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Artículos de revistas sobre el tema "Malocclusione di tipo II"

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Pavoni, C., E. Cretella Lombardo, R. Lione, P. Bollero, F. Ottaviani y P. Cozza. "Orthopaedic treatment effects of functional therapy on the sagittal pharyngeal dimensions in subjects with sleep-disordered breathing and Class II malocclusion". Acta Otorhinolaryngologica Italica 37, n.º 6 (diciembre de 2017): 479–85. http://dx.doi.org/10.14639/0392-100x-1420.

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Resumen
Con il termine Sleep disorder breathing (SDB) s’intendono tutte quelle difficoltà respiratorie che si verificano durante il sonno. Si può osservare una grande variabilità nella sintomatologia dei pazienti affetti da SDB, direttamente proporzionale alla resistenza che le vie aeree superiori offrono al passaggio dell’aria quando queste sono ostruite. L’SDB rappresenta un ampio ventaglio di disturbi che vanno dal russamento primario fino ad arrivare alle apnee ostruttive del sonno. I bambini con problemi respiratori tendono a compensare l’ostruzione delle vie aeree assumendo posizioni caratteristiche, tali da garantire il mantenimento della pervietà delle vie aeree durante il sonno. Un’anomalia di posizione nel sonno, durante la fase di crescita e sviluppo, si ripercuote in un’alterazione dello sviluppo occlusale e in una modifica del pattern di crescita. Le principali alterazioni sono a carico del mascellare superiore, dell’altezza facciale, del tono muscolare e della posizione mandibolare; nei bambini con SDB, infatti, è spesso presente un pattern scheletrico di Classe II, con lunghezza mandibolare ridotta ed overbite aumentato. Lo scopo del presente studio è stato quello di valutare i cambiamenti craniofacciali indotti dalla terapia funzionale di avanzamento mandibolare con particolare riferimento alla dimensione sagittale delle vie aeree, superiori ed inferiori, alla posizione dell’osso ioide e alla posizione della lingua in soggetti con SDB e malocclusione di Classe II, messi a confronto con un gruppo controllo in Classe II non trattato. 51 soggetti (24 femmine, 27 maschi; età media 9,9 ± 1,3 anni) con malocclusione dentoscheletrica di Classe II e SDB trattati con il dispositivo funzionale Monoblocco Modificato (MM) sono stati messi a confronto con un gruppo controllo non trattato di 31 soggetti (15 maschi, 16 femmine; età media 10,1 ± 1,1 anni) presentanti la stessa malocclusione senza SDB. Il gruppo di studio è stato valutato da uno specialista in otorinolaringoiatria per la definizione del tipo di respirazione ed è stato sottoposto ad un esame fisico completo. I genitori di tutti i pazienti hanno completato un questionario per valutare la presenza di sintomi notturni e diurni prima e dopo il test clinico (versione italiana in 22 punti del Pediatric sleep questionnaire, ideato da Ronald Chervin). Le teleradiografie in proiezione latero laterale sono state analizzate all’inizio e alla fine del trattamento con MM. Tutte le misurazioni cefalometriche dei due gruppi sono state analizzate attraverso dei test per la valutazione statistica dei cambiamenti avvenuti durante il trattamento. I risultati hanno evidenziato dei cambiamenti scheletrici favorevoli nel gruppo trattato a tempo T2. La terapia funzionale di avanzamento mandibolare ha indotto dei cambiamenti statisticamente significativi nella dimensione sagittale delle vie aeree, nella posizione dell’osso ioide e nella posizione della lingua in soggetti di Classe II affetti da SDB rispetto ai controlli non trattati. Dopo la terapia ortodontica in 45 pazienti del gruppo di studio è stata osservata una riduzione dei sintomi diurni di SDB. Il trattamento con apparecchiature funzionali, non solo migliora i rapporti tra mascellare superiore e mandibola, ma riduce anche il rischio del collasso delle vie aere superiori. La logica terapeutica si basa sul concetto che tutte le anomalie, legate ad un retroposizionamento mandibolare, beneficiano della terapia funzionale di avanzamento mandibolare, che è in grado di ampliare lo spazio posteriormente alla lingua ed allo stesso tempo promuovere l’avanzamento linguale. Lo spostamento anteriore della mandibola influenza la posizione dell’osso ioide e la posizione della lingua, aumentando lo spazio intermascellare in cui quest’ultima alloggia e migliorando la morfologia delle vie aeree superiori. Ne consegue sia la risoluzione della malocclusione scheletrica di Classe II che il miglioramento dei rapporti retrofaringei, eliminando quei fattori predisponenti per lo sviluppo di disturbi respiratori in età adulta.
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Pavoni, C. y P. Cozza. "Scelta ragionata dei dispositivi ortopedico-ortodontici nella malocclusione di Classe II". Mondo Ortodontico 36, n.º 4 (septiembre de 2011): 146–58. http://dx.doi.org/10.1016/j.mor.2011.06.001.

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Giannini, L., C. Esposito, R. A. Garramone y C. Maspero. "Correlazione tra malocclusione di Classe II e problematiche articolari: revisione della letteratura". Dental Cadmos 80, n.º 8 (octubre de 2012): 435–43. http://dx.doi.org/10.1016/j.cadmos.2012.04.003.

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Tonelli, P., M. Bianchi, L. Barbato, F. Selvaggi, E. Biondi, E. Mascitelli y M. Duvina. "Cisti radicolo-dentale in paziente con malocclusione di Classe II scheletrica. Caso clinico". Dental Cadmos 83, n.º 10 (diciembre de 2015): 694–99. http://dx.doi.org/10.1016/s0011-8524(15)30108-2.

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Scalzone, A., F. d’Apuzzo, P. P. Scalzone, V. Vitale, R. Cannavale y L. Perillo. "Trattamento con Twin Block in pazienti in crescita con malocclusione di Classe II: effetti dento-scheletrici". Dental Cadmos 83, n.º 10 (diciembre de 2015): 654–59. http://dx.doi.org/10.1016/s0011-8524(15)30103-3.

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Galeotti, A., P. Festa, M. Pavone y G. C. De Vincentiis. "Effetti di simultanei espansione palatale e avanzamento mandibolare in un paziente pediatrico con apnee ostruttive notturne". Acta Otorhinolaryngologica Italica 36, n.º 4 (agosto de 2016): 328–32. http://dx.doi.org/10.14639/0392-100x-548.

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Resumen
Questo caso clinico illustra il trattamento di un bambino affetto da apnee ostruttive nel sonno (OSA) che presenta una malocclusione di classe II scheletrica da retrusione mandibolare con contrazione del mascellare superiore e morso aperto anteriore. Il paziente presenta apnee ostruttive del sonno di grado moderato con un alto impatto sulla qualità della vita del paziente e dei genitori. Il paziente è stato trattato utilizzando un dispositivo ortodontico innovativo (Sleep Apnea Twin Expander), al fine di realizzare l'espansione del palato e l'avanzamento mandibolare contemporaneamente. Dopo la terapia ortodontica, il questionario sulla qualità della vita ha evidenziato un miglioramento dei principali sintomi respiratori e lo studio cardiorespiratorio del sonno ha rivelato una riduzione degli eventi di apnee ostruttive. Al termine della terapia, la valutazione clinica e l'analisi cefalometrica hanno evidenziato una riduzione della discrepanza sagittale e verticale tra il mascellare superiore e la mandibola e un ampliamento dello spazio delle vie aeree superiori. In conclusione, questo case report suggerisce che il trattamento ortodontico può essere una valida terapia alternativa nei bambini con apnea ostruttiva del sonno associata ad anomalie cranio-facciali.
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Oliveira Santos, Malu, Grazielle Marçal Barbosa, Marcos Alan Vieira Bittencourt y Alessandra Castro Alves. "DENTINOGÊNESE IMPERFEITA TIPO II: RELATO DE CASO CLÍNICO". Revista da Faculdade de Odontologia da Universidade Federal da Bahia 52, n.º 1 (7 de abril de 2022): 51–60. http://dx.doi.org/10.9771/revfo.v52i1.48829.

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Resumen
A dentinogênese imperfeita (DI) apresenta etiologia autossômica dominante envolvendo má formação dentinária durante a histodiferenciação. Os dentes apresentam coloração marrom-azulada com transparência distinta. No exame radiográfico, observam-se coroas bulbosas, constrição cervical e câmaras pulpares obliteradas. O esmalte é perdido com facilidade, expondo a dentina defeituosa subjacente, com desgaste acentuado por atrição e ocasionando perda da dimensão vertical de oclusão. Objetivo: O relato tem como objetivo apresentar um caso clínico de DI tipo II em uma paciente pré-escolar, focando no diagnóstico, bem como no tratamento reabilitador, enfatizando a importância do diagnóstico precoce. Descrição do caso: Criança de quatro anos de idade, do sexo feminino, que compareceu à clínica escola da universidade. As queixas da criança e da mãe refletiam estética desfavorável devido à coloração amarronzada, dentes quebradiços e desgastados. Havia lesões cariosas iniciais e avançadas com muita perda de estrutura dentária posterior. Foi observado ainda, um crescimento maxilar comprometido, evidenciando a protusão mandibular. O diagnóstico da DI tipo II foi realizado com base na anamnese e exames clínico-radiográficos, envolvendo o histórico familiar materno. O tratamento foi executado buscando manter a saúde bucal, juntamente com a adequação estética da paciente, usando a mínima intervenção quando possível. A criança foi acompanhada por 30 meses, quando foi direcionada para avaliação e possível tratamento ortodôntico. Conclusão: A DI causa muitos prejuízos emocionais e físicos aos pacientes portadores. O diagnóstico prematuro, associado ao tratamento conservador com revisões periódicas, auxilia na preservação estética e funcional, além de melhorar a qualidade de vida da criança.
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Lasalvia, Antonio, Benedetta Stefani y Mirella Ruggeri. "Needs for care in psychiatric patients: a systematic review II. Needs for care on individual level". Epidemiology and Psychiatric Sciences 9, n.º 4 (diciembre de 2000): 282–307. http://dx.doi.org/10.1017/s1121189x00008411.

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RIASSUNTOScopo - Il presente articolo costituisce la seconda parte di un più ampio lavoro di revisione degli studi sui bisogni di cura in ambito psichiatrico. Nella prima parte sono stati analizzati i risultati degli studi sui bisogni di servizi nella popolazione generate. In questa seconda parte viene passata in rassegna la letteratura sui bisogni individuali e discusso il ruolo giocato dalla valutazione di tali bisogni nella pianificazione dell'assistenza psichiatrica. Metodo - Mediante ricerca computerizzata (effettuata con i database MEDLINE e PsycLit) integrata da una ricerca manuale (realizzata consultando gli indici analitici delle principali riviste psichiatriche internazionali) sono stati selezionati i lavori pubblicati sull'argomento da Gennaio 1980 a Giugno 1999. La revisione della letteratura è stata realizzata suddividendo gli studi condotti nella popolazione generale e quelli condotti su gruppi di pazienti psichiatrici. Questi ultimi studi, a loro volta, sono stati ulteriormente suddivisi in base alla categoria diagnostica (pazienti con disturbi psicotici e pazienti con disturbi non psicotici) e al setting (servizi territoriali e strutture di ricovero). Sono stati, inoltre, considerati gli studi condotti su particolari categorie di pazienti (senzatetto, bambini ed adolescenti, anziani e soggetti con comportamento violento). Risultati - I pazienti con disturbi di tipo psicotico presentano una vasta gamma di bisogni sia di tipo clinico che sociale. In quelli seguiti a livello territoriale, i bisogni clinici e sociali tendono ad equivalersi, mentre in quelli ricoverati (ad eccezione dei pazienti acuti) prevalgono i bisogni sociali. Sia a livello territoriale che di strutture di ricovero i bisogni di tipo sociale sono quelli in genere più di frequente insoddisfatti; le terapie psicofarmacologiche sono fornite con maggior frequenza rispetto agli interventi psicoterapeutici e riabilitativi. I pazienti non psicotici presentano un numero minore di bisogni rispetto ai pazienti psicotici; tali bisogni sono di tipo sia clinico che sociale, con una prevalenza dei primi, anche se i bisogni più frequentemente insoddisfatti sono quelli sociali. Conclusioni - Tali studi forniscono preziose informazioni sulle principali esigenze dei soggetti affetti da disturbi psichici attraverso una prospettiva nuova e spesso inesplorata. Nella pratica clinica l'identificazione dei bisogni di cura può costituire un ausilio indispensabile al fine di impostare strategie terapeutiche specifiche, individualizzate ed efficaci.
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Pradelli, Lorenzo. "Prevenzione e terapia precoce del diabete mellito di tipo II: aspetti farmacoeconomici". Farmeconomia. Health economics and therapeutic pathways 6, n.º 3 (15 de septiembre de 2005): 251–61. http://dx.doi.org/10.7175/fe.v6i3.839.

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Resumen
Type II (non-insulin-dependent) diabetes is one of the most widespread chronic patologies in the developed countries and its prevalence in Italy is about 2-3% of the population. Type II diabetes is also associated with several other metabolic abnormalities such as central obesity, hypertension, and dyslipidemia, which contributes to the very high rate of cardiovascular morbidity and mortality. Therefore Type II diabetes involves a significant financial burden on the health care system. The purpose of this paper is to explain the composition of the healthcare costs of managing people with Type II diabetes and the economic repercussions due to the adoption of an aggressive strategy against the pathology. To carry out this evaluation we considered the CODE-2 (The Cost of Diabetes in Europe - Type II) Study results, the American Diabetes Association Position Statement, the Diabetes Prevention Program and the UK Prospective Diabetes Study. Evidence exists to show that introducing prevention program or an early therapy can avert or delay significantly the onset of cardiovascular morbidity in Type II diabetes patients. According to the pharmacoeconomical criteria, this very desiderable clinical goal is associated to a little increase of the health expenditures, and sometimes also to a costs saving.
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Solmaz, F., D. Akduman, M. Haksever, E. Gündoğdu, M. Yanılmaz y A. Mescioğlu. "Risultati audiologici e rate di attecchimento dell'innesto di cartilagine con pericondrio nella timpanoplastica: PACIT". Acta Otorhinolaryngologica Italica 36, n.º 4 (agosto de 2016): 275–81. http://dx.doi.org/10.14639/0392-100x-660.

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Resumen
La cartilagine rappresenta una delle opzioni più interessanti per il confezionamento dell'innesto nella timpanoplastica (TPL). Col presente studio presentiamo i nostri risultati audiologici e il rate di attecchimento nei casi di TPL trattati con innesto di cartilagine con pericondrio (PACIT). Sono stati analizzati, in termini di tipo di chirurgia effettuata, attecchimento dell'innesto e risultati audiologici, 194 orecchi di 191 pazienti (108 maschi, 83 donne). Sono state effettuate 127 (65,46%) TPL tipo I, 45 (23,20%) tipo II e 22 (11,34%) tipo III. Il gap medio fra via aerea e via ossea all'audiometria tonale preoperatoria è stato rispettivamente 33,74 ± 9,60, 52,58 ± 9,07, e 56,58 ± 10,27 dB HL; i valori nel postoperatorio sono stai invece 18,55 ± 9,25, 31,21 ± 4,36, and 44,84 ± 12,45 dB HL. Nel postoperatorio di è registrato un miglioramento della soglia (≥ 10dB) nel 76,81% degli orecchi valutati, con un recupero medio di 20 dB HL (range 10-40 dB). Tuttavia il 19,07% degli orecchi valutati non ha mostrato un miglioramento della soglia uditiva, e il 4,12% ha manifestato un peggioramento della soglia. L'innesto ha attecchito correttamente nel 91,24% dei casi con follow-up di almeno 13 mesi con una media di 68,64 mesi, mentre si è registrato un fallimento nel 8,76% dei casi. In considerazione dei livelli postoperatori della soglia uditiva e dell'elevato rate di attecchimenti registrato, il presente studio ha evidenziato l'efficacia a lungo termine dell'innesto di cartilagine con pericondrio.
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Arslankoylu, A. E., M. Unal, N. Kuyucu y O. Ismi. "ACTA OTORHINOLARYNGOLOGICA ITALICA". Acta Otorhinolaryngologica Italica 36, n.º 5 (octubre de 2016): 431–34. http://dx.doi.org/10.14639/0392-100x-636.

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I cleft laringei e laringotracheali sono rare malformazioni congenite dell’albero laringo-tracheo-bronchiale. La sintomatologia associata va dalla blanda tosse all’aspirazione e alla cianosi. I cleft di tipo I e II possono essere tenuti sotto osservazione senza intervenire chirurgicamente, mentre i tipi III e IV richiedono un approccio chirurgico anteriore o laterocervicale. Presentiamo il caso di un neonato di 3 mesi affetto da cleft laringotracheale di tipo III, deceduto in corso di revisione chirurgica dopo un approccio in laringofissura anteriore. Nel presente lavoro discutiamo, alla luce della letteratura, le difficoltà diagnostiche, le modalità di trattamento e le tecniche anestesiologiche relative a questa rara patologia.
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Lombardi, Marco, Stefano Michelassi y Corrado Betterle. "Conoscerlo per riconoscerlo: morbo di Addison con sindrome poliendocrina autoimmune di Tipo 2". Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi 25, n.º 1 (19 de marzo de 2013): 37–42. http://dx.doi.org/10.33393/gcnd.2013.1000.

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Viene presentato un caso clinico di iposurrenalismo da morbo di Addison primitivo sviluppatosi dopo alcuni anni dalla comparsa di un morbo di Graves. Tale combinazione rappresenta una poliendocrinopatia autoimmune di tipo 2 (SPA-2). La SPA-2 è un processo autoimmune che coinvolge più tessuti endocrini (surrene, tiroide, pancreas) e non endocrini. Si ritiene che la sindrome si sviluppi in pazienti geneticamente predisposti con diversi pattern genetici del complesso maggiore di istocompatibilità MHC II. La SPA-2 è una malattia rara, avendo una frequenza di una persona affetta ogni 7000–8000 abitanti, prevale nel sesso femminile e compare a un'età media di circa 35 anni. L'iposurrena-lismo è caratterizzato da sintomi tipici (astenia, ipotensione ortostatica, calo ponderale, artromialgie, nausea, anoressia, iperpigmentazione cutanea), tuttavia non facili da interpretare, data la scarsa conoscenza della malattia. Nei casi non diagnosticati in tempo utile i sintomi possono peggiorare in rapporto a eventi stressanti che possono far precipitare i pazienti in una crisi addisoniana che può essere potenzialmente fatale. Iposodiemia, iperpotassiemia, iperazotemia, ipercalcemia associati ad aumentati livelli plasmatici di ACTH, renina, e bassi livelli di cortisolo, e alterati indici di epatolisi sono riscontri laboratoristici relativamente tardivi, così come possono esserlo i segni clinici di disidratazione. La storia naturale della malattia si manifesta attraverso varie fasi progressive: a) dapprima con presenza di autoanticorpi anti-surrene presenti anni prima all'esordio clinico, b) poi con un aumento della renina plasmatica e con la diminuzione dell'aldosterone plasmatico, c) poi con la successiva ridotta risposta del cortisolo allo stimolo con ACTH e.v. e d) infine con iperincrezione di ACTH, calo del cortisolo basale e presenza delle manifestazioni cliniche di iposurrenalismo. Il trattamento si basa sulla sostituzione ormonale degli organi endocrini coinvolti.
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Sampagnaro, Gabriele. "I profili di criticitŕ del Private equity negli schemi di asset allocation". ECONOMIA E DIRITTO DEL TERZIARIO, n.º 3 (septiembre de 2011): 509–31. http://dx.doi.org/10.3280/ed2010-003006.

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Lo scopo di questo contributo č quello di descrivere i profili di criticitŕ che si affrontano nell'adattamento degli schemi tradizionali di(di tipo mediavarianza) agli investimenti in Private equity (Pe). L'elevato livello di illiquiditŕ degli investimenti in Pe alterano i valori dei parametri di rischio e di rendimento generando, a cascata, effetti di instabilitŕ e di inaffidabilitŕ delle frontiere efficienti. Nel corso del lavoro si procede, in particolare, ad una discussione circa: i) i fattori esplicativi dell'alterazione dei rendimenti (e, conseguentemente, dei rischi e delle correlazioni), ii) le metodologie piů diffuse per la neutralizzazione delle distorsioni sulle serie storiche nonché iii) le implicazioni per gli analisti deputati alla costruzione di un portafoglio diversificato comprensivo di una quota di Private equity.
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Scanu, Marco Antonio. "Aragón en Cerdeña. L'influsso culturale aragonese in Sardegna durante il regno di Ferdinando II". Aragón en la Edad Media, n.º 28 (28 de agosto de 2018): 255–316. http://dx.doi.org/10.26754/ojs_aem/aem.2017282199.

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L’esigenza di un controllo diretto da parte dei re aragonesi e le iniziative legate al redreç politico-amministrativo attuato da Ferdinando il Cattolico, fecero sì che – in un periodo abbastanza circoscritto - si spostarono verso l’interno della penisola iberica i poli di riferimento istituzionale (e quindi culturale) del Regno di Sardegna. Prima i Carroz, poi gli Alagón e, infine, i protagonisti della ‘reazione’ regia ai disordini verificatisi nell’Isola, in seguito alla ‘rivolta’ dell’ultimo marchese di Oristano, crearono un singolare ‘ponte’ con l’Aragona e con la città di Saragozza. A partire dalla capitale del regno, ci si occupa di indagare, in modo quasi monografico, proprio sulla figura di Leonardo de Alagón e sulle vicende che lo resero contestato erede del marchesato sardo. In questa cornice storica ‘generale’ si inseriscono anche fenomeni di tipo artistico come il Maestro di Castelsardo, legato in vario modo alle dinamiche sociali iberiche e mediterranee, fra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo.
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Biroli, F., F. De Gonda, L. Torcello, D. Prosetti, O. Manara y V. Cassinari. "Fratture del dente dell'epistrofeo". Rivista di Neuroradiologia 2, n.º 3 (octubre de 1989): 273–78. http://dx.doi.org/10.1177/197140098900200309.

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Le fratture del dente dell'epistrofeo rappresentano circa il 15% delle fratture del rachide cervicale. Vengono esaminati venti casi consecutivi osservati presso la Divisione di Neurochirurgia di Bergamo nel triennio 1984–1987: undici casi erano del secondo tipo di Anderson-D'Alonzo, e nove casi del terzo tipo. In diciassette casi la diagnosi fu tempestiva, mentre in tre la frattura fu misconosciuta e trattata tardivamente. Nel primo gruppo, dopo aver costantemente ottenuto una buona riduzione della frattura, il trattamento iniziale è stato sempre l'applicazione di un presidio di Halo, sotto controllo scopico. II periodo medio di applicazione è stato di 115 giorni. L'unica complicazione osservata è stata il frequente allentamento delle viti del cerchio, talora con flogosi localizzate in relazione al prolungato mantenimento dell'anello. Nel secondo gruppo di pazienti, in cui è sempre stata constatata l'assenza di un callo riparativo, il nostro atteggiamento è stato interventistico, praticando un'artrodesi per via posteriore seguita da applicazione di Halo. Il protocollo di monitoraggio prevede l'esecuzione mensile di radiogrammi standard nelle due proiezioni associati ad uno studio tomografico al fine di valutare la formazione del callo osseo e l'allineamento tra i monconi di frattura. Solo dopo l'osservazione di una soddisfacente riparazione ossea si procede alla rimozione dell'Halo ed all'esecuzione di radiogrammi nelle prove funzionali di estensione e flessione per confermare la stabilità dei monconi. I risultati sono stati complessivamente buoni. Nel primo gruppo tutte le fratture di terzo tipo sono guarite con formazione di callo osseo. Una sola frattura del secondo tipo non ha mostrato alcun fenomeno riparativo a tre mesi, per cui è stata sottoposta ad intervento chirurgico come già indicato, con successiva guarigione. Nel secondo gruppo abbiamo avuto un solo parziale insuccesso dovuto ad un'infezione della ferita chirurgica, guarita comunque per seconda intenzione. In conclusione, le fratture non significativamente dislocate o angolate, siano di secondo o di terzo tipo, meritano a parer nostro un primo approccio conservativo, avendo un'alta probabilità di guarigione. Se dislocate od angolate significativamente, può essere corretto proporre elettivamente la stabilizzazione chirurgica, the rimane comunque la scelta obbligata nei casi di mancata saldatura, di pseudoartrosi o di fratture inveterate. Nel primo caso il trattamento più efficace appare quello con Halo. L'intervento chirurgico è preferibilmente eseguito, secondo varie tecniche fra cui quella da not descritta, per via posteriore.
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Lacquaniti, S., P. P. Fasolo, E. Conti, G. Sebastiani, R. Mandras, L. Puccetti y G. Fasolis. "La Tossina Botulinica Tipo a Nel Trattamento Della Prostatite non Batterica: Studio Prospettico di Fase II". Urologia Journal 71, n.º 3 (julio de 2004): 239–40. http://dx.doi.org/10.1177/039156030407100314.

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Ruggiero, G., A. Bacci y R. Ricci. "Identificazione della natura istologica deigliomi cerebrali con tomografia computerizzata". Rivista di Neuroradiologia 2, n.º 3 (octubre de 1989): 267–71. http://dx.doi.org/10.1177/197140098900200308.

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Gli autori si propongono di verificare l'utilità rispettiva della biopsia e della radiologia per identificare il grado di malignità dei gliomi cerebrali. L'esame critico della letteratura dimostra che la biopsia effettuata su materiale chirurgico è più affidabile di quella sterotassica, ma che comunque essa non è esente da errori tecnici o diagnostici e da pericoli. La TC è utile e non inferiore, anzi non raramente superiore, alla RM. In una ricerca personale condotta su 123 casi verificati istologicamente, la TC, riesaminata dallo stesso neuroradiologo senza conoscenza della diagnosi, senza e con conoscenza della sintomatologia cliniCa, ha permesso l'identificazione precisa (gradi I-IV della scala di Kernohan) nel 42,8% e l'indicazione più generica di «benignità» (gradi I e II) e malignity (grado III e IV) nell'83%. Questi risultati sono stati ottenuti con esami eseguiti con vari tipi di apparecchi e miglioreranno sicuramente con l'utilizzo di macchine moderne e di una tecnica corretta: ricostruzione su tre piani, sezioni sottili; analisi densitometrica; proiezione extracranica38. Per conseguenza gli Autori propongono di eliminare la biopsia e classificare i gliomi cerebrali soltanto neuroradiologicamente (TC), in due tipi: Tipo B («benigno»), Tipo M (maligno).
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Binetti, Paola. "La dimensione etica nella formazione infermieristica: un problema di stile di vita, di contenuti specifici e di integrazione culturale". Medicina e Morale 46, n.º 5 (31 de octubre de 1997): 939–62. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1997.869.

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La recente entrata in vigore della nuova Tabella XVIII ter, che contiene l’ordinamento didattico di tutti i diplomi universitari afferenti alla Facoltà di medicina offre, rispetto alla precedente, maggiori spazi per lo studio della Bioetica, sia come disciplina a sè stante sia come disciplina trasversale, punto di riferimento essenziale anche per gli altri corsi. La Bioetica, collocata al termine del corso di studi nel cuore del corso di Diritto sanitario, deontologia e Bioetica applicata, può trovare i suoi fondamenti culturali nello studio della Antropologia, - parte integrante delle Scienze umane previste nel II anno di Corso, e della Storia e Filosofia della Medicina, corso previsto nel III anno. La proposta formativa del LIU è quella di anticipare una serie di crediti del corso di Filosofia della Medicina al I anno, in modo da aumentare l’esposizione dello studente alle problematiche di tipo etico, inserendole fn dal primo momento nel suo progetto educativo. Obiettivo di fondo è quello di fare della Bioetica e delle sue implicazioni culturali la rete concettuale di riferimento, vera struttura portante, di tutto l’edificio formativo dello studente del DUI, dal momento che una vera innovazione oggi è possibile solo nel quadro di valori etici con cui l’infermiere si relaziona con il malato e la sua famiglia, elabora risposte coerenti per le nuove esigenze emergenti sul territorio e si dispone ad affrontare una linea di ricerca di alto profilo scientifico.
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Murray, Oswyn, Peter Parsons, T. W. Potter y Paul Roberts. "A ‘stork-vase’ from the Mola di Monte Gelato". Papers of the British School at Rome 59 (noviembre de 1991): 177–95. http://dx.doi.org/10.1017/s0068246200009703.

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UN ‘STORK-VASE’ DA MOLA DI MONTE GELATOLo scavo di un ricco deposito di materiale databile all'inizio del II sec. d.C. ci ha restituito un unico vaso a vernice. Un pezzo di scarto fabbricato sul posto stesso (probabilmente un vicus in questo periodo) o nei suoi dintorni. Il vaso, firmato da Abaskantos ed Epinikos, porta una lunga iscrizione in greco intorno alla pancia: ‘Mi chiamano amico degli amici; se bevi capirai che no ti tradisco’. La lingua è letteraria e l'elegante scritta somiglia molto a quella dei manoscritti greco-egiziani contemporanei. Il disegno di una cicogna nidificante sopra un tetto divide l'inizio e la fine dell'iscrizione. Il nome greco, pelargos, può anche significare un tipo di vaso di ceramica forse proprio di questa forma.
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Zamboni, Alberto. "Due etimologie venete ed istriane". Linguistica 31, n.º 1 (1 de diciembre de 1991): 299–302. http://dx.doi.org/10.4312/linguistica.31.1.299-302.

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Un isolato dialetto del Medio Agordino (La Valle, BL) attesta per 'ginepro' (Juniperus eommunis L., d'altronde compattamente designato come dzené(i)ver, deneore) il termine bozičo che richiama il busicio dato già per l'area bellunese dal Soravia (1877, 108). II Pellegrini (1964, 28 enota 51) ne riscontra il perfetto corrispondente del Veneto orientale buzíčo documentato al p. 356 (S. Stino di Livenza) dali' AIS 599 e l'accosta senz'altro al padovano (in realtà piuttosto veneziano di terraferma) brusiehio (eh = (č)!) segnalato dal Patriarchi (1821, ma I'ed. 1775) e che si giustificherebbe con l'intrusione di 'bruciare' dal noto usodi bruciare le bacche della pianta per suffumigi, cfr. il ted. regionale Feuerbaum (su cui Marzell 2/1972, 1091) e anche il tipo brusìn dell'alta Val di Sole (Pedrotti-Bertoldi 1931, 206s.). Si osservi che anche il grande repertorio poliglotta del Nemnich (3/1794, 267) dà esplicitamente brusichio per Venezia. Sul tipo e sull'etimo il Pellegrini ritorna più avanti (1982, 185) riassumendo la bibliografia precedente e aggiungendo documentazioni dall' ASLEF: bo/ič al p. 172 (Chions, PN) e ancora nel friulano occidentale (in pratica sempre nella zona di confine col veneto) sbrodicio, sbradicio a Budoia (AppiSanson 1970, 28);
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Campo, S. "La malattia policistica renale autosomica dominante dell'adulto: tributo alla sua identità". Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi 24, n.º 2 (26 de enero de 2018): 100–108. http://dx.doi.org/10.33393/gcnd.2012.1149.

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La malattia policistica renale autosomica dominante dell'adulto (ADPKD) è una delle malattie genetiche più comuni, con un'incidenza di 1 su 1000, ed è la principale causa genetica di insufficienza renale dell'adulto. Se ne distinguono due tipi; il tipo I, causato da mutazioni del gene PKD1, e il tipo II, causato da mutazioni del gene PKD2. La malattia ha un esordio tra i 40 e i 50 anni, ma può manifestarsi anche prima, e ha un'impronta sistemica. La diagnosi è spesso casuale, nel corso di indagini motivate da altri quesiti clinici, oppure promossa dalla presenza di segni clinici correlati. Nelle procedure diagnostiche, l'ADPKD deve essere distinta dalle cisti renali semplici, uniche o multiple, che interessano parzialmente i reni e che generalmente non presentano un'evoluzione critica. È possibile che nell'attività clinica possano essere diagnosticate erroneamente le condizioni che comportano la presenza di cisti renali, rischiando di sottovalutare il rilievo clinico dell'ADPKD. Per verificare tale ipotesi, è stato condotto uno studio epidemiologico nel setting della Medicina Generale italiana e da cui è emersa una prevalenza (1.9‰) quasi quattro volte superiore rispetto a quella registrata (0.5‰) prima della informazione fornita al medico di medicina generale sulle caratteristiche cliniche e diagnostiche dell'ADPKD. È auspicabile l'impegno della Medicina Generale, assieme alle Associazioni dei Pazienti a alle Società Scientifiche nefrologiche, al fine di contribuire a una ottimale gestione clinica della condizione, finalizzata al benessere ottimale del paziente.
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Zavaroni, Adolfo. "Le formule votive retiche del tipo XIVIXI (iu ii): esempi di cognazione lessicale fra retico-camuno e germanico". Indogermanische Forschungen 112, n.º 2007 (17 de diciembre de 2007): 170–97. http://dx.doi.org/10.1515/9783110192858.1.170.

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Pasquale, Gianluigi. "Fede e ragione". Služba Božja 59, n.º 3 (13 de septiembre de 2019): 233–51. http://dx.doi.org/10.34075/sb.59.3.1.

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L’articolo sviluppa cinque tesi innestate nella più lunga Lettera Enciclica scritta da San Giovanni Paolo II (1920-2005) esattamente a vent’anni dalla sua promulgazione (1998-2018), «Fides et ratio» inerente i rapporti intercorrenti tra fede e ragione. Alcune vennero intercettate durante il ventennio trascorso, altre sono inedite. Con la prima si ribadisce la completa autonomia della filosofia rispetto alla teologia cristiana, quale scienza della fede che pensa se stessa, motivo per il quale il sapere teologico non sposa nessun tipo di filosofia, ovvero la utilizza «qua talis». Con la seconda si ribadisce che la fede senza la «recta ratio» – oggi intorbidita e indebolita dalla società della tecnica – non potrebbe nulla senza il logos di cui si è attrezzata fin dall’inizio. Così, con la terza tesi si (di)mostra che, onde evitare che il pensiero riproducente se stesso prosegua all’infinito, essi trovi nella forma incarnata del logos – Gesù Cristo – l’unica «saturazione» del proprio ricercare. La quarta tesi rivela qualcosa che era sfuggito fino a qualche mese fa, ossia l’insistenza di «Fides et ratio» ad aprirsi ad altre culture, oltre a quella cristiana piuttosto secolarizzatasi, tipo quella indiana o asiatica, essendovi una «ratio». Con la quinta tesi, ugualmente inedita, si ravvisa che solo una «ragione etica» ovvero amicale, responsabile, fiduciale, appunto, può permettere alla fede di raggiungere quel livello rivelativo cui anela: nella persona di Gesù Cristo.
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Tortori-Donati, P., M. P. Fondelli, A. Rossi y L. Andreussi. "I tumori extra-assiali della fossa posteriore in età pediatrica". Rivista di Neuroradiologia 9, n.º 6 (diciembre de 1996): 721–30. http://dx.doi.org/10.1177/197140099600900616.

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La fossa posteriore costituisce la sede più frequente di neoplasie del SNC in età pediatrica. Su un totale di 231 casi da noi osservati, tuttavia, solo 13 (5,6%) avevano localizzazione extra-assiale, a differenza di quanto accade nell'adulto, in cui le neoplasie extra-assiali, in fossa cranica posteriore, predominano su quelle intra-assiali. Nell'ambito di queste neoplasie, le più frequenti sono costituite dalle masse disontogenetiche (dermoide, lipoma e teratoma), di cui abbiamo osservato complessivamente 6 casi (40%); più rari il cordoma del clivus, il neurinoma (estremamente raro in forma isolata e più frequente nell'ambito della Neurofibromatosi tipo II, facomatosi peraltro poco comune in epoca infantile), l'angioma cavernoso, il sarcoma meningeo, il medulloblastoma desmoplastico, e il tumore teratoide/rabdoide atipico, neoplasia estremamente aggressiva la cui identificazione come entità autonoma è del tutto recente. Di queste neoplasie vengono proposti i principali aspetti neuroradiologici, nell'ottica di una identificazione di parametri affidabili al fine di una diagnosi differenziale.
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Cerasuolo Pertusi, Maria Rosaria. "Storie di parole ed etimi del dialetto Triestino". Linguistica 42, n.º 1 (1 de diciembre de 2002): 43–45. http://dx.doi.org/10.4312/linguistica.42.1.43-45.

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Triest. mod. mocadòr "fazzoletto" e triest. ant. mocadòr "spegnitoio" Credo meriti soffermarsi per un po' su una vecchia coppia di omonimi del dialetto triestino, mocadòr "fazzoletto" e mocador "spegnitoio". II termine mocadòr "fazzoletto", che può considerarsi caratterizzante del dialetto triestino moderno è stato trattato, nel GDDT, abbastanza esaurientemente, in quanto che risultano correttamente messe in rilievo le concordanze lessicali più significative, necessarie per arrivar a tracciare la sua storia e fissarne l'etimo. Ma mentre questo risulta praticamente assicurato (lat. volg. *MUCCARE "soffiarsi il naso"), le vicende per cui si è arrivati a triest. mocadòr "fazzoletto" restano incerte: direttamente dalla base MUCCĀRE, attraverso una trafila fonetica locale, di stampo italo-settentrionale? una rielaborazione, pure locale, della voce veneziana mocaòr (significante anch'esso "fazzoletto" v. Boerio, e non solo "spegnitoio", come pare affermare il Doria)? Oppure prestito dallo spagnolo mocador "id.", non si sa attraverso quali canali? A queste tre alternative è possibile, ora, aggiungere una quarta, in quanto che si intravede, causa esigenze cronologiche, la possibilità, come sostenuto dal DEDI, di un prestito dal catalano, possibile poiché il ti po mocadòr, moccatore risulta attestato anche in sardo ( cfr. Wagner DES s.v.) e nel napoletano e altri dialetti meridionali. II tipo mucaturi è infatti forma certamente rifatta su un più antico mucaduri, con sostituzione del suffisso contenente -d- intervocalica con altro contenente un -t- secondario, ossia -d- "meridionalizzato meridionalizzato". (A questo proposito si avverte però che a Napoli, centro di diffusione del lessema, una forma con -d- intervocalico conservato non è mai esistita).
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Araujo, Danilo Borges dos Santos Gomes de. "LA SOCIETÀ COOPERATIVA BRASILIANA". PANORAMA OF BRAZILIAN LAW 4, n.º 5-6 (26 de mayo de 2018): 412–30. http://dx.doi.org/10.17768/pbl.v4i5-6.34442.

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Considerando la vastità del tema e dei problemi che ne derivano, trattasi di esposizione relativamente sintetica sulla società cooperativa brasiliana, concentrandosi in particolar modo sui seguenti punti: (i) sviluppo storico-legislativo sul cooperativismo e sulla società cooperativa in Brasile; (ii) caratteri principali dello schema giuridico-organizzativo della società cooperativa brasiliana; e (iii) numeri e dati statistici ed economici complessivi sulla attività economica svolta tramite le cooperative in Brasile e sulla diffusione (costituzione), in Brasile, di quel tipo societario chiamato “sociedade cooperativa”. Il testo quindi si concentra esclusivamente sulla società cooperativa brasiliana, assente qualsiasi tentativo di confronto diretto con la disciplina della società cooperativa italiana, anche se gli esperti in materia possono indirettamente cogliere i contrasti tra l’uno e l’altro ordinamento giuridico, trovando somiglianze e differenze tra i rispettivi schemi legali della cooperativa.
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Araujo, Danilo Borges dos Santos Gomes de. "LA SOCIETÀ COOPERATIVA BRASILIANA". PANORAMA OF BRAZILIAN LAW 4, n.º 5-6 (26 de mayo de 2018): 412–30. http://dx.doi.org/10.17768/pbl.v4i5-6.p412-430.

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Considerando la vastità del tema e dei problemi che ne derivano, trattasi di esposizione relativamente sintetica sulla società cooperativa brasiliana, concentrandosi in particolar modo sui seguenti punti: (i) sviluppo storico-legislativo sul cooperativismo e sulla società cooperativa in Brasile; (ii) caratteri principali dello schema giuridico-organizzativo della società cooperativa brasiliana; e (iii) numeri e dati statistici ed economici complessivi sulla attività economica svolta tramite le cooperative in Brasile e sulla diffusione (costituzione), in Brasile, di quel tipo societario chiamato “sociedade cooperativa”. Il testo quindi si concentra esclusivamente sulla società cooperativa brasiliana, assente qualsiasi tentativo di confronto diretto con la disciplina della società cooperativa italiana, anche se gli esperti in materia possono indirettamente cogliere i contrasti tra l’uno e l’altro ordinamento giuridico, trovando somiglianze e differenze tra i rispettivi schemi legali della cooperativa.
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Araujo, Danilo Borges dos Santos Gomes de. "LA SOCIETÀ COOPERATIVA BRASILIANA". PANORAMA OF BRAZILIAN LAW 4, n.º 5-6 (31 de mayo de 2017): 412–30. http://dx.doi.org/10.17768/pbl.y4.n5-6.p412-430.

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Considerando la vastità del tema e dei problemi che ne derivano, trattasi di esposizione relativamente sintetica sulla società cooperativa brasiliana, concentrandosi in particolar modo sui seguenti punti: (i) sviluppo storico-legislativo sul cooperativismo e sulla società cooperativa in Brasile; (ii) caratteri principali dello schema giuridico-organizzativo della società cooperativa brasiliana; e (iii) numeri e dati statistici ed economici complessivi sulla attività economica svolta tramite le cooperative in Brasile e sulla diffusione (costituzione), in Brasile, di quel tipo societario chiamato “sociedade cooperativa”. Il testo quindi si concentra esclusivamente sulla società cooperativa brasiliana, assente qualsiasi tentativo di confronto diretto con la disciplina della società cooperativa italiana, anche se gli esperti in materia possono indirettamente cogliere i contrasti tra l’uno e l’altro ordinamento giuridico, trovando somiglianze e differenze tra i rispettivi schemi legali della cooperativa.
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Araujo, Danilo Borges dos Santos Gomes de. "LA SOCIETÀ COOPERATIVA BRASILIANA". PANORAMA OF BRAZILIAN LAW 4, n.º 5-6 (26 de mayo de 2018): 412–30. http://dx.doi.org/10.17768/pbl.y4n5-6.p412-430.

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Considerando la vastità del tema e dei problemi che ne derivano, trattasi di esposizione relativamente sintetica sulla società cooperativa brasiliana, concentrandosi in particolar modo sui seguenti punti: (i) sviluppo storico-legislativo sul cooperativismo e sulla società cooperativa in Brasile; (ii) caratteri principali dello schema giuridico-organizzativo della società cooperativa brasiliana; e (iii) numeri e dati statistici ed economici complessivi sulla attività economica svolta tramite le cooperative in Brasile e sulla diffusione (costituzione), in Brasile, di quel tipo societario chiamato “sociedade cooperativa”. Il testo quindi si concentra esclusivamente sulla società cooperativa brasiliana, assente qualsiasi tentativo di confronto diretto con la disciplina della società cooperativa italiana, anche se gli esperti in materia possono indirettamente cogliere i contrasti tra l’uno e l’altro ordinamento giuridico, trovando somiglianze e differenze tra i rispettivi schemi legali della cooperativa.
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Stallone, G., B. Infante y L. Gesualdo. "Malattia renale policistica autosomica dominante. Nuovi approcci terapeutici “Ottimisti per diritto”". Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi 22, n.º 3 (24 de enero de 2018): 48–54. http://dx.doi.org/10.33393/gcnd.2010.1233.

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La malattia renale policistica autosomica dominante (Autosomal Dominant Polycystic Kidney Disease, ADPKD), è la più comune forma di malattia renale cistica e rappresenta, nel mondo, la causa di terapia sostitutiva emodialitica nel 7–10% dei pazienti. Sono noti due tipi di malattia policistica: il tipo I è causato da mutazioni del gene PKD1, che codifica per la policistina-1, è la forma più diffusa e aggressiva e colpisce soggetti di età giovane; il tipo II è causato da mutazioni del gene PKD2 che codifica per la policistina-2 e rappresenta il 10–15% dei casi, a evoluzione più lenta. Clinicamente, le cisti si svilup-pano a livello renale, epatico, pancreatico e intestinale. Il dolore cronico, la chirurgia palliativa, l'insufficienza renale, la dialisi, il trapianto, come anche la morte, sono tutte conseguenze di questa malattia genetica che non ha ancora una terapia medica per rallentare o arrestare la sua progressione. Di grande interesse per il suo potenziale terapeutico, è la dimostrazione che la Policistina-1, formando un complesso con la tuberina (la proteina la cui mutazione causa la sclerosi tuberosa), agisce come un inibitore endogeno dell'attività del mammalian Target of Rapamycin (mTOR). Se mutato, come nell'ADPKD, tale meccanismo inibitorio viene compromesso e ciò favorirebbe lo sviluppo delle cisti. I recenti discordanti risultati di alcuni studi nell'uomo sull'uso di un inibitore di mTOR in pazienti affetti da ADPKD, possono generare interrogativi e confusione, ma diverse e molteplici possono essere le ragioni per cui tali studi hanno portato a conclusioni diverse fra di loro. A questo punto, è d'obbligo porsi l'interrogativo se questi risultati siano la fine o possano essere l'inizio di nuovi studi. Agli Autori piace considerare la seconda ipotesi, in quanto tutti gli studi di biologia molecolare, quelli preclinici, e su animali, hanno confermato la “bontà” del percorso intrapreso. Questa rassegna viene proposta per fare chiarezza sui risultati di tali studi e per dare una speranza concreta, secondo l'opinione degli Autori, sulla possibilità di riuscire a scoprire una cura per tale patologia.
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Velasco, Veronica y Luca Vecchio. "La rappresentazione sociale del rischio: un'analisi quali-quantitativa delle sue dimensioni e della sua struttura". PSICOLOGIA DELLA SALUTE, n.º 2 (julio de 2012): 59–82. http://dx.doi.org/10.3280/pds2012-002004.

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L'articolo presenta due studi volti ad indagare la rappresentazione sociale del rischio fra i giovani adulti. Nel primo studio, di tipo qualitativo, sono stati realizzati 3 focus group che hanno coinvolto 20 giovani adulti (etŕ media = 22; DS = 2.57). Ai partecipanti č stato chiesto di: i) realizzare un collage che raffigurasse il concetto di rischio; ii) proporre una classificazione delle diverse tipologie di rischio. Il secondo studio, cui hanno partecipato 200 giovani adulti (etŕ media = 21.65; DS = 2.59), si č basato sulla sollecitazione di associazioni libere in risposta alla parola stimolo "rischio". Le associazioni sono state analizzate tramite il programma EVOC. Dall'esame dei risultati dei due studi si č potuto osservare come la rappresentazione sociale del rischio sia caratterizzata dalla contemporanea presenza di una dimensione valutativa negativa, per la quale il rischio č associato all'idea di pericolo, accanto a una sua valutazione positiva, per cui il rischio appare essenziale per la crescita personale oltre ad essere associato al divertimento e alla vitalitŕ. Inoltre č emersa una certa problematicitŕ rispetto al controllo del rischio, la quale porta le persone ad un senso di frustrazione, negazione e fatalismo. Infine, tale rappresentazione č risultata articolarsi differentemente in base all'appartenenza di genere dei partecipanti.
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Bartolozzi, C., M. Olmastroni y G. Dal Pozzo. "La risonanza magnetica nella patologia discale". Rivista di Neuroradiologia 2, n.º 1_suppl (febrero de 1989): 35–41. http://dx.doi.org/10.1177/19714009890020s107.

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La risonanza magnetica (RM) è attualmente il modo non invasivo più efficace nella rappresentazione del disco intervertebrale e nello studio delle sue alterazioni. Infatti ii carattere multiparametrico dell'indagine (dipendente dal T1, T2 e dalla densita protonica) e la visione secondo i vari piani dello spazio, associata all'ampio campo di vista, consentono il riconoscimento delle normali componenti del disco ed i rapporti che questo contrae con le strutture adiacenti quali i corpi vertebrali, il sacco durale, le radici nervose e le strutture ligamentose. Nella patologia degenerativa, accanto alla alterazione del disco, la RM è in grado di cogliere le variazioni di segnale in corrispondenza dei corpi vertebrali interessati dal fenomeno osteocondrosico. Lo studio eseguito secondo piani sagittali e coronali permette un'ottima visualizzazione del disco ed una facile identificazione di eventuali modificazioni del suo spessore. La patologia discale (protrusione, o «bulging», ed ernia nei suoi vari aspetti) comporta naturalmente variazioni morfologiche a carico del disco intersomatico: la RM ha la possibilità di documentare secondo vari piani questo tipo di patologia e le sue ripercussioni a carico degli involucri e delle strutture nervose contenute nel canale vertebrale.
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Sandrin, Luciano. "Il benessere dell’anziano, utopia o realtà? Aspetti psicologici e spirituali". Medicina e Morale 46, n.º 6 (31 de diciembre de 1997): 1129–38. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1997.861.

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Quando si parla di salute dell’anziano si deve mettere in relazione questo termine con il benessere fisico, psichico e sociale. Nel concetto di benessere rientrano anche l’esperienza e il vissuto della persona strettamente correlato ai fattori temporali, ambientali, sociali e culturali; essi sono tra loro dipendenti e vanno tenuti in considerazione. Gli psicologi oggi tendono a considerare l’invecchiamento seguendo un approccio di tipo evolutivo, narrativo, storico. Nell’accostarsi allo studio della condizione anziana si deve tener presente un altro fattore importante: la spiritualità. Ad essa sono collegati una serie di bisogni umani e sociali, quali la realizzazione di sé, il sentirsi utili, l’interazione con gli altri. Alla spiritualità è strettamente legata la religione che rende più sopportabili i momenti di sofferenza configurandosi come punto di ancoraggio. Il soddisfacimento della spiritualità porta l’anziano verso un sentimento di interezza e di benessere interiore, per cui l’attenzione alla sfera psico-sociale e religiosa risulta un punto nodale affinché questi, conseguita maggiore stima e un più alto grado di consapevolezza di sé, sia capace di affrontare il suo ruolo e i problemi che gli si presentano come la sofferenza, la morte, la perdita di speranza. Nella Christifideles laici Giovanni Paolo II ha ricordato che gli anziani sono soggetti attivi che possono dare un contributo fecondo umanamente e spiritualmente. Il benessere dell’anziano dipende anche da questo sentirsi parte attiva e integrante dell’esistenza e non soltanto oggetto di continue attenzioni. L’invecchiamento deve essere considerato un processo di crescita e di continua evoluzione.
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Casella, Claudia, Claudio Buccelli, Adriana Scuotto y Emanuele Capasso. "Clinical trials e verifica dell’appropriatezza dell’informazione". Medicina e Morale 69, n.º 1 (20 de abril de 2020): 11–22. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2020.605.

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Nella valutazione dei protocolli sperimentali accurata attenzione viene posta dai Comitati Etici Territoriali alla “Scheda informativa” (SI) da sottoporre ai pazienti, per verificarne efficacia e correttezza di formulazione, ai fini della loro preventiva dichiarazione di consapevole, inequivoca, libera autodeterminazione alla sperimentazione proposta. Va, però, osservato che frequentemente la SI, redatta con terminologia tecnica, oltre a risultare inappropriata, assume la fisionomia di una sorta di “liberatoria” di responsabilità nei confronti di possibili danni per lo sperimentatore stesso e per lo sponsor più che di strumento di effettiva tutela dei pazienti. In tale ambito si è condotta un’indagine statistico-conoscitiva sui dati del Comitato Etico Università Federico II, relativa a 1076 protocolli di ricerca esaminati nel periodo 2012-2016. Dall’indagine è emerso che la SI contenuta nei protocolli di tipo profit, anche per l’influenza esercitata dal dilagante fenomeno della medicina difensiva, è costituita da un numero medio di pagine notevolmente superiore rispetto a quello dei clinical trials no-profit. Questa constatazione è di notevole rilievo giacché la prolissità delle SI (che talvolta superano anche le 40 pagine) e l’oscurità lessicale che non infrequentemente vi si ritrovano contrastano con quel messaggio di chiarezza essenziale su cui deve strutturarsi un’adesione libera e consapevole al percorso sperimentale. Vivamente apprezzabile è, pertanto, l’attività svolta dai Comitati Etici Territoriali, ai quali è attribuito, fra gli altri, l’insostituibile compito di vigilare sulla comprensibilità della SI proprio al fine di garantire nel grado più elevato possibile la tutela del diritto all’autodeterminazione dei pazienti anche in tema di sperimentazioni cliniche.
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Rainbird, J. S. "The Fire Stations of Imperial Rome". Papers of the British School at Rome 54 (noviembre de 1986): 147–69. http://dx.doi.org/10.1017/s0068246200008874.

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LE CASERME DEI VIGILI DEL FUOCO DELLA ROMA ANTICAIl articolo riesamina le attestazioni riguardanti le caserme dei vigiles e le mette in rapporto col numero dei vigili e con la loro tecnologia. L'evoluzione dell'istituto è considerato nel suo ordine cronologico.Gli excubitoria (posti di guardia e magazzini) facevano parte dell'istituto dei vigiles fin dalla sua fondazione nell'anno 6 d.c. Le loro caserme (castra) a Roma furono forse fornite originariamente da Nerone. La vessillazione ad Ostia esisteva sotto Domiziano, il quale le forni una caserma, ma forse era stata fondata prima. Nella parte visibile della caserma di Ostia, ci sono segni strutturali che la problematica ala occidentale faceva parte del disegno originario. Nuove piante mostrano il disegno originario, l'edificio completo nel 137 circa, ulteriori modificazioni nel corso del II secolo, e l'edificio con le modificazioni effettuate da Severo. La pianta severiana mostra le poche modificazioni strutturali richieste quando il corpo dei vigili venne raddoppiato nel 205 d.c. Lo sfratto degli inquilini creò lo spazio necessario. Gli excubitoria non richiedevano forme di edificio speciali. I castra erano un tipo di casamento (insula), con caratteristiche distintive, ma senza un piano peculiare.
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Punzo, Maurizio. "Il “salotto” di Anna Kuliscioff e Critica Sociale". Forum Italicum: A Journal of Italian Studies 54, n.º 1 (30 de marzo de 2020): 312–30. http://dx.doi.org/10.1177/0014585820912905.

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Studio o salotto che fosse, la stanza come “luogo” nel quale si manifestavano, oltre agli affetti famigliari di Filippo e Anna, l’elaborazione e il dialogo politici della coppia più celebrata del socialismo italiano, Turati e Kuliscioff, merita l’attenzione di storici e critici letterari. Vi passò fior fiore di personaggi che fecero la storia della politica e della cultura di quei decenni, in particolare nell’ambito laico socialista, contribuendo alla formazione di un buon numero di futuri combattenti contro il fascismo. Ricco di citazioni di testimoni di quei decenni, il saggio fornisce al lettore il sapore dell’ambiente colto e progressista, nel quale prendevano forma opzioni culturali e politiche che avrebbero trovato, nel primo dopoguerra, modo di crescere e affermarsi. Sotto questo profilo, di grande efficacia l’incrociarsi, nel salotto di casa Turati in portici Galleria a Milano, di generazioni e correnti di socialismo di ogni tipo, nello spirito di libertà e aperto confronto che lo contraddistingueva. Il “salotto” di Anna Kuliscioff era in realtà più uno studio che un salotto. Il 1° gennaio 1899 la stessa Kuliscioff, libera dopo quattro mesi di detenzione, datava la sua prima lettera da Milano a Turati, ancora detenuto a Pallanza, “da casa del tuo-nostro studio” (Turati e Kuliscioff, 1977: vol. I, 239) ed anche Turati si riferiva a quella stanza soprattutto come al loro studio: “la luce della Camera – scriveva per esempio il 30 novembre 1903 – fa rimpiangere le belle lampade del nostro studio e del nostro tinello” (Turati e Kuliscioff, 1977: vol. II, t. I, 130). In diverse occasioni però definiva “salotto”, senza alcuna ironia, quello stesso ambiente: “Il Bollettino e le inchieste dell’Ufficio del Lavoro sono tutte in salotto, nella libreria che è accanto alla porta della tua camera da letto dal lato della finestra”, il 14 giugno 1910 (Turati e Kuliscioff, 1977: vol. III, t. I, 242–243).
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Kenda, Jana. "Il modello valenziale". Journal for Foreign Languages 13, n.º 1 (27 de diciembre de 2021): 519–36. http://dx.doi.org/10.4312/vestnik.13.519-536.

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L’elaborazione della grammatica valenziale, che considera il verbo come l’elemento centrale e generatore della frase, predisposto a combinarsi con un certo numero di elementi per realizzare un’espressione minima di senso compiuto, trova applicazione anche nel contesto dell’insegnamento/apprendimento dell’italiano L2. L’articolo evidenzia i vantaggi glottodidattici del modello che sono rappresentati in primo luogo dall’importanza attribuita all’imprescindibile legame tra semantica e sintassi e alla correlazione tra frase e testo. In relazione a ciò, il discente impara a i) riflettere sugli elementi obbligatori e facoltativi della frase e a considerare i parametri con cui il verbo definisce e modifica la sua struttura argomentativa in funzione del suo significato e ii) trasformare i singoli elementi frasali da elementi nominali in frasi dipendenti. L’esercitazione sull’abilità di passaggio da un elemento nominale a uno frasale nella stessa funzione sintattica costituisce una importante risorsa didattica in quanto abitua l’apprendente a esprimere lo stesso concetto con strutture linguistiche differenti. L’articolo mette in evidenza l’utilità didattica e matetica della descrizione della frase secondo il modello valenziale anche per l’approccio all’analisi del testo in ottica della classificazione della tipologia testuale fondata sul grado di rigidità/elasticità dei testi: l’apprendente impara a misurare lo scarto tra la modalità di uso della lingua a livello di sistema (rappresentato dalla struttura della frase-tipo) e la modalità che appare negli enunciati dei testi reali illustrando lo stretto nesso tra queste due dimensioni della lingua. Il modello valenziale offre anche un valido supporto all’apprendimento sotto forma di rappresentazioni grafiche della frase per mezzo di cerchi radiali, che facilitano sia l’apprendimento dei postulati teorici che la pratica delle attività produttive degli studenti. La flessibilità del metodo lo rende compatibile con diversi livelli di conoscenza dell’italiano, diverse età e background culturali.
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Păuleț, Lucian. "God’s Providence: Divine Knowledge of Future Contingents". Studia Universitatis Babeș-Bolyai Theologia Catholica 65, n.º 1-2 (30 de diciembre de 2020): 5–28. http://dx.doi.org/10.24193/theol.cath.2020.01.

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"Provvidenza di Dio: conoscenza divina delle cose contingenti future. Come può Dio conoscere le cose contingenti future? Usa il suo intelletto trascendente o la sua volontà infallibile? Dio determina le cose contingenti future nell'ordine della creazione? Se lo fa, come viene preservata la libertà umana? Le risposte a queste domande forniscono diversi spunti per la comprensione della dottrina sulla provvidenza, sulla volontà salvifica universale di Dio, sulla predestinazione e sulla libertà umana. Questo articolo si propone di rivisitare questi temi presentando: I. l'opinione di due scuole teologiche che hanno affrontato la questione (i neotomisti e i molinisti); II. l'insegnamento della Scrittura; III. l'insegnamento di Padri e teologi latini e greci; e IV. l'opinione di San Tommaso d'Aquino sulla prescienza divina. San Tommaso riassume tutta la tradizione riguardo a questi aspetti. Nella sua comprensione, la conoscenza di Dio è la misura della realtà. Tutte le cose esistono perché sono conosciute da Dio e volute da lui. Questo tipo di conoscenza, in cui è coinvolta la volontà di Dio, è chiamata conoscenza dell'approvazione. Per spiegare come Dio conosce le decisioni future degli uomini senza violare la loro libertà, San Tommaso fa appello alla spiegazione dell'eternità. Tuttavia, la conoscenza divina non è causa di cose malvagie. Si può concludere che in tutta la tradizione ci sono opinioni che Dio può prevedere con il suo intelletto trascendente, anche senza decreti infallibili. Allo stesso tempo, la sua causalità è richiesta per l'esistenza degli esseri, sebbene non delle cose malvagie che sono non esseri. A mio parere, la risposta alla domanda principale (Dio conosce le cose per decreti infallibili o per il suo intelletto trascendente?) non puo essere data da una sola scuola di teologia. Entrambe le scuole teologiche hanno riconosciuto che la volontà divina e l'intelletto divino sono trascendenti. Tuttavia, ciascuna non riesce a riconoscere l'applicazione della trascendenza divina fatta dall'altra. Parole chiave: conoscenza divina, contingenti futuri, volontà di Dio, intelletto di Dio, neo-tomisti, molinisti, Tommaso d'Aquino, causalità divina, predestinazione, libertà umana, Agostino, massa damnata."
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Sparkes, Brian A. "V. Bellelli Ed.La Ceramica a Figure Nere di Tipo Attico Prodotta in Italia, I and II. Mediterranea 7, 2010, pp. 277; 8, 2011, pp. 269. €995. 18270506." Journal of Hellenic Studies 133 (2013): 265–66. http://dx.doi.org/10.1017/s0075426913000980.

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Alguacil, Francisco José. "La eliminación de metales tóxicos presentes en efluentes líquidos mediante resinas de cambio iónico. Parte XIII: Zinc(II)/H+/Lewatit OC-1026". Revista de Metalurgia 56, n.º 3 (30 de septiembre de 2020): 172. http://dx.doi.org/10.3989/revmetalm.172.

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La resina de intercambio catiónico Lewatit OC-1026 (que tiene como grupo activo al acido di-2-etilhexil fosfórico adsorbido) se ha utilizado para la eliminación de zinc(II) de disoluciones acuosas. Esta eliminación se ha investigado bajo diferentes condiciones experimentales: velocidad de agitación (400-1200 min−1), temperatura (20-60 °C), pH del medio acuoso (1-4) y concentración de la resina (0,05-0,4 g·L−1). La carga de zinc(II) en la resina disminuye con el aumento de la temperatura (reacción exotérmica) en un proceso espontaneo, alcanzándose el equilibrio en tiempos mas cortos al aumentar esta variable. A 20 °C, los datos experimentales se ajustan a la cinética de pseudo-segundo orden, mientras que a 60 °C el modelo cinético que mejor representa la carga del metal en la resina es el de segundo orden. El proceso de cambio iónico depende del valor de pH del medio acuoso, disminuyendo el tanto por ciento de la carga del metal en la resina con la disminución de este valor (de 4 a 1); a pH 4, la carga del metal responde al modelo de difusión en la partícula y a la isoterma tipo-2 de Langmuir. La resina Lewatit OC-1026 presenta mejores características, respecto a la eliminación de zinc(II), que los nanotubos de carbono funcionarizados (grupos carboxílicos) y sin funcionalizar. El zinc(II) cargado en la resina puede ser eluido mediante el uso de disoluciones ácidas.
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Andreula, C. F., P. Ladisa, A. Nella, R. De Blasi y A. Carella. "La risonanza magnetica nella Neurosarcoidosi". Rivista di Neuroradiologia 7, n.º 6 (diciembre de 1994): 899–907. http://dx.doi.org/10.1177/197140099400700609.

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La sarcoidosi è una malattia infiammatoria granulomatosa poco comune, ad eziologia sconosciuta, caratterizzata da abnorme incremento dell'immunità cellulo mediata nei siti di lesione, sotto forma di noduli sarcoidei. Il sesso più colpito è quello femminile con età di insorgenza compresa fra i 20 e i 40 anni. Sono state formulate diverse ipotesi eziopatogenetiche nel tentativo di identificare l'agente capace di coinvolgere i meccanismi responsabili dell'accumulo di linfociti e di macrofagi nella sede di lesione. Oltre alla teoria similtumorale alcuni autori propongono che alla base del processo vi sia un'anomala risposta immunitaria ereditaria e/o acquisita ad uno stimolo virale. Il maggior numero degli studiosi propende per una terza ipotesi che prevederebbe un antigene specifico, la cui eliminazione risulterebbe difficoltosa, innescando una cronica reazione di risposta immunitaria. La diagnosi di sarcoidosi si basa attualmente sulla positività scintigrafica di Gallio 67 con accumulo in sedi polmonari e delle ghiandole salivari accoppiata alla ricerca del SACE (enzima sierico di conversione dell'angiotensina). Il coinvolgimento del Sistema Nervoso Centrale in corso di Sarcoidosi avviene in una percentuale variabile dal 10 al 20% dei casi, talvolta di solo riscontro autoptico. Una sintomatologia d'esordio di tipo neurologico avviene nel 2,5% dei casi. La neurosarcoidosi isolata è rara e costituisce il 5% dei casi. La diagnosi di neurosarcoidosi isolata è spesso difficile per l'impossibilità di giungere ad una diagnosi di certezza non ricorrendo al dato bioptico. Nel SNC le sedi di localizzazione possono essere molteplici, interessando strutture in rapporto alla presenza del sistema reticolo istiocitario, quali il peduncolo vascolare ipofisario, l'ependima, i plessi corioidei, le leptomeningi. Il nostro studio si basa sull'esperienza personale di 7 casi, esaminati mediante RM prima e dopo somministrazione di Gadolinio DTPA. In 5 casi su 7 è stata rilevata la localizzazione del processo a livello dell'asse ipotalamo ipofisario e di tali pazienti 3 presentavano sintomi riferibili alla sede di lesione (diabete insipido, amenorrea, riduzione della libido, obesità). In 3 pazienti sono state rinvenute lesioni meningee a livello del seno cavernoso e della meninge corticale. In 1 paziente infine erano presenti localizzazioni multiple rilevate in successione temporale: peduncolo ipofisario, meninge corticale, epifisi, VII° e VIII° nervo cranico di sinistra e quindi del II° e VIIP° di destra. I rilievi neuroradiologici non sono patognomonici ma mimano lesioni di diversa eziologia nelle sedi succitate. Nella localizzazione al SNC di malattia sarcoidosica sistemica la RM conferma il dubbio clinico di lesioni in sedi tipiche. D'altro canto in assenza di altre localizzazioni la RM ha infatti solo il ruolo di diagnosi di esistenza di lesione. Solo nei casi di scomparsa o riduzione di lesioni meningee e dell'asse ipotalamo ipofisario dopo terapia steroidea mediante un accurato studio longitudinale di immagini, la RM puo' supportare l'ipotesi diagnostica di neurosarcoidosi isolata.
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Bianchini, C., M. Malagò, L. Crema, C. Aimoni, T. Matarazzo, S. Bortolazzi, A. Ciorba, S. Pelucchi y A. Pastore. "Dolore post-operatorio nei pazienti affetti da neoplasia testa-collo: fattori predittivi ed efficacia della terapia". Acta Otorhinolaryngologica Italica 36, n.º 2 (abril de 2016): 91–96. http://dx.doi.org/10.14639/0392-100x-499.

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Negli anni è aumentata l’attenzione verso i molteplici aspetti associati alla “sfera” dolore, anche nei pazienti oncologici sottoposti a chirurgia testa-collo. Il dolore, definito infatti da diverse caratteristiche, quali l’esperienza personale, gli aspetti qualitativi della percezione, l’intensità, l’impatto emotivo, riconosce un’eziologia “multifattoriale”. Scopo del presente lavoro è stato: (i) valutare l’efficacia della terapia analgesica in pazienti affetti da tumore testa-collo e sottoposti a trattamento chirurgico; (ii) studiare le possibili variabili ed i fattori predittivi che possano influenzare l’insorgenza di dolore. Sono stati studiati 164 pazienti, affetti da neoplasia maligna del distretto testa-collo, trattati chirurgicamente tra il dicembre 2009 ed il dicembre 2013. I dati raccolti comprendono l’età, il sesso, la valutazione del rischio anestesiologico, la sede del tumore, la stadiazione TNM, il tipo di intervento effettuato, la complessità e la durata dell’intervento, le eventuali complicanze post-operatorie, i giorni di degenza post-intervento, la valutazione del dolore nei giorni 0, 1, 3 e 5 post-chirurgia. L’adeguatezza della terapia analgesica è stata espressa in termini di incidenza e prevalenza del dolore post-operatorio, le variabili legate al paziente, alla malattia, al trattamento chirurgico e farmacologico, sono state poi associate all’insorgenza del dolore così da poter descrivere eventuali fattori predittivi. Dai dati ottenuti emerge che la popolazione studiata ha ricevuto un’adeguata terapia antalgica, sia nell’immediato post-operatorio che nei giorni successivi. Non sono risultate associazioni statisticamente significative tra sesso, età ed incidenza del dolore post-chirurgico, mentre lo stadio del tumore, la complessità dell’intervento chirurgico e la sede della neoplasia hanno presentano correlazione significativa con il rischio di insorgenza di dolore post-operatorio. L’elevata prevalenza del dolore in ambito oncologico testa-collo, fa sì che un’appropriata ed attenta gestione del dolore risulti fondamentale. Nel futuro pertanto si auspica una sempre migliore comprensione dei fattori biologici, sociali e psicologici che caratterizzano la percezione del dolore ai fini di migliorarne il controllo.
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Arrieta, Juan Ignacio y Artur Miziński. "Prałatury personalne i ich relacje do struktur terytorialnych". Prawo Kanoniczne 43, n.º 3-4 (10 de diciembre de 2000): 85–115. http://dx.doi.org/10.21697/pk.2000.43.3-4.04.

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L’abituale rapportarsi tra i vescovi messi a capo delle distinte Chiese particolari o coetus fidelium deve considerarsi un normale esercizio del loro ministero episcopale, e rientra nello spirito di collegialità e nella reciproca sollicitudo che ogni vescovo deve coltivare verso la missione affidata singolarmente agli altri confratelli. Tali rapporti assumono una rilevanza particolare nel caso di strutture complementari, poiché i fedeli ai quali rivolgono la loro attività pastorale sono necessariamente fedeli di una Chiesa particolare. Avendo l’organizzazione delle comunità e la determinazione delle funzioni episcopali un prevalente carattere territoriale, pare giustificato far ricorso alle strutture personali soltanto davanti alla necessità di sviluppare una coerente attenzione pastorale in settori che in altro modo rimarrebbero insufficientemente coperti. In realtà, il rapporto tra strutture gerarchiche è indissociabile dal rapporto tra le rispettive funzioni episcopali о le relative missioni canoniche, allo stesso modo come il discorso sulla „communio ecclesiarum” è parallelo a quello sulla sacramentalità dell’episcopato. Questo tipo di rapporto avviene, principalmente, per una doppia ragione. Da una prospettiva di fatto, a causa della natura non statica delle comunità di fedeli, che interpellano in continuazione diverse giurisdizioni e missioni episcopali. Ma soprattutto, il rapporto tra strutture ha luogo a causa della natura stessa della funzione episcopale, essenzialmente aperta agli altri colleghi nell’episcopato. E noto ehe le Prelature personali sono state ideate lungo i dibatti dei decr. Presbyterorum ordinis (n. 10). Per una migliore distribuzione del clero o per la realizzazione di speciali iniziative pastorali la Santa Sede puo stabilire „speciales dioceses vel praelature personales”. II can. 297 CIC rappresenta l’unica norma соdiciale che fa cenno al raccordo tra queste strutture. II precetto rinvia agli statuti di ogni prelatura per indicare il modo di allacciare tali rapporti, stabilendo comunque un principio generale: al vescovo diocesano spetta il diritto di dare il proprio consenso perché l’attività pastorale di una prelatura personale possa avviarsi nella diocesi. Oltre a queste considerazioni generali, la normativa canonica lascia agli statuti ogni ulteriore determinazione dei rapporti tra il vescovo diocesano e la prelatura. La missio canonica del prelato è determinata negli statuti della prelatura, i quali, a loro volta, nel circoscrivere l’ambito della discrezionalità del prelato, delineano contemporaneamente il rapporto con la legislazione del territorio. Lesercizio della giurisdizione da parte del prelato personale tiene conto dell’appartenenza simultanea dei propri fedeli laici alla comunità territoriale, ecclesiologicamente primaria e teologicamente diversa rispetto dell’appartenenza alla prelatura. Tuttavia, la prelatura personale, come la Chiesa locale, è struttura gerarchica autonoma, i cui rapporti con le Chiese particolari si pongono su un piano di coerenza con il rispettivo compito ecclesiale. La competenza delle due giurisdizioni sulle stesse persone postula, di conseguenza, un qualche coordinamento о intesa fra funzioni episcopali. Perciò, come capita con le altre circoscrizioni personali, le norme speciali di ogni prelatura - 1’atto pontificio di erezione o gli statuti - dovranno delineare quale sarà il modo di rapportarsi ambedue le giurisdizioni, se in forma cumulativa, sussidiaria о com-plementare. Infine si può dire che i rapporti tra la prelatura e le strutture territoriali rientrano in buona misura nei seguenti criteri generali: a) primo, la normale sottomissione nel contesto della comunione ecclesiale dell’attività della prelatura alla legislazione territoriale emanata dall’autorità competente che, a volte, sarà quella del vescovo diocesano, e altre volte, invece, quella della conferenza episcopale; b) secondo, il fatto che la prelatura rappresenta una struttura giurisdizionale, episcopale, autonoma, che deve agire in funzione delle finalità pastorali prefissate dalla Santa Sede, e che rappresentano il contenuto della missio canonica del prelato, e la regola voluta dal Capo del Collegio per rapportarlo con l’episcopato territoriale; c) terzo, che l’unità della prelatura, avente carattere universale, richiede un minimo di omogeneitò di regime attorno ai fattori di propria identità, compatibile con la pluralité di legislazioni territoriali con le quali essa si trova in contatto. La primazia della legislazione territoriale risponde ad un principio generale di comunione ecclesiale valido per qualunque attività pastorale da svolgere nell’ambito di una Chiesa particolare.
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Gergel, Richard A. "The evolution of “Hellenistic” cuirassed statues from Alexander the Great through the 2nd c. A.D. - MATTEO CADARIO, LA CORAZZA DI ALESSANDRO. LORICATI DI TIPO ELLENISTICO DAL IV SECOLO a.C. AL II d.C. (Università degli Studi di Milano, Pubblicazioni della Facoltà di Lettere e Filosofía CCXVIII, Sezione di archeologia; Edizioni Universitarie di Lettere Economía Diritto, Via Cervignano 4, Milano2004). Pp. 460, tav. 54. ISBN 88-7916-250-0 Eur. 46." Journal of Roman Archaeology 19 (2006): 450–56. http://dx.doi.org/10.1017/s1047759400006620.

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Liguori, P. y R. Ripoli. "REPAIR OF POSTERIOR VAGINAL WALL DEFECTS WITH PELVICOL™ IMPLANT ANCHORED TO ILIOCOCCYGEUS". Urogynaecologia 20, n.º 1 (1 de julio de 2010): 13. http://dx.doi.org/10.4081/uij.2006.1.13.

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Pelvic floor prolapse is a frequent condition in the female population, inevitably deemed to increase with the population average age increase. If quality of life of women suffering from pelvic prolapse is investigated, the impact of symptoms may result dramatic, causing psychological, relational, sexual, working problems. Posterior vaginal wall defects are classified as rectocele and enterocele. Rectocele means hernia or protrusion of the anterior wall of rectum in vagina, such condition being determined both by softening of posterior vaginal wall and by damaging of lateral insertions of the vagina to the pelvic wall. RIASSUNTO Il descensus del pavimento pelvico è una condizione frequente nella popolazione femminile, destinata inevitabilmente ad aumentare con l’aumento dell’età media della popolazione. Se si indaga sulla qualità della vita delle donne affette da descensus pelvico, risulta che l’impatto dei sintomi può essere drammatico, creando problemi psicologici, relazionali, sessuali ed occupazionali. I difetti della parete vaginale posteriore vengono classificati come rettocele ed enterocele. Per rettocele s’intende l’ernia o protrusione della parete anteriore del retto in vagina, tale condizione può essere determinata sia da un’attenuazione della paAim of the study is to use a surgical technique for the treatment of posterior vaginal wall defects and a type of prosthetic material that solves the pathology, being in the meanwhile the least invasive as possible, not having high costs and not leaving physical and/or psychological invalidating problems. In the choice of the type of surgical intervention to be carried out for the correction of an anatomical and/or functional defect is necessary to carefully evaluate the impact that this intervention may cause to women’s life and - as the evidencebased medicine imposes - it is necessary to evaluate the adequacy of medical interventions as to the possibility that they offer to promote or regain health. The surgical technique used foresees a transversal incision of the posterior vaginal wall at the rima vulvae with detachment of the vagina and exposure of the rectovaginal septum up to the posterior fornixes. Exposing the ischial spine, a Vicryl point is given bilaterally 1 cm forward and upward to the spine itself. Thus the PelvocolTM tape is fixed with the same thread that consequently anchors the wall of the vaginal fundus, De Lancey II-III point. With this technique the musculi levatoris ani are not medialized, there are no sutures in the vagina, thus guaranteeing a normal anatomy and a normal vaginal axis, avoiding the onset of dyspareunia and pain in the sacral region, as a consequence of the traditional posterior colporrhaphy or the suspension correction to the ligamentum sacrospinalis. rete vaginale posteriore che da un danneggiamento delle inserzioni laterali della vagina alla parete pelvica. Scopo dello studio è quello di utilizzare per la cura dei difetti della parete vaginale posteriore, una tecnica chirurgica e un tipo di materiale protesico che al contempo risolva la patologia, sia il meno possibile invasivo, non abbia costi elevati e non lasci esiti invalidanti fisici e/o psichici. Nella scelta del tipo d’intervento chirurgico da effettuare per la correzione di un difetto anatomico e/o funzionale è necessario valutare attentamente l’impatto che tale intervento può avere sulla vita della donna e come c’impone la medicina basata sull’evidenza, è necessario valutare l’appropriatezza degli interventi medici in relazione alla possibilità che offrono di promuovere o recuperare il bene salute. La tecnica chirurgica utilizzata prevede un’incisione trasversale della parete vaginale posteriore a livello della rima vulvare con scollamento della vagina ed evidenziazione del setto rettovaginale fino ai fornici posteriori. Repertando la spina ischiatica, si appone un punto di vicryl bilateralmente ad 1 cm in avanti ed in alto alla spina stessa. La bendarella di Pelvicol ™ viene così fissata con lo stesso filo che conseguentemente ancora la parete del fondo vaginale, II-III punto di De Lancey. Con tale tecnica i muscoli elevatori dell’ano non vengono medializzati, non vi sono suture in vagina il chè garantisce una normale anatomia ed un normale asse vaginale evitando l’insorgenza di dispareunia e dolore in regione sacrale, quale conseguenza della tradizionale col- 14 UROGYNAECOLOGIA INTERNATIONAL JOURNAL P. LIGUORI, R. RIPOLI The utilized material is Pelvicol, a sterile, biocompatible fabric, made up of acellular collagen matrix and elastin fibres, derived from pig dermis. The correction of grade I, II and III rectocele has been rarely applied in the past due to the concern of creating an excessive reduction in the vaginal caliber with complications such as reduced vaginal capacity and dyspareunia. Our experience demonstrated that the carrying out of the above described surgical technique not only guarantees the anatomical preservation of the posterior segment, but represents an optimal repair of the pelvic statical defect. The Pelvicol implant guarantees to women the return to normal social and sexual life, so that this method is to be privileged with respect to traditional surgical techniques. However, this surgery needs a wider usage trial by other surgeons, in order to find its definite role in rectocele surgical therapy.
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Zulian, F., M. Campanini, L. Lusiani, L. Magnani, G. Pinna y R. Nardi. "Problematiche di fine vita: il ruolo della medicina interna ospedaliera". Italian Journal of Medicine 5, n.º 1 (10 de abril de 2017): 1. http://dx.doi.org/10.4081/itjm.q.2017.4.

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<img src="/public/site/images/pgranata/PREFAZIONE.jpg" alt="" /><br /><p class="titolo"><strong>Etica cristiana e malattia</strong><br /><em>E. Bianchi</em></p><img src="/public/site/images/pgranata/rass.jpg" alt="" /><br /><p class="titolo"><strong>Le problematiche di fine vita: quale consapevolezza da parte degli internisti?</strong><br /><em>M. Gambacorta, M. Campanini, R. Nardi</em></p><p class="titolo"><strong>Il concetto di terminalità: certezze e incertezze</strong><br /><em>L. Lusiani, C. Bullo</em></p><p class="titolo"><strong>Traiettorie di malattia: non sempre i pazienti e le famiglie sono informati</strong><br /><em>L. Magnani</em></p><p class="titolo"><strong>La dignità come fattore di cura: pratica clinica nel fine vita nella medicina <em>patient centered</em></strong><br /><em>M. Felici, A. Pulerà, S. Lenti</em></p><p class="titolo"><strong>L’assistenza nel fine vita: quali responsabilità? Un approccio medico-legale al tema</strong><br /><em>A. Aprile, M. Bolcato, D. Rodriguez</em></p><p class="titolo"><strong>Il paziente terminale: aspetti di tipo etico</strong><br /><em>R. Cavaliere</em></p><p class="titolo"><strong>Cure palliative, assistenza domiciliare e <em>caregiver burden</em>: il modello dell’efficienza terapeutica</strong><br /><em>L. Occhini, A. Pulerà, M. Felici</em></p><p class="titolo"><strong>Nutrizione ed idratazione nei malati terminali</strong><br /><em>R. Risicato</em></p><p class="titolo"><strong>La gestione del dolore nel paziente terminale</strong><br /><em>G. Civardi, M. Bosco, R. Bertè</em></p><p class="titolo"><strong>Sedazione di fine vita: aspetti decisionali clinici ed etici</strong><br /><em>M. Carassiti, A. De Benedictis, M. Del Prete, B. Vincenzi, V. Tambone</em></p><p class="titolo"><strong>La rimodulazione della terapia negli anziani in fase terminale</strong><br /><em>A. Cester, F. Busonera</em></p><p class="titolo"><strong>Ruolo dell’infermiere nel <em>comfort care</em> del paziente a fine vita in Medicina Interna</strong><br /><em>D. Simonazzi, M. Lince, S. Tanzi, G. Bordin</em></p><p class="titolo"><strong>Percorso di fine vita e diagnosi di terminalità: l’esperienza dell’Ausl di Modena e Reggio Emilia</strong><br /><em>G. Chesi, E. Scalabrini, P. Vacondio, G. Pinelli, G. Carrieri, G. Cioni</em></p><img src="/public/site/images/pgranata/Sezioni.jpg" alt="" /><br /><p class="titolo"><strong>APPENDICE I<br />Metodi di riconoscimento e di valutazione del paziente in fase terminale o a rischio di elevata mortalità in ospedale</strong><br /><em>R. Nardi, G. Belmonte, L. Lusiani, M. Gambacorta, G. Pinna, M. Campanini, A. Fontanella</em></p><p class="titolo"><strong>APPENDICE II<br />RECENSIONE - Riflessioni sul dolore </strong>di Umberto Eco<br /><em>R. Nardi</em></p>
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San Vicente, Félix y Hugo E. Lombardini. "Dos obras publicadas e inmediatamente olvidadas: las gramáticas de español para italianos de Gennaro Sisti (1742) y de José Martínez de Valdepeñas (¿1785?)". Estudios de Lingüística del Español 36 (1 de junio de 2015): 235–75. http://dx.doi.org/10.36950/elies.2015.36.8689.

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En el marco de las investigaciones historiográficas llevadas a cabo por los autores de este estudio, han salido a la luz dos gramáticas de español para italianos de las que no se halla mención, ni entre las obras de ese tipo posteriores, ni en ningún catálogo o texto crítico. Se trata de dos ediciones únicas, de rarísima presencia en bibliotecas, aunadas por su finalidad y por el hecho de haber sido olvidadas inmediatamente después de su publicación, aunque presenten características gramaticográficas comunes de indudable interés. La primera en orden cronológico (Traduzione dal francese del nuovo metodo di Porto Reale. Con cui agevolmente s’insegna la lingua spagnola. Con l’aggiunzione di due dialoghi ed un copioso nomenclatore in fine fatta da D. Gennaro Sisti) es una obra que el semitista Gennaro Sisti publica en 1742 (Napoli: Serafino Porsile); la segunda (Grammatica della lingua spagnuola, ossia La vera scuola della lingua castigliana chiamata volgarmente lingua spagnuola) es un texto que el exjesuita Martínez de Valdepeñas publica hacia 1785 (Genova: Franchelli). Ambas obras, en un siglo como el XVIII, considerado hasta ahora como un siglo con escasa presencia de obras originales, constituyen dos jalones para la reconstrucción de la tradición gramatical de obras de español destinadas a italianos. El cometido de este estudio es el de presentar los mencionados textos a los historiadores de la lingüística y de la gramática mediante (i) una descripción estructural de la obra; (ii) un análisis de la misma a partir de sus fuentes (la Nouvelle méthode pour apprendre facilement et en peu de temps la langue espagnole de Claude Lancelot, cuya primera edición data de 1660, y la Gramática de la lengua castellana de la Real Academia Española, en su edición de 1771) y (iii) la interpretación del modo en que adecuaron sus textos a los destinatarios de lengua italiana, introduciéndose, en definitiva, en la tradición gramatical de español para italófonos.
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Gnerre, Guest Editors: P., M. Campanini, A. Fontanella y R. Nardi. "II ruolo degli omega-3 nel paziente pluripatologico complesso: dalle evidenze alla pratica clinica in Medicina Interna". Italian Journal of Medicine 3, n.º 1 (30 de septiembre de 2015): 241. http://dx.doi.org/10.4081/itjm.q.2015.3.

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<img src="/public/site/images/pgranata/intro.jpg" alt="" /><br /><p class="titolo"><strong>II ruolo degli omega-3 nel paziente pluripatologico complesso</strong> 241<br /><em>M. Campanini, R. Nardi</em></p><img src="/public/site/images/pgranata/rass.jpg" alt="" /><br /><p class="titolo"><strong>II ruolo degli omega-3 nella prevenzione dell’ipertrigliceridemia pura e iperlipemia combinata, ma non solo: dalle evidenze alla pratica clinica</strong> 247<br /><em>P. Gnerre, O. Para, G. Balbi</em></p><p class="titolo"><strong>Gli omega-3 nell’obesità e nell’insulino-resistenza</strong> 260<br /><em>M. Poggiano</em></p><p class="titolo"><strong>Gli omega-3 nel diabete mellito di tipo 2</strong> 262<br /><em>M. Poggiano</em></p><p class="titolo"><strong>Gli effetti degli omega-3 sulle aritmie</strong> 265<br /><em>C. Cenci</em></p><p class="titolo"><strong>Gli effetti degli omega-3 nella prevenzione dell’infarto miocardico</strong> 269<br /><em>R. Gerloni</em></p><p class="titolo"><strong>Omega-3 e scompenso cardiaco</strong> 274<br /><em>R. Gerloni</em></p><p class="titolo"><strong>I prodotti naturali: una possibile alternativa alle statine per la riduzione del colesterolo</strong> 279<br /><em>M.C. Pasquini</em></p><p class="titolo"><strong>Nutrizione, omega-3 e cancro</strong> 288<br /><em>A. Mazza, G. Rubello, G. Mazza</em></p><p class="titolo"><strong>Gli omega-3: trigliceridi naturali o esteri etilici?</strong> 301<br /><em>P. Zuccheri, C. Iacono, G. Benini</em></p><img src="/public/site/images/pgranata/concl.jpg" alt="" /><p class="titolo"><strong>II ruolo degli omega-3 nel paziente pluripatologico complesso: dalle evidenze alla pratica clinica in Medicina Interna</strong> 306<br /><em>A. Fontanella</em></p>
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Medeiros Soarea, Dayse Avany de. "A EVASÃO ESCOLAR NA EDUCAÇÃO DE JOVENS E ADULTOS - EJA, UM CONTRASTE COM A LEI DE DIRETRIZES E BASES DA EDUCAÇÃO NACIONAL - LDBEN". RECIMA21 - Revista Científica Multidisciplinar - ISSN 2675-6218 2, n.º 11 (28 de noviembre de 2021): e211903. http://dx.doi.org/10.47820/recima21.v2i11.903.

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Resumen
Esta pesquisa tem como objetivo geral analisar as principais causas da evasão escolar na modalidade da Educação de Jovens e Adultos da Escola Estadual Fábio da Silveira Barros, no município de Maraial e como objetivos específicos: identificar as causas que levam os estudantes da EJA a se evadirem; descrever as estratégias utilizadas pelos professores para o ensino da modalidade da Educação de Jovens e Adultos – EJA e por último, averiguar sobre possíveis soluções para a evasão escolar na Educação de Jovens e Adultos – EJA. Outrossim, é importante contemplar a contribuição trazida pela Lei de Diretrizes e Bases da Educação Nacional - LDBEN, quando em seu surgimento, trouxe a substituição do termo “ensino supletivo” por “educação de jovens e adultos”, ampliando-se, desse modo, o conceito e a responsabilidade do Estado no que tange ao dever de atendimento a todos os estudantes incluídos na modalidade em estudo. Marco ímpar para o contexto. E com o desejo de responder à problemática da presente pesquisa, foram utilizados vários teóricos preocupados com o tema em estudo, dentre eles, Paulo Freire, Di Pierro, Moacy Gadotti, Lakatos, Gil, entre outros, os quais contribuíram fortemente com os fundamentos teóricos apresentados nesta investigação. No tocante aos aspectos metodológicos, pode-se dizer tratar-se de um desenho não experimental, do tipo descritivo, de corte transversal e de enfoque misto. Como participantes deste estudo, tivemos 50 (cinquenta) estudantes (01 turma do III módulo da EJA e 01 turma do II módulo da EJA), 07 (sete) professores e 01(uma) gestora.
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Gozalbes-Cravioto, Enrique y Helena Gozalbes García. "Hallazgos de monedas greco-massaliotas en la provincia de Cuenca (España)". Vínculos de Historia Revista del Departamento de Historia de la Universidad de Castilla-La Mancha, n.º 11 (22 de junio de 2022): 280–95. http://dx.doi.org/10.18239/vdh_2022.11.12.

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Resumen
Publicamos una pequeña serie de monedas, relacionadas con las piezas conocidas inicialmente como de ejemplares “tipo Auriol”. Se trata de varias imitaciones greco-massaliotas, relacionadas con el ciclo numismático griego del Occidente mediterráneo. La importante novedad de las mismas se fundamenta en el lugar de hallazgo, pues este se ha producido en una zona interior de la Península Ibérica, donde hasta el momento no se había documentado el descubrimiento de numismas de este tipo. Palabras clave: moneda, imitaciones, edetanosTopónimos: Massalia, Emporion, AuriolPeriodo: Edetanos ABSTRACTThe text presents a small series of coins, similar to those initially known as "Auriol type". These are various Greek-Massalian imitations, related to the Greek numismatic cycle of the Western Mediterranean. What makes these coins particularly interesting is their place of discovery, since they were found in an inland area of the Iberian Peninsula, where the appearance of specimens of this type had not previously been documented. Keywords: coin, imitations, AuriolPlace names: Massalia, Emporion,Period: edetans REFERENCIASAmorós, J. V. (1934), Les monedes emporitanes anteriors a les dracmes, Barcelona, Gabinet Numismàtic de Catalunya.Arévalo González, A. (2002), “La moneda griega foránea en la Península Ibérica”, en Actas del X Congreso Nacional de Numismática, Madrid, Museo Casa de la Moneda, pp. 1-15.Babelon, E. C. F. (1901), Traité des monnaies grecques et romaine, vol. 1, Paris, Ernest Leroux Editeur.Benezet, J., Delhoeste, J. Lentillon, J.-P. (2003), “Une monnaie du “type d´Auriol” dans la plaine roussillonnaise”, Cahiers Numismatiques, 158, pp. 5-8.Blancard, M. 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