BORTOLUZZI, DANIELE. "Una città davanti alla guerra. Gestione dell’emergenza e comando dell’esercito a Bologna alla fine del Duecento (1296-1306)". Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/2158/1126977.
Resumen
Il lavoro ha come obiettivo quello di indagare la composizione sociale e politica del gruppo
dirigente bolognese e le sue modalità di governo nelle situazioni emergenziali alla fine del XIII
secolo, attraverso lo studio dei comandanti dell'esercito cittadino e dei componenti delle balìe create
per fronteggiare i pericoli sia interni sia esterni.
La storiografia manca di un'indagine sistematica sui comandanti delle armate, nonostante diversi
studiosi hanno identificato nel successo militare una delle vie privilegiate per iniziare e consolidare
esperienze di potere di tipo personale. Anche lo studio dei governi dell'emergenza in età medievale
è un terreno poco battuto dalla storiografia, sia italiana sia internazionale, dato che gli studiosi
hanno iniziato a interrogarsi sulla questione solo a partire dall'ultimo quindicennio.
L'arco di tempo scelto coincide con uno dei momenti più turbolenti della storia bolognese, segnato
inizialmente da una gravosa guerra contro il marchese d'Este e i ghibellini di Romagna (1296-
1299). Terminate le ostilità, grazie anche alla mediazione di Bonifacio VIII, si aprì per la città un
periodo fortemente instabile, quello del governo dei guelfi di parte bianca, tra il 1302 e il 1306.
Questa fase fu caratterizzata da una marcata conflittualità interna, oltre che dall'impegno militare in
aiuto dei pistoiesi e fiorentini. I fitti rapporti diplomatici e le robuste connessioni intercittadine
aumentarono la portata dei conflitti, elevandoli a una dimensione sovralocale. In quei frangenti i
termini di guelfo e di ghibellino furono relativizzati e adottati per definire e inquadrare gli alleati e i
nemici.
Il secondo capitolo sarà dedicato allo studio della organizzazione delle armate cittadine. Nei
decenni precedenti al conflitto contro il Marchese d’Este, il servizio in armi fu legato strettamente al
concetto di fedeltà politica: furono infatti soltanto i membri delle società d’armi a essere arruolati
nell’esercito cittadino, con qualche eccezione riguardante solo la cavalleria, ma che aveva, come si
vedrà nel corso del capitolo, un altro impianto organizzativo.
Il reclutamento nella cavalleria era complesso e si basava su un principio fiscale, che però aveva
notevoli ricadute politiche: il sistema elaborato prevedeva infatti lo stretto controllo del regime sui
reparti e le scelte dei combattenti avvenivano attraverso procedure elettive e di designazione che
escludevano di fatto una parte dei milites da quel tipo di servizio armato.
I vertici della politica bolognese, soprattutto nella prima fase della guerra contro il Marchese
d'Este, ruppero la connessione tra appartenenza politica e servizio armato, reintroducendo la leva di
massa, obbligando tutti i cittadini a registrarsi nelle venticinquine e incentrando la loro attività nel
nel rendere efficaci i meccanismi di reclutamento. Dalla documentazione emergono due fattori che
si credono di rilievo: la registrazione portò il Popolo a schedare e controllare tutti i suoi membri,
come già aveva fatto con le matricole, ma i tassi di diserzione erano elevati, spesso più del 50% dei
convocati. Quelle liste avevano una funzione di controllo: i cittadini erano periodicamente
convocati sia per missioni belliche che per essere ispezionati. Seguendo la stessa logica, il personale
armato (estratto a sorte fra gli iscritti nelle società d’armi) era inviato a presidiare i castelli. I
trasgressori, nel caso non avessero fornito una giustificazione, venivano inquisiti dal capitano del
popolo. Il regime al governo aveva creato un complesso sistema volto alla registrazione di tutti gli
atti alle armi; questo non sembra però obbedire alle sole funzioni pratiche, ma pare essere un mezzo
per definire la fedeltà al Popolo e alla parte geremea.
I comandanti delle armate erano chiamati gonfalonieri o vessilliferi perché conducevano sul campo
di battaglia un vessillo. Quei drappi erano carichi di connotati sacrali e civici e avevano una duplice
funzione: rappresentavano una partizione urbana in cui la comunità, o una sua parte, si riconosceva
ed erano rappresentativi di un'identità politica. Gonfaloni, vessilli e bandiere avevano però anche
una funzione pratica: in guerra erano fondamentali per guidare le truppe e probabilmente perimpartire gli ordini. Questo modo di combattere doveva essere perfettamente assimilato dalla
cittadinanza, tanto che vi erano a Bologna norme che punivano con la morte chiunque durante i
tumulti avesse compattato la folla dietro un vessillo costruito artigianalmente. In caso di rivolte solo
gli iscritti alle società d'armi e i membri della cavalleria avrebbero dovuto infatti raccogliersi in
piazza dietro il proprio gonfalone per poi intervenire.
Dall'analisi dei vessilli è possibile notare come l’esercito riflettesse le partizioni dello spazio
politico urbano: la città, il comune, il popolo. Ai vertici della catena di comando dell’esercito
cittadino si trovavano il podestà e il capitano del popolo. Talvolta il podestà assumeva anche la
carica di capitano di guerra, in altri casi la funzione era ricoperta da una terza figura reclutata
appositamente. In questo capitolo si esporranno le modalità di reclutamento - mostrandone le
difficoltà - e le ragioni in primo luogo tecniche (gli ufficiali furono soprattutto abili militari) e
politiche dietro esse. Ad alcuni rettori forestieri (così come ai membri delle balìe) fu concesso
l'arbitrio generale e in alcuni casi furono esentati dal sindacato. Le loro prerogative militari non
erano definite a priori, ma si può notare come il podestà avesse in genere la competenza militare
solo su alcuni reparti (cavalleria, guastatori, stipendiati) mentre il capitano del popolo andava
assumendo sempre maggiore importanza nel coordinamento della fanteria.
I più alti in grado avevano responsabilità pratiche e politiche: guidavano il Popolo in armi e durante
i tumulti avevano il compito di prendere quelle decisioni che avrebbero garantito l'ordine pubblico e
difeso le istituzioni. In questo capitolo si esporranno anche le procedure elettive che portavano alla
designazione dei comandanti, le forme dei giuramenti con cui questi ultimi si legavano alla
comunità e la loro retribuzione.
Nel IV capitolo si vedrà come durante l'emergenza militare Bologna arruolò un gran numero di
stipendiati comandati da connestabili. La tesi di fondo è che il governo utilizzasse quelle truppe
nelle missioni più pericolose e di più lunga durata, sia per non esporre i propri cittadini a troppi
pericoli, sia perché questi avrebbero impedito in sede consiliare il prosieguo della guerra e la pars
Marchesana avrebbe acquisito facilmente un maggior numero di sostenitori. I mercenari avevano
una preparazione militare di alto livello, potevano essere impiegati per lunghi periodi (anche se
questo portò a notevoli difficoltà finanziarie). Il fuoriuscitismo aveva determinato la disponibilità di
personale addestrato e bisognoso di mantenersi, e la guerra era un'ottima occasione per trovare un
ingaggio. Il reclutamento avveniva però ancora su una scala regionale e spesso i connestabili erano
fuoriusciti delle città contro cui Bologna stava combattendo. Di due ufficiali in modo particolare si
è riusciti a ricostruire una parte della loro carriera: Ramberto de Ramberti diventerà per tre anni
consecutivi capitano del Popolo di Bologna (dal 1303 al 1306) mentre Salinguerra Torelli diventò il
comandante della lega bianca. Grazie all’utilizzo di alcuni testamenti si traccerà anche un profilo
sociale dei connestabili, mentre il caso di Ugolino Manfredi, connestabile ricordato da Dante come
poeta, sarà lo spunto per alcune riflessioni sul livello culturale dei comandanti degli stipendiati.
Nell'arco temporale preso in considerazione si possono riconoscere almeno tre situazioni
emergenziali: una derivata da un nemico interno, la pars Marchesana, uno da un nemico esterno e
infine una finanziaria ed economica, legata al continuo bisogno di reperire denaro per affrontare la
guerra. All’interno del V capitolo si mostrerà inizialmente come nel discorso pubblico bolognese fu
definita l’emergenza, cercando di dimostrare come essa fosse inquadrata giuridicamente e servì per
legittimare l’azione di governo, ma è altrettanto importante notare come il consiglio del Popolo fece
a più riprese ricorso ad eccezioni e deroghe le quali deformarono in maniera evidente la natura del
regime. Gli assetti politici infatti mutarono e si riconfigurarono varie volte a seconda delle
circostanze; si crearono, soprattutto in relazione alla guerra, alcune balìe di sapienti con ampi poteri
per affrontare le situazioni emergenziali.
Non esisteva però un solo modo di reagire a una situazione emergenziale: durante gli anni di guerra
la città aprì le porte a chiunque avesse voluto combattere contro i nemici determinando così il
rientro in città di lambertazzi e di banditi. La minaccia interna, quella rappresentata dalla pars
Marchesana, rappresentò all’opposto un momento di forte chiusura in cui il bando e
l’amministrazione della giustizia furono usate politicamente come arma per colpire gli oppositori.
L’emergenza finanziaria infine provocò l’ascesa di alcune balìe e magistrature che inizialmente nonavevano alcun peso politico, ma che in quegli anni di crisi furono usati da alcuni esponenti della
élite economica felsinea, soprattutto da Romeo Pepoli, come mezzo per acquisire sempre maggior
potere.
Nel VI capitolo si analizzerà il profilo professionale, politico e giuridico dei comandanti
dell’esercito e dei membri delle balìe. Si vedrà come gli ufficiali di rango meno elevato avevano un
livello di ricchezza tale da permettere una vita più che dignitosa e una posizione di rilievo
all’interno della società o parrocchia di appartenenza. I gonfalonieri di più alto livello, così come i
membri delle balìe, furono invece uomini di assoluto rilievo nel panorama politico cittadino:
concentravano nelle loro mani ingenti ricchezze, occupavano una posizione politica preminente e
molti di loro furono almeno una volta membri di una delle balìe create per affrontare le emergenze.
Questo nucleo rappresentò il vertice di comando politico e militare della città in tutto il periodo
preso in considerazione. Al termine del capitolo si cercherà di tracciare un profilo culturale dei
comandanti, in particolar modo si è posto l’accento sul loro grado di alfabetizzazione.