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Lijphart, Arend. "PRESIDENZIALISMO E DEMOCRAZIA MAGGIORITARIA". Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 19, n.º 3 (diciembre de 1989): 367–84. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200008637.

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Resumen
IntroduzioneNel suo noto saggio su Democracy, Presidential or Parliamentary: Does it Make a Difference? — ampiamente diffuso e da considerarsi ormai una sorta di classico non pubblicato — Juan Linz (1987, 2) osserva correttamente che gli scienziati della politica hanno trascurato le importanti differenze istituzionali e comportamentali tra regimi parlamentari, presidenziali e semipresidenziali e che, in particolare, queste differenze «ricevono solo scarsa attenzione nei due più recenti lavori di comparazione delle democrazie contemporanee», cioè Comparative Democracies di G. Bingham Powell (1982) e il mio Democracies (Ljiphart 1984). Una ragione per cui il presidenzialismo risulta relativamente trascurato nel mio libro è che nell'universo di 21 democrazie ivi considerato — definito da quei paesi che hanno avuto una ininterrotta esperienza di governo democratico approssimativamente dalla fine della seconda guerra mondiale — compare un solo chiaro caso di governo presidenziale (gli Stati Uniti) e due casi più ambigui (la V Repubblica francese e la Finlandia). Retrospettivamente ritengo di aver applicato i miei criteri in modo troppo stretto e che avrei dovuto includere anche l'India e il Costa Rica tra le mie democrazie «prolungate». Quest'ultimo avrebbe costituito un quarto caso di presidenzialismo. Powell fa ricorso ad una definizione meno esigente di democrazia (un minimo di 5 anni di democrazia nel periodo dal 1958 al 1976), il che gli mette a disposizione altri 4 casi di presidenzialismo: Venezuela, Cile, Uruguay e Filippine.Vorrei essere ancor più esplicitamente critico sul mio libro del 1984: la debolezza principale non è tanto lo scarso spazio dedicato al contrasto tra presidenzialismo e parlamentarismo (circa 12 pagine su 222, cioè un po’ più del 5% del libro) ma piuttosto il fatto che la discussione non è sufficientemente integrata con la comparazione della democrazia maggioritaria e consensuale, che costituisce il tema principale del lavoro. In particolare, ho definito presidenzialismo e parlamentarismo in riferimento a due caratteristiche contrastanti, ignorando una terza cruciale distinzione, ed ho poi legato il contrasto presidenziale/parlamentare ad una sola delle differenze tra democrazia consensuale e maggioritaria, ignorando il suo impatto su numerose altre distinzioni. L'obiettivo di questo articolo è correggere queste lacune e stabilire la connessione generale tra il contrasto presidenziale/parlamentare e quello maggioritario/consensuale.Come Linz, il mio atteggiamento sarà critico verso il presidenzialismo, ma tale critica si baserà su argomenti in parte diversi. L'argomento principale di Linz (1987, 11) riguarda «la rigidità che il presidenzialismo introduce nel processo politico e la flessibilità di gran lunga maggiore di questo processo nei sistemi parlamentari». Concordo pienamente con Linz e, in aggiunta, sono d'accordo che rigidità e immobilismo costituiscono i più seri punti deboli del presidenzialismo. In questo articolo la mia critica si concentrerà su una ulteriore debolezza della forma presidenziale di governo: la sua potente inclinazione verso la democrazia maggioritaria e il fatto che, nel gran numero di paesi in cui un naturale consenso di fondo è assente, appare necessaria una forma di democrazia consensuale invece che maggioritaria. Questi paesi comprendono non solo quelli caratterizzati da profonde fratture etniche, razziali e religiose, ma anche quelli con intense divisioni politiche che originano da una storia recente di guerra civile o dittatura militare, enormi diseguaglianze socio-economiche e così via. Inoltre, nei paesi in via di democratizzazione o di ri-democratizzazione le forze non-democratiche devono essere rassicurate e riconciliate ed è necessario fargli accettare l'idea non solo di abbandonare il potere, ma anche di non insistere nel pretendere il mantenimento di «domini riservati» di potere non-democratico all'interno del nuovo, e per gli altri versi democratico, regime. La democrazia consensuale, che è caratterizzata dalla condivisione, dalla limitazione e dalla dispersione del potere, ha molte più probabilità di raggiungere questo obiettivo che non il diretto dominio maggioritario. Come Philippe C. Schmitter ha suggerito, democrazia consensuale significa democrazia «difensiva», che per le minoranze etno-culturali e politiche risulta meno minacciosa dell' «aggres-sivo» governo maggioritario.Tratterò questo tema in tre fasi. In primo luogo definirò il presidenzialismo in riferimento a tre essenziali caratteristiche. In secondo luogo mostrerò che, specialmente come risultato della sua terza caratteristica, il presidenzialismo ha una forte tendenza a rendere la democrazia più maggioritaria. Infine, esaminerò le varie caratteristiche non-essenziali del presidenzialismo — caratteristiche che, benché presenti di frequente, non sono elementi distintivi della forma di governo presidenziale — ed il loro impatto sul grado di consensualità o maggioritarietà della democrazia.
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Violante, Luciano. "Magistrature e forma di governo". DEMOCRAZIA E DIRITTO, n.º 3 (mayo de 2012): 13–26. http://dx.doi.org/10.3280/ded2011-003002.

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Dell'Olio, Francesca. "O BOLSONARISMO COMO MOMENTO DE FASCISMO ETERNO E SUAS BRECHAS ESTRUTURAIS: FORMAS DE RESISTÊNCIA". Revista X 15, n.º 4 (23 de septiembre de 2020): 132. http://dx.doi.org/10.5380/rvx.v15i4.76336.

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Resumen
Encerrando nosso dossiê, Francesca Dell’Olio (Università di Padova/USP) nos presenteia com uma análise do bolsonarismo que facilita a identificação fascista do atual governo brasileiro e, ao mesmo tempo, evidencia sua desestruturação política e ideológica, o que permite ações de dissenso e de solidariedade, ou seja, abre espaço para a esperança.
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Pasquino, Gianfranco. "VARIANTI DEI MODELLI DI GOVERNO PARLAMENTARE". Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 33, n.º 2 (agosto de 2003): 295–315. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200027192.

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Introduzione«Chi conosce il diritto costituzionale classico e ignora la funzione dei partiti, ha un'idea sbagliata dei regimi politici contemporanei; chi conosce la funzione dei partiti e ignora il diritto costituzionale classico ha un'idea incompleta ma esatta dei regimi politici contemporanei» (Duverger 1961, p. 412) Alla luce di questa preziosa indicazione metodologica dell'autorevole politologo e costituzionalista francese, il dibattito italiano sul «premierato» appare immediatamente e sostanzialmente inadeguato perché incapace, tranne pochissime eccezioni, di tenere insieme il sistema dei partiti e il modello di governo. Certo, è innegabile che le regole e le attribuzioni di poteri costituzionali hanno anche una dinamica e una forza propria e specifica. Tuttavia, il modo e il grado di successo con il quale regole e poteri incidono sui rapporti governo/parlamento e governo/elettorato differiscono in maniera significativa a seconda del sistema di partiti sottostante sul quale si applicano e con il quale interagiscono. In questa sede, manterrò l'analisi focalizzata esclusivamente sui modelli parlamentari di governo, ma, naturalmente, anche qualsiasi tentativo di comprendere e di rendere conto del funzionamento dei modelli presidenziali di governo appare altrettanto inadeguato se, per l'appunto, non tiene conto dei diversi sistemi di partito sui quali viene innestato ciascun modello presidenziale (per le indispensabili differenziazioni fra presidenzialismi e parlamentarismi, si veda Sartori 2000; per un tentativo, peraltro piuttosto confuso poiché si perde in eccessive specificazioni che non conducono ad opportune generalizzazioni, Shugart e Carey 1992).
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Pattenden, Miles. "Governor and government in sixteenth-century Rome". Papers of the British School at Rome 77 (noviembre de 2009): 257–72. http://dx.doi.org/10.1017/s006824620000009x.

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Resumen
L'importanza del governo a Roma e il ruolo del papa e dei suoi ufficiali in esso crebbero rapidamente nel corso del XVI secolo. Il presente articolo prende la figura del governatore della città come un case-study e, usando dati legislativi, d'archivio e finanziari, ci si domanda come possiamo valutare quel processo e cosa rivela circa le aspirazioni dei Romani per il governo. Si conclude che questa espansione non fu il risultato di una centralizzazione deliberate o di una razionalizzazione dai papi del XVI secolo, ma che differenti gruppi all'interno della società romana sfruttarono l'idea di un'autorità papale per promuovere i loro propri interessi e incoraggiare la stabilità politica. Infine l'articolo prende in considerazione le conseguenze che questo ha avuto per lo sviluppo di Roma come una comunità politica, e si arguisce che nei secoli precedenti la rivoluzione francese, lungi dall'essere una causa di stagnazione e declino, il governo papale continuò ad evolversi per incontrare le aspettative maturate su di esso dalla società dell'ancien régime.
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Battegazzorre, Francesco. "L'INSTABILITÀ DI GOVERNO IN ITALIA". Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 17, n.º 2 (agosto de 1987): 285–317. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200016695.

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IntroduzioneIn un noto contributo sul tema della stabilità governativa pubblicato una quindicina d'anni orsono M. Taylor e V. Herman esprimevano incertezza sul significato della capacità di persistenza dei ministeri, asserendo la necessità di «un ampio studio empirico prima di poter dire che la stabilità governativa è indicatore diuna qualsiasi cosa». In tal modo gli autori intendevano prendere le distanze da un assunto largamente diffuso nella letteratura specialistica sull'argomento, secondo cui la capacità di durata dell'esecutivo è legata significativamente al rendimento del sistema politico e, più in generale, alla stabilità del regime. Benché l'assunto in questione compaia, esplicitamente o implicitamente, anche in alcuni dei più recenti studi sulla stabilità ministeriale, restano comunque dubbi — in assenza dell'analisi empirica suggerita da Taylor e Herman — circa i legami intercorrenti tra persistenza del governo eperformancedel sistema, e non è mancato chi, nell'ambito della disciplina, di tali dubbi si è fatto portavoce. Sartori, per esempio, ha negato in diverse occasioni che un governo stabile (nel senso di duraturo) possa per ciò stesso essere considerato efficiente: «un esecutivo può durare (essere stabile) nell'immobilismo, e anzi durare proprio perché non si muove e non smuove le acque». A questa critica, di natura essenzialmente logica, si aggiunge ora quella — fondata empiricamente — di A. Lijphart, che utilizza dati tratti dal caso francese (IV Repubblica) e da quello nord-irlandese per contestare la tesi secondo cui «la capacità di durata dell'esecutivo è un buon indicatore dell'efficacia del governo e della stabilità del regime democratico». Il punto è quindi tutt'altro che chiarito, e di conseguenza non può sottrarsi all'attenzione dello studioso anche quando l'oggetto d'analisi viene affrontato da un'altra angolatura. Nel nostro caso va detto che indagare sul significato della stabilità o instabilità dell'esecutivo non costituisce l'obiettivo che ci si è proposti qui; tuttavia, data la salienza di questo aspetto del problema per il senso complessivo del lavoro, esso sarà oggetto di una breve trattazione nella parte conclusiva dell'esposizione.
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Piras, Mauro. "La stampa politica in Libano e Siria negli anni Trenta fra sopravvivenza e formazione dell'opinione pubblica". MONDO CONTEMPORANEO, n.º 1 (julio de 2012): 35–66. http://dx.doi.org/10.3280/mon2012-001002.

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Resumen
Gli anni Trenta videro uno sviluppo senza precedenti della stampa araba periodica in Libano e Siria, nonostante gli ostacoli rappresentati, da un lato, dalla sempre piů rigida censura esercitata dalle autoritŕ, e dall'altro, dalla crisi economica, che metteva in grandi difficoltŕ un settore ancora debole. Questo saggio descrive innanzitutto la legislazione sulla stampa e la prassi repressiva seguita dalle autoritŕ per controllarne l'atteggiamento; sottolinea quindi il ruolo centrale che avevano le sovvenzioni, provenienti sia dal governo locale e dall'amministrazione francese, sia da governi stranieri o gruppi di interesse di diverso tipo, nel permettere a giornali con una diffusione estremamente limitata di far fronte alla precaria situazione politica ed economica. Illustra quindi la crescita quantitativa e qualitativa della stampa nel mandato francese, in particolare delle due capitali Beirut e Damasco, dal 1930 al 1940, per trarre infine delle conclusioni su come le strategie di sopravvivenza del giornalismo arabo incisero sulle caratteristiche peculiari della stampa siro-libanese tra le due guerre.
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Riberi, Mario. "Giovanni de Foresta, deputato alla camera subalpina e Ministro della giustizia (1850-1859)". Italian Review of Legal History, n.º 7 (22 de diciembre de 2021): 199–255. http://dx.doi.org/10.54103/2464-8914/16889.

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Resumen
Il giurista nizzardo Giovanni de Foresta è un personaggio poco noto e pochissimo studiato, nonostante il suo notevole apporto dato alla causa dell'unità d'Italia. Sostenitore di Cavour, sedette alla Camera subalpina per due legislature, la IV e la V, e rivestì due importanti incarichi di governo: fu ministro di Grazia e Giustizia sia nel primo governo D’Azeglio sia nel secondo governo Cavour, nel periodo di entrata in vigore delle leggi Siccardi. Oggetto di questo articolo sono i progetti elaborati da De Foresta durante questi due incarichi ministeriali. Innanzitutto il progetto che si tradusse nella legge del 26 febbraio 1852 sull’introduzione di misure restrittive della libertà di stampa: il dibattito parlamentare che ne seguì portò alla frattura della destra e alla stagione del "connubio" Cavour-Rattazzi. Successivamente viene illustrata l’opera svolta da De Foresta negli anni 1855-59 per il rinnovamento della codificazione del Regno di Sardegna attraverso l’apertura di un cantiere sia per l’elaborazione del codice di procedura civile sia per la revisione dei codici penali, che nel 1860 sostituirono quelli albertini. È infine presentato il contributo dato nel 1858 da De Foresta all'alleanza con la Francia, ritenuta indispensabile da Cavour per realizzare l'unità d'Italia, quando il Guardasigilli, per venire incontro alle richieste del governo francese, fece approvare dal Parlamento subalpino la legge sulle sanzioni da infliggere ai cospiratori contro i capi di stato stranieri.
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Maravall, José Maria. "L'IDENTITÀ DELLA SINISTRA: LE POLITICHE SOCIALDEMOCRATICHE NELL'EUROPA DEL SUD". Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 22, n.º 3 (diciembre de 1992): 449–99. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200018888.

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Resumen
IntroduzioneQuesto articolo intende discutere i programmi e le politiche realizzate dai partiti socialisti dell'Europa del Sud giunti al potere negli anni ottanta. Vi sono considerati i partiti socialisti spagnolo (PSOE), greco (PASOK), portoghese (PSP), italiano (PSI) e francese (PS). Per i primi tre, la democrazia costituiva un'esperienza recente, esito delle transizioni dall'autoritarismo della metà degli anni settanta; negli altri due casi, era stata invece ristabilita al termine del secondo conflitto mondiale. Tre dei partiti socialisti considerati – PSOE, PS e PASOK – giungevano al potere forti di maggioranze assolute al Parlamento e dopo una lunga esclusione dal potere. Al contrario, i partiti socialisti portoghese e italiano facevano parte di coalizioni, con l'eccezione, in Portogallo, di un breve periodo di governo monopartitico socialista, dalle elezioni del 1976 fino alla fine del 1977. Il PSI, inoltre, figura al governo come partner minore, sebbene Craxi sia stato primo ministro dal 1983 al 1987. L'analisi comparata delle politiche sarà quindi agéométrie variable: poiché la presenza di coalizioni rende difficile assumere il bilancio dell'azione del governo come indicativo di specifiche politiche socialiste, il lavoro discuterà i casi di Spagna, Francia e Grecia con maggior dovizia.
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Charrier, Guy. "Parallèle entre la loi italienne pour la protection de la concurrence et le système français". Journal of Public Finance and Public Choice 8, n.º 2 (1 de octubre de 1990): 103–15. http://dx.doi.org/10.1332/251569298x15668907345045.

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Resumen
Abstract La nuova legge italiana per la protezione della concorrenza e del mercato presenta una notevole analogia, sia nei concetti che nei principali meccanismi applicativi, con le principali legislazioni dei Paesi membri della CEE e soprattutto con quelle che sono state introdotte negli anni più recenti.Il campo d’applicazione riguarda, almeno in principio, tutti i settori di attività, sia nel sistema italiano che in quello francese, poiché nessuna deroga è prevista, salvo per alcune particolari attività, come gli audio-visivi, la stampa, le banche e le assicurazioni.Questa estensione del campo di applicazione della legislazione si spiega con il fatto che essa riguarda tutte le pratiche anti-concorrenziali che vadano a detrimento del buon funzionamento del mercato e che tali pratiche siano suscettibili di provenire da tutti gli operatori economici.In Francia, peraltro, vige una distinzione tra comportamenti diretti a falsare il mercato, e che ricadono sotto le categorie di cartelli e di abuso di posizione dominante, di cui si occupa il Consiglio della concorrenza, e le pratiche restrittive, come il rifiuto di vendere, la subordinazione delle vendite, le discriminazioni e l’imposizione di prezzi, che sono di competenza dei tribunali perché in principio riguardano soltanto i rapporti tra imprese.Un secondo aspetto riguarda l’applicazione delle regole della concorrenza alle persone pubbliche. In principio, le disposizioni della legge italiana circa le imprese pubbliche (art. 8) e quelle della legge francese (art. 53) rispondono soltanto in parte alla questione. Nel diritto francese, quando una persona pubblica agisce da privato, è sottoposta alle leggi che riguardano il comportamento dei privati. Una difficoltà sorge, invece, quando questa persona pubblica, agendo nell’ambito dei suoi poteri, genera sul mercato effetti che danneggiano la concorrenza. Una recente sentenza del Tribunale dei conflitti ha concluso che le regole della concorrenza non si applicano alle persone pubbliche se non nella misura in cui esse diano luogo ad attività di produzione (di distribuzione o di servizi).La legge italiana non dà alcuna definizione del concetto di concorrenza nè dà alcun elemento che ne consenta la giustificazione economica. Altrettanto avviene con la legge vigente in Francia, ove sono i testi delle decisioni che forniscono indicazioni al riguardo.Il principio generate del divieto dei cartelli, come anche l’elenco dei casi suscettibili di costituire intese di carattere anti-concorrenziale, sono presentati in modo molto simile sia nella legge italiana che in quella francese. Ambedue riprendono, d’altronde, la formulazione dell’art. 85 del Trattato di Roma.Tutto fa pensare che l’Autorità italiana si troverà di fronte a casi analoghi a quelli di cui si è in varie occasioni occupato il Consiglio della concorrenza francese: cartelli orizzontali (accordi sui prezzi, sulla ripartizione dei mercati, sull’esclusione di un’impresa del mercato, ecc.); intese verticali (risultanti da accordi tra un produttore ed i suoi distributori nell’ambito di contratti di distribuzione selettiva o esclusiva); imprese comuni (la cui creazione può rientrare nel campo della proibizione di cartelli o costituire un’operazione di concentrazione); intese tra imprese appartenenti allo stesso gruppo (nel quadro dei mercati pubblici, il Consiglio ha ritenuto che non sia contrario alle norme concorrenziali, per imprese con legami giuridici o finanziari, rinunciare alla loro autonomia commerciale e concertarsi per rispondere a delle offerte pubbliche).Sull’abuso di posizione dominante, così come per i cartelli, i due sistemi italiano e francese presentano molte somiglianze. Tuttavia, contrariamente al diritto francese ed a quello tedesco, nella legislazione italiana non si fa alcun riferimento alle situazioni di «dipendenza economica». Peraltro, l’identificazione di questo caso è alquanto complessa e, sinora, il Consiglio non ha rilevato alcun caso che rientri nello sfruttamento abusivo di una situazione di dipendenza economica. Pertanto, si può forse concludere che il legislatore italiano sia stato, a questo riguardo, più saggio di quello francese. Più in generale, per quanto riguarda i casi di abuso di posizione dominante, il Consiglio deBa concorrenza ha seguito un’impostazione piuttosto tradizionalista.Anche sul controllo delle concentrazioni, il testo della legge italiana richiama quello francese e anche quello della normativa comunitaria, pur se è diversa la ripartizione delle competenze tra Autorità incaricata della concorrenza e Governo. Nella legge italiana, d’altra parte, vi sono delle norme relative alla partecipazione al capitale bancario che fanno pensare ad un dibattito molto vivo su questo tema.I livelli «soglia” per l’obbligo di notifica delle concentrazioni sono più elevati in Francia. Bisognerà poi vedere con quale frequenza il Governo italiano farà ricorso all’art. 25, che gli conferisce il potere di fissare criteri di carattere generale che consentono di autorizzare operazioni di concentrazione per ragioni d’interesse generale, nel quadro dell’integrazione europea.L’interesse delle autorità amministrative francesi nei riguardi delle concentrazioni, che un tempo era molto limitato, è divenuto più intenso negli anni più recenti, anche se i casi di divieto di concentrazioni sono stati sinora molto limitati.In conclusione, si può ricordare che un organismo competente in materia di protezione della concorrenza ha un triplice compito: pedagogico (attraverso la pubblicazione delle decisioni, delle motivazioni e delle ordinanze su questioni di carattere generale e sui rapporti attinenti al funzionamento del mercato), correttivo (per distogliere gli operatori economici da comportamenti anti-concorrenziali) e, infine, dissuasivo (poiché l’esperienza di applicazione delle leggi relative alla concorrenza dimostra che la loro efficacia dipende in modo decisivo dalla comminazione di sanzioni).
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Trotto, Chiara. "Le politiche urbane del governo senegalese e lo sviluppo cittŕ di Dakar". STORIA URBANA, n.º 126 (septiembre de 2010): 95–115. http://dx.doi.org/10.3280/su2010-126005.

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La cittŕ di Dakar rappresenta l'emblema dell'accentramento politico-amministrativo "alla francese". Il suo sviluppo urbano ha visto una crescita esponenziale che ha portato al sovraffollamento di molte aree urbane e peri-urbane soprattutto negli ultimi vent'anni. Le autoritŕ politiche hanno cercato di arginare il problema della crescita disomogenea e sregolata della cittŕ: dapprima attuando politiche stataliste di regolarizzazione forzata, successivamente attraverso progetti di costruzione partecipata dell'habitat urbano. L'unicitŕ della gestione urbana della cittŕ risiede nel codice urbanistico senegalese che lascia al presidente della Repubblica l'ultima parola riguardo alle decisioni di politica urbana; questo a dimostrazione dell'importanza e del peso politico che ricoprono le problematiche urbane in questo paese e del difficile processo di decentralizzazione tuttora da metabolizzare. Negli ultimi anni, il presidente Abdoulaye Wade ha cercato di dare nuovo slancio alla capitale inaugurando costosi progetti infrastrutturali e avviando la costruzione di monumenti grandiosi, che danno lustro alla cittŕ; il suo obiettivo č riconsegnare alla cittŕ il ruolo di capitale dell'Africa francofona e, possibilmente, dell'Africa tutta, come polo trainante degli affari economici e commerciali della costa ovest.
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Colao, Floriana. "La sovranità della Chiesa cattolica e lo Stato sovrano. Un campo di tensione dalla crisi dello Stato liberale ai Patti Lateranensi, con un epilogo nell'articolo 7 primo comma della Costituzione". Italian Review of Legal History, n.º 8 (21 de diciembre de 2022): 257–312. http://dx.doi.org/10.54103/2464-8914/19255.

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Il saggio ricostruisce la genesi della ‘Premessa’ al Trattato del Laterano del 1929, in cui le Due Alte Parti – governo italiano e Santa Sede, con le firme di Mussolini e del cardinale Gasparri – garantirono alla Chiesa «una sovranità indiscutibile pur nel campo internazionale». Da qui la «necessità di costituire, con particolari modalità, la Città del Vaticano […] con giurisdizione sovrana della Santa Sede», e l’art. 2, «l’Italia riconosce la sovranità della Santa Sede nel campo internazionale come attributo inerente alla sua natura, in conformità alla sua tradizione ed alle esigenze della sua missione». Il saggio considera che i giuristi – Vittorio Emanuele Orlando, che, da presidente del Consiglio nel maggio giugno 1919 tentò una trattativa con la Santa Sede per la risoluzione della Questione romana, e Amedeo Giannini, che tra i primi suggerì a Mussolini un «nuovo codice della legislazione ecclesiastica» – legarono la Conciliazione alla crisi dello Stato liberale ed al «regime diverso», insediatosi in Italia il 28 Ottobre 1922. Il saggio considera che già nel 1925 il guardasigilli Alfredo Rocco coglieva nelle ‘due sovranità’ una pietra d’inciampo nella costruzione dello Stato totalitario, anche se dichiarava di dover abbandonare l’«agnostico disinteresse del vecchio dottrinarismo liberale». Il saggio considera che Rocco rimase ai margini delle trattative con la Santa Sede, dal momento che metteva in guardia dal riconoscimento del «Pontefice sovrano, soggetto di diritto internazionale», e da «un altro Stato nello Stato», principio su cui convergevano giuristi quali Ruffini, Scaduto, Schiappoli, Orlando. Le trattative segrete furono affidate a Domenico Barone – consigliere di Stato, fiduciario del Duce – e Francesco Pacelli, avvocato concistoriale e fiduciario del cardinal Gasparri; la sovranità della Chiesa ed un suo ‘Stato’ appariva come la posta in gioco. Il saggio considera che la nascita dello Stato della Città del Vaticano complicava l’‘immagine’ del Regno d’Italia persona giuridica unitaria, ‘costruita’ dalla giuspubblicistica nazionale, difesa anche da Giovanni Gentile sul «Corriere della Sera». Mostra che il fascismo intese riconoscere il cattolicesimo «religione dominante dello Stato» per rafforzare la legge 13 Maggio 1871 n. 214, «sulle guarentigie pontificie e le relazioni fra Stato e Chiesa», che aveva previsto un favor religionis per la Chiesa cattolica. La Conciliazione risalta come l’approdo di un lungo processo storico, che offriva forma giuridica al ruolo che il cattolicesimo aveva e avrebbe rivestito per l’identità italiana; non a caso nel Marzo 1929 Agostino Gemelli celebrava una «nuova Italia riconciliata con la Chiesa e con sè stessa, con la propria storia e la propria bimillenaria civiltà». Il saggio mostra che la sovranità della Chiesa e lo Stato della Città del Vaticano furono molto discusse nel dibattito parlamentare sulla ratifica dei Patti firmati l’11 Febbraio 1929, con i toni duri di Mussolini, che definì la Chiesa «non sovrana e nemmeno libera». Rocco affermò che il «regime fascista» riconosceva «de iure» una sovranità «immutabile de facto»; rispondeva agli «improvvisati e non sinceri zelatori dello Stato sovrano, ma anticlericale», che «lo Stato è fascista, non abbandona parte alcuna della sua sovranità». Jemolo e Del Giudice – estimatori delle « nuove basi del diritto ecclesiastico – colsero il senso di questa «pace armata» tra governo e Santa Sede. Il saggio esamina l’ampio dibattito sulla «natura giuridica» della sovranità della Chiesa e sulla «statualità» dello Stato della Città del Vaticano, tra diritto pubblico, ecclesiastico, internazionale, teoria generale dello Stato. Coglie uno snodo nel pensiero di Santi Romano, indicato da Giuseppe Dossetti alla Costituente come assertore del «principio della pluralità degli ordinamenti giuridici». Il saggio esamina poi il confronto sullo Stato italiano come Stato confessionale, teoria sostenuta da Santi Romano, negata da Francesco Scaduto. Taluni – Calisse, Solmi, Checchini, Schiappoli – guardavano ai Patti Lateranensi come terreno del rafforzamento della sovranità dello Stato; Meacci scriveva di «Stato superconfessionale, cioè al di sopra di tutte le confessioni»; Piola e Del Giudice tematizzavano uno «Stato confessionista». Jemolo – che nel 1927 definiva la «sovranità della Chiesa questione forse insolubile» – affermava che, dopo gli Accordi, «il nostro Stato non sarà classificabile tra i Paesi separatisti, ma tra quelli confessionali». Il saggio esamina poi il dibattito sulla sovranità internazionale della Chiesa – discussa, tra gli altri, da Anzillotti, Diena, Morelli – a proposito della distinzione o unità tra la Santa Sede e lo Stato Città del Vaticano – prosecuzione dello Stato pontificio o «Stato nuovo» – e della titolarità della sovranità. Il saggio si sofferma poi sul dilemma di Ruffini, «ma cos’è precisamente questo Stato», analizzando uno degli ultimi scritti del maestro torinese, il pensiero di Orlando, Jemolo, Giannini, una monografia di Donato Donati e una di Mario Bracci, due dense «Lectures» di Mario Falco sul Vatican city, tenute ad Oxford, Ordinamento giuridico dello Stato della Città del Vaticano di Federico Cammeo, in cui assumeva particolare rilievo la «sovranità, esercitata dal Sommo Pontefice», per l’«importanza speciale» nei «rapporti con l’Italia». Quanto agli ecclesiasticisti, il saggio esamina le prospettive poi sviluppate nell’Assemblea Costituente, uno scritto del giovane Giuseppe Dossetti – docente alla Cattolica – sulla Chiesa come ordinamento giuridico primario, connotato da sovranità ed autonomia assoluta non solo in spiritualibus; le pagine di Jannaccone e D’Avack sulla «convergenza tra potestas ecclesiastica e sovranità dello Stato come coesistenza necessaria della Chiesa e dello Stato e delle relative potestà»; un ‘opuscolo’ di Jemolo «per la pace religiosa in Italia», che nel 1944 poneva la libertà come architrave di nuove relazioni tra Stato e Chiesa. Il saggio conclude il percorso della «parola sovranità» – così Aldo Moro all’Assemblea Costituente – nell’esame del sofferto approdo all’articolo 7 primo comma della Costituzione, con la questione definita da Orlando «zona infiammabile». Sull’‘antico’ statualismo liberale e sul ‘monismo giuridico’ si imponeva il romaniano pluralismo; Dossetti ricordava la «dottrina dell’ultimo trentennio contro la tesi esclusivista della statualità del diritto». Rispondeva alle obiezioni dei Cevolotto, Calamandrei, Croce, Orlando, Nenni, Basso in nome di un «dato storico», «la Chiesa cattolica […] ordinamento originario […] senza alcuna compressione della sovranità dello Stato». Quanto al discusso voto comunista a favore dell’art. 7 in nome della «pace religiosa», Togliatti ricordava anche le Dispense del 1912 di Ruffini – imparate negli anni universitari a Torino – a suo dire ispiratrici della «formulazione Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani». Tra continuità giuridiche e discontinuità politiche, il campo di tensione tra ‘le due sovranità’ si è rivelato uno degli elementi costitutivi dell’identità italiana, nel segnare la storia nazionale dei rapporti tra Stato e Chiesa dall’Italia liberale a quella fascista a quella repubblicana, in un prisma di temi-problemi, che ancora oggi ci interroga.
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Dieci, Daniele. "La politique de la ville e i quartiers sensibles in Francia: un profilo". STORIA URBANA, n.º 135 (febrero de 2013): 91–118. http://dx.doi.org/10.3280/su2012-135005.

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Resumen
Il saggio tratta la storia delle politiche urbane francesi, approfondendo l'evoluzione cronologica del dispositivo pubblico della politique de la ville e della categoria pubblica di quartier sensible. Si parte dalle origini delle politiche urbane francesi che vedono il quartiere come unitŕ territoriale di riferimento passando attraverso i moti delle balie, che influenzano fortemente le policy, dagli anni '80 in poi. Parallelamente sono analizzati i testi normativi piů importanti, i dibattiti parlamentari, gli avvicendamenti politici, le riforme introdotte e la nascita della geografia prioritaria, concludendo con i moti urbani piů recenti e le critiche alle misure adottate dal governo francese.
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Mazzone, Matteo. "Due tecnicismi artistico-architettonici di origine francese: orifiamma e vaso orifiamma". XV, 2020/4 (ottobre-dicembre), n.º 4 (18 de diciembre de 2020): 71–76. http://dx.doi.org/10.35948/2532-9006/2020.5438.

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Alcuni dei nostri lettori ci chiedono informazioni riguardo alla corretta forma del plurale e all’etimologia di orifiamma, nonché al significato che la parola assume in ambito artistico e architettonico.
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Collomb, Henri. "Psicoterapie tradizionali non verbali in Africa". PSICOTERAPIA E SCIENZE UMANE, n.º 2 (mayo de 2022): 189–204. http://dx.doi.org/10.3280/pu2022-002001.

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È pubblicato per la prima volta in italiano il testo presentato da Henri Collomb (1913-1979) in un convegno a Istanbul nel 1970 e poi redatto in forma scritta nel 1972 in francese. Lo psichiatra francese descrive i significati attribuiti alla sofferenza psichica presso le popolazioni Wolof e Lébou del Senegal, il comportamento della società autoctona nei confronti dell'individuo sofferente, la struttura delle istituzioni terapeutiche native, ed espone, in maniera dettagliata, i metodi e le tecniche di cura tradizionali. L'articolo discute inoltre l'integrazione, l'articolazione e la possibile conflittualità tra psicoterapia occidentale e terapeutiche cosiddette tradizionali, invitando il clinico operante in contesti altri a porsi in una posizione di ascolto e decifrazione delle rappresentazioni nosologiche e delle pratiche di cura locali.
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Sutter, Daniel. "Constitutions and Collective Action". Journal of Public Finance and Public Choice 13, n.º 2 (1 de octubre de 1995): 161–66. http://dx.doi.org/10.1332/251569298x15668907540147.

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Abstract In questo lavoro l’autore argomenta che in base alia teoria del contrattualismo politico un sistema di governo è necessario per superare l’equilibrio subottimale del dilemma del prigioniero tipico di una forma di governo anarchica. Senza l’azione volontaria del singolo il dilemma del prigioniero, tuttavia, non viene risolto ed anche il dilemma del rent-seeking diventa fonte di problemi: è necessario dunque il controllo del cittadino suU’operato del governo. L’autore quindi sostiene l’importanza educativa e civile del ruolo dell a norma onde attuare attraverso la forma di governo il fenomeno del rent-seeking, specie in considerazione del fatto che in varie forme di governo il supporto normative crea vantaggi «non esclusivi», stimolando il livello degli investimenti.
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Barisione, Mauro. "ELETTORI INDECISI, ELETTORI FLUTTUANTI: CHE VOLTO HANNO I «BILANCIERI» DEL VOTO? I CASI ITALIANO E FRANCESE". Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 31, n.º 1 (abril de 2001): 73–108. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200029555.

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Introduzione In un sistema d'alternanza, un tipico esito elettorale è quello in virtù del quale il partito o la coalizione vincente accede alle funzioni di governo grazie ad un margine di voti esiguo, sufficiente tuttavia a fare la differenza rispetto alla coalizione avversaria e, magari, rispetto al proprio risultato delle elezioni precedenti. Se, tuttavia, i punti percentuali che una coalizione acquista (o perde) da un'elezione all'altra sono attribuibili a una pluralità di fattori (dal ricambio generazionale degli elettori, alla multidirezionalità dei flussi di voto, al peso di volta in volta variabile dell'astensionismo) più complessi di quelli rilevabili con una semplice operazione algebrica (del tipo: «35% all'elezione e, 40% all'elezione e2, uguale 5% di nuovi elettori»), resta però assai plausibile che le differenze percentuali tra una coalizione e l'altra ad un dato scrutinio possano essere determinate dal comportamento di una minoranza di elettori «marginali». E ciò è tanto più plausibile quanto più decisivi si rivelano quei seggi aggiudicati alla coalizione vincente, collegio per collegio, sulla base di pochi voti di scarto, sovente frutto di scelte effettuate da elettori rimasti indecisi fino all'ultimo momento.
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Bruzzo, Aurelio. "Le misure di politica economica per le PMI nelle ZFU italiane: opportunitŕ e problematiche". ARGOMENTI, n.º 28 (junio de 2010): 41–60. http://dx.doi.org/10.3280/arg2010-028003.

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Da qualche anno le Zone franche urbane sono oggetto del dibattito di politica economica. Il governo italiano, infatti, dopo aver siglato un contratto con le 22 Amministrazioni locali interessate all'introduzione di un regime di esenzioni nelle zone piů disagiate del loro territorio, alla fine dell'anno scorso ha stravolto - per decreto - l'originario provvedimento assunto in materia. Ma in cosa consiste la politica delle ZFU adottata in Italia e quali sono le specifiche misure da questa previste a favore delle PMI? E soprattutto com'č stata sviluppata tale politica in confronto all'analoga francese cui dichiaratamente essa s'ispira? Il presente articolo, cercando di ricostruire l'intera vicenda, intende fornire una risposta a queste domande, fino a giungere a una complessiva valutazione critica, ancor prima che la politica in questione inizi a essere applicata.
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Pappalardo, Adriano. "AUSTERITÀ CONSERVATRICE E RIGORE SOCIALISTA: CHE DIFFERENZA? I". Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 21, n.º 1 (abril de 1991): 33–90. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200009813.

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IntroduzioneI partiti socialisti dell'Europa meridionale sono gli attori politici sui quali piò si è concentrata l'attenzione della comunità scientifica negli anni ottanta. Tre ragioni, piò o meno connesse, spiegano questo fenomeno, che rappresenta una svolta rispetto all'indifferenza, o all'interesse marginale, a lungo prodotti dal tema. La prima — ovvia — è la rapida scalata al potere dei partiti in questione, sull'onda di maggioranze elettorali senza precedenti nei paesi interessati. Quali caratteristiche avrebbe assunto la loro azione di governo, gli obiettivi ai quali si sarebbe rivolta e le probabilità di successo nel conseguirli, sono stati gli interrogativi inizialmente trattati dai commentatori, piò o meno suggestionati dalle ambizioni programmatiche del socialismo francese (Wright 1984; Beaud 1983), o dal piò cauto, ma pur sempre significativo, «cambio» annunciato da quelli spagnoli (Psoe 1982) o portoghesi.
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Paoli, Matilde. "Il mistero della galaverna". XI, 2019/4 (ottobre-dicembre) 11, n.º 4 (26 de marzo de 2012): 67–71. http://dx.doi.org/10.35948/2532-9006/2020.3263.

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Manuela Bonfatti dalla provincia di Reggio Emilia e Giorgio Giordano da Torino ci chiedono quale sia l’etimologia di galaverna; più in particolare Fabrizio Conti dalla provincia di Firenze ci domanda se è possibile ipotizzare un imparentamento etimologico tra il termine e la forma francese verglas. Infine Marco Orlandi da Lodi si interroga se galaverna sia da considerare un termine regionale/dialettale o se invece abbia “dignità di Italiano ufficiale”. Segnaliamo che una risposta di Luca Serianni sul significato di galaverna era già apparsa sul n.19 (ottobre 1999) della Crusca per voi.
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Benzoni, Riccardo. "Laicizzare la beneficenza. La distribuzione dotale nelle feste politiche del Regno d’Italia napoleonico (1805-1814)". Journal of Church History 2021, n.º 1 (1 de junio de 2021): 3–17. http://dx.doi.org/10.24193/jch.2021.1.1.

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"Riassunto. Luogo privilegiato della costruzione del consenso per Bonaparte, le feste politiche del Regno d’Italia napoleonico (1805-1814) costituiscono un caso di studio alquanto significativo per osservare il processo di progressiva laicizzazione della beneficenza che ebbe luogo nella tarda età Moderna. Nel conferire una profonda accelerazione alle novità introdotte dai sovrani illuminati alla metà del secolo XVIII, le iniziative che vennero promosse in questo ambito dal regime napoleonico favorirono infatti la graduale assunzione da parte governo – e specificamente del ministero dell’Interno – di prerogative in precedenza spettanti alle autorità ecclesiastiche e ai gruppi confraternali. Attraverso lo studio della distribuzione delle doti alle fanciulle indigenti in occasione delle feste politiche, il lavoro si propone pertanto di lumeggiare i tratti della profonda trasformazione che ebbe luogo nel corso della stagione francese e di porre altresì l’accento sul cospicuo ritorno, ricercato dal regime tramite la distribuzione delle elargizioni, nei termini del radicamento dell’adesione."
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Sobrino, Giorgio. "La forma di governo in Italia dopo il 1993: mutamenti e nuovi orientamenti". Revista de Direitos e Garantias Fundamentais 21, n.º 3 (8 de diciembre de 2020): 31–74. http://dx.doi.org/10.18759/rdgf.v21i3.1824.

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O presente artigo descreve as mudanças na forma de governo na Itália, e as novas tendências que ocorreram nesse sentido, no período posterior a 1993. Este ano - em que ocorreu o referendo popular que revogou a lei eleitoral proporcional que havia regulamentado as eleições na Itália desde os primeiros anos da República - representa um “divisor de águas” na reconstrução da doutrina sobre a forma de governo. Iniciou-se um longo período de transição da forma de governo italiana para uma estrutura diferente à anterior, com uma conotação majoritária. Este artigo também destaca que, a partir de 2013/2014, iniciou-se uma nova fase da forma de governo na Itália (hoje ainda não facilmente classificável), devido à mudança no sistema político determinada pela irrupção do “MoVimento 5 Stelle” e, por outro lado, aos acórdãos do Tribunal Constitucional n ° 1/2014 e n ° 35/2017, que declararam ilegítimas as duas últimas leis eleitorais majoritárias.
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Grimaldi, Angelo. "La forma di governo nella Costituzione Romana del 1849". Misión Jurídica, n.º 20 (1 de julio de 2021): 174–96. http://dx.doi.org/10.25058/1794600x.1916.

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Dalla Costituzione romana del 1849 emerge una forma istituzionale “quasi dualistica” o “dualismo zoppo”. Si prevede una separazione dei poteri che però non rende possibile l’influenza ex post di un organo sulla funzione dell’altro, uno dei due organi costituzionali è claudicante: il Presidente collegiale della Repubblica, pur partecipando direttamente alla funzione legislativa, non può esercitare il veto sospensivo (accompagnato dalle osservazioni presidenziali), ma può soltanto, “senza ritardo”, promulgare la legge. L’Assemblea nomina il Presidente collegiale della Repubblica; i tre consoli non possono essere scelti fra i parlamentari, quindi si stabilisce la separazione dei due più importanti attori costituzionali. Il Presidente collegiale della Repubblica era a capo del Governo, ad esso spettava la nomina e la revoca dei ministri, quindi i ministri erano legati al Consolato da un rapporto “interno” di fiducia, ma tale rapporto di fiducia non poteva instaurarsi tra il Consolato-Governo e l’Assemblea. I due poteri, Legislativo e Capo dello Stato-Esecutivo, si costituiscono in due centri di autorità distinti, congegnati in un modo tale ed unico da potersi definire forma “quasi dualistica”. L’istituto della controfirma stabilisce il principio della “non responsabilità dei Consoli”, ma in che modo la Costituzione avrebbe garantito la irresponsabilità del Presidente (collegiale) della Repubblica se si afferma l’esatto contrario negli articoli 43, 44, 45 e 55? Risulta difficile immaginare un’evoluzione al parlamentarismo, cioè la responsabilità giuridica avrebbe aperto la strada alla responsabilità politica e, di conseguenza, al sistema parlamentare?
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Bonomelli, Lorenzo. "Il colera del 1836 e il corpo francese d'occupazione di Ancona. Tra gestione dell'epidemia e rappresentazioni politico-culturali". IL RISORGIMENTO, n.º 1 (mayo de 2021): 34–66. http://dx.doi.org/10.3280/riso2021-001003.

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Resumen
L'articolo studia l'epidemia di colera che colpì Ancona nel 1836 focalizzandosi sul punto di vista della guarnigione francese insediata in città, nell'intento di analizzare l'impatto del «morbo asiatico» sulle relazioni tra i militari occupanti, le autorità e la popolazione civile. I generali francesi non lesinarono critiche al governo pontificio per la pessima gestione dell'emergenza sanitaria, influenzata dal «préjugé de la contagion» e orientata a pratiche medievali che, a loro avviso, esprimevano l'arretratezza dello Stato della Chiesa. Per tutta risposta, la pubblicistica reazionaria annoverava il colera tra i mali del XIX secolo, associandolo al ricordo degli sconvolgimenti portati dalla rivoluzione e da Napoleone. Questa lettura politico-culturale imperniata sullo scontro tra modernità e reazione non trova però corrispondenza nella realtà dei rapporti sociali e diplomatici: l'epidemia rafforzò i legami di solidarietà tra militari e civili, finendo per consolidare le buone relazioni tra Roma e Parigi.
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Calisee, Mauro y Renato Mannheimer. "COME CAMBIANO I GOVERNANTI DI PARTITO". Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 16, n.º 3 (diciembre de 1986): 461–83. http://dx.doi.org/10.1017/s004884020001618x.

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Resumen
IntroduzioneLa forma di governo in Italia sta cambiando. Da almeno un decennio si fanno sempre più frequenti i segnali che il governo repubblicano sta uscendo da quella sindrome di « parlamentarismo integrale » che aveva caratterizzato il primo trentennio di instaurazione di un regime democratico di massa in questo paese. Una maggiore autonomia e capacità decisionale dell'esecutivo si manifesta su più piani. Anche a voler tralasciare i mutamenti nello stile di leadership, alcune modifiche rilevanti hanno investito la struttura e la forma medesima dell'iter decisionale del governo: basta pensare al ruolo sempre più determinante della decretazione d'urgenza e ad alcune importanti modifiche organizzative come il Consiglio di Gabinetto e il tanto atteso varo della riforma della Presidenza prevista dall'articolo 95 della Costituzione. Senza peraltro dimenticare quel rafforzamento del potere di intervento della Presidenza del Consiglio che investe ambiti operativi forse meno visibili sotto il profilo istituzionale, ma che toccano gangli vitali del sistema politico, quali i media e i servizi di intelligence.
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Calise, Mauro. "L'ISTITUZIONALIZZAZIONE DEL GOVERNO". Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 17, n.º 2 (agosto de 1987): 209–31. http://dx.doi.org/10.1017/s004884020001666x.

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Resumen
IntroduzioneIl concetto di istituzionalizzazione continua ad avere un'accoglienza difficile negli studi politologici. Da Bentley a Easton, la scienza politica si è sviluppata contrapponendo la politica come processo alla politica come stato, e non v'è dubbio che le istituzioni rafforzino il versante strutturale di questa dicotomia. Parlare di istituzioni in scienza politica pone l'accento sul fatto che i comportamenti tendono a cristallizzarsi, le azioni si oggettivizzano. Fino a risollevare il vecchio dubbio che le istituzioni obbediscano a una propria logica autonoma, tant'è che gli analisti delle politiche pubbliche sono tornati a chiedersi «perché la forma dovrebbe seguire la funzione». In America, si è cominciato a parlare di «new institutionalism» per richiamare l'attenzione sulla perdurante importanza dei fattori organizzativi nella vita politica. In contrasto con gli assunti behavioristi, «la maggior parte degli attori principali nei moderni sistemi economici e politici sono organizzazioni formali, e le istituzioni della legge e della burocrazia occupano un ruolo dominante nella vita contemporanea». Il tentativo di Huntington, alla fine degli anni sessanta, di fondare sul concetto di istituzionalizzazione una teoria empirica dello sviluppo politico sembra dunque approdato alla riscoperta delle istituzioni come gabbia del mutamento.
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D'Urso, Donato. "La gestione dell'ordine pubblico dopo i fatti di Aigues-Mortes". ITALIA CONTEMPORANEA, n.º 260 (febrero de 2011): 511–25. http://dx.doi.org/10.3280/ic2010-260009.

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L'eccidio di lavoratori emigrati avvenuto nell'agosto 1893 ad Aigues-Mortes, nella Francia meridionale, provocň accese proteste in molte cittŕ italiane. In alcuni casi le dimostrazioni popolari degenerarono in atti di violenza: i fatti piů gravi avvennero a Roma contro l'ambasciata francese e a Napoli. Le agitazioni colsero di sorpresa le autoritŕ che non seppero affrontare l'emergenza con misure adeguate. All'epoca, la polizia aveva un organico assai ridotto (5.000 uomini in tutt'Italia) cosicché, in aggiunta ai carabinieri, sovente bisognava chiedere l'intervento di reparti dell'esercito nei servizi di ordine pubblico. L'autore illustra quali misure adottarono i prefetti di Roma e di Napoli, ai quali spettava la responsabilitŕ del mantenimento dell'ordine. Le commissioni d'inchiesta giudicarono negativamente il loro operato e il governo puně i due alti funzionari per avere sottovalutato la situazione e utilizzato in modo inadeguato le forze di cui disponevano per soffocare i disordini. Lo studio reca in appendice il testo del rd. 5 gennaio 1899 che codifica in modo piů puntuale rispetto al passato le norme sull'impiego della truppa in servizio di pubblica sicurezza.
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Marcenaro, Simone. "Filologia e cultura epica: il caso dei trobadores". Revista de Literatura Medieval 30 (31 de diciembre de 2018): 13–28. http://dx.doi.org/10.37536/rlm.2018.30.0.74043.

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Alcune cantigas de escarnio e maldizer del trovatore galego-portoghese Fernan Soarez de Quinhones alludono, in forma parodica e burlesca, alla letteratura epica, sia attraverso l’uso di forme e stilemi propri del genere, sia attraverso una rete di rimandi intertestuali. L’analisi e lo studio dei possibili intertesti utilizzati dal trovatore per le sue canzoni satiriche possono dirci qualcosa di più in merito alla cultura letteraria del circolo di autori che si riunirono alla corte del futuro Alfonso X, ancora infante, nel quarto decennio del XIII secolo; allo stesso tempo, sarà possibile fornire dati utili sull’influsso dell’epica antico-francese nell’Iberia medievale.
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Mori, Simona, Laura Di Fiore, Chiara Lucrezio Monticelli y Marco Meriggi. "Un confronto sui sistemi di polizia politica nell'Italia preunitaria." SOCIETÀ E STORIA, n.º 176 (agosto de 2022): 301–71. http://dx.doi.org/10.3280/ss2022-0176005.

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Il forum propone una riflessione a più mani sul tema della polizia politica nell'Italia post-napoleonica, che la maturità degli studi su quel comparto strategico dei governi legittimisti sembra ormai consentire. Questa prima messa a punto di taglio comparato vuole cogliere le molte risonanze esistenti fra i dispositivi di controllo politico che, muovendo dalla paradigmatica esperienza rivoluzionaria e napoleonica, gli stati della penisola misero in campo per contrastare le pulsioni eversive dilaganti nell'intero continente con strategie coordinate. L'esame dei casi evidenzia al contempo i profili comuni e le curvature che ciascun governo impresse alle politiche securitarie, tematizzandole in vario modo nel discorso pubblico. Si conferma così, accanto al portato repressivo di questa azione, la duttilità della funzione poliziesca e il ruolo ambivalente che essa giocò nei processi di politicizzazione delle società agli albori della contemporaneità. Per il Regno delle Due Sicilie il contributo di Laura Di Fiore guarda con particolare attenzione alla fase post-quarantottesca, rilevando per un verso l'intensa cooperazione instaurata dal governo borbonico con gli stati confinanti per il contrasto all'attività cospirativa degli esuli, per l'altro la strategia di degradazione del nemico, ovvero della militanza anti-sistema, adottata sul piano retorico. Chiara Lucrezio Monticelli mette a fuoco la peculiare interazione realizzata dallo Stato della Chiesa fra gli ordinamenti di polizia sperimentati nell'incisiva stagione francese e le più tradizionali strutture del controllo ecclesiastico, effetto di un'intensa dialettica interna fra conservazione e riforma. Il Regno Lombardo-Veneto esaminato da Simona Mori mette la polizia politica al servizio del suo progetto imperiale di temperata conservazione, sostanzialmente fallendo nell'intento di egemonizzare i servizi di sicurezza operanti nella penisola, mentre sul versante interno alterna fasi di tolleranza ad altre di rigore, senza riuscire ad arginare l'allargarsi del dissenso. Marco Meriggi conclude con un quadro d'insieme che attinge alla memorialistica, alla letteratura e alle fonti normative, per restituire una rappresentazione multiprospettica della polizia politica che, ridimensionata rispetto al titanismo evocato dalla narrazione risorgimentale, viene a configurarsi come strumento di un complessivo disegno di governo verticale della società, che accomuna i maggiori contesti politici dell'Italia restaurata.
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Cavino, Massimo. "UNA CONCEZIONE SVALUTATIVA DELLA RAPPRESENTANZA PARLAMENTARE: IL CONTRATTO DI GOVERNO". Il Politico 251, n.º 2 (3 de marzo de 2020): 221–38. http://dx.doi.org/10.4081/ilpolitico.2019.246.

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Durante la XVIII legislatura, i leader della maggioranza parlamentare italiana hanno accettato di formare un governo di coalizione attraverso il "Contratto per il governo del cambiamento". L'approvazione di questo documento ha rappresentato una novità significativa nella politica italiana e, di conseguenza, merita un'attenta considerazione. Il saggio si concentra sulla forma giuridica del "Contratto" e prende in considerazione i suoi effetti sul funzionamento del Parlamento e del Gabinetto italiano.
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Turi, Gabriele. "Le culture della destra". ITALIA CONTEMPORANEA, n.º 260 (febrero de 2011): 392–403. http://dx.doi.org/10.3280/ic2010-260002.

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Della cultura di destra č stato sottolineato l'aspetto mediatico, ma il berlusconismo č un fenomeno piů profondo, capace di influenzare ampi strati del ceto medio: un'ideologia eclettica che amalgama le tradizioni di Forza Italia, Alleanza nazionale e Lega nord, fondendo insieme populismo, individualismo esasperato, revisionismo storico, uso strumentale e identitario della religione. Nell'ultimo ventennio le forze di destra hanno occupato lo spazio lasciato vuoto dalle sinistre, indebolite negli anni ottanta dall'offensiva culturale del riformismo craxiano: una volta al governo sono state capaci di costruire gli strumenti di una propria egemonia culturale, riviste e fondazioni portatrici di messaggi semplici ed efficaci: libertŕ intesa come liberismo e diffidenza per lo Stato, lotta al relativismo culturale, rilettura revisionistica della storia che tende a equiparare fascismo e antifascismo in nome di una "pacificazione nazionale". La Rivoluzione francese č considerata la fonte di tutti i mali della modernitŕ, il Risorgimento un premeditato attacco alla religione cattolica; la triade "Dio, Patria, Famiglia" č coniugata ieri come oggi a sottolineare l'identitŕ di un paese timoroso degli immigrati e delle loro culture. Si č cosě formato uno schieramento culturale teo-con che appare oggi tanto forte da far ritenere che nella societŕ italiana il berlusconismo possa sopravvivere a lungo a Berlusconi.
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Canepa, Aristide. "Forma di governo e collettività locali nella Costituzione tunisina del 2014". CITTADINANZA EUROPEA (LA), n.º 1 (julio de 2015): 123–39. http://dx.doi.org/10.3280/ceu2015-001005.

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Musella, Fortunato. "L'evoluzione della forma di governo in Italia. Populismo presidenziale al lavoro?" DEMOCRAZIA E DIRITTO, n.º 3 (julio de 2011): 126–43. http://dx.doi.org/10.3280/ded2010-003008.

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Elster, Jon. "La democrazia deliberativa". SOCIETÀ DEGLI INDIVIDUI (LA), n.º 36 (enero de 2010): 33–50. http://dx.doi.org/10.3280/las2009-036004.

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Resumen
- L'articolo esamina le qualitÀ della democrazia deliberativa a partire dal riferimento a espressioni storiche di questa: nelle istituzioni ateniesi del quinto-quarto secolo a. C., nella Convenzione Federale statunitense del 1788, negli Stati Generali della Rivoluzione francese, in varie esperienze locali odierne. Stabiliti tre modelli di democrazia (diretta, rappresentativa, del sorteggio) e tre criteri per la deliberazione (moralitÀ, causalitÀ, probabilitÀ), la questione da affrontare č se la forma deliberativa di democrazia sia un buon sistema politico. La risposta č sě, purché si verifichino tre condizioni: intensitÀ della motivazione nei partecipanti, orientamento al bene pubblico della motivazione stessa, corretta informazione dei partecipanti. Ma si tratta di una conclusione ipotetica, che tiene conto della complessitÀ e molteplicitÀ dei fattori in gioco, e dunque del fatto che nessuna proprietÀ dei processi decisionali collettivi č desiderabile incondizionatamente.
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Greggi, Filippo. "veridizione neoliberale". Nóema, n.º 13 (20 de noviembre de 2022): 47–67. http://dx.doi.org/10.54103/2239-5474/18854.

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Resumen
A partire dalla tesi che nel neoliberalismo è all’opera una pratica di governo degli altri che si effettuatramite la sollecitazione di un modo particolare di governo di sé, nel presente contributo si tenterà diconsiderare lo specifico regime di verità che si profila in relazione a questa forma di esercizio delpotere. Per comprendere questa particolare declinazione della veridizione come tecnica di sé atta adassicurare il governo degli altri l’articolo si svilupperà in tre parti. In un primo momento si tenterà didefinire la nozione di regime di verità affinché sia possibile comprenderne la portata in relazione allagovernamentalità neoliberale. Si avrà così modo, in un secondo momento, di analizzare il regime diverità neoliberale andando a definire il suo funzionamento e i suoi bersagli. Sarà possibile, infine,studiare gli effetti che tali pratiche veridizionali ingenerano nei processi di soggettivazione nella misurain cui producono un individuo imprenditore di sé, le cui scelte e comportamenti devono essere animatidalla logica del capitale umano.
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Di Virgilio, Aldo. "Elezioni in Italia – Prima e dopo le elezioni politiche: referendum su temi bioetici, elezioni regionali in Sicilia e Molise, referendum di revisione costituzionale". Quaderni dell'Osservatorio elettorale QOE - IJES 58, n.º 2 (30 de diciembre de 2007): 141–59. http://dx.doi.org/10.36253/qoe-10215.

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Procreazione medicalmente assistita: referendum abrogativi senza quoziente di validità Le elezioni regionali in Sicilia del maggio 2006 Le elezioni regionali in Molise del novembre 2006 Il referendum confermativo in tema di forma di governo: la cancellazione della riforma del centrodestra
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van Meerhaeghe, Marcel A. G. "Belgian Federalism. An Appraisal". Journal of Public Finance and Public Choice 13, n.º 1 (1 de abril de 1995): 71–76. http://dx.doi.org/10.1332/251569298x15668907540066.

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Abstract L’Autore si propone di illustrare le caratteristiche fondamentali del federalismo in Belgio. L’analisi si concentra in particolare su alcune delle difficoltà che hanno accompagnato il processo di realizzazione di questa forma di governo e che ancora persistono, quali l’applicazione del principio della territorialità, il sistema di finanziamento e il principio della solidarietà.
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Messina, Patrizia. "L'associazionismo intercomunale come forma di governo delle reti e strumento di sviluppo strategico del territorio". ARGOMENTI, n.º 36 (enero de 2013): 85–104. http://dx.doi.org/10.3280/arg2012-036004.

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Il saggio presenta uno studio di caso sull'efficacia occupazionale dei tirocini di formazione e orientamento prendendo in esame i Search and matching models quale principale riferimento per lo studio della disoccupazione e delle dinamiche che favoriscono l'inserimento lavorativo. Secondo tale approccio l'impiego di strumenti e di misure di politica attiva del lavoro come i tirocini, che favoriscono l'incontro tra domanda e offerta di lavoro abbattendo i costi di ricerca di un impiego, avrebbe come effetto una crescita occupazionale. Partendo da una posizione critica nei confronti di tale approccio lo studio coglie alcune caratteristiche tipiche nell'utilizzo dei tirocini, ne esalta le potenzialità formative ma mette in dubbio le potenzialità occupazionali. Classificazione .
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Demontis, Simona. "«Ma bella più di tutte l’Isola Non-Trovata» . Montalbano, Falcó e Adamsberg: personaggi seriali a confronto nella narrativa di Camilleri, Pérez-Reverte e Vargas". Cuadernos de Filología Italiana 27 (7 de julio de 2020): 287–311. http://dx.doi.org/10.5209/cfit.64144.

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Molti personaggi letterari si potrebbero paragonare metaforicamente a isole inaccessibili, su cui tanti si sforzano, senza successo, di esercitare una forma di possesso. Questo lavoro si focalizza su tre personaggi, l’italiano Montalbano, il francese Adamsberg, lo spagnolo Falcó, tra i quali ho cercato di dimostrare che sussistano numerose ed evidenti analogie, riguardo alla loro personalità e ai loro rapporti con i colleghi di lavoro, con la famiglia, gli amici, gli amori. Si tratta di individui straordinari dalle caratteristiche eccezionali che, spinti dall’esigenza di autonomia, tendono a seguire il loro istinto e spesso a violare le regole; hanno logica, intuito, capacità di reazione insoliti, tali da farli primeggiare rispetto a chi li circonda. La loro superiorità innegabile può essere invidiata o sminuita, ma inevitabilmente li porta a evitare i legami e a scegliere la solitudine volontaria come stile di vita, come condizione necessaria per il funzionamento della loro mente privilegiata e presupposto indispensabile per il mestiere che hanno deciso di svolgere.
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Longo, Antonio. "Cernusco sul Naviglio. Piano di governo del territorio 2008-2010". TERRITORIO, n.º 57 (junio de 2011): 91–92. http://dx.doi.org/10.3280/tr2011-057012.

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Il servizio presenta il progetto per il Piano di Governo del Territorio del Comune di Cernusco sul Naviglio, cittŕ di 30.000 abitanti a est di Milano, sviluppato tra maggio 2008 e ottobre 2010, in un periodo delicato di ingresso nella fase di crisi economica e del mercato immobiliare. Il piano č stato sviluppato come insieme di attivitŕ che hanno preso forma in stretta relazione con le condizioni di contesto, non tanto come successione ordinata e progettata, quanto piuttosto come stratigrafia di azioni simultanee di carattere sia ordinario che sperimentale. Gli articoli si concentrano rispettivamente sui cambiamenti di prospettiva e di metodo nello sviluppo del progetto portati dalle conseguenze della crisi economica e dalla conseguente necessitŕ di confrontarsi con risorse limitate, sulla costruzione tecnica del piano.
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Farinella, Calogero. "Caleb Williams, o l’umamanità divisa: letteratura e politica in William Godwin". ACME 74, n.º 1 (26 de noviembre de 2021): 99–116. http://dx.doi.org/10.54103/2282-0035/16794.

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Storico dai molteplici interessi, bibliotecario, musicista, uomo di cultura e grande modernista, studioso, in particolare, dell’Italia settecentesca, Calogero Farinella ci ha prematuramente lasciati nel giugno del 2019, a poco più di sessanta anni. Le sue pubblicazioni sulla Genova del Settecento e sulla scienza illuminista (veronese specialmente: Francesco Bianchini, Anton Mario Lorgna e l’Accademia dei Quaranta) fanno e faranno sempre data negli studi di storia della cultura. Allievo tra i più brillanti di Salvatore Rotta (1926-2001), dal quale mutuò la passione per il XVIII secolo in particolare, Farinella si laureò sotto la sua guida su William Godwin (1756-1836), padre di Mary Shelley, filosofo e scrittore politico di area libertaria, che, con la sua fondamentale opera, marchia a fuoco il passaggio, in Gran Bretagna, dai Lumi al Romanticismo. Sulla figura e gli scritti di Godwin, ricavandoli dalla propria dissertazione di laurea, Farinella estrasse e pubblicò, negli anni Ottanta del secolo scorso, due articoli, apparsi nel volume della «Miscellanea storica ligure» contenente gli Studi in onore di Francesco Cataluccio (William Godwin ed il suo Journal all’epoca della Rivoluzione Francese, xv, 1984), e poi su Studi settecenteschi (Il governo più semplice. Il mito democratico-repubblicano in William Godwin, viii, 1987). Un terzo ampio articolo, che contiene spunti davvero interessanti sul romanzo utopistico di Godwin, rimase inedito, sino a oggi, malgrado l’oggettivo e rilevante valore del contributo di Farinella. Crediamo, pertanto, di fare cosa gradita alla memoria dell’amico e dello studioso pubblicandolo per la prima volta, in questa sede.
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Rubino, Francesco. "Costituzionalismo e governamentalismo". DESC - Direito, Economia e Sociedade Contemporânea 2, n.º 1 (4 de octubre de 2019): 184–205. http://dx.doi.org/10.33389/desc.v2n1.2019.p184-205.

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Questo saggio analizza le origini della definizione di governance e tenta di stabilire le linee di sviluppo e applicazione del stesso concetto. La dialettica tra costituzionalismo (visione, interpretazione, prospettive delle regole del gioco politico-legale) e governamentalismo (tentativo di semplificare la complessità delle democrazie contemporanee) è alla base della teoria del governo come forma specifica e imperfetta di governance (sopra) dell'economia.
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Cavaggion, Giovanni. "Minoranze e opposizioni in un Parlamento marginalizzato". DIRITTO COSTITUZIONALE, n.º 3 (noviembre de 2022): 95–124. http://dx.doi.org/10.3280/dc2022-003005.

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L'articolo studia il ruolo delle opposizioni e delle minoranze parlamentari alla luce delle trasformazioni in atto nella forma di governo italiana. A partire dalla stagione della "Se-conda Repubblica" il saldarsi dell'asse tra Governo e maggioranza parlamentare ha progressivamente ridotto i margini per la partecipazione dlle opposizioni e delle minoranze alla determinazione dell'indirizzo politico. La fine del bipolarismo e il ritorno a un sistema elettorale prevalentemente proporzionale sembrano avere aggravato anziché attenuare, le distorsioni in atto. L'articolo si interroga sui possibili rimedi, che potrebbero essere, alternativamente, la riaffermazione della centralità del Parlamento, ovvero l'introduzione di adeguati strumenti di tutela per le minoranze e le opposizioni parlamentari.
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Dario, Maria. "Tradizione e contestazione II. La manipolazione della forma nella letteratura francese dell’Ottocento, a cura di Maria Emanuela Raffi". Studi Francesi, n.º 163 (LV | I) (1 de mayo de 2011): 198–99. http://dx.doi.org/10.4000/studifrancesi.6046.

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Cangiano, Mimmo. "Gli uomini parleranno, ma non diranno nulla’. La via italiana alla Sprachkritik". Quaderni d'italianistica 36, n.º 2 (27 de julio de 2016): 69–102. http://dx.doi.org/10.33137/q.i..v36i2.26900.

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La Sprachkritik, o critica del linguaggio, si pone — in particolar modo per l’intellighenzia austriaca e francese — quale uno dei luoghi fondamentali della “cultura della crisi” primonovecentesca, anzitutto in quanto riflesso, nelle strutture linguistiche, di una più generale messa in discussione del concetto di verità oggettiva. Il saggio analizza, in primo luogo, la presenza di tale questione in alcuni intellettuali italiani del periodo coevo (Giuseppe Prezzolini, Aldo Palazzeschi, Giovanni Boine e Carlo Michelstaedter), e chiarifica, in secondo luogo, come l’emersione di tale problematica implichi la partecipazione italiana ad alcune delle principali direttive culturali moderniste. Il tema analizzato permette infine di esplicitare, mediante le diverse prese di posizione degli intellettuali italiani sul tema, una fondamentale frattura all’interno dello stesso orizzonte culturale modernista; permette di chiarire, vale a dire, come il movimento modernista, pur partendo da nuclei tematico-filosofici similari, abbia immediatamente espresso su tali nuclei giudizi e soluzioni differenti. Le diverse prese di posizione sulla questione della Sprachkritik esemplificano la diversità degli approcci culturali rispetto a più centrali e diffusi nuclei tematici modernisti quali la questione della “morte di Dio”, l’entrata in crisi dell’idea di Soggetto e l’impossibilità della Forma di contenere in sé il dilagare della Vita.
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Vogler, Stefanie Karin. "Didattica a distanza di Lingua tedesca in ambiente universitario". Altre Modernità, n.º 27 (30 de mayo de 2022): 131–44. http://dx.doi.org/10.54103/2035-7680/17882.

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Negli ultimi due anni, la pandemia ha obbligato docenti e studenti ad adeguarsi a una nuova forma di didattica a distanza anche a livello universitario. Il contributo muove dall’esperienza nella Scuola di Economia dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, dove l’inglese è la prima lingua obbligatoria, mentre il tedesco viene offerto in alternativa al francese e allo spagnolo. Insegnare una materia la cui caratteristica principale è la comunicazione in un contesto che per la sua stessa natura pone dei forti limiti all’interazione in quanto i partecipanti (sia docenti che studenti) rimangono fisicamente lontani fra di loro, presenta delle notevoli sfide. Attraverso esempi emersi nell’aula virtuale vengono esaminati i problemi riscontrati e le soluzioni sperimentate in diciotto mesi di didattica soltanto da remoto. L’analisi degli aspetti critici e degli elementi positivi emersi da questa esperienza porta a riflettere su alcuni concetti basilari dell’apprendimento autonomo e, di conseguenza, sul ruolo dei docenti e dei discenti. L’obiettivo è di esaminare le modalità con cui integrare tali concetti in un ambiente istituzionale quale l’università, per formulare proposte concrete per lo studio del tedesco sia a distanza che in presenza dopo il rientro (forse anche solo parziale) nell’aula reale.
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Orioles, Vincenzo. "Tra sicilianità e sicilitudine". Linguistica 49, n.º 1 (29 de diciembre de 2009): 227–34. http://dx.doi.org/10.4312/linguistica.49.1.227-234.

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Tra i suffissi cosiddetti identitari, che esprimono e connotano una determinata appartenenza, conosce ultimamente in ambito italiano una crescente diffusione il tipo -itudine che ritroviamo ad esempio in sarditudine, russitudine, romagnolitudine e in altre consimili formazioni: si tratta di un paradigma derivazionale che possiamo considerare 'riattivato' dopo un periodo nel quale la sua produttività sembrava bloccata. A partire dalla caratterizzazione territoriale, -itudine finisce con l'acquistare la funzionalità di una marca di identità socioculturale e come tale ben si presta ad essere aggiunto, con una progressiva estensione funzionale, a forme nominali che evocano stili di vita (punkitudine), condizioni esistenziali (casalinghitudine, singletudine), o anche propensioni e idiosincrasie (gaffitudine). Alla base di tale nuova fortuna del modulo formativo possono essere collocate due espressioni pilota e cio è da una parte negritudine, che su sollecitazione del francese négritude si identifica con i valori delle civiltà dell'Africa nera, e dall'altra sicilitudine a cui ha garantito ampia risonanza la valenza pregnante propria dell'uso di Leonardo Sciascia. Il contributo mira ad approfondire in particolare la genesi dell'espressione sicilitudine individuandone l'onomaturgo in realtà nello scrittore Crescenzio Cane (1959) e cercando di delimitarne lo statuto rispetto alla forma concorrente sicilianità.
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Lupo, Nicola y Giovanni Piccirilli. "Le recenti evoluzioni della forma di governo italiana: una conferma della sua natura parlamentare". DEMOCRAZIA E DIRITTO, n.º 1 (octubre de 2012): 85–109. http://dx.doi.org/10.3280/ded2012-001006.

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Fusaro, Carlo. "Ruolo del presidente della Repubblica e forma di governo in Italia. L’ipotesi semi-presidenziale". Civitas Europa 30, n.º 1 (2013): 7. http://dx.doi.org/10.3917/civit.030.0007.

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Carmagnola, Fulvio. "Prospettive etiche nell'estetica". EDUCAZIONE SENTIMENTALE, n.º 16 (septiembre de 2011): 94–104. http://dx.doi.org/10.3280/eds2011-016007.

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Resumen
Nel mondo contemporaneo la bellezza č ancora un valore in se stessa? Questa la questione che propongo nel saggio. La estetizzazione del mondo della vita, ovvero la sempre crescente quantitŕ di "bellezza" presente nei beni economici, č la situazione problematica che prendo in considerazione: come č possibile un punto di vista etico nel campo dell'estetica, se la bellezza oggi non ha solo un valore simbolico, secondo l'affermazione kantiana del paragrafo 59 della("Io dico che la bellezza č il simbolo del bene morale") ma ha piuttosto un sempre crescente significato economico? Sono dell'idea che ciň che il pensatore francese Jean-Francois Lyotard chiamava "condizione postmoderna" (1979) implichi una nuova condizione della bellezza, che va sotto il nome di estetizzazione: il design, inteso come un punto di vista che privilegia la forma e l'aspetto attraente dei beni economici o "la pelle della cultura" (D. De Kerkhove) assume la prioritŕ sull'Arte e sugli artefatti di alto livello, e diventa l'aspetto principale della bellezza. Dunque noi dobbiamo prendere in considerazione i processi di valorizzazione economica e le basi istituzionali dei sistemi (Sistema-Arte, Sistema-Design. Sistema-Moda e cosi via) come la vera sfera nella quale porre il problema della bellezza e del gusto. Questa situazione implica una significativa variazione storica della domanda etica circa la bellezza: come costruire una nuova specie di giudizio di gusto (in termini kantiani: Urtheilskraft) che sia in grado di sfuggire a una sorta di compulsione consumistica al piacere o all'attuale "imperativo estetico" che si presenta nella forma paradossale dell'ingiunzione: "Enjoy!". Giocare - con o contro - questo imperativo estetico, questa la via che propongo per un'etica dell'estetica.
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