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Bartolini, Stefano. "COSA È «COMPETIZIONE» IN POLITICA E COME VA STUDIATA". Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 26, n.º 2 (agosto de 1996): 209–67. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200024230.

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Resumen
I termini «competizione politica», «elettorale» o «partitica» figurano nei titoli e nei testi di ricerca politica con crescente frequenza, ma con significati molto diversi. Per lo più, il termine è generico e si riferisce all'intero processo elettorale e parlamentare. Nei modelli formali esso indica le strategic dei partiti nei quadro ristretto di assunti sulle motivazioni, preferenze e informazioni. Nella letteratura sulla teoria democratica la competizione politica figura sovente come caratteristica essenziale, quando non definitoria, della democrazia stessa. In questo articolo voglio chiarire il senso dell'applicazione alla politica della categoria «competizione» partendo da cinque considerazioni critiche.
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Caramani, Daniele. "LA PARTECIPAZIONE ELETTORALE: GLI EFFETTI DELLA COMPETIZIONE MAGGIORITARIA". Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 26, n.º 3 (diciembre de 1996): 585–608. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200024515.

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PremessaI livelli di partecipazione elettorale vengono spesso considerati come uno dei principali termometri dello stato di salute di una democrazia. Sebbene la loro interpretazione da parte della teoria democratica non sia sempre stata univoca, il calo della partecipazione viene solitamente associato a immagini di «crisi» dei sistemi politici e delle tradizionali forme di rappresentanza, a fasi di transizione e ad atteggiamenti di disaffezione, di apatia e di protesta da parte dei cittadini nei confronti delle istituzioni.La forte crescita del fenomeno astensionista durante quello che viene ormai comunemente considerato il periodo della transizione italiana, sembrerebbe avvalorare questa tesi. Nel raffronto internazionale, tassi elevati e stabili hanno caratterizzato la partecipazione elettorale nell'Italia repubblicana. Tuttavia, dalla fine degli anni '70 l'astensionismo si è manifestato sempre più marcatamente. Se da un lato ciò ha destato una certa preoccupazione, dall'altro si è rinnovato l'interesse tra osservatori e studiosi nei confronti dei problemi della partecipazione elettorale2. I grandi mutamenti politici che si sono verificati a partire dalle elezioni del 1992 ed il grande fermento politico e sociale che ne è scaturito, non hanno invertito questa tendenza. Al contrario, la partecipazione alle elezioni ne è risultata contratta e le elezioni del 21 aprile 1996 hanno registrato una ulteriore brusca frenata dell'affluenza.
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Chiaramonte, Alessandro. "L'EFFETTO MANCATO DELLA RIFORMA MAGGIORITARIA: IL VOTO STRATEGICO". Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 26, n.º 3 (diciembre de 1996): 703–26. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200024540.

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La riforma elettorale tra speranze e scetticismoAl tempo della campagna in favore dell'adozione del principio maggioritario di rappresentanza in Italia, la speranza di molti era che il nuovo sistema elettorale potesse produrre effetti simili a quelli delle democrazie anglosassoni cui intendeva ispirarsi, ossia che strutturasse la competizione partitica in termini bipolari – se non bipartitici – e favorisse quindi l'alternanza dei governi.Sebbene siano trascorsi ormai più di tre anni da allora e, soprattutto, abbiano avuto luogo due elezioni, è ancora presto per dire se le nuove regole abbiano prodotto gli effetti desiderati. La transizione politica italiana è un processo ancora lontano dall'approdo finale e non consente ad oggi valutazioni definitive. Certo è che i sistemi elettorali introdotti nel 1993 sono stati caricati da molti di attese taumaturgiche, nonostante i moniti lanciati dal mondo scientifico sulla necessità di una modifica ben più incisiva dell'architettura istituzionale del sistema politico italiano. Qualunque sistema elettorale, infatti, costituisce di per sésolouna struttura di vincoli e di opportunità, dunque di vincoli più o meno stringenti e di opportunità che possono essere colte o meno. Inoltre, riguardo all'effettiva configurazione della normativa elettorale approvata dal Parlamento nell'agosto del 1993, la cautela sulle prospettive del cambiamento muoveva dalla considerazione che le nuove regole incarnavano entrambi i principi maggioritario (pur prevalente) e proporzionale di rappresentanza, quindi due logiche distinte di competizione e di voto sulla combinazione delle quali era difficile fare previsioni.
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Navarra, Pietro. "Voting Diversification Strategy: A Risk-Bearing Model of Voter Behaviour in Italian National Elections*". Journal of Public Finance and Public Choice 15, n.º 1 (1 de abril de 1997): 37–53. http://dx.doi.org/10.1332/251569298x15668907540651.

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Abstract L’ipotesi dell’elettore razionale afferma che i votanti valutano i costi e i benefici della loro partecipazione elettorale e li combinano secondo i precetti della massimizzazione dell’utilità attesa.In questo scritto il voto è analizzato come decisione d’investimento. Come tale l’atto del voto implica alcuni elementi d’incertezza. Nel caso italiano, peraltro, l’usuale imprevedibilità dei risultati elettorali è accompagnata da due altre fonti d’incertezza: quella delle nuove regole elettorali e quella del rischio connesso con le promesse elettorali di partiti che occupano uno spettro completamente cambiato, da sinistra a destra.Questo scritto si concentra su alcuni effetti prodotti dalle nuove regole sul comportamento di voto dell’elettorato italiano. L’analisi è limitata all’elezione per la Camera dei deputati dell’aprile 1996.Secondo i risultati conseguiti, i votanti che si sono spostati verso il centrosinistra possonoessereconsiderati come desiderosi d’intraprendere strategic di diversificazione più rischiose nel Nord e meno nel Centro e nel Sud d’Italia. Ciò può essere spiegato con la considerazione che al Nord la competizione elettorale nei collegi uninominali era più elevata e più imprevedibile rispetto all’Italia Centrale e Meridionale, a motivo del consenso elettorale della Lega Nord.
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D'Alimonte, Roberto y Alessandro Chiaramonte. "IL NUOVO SISTEMA ELETTORALE ITALIANO: QUALI OPPORTUNITÀ?" Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 23, n.º 3 (diciembre de 1993): 513–47. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200022474.

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IntroduzioneIl sistema elettorale è un complesso di regole che governano la traduzione delle preferenze in voti e dei voti in seggi (Rae 1971, 14) e, in quanto tale, costituisce al contempo un vincolo ed una risorsa per tutti coloro - elettori, partiti, candidati - i quali, a vario titolo, concorrono a determinare la rappresentanza politica. In altre parole, esso contribuisce a modellare la struttura delle opportunità di quegli attori, il tipo di competizione che prevale a livello del sistema partitico e, in certi casi, l'espressione stessa delle preferenze elettorali.
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Di Virgilio, Aldo. "Regionali 2005: l'Unione sfonda, la Casa delle Libertà ripara nel Lombardo-veneto. Si tratta di critical election?" Quaderni dell'Osservatorio elettorale QOE - IJES 54, n.º 2 (31 de diciembre de 2005): 151–70. http://dx.doi.org/10.36253/qoe-12721.

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Resumen
Attese della vigilia e caratteristiche della proposta elettorale. Quanto ha contato la partecipazione elettorale. La competizione maggioritaria: i numeri di un esito omogeneo. Il voto ai partiti: la rotta di Forza Italia, l'ambivalente risultato di Uniti nell'Ulivo. Elezioni critiche.
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Melchionda, Enrico. "L'ALTERNANZA PREVISTA. LA COMPETIZIONE NEI COLLEGI UNINOMINALI". Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 31, n.º 3 (diciembre de 2001): 399–469. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200029798.

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Introduzione Il nostro sistema politico sembra proprio destinato a una permanente instabilità, a una transizione senza fine, dopo il terremoto dei primi anni novanta. Eppure questa volta non mancano elementi per ipotizzare che a un assestamento si stia arrivando, finalmente. Le elezioni del 13 maggio rappresentano da questo punto di vista un salto di qualità: esse hanno espresso un risultato chiaro e una maggioranza consistente, in un contesto decisamente bipolare e in un rapporto di forze tra i blocchi che appare ormai costante. A questo salto di qualità dovrebbero contribuire anche altri fenomeni emersi chiaramente nell'ultima consultazione, come la «presidenzializzazione» delle campagne elettorali, la concentrazione dei consensi per i partiti e la loro redistribuzione all'interno dei blocchi. Non è facile prevedere quanto tutto ciò possa contribuire a consolidare gli assetti istituzionali e di governo, decretando l'epilogo della «transizione» italiana, ma è probabile che serva ad imprimere una maggiore strutturazione alla competizione politico-elettorale. Rendendola quindi anche più prevedibile.
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Cartocci, Roberto. "INDIZI DI UN INVERNO PRECOCE: IL VOTO PROPORZIONALE TRA EQUILIBRIO E CONTINUITÀ". Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 26, n.º 3 (diciembre de 1996): 609–53. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200024527.

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Resumen
Non solo un correttivoLa riforma elettorale del 1993, pur nella sua architettura bifronte e ambigua1, modifica in maniera decisiva il sistema elettorale in senso maggioritario. La quota di seggi assegnata con il sistema proporzionale, pensata per attutire i verdetti, prevedibilmente perentori, della competizione maggioritaria a turno unico, rispetto a quest'ultima assume un peso numericamente subordinato.In conformità allo spirito e alla lettera della legge sia nel 1994 sia nel 1996 il confronto elettorale è stato centrato sulla competizione maggioritaria, in cui le coalizioni e i candidati nei collegi uninominali hanno giocato il ruolo degli attori principali. Nel 1996, poi, il rilievo della competizione maggioritaria è stato ulteriormente accresciuto in virtù del processo di apprendimento istituzionale degli attori2. In particolare, nel 1996 un adeguamento decisivo al formato maggioritario è passato attraverso la contrapposizione di due leader di coalizione, designati come capi del futuro esecutivo. Questa personalizzazione dello scontro, così congeniale alle esigenze di semplificazione e drammatizzazione dei media, ha di conseguenza accentuato il rilievo delle due coalizioni principali, che hanno allargato la loro ombra sugli altri attori (la Lega, i candidati di collegio, ecc.), e soprattutto a danno dei contendenti dell'arena proporzionale.
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Cervi, Laura. "Competencia en el mercado político. La tesis de Laura Cervi". Tiempo devorado 2, n.º 3 (29 de diciembre de 2015): 414–18. http://dx.doi.org/10.5565/rev/tdevorado.46.

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D'Alimonte, Roberto. "LA TRANSIZIONE ITALIANA: IL VOTO REGIONALE DEL 23 APRILE". Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 25, n.º 3 (diciembre de 1995): 515–59. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200023820.

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Resumen
IntroduzioneIl nuovo sistema elettorale per l'elezione dei consiglieri delle quindici regioni a statuto ordinario rappresenta l'ultimo tassello del processo di riforma delle regole elettorali. Come i sistemi elettorali per le elezioni parlamentari, comunali e provinciali, è anche esso un sistema misto. Più precisamente è un sistema a turno unico con un doppio voto: uno per l'attribuzione dell'80% dei seggi con formula proporzionale in circoscrizioni coincidenti con il territorio delle province; l'altro per la assegnazione del restante 20%, con scrutinio maggioritario di lista, in una unica circoscrizione coincidente con il territorio della regione. Questa quota rappresenta il premio destinato alla lista regionale che ottenga il maggiore numero di voti. Come vedremo successivamente, il premio non sempre corrisponde al 20% dei seggi, ma è in realtà variabile. In ogni caso però – ed è questa la caratteristica più importante del nuovo sistema elettorale – esso è tale da garantire al partito o alla coalizione di partiti vincenti la maggioranza assoluta dei seggi in consiglio. Complessivamente, dunque, si tratta di un sistema di difficile classificazione: prevalentemente proporzionale quanto a rappresentatività delle forze politiche, tendenzialmente maggioritario quanto alla dinamica della competizione elettorale e all'impatto sulla formazione del governo regionale. Tutto sommato, la dizione «sistema proporzionale a premio di maggioranza variabile» mi sembra la più adatta a riassumerne le caratteristiche principali. In questa sezione le vedremo una per una cominciando dalla struttura della scheda elettorale.
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Biorcio, Roberto y Paolo Natale. "LA MOBILITÀ ELETTORALE DEGLI ANNI OTTANTA". Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 19, n.º 3 (diciembre de 1989): 385–430. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200008649.

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IntroduzioneLo studio della mobilità elettorale si ricollega per diversi aspetti al dibattito sulle tendenze generali del mercato elettorale in Italia e alla problematica legata ai tipi di voto. Lo studio delle forme che può assumere la mobilità elettorale costituisce però, a nostro avviso, un tema dotato comunque di una sua autonoma specificità. Le forme che assume il passaggio da una scelta di voto ad un'altra dipendono sia dalle modifiche di posizionamento dei partiti nell'ambito della competizione elettorale, sia dalle modalità secondo cui i cittadini-elettori si rapportano ad essi e, più in generale, vivono il proprio rapporto con la sfera politica e le istituzioni.Si possono individuare nella scelta dell'elettore diverse componenti analitiche (cfr. Parisi e Pasquino 1977; Pizzorno 1983 e 1986, Mannheimer e Sani 1987), riconducibili, a nostro avviso, ad alcune peculiari logiche motivazionali. Si può cogliere anzitutto unalogica dell'identificazione,secondo cui l'elettore esprime adesione e solidarietà rispetto a qualche tipo di identità collettiva che ritiene rappresentata in una delle proposte di voto in competizione. Le identità collettive che costituiscono il referente necessario per questo tipo di logica motivazionale possono essere già presenti nella società — e semplicemente trascritte o trascrivibili in una delle possibili opzioni di voto — oppure essere costituite dal «discorso identificante» dei politici (Pizzorno 1983). Oppure ancora essere una combinazione di entrambe queste possibilità. Si può poi riconoscere nell'elettore l'esistenza di unalogica dell'utilità(o della razionalità strumentale rispetto allo scopo), quando il voto appare finalizzato a favorire (oppure ad ostacolare) tendenze politiche e/o provvedimenti specifici, in base ad un proprio calcolo degli interessi. Insieme a queste due, si può considerare una terza componente analitica nel comportamento elettorale — definibile comelogica della protesta— che esprime motivazioni prevalentemente «in negativo» rispetto al voto o rispetto al tradizionale sistema dei partiti; questa logica emerge quando i partiti esistenti non riescono a suscitare sufficiente identificazione nell'elettore, né a rappresentarne le domande sociali. La logica della protesta si può esprimere non solo con l'astensionismo (attivo o passivo), ma anche con il voto per alcuni dei «nuovi partiti» formatisi negli anni settanta e ottanta come espressione di diverse forme di protesta politica o sociale.È evidente che queste diverse logiche motivazionali possono coesistere nello stesso atto di scelta, con un peso che può variare in base alle caratteristiche dell'elettore, alla congiuntura politico-sociale e al tipo di elezione. Quello che interessa al nostro studio è la relazione fra queste logiche di voto ed i processi di mobilità elettorale: come il peso specifico delle diverse logiche motivazionali può fare variare siale probabilitàdi mutamento delle precedenti scelte di voto, siale formeed ilsensoche questo mutamento può assumere.La logica della identificazione — declinata nelle forme più diverse — costituisce ovviamente la base della fedeltà elettorale di partito o, almeno, di «area politica». Per gli elettori che nel voto esprimono soprattutto una esigenza di identificazione, la probabilità di mutamenti è ridotta, e l'abbandono delle precedenti scelte assume un carattere «traumatico», che si può leggere come segno di un generale processo di ri-orientamento politico-esistenziale. Il passaggio diretto ed immediato da una identificazione ad un'altra è un evento che si verifica raramente. Gli elettori che scelgono di non votare più per un partito in cui si erano identificati sperimentano una fase di relativa incertezza, nella quale possono acquistare maggior peso, almeno transitoriamente, le logiche della protesta o quelle del calcolo delle utilità.La logica della utilità si esprime in un «calcolo dei vantaggi» che si può riferire tanto a interessi individuali e particolaristici (voto clientelare), quanto a quelli di gruppo o di categoria, fino ad assumere come riferimento interessi più generali (voto di opinione). Il calcolo dei vantaggi di ogni scelta di voto è funzione delle caratteristiche specifiche e congiunturali delle diverse scadenze elettorali. Ci si può aspettare che quanto più pesa, nella scelta del singolo elettore, la logica della utilità, tanto più sono probabili, almeno in linea di principio, i cambiamenti delle opzioni di voto.Anche la logica della protesta, se non è accompagnata da forte identificazione in un partito vissuto come rappresentante significativo della protesta sociale, fornisce un notevole contributo alla instabilità elettorale: in questo caso è l'atto stesso di abbandono delle precedenti scelte partitiche che diviene il veicolo più importante per l'espressione del risentimento dell'elettore.Si è rivolta l'attenzione a diversi tipi di mutamento nel comportamento elettorale, analizzando in particolare:1)i cambiamenti di voto all'interno del gruppo dei 7-8 partiti tradizionalmente presenti — nel dopoguerra — nelle competizioni elettorali: la mobilità in questo caso può essere interpretata come l'esito di un giudizio razionale sugli effetti dell'opzione elettorale sul quadro politico, o su una serie di politiche specifiche;2)i cambiamenti di voto da uno dei partiti tradizionali alla esplorazione di nuove possibilità di espressione elettorale — nella scelta di votare, ad esempio, per uno dei partiti emersi negli anni settanta ed ottanta, o per qualcuna delle liste che si caratterizzano su specificheissues(pensioni, ecologia, identità regionali, ecc.);3)il cambiamento dal voto al non voto, che può essere letto come diminuzione del livello di identificazione (visto dal lato dell'elettore) o nella capacità di mobilitazione (visto dal lato del partito) di una determinata opzione partitica;4)il ritorno dal non voto (non partecipazione alla votazione o non espressione di voto valido) al voto per una delle liste presenti nella competizione elettorale, che può dipendere dalla accresciuta capacità di suscitare mobilitazione ed identificazione da parte di una delle forze politiche presenti, oppure dalla particolare rilevanza soggettivamente attribuita ad una specifica tornata elettorale.Lo studio empirico delle forme di mobilità elettorale presenta — come è noto — particolari difficoltà, sia perché ciascuna di esse coinvolge quote limitate del corpo elettorale sia, più in generale, per l'ovvio motivo che non sono disponibili registrazioni — a livello individuale — delle scelte di voto e delle loro variazioni fra una elezione e l'altra. A causa di tali difficoltà e per ovviare ai problemi specifici di ciascuna delle tecniche di analisi, nel nostro studio sulla mobilità elettorale 1983-87 abbiamo fatto riferimento a risultati di ricerche realizzate con diversi metodi: analisi di dati raccolti tramitesurvey,analisi di dati elettorali aggregati a vari livelli, stime dei flussi elettorali in alcune città e stime di flussi a livello nazionale basate sui dati rilevati in un insieme di sezioni-campione. E nostra opinione che sia legittimo e necessario utilizzare nella ricerca i diversi metodi a disposizione, con la consapevolezza dei vantaggi e dei problemi metodologici che ciascuno di essi pone: soltanto l'attenta comparazione dei risultati ottenuti da diverse fonti può convalidare o, nel caso, porre seri interrogativi sulle ipotesi sostantive via via formulate. In questa sede il nostro interesse è rivolto ai risultati ottenuti con le diverse metodologie, più che alla discussione delle metodologie stesse, per la quale rimandiamo ad altre sedi.
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Mannheimer, Renato. "Mercato elettorale e competizione tra i partiti (1992)". Quaderni di Sociologia, n.º 26/27 (1 de diciembre de 2001): 513–40. http://dx.doi.org/10.4000/qds.1623.

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Bardi, Luciano. "VOTO DI PREFERENZA E COMPETIZIONE INTRA-PARTITICA NELLE ELEZIONI EUROPEE. PROSPETTIVE PER UNA ARMONIZZAZIONE DELLA LEGGE ELETTORALE". Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 18, n.º 1 (abril de 1988): 105–35. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200017287.

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Resumen
IntroduzionePer la prima volta nel 1989 le elezioni europee potrebbero essere regolate da un'unica legge elettorale, valida per tutti gli stati membri∗. In precedenza, nel 1979 e nel 1984, le elezioni si svolsero in base a norme elettorali nazionali, in genere molto simili a quelle utilizzate in ciascun paese per le elezioni parlamentari nazionali, anche se dei tentativi di uniformare le procedure furono compiuti anche nel corso della prima legislatura.
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Di Virgilio, Aldo. "LE ALLEANZE ELETTORALI. IDENTITÀ PARTITICHE E LOGICHE COALIZIONALI". Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 26, n.º 3 (diciembre de 1996): 519–84. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200024503.

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La politica delle alleanze nella transizione italianaL'emergere di una competizione tra coalizioni partitiche rappresenta una delle principali conseguenze delle regole per l'elezione dei due rami del parlamento, dei consigli regionali e degli organismi amministrativi di comuni e province adottate in Italia fra il 1993 e il 19951. Nell'operatività dei nuovi sistemi elettorali, la scelta dell'aggregazione fa capo agli aspetti maggioritari del meccanismo di voto (l'elezione dei deputati e dei senatori nei collegi uninominali, l'attribuzione del premio di maggioranza nei consigli regionali, l'elezione del sindaco e del presidente della provincia), ancorati, con maggiore o minore forza cogente, allo scopo di «votare per eleggere un governo»2. In tal modo, la politica delle alleanze si è affermata come un elemento permanente del processo elettorale, decisivo ai fini del risultato e non privo di implicazioni sull'evoluzione strutturale del sistema partitico. La formazione delle coalizioni e la progressiva ridefinizione dell'offerta coalizionale, in effetti, hanno cadenzato fin qui i passaggi elettorali della transizione italiana. La forza aggregativa del Pds e la sua capacità di attivare una logica di schieramento si rivelarono determinanti, in assenza di coalizioni alternative, per il successo della sinistra negli importanti test elettorali locali dell'estate e dell'autunno 1993. La formula inventata da Silvio Berlusconi per colmare il deficit di offerta sul fronte moderato – il cartello elettorale a geografia variabile che vedeva la sua nuova formazione politica alleata al Nord con la Lega e al Sud con il Msi-An – consentì alle destre di vincere le elezioni politiche del marzo 1994. Nella fase successiva, il vincolo delle alleanze ha determinato la rottura del polo di centro e il riequilibrio coalizionale che ne è scaturito ha favorito, alle elezioni regionali dell'aprile 19953, il dispiegarsi di una competizione tendenzialmente bipolare tra due schieramenti di analoga forza.
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Di Virgilio, Aldo. "Politica delle alleanze, bipolarizzazione, frammentazione: le tre parole chiave delle elezioni regionali del 16 aprile 2000". Quaderni dell'Osservatorio elettorale QOE - IJES 44, n.º 1 (30 de septiembre de 2001): 175–99. http://dx.doi.org/10.36253/qoe-12797.

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La struttura dell'offerta: una variabile decisiva. Il formarsi di coalizioni catch-all. La partecipazione elettorale: meno votanti, più voti di preferenza. La competizione maggioritaria: regioni "sicure"e regioni "marginali". E i partiti? Rapporti di forza infracoalizionali e geografia del voto proporzionale catch-all.
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Chiaramonte, Alessandro. "GLI EFFETTI DISTORSIVI DEL NUOVO SISTEMA ELETTORALE". Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 24, n.º 3 (diciembre de 1994): 687–714. http://dx.doi.org/10.1017/s004884020002325x.

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Resumen
IntroduzioneL'introduzione dei nuovi sistemi elettorali in Italia è stata accompagnata da un serrato dibattito in sede politica e scientifica sul grado di corrispondenza di tali meccanismi con gli obbiettivi insiti nella campagna e nel risultato referendario del 1993. L'interrogativo di fondo era se – alla prova dei fatti e, quindi, innestandosi nella reale situazione politica – le nuove regole si sarebbero rivelate idonee a produrre «esiti maggioritari». Ossia se, mediante i vincoli imposti alla competizione, avrebbero incentivato unalogica di aggregazione, premiando ampi schieramenti contrapposti e scoraggiando invece ifree riders, in vista di una possibile futura alternanza di governi.
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Benucci, Carlo. "Dal rosso al nero? I mutamenti di voto nella banlieue parigina". Quaderni dell'Osservatorio elettorale QOE - IJES 53, n.º 1 (30 de junio de 2005): 63–114. http://dx.doi.org/10.36253/qoe-12723.

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Resumen
La banlieue rouge parigina: albore, splendore, declino. La penetrazione elettorale del FN nella banlieue. La competizione tra FN e PCF nella banlieue rouge. Due casi a confronto: Saint-Denis e Bobigny. Disaffezione politica, declino della classe operaia, immigrazione: la crisi della banlieue. La resistenza della banlieue rouge alla penetrazione del FN.
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Bartolini, Stefano y Roberto D'Alimonte. "LA COMPETIZIONE MAGGIORITARIA: LE ORIGINI ELETTORALI DEL PARLAMENTO DIVISO". Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 24, n.º 3 (diciembre de 1994): 631–86. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200023248.

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Resumen
IntroduzioneMaggioritario, ma non troppo. Così si può riassumere sinteticamente il risultato delle elezioni politiche del 27 marzo 1994. Non c'è dubbio infatti che la componente maggioritaria del sistema elettorale abbia funzionato, ma è altrettanto vero che da sola non è bastata ad impedire uno degli effetti più significativi e sorprendenti di queste elezioni: un Parlamento diviso. Camera e Senato hanno due maggioranze diverse, o meglio, la Camera ha una maggioranza e il Senato no. Senza la componente proporzionale, il sistema maggioritario avrebbe prodotto,coeteris paribus, maggioranze nette sia alla Camera che al Senato (Tab. 1).
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D'Alimonte, Roberto y Stefano Bartolini. "COME PERDERE UNA MAGGIORANZA. LA COMPETIZIONE NEI COLLEGI UNINOMINALI". Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 26, n.º 3 (diciembre de 1996): 655–701. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200024539.

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Resumen
IntroduzioneA dispetto delle attese e dei pronostici di molti, non c'è stato pareggio. Il voto ha prodotto un vincente: la coalizione di centro-sinistra formata dai partiti dell'Ulivo e da Rifondazione Comunista. Nelle elezioni del '94 il risultato non era stato così chiaro. Allora, emerse un «Parlamento diviso»: i Poli di Berlusconi vinsero nettamente alla Camera, ma sfiorarono solo la maggioranza assoluta dei seggi al Senato. Anche questa volta si rileva una differenza significativa tra Camera e Senato: al Senato i partiti dell'Ulivo da soli hanno quasi la maggioranza assoluta dei seggi mentre alla Camera non possono in ogni caso prescindere dal sostegno di Rc. Si può dire però che il sistema elettorale ha funzionato. Nonostante le sue imperfezioni la componente maggioritaria è riuscita a trasformare una maggioranza relativa di voti in una maggioranza assoluta di seggi consentendo così la formazione di un governo come diretta emanazione del verdetto elettorale. Si è inoltre realizzata l'attesa alternanza. Una alternanza atipica, visto che il governo entrante non sostituisce il governo installato dopo le elezioni del '94, ma un governo (quasi) tecnico già sostenuto in Parlamento dalla maggior parte dei partiti che hanno vinto le elezioni e che ora sostengono il governo Prodi. Questo articolo tratta delle cause della vittoria del centro-sinistra. Prima di mettere mano alla spiegazione, facciamo il punto sui risultati delle ultime elezioni mettendoli a confronto con quelli delle precedenti.
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Lorenzini, Jacopo. "Il generale si candida. Élite militare e competizione elettorale nell'Italia liberale". MONDO CONTEMPORANEO, n.º 2 (diciembre de 2017): 159–78. http://dx.doi.org/10.3280/mon2017-002006.

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Marini, Luigi. "I ghiacci si sciolgono. Lo scongelamento del comportamento di voto nei tre sistemi scandinavi". Quaderni dell'Osservatorio elettorale QOE - IJES 65, n.º 1 (30 de junio de 2011): 67–119. http://dx.doi.org/10.36253/qoe-9776.

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I sistemi partitico-elettorali di Svezia, Danimarca e Norvegia sono stati tradizionalmente caratterizzati da un’alta stabilità e prevedibilità, ma nel corso degli ultimi decenni hanno conosciuto signifcative trasformazioni, con un aumento dell’incertezza, della volatilità e della frammentazione: tendenze comuni a molti paesi europei, ma sviluppate in Scandinavia con caratteristiche peculiari. Se le tradizionali fratture sociali si riflettevano fino agli anni Sessanta in un sistema partitico «congelato», secondo la celebre definizione di Lipset e Rokkan (1967), e in un assetto democratico «consensuale» (Lijphart 1984), dai primi anni Settanta emergono nuovi conflitti che destabilizzano l’arena elettorale. Il vecchio «sistema scandinavo a cinque partiti» (Berglund e Lindström 1978) con un partito socialdemocratico dominante si trova a fronteggiare vere e proprie valanghe, negli anni Settanta prima e negli anni Novanta poi, causate da fenomeni contingenti inseriti in un processo di mutamento di lungo periodo. Il declino della classe operaia e contadina, il dibattito sull’integrazione europea, la nascita di movimenti «post-materialisti» (Inglehart 1977), la crisi del welfare state e il tema dell’immigrazione producono profonde trasformazioni nel sistema politico, attraverso una serie di terremoti elettorali. Le vecchie alleanze politico-sociali sono scardinate e si fanno strada nuovi partiti, tra cui una forte destra populista, mentre la competizione elettorale, fattasi più uida ed incerta, tende oggi verso un assetto sostanzialmente bipolare e «maggioritario», più simile a quello degli altri paesi europei. Se un «modello scandinavo» ancora esiste, esso rappresenta oggi non più una singolare eccezione, bensì un caso esemplare di un processo di mutamento comune al più ampio contesto europeo.
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Pighini, Luca. "1913-2008: la Lucchesia da isola bianca a provincia senza colore". Quaderni dell'Osservatorio elettorale QOE - IJES 66, n.º 2 (30 de diciembre de 2011): 5–59. http://dx.doi.org/10.36253/qoe-9798.

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L'impatto della politica di massa in Lucchesia Dalla Resistenza alle elezioni politiche del 1948 Mondo cattolico, economia e società nella Lucchesia nella seconda metà del Novecento La competizione elettorale dagli anni Cinquanta al crollo del Muro di Berlino I più recenti mutamenti economici, sociali e culturali Le elezioni politiche dal 1994 al 2001 Le elezioni del 2006 e del 2008: alla vittoria del centro-sinistra segue quella del centro-destra Come l'isola bianca si è trasformata in una zona competitiva
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Seferiades, Seraphim. "POLARIZZAZIONE PARTITICA E NON-PROPORZIONALITÀ ELETTORALE IN GRECIA". Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 16, n.º 3 (diciembre de 1986): 401–37. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200016166.

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IntroduzioneQuesto saggio si propone di esaminare l'evoluzione del sistema partitico greco nel dopoguerra. Anche se rappresentano solo un subsistema del sistema politico, i partiti assolvono indubbiamente una cruciale funzione di intermediazione fra società e governo e sono, dunque, estremamente importanti per comprendere il rendimento del sistema nel suo complesso. Cionondimeno, fino ad epoca molto recente essi sono stati quasi del tutto trascurati dalla moderna storiografia greca; e non si rischia di esagerare affermando che a tutt'oggi non esiste alcuna ricerca sul sistema partitico in quanto tale, cioè visto come un insieme integrato di attori le cui interazioni concrete e tipizzate sono in grado di influire su altri ambiti, o altri subsistemi, della polity. Se non proprio ignorati del tutto, i partiti sono stati abitualmente confinati in un ruolo reattivo e in nessun caso considerati capaci di strutturare le tensioni sociali. Da questo punto di vista, la Grecia si può considerare un esempio per antonomasia di ciò che Sartori ha chiamato « riduzionismo sociologico », ed è appunto contro questa tendenza che si rivolge il presente lavoro. D'altro canto, con ciò non intendo naturalmente sostenere che i partiti abbiano il potere di creare dal nulla e introdurre nella società civile conflitti non preesistenti nel suo seno. Ma, certo, la natura della competizione interpartitica come tale è un fattore che influisce sull'andamento di questi conflitti e può contribuire ad acuirli o a smorzarli.
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Giaffreda, Marco. "Analisi di un risultato inatteso: le elezioni regionali del 2005 in Puglia". Quaderni dell'Osservatorio elettorale QOE - IJES 56, n.º 2 (31 de diciembre de 2006): 5–37. http://dx.doi.org/10.36253/qoe-12703.

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Le elezioni regionali del 3-4 aprile 2005 in Puglia possono essere annoverate di diritto tra quelle di maggior interesse politologico sia per gli aspetti innovativi presenti, sia per il sorprendente esito. In una complessa tornata elettorale, per la prima volta in Puglia, un candidato alla carica di presidente della Regione è stato scelto attraverso elezioni primarie che hanno coinvolto la base dei partiti del centrosinistra, fornendo, come vedremo, una delle chiavi per il successo finale. Inoltre, dopo le elezioni del 2000, come del resto prevedeva il lungo processo di decentramento delle funzioni amministrative e di maggiore autonomia degli organi periferici dello Stato, si era aperta nella Regione una fase riformatrice che ha portato all’approvazione del nuovo Statuto regionale e di una nuova legge elettorale per l’elezione del presidente e del consiglio. Sul fronte strettamente elettorale i due principali candidati, Nichi Vendola per la Grande alleanza democratica (GAD), formata dall’Ulivo più Rifondazione comunista, e Raffaele Fitto, per la Casa delle Libertà (CDL), hanno dato vita ad una campagna fortemente personalizzata e speculare in cui sono emerse le profonde differenze tra i due e tra due modi (e concezioni) diversi di fare politica. La vittoria di Vendola, tutt’altro che scontata ma in qualche modo prevedibile, ha rappresentato, inoltre, un forte elemento di discontinuità rispetto al passato e alla tradizione politico-elettorale della Puglia. Per tutti questi motivi, quindi, sulle elezioni pugliesi si sono accesi i riflettori dei mass media nazionali. Questo contributo ha l’obiettivo di descrivere e fornire una prima e parziale analisi del “terremoto pugliese”, dapprima attraverso una breve carrellata sulla storia del voto regionale in Puglia e sul contesto in cui si sono svolte le elezioni del 2005, per poi passare all’esame della nuova legge elettorale regionale, delle elezioni primarie nel centrosinistra e della loro influenza sull’esito finale della competizione, della campagna elettorale ed infine del risultato e delle possibili cause che l’hanno determinato.
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Pasquino, Gianfranco. "UN'ELEZIONE NON COME LE ALTRE". Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 31, n.º 3 (diciembre de 2001): 387–97. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200029786.

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Introduzione La storia delle elezioni italiane non ha mai offerto una situazione paragonabile a quella del 13 maggio 2001 (Corbetta, Parisi e Schadee 1988). In questo breve articolo, argomenterò che le elezioni del 13 maggio non sono state «elezioni come le altre» a causa della comparsa di tre importanti condizioni: 1) resistenza di una effettiva competizione bipolare fra un governo in carica e un'opposizione organizzata per sostituirlo; 2) la costruzione di coalizioni contrapposte che hanno ridotto lo spazio politico e hanno sconfitto le terze forze; 3) la possibilità concreta dell'alternanza che si è tradotta in un limpido esito elettorale, politico e governativo. Nessuna di queste condizioni, né separatamente né congiuntamente, aveva mai fatto la sua comparsa nel sistema politico italiano.
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Beckwith, Karen. "CANDIDATURE FEMMINILI E SISTEMI ELETTORALI". Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 20, n.º 1 (abril de 1990): 73–103. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200008959.

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IntroduzioneLa debole presenza delle donne nelle assemblee legislative nazionali costituisce un aspetto sorprendente quanto permanente della vita politica delle democrazie occidentali. La presenza femminile in tali istituzioni non si avvicina nemmeno lontanamente alla proporzione delle donne nella popolazione e, inoltre, la percentuale di donne elette é inferiore nettamente a quella delle candidate all'elezione (Rule 1981; Norris 1985; Bagdanor 1984). Nella maggior parte delle assemblee legislative dei paesi occidentali meno del 10% dei membri della prima camera sono donne. Del sorprendente isomorfismo della sotto-rappresentazione delle donne (Darcy, Welch e Clark 1987, cap. 1) nei parlamenti nazionali sono state avanzate diverse spiegazioni: 1) che le donne sono socializzate in modo poco funzionale al tipo di competizione politica richiesto per accedere alle posizioni elettive a livello nazionale; 2) che gli elettori preferiscono le candidature maschili a quelle femminili per tali posizioni; 3) che i leaders partitici sono restii a candidare delle donne in quei seggi o circoscrizioni in cui il partito si aspetta di vincere; 4) che le donne non hanno sufficiente ambizione politica e non si fanno avanti per la candidatura; 5) che le donne non hanno adeguata esperienza politica per questo tipo di cariche; 6) che le donne sono prive di una rilevante esperienza occupazionale per accedere alle cariche pubbliche. Queste spiegazioni fanno riferimento principalmente a comportamenti ed attributi delle donne in quanto candidati potenziali ed a quelli della leadership partitica e degli elettori come elementi potenzialmente discriminatori verso la candidatura delle donne. Un altro gruppo di potenziali elementi esplicativi si concentra invece sul contesto elettorale e la sua capacitá di modellare i comportamenti politici e di creare o meno opportunitá politiche per l'accesso delle donne alle cariche pubbliche elettive. Questi comprendono: 1) la cultura politica rilevante per le opportunitá politiche delle donne, come, per esempio, quanto é recente il suffragio femminile; 2) il tipo di partiti nel sistema partitico; 3) il tipo di sistema partitico; 4) gli equilibri elettorali, reali o presunti tra i partiti politici; 5) il contributo, reale o presunto, dell'elettorato femminile al mantenimento o alla destabilizzazione degli equilibri elettorali; e 6) il tipo di sistema elettorale. Questi fattori condizionano le opinioni degli attori politici (leaders partitici, candidati potenziali e elettori) e pongono dei vincoli alle loro scelte politiche.
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Massari, Oreste. "DECLINO E INNOVAZIONE POLITICA NEL PARTITO LABURISTA INGLESE". Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 23, n.º 1 (abril de 1993): 3–38. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200022036.

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IntroduzioneLa vicenda del Labour Party degli anni ottanta costituisce un caso altamente paradigmatico, al di là della peculiarità della sua forma organizzativa (partito confederato e indiretto) e del contesto politico-istituzionale in cui opera (Allum 1988), di molteplici problemi che la scienza politica ha sollevato negli ultimi decenni circa la prospettiva del partito di massa e di quello specificamente ad origine di classe. Le tesi del declino del partito di classe e dell'esaurirsi dell'opposizione politico-parlamentare (Massari 1990a) sembravano calzare perfettamente alla parabola sempre più declinante del Labour Party a partire dalla metà degli anni settanta fino a culminare nel quasi collasso dei primi anni ottanta. Nel 1981 il partito subisce una pesante scissione alla sua destra, con la formazione dell'SDP, che con i liberali formerà l'Alliance elettorale. Nelle elezioni del 1983 il partito rischiò seriamente di essere scavalcato dall'Alliance finendo al terzo posto e di perdere il ruolo di opposizione ufficiale. Il suo voto si restrinse, infatti, a solo 8 milioni e mezzo (27,6%, il più basso risultato della sua storia elettorale dal 1918) a fronte di 7 milioni e ottocentomila voti dati all'Alliance (25,4%) e a fronte di una sostanziale stabilità del voto conservatore (42,4%). Il 1983 sembrò, difatti, un punto di svolta sia riguardo al futuro del Labour sia riguardo alla natura del sistema partitico. Occorre guardare alla geografia elettorale per comprendere appieno la portata della trasformazione. Se a livello parlamentare il sistema bipartitico ancora reggeva - avendo ottenuto conservatori e laburisti assieme 606 dei 650 seggi, grazie agli effetti disproporzionali del sistema elettorale - ciò non era più vero al livello dei collegi. A questo livello, il sistema bipartitico sembrava definitivamente rotto. Occorre avere presente che nella competizione maggioritaria ad un turno l'interesse va rivolto non solo, ovviamente, al partito che è arrivato primo alla conquista del seggio, ma anche a chi è arrivato secondo, perché è questo che presumibilmente avrà le chances dell'alternanza al secondo round elettorale. L'Alliance, pur avendo ottenuto solo 23 seggi - e da questo punto di vista il Parlamento formatosi nel 1983 è risultato il meno «proporzionale» del mondo democratico (McLean 1988) - è arrivata seconda in 312 collegi, ossia in più della metà del totale. Il Labour arrivò primo in 209, secondo in 132, ma terzo (o anche peggio) in 292 collegi, corrispondenti a quasi metà dei seggi della Gran Bretagna.
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Petrillo, Pier Luigi. "La perenne campagna elettorale dell'Opposizione parlamentare in Italia e in Gran Bretagna". Quaderni dell'Osservatorio elettorale QOE - IJES 51, n.º 1 (30 de junio de 2004): 81–118. http://dx.doi.org/10.36253/qoe-12736.

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Nei regolamenti di alcuni parlamenti europei, dove si vive una competizione tra due forze politiche prevalenti, una al governo e l’altra all’Opposizione, esistono diversi strumenti che, garantendo la funzione alternativa di quest’ultima, definisco un vero e proprio Statuto dell’Opposizione in quanto non si limitano a evitarne lo «schiacciamento» da parte del raccordo maggioranza-governo, ma ne assicurano la manifestazione in parlamento di un progetto politico alternativo. Tali garanzie, quindi, proprio per la loro natura, possono risolversi in strumenti di campagna elettorale in quanto permettono all’Opposizione di essere visibile all’esterno dell’aula. Di conseguenza il parlamento, rivitalizzato grazie alla presenza costante dell’Opposizione, diventa la sede di una perenne campagna elettorale intesa non già come un continuo conflitto politico a suon di ostruzionismi reciproci, ma come un costante dibattito, magari anche aspro ma legittimo, tra i due principali soggetti politici. Il dibattito, infatti, in questi sistemi, viene procedimentalizzato e si traduce in critica, confronto e proposta. È intorno a questa tesi che si ragiona nel lavoro che segue, puntando l’attenzione, ovviamente, alla realtà italiana e servendoci di quella britannica (ma non solo) come di un modello di sistema competitivo. Non si vuole, invece, analizzare l’informazione parlamentare tout court, cioè l’insieme di meccanismi che rendono pubblica l’attività comunque svolta in parlamento; né ci soffermeremo sul tema del giornalismo parlamentare e, quindi, di come l’informazione parlamentare è esternalizzata; né si cercherà di dimostrare quali siano i comportamenti politici che l’Opposizione deve tenere in parlamento per essere visibile al suo esterno. Più semplicemente, dopo aver definito che cosa intendere per Opposizione parlamentare e quale sia la sua funzione costituzionale, prendendo a modello la Gran Bretagna, si cercherà di comprendere in cosa si sostanzia la logica del parlamento in perenne campagna elettorale e come e perché questa stessa logica sia (stata?) assente in Italia. In secondo luogo analizzeremo alcune garanzie che la Costituzione italiana e i Regolamenti parlamentari pongono a favore dell’Opposizione, non già, però, per definirne lo status ma per capire come tali strumenti possano, da un lato, trasformarsi in meccanismi di campagna elettorale parlamentare e dall’altro definire il parlamento come il luogo privilegiato della comunicazione politica. È da qui che avvieremo le conclusioni del ragionamento.
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De Luca, Roberto. "Nuove liste e vecchi candidati: le elezioni politiche e comunali del 2006 in Calabria". Quaderni dell'Osservatorio elettorale QOE - IJES 57, n.º 1 (30 de junio de 2007): 53–84. http://dx.doi.org/10.36253/qoe-10224.

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Nelle elezioni politiche del 2006, in uno scenario abbastanza scontato per quanto riguarda l’elezione dei rappresentanti in parlamento e, in parte, l’esito dei partiti e delle coalizioni in lizza, fa scalpore in Calabria l’eccezionale risultato della lista dei Consumatori (Codacons) che ottiene un seggio al Senato e percentuali di voto sia alla Camera che al Senato superiori al 5%. D’altra parte anche l’ottimo risultato del Codacons era possibile preventivarlo da coloro i quali conoscono il sistema politico di questa regione ed i suoi attori, la cultura politica e le dinamiche comportamentali dell’elettore e, non ultimo, i possibili effetti del nuovo sistema elettorale. In questo articolo ci si chiede, in via principale, come può nascere un nuovo partito ad estensione territoriale regionale a pochi giorni dalla competizione elettorale nazionale più importante ed avere successo e quali possono essere le precondizioni sia per la nascita di una nuova formazione politica, sia, soprattutto, perché questa riesca a consolidarsi e ad affermarsi. Per fare ciò è necessario ricostruire le vicende che hanno portato alla spaccatura nella Margherita in Calabria, del dissenso maturato da una porzione del partito con i vertici nazionali, con la conseguente costituzione di una nuova formazione. Cercheremo, inoltre, di valutare quanto ha inciso sulla nascita del partito la presenza di un nuovo sistema elettorale di tipo proporzionale con liste bloccate che, se da una parte riconsegna maggiori poteri ai singoli partiti, dall’altra – attraverso il contrasto fra centro e periferia nelle scelte delle candidature - accentua lo stato di profonda crisi del sistema dei partiti messa a nudo dalla ormai lontana epoca di «Mani pulite». Nella cronistoria della nascita di un nuovo partito, non tralasceremo di verificare quali sono gli elementi, o meglio, le variabili di successo a partire proprio dal peso esercitato dagli attori coinvolti. E sul filo della personalizzazione della politica, infatti, che tutta l’operazione della nascita del partito viene portata a termine confidando che l’influenza personale sugli elettori avrebbe prevalso su ogni altra variabile in gioco nella scelta elettorale ed avrebbe, perciò, portato i suoi buoni frutti. Considerato che i principali protagonisti della nascita della nuova formazione sono elementi di spicco dell’establishment regionale (il presidente e un assessore della Regione) andremo ad analizzare quali ripercussioni si sono avute nella conduzione della direzione del governo regionale e, soprattutto, nel rapporto fra i diversi partiti che compongono la maggioranza. Infine, anche per mezzo delle dichiarazioni più o meno ufficiali dei protagonisti, cercheremo di individuare alcuni dei possibili scenari futuri e le prospettive entro cui cerca di collocarsi il nuovo partito.
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Diamanti, Ilvo y Fabio Bordignon. "La mobilitazione inattesa. Le primarie del centrosinistra: geografia, politica e sociologia". Quaderni dell'Osservatorio elettorale QOE - IJES 55, n.º 1 (30 de junio de 2006): 63–89. http://dx.doi.org/10.36253/qoe-12710.

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Le primarie, organizzate dall’Unione di centrosinistra, domenica 16 ottobre 2005, costituiscono un caso singolare. Hanno, infatti, offerto molti motivi di sorpresa agli osservatori e agli analisti, ma anche ai leader della coalizione. Ha sorpreso, sicuramente, l’afflusso alla consultazione. Più di quattro milioni di elettori. Ha sorpreso, altresì, l’alto livello dei consensi attribuiti a Prodi, il candidato dei partiti dell’Ulivo. Nessuno si attendeva un partecipazione così ampia, né un consenso tanto elevato all’ex presidente della Commissione europea. D’altra parte, trattandosi di primarie “di coalizione”, esse costituivano un’esperienza “singolare”. Inedita, in ambito europeo. E, per questo, “sorprendente”. Sicuramente diversa dal “modello americano”, dove la competizione è davvero aperta: non c’è un vincitore sicuro; si rivolge agli elettori di un “partito” (per quanto ampio, trasversale e focalizzato sulla missione “elettorale” e, parallelamente, sulla selezione dei candidati alle cariche di governo), non di una coalizione; e si svolge attraverso una sequenza di consultazioni, nei diversi stati. Da ciò la sorpresa per una partecipazione tanto elevata che suscita interesse. In particolare, il confronto si concentra su due questioni: 1) le ragioni di una partecipazione tanto ampia; 2) la riproducibilità dell’esperienza.
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Mattei, Franco. "OPINIONE PUBBLICA E COMPETIZIONE PRESIDENZIALE NEGLI STATI UNITI". Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 20, n.º 1 (abril de 1990): 105–45. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200008960.

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IntroduzioneNel corso degli ultimi vent'anni, il processo di selezione dei candidati alla presidenza americana ha prodotto frequenti sorprese politiche ed alcuni vincitori inattesi. Il rapido declino di Muskie e la nomina di McGovern nel 1972, la scelta di Jimmy«Who?»Carter nel 1976, i successi di piò breve periodo di Bush e di Anderson nel 1980, la meteorica ascesa di Hart e le impreviste difficoltá di Mondale nel 1984 sono i casi piò noti offerti dalle recenti campagne elettorali pre-congressuali del partito democratico e repubblicano. L'analisi dei modi e dei tempi con i quali diversi candidati alla Casa Bianca hanno visto mutare radicalmente la propria posizione nella competizione intrapartitica é centrata sulla nozione dimomentum; in essa sono state condensate l'instabilitá e l'incertezza ricorrenti nell'attuale sistema di nomina dei candidati alla presidenza.
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Baba, Stephen A. "Democracies, Inefficiency and Campaign Contributions". Journal of Public Finance and Public Choice 13, n.º 1 (1 de abril de 1995): 19–33. http://dx.doi.org/10.1332/251569298x15668907540039.

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Abstract Questo lavoro prende le mosse dalla letteratura teorica esistente sull’inefficienza del rent seeking per sviluppare un modello di competizione politica con elettori razionali in cui, anche nell’ipotesi di mancata possibilità di corruzione dei candidati da parte dei gruppi di interesse, sono possibili risultati inefficienti. Il modello dimostra inoltre che i contributi per il finanziamento delle campagne elettorali possono essere usati per informare i votanti razionali.L’analisi fornisce delle argomentazioni contrarie alle posizioni di Becker e Wittman, secondo cui l’inefficienza del governo è impossibile o poco probabile.
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