Literatura académica sobre el tema "Estetica e filosofia dell'arte in Russia"

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Artículos de revistas sobre el tema "Estetica e filosofia dell'arte in Russia"

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Marchetti, Luca. "La filosofia dell'arte di Arthur C. Danto. Alcune traduzioni recenti". PARADIGMI, n.º 3 (diciembre de 2010): 163–72. http://dx.doi.org/10.3280/para2010-003012.

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Resumen
Il saggio si concentra su alcune recenti traduzioni italiane delle opere di A.C. Danto per mostrare le linee guida della sua filosofia dell'arte. In primo luogo la tesi per cui, se due oggetti "indiscernibili" appartengono a due categorie filosofiche differenti, non č piů possibile una teoria "estetica" dell'arte (teoria dell'imitazione, teoria dell'illusione, formalismo, ecc). In secondo luogo, la peculiare unione di "essenzialismo" (la definizione di condizioni necessarie e sufficienti) e di "storicismo" (con riferimento alla filosofia dell'arte hegeliana). Attraverso queste linee guida Danto affronta il rapporto tra filosofia e arte, tra arte e realtŕ (o tra opera d'arte e mero oggetto), la tesi della "fine dell'arte" e il problema dell'arte post-storica.
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Mazzoni, Augusto. "Manifestarsi dell'arte". De Musica, 13 de febrero de 2023. http://dx.doi.org/10.54103/2465-0137/18030.

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Resumen
Nella sua opera Il manifestarsi dell’arte. Estetica come fenomenologia (2010) Guenter Figal riconduce l’estetica ermeneutica di nuovo alla fenomenologia. L’arte non può essere ridotta ad alcune verità filosofiche. Al contrario, essa è manifestazione del bello. Le opere d’arte sono manifestazioni che mostrano sé stesse. Mostrano in esse e con esse un ordine decentrato che si pone per sé stesso come una manifestazione. Il presente articolo concentra l’attenzione sulla filosofia dell’arte di Figal da un punto di vista musicologico. L’obiettivo principale è comprendere come un’opera musicale possa essere una manifestazione che nelle sue strutture fenomenologiche mostra sé stessa in quanto ordine decentrato. In tale disamina critica emergono alcune questioni cruciali. L’opera musicale è davvero una cosa (Ding) o piuttosto è un fenomeno acustico? Il gioco ritmico può essere considerato come la
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Tesis sobre el tema "Estetica e filosofia dell'arte in Russia"

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Pizzati, Ilaria <1988&gt. ""The Artworld". Il mondo dell'arte contemporanea tra filosofia ed istituzioni". Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2014. http://hdl.handle.net/10579/4372.

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Resumen
L’intento di questo elaborato è quello di approfondire il concetto di Artworld, concepito nel 1964 dal filosofo Arthur Danto come risposta alla mostra personale di Warhol avvenuta lo stesso anno alla Stable Gallery di New York. Il lavoro è diviso in tre parti: nella prima parte verranno trattate le teorie sulla definizione dell’arte sviluppate da alcuni autori protagonisti della scena filosofica a partire dagli anni cinquanta, importanti per poter comprendere a pieno il panorama culturale in cui nasce e si evolve il concetto di Artworld. La seconda parte è dedicata in modo specifico al concetto di mondo dell’arte che verrà approfondito soprattutto attraverso la figure che più hanno contribuito al suo sviluppo, ovvero lo stesso Danto e George Dickie. Verranno presentate le loro teorie, il dibattito tra i due e le critiche di altri autori. L’ultima parte prevede una riflessione sul concetto mondo dell'arte da un punto di vista sociologico attraverso la figura di Howard Becker. Si concluderà l’elaborato con una riflessione su eventuali convergenze o divergenze tra quest’ultima visione e quella più concreta delle organizzazioni e industrie culturali.
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Lacchin, G. "Immagini dell'antichità nella filosofia dell'arte di Stefan George : Forma, riflessione e techne artistica". Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2004. http://hdl.handle.net/2434/141884.

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The poetics of Stefan George and of his circle defines itself as a reflection about the artistic form in its relationship with the themes of the antiquity, the romantic "new mythology" and the connection between intuition and artistic "poiesis"
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Marcuzzo, Francesco <1996&gt. "Arte e filosofia dell'arte: il pensiero di Arthur C. Danto e le sue conseguenze, tra Dickie e Margolis". Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2022. http://hdl.handle.net/10579/21528.

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Resumen
Arthur C. Danto è una delle figure più autorevoli e discusse nel panorama della filosofia dell'arte contemporanea poiché ha elaborato una teoria che vuole individuare le caratteristiche necessarie a qualche cosa perché essa sia considerata oggi un'opera d'arte. La sua teoria non solo ha animato un lungo e fecondo dibattito, ma ha anche causato dei fraintendimenti che hanno portato autori come George Dickie a elaborare nuove teorie in stretta connessione con la sua. Nella prima parte di questa tesi ricostruirò la filosofia dell'arte di Danto a partire dal saggio "The Artworld" del 1964 fino ad arrivare alla sua opera più sistematica del 1981, "La Trasfigurazione del banale", tenendo conto anche conto della produzione filosofica precedente al saggio del 1964. Insieme alla teoria di Danto ricostruirò anche uno dei suoi più importanti fraintendimenti, costituito dalla "Teoria istituzionale dell'arte" di Dickie, mostrando infine la sua relazione con la teoria dalla quale deriva. In seguito rivolgerò l'attenzione ai rapporti tra la filosofia dell'arte di Danto e quella di Hegel, dalla quale il primo trae la tesi fondamentale della fine dell'arte, e tenterò di far emergere la complessità del problema filosofico di fondo. Infine mi occuperò di alcuni modi in cui è possibile criticare la filosofia di Danto grazie, da un lato, al contributo fondamentale di J. Margolis e, dall'altro lato, ad alcune intuizioni che derivano dalla teoria istituzionale.
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Campana, Francesco. "La filosofia hegeliana della letteratura". Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2016. http://hdl.handle.net/11577/3427245.

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Resumen
The main subject of this dissertation is ‘Hegel’s Philosophy of Literature’. The general aim of my research is the analysis of the contemporary literary production through the conceptual framework of the German thinker. I will show two theses: 1.Literature differs from the other arts insofar it does not fall pray of the so-called ‘End of Art’. Literature, in fact, seems to involve in itself all the elements enabling her to resist the irreversible change of its own status. Considering all the arts, Literature seems to be the one able of better resisting the epochal turns, because it has in itself, maybe from its origins, the seeds of its own ‘End’. 2.In contemporary literary production we can see the realizations of some issue, that correspond to the features of Hegel’s philosophical interpretation of literary artwork. The first part of the research focuses on the secondary literature on Hegel’s Philosophy of Art and of Hegel’s Philosophy of Literature. I analyse the problem of the contemporary relevance of Hegel’s Aesthetics. I point out the modalities, the limits and the potentialities his philosophical approach for interpreting our present. The problem of the contemporary relevance of a classic author is strictly related to the topic of modernity. The very notion of modernity in Hegel’s philosophy is therefore investigated. In effect, Hegel provided most of the conceptual framework in which we think modernity. The second part of the research focuses on the analysis of ‘Hegel’s Philosophy of Literature’. Firstly I take into account the features of the way Hegel thinks Literature. ‘Hegel’s Philosophy of Literature’ is deeply grounded on theoretical, critical and historical dimension. The second step is a clarification of the role played by Art in the system and, more specifically, of the function of Literature in Hegel’s Philosophy of Art. Art is the first form of Absolute Spirit and it stands in an intermediated position between intuition and thought. Literature, i.e. ‘Poetry’ in Hegel’s terms, is the art that better express the notion of art itself (normative side of Literature). At the same time, because of its closeness to the other forms of Absolute Spirit, Literature is the best candidate to embody the ‘End’ (exceeding side). Poetry, in fact, uses word as its expressing mean. This is why it stands close to ordinary life on the one hand, and to the forms of Absolute Spirit, Religion and most importantly Philosophy on the other. ‘Poetry’’s proper place is thus in between ‘Prose of the World’ and ‘Prose of Thought’. These three elements represent the guideline for the interpretation of the contemporary literary production. I will therefore take in account the problem of anti-essentialism in Hegel’s Philosophy of Literature. I will try to find out a Theory of the Novel in Hegel’s thought. I will close this part with an analysis of the features characterizing modern Art in Hegel’s thought with a special focus on Literature (Human; Comedy, Irony, Humour; ordinary life). In the third part I will outline an ‘Hegelian’ interpretation of contemporary Literature. I will focus on the debate on the ‘End’ of Literature. On the basis of a model, deriving from ‘Hegel’s Philosophy of Literature’ I will structure my interpretation on three main points: ‘Poetry’, i.e. Literature as Art itself; ‘Prose of Thought’, as the tendency of Poetry to overcome itself through its own reflective and cerebral processes; ‘The Prose of the World’, that is the tendency to bring the actual world into Poetry. Starting from the analysis of the recent positions in literary criticism, I trace back the ‘Prose of Thought’ to the so called postmodern Maximalist Literature (Pynchon, Wallace, Bolaño) on the one hand, and the ‘ Prose of the World’ to the so called Non-fiction Literature (Capote, Carrére, Saviano). Nevertheless, the tendencies of the two kind of Prose are not rigid categories. In fact there are examples that share features of both (Franzen, Smith). I conclude my research by pointing out that the structure ‘Prose of the World-Poetry- Prose of Thought’ implies ‘Poetry’’s having in itself the element of its End on the one hand, and the possibility for it of resisting this very End (meant as a structural turn of its own status) on the other.
L’oggetto del presente lavoro è la filosofia hegeliana della letteratura e l’obiettivo che ci si prefigge è quello di interpretare la concreta produzione letteraria contemporanea, attraverso i concetti della ‘filosofia della letteratura’ del pensatore tedesco. Si intendono dimostrare due tesi: 1. La letteratura non va incontro alla ‘fine dell’arte’ nello stesso modo in cui accade per le altre arti. La forma d’arte letteraria sembra infatti avere, in sé, gli elementi capaci di resistere a un mutamento irreversibile del proprio status. La letteratura, tra le arti, sembra l’arte che più resiste agli stravolgimenti, perché ha in sé, forse da sempre, i germi della sua ‘fine’. 2. Nella produzione letteraria contemporanea, è possibile vedere realizzate alcune delle tendenze che rispondono ai caratteri dell’opera d’arte letteraria, così come veniva teorizzata da Hegel, nell’interpretazione che verrà qui proposta della sua ‘filosofia della letteratura’. La prima parte dell’elaborato è dedicata alla discussione della letteratura critica sulla filosofia hegeliana dell’arte e sulla filosofia hegeliana della letteratura. Viene affrontato il problema dell’’attualizzazione’ nella contemporaneità di una filosofia del come quella di Hegel. Si cercano di individuare le modalità, i limiti e le potenzialità di una interpretazione del presente attraverso il pensiero hegeliano. La questione dell’attualità è strettamente legata a quella della modernità e della contemporaneità. Si approfondisce quindi il concetto di modernità, come è stato inteso da Hegel. Hegel, infatti, ha fornito gran parte della cornice concettuale all’interno della quale noi pensiamo il moderno. La seconda parte dell’elaborato è dedicata all’analisi della ‘filosofia della letteratura’ di Hegel. Si analizzano, in primo luogo, le caratteristiche che il pensiero sulla letteratura ha in Hegel. La ‘filosofia della letteratura’ hegeliana è una filosofia costituita da una dimensione teorica, critica e storica. Si passa poi a individuare il ruolo dell’arte nel sistema hegeliano in generale e della letteratura in quello hegeliano delle arti. L’arte è la prima forma del sapere assoluto e occupa una posizione intermedia tra sensazione e pensiero. La letteratura, la ‘poesia’, in termini hegeliani è l’arte che più esprime, rispetto alle altre arti, il concetto di arte (aspetto normativo della letteratura) e, allo stesso tempo, per la sua posizione di confine e di vicinanza alle altre forme dello spirito assoluto, la migliore candidata a sperimentare la fine (aspetto eccedente). La poesia, infatti, utilizza la parola come suo mezzo espressivo. Questo la colloca in una posizione di stretta vicinanza con il quotidiano, la vita di tutti i giorni, da una parte, e le altre forme dello spirito assoluto, la religione e, soprattutto, la filosofia. La ‘poesia’ si trova così stretta tra la ‘prosa del mondo’ o ‘prosa del quotidiano’ e la ‘prosa della scienza’ o ‘prosa del pensiero’. Questi tre elementi, costituiranno la traccia per il modello di interpretazione della produzione letteraria contemporanea, presente nella terza parte. Ci si chiede quindi se la filosofia della letteratura hegeliana sia una teoria antiessenzialista e si indaga la possibilità di rinvenire, in Hegel, una teoria del romanzo. Si analizzano, infine, alcuni elementi e caratteri che caratterizzano l’arte nella modernità, per Hegel, in stretta relazione con la letteratura (umano; comico, ironico, umoristico; quotidiano). Nella terza parte viene proposta un’interpretazione ‘hegeliana’ della produzione letteraria contemporanea. Ci si sofferma sul dibattito riguardante la ‘fine’ della letteratura. Sulla base del modello tratto dalla ‘filosofia hegeliana della letteratura’, si individuano tre poli: la ‘poesia’, che è la letteratura in quanto arte; la ‘prosa del pensiero’, che è la tendenza della poesia a superare se stessa, attuando processi riflessivi e cerebrali; la ‘prosa del quotidiano’, che è invece la tendenza a far entrare il mondo reale nella ‘poesia’. A partire dalle analisi di critica letteraria degli ultimi anni, si individua quindi la ‘prosa del pensiero’ nella cosiddetta letteratura postmoderna ‘massimalista’ (Pynchon, Wallace, Bolaño); la ‘prosa del quotidiano’ nella cosidetta letteratura di ‘non-fiction’ (Capote, Carrére, Saviano). Poiché i poli delle due ‘prose’ non sono categorie rigide, ma campi di tensione entro cui vive la molteplicità concreta e complessa della letteratura, si individuano casi a metà strada che condividono elementi tratti dalle due tendenze (Franzen, Smith). In conclusione si evidenzia come questa struttura ‘prosa del quotidiano’- ‘poesia’-’prosa del pensiero’ costituisca, da una parte, il fatto che la poesia abbia in se stessa, come costitutivi, gli elementi della ‘fine’, dall’altra, il fatto che, proprio perché questa presenza è costitutiva, essa funge da resistenza contro una sua ‘fine’ irreversibile (inteso come mutamento strutturale del suo status).
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Bonato, Matilde. "Primi tentativi di figurazione: l'inizio dell'arte nelle lezioni berlinesi di Hegel". Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2015. http://hdl.handle.net/11577/3424292.

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Resumen
The object of the present study is Hegel’s conception of the symbolic form of art, as it is described in Hegel’s Lectures on the Philosophy of Art. I will focus on the problem of the symbolic form of art in order to highlight its essential traits and to define the role it plays in the development of art. Hegel gave a series of lectures on the philosophy of art in several university terms (in 1820/21, 1823, 1826 and 1828/29), but never published a book of his own on this topic. In order to highlight the peculiarities of Hegel’s mature conception of symbolic art, I will read transcripts of Hegel's lectures made by his students, the §§ 556–63 of the Encyclopaedia (1830) and some Hegel’s reviews published by him on magazines. In order to point out the development of Hegel's conception of symbol and symbolic art, I will also contemplate the notions of art and symbol in some texts dated from his period in Jena, Nürnberg and Heidelberg.  The first chapter is devoted to recreate the specific background in which Hegel develops his conception of art. More specifically, I will offer a terminological and historic-philosophical analysis of the concepts of art and symbol, which characterize Germany during the early years of the 19th century.  The second chapter is dedicated to the concept of symbol. In this chapter I will first analyze the concept of symbol which Hegel presents in the Encyclopaedia’s section devoted to the Psychology. Then I will focus on the properties that Hegel confers to the symbol in his lectures on the philosophy of art and I will try to highlight the complexity of this concept.  In the third chapter, I will deal with the issue of the end of the symbolic art: does the symbolic art end before or after the classical art? In order to answer to this question, I will compare the creation, the contents and the fruition of the classical form of art with the creation, the contents and the fruition of the symbolic form of art. I will also try to show that Hegel doesn’t define the classical beauty as the reconciliation of figure and content.  In the last chapter I will consider the connection between Hegel’s concept of symbolic art and the human ability to break with the habits and with what is already known, and to become open to something new.
L’analisi presentata in questo lavoro ha per oggetto l’interpretazione hegeliana dei primi momenti del darsi dell’evento artistico e cioè di quella forma d’arte che Hegel definisce simbolica. L’obiettivo della tesi è quello di definire quali siano le caratteristiche di tale forma artistica e quale sia il ruolo che essa gioca nello sviluppo dell’arte e nel più generale processo di conoscenza di sé da parte dello spirito. I testi su cui l’indagine si concentra risalgono al periodo berlinese di Hegel e sono, in primo luogo, le trascrizioni degli studenti presenti alle lezioni di filosofia dell’arte negli anni 1820/21, 1823, 1826, 1828/29 e, in secondo luogo, le edizioni berlinesi dell’Enciclopedia, le recensioni pubblicate da Hegel sulle riviste dell’epoca e l’ultima edizione del primo volume della Scienza della logica. Infine, per poter apprezzare l’evoluzione e le peculiarità che caratterizzano la matura concezione hegeliana dell’arte e del simbolo, la tesi offre un confronto di tale concezione con quella presente in alcuni testi risalenti al periodo di Jena, di Norimberga e di Heidelberg. Il primo capitolo è dedicato alla ricostruzione del contesto nel quale Hegel sviluppa la propria concezione dell’arte, la quale si distingue dalle altre teorie estetiche perché tripartita (essa è cioè divisa in: arte simbolica, arte classica, arte romantica). Più precisamente, l’analisi si sofferma ad analizzare gli elementi di originalità che caratterizzano la connessione posta da Hegel fra il concetto di simbolo e le produzioni artistico-culturali dei popoli orientali. Nel secondo capitolo, il binomio hegeliano simbolo-oriente viene approfondito in primo luogo attraverso l’analisi della definizione del concetto di simbolo offerta da Hegel nei paragrafi dedicati alla Psicologia nelle edizioni dell’Enciclopedia del 1827/1830 (e negli scritti ad esse preparatori) e, in secondo luogo, attraverso l’analisi della definizione della forma d’arte simbolica proposta nelle lezioni di Filosofia dell’arte berlinesi. Tale indagine mette in luce la complessità insita nella forma d’arte simbolica, la quale è pensata da Hegel come il succedersi di diversi momenti attraverso cui l’intelligenza guadagna una sempre maggiore determinazione del contenuto spirituale rispetto all’elemento naturale. Nel terzo capitolo si affronta la questione relativa alla fine dell’arte simbolica: tale forma artistica finisce prima o dopo del sorgere dell’arte classica? Al fine di rispondere a questa domanda, nel capitolo viene offerta un serrato confronto fra la forma d’arte simbolica e la forma d’arte classica, il quale ne mette in luce alcuni punti di analogia. Nel quarto ed ultimo capitolo la tesi relativa ad una possibile permanenza delle dinamiche simboliche nella forma d’arte classica viene verificata sulla base dell’effettivo avvicendarsi di opere d’arte descritto da Hegel. In conclusione viene considerata la possibilità di concepire il concetto hegeliano di arte simbolica come legato alla capacità umana di rompere con quanto è già noto e conosciuto e così rendere possibile il nuovo.
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BOTTA, GIOVANNI. "JACQUES MARITAIN E GEORGES ROUAULT". Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2015. http://hdl.handle.net/10280/6440.

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La ricerca che ho condotto è stata resa possibile da un lavoro di recupero dei carteggi inediti tra Jacques Maritain e Georges Rouault. Il fondo Rouault-Maritain è collocato attualmente nell’Archivio della Fondazione Georges Rouault di Parigi. La corrispondenza di Rouault è frutto di una donazione di Antoniette Grunelius a Isabelle Rouault, proveniente in parte dall’Archivio Maritain di Kolbsheim. Il difficile lavoro di recupero delle corrispondenze, durato tre anni, è stato reso possibile grazie al concorso attivo dei nipoti di Rouault a Parigi. La corrisponenza epistolare consta di 104 lettere (alcune di queste molto lunghe) e un corpus più ridotto di lettere (circa 30) tra I Maritain e la famiglia Rouault. La prima difficoltà che l’indagine ha richiesto è stata la decifrazione della calligrafia di Georges Rouault, di difficile intelleggibilità. Si è quindi repertoriata una griglia orientativa della morfologia dei caratteri adottati tendenzialmente da Rouault in modo da favorire il lento lavoro di comprensione. Tutte le lettere sono state catalogate secondo un criterio cronologico e attraverso un codice identificativo. Le lettere sono citate secondo questo codice, e dal contesto si evince sempre il mittente e il destinatario. Altra difficoltà incontrata è la struttura sintattica della corrispondenza non chiara e talvolta errata; la velocità e l’urgenza sono i tratti ricorrenti dello stile epistolare di Rouault, almeno nei confronti di Maritain. Questa difficoltà ha quindi originato un lavoro aggiuntivo che ha coinvolto tutta la famiglia Rouault per fornire un senso preciso a ciascuna lettera. La terza fase del lavoro è stata quella della contestualizzazione di ciascuna lettera attraverso la individuazione delle circostanze e delle implicite allusioni. Il tutto è stato corredato da note esplicative a piè di pagina. Per il caso delle lettere di Jacques Maritain la situazione è stata molto più agevole grazie alla ben nota chiarezza calligrafica del filosofo. Il carteggio ha portato alla luce dati inediti che apportano sostanziali integrazioni biografiche e che illuminano molteplici aspetti della relazione fraterna e amicale tra Georges Rouault e Jacques Maritain e le loro rispettive famiglie. L’ultima parte della ricerca si è orientata nell’analisi dei carteggi e nella scoperta di 4 convergenze di natura poetico filosofica tra Rouault e Maritain a partire dagli aspetti inediti rinvenuti nella biografia epistolare e dalle loro opere.
The research I conducted was made possible by a process of recovery of unpublished correspondence between Jacques Maritain and Georges Rouault. The fund Rouault-Maritain is currently located in the Archives of the Foundation Georges Rouault in Paris. The correspondence of Rouault is the result of a donation of Antoinette Grunelius Isabelle Rouault, coming in part from the Archives of Maritain Kolbsheim. The hard work of recovery of the matches, which lasted three years, was made possible thanks to the active assistance of the grandchildren of Rouault in Paris. The correspondence consists of 104 letters (some of these very long) and a smaller corpus of letters (30) between the Maritain and family Rouault. The first difficulty that the survey was required to decipher the handwriting of Georges Rouault, of difficult intelligibility. It is therefore repertoriata a grid to orient the morphology of the characters tend adopted by Rouault so as to favor the slow work of understanding. All letters have been cataloged chronologically and through an identification code. The letters are cited according to this code, and the context shows always the sender and the recipient. Another difficulty encountered is the syntactic structure of the correspondence is not clear and sometimes wrong; the speed and urgency are the recurrent features of the epistolary style of Rouault, at least against Maritain. This difficulty has therefore given rise to extra work that involved the whole family Rouault to provide a precise meaning to each letter. The third phase of the work has been to the contextualization of each letter by identifying the circumstances and implicit allusions. All this was accompanied by explanatory footnotes. For the case of the letters of Jacques Maritain, the situation was much smoother thanks to the well-known calligraphy clarity of the philosopher. The correspondence has unearthed new information has emerged that make substantial additions biographical and that illuminate many aspects of the fraternal relationship and friendship between Georges Rouault and Jacques Maritain and their respective families. The last part of the research is focused in the analysis of the correspondence and in the discovery of 4 convergence of poetic philosophical nature between Rouault and Maritain since the new aspects found in the biography and letters from their works.
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BOTTA, GIOVANNI. "JACQUES MARITAIN E GEORGES ROUAULT". Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2015. http://hdl.handle.net/10280/6440.

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La ricerca che ho condotto è stata resa possibile da un lavoro di recupero dei carteggi inediti tra Jacques Maritain e Georges Rouault. Il fondo Rouault-Maritain è collocato attualmente nell’Archivio della Fondazione Georges Rouault di Parigi. La corrispondenza di Rouault è frutto di una donazione di Antoniette Grunelius a Isabelle Rouault, proveniente in parte dall’Archivio Maritain di Kolbsheim. Il difficile lavoro di recupero delle corrispondenze, durato tre anni, è stato reso possibile grazie al concorso attivo dei nipoti di Rouault a Parigi. La corrisponenza epistolare consta di 104 lettere (alcune di queste molto lunghe) e un corpus più ridotto di lettere (circa 30) tra I Maritain e la famiglia Rouault. La prima difficoltà che l’indagine ha richiesto è stata la decifrazione della calligrafia di Georges Rouault, di difficile intelleggibilità. Si è quindi repertoriata una griglia orientativa della morfologia dei caratteri adottati tendenzialmente da Rouault in modo da favorire il lento lavoro di comprensione. Tutte le lettere sono state catalogate secondo un criterio cronologico e attraverso un codice identificativo. Le lettere sono citate secondo questo codice, e dal contesto si evince sempre il mittente e il destinatario. Altra difficoltà incontrata è la struttura sintattica della corrispondenza non chiara e talvolta errata; la velocità e l’urgenza sono i tratti ricorrenti dello stile epistolare di Rouault, almeno nei confronti di Maritain. Questa difficoltà ha quindi originato un lavoro aggiuntivo che ha coinvolto tutta la famiglia Rouault per fornire un senso preciso a ciascuna lettera. La terza fase del lavoro è stata quella della contestualizzazione di ciascuna lettera attraverso la individuazione delle circostanze e delle implicite allusioni. Il tutto è stato corredato da note esplicative a piè di pagina. Per il caso delle lettere di Jacques Maritain la situazione è stata molto più agevole grazie alla ben nota chiarezza calligrafica del filosofo. Il carteggio ha portato alla luce dati inediti che apportano sostanziali integrazioni biografiche e che illuminano molteplici aspetti della relazione fraterna e amicale tra Georges Rouault e Jacques Maritain e le loro rispettive famiglie. L’ultima parte della ricerca si è orientata nell’analisi dei carteggi e nella scoperta di 4 convergenze di natura poetico filosofica tra Rouault e Maritain a partire dagli aspetti inediti rinvenuti nella biografia epistolare e dalle loro opere.
The research I conducted was made possible by a process of recovery of unpublished correspondence between Jacques Maritain and Georges Rouault. The fund Rouault-Maritain is currently located in the Archives of the Foundation Georges Rouault in Paris. The correspondence of Rouault is the result of a donation of Antoinette Grunelius Isabelle Rouault, coming in part from the Archives of Maritain Kolbsheim. The hard work of recovery of the matches, which lasted three years, was made possible thanks to the active assistance of the grandchildren of Rouault in Paris. The correspondence consists of 104 letters (some of these very long) and a smaller corpus of letters (30) between the Maritain and family Rouault. The first difficulty that the survey was required to decipher the handwriting of Georges Rouault, of difficult intelligibility. It is therefore repertoriata a grid to orient the morphology of the characters tend adopted by Rouault so as to favor the slow work of understanding. All letters have been cataloged chronologically and through an identification code. The letters are cited according to this code, and the context shows always the sender and the recipient. Another difficulty encountered is the syntactic structure of the correspondence is not clear and sometimes wrong; the speed and urgency are the recurrent features of the epistolary style of Rouault, at least against Maritain. This difficulty has therefore given rise to extra work that involved the whole family Rouault to provide a precise meaning to each letter. The third phase of the work has been to the contextualization of each letter by identifying the circumstances and implicit allusions. All this was accompanied by explanatory footnotes. For the case of the letters of Jacques Maritain, the situation was much smoother thanks to the well-known calligraphy clarity of the philosopher. The correspondence has unearthed new information has emerged that make substantial additions biographical and that illuminate many aspects of the fraternal relationship and friendship between Georges Rouault and Jacques Maritain and their respective families. The last part of the research is focused in the analysis of the correspondence and in the discovery of 4 convergence of poetic philosophical nature between Rouault and Maritain since the new aspects found in the biography and letters from their works.
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Nucci, Angela 1980. "Forma e consciência : o desenvolvimento do pensamento artístico-filosófico na obra de Kazímir Maliévitch". [s.n.], 2015. http://repositorio.unicamp.br/jspui/handle/REPOSIP/281222.

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Resumen
Orientador: Nelson Alfredo Aguilar
Tese (doutorado) - Universidade Estadual de Campinas, Instituto de Filosofia e Ciências Humanas
Made available in DSpace on 2018-08-26T21:06:08Z (GMT). No. of bitstreams: 1 Nucci_Angela_D.pdf: 4545897 bytes, checksum: b757c0ee381a614e4de58b61e1dd3526 (MD5) Previous issue date: 2015
Resumo: A presente tese tem por objetivo discutir quais seriam as ligações entre o pensamento artístico-filosófico de Kazímir Sievierínovitch Maliévitch (1879-1935) ao longo dos anos de 1920 em relação aos debates da intelligentsia russa do início do século XX, especialmente aqueles ligados à tradição filosófico-mística. A preocupação de estudar Maliévitch frente a alguns de seus contemporâneos ocorre para entender o "sentido e o espírito" de um determinado período histórico e, embora as escolhas bibliográficas revelem interesse pela Filosofia russa, não se trata de uma tese centrada no âmbito da Filosofia, mas sim da História da Arte e suas ligações com a História Intelectual e a História Cultural. Ao longo de sua trajetória, Maliévitch fez uso de conceitos relacionados à tradição filosófica como intuição, mística, não-objetividade, infinito e transfiguração. Houve, portanto, a intenção de apresentar e discutir estes termos dentro de uma coerência interna que integrasse aspectos históricos e artísticos. Desconfiando da razão iluminista e das abordagens cientificistas do conhecimento, muitos pensadores russos viam na intuição, na individualidade criativa e no espírito o caminho para um conhecimento transcendente; pensamento perseguido pelo regime soviético, que no início de 1920 determinou a prisão e a deportação para o Ocidente de uma série de intelectuais russos. Dentre este grupo é possível citar alguns dos mais destacados pensadores russos do início do século XX, como Nikolai A. Berdiáev, Nikolai O. Losski, Pável A. Floriênski e Sierguéi N. Bulgákov. Estes filósofos retomavam alguns dos debates eslavófilos do século XIX e buscavam gerar novas discussões no campo filosófico, social e cultural, frente aos contextos pré e pós-revolucionários. A partir desse panorama, buscou-se pensar em um quadro mais amplo sobre os significados de algumas das questões abordadas por Maliévitch em seus tratados e em suas obras. Em um primeiro momento, buscou-se refletir sobre a produção pictórica pós-suprematista de Maliévitch, tanto no que diz respeito a sua ligação com a tradição popular e religiosa, quanto aos problemas e significados no contexto ideológico e artístico do período soviético. Um segundo ponto discutido, refere-se aos desdobramentos dos debates místicos no projeto artístico de Maliévitch, especialmente no período em que o artista viveu na cidade de Vitebsk, a qual acolheu pela mesma época figuras da importância de Mikhail M. Bakhtin e Pável N. Miedvédiev; estudiosos que estavam ligados a discussões e associações religiosas. Em um terceiro nível, a redação concentra-se no problema da representação artística e da livre criação no quadro da reconstrução social e de um "novo homem" no período em que existia um forte enfrentamento ideológico entre as correntes produtivistas, defensoras do desenvolvimento de uma "cultura material" e as correntes não-figurativas, nomeadas como "místicas" ou "subjetivas" por defenderem valores espirituais. Por fim, buscou-se evidenciar como a questão da representação artística na obra de Maliévitch, ligada ao reconhecimento de uma verdade dissociada da concepção objetiva da realidade, estava inserida em um conjunto de ideias que ganhou proporção suficiente para se tornar uma ameaça e ser diretamente combatido pelo regime soviético
Abstract: The present thesis aims to discuss what would be the connections between the artistic and philosophical thought of Kazimir Severinovich Malevich (1879-1935) along the 1920s compared to the debates of the Russian intelligentsia of the early twentieth century, especially those related to philosophical and mystical tradition. The concern of studying Malevich before some of his contemporaries is to understand the "meaning and the spirit" of a particular historical period, and although the bibliographic choices show interest in the Russian philosophy, it is not a thesis centered within the philosophy, but on Art History and its links to Intellectual History and Cultural History. Throughout his career, Malevich made use of concepts related to the philosophical tradition, such as intuition, mysticism, non-objectivity, infinite and transfiguration. Therefore, the intention was to present and discuss these terms within an internal coherence that integrates historical and artistic aspects. Distrusting enlightenment reason and scientistic approaches to knowledge, many Russian thinkers saw on intuition, creative individuality and spirit, the way to a transcendent knowledge; idea pursued by the Soviet regime, which in the early 1920s led to the arrest and deportation to the West of a number of Russian intellectuals. Among this group we can mention some of the most prominent Russian thinkers of the early twentieth century, as Nicolai A. Berdyaev, Nicolai O. Lossky, Pavel A. Florensky and Sergei N. Bulgakov. These philosophers retook some of the Slavophiles debates of the nineteenth century and sought to generate new discussions on philosophical, social and cultural fields, compared to pre and post-revolutionary contexts. From this background, we tried to think of a broader picture of the meanings of some of the issues addressed by Malevich in his treatises and in his works. At first, we tried to reflect on the pictorial production post-Suprematist of Malevich, both with regard to their connection with the popular and religious tradition, the problems and meanings in the ideological and artistic context of the Soviet period. A second point discussed refers to the unfolding of the mystics debates in the artistic design of Malevich, especially in the period in which the artist lived in the city of Vitebsk, which hosted the same time figures of the importance of Mikhail M. Bakhtin and Pavel N. Medvedev; scholars who were linked to discussions and religious associations. On a third level, the essay focuses on the problem of artistic representation and free creation in the context of social reconstruction and a "new man" in the period in which there was a strong ideological confrontation between the productivist currents, advocates the development of a "material culture" and the current non-figurative, named "mystical" or "subjective" for defending spiritual values. Finally, we sought to show how the issue of artistic representation in the work of Malevich, linked to the recognition of a dissociated truth of the objective conception of reality, was inserted into a set of ideas that gained sufficient proportion to become a threat and be directly fought by the Soviet regime
Doutorado
Historia da Arte
Doutora em História
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FRANCHIN, GLENDA. "L' arte del volto. Per un'antropologia dell'immagine". Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2009. http://hdl.handle.net/10280/628.

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Resumen
Il presente lavoro di tesi si propone come uno studio sullo statuto dell’immagine e in particolare dell’immagine del volto. L’ipotesi da cui si muove è che per comprendere pienamente la natura di un’immagine sia necessario approfondire l’elemento antropologico in essa contenuto, rintracciando al di là delle manifestazioni contingenti di ogni immagine specifica l’interazione strutturale che essa intrattiene con lo sguardo. L’immagine non è il risultato di un procedimento passivo dell’occhio del soggetto, che posto di fronte al reale si limita a reagire alla luce e a produrre il riflesso dell’oggetto: l’immagine è risposta all’avanzare del reale di uno sguardo. Ogni immagine è antropologica perché si dà secondo la misura del soggetto che la istituisce, cioè in relazione all’esperienza dell’individuo che la guarda o che la produce. Il presente studio tenta, quindi, di collocarsi in una posizione più originaria rispetto alle numerose questioni che hanno dominato il panorama speculativo del secondo Novecento a proposito della natura dell’immagine: il rapporto con il referente, la presunta sostituzione dell’immagine alla realtà, il dominio del regime visivo rispetto ad altri sistemi di significazione e così via. Si tratta di questioni della massima rilevanza, ma la convinzione che anima il presente lavoro è che al di là dei mutamenti – pur radicali – del darsi dell’immagine e della sua presenza nel corso dell’evoluzione della cultura si possa rintracciare una struttura fenomenologica del suo darsi in relazione allo sguardo. L’oggetto preferenziale che si è scelto per individuare tale struttura è il volto e in particolare l’immagine del volto, il ritratto. Il ritratto individua e traccia un luogo storico-teorico fondamentale per ripensare alla natura della rappresentazione, dell’opera d’arte e dello sguardo artistico come possibilità di accesso a una forma di reale e di verità dell’immagine di cui sarà necessario specificare i caratteri. L’analisi si apre con l’indicazione e la discussione del quadro fenomenologico di riferimento dell’intero lavoro, riproblematizzando le conclusioni del Concilio Niceno II e giungendo ad individuare la necessità di ripensare il concetto di rappresentazione. Tale ripensamento viene condotto sulla base dei testi di quattro autori, Jean-Luc Nancy, Regis Debray, Michel Dufrenne, Georges Didi-Huberman per giungere a una definizione della rappresentazione come re-presentazione dell’oggetto mediante l’immagine. Tale teoria conduce ad individuare la struttura propria di ogni immagine in una dinamica mai conclusa tra apertura e chiusura, tra caos e forma, tra infinita possibilità e definizione (capitolo primo). Il lavoro prosegue mettendo a fuoco il proprio oggetto specifico – l’immagine del volto – a partire da uno schema interpretativo «classico», il paradigma fisiognomico, mostrando come esso rappresenti la costante tentazione di misurare l’innumerabile, di costringere, classificare e fissare il mutevole per eccellenza, l’individualità che nel volto si esprime. La fisiognomica è una pratica dello sguardo declinata secondo la misura dell’appropriazione, un’utopia del controllo esatto sul modo d’essere dell’alterità (capitolo secondo). Il passo successivo sarà, quindi, quello di individuare una pratica del volto che non cerchi di costringerlo nelle maglie dell’idolo (cioè della staticità, della chiusura senza scampo della pietra muta): tale pratica può essere rintracciata nel ritratto, ovvero nello sguardo artistico che si indirizza sul volto. L’arte è esperienza dell’apertura, ovvero un agire che procede in direzione dell’assoluto altro delle possibilità del reale (Jean-Luc Nancy, Jacques Lacan); perciò contiene in essa la capacità di generare e ospitare un’immagine – del volto, ma non soltanto – in cui la soglia tra aperto (attraversamento da parte dell’alterità) e chiuso (darsi secondo una forma determinata) possa mantenersi senza cedere all’una o all’altra dimensione. L’arte è in grado di liberarsi dall’idolo, cioè da un’immagine su cui lo sguardo può posarsi godendo di una privilegiata condizione di quiete, riposando nell’illusoria convinzione di avere espunto dal campo visivo ogni elemento non controllabile e, soprattutto, capace di perturbare l’occhio osservante (capitolo terzo). Tali affermazioni vengono approfondite e messe alla prova grazie allo studio e alla frequentazione di una collezione di opere e artisti per lo più riconducibili temporalmente alla seconda metà del Novecento, a partire da Francis Bacon a cui viene dedicata la parte conclusiva del capitolo terzo. Il quarto e ultimo capitolo in cui vengono raccolti i materiali artistici analizzati è organizzato in cinque aree: estetica post-umanistica, rielaborazioni digitali del volto, morte e ritratto, volto e figurazione, volto e limiti della visibilità. Il lavoro si chiude con una riconsiderazione critica delle tesi esposte mediante il richiamo a Lévinas e alla sua posizione nei confronti dell’arte, giungendo ad affermare che l’immagine dell’altro nella forma del ritratto manifesti una pratica dell’alterità assimilabile al concetto greco di ποίησις.
If human body represents the border of the self as regards the external world and the other people, human face is the area of our body in which we can find the mark of our individuality. No other area of our body is as much suitable to mark out our individuality and give us social distinctiveness. With its permanent expressiveness and its ability to show infinitesimal changes, human face is essential to save the individual from the undifferentiated and to preserve human uniqueness. Face has meaning and sense, but its signification process can’t be closed. It goes beyond face itself, given that face is an area of configuration of a sense which bases itself on a mode which can be called “mid-say”: it leaves something unsaid, keeps on saying the same things but always halfway, reveals that something is hidden and makes this evident. Our face is a limited area with an unlimited spread (apertura, distensione) which can’t be eliminated - dynamism of opening and closing.
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FRANCHIN, GLENDA. "L' arte del volto. Per un'antropologia dell'immagine". Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2009. http://hdl.handle.net/10280/628.

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Resumen
Il presente lavoro di tesi si propone come uno studio sullo statuto dell’immagine e in particolare dell’immagine del volto. L’ipotesi da cui si muove è che per comprendere pienamente la natura di un’immagine sia necessario approfondire l’elemento antropologico in essa contenuto, rintracciando al di là delle manifestazioni contingenti di ogni immagine specifica l’interazione strutturale che essa intrattiene con lo sguardo. L’immagine non è il risultato di un procedimento passivo dell’occhio del soggetto, che posto di fronte al reale si limita a reagire alla luce e a produrre il riflesso dell’oggetto: l’immagine è risposta all’avanzare del reale di uno sguardo. Ogni immagine è antropologica perché si dà secondo la misura del soggetto che la istituisce, cioè in relazione all’esperienza dell’individuo che la guarda o che la produce. Il presente studio tenta, quindi, di collocarsi in una posizione più originaria rispetto alle numerose questioni che hanno dominato il panorama speculativo del secondo Novecento a proposito della natura dell’immagine: il rapporto con il referente, la presunta sostituzione dell’immagine alla realtà, il dominio del regime visivo rispetto ad altri sistemi di significazione e così via. Si tratta di questioni della massima rilevanza, ma la convinzione che anima il presente lavoro è che al di là dei mutamenti – pur radicali – del darsi dell’immagine e della sua presenza nel corso dell’evoluzione della cultura si possa rintracciare una struttura fenomenologica del suo darsi in relazione allo sguardo. L’oggetto preferenziale che si è scelto per individuare tale struttura è il volto e in particolare l’immagine del volto, il ritratto. Il ritratto individua e traccia un luogo storico-teorico fondamentale per ripensare alla natura della rappresentazione, dell’opera d’arte e dello sguardo artistico come possibilità di accesso a una forma di reale e di verità dell’immagine di cui sarà necessario specificare i caratteri. L’analisi si apre con l’indicazione e la discussione del quadro fenomenologico di riferimento dell’intero lavoro, riproblematizzando le conclusioni del Concilio Niceno II e giungendo ad individuare la necessità di ripensare il concetto di rappresentazione. Tale ripensamento viene condotto sulla base dei testi di quattro autori, Jean-Luc Nancy, Regis Debray, Michel Dufrenne, Georges Didi-Huberman per giungere a una definizione della rappresentazione come re-presentazione dell’oggetto mediante l’immagine. Tale teoria conduce ad individuare la struttura propria di ogni immagine in una dinamica mai conclusa tra apertura e chiusura, tra caos e forma, tra infinita possibilità e definizione (capitolo primo). Il lavoro prosegue mettendo a fuoco il proprio oggetto specifico – l’immagine del volto – a partire da uno schema interpretativo «classico», il paradigma fisiognomico, mostrando come esso rappresenti la costante tentazione di misurare l’innumerabile, di costringere, classificare e fissare il mutevole per eccellenza, l’individualità che nel volto si esprime. La fisiognomica è una pratica dello sguardo declinata secondo la misura dell’appropriazione, un’utopia del controllo esatto sul modo d’essere dell’alterità (capitolo secondo). Il passo successivo sarà, quindi, quello di individuare una pratica del volto che non cerchi di costringerlo nelle maglie dell’idolo (cioè della staticità, della chiusura senza scampo della pietra muta): tale pratica può essere rintracciata nel ritratto, ovvero nello sguardo artistico che si indirizza sul volto. L’arte è esperienza dell’apertura, ovvero un agire che procede in direzione dell’assoluto altro delle possibilità del reale (Jean-Luc Nancy, Jacques Lacan); perciò contiene in essa la capacità di generare e ospitare un’immagine – del volto, ma non soltanto – in cui la soglia tra aperto (attraversamento da parte dell’alterità) e chiuso (darsi secondo una forma determinata) possa mantenersi senza cedere all’una o all’altra dimensione. L’arte è in grado di liberarsi dall’idolo, cioè da un’immagine su cui lo sguardo può posarsi godendo di una privilegiata condizione di quiete, riposando nell’illusoria convinzione di avere espunto dal campo visivo ogni elemento non controllabile e, soprattutto, capace di perturbare l’occhio osservante (capitolo terzo). Tali affermazioni vengono approfondite e messe alla prova grazie allo studio e alla frequentazione di una collezione di opere e artisti per lo più riconducibili temporalmente alla seconda metà del Novecento, a partire da Francis Bacon a cui viene dedicata la parte conclusiva del capitolo terzo. Il quarto e ultimo capitolo in cui vengono raccolti i materiali artistici analizzati è organizzato in cinque aree: estetica post-umanistica, rielaborazioni digitali del volto, morte e ritratto, volto e figurazione, volto e limiti della visibilità. Il lavoro si chiude con una riconsiderazione critica delle tesi esposte mediante il richiamo a Lévinas e alla sua posizione nei confronti dell’arte, giungendo ad affermare che l’immagine dell’altro nella forma del ritratto manifesti una pratica dell’alterità assimilabile al concetto greco di ποίησις.
If human body represents the border of the self as regards the external world and the other people, human face is the area of our body in which we can find the mark of our individuality. No other area of our body is as much suitable to mark out our individuality and give us social distinctiveness. With its permanent expressiveness and its ability to show infinitesimal changes, human face is essential to save the individual from the undifferentiated and to preserve human uniqueness. Face has meaning and sense, but its signification process can’t be closed. It goes beyond face itself, given that face is an area of configuration of a sense which bases itself on a mode which can be called “mid-say”: it leaves something unsaid, keeps on saying the same things but always halfway, reveals that something is hidden and makes this evident. Our face is a limited area with an unlimited spread (apertura, distensione) which can’t be eliminated - dynamism of opening and closing.
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Libros sobre el tema "Estetica e filosofia dell'arte in Russia"

1

Franzini, Elio. Estetica e filosofia dell'arte. Milano: Guerini studio, 1999.

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2

Corda, Mario. Filosofia estetica e critica dell'arte. Rho, Milano: Gruppo Edicom, 1998.

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3

Giommoni, Marco. La motivazione del giudizio artistico: Estetica e filosofia dell'arte. Padova: CLEUP, 2010.

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4

Carlo, Mazzantini. L' estetica di Benedetto Croce e la filosofia dell'arte di Giovanni Gentile. Torino: Cooperativa L'Arca, 1995.

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