenza di soggetti zoomorfi hanno favorito per tutta l’Antichità e il Medioevo il proliferare di una ricca tradizione figurativa della favola esopica in ambito artistico, soprattutto scultoreo, ed editoriale, spesso frammentata e non sempre riconducibile a un modello letterario o iconografico specifico. La produzione di manoscritti miniati di favole esopiche latine prende invece campo in maniera consistente solo nel Tardo Medioevo. Prima di questa data i codici caratterizzati da un ciclo figurativo completo e strutturato pervenutici sono pochi. In questo saggio vengono esaminate le raffigurazioni animali contenute in alcuni di essi, molto celebri per la testimonianza iconografica che ci offrono o per la loro raffinatezza stilistica, rapportandole con le eventuali fonti letterarie che possono averle influenzate. Oggetto dell’indagine sono, nell’ordine, i mss.: Paris, Bibliothèque Nationale de France, nouv. acq. lat. 1132 (sec. IX); Leiden, Bibliotheek der Rijksuniversiteit, Voss. lat. 8° 15 (Section XI); Bologna, Biblioteca Universitaria, 1213 (Section XIV); Udine, Biblioteca Arcivescovile, Codice Bartolini 83 (Section XV).
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Cardillo, Angelo. "Museo, De l’amor di Leandro et di Hero Volgarizzamento dal greco di Pietro Angèli Bargeo". Forum Italicum: A Journal of Italian Studies 52, n.º 3 (18 de junio de 2018): 859–92. http://dx.doi.org/10.1177/0014585818781831.

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L’articolo presenta il volgarizzamento cinquecentesco inedito dell’epillio di Museo ad opera di Pietro Angèli Bargeo, tradotto in un Manoscritto della Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia risalente alla seconda metà del XVI secolo; presenta, inoltre, un excursus sulla circolazione latina e volgare del testo greco fino alla fine del Cinquecento. La traduzione è parte della feconda attività del Bargèo di divulgatore di testi classici ed ulteriore conferma dell’interesse che autori coevi, Bernardo Tasso, Giovanni Falgano e Bernardino Baldi, hanno mostrato nei confronti di Museo e della lirica amorosa greca e latina pervenuta nel tardo Medioevo grazie anche ad Ovidio e diffusasi in Italia e in Europa nel corso del pieno e tardo Rinascimento.
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Sirinian, Anna. "Interazioni armeno-latine nelle epigrafi e nei manoscritti armeni prodotti a Roma nei secoli XIII‑XIV". Mélanges de l'École française de Rome. Moyen Âge, n.º 130-1 (12 de enero de 2018): 95–111. http://dx.doi.org/10.4000/mefrm.4017.

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Guerini, Federica. "APPUNTI PER UNA EDIZIONE DEL GLOSSARIO BERGAMASCO MEDIOEVALE DI ANTONIO TIRABOSCHI". Italiano LinguaDue 13, n.º 2 (26 de enero de 2022): 589–605. http://dx.doi.org/10.54103/2037-3597/17150.

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Il presente contribuito descrive la struttura e i contenuti del Glossario Bergamasco Medioevale di Antonio Tiraboschi, attualmente conservato presso la Biblioteca Civica Angelo Mai di Bergamo, e costituito da quattro quaderni manoscritti e inediti, all’interno dei quali sono registrati oltre 2000 lemmi organizzati alfabeticamente. Si descrivono le fonti, edite e inedite, dalle quali Tiraboschi attinge i frammenti citati all’interno di ciascun lemma e si propone una classificazione delle annotazioni di cui il Glossario si compone in tre sottogruppi: note di carattere dialettologico, riguardanti gli esiti di forme latine o proto-romanze in italiano e nei dialetti gallo-italici (bergamasco, in primis) o relative alle particolari sfumature semantiche osservabili nel lessico del bergamasco; annotazioni di natura linguistica sulla comparsa di costruzioni romanze in sostituzione delle costruzioni latine, e sulle innovazioni semantiche romanze ravvisabili all’interno dei frammenti citati ad esemplificazione di ciascun lemma; osservazioni di carattere onomastico, relative a toponimi, microtoponimi e – più raramente – nomi personali. L’analisi condotta rappresenta un passo preliminare alla realizzazione di una edizione digitale (consultabile in modalità Open access a partire dalla home page della Biblioteca Civica Angelo Mai) dei preziosi materiali linguistici di cui il Glossario si compone e di una corrispondente edizione cartacea, che favoriscano valorizzazione e la fruizione del lavoro svolto dallo studioso bergamasco. Notes for an edition of Glossario Bergamasco Medioevale by Antonio Tiraboschi This paper describes the structure and the content of Antonio Tiraboschi's Glossario Bergamasco Medioevale, currently preserved at the Biblioteca Civica Angelo Mai in Bergamo, consisting of four manuscripts and unpublished notebooks containing more than 2000 alphabetically organized headwords. The sources, both published and unpublished, from which Tiraboschi drew the fragments cited as part of each lemma are described and a classification of the annotations into three subgroups is proposed: notes of a dialectological nature, concerning either Latin or proto-Roman forms in Italian as well as in the Gallo-Italic dialects (Bergamasque, in primis) or relating to particular semantic nuances observable in the lexicon of Bergamasque; linguistic notes on the appearance of Romance constructions replacing Latin constructions and questionable Romance semantic innovations in the fragments cited as examples of each lemma; onomastic observations, concerning toponyms, microtoponyms and - more rarely - personal names. This analysis is preliminary step towards creating a digital edition (available in Open access mode from the home page of the Biblioteca Civica Angelo Mai) of the precious linguistic materials which compose the Glossary and a corresponding paper edition, which will favor the valorization and fruition of the work carried out by the Bergamasque scholar.
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Winterbottom, M. "La tradizione manoscritta dei commenti latini al Cantico dei cantici (origini XII secolo): Repertorio dei codici contenenti testi inediti o editi solo nella 'Patrologia Latina'. By ROSSANA E. GUGLIELMETTI." Journal of Theological Studies 58, n.º 2 (1 de octubre de 2007): 736–37. http://dx.doi.org/10.1093/jts/flm089.

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Mordeglia, Caterina. "Fedro e Aviano presenze ‘fantasma’ nella Spagna medievale". Myrtia 34 (31 de enero de 2020): 131–46. http://dx.doi.org/10.6018/myrtia.412001.

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L’analisi della diffusione manoscritta delle favole di Fedro e Aviano e dei loro rifacimenti mediolatini nella Spagna medievale rivela una pressoché totale assenza di testimonianze che contrasta con il resto d’Europa. Si registrano solo timidi tentativi di penetrazione del genere attraverso i contatti culturali con il Sud della Francia, di cui l’esempio più significativo è offerto da due favole contenute nel ms. Madrid, RHA, 39 (s. XI), qui riportate con testo critico rivisto e la prima traduzione italiana. Tuttavia una presenza ‘sommersa’ del genere, precedente alla diffusione delle prime edizioni a stampa – anch’esse ricollegabili ad ambienti culturali italiani e nord-europei – è comprovata dalle reminiscenze favolistiche classiche nella Disciplina clericalis di Pietro Alfonsi (s. XII) e nel Libro de los gatos (s. XIV), versificazione in castigliano delle Fabulae di Oddone di Cheriton. The analysis of the manuscripts’ spread of Phaedrus and Avianus’ fables and their Latin rewritings in Spain during the Middle Ages reveals an almost total absence of witnesses, contrary to the rest of Europe. There are only shy attempts of penetration of the genre through the cultural contacts with Southern France. The main example is offered by two fables transmitted by the ms. Madrid, RAH, 39 (s. XI), here presented in a new critical edition with the first Italian translation. Anyway a ‘ghost’ presence of the Latin fables before their first printed editions – also due to the Italian and North-European cultural contacts – is confirmed by their tracks in the Petrus Alfonsi’s Disciplina clericalis (XIIth century) and the Libros de los gatos, a rhytmical translation in Castilian language of Odo of Cheriton’s Latin fables (XIVth century).
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Onelli, Corinna. "Tradurre, leggere, scrivere il Satyricon di Petronio nel Seicento". Cuadernos de Filología Italiana 27 (7 de julio de 2020): 109–35. http://dx.doi.org/10.5209/cfit.63246.

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L’articolo prende in esame un manoscritto seicentesco (Ang) recante la traduzione in italiano del Satyricon di Petronio, opera dell’Antichità celebre per i suoi contenuti osceni. La traduzione è anonima e si ipotizza di origine settentrionale (Venezia?). Ang non è autografo e probabilmente rappresenta una pubblicazione clandestina. Il confronto sistematico del testo di Ang con le edizioni del Satyricon (in latino), pubblicate fra Cinque e Seicento, ha mostrato come l’autore della traduzione fosse del tutto alieno da preoccupazioni di natura filologica. Quest’ultimo mostra tuttavia una buona padronanza dell’italiano letterario. Il copista che ha materialmente redatto Ang, più che verosimilmente su commissione, rivela invece di non padroneggiare pienamente la norma dello scritto. Inoltre, la punteggiatura, l’organizzazione del testo, così come il particolare uso del richiamo, suggeriscono che Ang possa essere stato espressamente realizzato per essere letto ad alta voce. Il testo della traduzione, così come trasmesso da Ang, contiene delle glosse esplicative atte a delucidare il testo petroniano e, soprattutto, l’italiano originariamente impiegato dal traduttore, chiosato in una varietà meno letteraria (talvolta addirittura ricorrendo al dialetto – di area perugina). Questa complessa stratificazione testuale prova l’effettiva circolazione della traduzione attraverso l’Italia così come il suo progressivo adattarsi ad un pubblico sempre meno esigente.
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Hall, J. B. "G. Magnaldi: La forza dei segni. Parole-spia nella tradizione manoscritta dei prosatori latini. Pp. 176. Amsterdam: Adolf M. Hakkert, 2000. Paper. ISBN: 90-256-1140-0." Classical Review 52, n.º 1 (marzo de 2002): 198–99. http://dx.doi.org/10.1093/cr/52.1.198.

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AGATI, Maria Luisa. "Κωδικολογία: νέες κατευθύνσεις και όρια". BYZANTINA SYMMEIKTA 21, n.º 1 (17 de marzo de 2012): 195. http://dx.doi.org/10.12681/byzsym.1059.

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<p><span style="line-height: 150%; font-variant: small-caps; font-family: 'Times New Roman','serif'; color: black; font-size: 11pt"><span style="line-height: 150%; font-family: 'Times New Roman','serif'; font-size: 11pt">LA CODICOLOGIA: RUOLO, ORIENTAMENTI E NUOVE FRONTIERE</span></span></p><p><span style="line-height: 150%; font-variant: small-caps; font-family: 'Times New Roman','serif'; color: black; font-size: 11pt"></span><span style="line-height: 150%; font-family: 'Times New Roman','serif'; color: black; font-size: 11pt">Esame del significato della Codicologia, nel termine e nel concetto, dall’intuizione di Montfaucon attraverso le interpretazioni più significative della storia degli studi, per arrivare alle conclusioni dell’autrice, che, ponendo in primo piano la simbiosi tra libro/contenitore e testo/contenuto, intende la Codicologia nel senso più integrale dello studio del libro manoscritto, non avulso dalla dimensione filologica che nel progredire degli studi “materiali” sembra oggi accantonata. La Codicologia come “</span><span style="line-height: 150%; font-family: 'Times New Roman','serif'; color: black; font-size: 11pt">Archeologia</span><span style="line-height: 150%; font-family: 'Times New Roman','serif'; color: black; font-size: 11pt"> del libro” apre comunque nuove prospettive con metodologie di ricerca che mirano ad un approccio dinamico, puntando soprattutto alla ricostruzione dei gesti e della psicologia dell’artigiano medievale. Ne sono testimonianza le differenti interpretazioni di <em>mise en page</em>, o il campo di indagine sulla rigatura, col chiarimento dei concetti di tecnica e di metodo, e del funzionamento dei diversi strumenti meccanici, su cui purtroppo le fonti sono reticenti. Tutto ci</span><span style="line-height: 150%; font-family: 'Times New Roman','serif'; font-size: 11pt">ò</span><span style="line-height: 150%; font-family: 'Times New Roman','serif'; color: black; font-size: 11pt"> pu</span><span style="line-height: 150%; font-family: 'Times New Roman','serif'; font-size: 11pt">ò</span><span style="line-height: 150%; font-family: 'Times New Roman','serif'; color: black; font-size: 11pt"> ricevere nuova luce solo da uno studio comparato tra le diverse civilt</span><span style="line-height: 150%; font-family: 'Times New Roman','serif'; font-size: 11pt">à</span><span style="line-height: 150%; font-family: 'Times New Roman','serif'; color: black; font-size: 11pt"> del Mediterraneo, che vede l’incontro</span><font face="Times New Roman"><span style="line-height: 150%; font-family: 'MgOldTimes UC Pol Normal'; color: black; font-size: 11pt">/</span><span style="line-height: 150%; font-family: 'Times New Roman','serif'; color: black; font-size: 11pt">scontro tra Cristianesimo e Islam, e le ricerche in corso di chi </span></font><span style="line-height: 150%; font-family: 'Times New Roman','serif'; color: black; font-size: 11pt">scrive</span><span style="line-height: 150%; font-family: 'Times New Roman','serif'; color: black; font-size: 11pt"> hanno gi</span><span style="line-height: 150%; font-family: 'Times New Roman','serif'; font-size: 11pt">à</span><span style="line-height: 150%; font-family: 'Times New Roman','serif'; color: black; font-size: 11pt"> dato diversi esiti positivi. Per esempio, l’utilizzo dell’orientale <em>mastara</em> viene recepito sistematicamente nelle tecniche metabizantine, ma non </span><span style="line-height: 150%; font-family: 'Times New Roman','serif'; font-size: 11pt">è</span><span style="line-height: 150%; font-family: 'Times New Roman','serif'; color: black; font-size: 11pt"> esclusivo nella produzione greca occidentale, influenzata dal mondo latino: solo la Storia pu</span><span style="line-height: 150%; font-family: 'Times New Roman','serif'; font-size: 11pt">ò</span><span style="line-height: 150%; font-family: 'Times New Roman','serif'; color: black; font-size: 11pt"> dare spiegazione di fenomeni o tradizioni </span><span style="line-height: 150%; font-family: 'Times New Roman','serif'; color: black; font-size: 11pt">altrimenti</span><span style="line-height: 150%; font-family: 'Times New Roman','serif'; color: black; font-size: 11pt"> incomprensibili, indispensabile supporto alla critica testuale.</span></p>
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Šitina, Ana. "Časoslov Blažene Djevice Marije (Horae Beatae Mariae Virginis) iz Znanstvene knjižnice u Zadru". Ars Adriatica, n.º 4 (1 de enero de 2014): 267. http://dx.doi.org/10.15291/ars.500.

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The illuminated Book of Hours dedicated to the Blessed Virgin Mary which was originally held in the former Paravia Library is today located at the Research Library in Zadar. Unfortunately, no information exists about this manuscript. It is bound between covers made of wood veneer and sheathed with black leather. It consists of 156 folios which contain the Office of the Blessed Virgin Mary, the book of hours dedicated to the Blessed Virgin Mary, the book of hours dedicated to the Holy Spirit, Holy Cross, a portion of the office for the dead, seven funerary psalms and various prayers for specific occasions. The text is written in a single column on folios made of vellum (8 x 11.4 cm). It is written in literary Latin, in the Italian-style Gothic script. The text is written in black ink which dominates the manuscript while the rubrics are in red. The text begins with a calendar of which only January, February, November and December remain. The painted decorations feature in the initials and in the margins; there are no stand-alone illustrations filling an entire text-free page. The manuscript has three types of illuminated initials: litterae historiate, litterae dominicalis and litterae ferialis. Of those, there are six litterae historiatae, the subjects of which follow the aforementioned offices contained in the text. Each decorated littera historiata is located within the text, which is framed by a wide border filled with a decorative rinceaux-type band, the main element of which is ivy enhanced with interwoven flower motifs. The Litterae dominicales were rendered so as to form stylized floral shapes and elements dominated by an intense blue, red, green and yellow colour. Initials which resemble stylized flowers are framed on both sides by an L-shaped vegetal scroll which is most commonly composed of multi-coloured blue and red flowers, leaves, and gold and black “fruits”, that is, the motif of a sun disc with rays. The Litterae ferialis were depicted in two ways, either in red and blue or in gold and blue. If the letter is blue, the decoration and the dense graphic ornament are in a contrasting colour such as red, and vice versa, the latter sometime accentuated with tiny gilt details. Each initial is accompanied by a littera arabescata with a small undulating graphic ornament descending from the litterae ferialis along the text. The Book of Hours contains only four Litterae dominicales (fols 15v, 28r, 31r and 38v). Most pages feature a littera dominicalis and a littera ferialis. Litterae arabescatae, which descend from the ornamental bases of the litterae ferialis, consist of three spiral scrolls with a necklace-like sequence of motifs such as birds, flowers, and peculiar huts with volute-like ornaments which resemble pagodas, and these are then interspersed with other, much smaller motifs, for example crosses, flowers and beads. Decorative margins found on the pages with the illuminated litterae historiatae display features of a sporadic Mannerist influence in the newly established refinement of the classical Renaissance, but also a solidity which is in contrast to the lush late Gothic drôleries which had dominated before. For example, on in the decorative margin on folio 59v there is a masked head. With regard to the painted initials inside the litterae historiatae, certain details, such as the rendering of volume with emphasized black outlines, the positioning of the bodies and similar designs, demonstrate compatibility with a number of contemporaneous examples of manuscript illumination which have been preserved in Croatia. In the first place are the illuminated manuscripts from the Treasury of Split Cathedral such as the image of king David in the initial B in the fifteenth-century Psalterium Romanum (ms 633, fol. 5, Cathedral Treasury, Split). Compared to the Renaissance manuscript illuminations at Zadar, it can be noted that the figural illuminations, the litterae historiate, in this Book of Hours are stylistically closest to the Missal of Abbot Deodato Venier. In her article Manoscritti miniati di area veneta e padana nelle biblioteche della Croazia: alcuni esempi dal XIII. al XVI. secolo, F. Toniolo linked the marginal decoration of the Zadar Book of Hours to the type used by the Venetian miniaturist Benedetto Bordone, to whom Susy Marcon too attributed the Zadar codex. However, F. Toniolo pointed out that she was not convinced that this miniaturist decorated it himself, stating that it is more likely that it was the work of a different illuminator from his workshop. She then compared the Zadar Book of Hours with a work of a miniaturist who has been named The Second Master of the Grifo Canzoniere (Il Secondo Maestro del Canzoniere Grifo) after a collection of poems composed by the court poet Antonio Grifo, in which he decorated several pages. She compared the Zadar Book of Hours with fol. 233 of the Grifo Canzoniere, which depicts the Triumph of Anteros and Venus Genetrix surrounded by a marginal decoration similar to the one at Zadar. The miniaturist who illuminated the Zadar Book of Hours must have interacted with or worked within the circle of artists whose works Toniolo identifies as the comparative material for the Zadar illuminations, which can be immediately observed at first sight. For example, the marginal decoration is typically Venetian, and similar to the type used by Julije Klović (Giulio Clovio), Girolamo da Cremona, Benedetto Bordone and other minaturists who worked in this circle. However, if one compares figural illuminations, only a number of differences can also be noted. Although the proposed definition of this circle of manuscript illuminators is highly likely, in my opinion, the issue of the miniaturist responsible for the Zadar codex remains open to debate. Since there is no information about the manuscript, and given that this is an easily portable object, it is difficult to say whether it was produced locally or brought to Zadar. Based on the stylistic and comparative analysis presented in this article, I suggest that this Book of Hours may have originated in the manuscript illumination circles of Ferrara or even Lombardy, and I argue that the workshop in question demonstrates either the strong influence of the Venetian school or the fact that some of its minaturists maintained connections with the Venetian lagoons.
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Full, Bettina y Karin Westerwelle. "Poeta fui. Dante und Vergil". Deutsches Dante-Jahrbuch 90, n.º 1 (28 de enero de 2015). http://dx.doi.org/10.1515/dante-2015-0002.

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RiassuntoÈ Virgilio ad aprire la serie di incontri con autori, soprattutto latini ed italiani, che ha luogo nella Commedia - Virgilio, che come »poeta« e »maestro« salva Dante, personaggio ed autore, dal suo smarrimento nella selva. Contro lo svanire della fama terrena si afferma, nell’agire e nel parlare dei due protagonisti, una genealogia letteraria che diviene tangibile tanto nella figura dell’antico poeta - lo evidenziano anche le miniature dei manoscritti - quanto nel valore intrinseco di un linguaggio figurativo che si trova in concorrenza con l’allegoria teologica. Sulle tracce del sottile rimando al (peccaminoso) piacere visivo che può derivare dal pelo maculato della lonza, della trasformazione stilnovistica di Virgilio, ma anche del confronto tra arte divina ed arte umana questo saggio ripercorre la riflessione di Dante su metafora e immagine come si manifesta nel rapporto con Virgilio.
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Reali, Mauro. "Frammenti di “identità insubre”: note sulla tradizione di CIL V, 5216". LANX. Rivista della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici - Università degli Studi di Milano, 27 de diciembre de 2021, 35–51. http://dx.doi.org/10.54103/2035-4797/16946.

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L’Autore propone alcune riflessioni in merito alla tradizione di un’iscrizione latina conservata ad Asso (CO), CIL V, 5216: si tratta di un’ara dedicata a un Genius locale da due membri della gens Plinia. Il commento riservato a questa epigrafe consente di evidenziare il diverso approccio al proprio passato “insubre” da parte di alcuni studiosi di epoca rinascimentale o controriformistica (Castiglioni, Alciato, Borsieri) rispetto a quello manifestato in un manoscritto di Mons. Carlo Mazza, parroco di Asso tra Settecento e Ottocento.
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Scarpa, Marco. "La diffusione delle opere antilatine di Nilo Cabasilas in manoscritti russi nel XVII secolo". Slavia Meridionalis 17 (12 de octubre de 2017). http://dx.doi.org/10.11649/sm.1532.

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The Spread of Neilos Kabasilas’s Anti-Latin Treaties in Russian Manuscripts in the 17th Century In the 17th century, Neilos Kabasilas’s anti-Latin works, along with Gregory Palamas’s Contro Becco, were considerably widespread in Russia. The first copy was made for Arseniĭ Sukhanov in the 1630s, another copy – supplemented with several polemical texts – was then prepared for the Patriarchal Library. Four manuscripts are associated with the activity of the monks Simon Azar’in, Efrem Kvašnin and Sergij Šelonin, who were in Moscow in the 1640s, and are perhaps related to the question of the religious confession of Prince Valdemar, who was designated to marry the Tsar’s daughter. In mid-seventeenth century another manuscript appeared in Ukraine, marked at that time by the controversies which followed the Union of Brest. In the 1660s, two copies were made in the Solovetskiĭ Monastery. At the end of the century, Archbishop Atanasiĭ Kholmogorskij, involved in the controversy over Christ’s presence in the Eucharist, made further three copies of these works. Four manuscripts from the first half of the eighteenth century testify in their turn to the interest of particular individuals in this collection of texts on the Procession of the Holy Spirit. Rozpowszechnienie antyłacińskich traktatów Nila Kabazylasa w rękopisach ruskich w XVII wieku W XVII wieku antyłacińskie traktaty Nila Kabazylasa, obok Contro Becco Grzegorza Palamasa, były dość dobrze rozpowszechnione na Rusi. Pierwszy odpis został przygotowany przez Arsenija Suchanowa w latach trzydziestych XVII wieku. Drugi wzbogacony o kilka tekstów polemicznych powstał dla biblioteki patriarchalnej. Cztery kolejne rękopisy wiążą się z działalnością przebywających w latach czterdziestych w Moskwie mnichów Simona Azarina, Efrema Kwasznina i Sergija Szelonina i odsyłają prawdopodobnie do sprawy wyznania księcia Waldemara, kandydata na męża dla carskiej córki. W połowie XVII wieku tekst pojawia się na naznaczonych polemikami wyznaniowymi po unii brzeskiej ziemiach ukraińskich. W latach sześćdziesiątych dwa odpisy powstają w Monastyrze Sołowieckim. Pod koniec stulecia, zaangażowany w polemiki wokół obecności Chrystusa w Eucharystii, arcybiskup Atanasy Chołmogorski dokonuje kolejnych trzech odpisów. Cztery odpisy z pierwszej połowy XVIII wieku świadczą natomiast o zainteresowaniu indywidualnych osób zbiorem tekstów o pochodzeniu Ducha Świętego.
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Zuliani, Federico. "En samling politiske håndskrifter fra slutningen af det 16. århundrede : Giacomo Castelvetro og Christian Barnekows bibliotek". Fund og Forskning i Det Kongelige Biblioteks Samlinger 50 (29 de abril de 2015). http://dx.doi.org/10.7146/fof.v50i0.41248.

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Federico Zuliani: Una raccolta di scritture politiche della fine del sedicesimo secolo. Giacomo Castelvetro e la biblioteca di Christian Barnekow. Alla pagina 68 recto del manoscritto Vault Case Ms. 5086, 73/2, Newberry Library, Chicago, ha inizio il “Registro di tutte le scritture politiche del S[igno]r Christiano Bernicò”. Il testo è preceduto da un altro elenco simile, sebbene più breve, che va sotto il titolo di “Memoriale D’alcune scritture politiche, che furon donate alla Reina Maria Stuarda Prigioniera in Inghilterra l’anno di salute m.d.lxxxiii. Dal S[igno]re di Cherelles”. Il manoscritto 5086, 73/2 fa parte di una collezione di dieci volumi (originariamente undici) appartenuti a Giacomo Castelvetro e oggi conservati negli Stati Uniti. I codici, le cui vicende di trasmissione sono, in parte, ancora poco chiare, furono sicuramente compilati da Castelvetro durante il periodo che passò in Danimarca, tra l’estate del 1594 e l’autunno del 1595. Il soggiorno danese di Castelvetro ha ricevuto attenzioni decisamente minori di quelle che invece meriterebbe. Alla permanenza in Danimarca è riconducibile infatti l’opera più ambiziosa dell’intera carriera del letterato italiano: vi vennero assemblati, con l’idea di darli poi alle stampe, proprio i volumi oggi negli Stati Uniti. La provenienza è provata tanto dall’indicazione, nei frontespizi, di Copenaghen come luogo di composizione, quanto dalle annotazioni autografe apportate da Castelvetro, a conclusione dei testi, a ricordare quando e dove fossero stati trascritti; oltre a Copenaghen vi si citano altre due località, Birkholm e Tølløse, entrambe sull’isola danese di Sjællad, ed entrambe amministrate da membri dell’influente famiglia Barnekow. E’ a Giuseppe Migliorato che va il merito di aver identificato per primo in Christian Barnekow il “Christiano Bernicò” della lista oggi alla Newberry Library. Christian Barnekow, nobile danese dalla straordinaria cultura (acquisita in uno studierejse durato ben diciassette anni), a partire dal 1591 fu al servizio personale di Cristiano IV di Danimarca. Barnekow e Castelvetro si dovettero incontrare a Edimburgo, dove il primo era giunto quale ambasciatore del monarca danese e dove il secondo si trovava già dal 1592, come maestro di italiano di Giacomo Stuart e di Anna di Danimarca, sorella di Cristiano IV. Sebbene non si possa escludere un ruolo di Anna nell’introdurli, è più probabile che sia stata la comune amicizia con Johann Jacob Grynaeus a propiziarne la conoscenza. Il dotto svizzero aveva infatti dato ospitalità a Barnekow, quando questi era studente presso l’università di Basilea, ne era divenuto amico e aveva mantenuto i rapporti nel momento in cui il giovane aveva lasciato la città elvetica. Grynaeus era però anche il cognato di Castelvetro il quale aveva sposato Isotta de’ Canonici, vedova di Thomas Liebler, e sorella di Lavinia, moglie di Grynaeus sin dal 1569. Isotta era morta però nel marzo del 1594, in Scozia, ed è facile immaginare come Barnekow abbia desiderato esprimere le proprie condoglianze al marito, cognato di un suo caro amico, e vedovo di una persona che doveva aver conosciuto bene quando aveva alloggiato presso la casa della sorella. Castelvetro, inoltre, potrebbe essere risultato noto a Barnekow anche a causa di due edizioni di opere del primo marito della moglie curate postume dal letterato italiano, tra il 1589 e il 1590. Thomas Liebler, più famoso con il nome latinizzato di Erasto, era stato infatti uno dei più acerrimi oppositori di Pietro Severino, il celebre paracelsiano danese; Giacomo Castelvetro non doveva essere quindi completamente ignoto nei circoli dotti della Danimarca. La vasta cultura di Christian Barnekow ci è nota attraverso l’apprezzamento di diversi suoi contemporanei, quali Grynaeus, Jon Venusinus e, soprattutto, Hans Poulsen Resen, futuro vescovo di Sjælland e amico personale di Barnekow a cui dobbiamo molte delle informazioni in nostro possesso circa la vita del nobile danese, grazie all’orazione funebre che questi tenne nel 1612 e che venne data alle stampe l’anno successivo, a Copenaghen. Qui, ricordandone lo studierejse, il vescovo raccontò come Barnekow fosse ritornato in Danimarca “pieno di conoscenza e di storie” oltre che di “relazioni e discorsi” in diverse lingue. Con questi due termini l’ecclesiastico danese alludeva, con tutta probabilità, a quei documenti diplomatici, relazioni e discorsi di ambasciatori, per l’appunto, che rientravano tra le letture preferite degli studenti universitari padovani. La lista compilata da Castelvetro, dove figurano lettere e istrutioni ma, soprattutto, relationi e discorsi, era un catalogo di quella collezione di manoscritti, portata dall’Italia, a cui fece riferimento l’ecclesiastico danese commemorando Christian Barnekow. Tutti coloro i quali si sono occupati dei volumi oggi negli Stati Uniti si sono trovati concordi nel ritenerli pronti per la pubblicazione: oltre alle abbondanti correzioni (tra cui numerose alle spaziature e ai rientri) i volumi presentano infatti frontespizi provvisori, ma completi (con data di stampa, luogo, impaginazione dei titoli – a loro volta occasionalmente corretti – motto etc.), indici del contenuto e titolature laterali per agevolare lettura e consultazione. Anche Jakob Ulfeldt, amico e compagno di viaggi e di studi di Barnekow, riportò a casa una collezione di documenti (GKS 500–505 fol.) per molti aspetti analoga a quella di Barnekow e che si dimostra di grande importanza per comprendere peculiarità e specificità di quella di quest’ultimo. I testi di Ulfeldt risultano assemblati senza alcuna coerenza, si rivelano ricchi di errori di trascrizione e di grammatica, e non offrono alcuna divisione interna, rendendone l’impiego particolarmente arduo. Le annotazioni di un copista italiano suggeriscono inoltre come, già a Padova, potesse essere stato difficoltoso sapere con certezza quali documenti fossero effettivamente presenti nella collezione e quali si fossero smarriti (prestati, perduti, pagati ma mai ricevuti…). La raccolta di Barnekow, che aveva le stesse fonti semi-clandestine di quella dell’amico, doveva trovarsi in condizioni per molti versi simili e solo la mano di un esperto avrebbe potuto portarvi ordine. Giacomo Castelvetro – nipote di Ludovico Castelvetro, uno dei filologi più celebri della propria generazione, e un filologo egli stesso, fluente in italiano, latino e francese, oltre che collaboratore di lunga data di John Wolfe, editore londinese specializzato nella pubblicazione di opere italiane – possedeva esattamente quelle competenze di cui Barnekow aveva bisogno e ben si intuisce come mai quest’ultimo lo convinse a seguirlo in Danimarca. I compiti di Castelvetro presso Barnekow furono quelli di passarne in rassegna la collezione, accertarsi dell’effettivo contenuto, leggerne i testi, raggrupparli per tematica e area geografica, sceglierne i più significativi, emendarli, e prepararne quindi un’edizione. Sapendo che Castelvetro poté occuparsi della prima parte del compito nei, frenetici, mesi danesi, diviene pure comprensibile come mai egli portò con sé i volumi oggi negli Stati Uniti quando si diresse in Svezia: mancava ancora la parte forse più delicata del lavoro, un’ultima revisione dei testi prima che questi fossero passati a un tipografo perché li desse alle stampe. La ragione principale che sottostò all’idea di pubblicare un’edizione di “scritture politiche” italiane in Danimarca fu la presenza, in tutta l’Europa centro settentrionale del tempo, di una vera e propria moda italiana che i contatti tra corti, oltre che i viaggi d’istruzione della nobiltà, dovettero diffondere anche in Danimarca. Nel tardo Cinquecento gli autori italiani cominciarono ad essere sempre più abituali nelle biblioteche private danesi e la conoscenza dell’italiano, sebbene non completamente assente anche in altri settori della popolazione, divenne una parte fondamentale dell’educazione della futura classe dirigente del paese nordico, come prova l’istituzione di una cattedra di italiano presso l’appena fondata Accademia di Sorø, nel 1623. Anche in Danimarca, inoltre, si tentò di attrarre esperti e artisti italiani; tra questi, l’architetto Domenico Badiaz, Giovannimaria Borcht, che fu segretario personale di Frederik Leye, borgomastro di Helsingør, il maestro di scherma Salvator Fabris, l’organista Vincenzo Bertolusi, il violinista Giovanni Giacomo Merlis o, ancora, lo scultore Pietro Crevelli. A differenza dell’Inghilterra non si ebbero in Danimarca edizioni critiche di testi italiani; videro però la luce alcune traduzioni, anche se spesso dal tedesco, di autori italiani, quali Boccaccio e Petrarca, e, soprattutto, si arrivò a pubblicare anche in italiano, come dimostrano i due volumi di madrigali del Giardino Novo e il trattato De lo schermo overo scienza d’arme di Salvator Fabris, usciti tutti a Copenaghen tra il 1605 e il 1606. Un’ulteriore ragione che motivò la scelta di stampare una raccolta come quella curata da Castelvetro è da ricercarsi poi nello straordinario successo che la letteratura di “maneggio di stato” (relazioni diplomatiche, compendi di storia, analisi dell’erario) godette all’epoca, anche, se non specialmente, presso i giovani aristocratici centro e nord europei che studiavano in Italia. Non a caso, presso Det Kongelige Bibliotek, si trovano diverse collezioni di questo genere di testi (GKS 511–512 fol.; GKS 525 fol.; GKS 500–505 fol.; GKS 2164–2167 4º; GKS 523 fol.; GKS 598 fol.; GKS 507–510 fol.; Thott 576 fol.; Kall 333 4º e NKS 244 fol.). Tali scritti, considerati come particolarmente adatti per la formazione di coloro che si fossero voluti dedicare all’attività politica in senso lato, supplivano a una mancanza propria dei curricula universitari dell’epoca: quella della totale assenza di qualsivoglia materia che si occupasse di “attualità”. Le relazioni diplomatiche risultavano infatti utilissime agli studenti, futuri servitori dello Stato, per aggiornarsi circa i più recenti avvenimenti politici e religiosi europei oltre che per ottenere informazioni attorno a paesi lontani o da poco scoperti. Sebbene sia impossibile stabilire con assoluta certezza quali e quante delle collezioni di documenti oggi conservate presso Det Kongelige Bibliotek siano state riportate in Danimarca da studenti danesi, pare legittimo immaginare che almeno una buona parte di esse lo sia stata. L’interesse doveva essere alto e un’edizione avrebbe avuto mercato, con tutta probabilità, anche fuori dalla Danimarca: una pubblicazione curata filologicamente avrebbe offerto infatti testi di gran lunga superiori a quelli normalmente acquistati da giovani dalle possibilità economiche limitate e spesso sprovvisti di una padronanza adeguata delle lingue romanze. Non a caso, nei medesimi anni, si ebbero edizioni per molti versi equivalenti a quella pensata da Barnekow e da Castelvetro. Nel 1589, a Colonia, venne pubblicato il Tesoro politico, una scelta di materiale diplomatico italiano (ristampato anche nel 1592 e nel 1598), mentre tra il 1610 e il 1612, un altro testo di questo genere, la Praxis prudentiae politicae, vide la luce a Francoforte. La raccolta manoscritta di Barnekow ebbe però anche caratteristiche a sé stanti rispetto a quelle degli altri giovani danesi a lui contemporanei. Barnekow, anzitutto, continuò ad arricchire la propria collezione anche dopo il rientro in patria come dimostra, per esempio, una relazione d’area fiamminga datata 1594. La biblioteca manoscritta di Barnekow si distingue inoltre per l’ampiezza. Se conosciamo per Ulfeldt trentadue testi che questi portò con sé dall’Italia (uno dei suoi volumi è comunque andato perduto) la lista di “scritture politiche” di Barnekow ne conta ben duecentoottantaquattro. Un’altra peculiarità è quella di essere composta inoltre di testi sciolti, cioè a dirsi non ancora copiati o rilegati in volume. Presso Det Kongelige Bibliotek è possibile ritrovare infatti diversi degli scritti registrati nella lista stilata da Castelvetro: dodici riconducibili con sicurezza e sette per cui la provenienza parrebbe per lo meno probabile. A lungo il problema di chi sia stato Michele – una persona vicina a Barnekow a cui Castelvetro afferma di aver pagato parte degli originali dei manoscritti oggi in America – è parso, di fatto, irrisolvibile. Come ipotesi di lavoro, e basandosi sulle annotazioni apposte ai colophon, si è proposto che Michele potesse essere il proprietario di quei, pochi, testi che compaiono nei volumi oggi a Chicago e New York ma che non possono essere ricondotti all’elenco redatto da Castelvetro. Michele sarebbe stato quindi un privato, legato a Barnekow e a lui prossimo, da lui magari addirittura protetto, ma del quale non era al servizio, e che doveva avere presso di sé una biblioteca di cui Castelvetro provò ad avere visione al fine di integrare le scritture del nobile danese in vista della sua progettata edizione. Il fatto che nel 1596 Michele fosse in Italia spiegherebbe poi come potesse avere accesso a questo genere di opere. Che le possedesse per proprio diletto oppure che, magari, le commerciasse addirittura, non è invece dato dire. L’analisi del materiale oggi negli Stati Uniti si rivela ricca di spunti. Per quanto riguarda Castelvetro pare delinearsi, sempre di più, un ruolo di primo piano nella diffusione della cultura italiana nell’Europa del secondo Cinquecento, mentre Barnekow emerge come una figura veramente centrale nella vita intellettuale della Danimarca a cavallo tra Cinque e Seicento. Sempre Barnekow si dimostra poi di grandissima utilità per iniziare a studiare un tema che sino ad oggi ha ricevuto, probabilmente, troppa poca attenzione: quello dell’importazione in Danimarca di modelli culturali italiani grazie all’azione di quei giovani aristocratici che si erano formati presso le università della penisola. A tale proposito l’influenza esercitata dalla letteratura italiana di “maneggio di stato” sul pensiero politico danese tra sedicesimo e diciassettesimo secolo è tra gli aspetti che meriterebbero studi più approfonditi. Tra i risultati meno esaurienti si collocano invece quelli legati all’indagine e alla ricostruzione della biblioteca di Barnekow e, in particolare, di quanto ne sia sopravvissuto. Solo un esame sistematico, non solo dei fondi manoscritti di Det Kongelige Bibliotek, ma, più in generale, di tutte le altre biblioteche e collezioni scandinave, potrebbe dare in futuro esiti soddisfacenti.
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Schweickard, Wolfgang. "Mahmoud Salem Elsheikh (ed.), Al-Manṣūrī fī 'ṭ-ṭibb / Liber medicinalis Almansoris. Edizione critica del volgarizzamento laurenziano (Plut. LXXIII. Ms.43) confrontato con la tradizione manoscritta araba e latina (Orizzonti medievali, 8), 2 voll., Roma, Aracne, 2016, 772 + 366 p." Zeitschrift für romanische Philologie 133, n.º 1 (1 de enero de 2017). http://dx.doi.org/10.1515/zrp-2017-0016.

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