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Gambino, Silvio. "I diritti fondamentali fra ‘Carta dei diritti UE' e "costituzionalismo multilivello"". CITTADINANZA EUROPEA (LA), n.º 1 (agosto de 2020): 47–85. http://dx.doi.org/10.3280/ceu2020-001003.

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L'articolo esamina la protezione dei diritti fondamentali nella prospettiva del processo di in-tegrazione europea e delle sue relazioni con l'ordine costituzionale interno nel quadro del costituzionalismo multilivello. In tale contesto, recenti nuovi indirizzi della giurisprudenza costituzionale sottolineano come il giudice nazionale ordinario sia chiamato a occupare un ruolo di crescente importanza nei rapporti con il Giudice costituzionale e nel dialogo con il Giudice dell'Unione (CGUE). Tali indirizzi restituiscono una nuova centralità alla ‘dottrina dei controlimiti' rispetto alla dottrina della CGUE sul primato del diritto dell'Unione con riguardo alle disposizioni costituzionali in tema di principi e di diritti fondamentali. In tale prospettiva, il testo esamina sia il tema dei rapporti fra libertà fondamentali economiche e processo di integrazione europea sia solleva interrogativi sul livello di protezione giurisdi-zionale di tali libertà fondamentali fra costituzioni nazionali e diritto primario dell'Unione.
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Ziller, Jacques. "Il nuovo assetto dei Diritti nei trattati Europei dopo Lisbona". CITTADINANZA EUROPEA (LA), n.º 1 (marzo de 2011): 63–84. http://dx.doi.org/10.3280/ceu2011-001005.

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Resumen
La problematica dei diritti č strettamente collegata alla natura pattizia della ‘costituzione' della Comunitŕ - ora Unione - europea come giŕ chiarito dalla Corte di giustizia nella sentenza Van Gend en Loos del 1963. Č su questa base che vanno quindi analizzate le novitŕ del trattato di Lisbona, per quanto riguarda diritti derivanti da obblighi degli Stati membri, che sono nuovi rispetto ai previgenti trattati CE e UE. L'autore esamina come si manifesta il carattere vincolante della Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione europea per tutti gli Stati membri, dato che il Protocollo sulla Polonia e il Regno Unito non rappresenta una deroga al sistema di diritto UE. Infine, l'autore presenta le tre piů importanti conseguenze del carattere ormai vincolante della Carta, cioč la differenziazione tra diritti fondamentali e altri diritti, l'applicabilitŕ di una riserva di legge e la possibilitŕ di ricorso alla procedura di rinvio pregiudiziale per l'interpretazione della Carta.
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Bompiani, Adriano. "La Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea: aspetti etici". Medicina e Morale 51, n.º 1 (28 de febrero de 2002): 13–27. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2002.710.

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Al margine del “vertice” di Nizza, il 27 dicembre 2000 il Consiglio Europeo ha proposto al Parlamento Europeo ed alla Commissione di proclamare solennemente, insieme al Consiglio, la “Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea” (UE), elaborata da un Gruppo di lavoro in base al mandato ricevuto nel 1999 dal medesimo Consiglio. Il documento ha indubbia valenza “politica” per dotare l’UE di una più definita base giuridica e sotto alcuni aspetti “costituzionale”, proposta per rafforzare il consenso dei cittadini dei vari Stati europei che già fanno parte dell’UE ed orientare il sentire di quelli che – già - rappresentati in Consiglio d’Europa - saranno ammessi a farvi parte. La base dei fattori unificanti viene sostanzialmente individuata nei “diritti dell’uomo”, storicamente sviluppatisi sia nei riguardi della promozione della individualità che della socialità dell’uomo nel corso del XX secolo. L’articolo riprende attraverso l’esame della recente letteratura nazionale le opinioni espresse sulla “Carta”, ma si sofferma in particolare sugli aspetti bioetici emergenti dall’art. 1 (Dignità umana); art. 2 (Diritto alla vita); art. 3 (Diritto all’integrità della persona). Ciascuno di questi articoli, nell’annunciare i “valori” e corrispondenti “diritti”, si rifà alla concezione giuridica tradizionale della “persona”, dalla quale può derivare l’insufficiente tutela della fase prenatale della vita umana. Questo non può non suscitare preoccupazioni e riserve di fronte ad un documento che, per altri aspetti, sembra utile per consentire uno sviluppo europeo non limitato agli aspetti mercantili.
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Pennacchini, M., D. Sacchini y A. G. Spagnolo. "Evoluzione storica delle “Carte dei diritti dei morenti”". Medicina e Morale 50, n.º 4 (31 de agosto de 2001): 651–75. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2001.729.

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L’intento perseguito dagli autori con questo lavoro è stato quello di ripercorrere l’evoluzione negli ultimi decenni delle “carte” in cui vengono indicati i diritti delle persone morenti. Una storia che si va a contrapporre, con una sorprendente coincidenza nella cronologia, ai successivi momenti della depenalizzazione, prima, e della legalizzazione, poi, dell’eutanasia. Tali “carte”, infatti, hanno sostanzialmente inteso contrapporre il right to death with dignity al right to death senza altre specificazioni, rivendicato dai movimenti e dalle società a favore dell’eutanasia volontaria e del suicidio assistito. Questo lavoro, quindi, trova il suo momento iniziale con l’identificazione e l’analisi delle motivazioni socio-culturali oltre che di quelle più propriamente scientifiche che hanno portato all’elaborazione della prima carta dei diritti del morente, capostipite in un certo senso di tutte quelle seguenti. Dopo di che mostra l’evoluzione peculiare che tali carte, c.d. di prima generazione hanno avuto in Europa, e da ultimo illustra come esse si sono evolute, sia in Europa sia negli Usa in anni più recenti. Da ultimo, a conclusione della “review” storica, gli autori hanno voluto presentare la Carta dei diritti del malato cronico in evoluzione di malattia elaborata nel 1999 all’interno del Policlinico Universitario “Agostino Gemelli” dell’Università Cattolica, esaminandone il contenuto e le ragioni che hanno portato alla sua elaborazione.
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Gerbasi, Giampaolo. "Il primato del diritto dell'Unione e la questione dei controlimiti: minaccia disgregativa o spinta integrativa nel processo di costituzionalizzazione dell'Unione europea". CITTADINANZA EUROPEA (LA), n.º 1 (agosto de 2020): 87–132. http://dx.doi.org/10.3280/ceu2020-001004.

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Resumen
Con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona e della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, da più parti è stata sottolineata l'obsolescenza del tema dei limiti costi-tuzionali al primato del diritto UE. Si assiste invece ad un ‘ritorno di attualità' della dottrina dei controlimiti e delle tensioni irrisolte che ruotano intorno alla tutela dei diritti fondamentali nel pluralismo costituzionale europeo. In tale contesto, il presente contributo mira a verifica-re se i crescenti conflitti interordinamentali costituiscano una minaccia per la tenuta dell'edificio europeo oppure se possano produrre anche una spinta propulsiva nel processo di costituzionalizzazione dell'Unione. A tal fine, saranno esaminati, da un lato, le tendenze osservabili nell'approccio (oppositivo vs. conciliativo) delle Corti costituzionali e della Corte di giustizia alle disarmonie nelle dinamiche relazioni tra ordinamenti, dall'altro, le eteroge-nee indicazioni emergenti dall'approccio orientato allo scontro o al confronto.
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Dammacco, Gaetano. "Riflessioni sul diritto di satira e i suoi limiti". Studia z Prawa Wyznaniowego 23 (30 de diciembre de 2020): 101–21. http://dx.doi.org/10.31743/spw.10355.

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Resumen
La satira è un paradigma estremo della libertà di espressione, ma esistono incertezze sulla sua definizione concettuale e sulla relativa disciplina giuridica. Lo sviluppo della comunicazione ha prodotto numerose figure letterarie simili tra loro come la cronaca (una registrazione impersonale e non interpretativa di fatti accaduti), la critica (analisi soggettiva e giudizio relativi a fatti accaduti) e la satira (critica sarcastica di personaggi, comportamenti, modi di fare individuali con scopo di denuncia sociale). Gli elementi che caratterizzano la satira, sviluppatisi nel corso dei secoli, sono sostanzialmente due: attenzione alle contraddizioni (della politica, della società, della religione, della cultura) e intento moralistico per promuovere un cambiamento sociale. La satira religiosa colpisce il potere ecclesiastico e le sue contraddizioni, ma colpisce anche i simboli religiosi e i contenuti delle religioni. Ne conseguono differenti conseguenze giuridiche. Quando colpisce il patrimonio di fede dei credenti essa non è accettabile. La satira religiosa genera una specie di conflitto tra differenti valori costituzionali, e cioè tra il diritto alla libera espressione del pensiero e il diritto alla reputazione e alla tutela del sentimento religioso. Il diritto di satira in generale è riconosciuto dagli ordinamenti giuridici (sia internazionali, sia nazionali) come diritto soggettivo di rilevanza costituzionale, che deriva dalla libertà di espressione e di pensiero. Pensiero, coscienza e religione – per esempio nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – sono omologhi (come beni giuridici o valori etici). Pertanto pensiero, coscienza e religione non possono essere in contrapposizione tra loro. Notevoli incertezze esistono sulla disciplina giuridica del diritto di satira, che non può mai offendere i diritti fondamentali della persona, la sua dignità, la sua reputazione. La Carta di Nizza ha favorito un orientamento, che considera il diritto di libera espressione nella sua forma più ampia ed espansiva. È tuttavia sempre stato affermato il valore prevalente dei diritti umani fondamentali, che non possono essere offesi dall’esercizio del diritto di satira. Negli ordinamenti giuridici nazionali, la forza del diritto di satira consiste nel riconoscimento del suo rango costituzionale, ma anche nei limiti che deve avere. La giurisprudenza ha elaborato i vincoli “formali”, tra i quali i più importanti sono il limite della continenza e della funzionalità.
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Costanzi, Roberto, Franco Brizzi, Giuseppe Iacovelli, Alessandra Nunzi, Gaspare Elios Russo, Anna Viola, Teresa Petrangolini, Francesca Diamanti y Gianna D’Adamo. "Carta dei diritti della persona con malattia renale". Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi 27, n.º 2 (14 de mayo de 2015): 84–87. http://dx.doi.org/10.33393/gcnd.2015.802.

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Marzario, Margherita. "La Carta dei diritti del bambino nato prematuro". MINORIGIUSTIZIA, n.º 1 (marzo de 2012): 446–48. http://dx.doi.org/10.3280/mg2012-001040.

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Costanzi, Roberto, Franco Brizzi, Giuseppe Iacovelli, Alessandra Nunzi, Gaspare Elios Russo, Anna Viola, Teresa Petrangolini, Francesca Diamanti y Gianna d'Adamo. "Carta dei diritti della persona con malattia renale". Giornale di Tecniche Nefrologiche e Dialitiche 27, n.º 2 (abril de 2015): 84–87. http://dx.doi.org/10.5301/gtnd.2015.14676.

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Calzolaio, Ermanno. "Europa dei diritti e giudice europeo". CITTADINANZA EUROPEA (LA), n.º 1 (marzo de 2011): 85–113. http://dx.doi.org/10.3280/ceu2011-001006.

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Il presente contributo, muovendo dal rilievo ampiamente condiviso che il sistema di tutela dei diritti umani in ambito europeo fa perno sulla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo e della Corte di Giustizia, si concentra sull'esame di alcuni aspetti di contesto, sovente lasciati sullo sfondo, ma che appaiono invece essenziali per la stessa comprensione del fenomeno. Si tratta, precisamente, delle modalitŕ di nomina dei giudici, dello stile delle sentenze, dell'esistenza di una regola del precedente e dei modi del suo operare. L'analisi svolge poi alcune considerazioni sul tema dei rapporti tra le due Corti, soprattutto alla luce della adesione dell'Unione alla Convenzione europea a seguito dell'entrata in vigore del cd. Trattato di Lisbona, che riconosce lo stesso valore giuridico dei trattati alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea approvata a Nizza nel 2000 (art. 6 TUE). Alla luce del contesto cosě ricostruito, vengono svolti rilievi critici sulle modalitŕ attraverso cui i giudici italiani si rapportano alla giurisprudenza convenzionale e comunitaria.
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Triggiani, Ennio. "Il principio di solidarietà nell'Unione europea". GIORNALE DI DIRITTO DEL LAVORO E DI RELAZIONI INDUSTRIALI, n.º 170 (agosto de 2021): 235–55. http://dx.doi.org/10.3280/gdl2021-170004.

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L'articolo analizza la progressiva e poliedrica qualificazione giuridica della solidarietà nel si-stema dell'Unione europea attraverso i diversi Trattati e, soprattutto, la Carta dei diritti fonda-mentali. L'analisi si sofferma sull'attuazione fortemente innovativa del principio, a partire dal Pilastro europeo dei diritti sociali, in primo luogo alla luce degli interventi adottati a seguito della crisi pandemica. Fra questi viene evidenziato il possibile significato politico dell'emissione di una prima forma di debito europeo con il Next Generation EU.
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Bronzini, Giuseppe. "La giurisprudenza della Corte di giustizia e la protezione ‘anticipata' dello stato di diritto. Il ruolo delle norme dei Trattati e della Carta dei diritti". CITTADINANZA EUROPEA (LA), n.º 1 (junio de 2022): 57–80. http://dx.doi.org/10.3280/ceu2022-001003.

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La Corte di giustizia ha saputo proteggere i principi dello stato di diritto di cui all'art. 2 TUE, in particolare quello dell'indipendenza e dell'autonomia della Magistratura, sulla base dell'applicazione dell'art. 47 della Carta dei diritti e dell'art. 19.2 del TUE. Il rispetto della rule of the law è diventato anche un presupposto per godere delle risorse dell'Unione da parte degli stati. Si è sviluppata una nuova fase del processo di integrazione fondata sulla convergenza sui valori fondamentali, che molto dipenderà dalla cooperazione e dal dialogo tra Corti nazionali e Corte del Lussemburgo.
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Marzario, Margherita. "La Carta dei diritti dei bambini all'arte e alla cultura: il diritto alla pienezza della vita". MINORIGIUSTIZIA, n.º 4 (noviembre de 2013): 234–38. http://dx.doi.org/10.3280/mg2013-004026.

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Chiaromonte, William. "A proposito della tutela multilivello dei diritti fondamentali nel sistema giurisdizionale europeo: il diniego della carta di soggiorno opposto al coniuge non convivente di un cittadino dell'Unione". DIRITTO, IMMIGRAZIONE E CITTADINANZA, n.º 4 (febrero de 2011): 92–99. http://dx.doi.org/10.3280/diri2010-004007.

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1. I fatti all'origine della pronuncia.2. La judicial globalization in materia di tutela dei diritti dell'uomo.3. La soluzione della controversia.4. Brevi considerazioni sul ruolo della tutela multilivello dei diritti fondamentali nel sistema giurisdizionale europeo.
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Bompiani, Adriano. "L’Italia e la “Dichiarazione di Amsterdam” sui diritti dei pazienti". Medicina e Morale 47, n.º 1 (28 de febrero de 1998): 47–90. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1998.843.

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In questo lavoro si compie un’analisi della “Dichiarazione sulla promozione dei diritti dei pazienti in Europa”, redatta da un gruppo di esperti sotto gli auspici dell’Ufficio Regionale Europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nella riunione tenutasi ad Amsterdam (28-30 marzo 1994). L’iniziativa dell’OMS dimostra il crescente interesse degli Stati appartenenti alla Regione Europea a rendere comparabili le norme degli ordinamenti interni concernenti l’accesso e l’utilizzazione da parte dei pazienti dei servizi sanitari, venendo incontro non solamente ad ormai codificati diritti soggettivi della persona umana, ma anche a legittime aspirazioni di miglioramento della qualità e dei rapporti umani nell’assistenza. Richiamata la lunga serie delle “Dichiarazioni sui diritti dell’uomo” proclamate in diversi documenti internazionali di alto valore morale, e le parallele dichiarazioni riguardanti i “diritti dei pazienti”, l’analisi prosegue delineando i contenuti fondamentali della Dichiarazione di Amsterdam e valutandoli sotto il profilo etico-giuridico. Si è cercato anche di verificare - brevemente - le analogie intercorrenti fra detta “Dichiarazione di Amsterdam” e la “Carta dei servizi pubblici sanitari”, strumento che intende attuare l’art. 14 del D. Leg. n. 502/1992 (e successive modificazioni ed integrazioni). “Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’art.1 della legge 23 ottobre 1992 n. 421”. L’art. 14, come è noto, ha per oggetto i “Diritti dei cittadini”. L’applicazione dei principi solennemente dichiarati nei vari documenti esaminati richiede - ormai - una convinta adesione ai postulati dell’etica della cura, interpretati nella tradizione personalista.
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Gambino, Silvio. "Giurisdizione e ‘Giustizia' fra Trattato di Lisbona, CEDU e ordinamenti nazionali". CITTADINANZA EUROPEA (LA), n.º 1 (diciembre de 2010): 85–113. http://dx.doi.org/10.3280/ceu2010-001005.

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A due secoli dall'avvio del costituzionalismo liberal-democratico, l'ordinamento giudiziario sembrerebbe aver compiutamente realizzato la sua parabola, vedendosi riconosciuto come potere dello Stato (autonomo e indipendente), mediante previsioni costituzionali espresse o anche sulla base di mere disposizioni legislative. In tale quadro, l'analisi affronta le tematiche della ‘giurisdizione' e della ‘giustizia' nell'ottica del diritto dell'Unione europea, sottolineando gli effetti giuridici prodotti dall'art. 6 del Trattato di Lisbona (con l'incorporazione sostanziale della Carta dei diritti fondamentali dell'UE all'interno dei nuovi trattati e con l'adesione alla CEDU da parte dell'Unione). Secondo quanto viene osservato, tuttavia, l'esperienza degli ordinamenti europei, nel fondo, non consente di poter cogliere una tradizione costituzionale comune agli Stati membri (per come affermato dalla Corte di Giustizia dell'UE) quanto piuttosto la garanzia in tutti gli ordinamenti nazionali, nella CEDU e ora nell'art. 47 della Carta di Nizza/Strasburgo, del diritto del soggetto ad un ricorso effettivo dinanzi ad una autoritŕ giurisdizionale, indipendente e imparziale, precostituita per legge, nel quadro di un processo equo, garantito nel contraddittorio, ragionevole nella durata.
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Ferraro, Angelo Viglianisi. "IL PRIVATE ENFORCEMENT IN ITALIA DELLA CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA A VENT’ANNI DALLA SUA PROCLAMAZIONE". Novos Estudos Jurí­dicos 25, n.º 2 (22 de septiembre de 2020): 338–53. http://dx.doi.org/10.14210/nej.v25n2.p338-353.

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L’articolo analizza il contenuto e l’efficacia della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata solennemente a Nizza nel dicembre del 2000, concentrandosi sugli strumenti utilizzati in Italia per garantire un suo pieno private enforcement.
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de Medeiros, Clayton Gomes y Josiane Becker. "COMPETENZA TRIBUTARIA COME LIMITE PROTETTIVO DEL CONTRIBUENTE". REVISTA INTERNACIONAL CONSINTER DE DIREITO 8, n.º 8 (28 de junio de 2019): 285–300. http://dx.doi.org/10.19135/revista.consinter.00008.16.

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La presente ricerca, svolta a partire dal metodo dogmatico ermeneutico analitico, intende dimostrare, tramite costruzione teorico-argomentativa, l’istituzione della competenza tributaria come limitatore nella difesa del diritto del contribuente di subire tassazione ai limiti imposti dalla Carta Costituzionale Brasiliana, specie il limite contenuto nel Principio della Legalità. A tal fine, si delimita la competenza tributaria e la sua operatività come strumento nella difesa dei diritti costituzionali tramite il fondamento della validità delle norme dalle prospettive formale e materiale. La ricerca percorre i significati che si possono dare alla locuzione competenza tributaria, le sue caratteristiche, e il suo rapporto con il principio della legalità nel diritto tributario.
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Piccinini, Alberto y Salsa Ponterio. "La controriforma del lavoro". QUESTIONE GIUSTIZIA, n.º 3 (julio de 2010): 39–57. http://dx.doi.org/10.3280/qg2010-003004.

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1. L'attivitŕ interpretativa come perno della funzione giurisdizionale2. Primazia, effetto diretto, interpretazione conforme3. Il Trattato di Lisbona e la Carta dei diritti fondamentali nel sistema delle fonti4. L'adesione dell'Unione alla CEDU5. Il nuovo rapporto fra Carte. Il nuovo rapporto fra Corti.
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Romano, Fortunata. "Contributo al dibattito sulla carta dei diritti del bambino adottato". MINORIGIUSTIZIA, n.º 1 (mayo de 2009): 100–111. http://dx.doi.org/10.3280/mg2009-001012.

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Giordano, Filippo Maria. "Willem Adolph Visser't Hooft e il federalismo europeo. Dalla Resistenza alle iniziative per l'unitŕ europea nel dopoguerra". CITTADINANZA EUROPEA (LA), n.º 2 (octubre de 2011): 93–110. http://dx.doi.org/10.3280/ceu2011-002005.

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Con l'entrata in vigore il 1° dicembre 2009 del Trattato di Lisbona č stato conferito carattere vincolante alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. La Corte europea di giustizia, dopo quella data, ha giŕ richiamato le disposizioni della Carta in oltre trenta sentenze. Viene qui fatta una valutazione di questa prima giurisprudenza, ponendo l'accento sul fatto che la Corte ha, in linea generale, pienamente valorizzato la portata garantista del Bill of rights dell'Unione, assumendolo in alcuni casi come parametro di legittimitŕ ‘costituzionale' degli atti normativi sovranazionali. Il ruolo della Carta si profila oggi come centrale nello sviluppo della giurisprudenza ‘multilivello' ed influenzerŕ inevitabilmente anche gli orientamenti dei giudici nazionali, anche al di lŕ del suo ambito di applicazione diretta, cosě rafforzando la dimensione sostanziale della cittadinanza europea.
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Masina, Filippo. "Wutausbrüche und Bittgesuche". Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken 97, n.º 1 (20 de diciembre de 2017): 24–43. http://dx.doi.org/10.1515/qfiab-2017-0004.

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Riassunto L’articolo tratta delle misure assistenziali in pro dei sinistrati di guerra nell’Italia repubblicana, ma nell’ottica di inquadrare tali provvedimenti nel piu ampio contesto dei nuovi diritti di cittadinanza sanciti con la Carta costituzionale del 1947. Andando oltre il gia noto nesso tra warfare e welfare, l’articolo ricostruisce l’esercizio di tali nuovi diritti (un vero e proprio „diritto al benessere“ che, preso a „fondamento della nuova cittadinanza“, e stato giudicato come uno dei punti cardine della transizione tra guerra e dopoguerra) da parte di una categoria sovente giudicata dallo Stato meritevole delle piu ampie attenzioni, ma che lamento molto spesso la trascuratezza da parte delle istituzioni nel garantirle quanto stabilito dalla legge. L’ipotesi di partenza e, pertanto, che tali difficolta abbiano contribuito a minare l’affezione di una porzione non piccola della cittadinanza rispetto alle nuove istituzioni democratiche, molto fragili nei primi anni del dopoguerra. L’articolo analizza nello specifico alcuni casi di pratiche pensionistiche, relative a diverse categorie di beneficiari, afflitte pero dai medesimi problemi: in particolare, la lentezza talvolta sconcertante con cui il Dipartimento Generale delle Pensioni di Guerra - che pure era, in effetti, letteralmente inondata di domande di pensione - gestiva l’iter delle pratiche, tanto che alcune si sono trascinate sino agli anni ’90. Il cittadino che faceva richiesta di pensione di guerra (che spettava agli invalidi per cause di guerra con almeno il 30 per cento di capacita lavorativa perduta) doveva spesso attendere anni anche soltanto per avere una prima risposta. Cio provocava un fenomeno ricorrente, cioe quello di rivolgersi alle piu diverse personalita ed autorita politiche auspicando la loro intercessione: non percependo la forza del diritto, ci si rifugiava nella speranza di una generosita paternalistica. Talvolta, queste lettere - di rabbia, e di supplica - addirittura precedevano i gravi ritardi dell’espletamento delle pratiche, segnalando dunque l’esistenza di una consuetudine predemocratica nei suoi stessi presupposti. Uno dei segnali di una condizione di cittadinanza rimasta incompiuta.
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Masina, Filippo. "Wutausbrüche und Bittgesuche". Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken 97, n.º 1 (5 de marzo de 2018): 24–43. http://dx.doi.org/10.1515/qufiab-2017-0004.

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Riassunto L’articolo tratta delle misure assistenziali in pro dei sinistrati di guerra nell’Italia repubblicana, ma nell’ottica di inquadrare tali provvedimenti nel più ampio contesto dei nuovi diritti di cittadinanza sanciti con la Carta costituzionale del 1947. Andando oltre il già noto nesso tra warfare e welfare, l’articolo ricostruisce l’esercizio di tali nuovi diritti (un vero e proprio „diritto al benessere“ che, preso a „fondamento della nuova cittadinanza“, è stato giudicato come uno dei punti cardine della transizione tra guerra e dopoguerra) da parte di una categoria sovente giudicata dallo Stato meritevole delle più ampie attenzioni, ma che lamentò molto spesso la trascuratezza da parte delle istituzioni nel garantirle quanto stabilito dalla legge. L’ipotesi di partenza è, pertanto, che tali difficoltà abbiano contribuito a minare l’affezione di una porzione non piccola della cittadinanza rispetto alle nuove istituzioni democratiche, molto fragili nei primi anni del dopoguerra. L’articolo analizza nello specifico alcuni casi di pratiche pensionistiche, relative a diverse categorie di beneficiari, afflitte però dai medesimi problemi: in particolare, la lentezza talvolta sconcertante con cui il Dipartimento Generale delle Pensioni di Guerra – che pure era, in effetti, letteralmente inondata di domande di pensione – gestiva l’iter delle pratiche, tanto che alcune si sono trascinate sino agli anni ’90. Il cittadino che faceva richiesta di pensione di guerra (che spettava agli invalidi per cause di guerra con almeno il 30 per cento di capacità lavorativa perduta) doveva spesso attendere anni anche soltanto per avere una prima risposta. Ciò provocava un fenomeno ricorrente, cioè quello di rivolgersi alle più diverse personalità ed autorità politiche auspicando la loro intercessione: non percependo la forza del diritto, ci si rifugiava nella speranza di una generosità paternalistica. Talvolta, queste lettere – di rabbia, e di supplica – addirittura precedevano i gravi ritardi dell’espletamento delle pratiche, segnalando dunque l’esistenza di una consuetudine predemocratica nei suoi stessi presupposti. Uno dei segnali di una condizione di cittadinanza rimasta incompiuta.
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Pirina, Giorgio. "Lavoro di piattaforma e indebolimento della società salariale. Il caso del food delivery bolognese". SOCIOLOGIA DEL LAVORO, n.º 163 (agosto de 2022): 171–90. http://dx.doi.org/10.3280/sl2022-163009.

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Le tecnologie digitali sono sempre più incapsulate in una molteplicità di sfere sociali, con una influenza significativa sul mondo del lavoro. In questo contributo, l'autore investiga il lavoro di piattaforma e l'indebolimento della società salariale nel contesto della City of Food bolognese. Infatti, è possibile delineare le continuità tra la precarietà delle condizioni lavorative di quest'ultima e il radicamento dell'economia di piattaforma. Ma Bologna è anche uno dei principali nodi principali per quanto riguarda i tentativi di regolazione su base municipale dell'economia di piattaforma: la "Carta dei diritti dei lavoratori digitali in ambito urbano" è stato il primo strumento normativo urbano in Europa a stabilire, sebbene senza una cogenza diretta, una base minima di diritti sociali per i lavoratori digitali. Oltre al dialogo con più approcci disciplinari (in particolare la letteratura su digital labor theory, capitalismo delle piattaforme e platform urbanism), l'autore adotta una metodologia qualitativa, espressa dal metodo delle interviste in profondità a testimoni altamente qualificati. Infine, l'autore introduce un nuovo concetto utile a catturare la tensione tra idee divergenti sulle piattaforme digitale sul loro governo: "digitarchia".
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Forni, Elisabetta. "La reclusione dell'infanzia. Com'č difficile crescere in cittÀ". SOCIETÀ DEGLI INDIVIDUI (LA), n.º 40 (abril de 2011): 42–52. http://dx.doi.org/10.3280/las2011-001004.

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Resumen
Nel nostro mondo occidentale e urbanizzato i bambini subiscono forme di segregazione e controllo, al pari di altre categorie sociali altrettanto ‘scomode', perché ostacolano il cosiddetto ‘ordine morale del profitto e del consumo'. La casa, la scuola, i luoghi strutturati e sorvegliati delle attivitÀ del tempo libero, vengono presentati come il rifugio contro i pericoli della strada che č perciň interdetta ai bambini con ogni mezzo, compreso il coprifuoco. Ma la libera fruizione di uno spazio pubblico fatto di strade, piazze, slarghi, aree vuote e marginali, č invece fondamentale per lo sviluppo delle capacitÀ sociali dei bambini. Uno dei tre principi della Carta ONU dei Diritti dell'infanzia, quello alla partecipazione e all'autonomia, č violato.
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Gambino, Silvio. "Parabole evolutive e problematiche attuali del regionalismo, fra riforme attuate, inattuate (federalismo fiscale, Carta delle autonomie) e aleggiate (regionalismo differenziato) .. a vent'anni dalla riforma del Titolo V della Costituzione". CITTADINANZA EUROPEA (LA), n.º 2 (enero de 2022): 63–102. http://dx.doi.org/10.3280/ceu2021-002003.

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Dopo qualche cenno (anche di tipo metodologico) sulle problematiche evolutive del regionalismo nel primo dopoguerra repubblicano, nel contributo sono analizzate - anche in una prospettiva comparata con le omologhe forme di decentramento territoriale dei poteri osservabili negli Stati europei a forma regionale e in quelli a forma federale - alcune delle problematiche del riparto dei poteri alla luce dei venti anni successivi alle riforme costituzionali del Titolo V, per interrogarsi conclusivamente sui nuovi rapporti venutisi a determinare fra autonomia politica regionale, impatto della crisi economica, integrazione europea e problematiche di effettività dei diritti, soprattutto (sociali ma non solo).
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Delfino, Massimiliano. "Ancora sul campo di applicazione della Carta dei diritti fondamentali: Poclava vs Florescu?" GIORNALE DI DIRITTO DEL LAVORO E DI RELAZIONI INDUSTRIALI, n.º 157 (marzo de 2018): 183–94. http://dx.doi.org/10.3280/gdl2018-157007.

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Lingle, Christopher. "Rent-Seeking and the EC Social Charter". Journal of Public Finance and Public Choice 8, n.º 1 (1 de abril de 1990): 23–33. http://dx.doi.org/10.1332/251569298x15668907344893.

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Abstract Le politiche sociali, così come sono state concepite nella Carta Sociale della Comunita Europea, impediranno lo sviluppo economico, la crescita e l’occupazione e promuoveranno la burocratizzazione e la centralizzazione dei poteri: questa la tesi sostenuta dall’Autore, che utilizza l’approccio metodologico della Public Choice per analizzare i contenuti della Carta Sociale europea. Frutto di rent-seeking da parte e a vantaggio di particolari gruppi di interesse, la Carta Sociale promuoverà rent-seeking ad altri livelli. La filosofia populista che ne ispira i contenuti, inoltre, favorirà una tendenza all’interventismo e alla concentrazione del potere politico della Comunita a discapito dei diritti degli Stati e in contrasto con il principio della sussidiarietà.Se, poi, argomenta l’A., questa stessa interpretazione populista della democrazia guiderà lo sviluppo futuro delle istituzioni comunitarie, non si verificherà nessun sostanziale cambiamento nella natura e nella fonte delle inefficienze del settore pubblico.Lo spreco associato al rent-seeking sarebbe invece notevolmente ridotto dalla attuazione di alcune misure alternative, coerenti con i principi della democrazia liberale: il mantenimento di strutture politiche decentralizzate (nazionali) che limitino lo sproporzionato accesso al potere dei gruppi di interesse; l’imposizione di limiti costituzionali a livello nazionale e sui processi fiscali e monetari della Comunità Europea, allo scopo di controllare deficits e inflazione; una riforma delle burocrazie nazionali e comunitaria per migliorare la produttività del settore pubblico.
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Orlandini, Giovanni. "La tutela contro il licenziamento ingiustificato nell'ordinamento dell'unione europea". GIORNALE DI DIRITTO DEL LAVORO E DI RELAZIONI INDUSTRIALI, n.º 136 (diciembre de 2012): 619–60. http://dx.doi.org/10.3280/gdl2012-136004.

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Resumen
Il tema della tutela contro il licenziamento illegittimo nell'ordinamento dell'UE č affrontato dall'autore proponendo una lettura dinamica dell'art. 30 della Carta di Nizza che tiene conto di quanto emerge dalle altre fonti sovranazionali sul tema, in particolare dalla Carta Sociale Europea riveduta nel 1996 e dalla giurisprudenza del Comitato europeo dei diritti sociali che ne monitora l'applicazione. Ciň permette di contraddire la consolidata interpretazione riduttiva della norma della Carta in base alla quale essa si limiterebbe a porre un generale principio di giustificazione del licenziamento senza porre sostanziali limiti alla discrezionalitŕ statale nell'identificare il tipo di giustificazione e di sanzioni applicabili. Nell'ultima parte del saggio, si rende conto del modo con cui il tema del licenziamento viene affrontato nell'ambito della nuova governance economica europea e, con riferimen- to all'ordinamento italiano, dell'influenza che questa ha avuto nel processo di riforma sfociato nella l. n. 92/2012. Ciň anche al fine di valutare se ed in che misura la Carta di Nizza abbia giocato un ruolo nel guidare l'azione delle istituzioni europee e del legislatore nazionale.
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Forni, Lorena. "Il corpo come risorsa? Donazione samaritana e mercato degli organi tra carta di Nizza e Costituzione". SOCIOLOGIA DEL DIRITTO, n.º 1 (julio de 2012): 7–36. http://dx.doi.org/10.3280/sd2012-001001.

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Resumen
A partire dal documento del 23.4.2010, che il Comitato Nazionale per la Bioetica ha formulato a favore della donazione samaritana, questo contributo intende soffermarsi sull'esistenza di valide ragioni giustificanti non solo la donazione samaritana, ma anche specifiche ipotesi di donazione non gratuita. L'analisi cerca di mettere in evidenza gli argomenti di principio e di fatto tali pratiche che potrebbero essere accolti dal sistema giuridico italiano. In particolare, si porta attenzione alla disponibilitŕ del corpo in tema di trapianti alla luce delle tutele e dei vincoli posti dalla cornice costituzionale e dalla normativa europea, alla ricerca di un contemperamento di diversi interessi o bisogni, tra libertŕ della ricerca scientifica e diritti inviolabili degli individui.
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Giuliani, Livia. "Editoriale del Dossier “Libertà personale dell’imputato e misure cautelari restrittive della libertà individuale nel processo penale” – La libertà personale dell’imputato tra princìpi e prassi in attesa di una riforma organica della giustizia penale italiana". Revista Brasileira de Direito Processual Penal 7, n.º 3 (31 de octubre de 2021): 1559. http://dx.doi.org/10.22197/rbdpp.v7i3.648.

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Resumen
Il saggio offre una sintesi del decorso evolutivo della disciplina delle misure cautelari personali alla luce dei diritti sanciti nella Carta costituzionale italiana e nelle Carte sovranazionali, ponendo in luce come il perimetro normativo già da tempo segnato al riguardo – ed oggi inserito nel contesto di un sistema multilivello – non abbia impedito prassi applicative discusse e cicliche fluttuazioni legislative. Pregevole nel suo impianto originario, sebbene perfettibile, la disciplina delle misure cautelari personali resta una normativa di settore, delineando un sottosistema fortemente sensibile agli equilibri del processo penale che non può trovare autonoma pacificazione senza una contestuale revisione del sistema penale e processuale. La congiuntura politico-economica eccezionale determinata dall’emergenza sanitaria induce a sperare che la legge delega di riforma della giustizia in corso di approvazione lasci infine apparire l’araba fenice di una efficienza del processo penale sconosciuta – a memoria di uomo vivente – al nostro ordinamento.
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De Angelis, Fernando. "Consenso libero ed informato: la Convenzione di Oviedo nell'articolato contesto storico e giuridico delle fonti / Free and informed consent: the Oviedo Convention in the articulated historical and legal context of the sources". Medicina e Morale 65, n.º 1 (21 de septiembre de 2016): 57–67. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2016.428.

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La Convenzione di Oviedo del 1997 ha creato regole basilari ed uniformi in tema di consenso libero ed informato. Nonostante siano passati vent’anni, pochi Stati hanno firmato e ratificato la Convenzione. Oggi però la Carta dei diritti fondamentali di Nizza del 2000 ed il Trattato di Lisbona del 2007, riformando profondamente l’Unione Europea, possono dare finalmente alla Convenzione di Oviedo l’auspicata attuazione interna, seppur in modo indiretto. Il contributo affronta il tema dell’articolato contesto storico e giuridico delle fonti di questa Convenzione. ---------- The Oviedo Convention of 1997 has established fundamental and uniform rules in reference to free and informed consent. Even though twenty years have passed, few States have signed and ratified the Convention. Anyway, today’s the Charter of Fundamental Rights of 2000 and the Treaty of Lisbon of 2007, reforming deeply the European Union, can finally give the hoped implementation to the Convention of Oviedo, at least indirectly. The contribution deals with the articulated historical and juridical context of the sources related to the Convention.
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Bamoshmoosh, Nadia. "Perchè la parità retributiva nell'Unione europea è ancora un sogno?" La Nuova Giuridica 2, n.º 2 (19 de enero de 2023): 163–78. http://dx.doi.org/10.36253/lng-1985.

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Nonostante le pari opportunità in ambito lavorativo siano state oggetto di attenzione già nel Trattato di Roma istitutivo della Comunità Economica Europea, ancora oggi la parità salariale in Europa è un traguardo lontano. Dopo aver dato una panoramica generale delle più importanti tappe nel contesto UE che hanno portato all’inserimento della parità di retribuzione nella Carta di Nizza, questo articolo riflette su come il diritto unionale oggi affronta la questione della parità salariale. Verranno evidenziati i progressi, ma anche le mancanze e i possibili margini di miglioramento che potenzialmente tutelano le donne nel mercato del lavoro. La piena implementazione del principio “equal pay for equal work” non solo dovrebbe essere vista come garanzia dei diritti delle donne e dei soggetti che potrebbero subire una discriminazione salariale, ma come uno strumento di miglioramento della loro società che, attraverso una retribuzione equa di tutti i lavoratori, progredisce e si arricchisce.Despite the fact that equal opportunities in the workplace were already taken into account in the Treaty of Rome establishing the European Economic Community, today equal pay is still a distant dream. After giving a general overview of the most important legal steps in EU law which led to the inclusion of wage parity in the Charter of Fundamental Rights of the European Union, this article debates around the attitude of EU law towards the issue of equal pay. The main progresses, flaws and the potential scope for improvement in order to safeguard women in the work market will be highlighted. The full implementation of the principle “equal pay for equal work” should be seen not only as a guarantee to the rights of women and of subjects vulnerable to salary discrimination, but as a tool to improve their society which, by granting equal retribution to all workers, advances and develops.
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Giustozzi, Sara. "Interruzione volontaria di gravidanza e obiezione di coscienza. Il Comitato Europeo dei diritti sociali accerta la violazione della Carta Sociale Europea". PRISMA Economia - Società - Lavoro, n.º 1 (septiembre de 2015): 191–205. http://dx.doi.org/10.3280/pri2015-001017.

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Iacobellis, Luigi. "La tassazione dei redditi delle donne ed il principio di uguaglianza tributaria: la leva impositiva per la realizzazione e promozione dell'equità fiscale di genere". ECONOMIA E SOCIETÀ REGIONALE, n.º 2 (octubre de 2021): 82–94. http://dx.doi.org/10.3280/es2021-002006.

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In uno scenario mondiale aggravato dalla situazione pandemica e caratterizzato dall'acuirsi delle disuguaglianze, il tema delle differenze di genere assume un ruolo di assoluta centralità. Analizzati i principali elementi del gender gap e del differenziale retributivo di genere, anche in ragione dei più recenti studi ed analisi statistiche, nel contributo si è inteso indagare in diritto la possibilità di introdurre una tassazione di vantaggio per le donne, nel rispetto dei limiti imposti dal diritto unionale, dai fondamenti del sistema tributario italiano e dal principio di uguaglianza tributaria sancito dalla nostra Carta costituzionale. De jure condendo vengono valutate le possibili strategie, funzionali anche al quadro post-pandemico, che l'ordinamento tributario potrà adottare per il raggiungimento di una equità fiscale di genere, illustrando potenzialità e criticità della leva impositiva per ridurre e contrastare il gender gap attraverso una rimodulazione del sistema di tassazione dei redditi delle donne.
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Bettini, Romano. "Ulema e Costituzione in Egitto. La "Carta dei Valori" 2011 della moschea-universitŕ di al-Azhar". RIVISTA TRIMESTRALE DI SCIENZA DELL'AMMINISTRAZIONE, n.º 2 (julio de 2012): 31–61. http://dx.doi.org/10.3280/sa2012-002003.

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Il saggio analizza, nella prima parte, la originaria struttura diarchica del sistema islamico, nel suo ruolo negativo rispetto alla relativa economia; e, nella seconda parte, il conflitto tra diritto sacro e diritto costituzionale di uno Stato tendenzialmente liberal-democratico come quello egiziano. Le conclusioni vertono sul confronto del magistero religioso islamico-egiziano con il magistero religioso degli altri monoteismi.
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Colapietro, Carlo. "Diritto al lavoro dei disabili e Costituzione". GIORNALE DI DIRITTO DEL LAVORO E DI RELAZIONI INDUSTRIALI, n.º 124 (marzo de 2010): 607–32. http://dx.doi.org/10.3280/gdl2009-124002.

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La posizione delle persone disabili, pur non essendo espressamente contemplata in Costituzione, trova comunque una protezione costituzionale adeguata nell'ambito del programma di giustizia sociale delineato dalla nostra Carta costituzionale in favore dei soggetti deboli e rivolto a perseguire l'effettiva inclusione sociale del disabile ed, in particolare, un suo proficuo inserimento nel mondo del lavoro. In tal senso, l'evoluzione normativa della disciplina sul diritto al lavoro dei disabili si inserisce nell'ambito di una logica di multilevel governance piů generale delle politiche pubbliche in materia di disabilitŕ, ed č contrassegnata: da un lato da politiche antidiscriminatorie volte a contrastare con apposite tutele qualsiasi forma di discriminazione diretta in ambito lavorativo fondata sulla disabilitŕ; e, dall'altro, da misure di politica attiva del lavoro dirette ad assicurare alle persone disabili, attraverso forme di collocamento mirato ed incentivato, non un semplice mantenimento caritativo, ma la conclusione di un regolare contratto di lavoro, in presenza non di persone inabili al lavoro, bensě di persone disabili, che hanno pieno diritto di inserirsi nel mondo del lavoro.
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Cannati, Giuseppe. "Bisogni, rimedi e tecniche di tutela del prestatore di lavoro". GIORNALE DI DIRITTO DEL LAVORO E DI RELAZIONI INDUSTRIALI, n.º 133 (diciembre de 2011): 129–69. http://dx.doi.org/10.3280/gdl2012-133004.

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Il saggio č dedicato a uno dei temi classici del diritto del lavoro aggiornato dall'A. alla luce di alcune importanti novitŕ (il diritto a unprevisto dalla Carta di Nizza, la giurisprudenza sulle discriminazioni, il nuovo art. 614 bis c.p.c., l'art. 388, c. 2, c.p. come reinterpretato da una pronuncia delle S.U. del 2007 e altro ancora). Il filo rosso che attraversa l'indagine č quello dell'effettivitŕ delle posizioni di vantaggio del lavoratore. L'analisi viene svolta prima in chiave rimediale e, poi, sul piano della coercizione indiretta e diretta. Quest'ultimo č considerato un momento imprescindibile della tutela di condanna ed č esplorato dall'A. anche con riferimento ad alcuni aspetti della tutela processuale, fino ad oggi, rimasti in secondo piano.
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Milione, Ciro y Santo Napoli. "L’anima lavoristica della costituzione della repubblica italiana". Boletín Mexicano de Derecho Comparado 1, n.º 158 (24 de marzo de 2021): 825. http://dx.doi.org/10.22201/iij.24484873e.2020.158.15637.

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La Costituzione italiana rappresenta un unicum dal punto di vista degli or-dinamenti passati e vigenti, giacché è la sola a porre a suo fondamento il concetto di “lavo-ro”. Tale nozione, nell’ottica della Carta, assurge a diritto, dovere e principio di natura cos-tituzionale. Va sottolineato che la relazione di impiego che soggiace a questa stessa nozione è quella che le norme civilistiche definiscono come subordinata. L’intenzione del Costituente era quella di conciliare la subordinazione del lavoratore con la libertà del cittadino. Per questo, la Costituzione introduce dei “contrappesi” volti a tutelare quegli individui che, sprovvisti di mezzi di produzione, per vivere dignitosamente sono vincolati al potere diretti-vo di un datore di lavoro. Sebbene molte disposizioni costituzionali non siano state piena-mente attuate, la Costituzione ha comunque assolto la funzione di migliorare le condizioni dei lavoratori italiani. La globalizzazione e le cicliche recessioni del mercato internazionale hanno messo in crisi l’anima lavoristica della Costituzione, esigendo il sacrificio di numerose garanzie. Nonostante oggi si registrino alcune timide migliorie dei livelli occupazionali, è dif-ficile sperare in una restaurazione completa di quelle stesse tutele di cui hanno goduto gene-razioni passate di lavoratori italiani.
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Micotti, Sara. "Un setting tra diritto ed emozioni: la consulenza tecnica nelle separazioni giudiziali". INTERAZIONI, n.º 2 (febrero de 2013): 73–83. http://dx.doi.org/10.3280/int2012-002007.

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In questo articolo l'autrice s'interroga sul lavoro dello psicoterapeuta psicoanalitico della famiglia, quando č chiamato dal giudice a svolgere una consulenza tecnica nelle separazioni giudiziali. Le sedute non si limitano alla registrazione puntuale dei fatti (quale testimonianza), ma diventano un ascolto teso alla ricerca e alla comprensione del significato relazionale degli stessi, nella prospettiva di una mentalizzazione conoscitiva e al tempo stesso trasformativa, obiettivo richiesto dal quesito del Giudice. Viene evidenziato come l'intervento possa aiutare i figli a manifestare i propri bisogni emotivi e i genitori a leggerli. Se il lavoro si svolge sia a livello conoscitivo, sia a livello fantasmatico - anche attraverso i test carta e matita e la tecnica del "disegno congiunto della famiglia" - esso puň attivare nei protagonisti la "capacitŕ di sorprendersi" (Winnicott, 1968; Schacht, 2001; Bolognini, 2001). Le vignette cliniche dell'autrice cercano di mostrare come siano possibili aperture di senso e movimenti verso la consapevolezza delle emozioni in famiglie con figli bambini, preadolescenti, adolescenti.
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Corrêa, Murilo Duarte Costa. "Os umbrais do humano: o homem como dispositivo biopolítico e o animal contemporâneo". Prisma Juridico 9, n.º 2 (16 de marzo de 2011): 307–26. http://dx.doi.org/10.5585/prismaj.v9i2.2372.

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De acordo com a detecção de Giorgio Agamben, o dispositivo antropológico atualmente em obra na cultura ocidental opera, desde Aristóteles, recortando uma forma de vida humanamente predicada (bios) sobre a vida nua (zoé). Essa operação, qualificada pelo paradoxo e pela exceção que engendra, anima, em larga medida, a crítica que Agamben endereça às Cartas de Direitos Humanos em Al di là dei diritti del’uomo. Nas trilhas de uma tradição que remonta a Nietzsche e é legada a Foucault, Deleuze, Derrida e Agamben, traduzir-se-ia um pensamento que, ao operar no seio do dispositivo antropológico, busca desvencilhar-se do homem – seja pelo além-do-homem, seja por uma micropolítica de intensidades sem sujeito. O aporte dessas filosofias apela às indeterminações dos devires, mas também demonstra a negatividade que o conceito de homem opera em relação à vida dos homens quando se compreende a política como a potência de variação das formas de vida.
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Corrêa, Murilo Duarte Costa. "Os umbrais do humano: o homem como dispositivo biopolítico e o animal contemporâneo". Prisma Juridico 9, n.º 2 (16 de marzo de 2011): 307–26. http://dx.doi.org/10.5585/prismaj.v9n2.2372.

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De acordo com a detecção de Giorgio Agamben, o dispositivo antropológico atualmente em obra na cultura ocidental opera, desde Aristóteles, recortando uma forma de vida humanamente predicada (bios) sobre a vida nua (zoé). Essa operação, qualificada pelo paradoxo e pela exceção que engendra, anima, em larga medida, a crítica que Agamben endereça às Cartas de Direitos Humanos em Al di là dei diritti del’uomo. Nas trilhas de uma tradição que remonta a Nietzsche e é legada a Foucault, Deleuze, Derrida e Agamben, traduzir-se-ia um pensamento que, ao operar no seio do dispositivo antropológico, busca desvencilhar-se do homem – seja pelo além-do-homem, seja por uma micropolítica de intensidades sem sujeito. O aporte dessas filosofias apela às indeterminações dos devires, mas também demonstra a negatividade que o conceito de homem opera em relação à vida dos homens quando se compreende a política como a potência de variação das formas de vida.
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Stępień, Marek. "Kapituła katedralna w diecezji augustowskiej czyli sejneńskiej (1818-1925)". Prawo Kanoniczne 52, n.º 1-2 (5 de junio de 2009): 321–51. http://dx.doi.org/10.21697/pk.2009.52.1-2.11.

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I capitoli dei canonici sono i collegi del clero istituiti dai Sommi Pontefici per la solennità delle celebrazioni nella chiesa per la quale sono state istituite, invece il capitolo cattedrale aiuta il vescovo nel governo della diocesi, come un consiglio, e, durante la “sede vacante” della diocesi, supplisce il vescovo nell’amministrazione della diocesi. Papa Pio VI con la bolla “Saepe factum est” del Marzo 1799 creò la diocesi di Wigry. Dopo il Congresso di Vienna del 1815 fu creato il Regno Polacco e suo re sarebbe stato ogni imperatore russo. Con questi cambiamenti gran parte della diocesi di Wigry si trovò ai confini del Regno. Nel 1818 con la bolla “Ex imposita Nobis” papa Pio VII, al posto della diocesi di Wigry, creò la diocesi di Augustow, ossia di Sejny e, proprio questa diocesi apparteneva a Regno Polacco. Lo stesso papa ordinò di formare sette capitoli cattedrali tra i quali uno a Sejny. Il papa sottolineò che di ogni capitolo cattedrale potevano far parte al massimo dodici canonici con i benefici, con quattro titoli, decano, arcidiacono, custode, scolastico e inoltre, un canonico di sacra teologia e un penitenziere. Le autorità non lasciarono piena libertà al Capitolo di Sejny. L’esecutore della bolla papale, arcivescovo Holowczyc, nel decreto d’erezione obbligò il Capitolo ad adempiere gli obblighi posti sia dal vescovo diocesano che dalle autorità civili, ciò indica che quest’ultima faceva delle pressioni sul vescovo. I vescovi diocesani, in modo evidente, furono condizionati dalle autorità civili per le nomine dei canonici della cattedrale. Un’espressione significativa la si trova nella istruzione, secondo cui proprio le autorità civili dovevano nominare i canonici presentati dal vescovo diocesano. La Chiesa fu costretta a subire tale situazione non avendo altra alternativa. In modo particolare si può notare questa ingerenza nel fatto di dover sottoporre alla accettazione delle autorità civili il vicario capitolare, eletto dal capitolo. Il Capitolo della Cattedrale di Sejny, dopo l’elezione del vicario capitolare, si rivolgeva sempre alle autorità civili per l’accettazione del nuovo eletto. Il Consiglio Amministrativo del Regno Polacco oppure il Governatore, emettevano l’approvazione della scelta. Le autorità civili non soltanto accettavano l’elezione del vicario capitolare, ma fissavano anche la sua retribuzione. In genere, la prassi per le nomine dei prelati e dei canonici del Capitolo della Cattedrale nella diocesi di Augustow, ossia di Sejny, incominciava con la presentazione dei tre candidati, allegandovi il loro curriculum, da parte del vescovo diocesano alle autorità civili. Dopo si rimandava la decisione al vescovo per emettere il decreto di nomina, e si obbligava il candidato a presentare alle autorità civili la carta ufficiale per la redazione del decreto civile. Ci sembra che il motivo principale di mancanza dello statuto si trova nell’atteggiamento delle autorità civili. Il Capitolo non possedeva delle rendite e degli obblighi precisi, ma dipendeva esclusivamente dalle autorità civili. Proprio per questi impedimenti il Capitolo della cattedrale, soltanto agli inizi del XX secolo, ricevette lo statuto. Si può affermare, in genere, che per quanto concerne il Capitolo della diocesi di Augustow, ossia di Sejny, non sempre le cose si svolgevano nel rispetto del diritto canonico universale e particolare. La posizione socio-politica del Regno Polacco sia nei territori occupati dagli stati vicini che nei rapporti tra la Santa Sede e la Russia, influenzò notevolmente una tale situazione.
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Oliveira, Regis Fernandes de. "RETROCESSÃO NO DIREITO BRASILEIRO". Revista de Direito Administrativo e Infraestrutura - RDAI 3, n.º 11 (1 de diciembre de 2019): 413–32. http://dx.doi.org/10.48143/rdai.11.rfo.

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1 Modo de enfoque do problemaTodo e qualquer estudo de direito há de partir não de análises pré-jurídicas ou sociológicas, mas é imperioso que seja ele perquirido à luz do Direito positivo. Despiciendo, daí, todo envolvimento com posições e estudos realizados em outros países, salvo para aprimoramento cultural. Evidente que a análise do Direito comparado passa a interessar se o direito alienígena possuir norma igual ou assemelhada à existente no Direito brasileiro. A menção retrospectiva do direito comparado resultaria inútil, da perspectiva de utilidade prática deste trabalho. Mesmo porque, como assinala Marcelo Caetano “há países onde o expropriado pode requerer a reversão ou retrocessão dos bens, restituindo a indenização recebida, ou o expropriante tem o dever de oferecer os bens ao expropriado mediante a devolução do valor pago" (Princípios fundamentais do Direito Administrativo, 1977, p. 468) enquanto que "noutros países entende-se que, em qualquer caso, a conversão dos bens desapropriados no montante da indenização paga é definitiva. Portanto, nunca haverá lugar a reversão ou retrocessão dos bens” (idem, ibidem). Afigura-se-nos dispensável e sem qualquer utilidade prática a apresentação de uma resenha da doutrina estrangeira a propósito do tema. Apenas será feita menção a alguns autores, na medida em que suas afirmações interessarem à análise. Observe-se, tão-somente que o direito de retrocessão em espécie é reconhecido em diversas legislações. Na Itália há previsão legal (art. 60 da Lei 2.359, de 25.6.1865) o mesmo ocorrendo na França (art. 54 do Dec. 58.997, de 23. 10. 58, que fixa o prazo de 10 anos a contar do decreto de desapropriação para que se requeira a retrocessão). Em Portugal há dispositivo semelhante (art. 8 º da Lei 2 .030, de 22.6.48); o que acontece também na Espanha (art. 54 da Lei de 15. 12. 54) e na Alemanha (Lei de 23. 2.57, em seu § 102) Demais de tal inicial observação, perigoso é o estudo de qualquer instituto jurídico atrelado à lei. Impõe-se a análise de determinado instituto a partir da Constituição. Daí inicia-se o estudo da retrocessão. 2 Desapropriação. Desvio de poderDispõe o § 22 do art. 153 da Lei Maior "que é assegurado o direito de propriedade, salvo o caso de desapropriação por necessidade ou utilidade pública ou por interesse social, mediante previa e justa indenização em dinheiro...”. Assegura-se o direito de propriedade que cede apenas, ante o interesse coletivo, representado pelo Estado. Ao mesmo tempo em que garante a propriedade, a Constituição assegura ao Estado o poder de retirá-la mediante desapropriação. Esta pode ser entendida como "o procedimento administrativo através do qual o Poder Público compulsoriamente despoja alguém de uma propriedade e a adquire para si, mediante indenização, fundada em um interesse público" (Elementos de Direito Administrativo, Celso Antônio Bandeira de Mello, 1980, p. 188). Caracteriza-se a desapropriação pela retirada compulsória do bem do domínio particular, com sua transferência ao domínio público, sob fundamento de interesse público mediante indenização. O fulcro da permissão legal para a transferência do domínio é o interesse público, ou seja, finalidade prevista no próprio ordenamento jurídico a ser perseguido pelo Estado. Sob a rubrica interesse público albergam-se todos os conteúdos possíveis de utilidade coletiva desde que alcançados pelo sistema de normas (sob o rótulo interesse público acolhe-se a necessidade ou utilidade pública e o interesse social). O poder de desapropriação deflui do domínio eminente que possui o Poder Público sobre todas as coisas materiais e imateriais sujeitas ao âmbito espacial de validade do sistema jurídico. O poder de desapropriação pode ser decomposto em três aspectos: a) transferência compulsória de alguma coisa; b) mediante indenização e c) sob o fundamento de interesse público. A desapropriação, como forma originária de aquisição de domínio, implica na compulsoriedade da transferência do bem do domínio particular para o público. Sempre haverá indenização, devidamente apurada através do processo próprio ou mediante acordo de vontades. E, o que mais nos interessa, há que vir fundamentada em interesse público, sob pena de invalidade. A competência, no Direito, não é dada a qualquer título. Sempre é outorgada a determinado agente para que persiga interesses coletivos ou mais propriamente denominados públicos, sendo estes apurados pela análise de todo o sistema de normas. A visão completa da competência apenas pode ser entrevista, pois, em contraste com a finalidade descrita na norma legal. Desviando-se o agente administrativo dos fins que lhe foram traçados pelo sistema de normas, incide no desvio de poder (ou de finalidade, como dizem alguns). 3 Conceito de retrocessãoA retrocessão implica no direito do expropriado de retomar a propriedade do imóvel que lhe fora retirada compulsoriamente pelo Poder Público. Os léxicos consignam que "retrocessão é o ato pelo qual o adquirente de um bem transfere de volta a propriedade desse bem àquele de quem o adquiriu" (Novo Dicionário Aurélio, lª ed., p. 1.231). Assinala Oliveira Cruz que "a retrocessão é um instituto de Direito Público, destinado a fazer voltar ao domínio do desapropriado os bens que saíram do seu patrimônio, por efeito de uma desapropriação por utilidade pública" (Da desapropriação, p. 119). E, acrescenta que "a retrocessão tem, indiscutivelmente, uma feição real porque significa um direito que só se desliga do imóvel quando preenchidos os fins determinantes da desapropriação" (ob. cit., p. 121). Assim entendida a retrocessão, como defluente do próprio preceito constitucional que assegura a propriedade e resguarda sua retirada apenas e exclusivamente pela desapropriação por necessidade, utilidade pública ou interesse social, não há como confundi-la com a preempção ou prelação, ou assimilá-la a qualquer tipo de direito pessoal. A fixação de tal premissa é fundamental para todo o desenvolvimento do trabalho e para alicerçar as conclusões que serão apontadas ao final. Daí porque não se pode concordar com a assertiva feita por alguns autores de que se cuida de simples obrigação imposta ao Poder Público de oferecer ao ex-proprietário o bem que lhe desapropriou, se este não tiver o destino para o qual fora expropriado (Múcio de Campos Maia, "Ensaio sobre a retrocessão", in RDA, 34/1-11). Pela própria dúvida no conteúdo do conceito, já os autores manifestaram-se surpresos e a jurisprudência claudicou sobre a análise do tema. Muitos julgados, inclusive, chegaram a admitir a inexistência da retrocessão no Direito brasileiro. Mas, pela análise que será feita e pelas conclusões a que se chegará, ver-se-á não só da existência do instituto no Direito brasileiro, sendo despicienda a indagação do Direito Civil a respeito, defluindo o instituto da só análise do texto constitucional brasileiro. A retrocessão é mero corolário do direito de propriedade, constitucionalmente consagrado e decorre do direito emergente da não utilização do bem desapropriado para o fim de interesse público. Sob tal conteúdo é que o conceito será analisado. 4 Desenvolvimento histórico, no BrasilEm estudo sobre o aspecto histórico do desenvolvimento da retrocessão no Direito brasileiro Ebert Chamoun escreveu que o inc. XXII do art. 179 da Constituição do Império, de 25. 3. 1824 dispôs sobre a possibilidade da desapropriação. E a Lei provincial 57, de 18.3.1836 pela vez primeira cuidou da retrocessão, assegurando que, na hipótese de desapropriação caberia "recurso à Assembleia Legislativa provincial para a restituição da propriedade ... " A admissibilidade da retrocessão foi aceita pelo STF que assim deixou decidido: “que abrindo a mesma Constituição à plenitude o direito de propriedade no art. 72, § 17, a exceção singular da desapropriação por utilidade pública presumida, desde a certeza de não existir tal necessidade, o ato de desapropriação se equipara a violência (V) e deve se rescindir mediante ação do espoliado" (O Direito, vol. 67, 1895, p. 47). A referência é à Constituição republicana de 24.2.1891. Em sua Nova Consolidação das Leis Civis vigentes em 11 de agosto de 1899, Carlos de Carvalho escrevia o art. 855 "se verificada a desapropriação, cessar a causa que a determinou ou a propriedade não for aplicada ao fim para o qual foi desapropriada, considera-se resolvida a desapropriação, e o proprietário desapropriado poderá reivindicá-la". Diversas leis cuidaram do assunto, culminando com a edição do art. 1.150 do CC (LGL\2002\400) que dispôs: ''A União, o Estado, ou o Município, oferecerá ao ex-proprietário o imóvel desapropriado, pelo preço por que o foi, caso não tenha o destino para que se desapropriou". Criou-se, assim, o direito de preempção ou preferência, como cláusula especial à compra e venda. As Constituições que se seguiram igualmente asseguraram o direito de propriedade (a de 1934, no art. 113, 17; a de 1937, no art. 122, 14; a de 1946, no § 16 do art. 141). A Constituição de 1967 igualmente protegeu, juridicamente, a propriedade, permanecendo a garantia com a EC 1/69. 5 Hipóteses de retrocessãoO instituto da retrocessão foi bem analisado por Landi e Potenza quando escrevem que "fatta l'espropriazione, se l'opera non siasi eseguita, e siano trascorsi i termini a tal uopo concessi o prorogati, gli espropriati potranno domandare che sia dall'autorità giudiziaria competente pronunciata la decadenza dell'ottenuta dichiarazione di pubblica utilità, e siano loro restituiti i beni espropriati. In altri termini, la mancata esecuzione dall'opera dimostra l'insussistenza dell’interesse pubblico, che aveva determinato l'affievolimento del diritto di proprietà" (Manuale di Diritto Amministrativo, 1960, p. 501). Mas não é só a falta de destinação do bem a interesse público ou a não construção da obra para que teria sido o imóvel desapropriado que implica na possibilidade de retrocessão, afirmam os autores citados. Também no caso em que ''l'opera pubblica sia stata eseguita: ma qualche fondo, a tal fine espropriato, non abbia ricevuto in tutto o in parte la prevista destinazione" (ob. cit., p. 501). A retrocessão, pois, deflui, do que se lê da lição dos autores transcritos, na faculdade de o expropriado reaver o próprio bem declarado de utilidade pública, - quando lhe tenha sido dado destinação diversa da declarada no ato expropriatório ou não lhe tenha sido dada destinação alguma. De outro lado, esclarece André de Laubadere que "si l'immeuble exproprié ne reçoit pas la destination prévue dans la déclaration d'utilité publique, il est juste que le propriétaire exproprié puisse le récupérer. C'est l'institution de la rétrocession" (Traité deDroit Administratif, 6." ed., 2. 0 vol., p. 250). No direito brasileiro, os conceitos são praticamente uniformes. Eurico Sodré entende que "retrocessão é o direito do ex-proprietário de reaver o imóvel desapropriado, quando este não tenha tido utilização a que era destinado" (A desapropriação por necessidade ou utilidade pública, 1928, pp. 85-86). Firmino Whitaker afirma que "é direito que tem o ex-proprietário de readquirir o imóvel desapropriado mediante a restituição do valor recebido, quando não tenha sido o mesmo imóvel aplicado em serviço de ordem pública" (Desapropriação, 3ª ed., p. 23, 1946). Cretella Junior leciona que "é o direito do proprietário do imóvel desapropriado de reavê-lo ou de receber perdas e danos, pelos prejuízos sofridos, sempre que ocorrer inaproveitamento, cogitação de venda ou desvio de poder do bem expropriado" (Comentários às leis de desapropriação, 2.ª ed., 2.ª tiragem, 1976, p. 409). Fazendo a distinção prevista por Landi e Potenza, escreve Marienhoff que "la retrocesión, en cambio, sólo puede tener lugar en las dos siguientes hipótesis: a) cuando, después de la cesión amistosa o avenimiento, o después de terminado el juicio de expropiación, el expropiante afecta el bien o cosa a un destino diferente del tenido en cuenta por el legislador ai disponer la expropiación y hacer la respectiva calificación de utilidad publica; b) cuando efectuada la cesión amistosa o avenimiento, o terminado el juicio de expropiación, y transcurrido cierto plazo el expropiante no le dá al bien o cosa destino alguno" (Tratado de Derecho Administrativo, T. IV, 2ª ed., p. 369). Embora os autores costumem distinguir as hipóteses de cabimento da retrocessão, parece-nos que no caso de o Poder Público alterar a finalidade para que houvera decretado a desapropriação não existe o direito à retrocessão. Isto porque a Constituição Federal como já se viu, alberga no conceito "interesse público" a mais polimorfa gama de interesses. Assim, se desapropriado imóvel para a construção de uma escola, mas constrói-se um hospital, não nos parece ter havido "desvio de poder" ou de "finalidade". Simplesmente houve desvio do fim imediato, mas perdura o fim remoto. O interesse público maior, presente no ordenamento jurídico ficou atendido. Simplesmente, por interesses imediatos do Poder Público, mas sempre dentro da competência outorgada pela legislação, o agente entendeu de dar outra destinação à coisa expropriada. Em tal hipótese, não parece ter havido desvio de poder, hábil a legitimar a retrocessão. De tal sentir é Celso Antônio Bandeira de Mello quando afirma "convém ressaltar enfaticamente, contudo, que a jurisprudência brasileira pacificou-se no entendimento de que se o bem desapropriado para uma específica finalidade for utilizado em outra finalidade pública, não há vício algum que enseje ao particular ação de retrocessão (tal como é concebida hoje), considerando que, no caso, inexistiu violação do direito de preferência" (ob. cit., p. 210). Cita o autor a jurisprudência mencionada (RDP, 2/213, 3/242 e em RDA, 88/158 e 102/188). A doutrina é remançosa em afirmar a possibilidade de ser o bem empregado em outra finalidade diversa da alegada no decreto expropriatório ou na lei, desde que também de utilidade pública (Adroaldo Mesquita da Costa, in RDA, 93 /377; Alcino Falcão, Constituição Anotada, vol. II, pp. 149/SO; Carlos Maximiliano, Comentários à Constituição Brasileira, 1954, vol. III, p. 115; Diogo Figueiredo Moreira Neto, Curso de Direito Administrativo, vol. 2, p. 116; Ebert Chamoun, Da retrocessão nas desapropriações, pp. 74 e ss.; Hely Lopes Meirelles, Direito Administrativo Brasileiro, 2.ª ed., p. 505; Pontes de Miranda, Comentários à Constituição de 1967, com a Emenda Constituição n.º 1, de 1969, T. V, pp. 445/6; Cretella Junior, Tratado de Direito Administrativo, vol. IX, pp. 165/6). A jurisprudência a respeito é farta (RTJ, 39/495, 42/195 e 57 /46). Mais recentemente decidiu-se que "não cabe retrocessão quando o imóvel expropriado tem destino diverso, vias de utilidade pública" (RDA, 127 /440). Poucos autores manifestam-se em sentido contrário, ou seja, pela inadmissibilidade de aplicação do destino do bem em outra finalidade que não a invocada no decreto ou lei que estipula a desapropriação (Hélio Moraes de Siqueira, A retrocessão nas desapropriações, p. 61 e Miguel Seabra Fagundes, Da desapropriação no Direito brasileiro, 1949, p. 400). Tais indicações foram colhidas na excelente Desapropriação – Indicações de Doutrina e Jurisprudência de Sérgio Ferraz, pp. 122/124. Já diversa é a consequência quando o imóvel não é utilizado para qualquer fim, ficando ele sem destinação específica, implicando, praticamente, no abandono do imóvel. Daí surge, realmente, o problema da retrocessão. Mas, emergem questões prévias a serem resolvidas. Como se conta o prazo, se é que há, para que se legitime o expropriado, ativamente? Em consequência da solução a ser dada à questão anterior, cuida-se a retrocessão de direito real ou pessoal, isto é, a não utilização do bem expropriado enseja reivindicação ou indenização por perdas e danos? Estas questões são cruciais e têm atormentado os juristas. Passemos a tentar equacioná-las. 6 Momento do surgimento do direito de retrocessãoEntende Cretella Júnior que há dois momentos para que se considere o nascimento do direito de ingressar com a ação de retrocessão. Mediante ato expresso ou por ato tácito. "Mediante ato expresso, que mencione a desistência do uso da coisa expropriada e notifique o ex-proprietário de que pode, por ação própria, exercer o direito de retrocessão" (Comentários às leis de desapropriação, p. 415) ou através de ato tácito, ou seja, pela conduta da Administração que permita prever a desistência de utilização do bem expropriado, possibilitando ao antigo proprietário o exercício do direito de preferência...” (ob. cit., p. 416). De igual teor a lição de Eurico Sodré, A desapropriação por necessidade ou utilidade pública, 2.ª ed., p. 289. A jurisprudência já se manifestou em tal sentido (RTJ, 57 /46). Ebert Chamoun (ob. cit., pp. 80 e ss.) entende que apenas por ato inequívoco da administração tem cabimento a ação de retrocessão. Jamais se poderia julgar pela procedência da ação que visasse a retrocessão, desde que o Poder Público alegue que ainda vá utilizar o bem. Afirma o citado autor que "é assim, necessário frisar que o emprego, pelo expropriante do bem desapropriado para fim de interesse público não precisa ser imediato. Desde que ele consiga demonstrar que o interesse público ainda é presente e que a destinação para esse escopo foi simplesmente adiada, porque não é oportuna, exequível ou aconselhável, deve ser julgado improcedente o pedido de indenização do expropriado, com fundamento no art. 1.150 do CC (LGL\2002\400)" (ob. cit., p. 84). De igual teor a lição de Pontes de Miranda (Comentários. T. V, p. 445). Celso Antonio Bandeira de Mello tem posição intermediária. Afirma que "a obrigação do expropriante de oferecer o bem em preferência nasce no momento em que este desiste de aplicá-lo à finalidade pública. A determinação exata deste momento há que ser verificada em cada caso. Servirá como demonstração da desistência, a venda, cessão ou qualquer ato dispositivo do bem praticado pelo expropriante em favor de terceiro. Poderá indicá-la, também, a anulação do plano de obras em que se calcou o Poder Público para realizar a desapropriação ou outros fatos congêneres" (ob. cit., p. 209). A propósito, já se manifestou o STF que "o fato da não utilização da coisa expropriada não caracteriza, só por si, independentemente das circunstâncias. desvio do fim da desapropriação" (RTJ. 57/46). Do mesmo teor o acórdão constante da RDA, 128/395. 7 Prazo a respeito. AnalogiaOutros autores entendem que há um prazo de cinco anos para que o Poder Público destine o imóvel à finalidade Pública para que efetuou a desapropriação. Assim se manifestam Noé Azevedo (parecer in RT 193/34) e Seabra Fagundes (ob. cit., pp. 397 /8). O prazo de cinco anos é já previsto na doutrina francesa. Afirma Laubadere que "si les immeubles expropriés n'ont pas reçu dans le délai de cinq ans la destination prévue ou ont cessé de recevoir cette destination, les anciens propriétaires ou leurs ayants droit à titre universel peuvent en demander la rétrocession dans un délai de trente ans à compter également de l'ordonance d'expropriation, à moins que l'expropriant ne requère une nouvelle déclaration d'utilité publique" (ob. cit., p. 251). Tal orientação encontra por base o art. 10 do Dec.-lei 3.365/41 (LGL\1941\6) que estabelece: "a desapropriação deverá efetivar-se mediante acordo ou intentar-se judicialmente dentro de cinco anos, contados da data da expedição do respectivo decreto e findos os quais este caducará". Claro está que não tendo a lei previsto o direito à retrocessão, o intérprete há de buscar a solução para o problema (interpretação prudencial) dentro do próprio sistema normativo, para suprir ou colmatar a lacuna (a propósito deste tema, especificamente, veja se nosso "Lacuna e sistema normativo", in RJTJSP, 53/13-30). Esta surge no momento da decisão. Como todo problema jurídico gira em torno da decidibilidade, admite-se a interpretação analógica ao se entender que o prazo para que o Poder Público dê ao imóvel destinação específica ou outra permitida pelo direito (finalidade prevista no ordenamento) igualmente será o prazo de cinco anos. Neste, caduca o interesse público. Daí legitimar-se o expropriado a ingressar com a ação de retrocessão. Caso se entenda da inadmissibilidade de fixação de prazo, deixar-se-á à sorte o nascimento do direito ou, então, como pretende Cretella Junior, à manifestação volitiva do Poder Público decidir sobre a oferta do imóvel a alguém, com o que caracterizaria expressamente a vontade de alienar ou dispor do imóvel. Nunca haveria um prazo determinado, com o que padeceria a relação jurídica de segurança e estabilidade. Permaneceria o expropriado eternamente à disposição do Poder Público e perduraria, constantemente, e em suspense, até que a Administração decida como e quando destinará ou desafetará o imóvel. A solução que se nos afigura mais compatível com a realidade brasileira é a de se fixar o prazo de cinco anos, por aplicação analógica com o art. 10, retro citado. Está evidente que a só inércia não caracteriza a presunção do desvio. Se a Administração desapropria sem finalidade pública, o ato pode ser anulado, mesmo sem o decurso do prazo de cinco anos. Mas, aqui, o fundamento da anulação do ato seria outro e não se cuidaria do problema específico da retrocessão. 8 Natureza do direito à retrocessãoDiscute-se, largamente, sobre a natureza do direito à retrocessão. Para uns seria direito pessoal e eventual direito resolver-se-ia em indenização por perdas e danos. Para outros, cuida-se de direito real e, pois, há possibilidade de reivindicação. Magnífica resenha de opiniões é feita por Sérgio Ferraz em seu trabalho Desapropriação, pp. 117/121. Dentre alguns nomes que se manifestam pelo reconhecimento de que se cuida de direito pessoal e, pois, enseja indenização por perdas e danos encontram-se Ebert Chamoun (ob. cit., p. 31), Cretella Junior (Tratado . . ., vol. IX, pp. 159, 333/4), Múcio de Campos Maia ("ensaio sobre a retrocessão ", in RT 258/49). A jurisprudência já se tem manifestado neste sentido (RDA, 98/ 178 e 106/157). A propósito da pesquisa jurisprudencial, veja-se, também, o repertório de Sergio Ferraz. A solução apontada pelos autores encontra fundamento no art. 35 do Dec.-lei 3.365/41 (LGL\1941\6) ao estabelecer que "os bens expropriados, uma vez incorporados à Fazenda Pública, não podem ser objeto de reivindicação, ainda que fundada em nulidade do processo de desapropriação. Qualquer ação julgada procedente, resolver-se-á em perdas e danos". Com base em tal artigo afirma Ebert Chamoun que "o direito do expropriado não é, evidentemente, um direito real, porque o direito real não se contrapõe, jamais, um mero dever de oferecer. E, por outro lado, se o expropriante não perde a propriedade, nem o expropriado a adquire, com o simples fato da inadequada destinação, é óbvio que a reivindicação que protege o direito de domínio, e que incumbe apenas ao proprietário, o expropriado não pode ter" (ob. cit., pp. 38/39). Mais adiante afirma que "o direito do ex-proprietário perante o poder desapropriante que não deu à coisa desapropriada o destino de utilidade pública, permanece, portanto, no direito positivo brasileiro, como direito nítido e irretorquivelmente pessoal, direito que não se manifesta em face de terceiros , eventuais adquirentes da coisa, nem ela adere, senão exclusivamente à pessoa do expropriante. Destarte, o poder desapropriante, apesar de desrespeitar as finalidades da desapropriação, desprezando os motivos constantes do decreto desapropriatório, não perde a propriedade da coisa expropriada, que ele conserva em sua Fazenda com as mesmas características que possuía quando da sua. aquisição" (ob. cit., pp. 44/45). Em abono de sua orientação invoca o dispositivo mencionado e afirma "quaisquer dúvidas que ainda houvesse acerca da natureza do direito do expropriado seriam espancadas por esse preceito, límpido e exato, consectário perfeito dos princípios gerais do nosso direito positivo, dispositivo que se ajusta, como luva, ao sistema jurídico brasileiro relativo à aquisição de propriedade, à preempção e à desapropriação" (ob. cit., p. 47). De outro lado, autores há que entendem cuidar-se de direito real. Dentre eles Hely Lopes Meirelles (Direito Administrativo Brasileiro, 2.ª ed., p. 505), Seabra Fagundes (ob. cit., p. 397), Noé Azevedo (parecer citado, in RT, 193/34), Pontes de Miranda (Comentários . . . ", T. V, pp. 443/6 e Vicente Ráo (O direito e a vida dos direitos, 2.ª ed., p. 390, nota 113). Apontam-se, também, diversos julgados (RDA, 48/231 e 130/229). 9 Crítica às posiçõesRealmente não se confundem as disposições do art. 1.149 com o art. 1.150 do CC (LGL\2002\400). O primeiro refere-se a pacto de compra e venda e tem por pressuposto a venda ou a dação em pagamento. Implica manifestação volitiva, através de contrato específico, em que se tem por base a vontade livre dos negócios jurídicos, assim exigida para validade do contrato. Já o art. 1.150 constitui norma de Direito Público, pouco importando sua inserção no Código Civil (LGL\2002\400) (Pontes de Miranda, Tratado de Direito Privado, T. XIV, 2.ª ed., § 1.612, p. 172). Em sendo assim, a norma do art. 1.150 do CC (LGL\2002\400) que determina o oferecimento do imóvel desapropriado ao ex-proprietário para o exercício do direito de preferência não está revogada. Mas, daí não se conclui que há apenas o direito de prelação. Diverso é nosso entendimento. Pelo artigo referido, obriga-se a Administração a oferecer o imóvel (é obrigação imposta à Administração), mas daí não pode advir a consequência de que caso não oferecido o imóvel, não há direito de exigi-lo. A norma não é unilateral em prol do Poder Público. De outro lado, surge a possibilidade de exigência por parte do expropriado. E a tal exigência dá-se o nome de retrocessão. Superiormente ensina Hélio Moraes de Siqueira que "entretanto, não é na lei civil que se encontra o fundamento da retrocessão. Aliás, poder-se-ia, quando muito, vislumbrar os lineamentos do instituto. É na Constituição Federal que a retrocessão deita raízes e recebe a essência jurídica que a sustém. Mesmo se ausente o preceito no Código Civil (LGL\2002\400), a figura da retrocessão teria existência no direito brasileiro, pois é consequência jurídica do mandamento constitucional garantidor da inviolabilidade da propriedade, ressalvada a desapropriação por utilidade e necessidade pública e de interesse social, mediante prévia e justa indenização em dinheiro" (ob. cit., pp. 76/77). Idêntico entendimento deve ser perfilhado. Realmente, despiciendo é que o art. 35 do Dec.-lei 3.365/41 (LGL\1941\6) tenha estabelecido que "os bens expropriados, uma vez incorporados à Fazenda Pública, não podem ser objeto de reivindicação, ainda que fundada em nulidade do processo de desapropriação. Qualquer ação, julgada procedente, resolver-se-á em perdas e danos". A lei não pode mudar a norma constitucional que prevê a possibilidade da desapropriação sob fundamento de interesse público. O interesse público previsto na Constituição Federal é concretizado através das manifestações da Administração, em atos administrativos, possuindo, como condição de sua validade e de sua higidez o elemento finalidade ("finalidade-elemento teleológico contido no sistema. Conjunto de atribuições assumidas pelo Estado e encampadas pelo ordenamento jurídico", cf. nosso Ato Administrativo, ed. 1978, p. 48). Destina-se a finalidade a atender aos interesses públicos previstos no sistema normativo. Há por parte do agente administrativo emanador do ato, a aferição valorativa do interesse manifestado no decreto. É pressuposto lógico da emanação de qualquer ato administrativo que a competência do agente seja exercitada em direção a alcançar os objetivos ou os valores traçados no sistema de normas. Tal aferição valorativa é realizada no momento da expedição do ato. No decurso de certo tempo, pode desaparecer o interesse então manifestado. Mas, tal reconhecimento do desinteresse não pertence apenas à Administração Pública, mas também ao expropriado que pode provocá-lo, mediante ação direta. A Administração Pública, pela circunstância de ter adquirido o domínio da coisa expropriada, não fica isenta de demonstrar a utilidade da coisa ou a continuidade elo interesse público em mantê-la. Desaparecendo o interesse público, o que pode acontecer por vontade expressa da Administração, ou tacitamente, pelo decurso do prazo de cinco anos, contados dos cinco anos seguintes à transferência de domínio, que se opera pelo registro do título aquisitivo, que é a carta de adjudicação mediante prévio pagamento do preço fixado, nasce ao expropriado o direito de reaver a própria coisa. Trata-se de direito real, porque a perquirição da natureza do direito não deflui do momento atual do reconhecimento da desnecessidade da coisa, mas remonta ao momento do ato decretatório da utilidade pública. Já disse alhures (Ato Administrativo, pp. 122 e ss.) que a nulidade ou o ato inválido não prescreve. No caso a prescrição alcança o expropriado no prazo de cinco anos, contados do término dos cinco anos anteriores ao termo final do prazo de presunção da desnecessidade do imóvel. Explicando melhor: o Poder Público tem cinco anos, contados da data da aquisição da propriedade, que opera pelo registro da carta de adjudicação no Cartório do Registro de Imóveis competente, ou mediante registro da escritura pública lavrada por acordo das partes, no mesmo Cartório, para dar destinação específica, tal como declarada no decreto expropriatório ou outra destinação, havida como de interesse público. Passado tal prazo, abre-se ao expropriado o direito de haver a própria coisa, também pelo prazo de Cinco anos, nos termos do Dec. 20.910/32 (LGL\1932\1). A propósito já se decidiu que "a prescrição da ação de retrocessão, visando às perdas e danos, começa a correr desde o momento em que o expropriante abandona, inequivocamente, o propósito de dar, ao imóvel, a destinação expressa na declaração de utilidade pública" (PDA, 69/ 200). Ausente a utilidade pública, seja no momento da declaração, seja posteriormente. o ato deixa de ter base legal. Como afirma José Canasi, "la retrocesión tiene raiz constitucional implicita y surge del concepto mismo de utilidade publica. No se concibe una utilidad publica que puede desaparecer o deformarse a posteriori de la expropriación. Seria un engano o una falsidad" (La retrocesión en la Expropiación Publica, p. 47). Rejeita-se o raciocínio de que o expropriado, não sendo mais proprietário, falece-lhe o direito de pleitear reivindicação. Tal argumento serviria, também, para &e rejeitar a existência de direito pessoal. Isto porque, se o ex-proprietário já recebeu, de acordo com a própria Constituição Federal a justa indenização pela tomada compulsória de seu imóvel, nenhum direito teria mais. Não teria sentido dar-se nova indenização ao ex-proprietário, de vez que o Poder Público já lhe pagara toda quantia justa e constitucionalmente exigida para a composição do patrimônio desfalcado pela perda do imóvel. Aí cessaria toda relação criada imperativamente, pelo Poder Público. Inobstante, a pretensão remonta à edição do ato. O fundamento do desfazimento do decreto expropriatório reside exatamente na inexistência do elemento finalidade que deve sempre estar presente nas manifestações volitivas da Administração Pública. Demais, cessado o interesse público subsistente no ato expropriatório, a própria Constituição Federal determina a persistência da propriedade. A nosso ver, a discussão sobre tratar-se de direito real ou pessoal é falsa. Emana a ação da própria Constituição, independentemente da qualificação do direito. Ausente o interesse público, deixa de existir o fundamento jurídico da desapropriação. Logo, não podem subsistir efeitos jurídicos de ato desqualificado pelo ordenamento normativo. Trata-se de direito real, no sentido adotado por Marienhoff quando afirma que "desde luego, trátase de una acción real de "derecho público", pues pertenece al complejo jurídico de la expropiación, institución exclusivamente de derecho público, segun quedó dicho en un parágrafo precedente (n. 1.293). No se trata, pues, de una acción de derecho comun, ni regulada por este. El derecho privado nada tiene que hacer al respecto. Finalmente, la acción de retrocesión, no obstante su carácter real, no trasunta técnicamente el ejercicio de una acción reivindicatoria, sino la impugnación a una expropiación donde la afectación del bien o cosa no se hizo al destino correspondiente, por lo que dicha expropiación resulta en contravención con la garantia de inviolabilidad de propiedad asegurada en la Constitución. La acción es "real" por la finalidad que persigue: reintegro de un bien o cosa" (Tratado de Derecho Administrativo, vol. IV, p. 382, n. 1.430). De igual sentido a orientação traçada no Novíssimo Digesto Italiano, onde se afirma que "per tale disciplina deve escludersi che il diritto alla retrocessione passa considerarsi un diritto alla risoluzione del precedente trasferimento coattivo, esso e stato definito un diritto legale di ricompera, ad rem (non in rem) (ob. cit., voce - espropriazione per pubblica utilità", vol. VI, p. 950). Recentemente o Supremo Tribunal Federal decidiu que "o expropriado pode pedir retrocessão, ou readquirir o domínio do bem expropriado, no caso de não lhe ter sido dado o destino que motivou a desapropriação" (RDA 130/229). No mesmo sentido o acórdão constante da "Rev. Trim. de Jur.", vol. 104/468-496, rel. Min. Soares Muñoz. 10 Transmissibilidade do direito. Não se cuida de direito personalíssimoAdmitida a existência da retrocessão no Direito brasileiro in specie, ou seja, havendo a possibilidade de reaquisição do imóvel, e rejeitando-se frontalmente, a solução dada pela jurisprudência de se admitir a indenização por perdas e danos, de vez que, a nosso ver, há errada interpretação do art. 35 do Dec.-lei 3.365/41 (LGL\1941\6), surge a questão também discutida se o direito à retrocessão é personalíssimo, ou é transmissível, causa mortis. Pela negativa manifestam-se Ebert Chamoun (ob. cit., p. 68), Eurico Sodré (ob. cit., p. 76), Hely Lopes Meirelles (ob. cit., p. 505) e Pontes de Miranda (ob. cit., p. 446). Em sentido oposto Hélio Moraes de Siqueira (ob. cit., p. 64) e Celso Antônio Bandeira de Mello (oh. cit., p. 210). A jurisprudência tem se manifestado favoravelmente à transmissão do direito de retrocessão (RTJ 23/169, 57 / 46 e 73/155). Inaplicável no Direito Público o art. 1.157 do CC (LGL\2002\400). Disciplina ele relações de particulares, devidamente ajustado ao art. 1.149 que, como se viu anteriormente, cuida, também, de manifestações volitivas. Já, a desapropriação implica na tomada compulsória do domínio dos particulares, em decorrência de ato imperativo (tal como por nós conceituado a fls. 29 do Ato Administrativo). A imperatividade implica em manifestação de poder, ou seja, na possibilidade que goza o Poder Público de interferir na esfera jurídica alheia, por força jurídica própria. Já nas relações particulares, estão estes no mesmo nível; quando intervém o Estado o relacionamento é vertical e não horizontal. Daí porque o referido dispositivo legal não tem aplicação ao tema em estudo. O TJSP já deixou decidido que "os sucessores do proprietário têm direito de ser indenizados, no caso de o expropriante do imóvel expropriado não se utilizar deste, e procurar aliená-lo a terceiros, sem mesmo oferecê-lo àqueles (RT 322/193). Rejeitando, apenas o direito de preferência, de vez que entendendo a retrocessão como espécie de direito real, aceita-se a argumentação da transmissibilidade da ação. No mesmo sentido a orientação do Supremo Tribunal Federal (RTJ 59/631). As ações personalíssimas são de interpretação estrita. Apenas quando a lei dispuser que não se transmite o direito causa mortis é que haverá impossibilidade jurídica da ação dos herdeiros ou sucessores a qualquer título. No caso ora analisado, verificando-se da inaplicabilidade do art. 1.157 do CC (LGL\2002\400), percebe-se que defluindo o direito à retrocessão da própria Constituição Federal, inarredável a conclusão que se cuida de direito transmissível. 11 Montante a ser pago pelo expropriado, pela reaquisição do imóvelResta indagar qual o critério para fixação do montante a ser pago pelo ex-proprietário quando do acolhimento da ação de retrocessão. Inicialmente, pode-se dizer que o expropriado deve devolver o montante apurado quando do recebimento do preço fixado pelo juiz ou havido mediante acordo lavrado em escritura pública. Inobstante, se o bem recebeu melhoras que tenham aumentado seu valor, parece-nos que devam elas ser levadas em conta, para efeito de apuração do montante do preço a ser devolvido ao expropriante. O valor a ser pago, pois, será o recebido à época, por parte do expropriado acrescido de melhoramentos eventualmente introduzidos no imóvel, caso deste se cuide. 12 Correção monetáriaHá autores que afirmam que a correção monetária não fará parte do valor a ser devolvido, "in principio", pois, embora haja previsão legal de seu pagamento quando da desapropriação, há razoável fundamento de que se o Poder Público não destinou o imóvel ou deu margem a que ele não fosse utilizado, por culpa sua, de seu próprio comportamento, deve suportar as consequências de sua atitude. A Corte Suprema de Justiça da Nação Argentina prontificou-se pelo descabimento da atualização monetária, deixando julgado que ''en efecto, obvio parece decir que el fundamento jurídico del instituto de la retrocesión es distinto ai de la expropiación, como que se origina por el hecho de no destinarse el bien expropiado al fin de utilidad publica previsto por la ley. Si esta finalidad no se cumple, el expropiante no puede pretender benefíciarse con el mayor valor adquirido por el inmueble y su derecho, como principio, se limita a recibir lo que pagó por él" (Fallos, t. 271, pp. 42 e ss.). Outro argumento parece-nos ponderável. É que, a se admitir a devolução com correção monetária poderia facilitar a intervenção do Estado no domínio econômico, de vez que poderia pretender investir na aquisição de imóveis, para restituí-los, posteriormente, com acréscimo de correção monetária, com o que desvirtuar-se-ia de suas finalidades precípuas. Parece-nos, entretanto, razoável que se apure o valor real do imóvel devidamente atualizado e se corrija, monetariamente, o valor da indenização paga, para que se mantenha a equivalência econômica e patrimonial das partes. Há decisão admitindo a correção monetária da quantia a ser paga pelo expropriado (RDP 11/274) proferida pelo Min. Jarbas Nobre, do TFR. O valor do imóvel serviria de teto para o índice da correção. 13 Rito processualO tipo de procedimento a ser adotado nas hipóteses de ação de retrocessão previsto na legislação processual. É o procedimento ordinário ou sumaríssimo, dependendo do valor da causa. Não há qualquer especialidade de rito, de vez que independe de depósito prévio. Não se aplica, aqui, o procedimento desapropriação, às avessas. Isto porque, no procedimento de desapropriação há um rito especial e pode o Poder Público imitir-se previamente na posse da coisa, desde que alegue urgência na tomada e efetue o depósito do valor arbitrado. Tal característica do processo de desapropriação não está presente no rito processual da ação de retrocessão. Demais disso, a ação depende de prévio acolhimento, com produção de prova do abandono do imóvel, ou sua não destinação ao fim anunciado no decreto. 14 Retrocessão de bens móveisA desapropriação alcança qualquer tipo de coisa. Não apenas os imóveis podem ser desapropriados. Isto porque o art. 2.0 do Dec.-lei 3.365/41 (LGL\1941\6) dispõe "mediante declaração de utilidade pública, todos os bens poderão ser desapropriados pela União, pelos Estados, Municípios, Distrito Federal e Territórios”. Como assinala Celso Antônio Bandeira de Mello "pode ser objeto de desapropriação, tudo aquilo que seja objeto de propriedade. Isto é, todo bem, imóvel ou móvel, corpóreo ou incorpóreo, pode ser desapropriado. Portanto, também se desapropriam direitos em geral. Contudo, não são desapropriáveis direitos personalíssimos, tais os de liberdade, o direito à honra, etc. Efetivamente, estes não se definem por um conteúdo patrimonial, antes se apresentam como verdadeiras projeções da personalidade do indivíduo ou consistem em expressões de um seu status jurídico, como o pátrio poder e a cidadania, por exemplo (ob. cit., p. 194). De igual teor a lição de Ebert Chamoun (ob. cit., 94). A lição do autor merece integral subscrição, por ser da mais absoluta juridicidade. A Constituição Federal assegura o direito de propriedade. A única limitação é a possibilidade de desapropriação, por parte do Poder Público. Mas, como a Constituição não limita a incidência da expropriação apenas sobre imóveis e a lei específica fala em "bens", entende-se que todo e qualquer direito pode ser desapropriado. Por consequência, qualquer bem pode ser passível de retrocessão (verbi gratia, os direitos autorais). 15 Retrocessão parcialCaso tenha havido desapropriação de um imóvel e parte dele não tenha aproveitada para a finalidade precípua declarada no decreto, surge a questão de se saber se o remanescente não utilizado pode ser objeto da retrocessão. Pelas mesmas razões expostas pelas quais se admitiu a existência da retrocessão no Direito brasileiro e cuidar-se de direito real, pelo qual o expropriado pode reaver posse e propriedade do próprio imóvel, admite-se a retrocessão parcial. 16 RenúnciaCaso o expropriado renuncie ao direito de retrocessão, nada terá a reclamar. Tratando-se, como se cuida, de direito patrimonial, é ele renunciável. Nada obriga a manter seu direito. Como salienta Ebert Chamoun, "a renúncia é plenamente eficaz. Uma vez que consta do instrumento de acordo dispositivo que exprima o desinteresse do ex-proprietário pelo destino que venha ulteriormente a ser dado ao bem e no qual se revele, claro e indiscutível, o seu propósito de renunciar ao direito de preferência à aquisição e ao direito de cobrar perdas e danos em face da infração do dever de oferecimento, o não atendimento das finalidades previstas no decreto desapropriatório, não terá quaisquer consequências patrimoniais, tornando-se absolutamente irrelevante sob o ponto de vista do direito privado" (ob. cit., p. 93). Embora não se adote a consequência apontada pelo autor. aceita-se o fundamento da possibilidade da renúncia. 17 Retrocessão na desapropriação por zonaNeste passo, acompanha-se o magistério de Celso Antônio Bandeira de Mello, segundo quem "é impossível cogitar de ação de retrocessão relativa a bens revendidos pelo Poder Público no caso de desapropriação por zona, quanto à área expropriada exatamente para esse fim, uma vez que, em tal caso não há transgressão alguma à finalidade pública em vista da qual foi realizada (ob. cit., p. 210). De igual teor a orientação de Ebert Chamoun (ob. cit., p. 96). E a posição é de fácil compreensão. O "interesse público", na hipótese, foi ditada exatamente para que se reserve a área para ulterior desenvolvimento da obra ou para revenda. Destina-se a absorver a extraordinária valorização que alcançará o local. De qualquer forma, estará o interesse público satisfeito. lnadmite-se, em consequência, a ação de retrocessão, quando a desapropriação se fundar em melhoria de determinada zona (art. 4.0 do Dec.-lei 3.365/41 (LGL\1941\6)). A propósito os pareceres de Vicente Ráo (RDP 7 /79), Castro Nunes (RDP 7 /94) e Brandão Cavalcanti (RDP 7 /102). 18 Referência jurisprudencialAlém da jurisprudência já referida no curso da expos1çao da matéria, convém transcrever alguns acórdãos do STF que cuidam do assunto. Negativa de vigência ao art. 1.150 do CC (LGL\2002\400). "Não vejo na decisão recorrida negativa de vigência do art. 1.150 do CC (LGL\2002\400). De conformidade com a melhor interpretação desse dispositivo, o expropriante não está obrigado a oferecer o imóvel ao expropriado, quando resolve devolvê-lo ao domínio privado, mediante venda ou abandono" (RTJ 83/97. Também o mesmo repertório 56/785 e 66/250. Possibilidade do exercício da ação. "Se se verifica a impossibilidade da utilização do bem, ou da execução da obra, então passa a ser possível o exercício do direito de retrocessão. Não é preciso esperar que o desapropriante aliene o bem desapropriado" (RTJ 80/150). Destinação diversa do bem. "Incabível a retrocessão ou ressarcimento se o bem expropriado tem destino diverso, mas de utilidade pública" (RTJ 74/95; No mesmo sentido o mesmo repertório 48/749 e RDA 127 /440). Pressupostos da retrocessão. "Retrocessão. Seus pressupostos; devolução do imóvel ao domínio privado, · quer pela alienação, quer pelo abandono por longo tempo, sem destinação de utilidade pública. Ausência desses pressupostos. Ação julgada improcedente" (RTJ 83/96). Fundamento do direito à retrocessão. "Constituição, art. 153, § 22CC (LGL\2002\400), art. 1 .150. Desapropriamento por utilidade pública. Reversão do bem desapropriado. O direito à requisição da coisa desapropriada tem o seu fundamento na referida norma constitucional e na citada regra civil, pois uma e outra exprimem um só princípio que se sobrepõe ao do art. 35 do Dec.-Lei 3.365/41 (LGL\1941\6), visto que o direito previsto neste último (reivindicação) não faz desaparecer aqueloutro" (RTJ 80/139). Estes alguns excertos jurisprudenciais de maior repercussão, já que enfrentaram matéria realmente controvertida dando-lhe solução fundamentada. Há inúmeros julgados sobre o tema que, no entanto, dispensam transcrição ou menção expressa, pois outra coisa não fazem que repetir os argumentos já manifestados. Como se cuida de matéria controvertida e a nível de repertório enciclopédico, o importante é a notícia sobre o tema, sem prejuízo de termos feito algumas colocações pessoais a respeito. Nem tivemos o intuito de esgotar o assunto, de vez que incabível num trabalho deste gênero.
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"Recensioni". QUESTIONE GIUSTIZIA, n.º 3 (julio de 2009): 165–73. http://dx.doi.org/10.3280/qg2009-003017.

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- Il volume La Carta dei diritti dell'Unione europea. Casi e materiali, a cura di Giacinto Bisogni, Giuseppe Bronzini e Valeria Piccone (Chimienti, Taranto, 2009) rappresenta insieme un importante tassello di un piů ampio progetto culturale, una rilevante documentazione del ruolo dei giudici nel processo di integrazione europea e un utile strumento di consultazione per gli operatori del diritto.
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"La carta dei diritti dei figli nella separazione dei genitori". MINORIGIUSTIZIA, n.º 2 (octubre de 2018): 245–46. http://dx.doi.org/10.3280/mg2018-002024.

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"La Nuova Carta dei Diritti della Bambina". MINORIGIUSTIZIA, n.º 3 (enero de 2021): 183–84. http://dx.doi.org/10.3280/mg2020-003019.

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"La Carta di Trieste dei diritti del bambino morente". MINORIGIUSTIZIA, n.º 1 (marzo de 2015): 267–68. http://dx.doi.org/10.3280/mg2015-001032.

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"Diritto italiano. Diritti civili". DIRITTO, IMMIGRAZIONE E CITTADINANZA, n.º 2 (septiembre de 2011): 142–63. http://dx.doi.org/10.3280/diri2011-002011.

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1. Corte costituzionale sentenza 4/7.4.2011 n. 115 - illegittimitŕ costituzionale dell'art. 54, co. 4, del d.lgs. 18.8.2000, n. 267, come sostituito dall'art. 6 del D.L. maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), conv. con mod. dall'art. 1, co. 1, della l. 24.7.2008, n. 125 - violazione dei parametri di cui agli artt. 3 co. 1, 23 e 97 Cost. - sussistenza nella parte in cui la norma ha inserito la congiunzione "anche" prima delle parole "contingibili e urgenti" 2. Corte costituzionale ordinanza 6/15.4.2011 n. 139 - illegittimitŕ costituzionale dell'art. 38 co. 1, d.lgs. 165/2001 nella parte in cui «non consente di estendere l'accesso ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche anche ai cittadini extracomunitari» per violazione artt. 4 e 51 Cost. - mancata sperimentazione da parte del giudice remittente dell'interpretazione costituzionalmente orientata della norma impugnata - conseguente manifesta inammissibilitŕ della questione.NOTA di Marco Paggi, Sull'illegittimitŕ costituzionale della discriminazione nell'accesso al pubblico impiego: un'occasione mancata?RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA3. Corte di cassazione 11.1.2011 - n. 450 - risarcimento danni conseguente a sinistro stradale con lesione di diritti inviolabili della persona straniera - interpretazione costituzionalmente orientata della condizione di reciprocitŕ e conseguente irrilevanza della stessa 4. Corte appello di Genova 24.11.2010 - non manifesta infondatezza della questione di legittimitŕ costituzione degli artt. 1 l. n. 289/90 ed 80, co. 19 l. n. 388/2000 nella parte in cui l'erogazione dell'indennitŕ di frequenza viene subordinata, per il cittadino straniero, alla titolaritŕ della carta di soggiorno - prospettata violazione degli artt. 2, 3, 32, 34, 38, 117 Cost
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"Diritto italiano: Soggiorno". DIRITTO, IMMIGRAZIONE E CITTADINANZA, n.º 3 (septiembre de 2009): 223–32. http://dx.doi.org/10.3280/diri2009-003017.

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Resumen
Soggiorno1. Consiglio di Stato 8.8.2008 n. 3902 - estinzione del reato a seguito di sentenza di patteggiamento per decorso del quinquennio - equivalenza alla riabilitazione - estinzione della condanna ostativa alla regolarizzazione2. Consiglio di Stato 17.2.2009 n. 896 - presupposti legittimanti il diniego del permesso di soggiorno e il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo - irrilevanza della condanna per commercio di prodotti con segni contraffatti per il rilascio della ex carta di soggiorno3. Consiglio di Stato 6.3.2009 n. 1340 - sentenza di patteggiamento per stupefacenti anteriore alla Bossi-Fini e al rilascio del primo permesso di soggiorno - illegittimitŕ del diniego di rinnovo del permesso di soggiorno in assenza di altre valutazioni di pericolositŕ sociale4. Consiglio di Stato 29.4.2009 n. 2683 - condanne per violazione dei diritti d'autore - risalenza nel tempo delle condanne - mancata motivazione circa l'attualitŕ della provenienza illecita dei mezzi di sostentamento - illegittimitŕ del rifiuto del permesso di soggiorno per lavoro autonomo5. Tribunale amministrativo regionale Piemonte 7.2.2009 n. 370 - permesso CE per soggiornanti di lungo periodo - diniego di rilascio per mancata produzione di documentazione fiscale relativa all'anno in corso (2008) - omessa valutazione delle dichiarazioni dei redditi degli anni precedenti - illegittimitŕ - esclusione del potere discrezionale di operare prognosi reddituali
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