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Pasetto, Attilio. "Imprese sociali e sistemi produttivi locali". QA Rivista dell'Associazione Rossi-Doria, n.º 3 (septiembre de 2011): 149–66. http://dx.doi.org/10.3280/qu2011-003007.

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Resumen
La Nota approfondisce il rapporto tra imprese sociali e sistemi produttivi locali, partendo dalla constatazione che oggi i distretti non riescono piů ad assicurare la coesione sociale territoriale che, in passato, era stato un fattore determinante del loro successo. Č, infatti, cresciuta l'esigenza di fruire di beni sociali in modo personalizzato, che, a livello locale, sono spesso assicurati dal settore nonprofit. Serve quindi una governance del territorio, in cui il sistema manifatturiero e quello dei servizi alle persone dialoghino fra loro, puntando alla valorizzazione delle risorse in una logica inclusiva per tutti i soggetti che ne fanno parte.
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Cerruti, Corrado, Albino Di Certo y Sonia Ruggiero. "Potenzialitŕ e criticitŕ della logistica distrettuale: il caso del distretto florovivaistico del ponente ligure". ECONOMIA E DIRITTO DEL TERZIARIO, n.º 3 (junio de 2010): 467–88. http://dx.doi.org/10.3280/ed2009-003004.

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Resumen
Il presente lavoro sviluppa un'analisi empirica delle mutate modalitŕ attraverso cui distretti affrontano la competizione nel nuovo contesto globale. In particolare, mentre in passato l'eccellenza produttiva si poneva come elemento fondante del successo della forma distrettuale, risulta sempre piů evidente come nei distretti moderni la componente "servizi" si sia affiancata - e talvolta abbia superato in valore - la componente materiale. L'analisi empirica č stata sviluppata con riferimento al distretto florovivaistico del Ponente Ligure, un contesto che bene evidenzia la crescente criticitŕ dei servizi, in particolare della logistica, e le forti difficoltŕ che incontrano gli operatori distrettuali nel fronteggiare il cambiamento richiesto. Il distretto, in effetti, ha visto erodersi negli anni la propria quota di mercato fino alla perdita del proprio ruolo di leadership guadagnato in passato mettendo in campo capacitŕ produttive uniche nello scenario internazionale. Mentre i livelli qualitativi della produzione sembrano rimasti elevati, collocando il prodotto ligure tra i migliori a livello mondiale, gli operatori evidenziano una forte contrazione della domanda dovuto alle difficoltŕ riscontrate in ambito logistico-commerciale. Alla luce dei dati raccolti č possibile sostenere, in effetti, che la competizione e talvolta, la sopravvivenza stessa dei distretti, debba passare attraverso una piů attenta pianificazione di elementi quali il marketing, la logistica, la commercializzazione e, piů in generale, della componente servizi. Tale pianificazione non puň essere portata avanti dal singolo operatore ma deve essere frutto dell'impegno congiunto ed organico delle imprese e delle istituzioni distrettuali.
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Bonazzi, Michele. "Il calcio nelle dinamiche di consumo: le forme del marketing e la costruzione di un'identitŕ condivisa". SOCIOLOGIA DELLA COMUNICAZIONE, n.º 41 (mayo de 2012): 193–216. http://dx.doi.org/10.3280/sc2011-041013.

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Resumen
Identificarsi con una squadra di calcio č un processo in grado di costruire una comunitŕ che unisce e distingue allo stesso tempo coloro che vi aderiscono. L'acquisizione di una comune identitŕ si manifesta anche nella proprietŕ di beni che sono un segno inequivocabile di appartenenza. La promozione di questi oggetti avviene attraverso l'adozione di pratiche di marketing tradizionale e di quelle forme di marketing non convenzionale che permettono al consumatore di assumere un ruolo attivo nei meccanismi di produzione. Il calcio č una parte di questa nuova dinamica che coinvolge produttori e consumatori nella vendita del prodotto-calcio e dell'intero universo di consumo che vi ruota intorno.
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Di Pierro, Alberto. "Product Dififerentiation and Competitive Structures*". Journal of Public Finance and Public Choice 4, n.º 1 (1 de abril de 1986): 109–14. http://dx.doi.org/10.1332/251569298x15668907117363.

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Resumen
Abstract Negli anni recenti è divenuto sempre più evidente che il modello di concorrenza monopolistica è essenziale per l’interpretazione delle economie di mercato contemporanee. Il progresso negli studi a questo riguardo è dovuto soprattutto alle analisi svolte sul comportamento del consumatore con un’impostazione in cui (come nel noto modello di Lancaster) le caratteristiche qualitative dei beni sono incorporate in un modello di scelta teoricamente coerente.Sviluppando queste teorizzazioni, nel presente scritto se ne valuta la rilevanza per quanto riguarda la diversificazione dei prodotti, giungendo alla conclusione che i consumatori, in un sistema in cui i produttori sono incerti circa le reazioni della domanda, svolgono un ruolo importante in questo processo.
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Monaci, Massimiliano. "L'innovazione sostenibile d'impresa come integrazione di responsabilitŕ e opportunitŕ sociali". STUDI ORGANIZZATIVI, n.º 2 (abril de 2013): 26–61. http://dx.doi.org/10.3280/so2012-002002.

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Resumen
Le concezioni e le prassi di responsabilitŕ sociale d'impresa (CSR, corporate social responsibility) che si sono affermate sino a tempi molto recenti riflettono prevalentemente una logica reattiva, incentrata sulla necessitŕ delle aziende di rilegittimarsi nei confronti dei loro stakeholder corrispondendo alla richiesta di riduzione e prevenzione dei costi sociali legati all'attivitŕ d'impresa (degrado ecologico, disoccupazione conseguente a ristrutturazioni, ecc.). Tuttavia l'attuale periodo, anche per le incertezze e questioni poste dalla crisi economica, rappresenta una fase singolarmente feconda per andare oltre questo approccio adattivo e raccogliere la sfida di una visione piů avanzata della dimensione sociale dell'agire d'impresa come innovazione sostenibile. Tale modello si basa sulla valorizzazione di beni, risorse ed esigenze di significato sociale ed č indirizzato alla creazione di valore integrato - economico, umano-sociale e ambientale - nel lungo termine. La caratteristica centrale di questo profilo d'impresa č la tendenza a operare in maniera socialmente proattiva, sviluppando un'attitudine a cogliere o persino anticipare le direzioni del cambiamento sociale con i suoi bisogni e problemi emergenti e facendo sě che l'integrazione di obiettivi economici e socio-ambientali nei processi strategico-produttivi si traduca in fattore di differenziazione dell'offerta di mercato e in una reale fonte di vantaggio competitivo. Nel presente lavoro si indica la praticabilitŕ di un simile modello riferendosi ai risultati di una recente indagine condotta su un campione di dieci imprese italiane, eterogenee per dimensioni, collocazione geografica, fase del ciclo di vita e settori di attivitŕ, che si estendono da comparti tradizionali (come quelli alimentare, edilizio, sanitario, dell'arredamento e della finanza) a campi di piů recente definizione e a piů elevato tasso di cambiamento tecnologico (quali l'ingegneria informatica, la comunicazione multimediale, il controllo dei processi industriali e il risanamento ambientale). La logica di azione di queste organizzazioni sembra ruotare intorno a una duplice dinamica di "valorizzazione del contesto": da un lato, l'internalizzazione nella strategia d'impresa di richieste e al contempo di risorse sociali orientate a una maggiore attenzione per l'ambiente naturale, per la qualitŕ della vita collettiva nei territori, per i diritti e lo sviluppo delle persone dentro e fuori gli ambienti di lavoro; dall'altro lato, la capacitŕ, a valle dell'attivitŕ di mercato, di produrre valore economico e profitti generando anche valore per la societŕ. Nei casi analizzati č presente la valorizzazione delle risorse ambientali, che si esprime mediante la riprogettazione di prodotti e processi e politiche di efficienza energetica di rifornimento da fonti di energia rinnovabile, raccordandosi con nuove aspettative sociali rispetto alla questione ecologica. Č coltivato il valore umano nel rapporto spesso personalizzato con i clienti e i partner di business ma anche nella vita interna d'impresa, attraverso dinamiche di ascolto e coinvolgimento che creano spazi per la soddisfazione di svariati bisogni e aspirazioni che gli individui riversano nella sfera lavorativa, aldilŕ di quelli retributivi. C'č empowerment del "capitale sociale" dentro e intorno all'organizzazione, ravvisabile specialmente quando le condotte d'impresa fanno leva su risorse relazionali e culturali del territorio e si legano a meccanismi di valorizzazione dello sviluppo locale. Troviamo inoltre il riconoscimento e la produzione di "valore etico" per il modo in cui una serie di principi morali (quali la trasparenza, il mantenimento degli impegni, il rispetto di diritti delle persone) costituiscono criteri ispiratori dell'attivitŕ di business e ne escono rafforzati come ingredienti primari del fare impresa. E c'č, naturalmente, produzione di valore competitivo, una capacitŕ di stare e avere successo nel mercato che si sostiene sull'intreccio di vari elementi. Uno di essi coincide con l'uso della leva economico-finanziaria come risorsa irrinunciabile per l'investimento in innovazione, piuttosto che in un'ottica di contenimento dei costi relativi a fattori di gestione - come la formazione - che possono anche rivelarsi non immediatamente produttivi. Altrettanto cruciali risultano una serie di componenti intangibili che, oltre alla gestione delle risorse umane, sono essenzialmente riconducibili a due aspetti. Il primo č lo sviluppo di know-how, in cui la conoscenza che confluisce nelle soluzioni di business č insieme tecnica e socio-culturale perché derivante dalla combinazione di cognizioni specializzate di settore, acquisite in virtů di una costante apertura alla sperimentazione, e insieme di mappe di riferimento e criteri di valutazione collegati alla cultura aziendale. L'altro fattore immateriale alla base del valore competitivo consiste nell'accentuato posizionamento di marchio, con la capacitŕ di fornire un'offerta di mercato caratterizzata da: a) forte specificitŕ rispetto ai concorrenti (distintivi contenuti tecnici di qualitŕ e professionalitŕ e soprattutto la corrispondenza alle esigenze dei clienti/consumatori e al loro cambiamento); b) bassa replicabilitŕ da parte di altri operatori, dovuta al fatto che le peculiaritŕ dell'offerta sono strettamente legate alla particolare "miscela" degli altri valori appena considerati (valore umano, risorse relazionali, know-how, ecc.). Ed č significativo notare come nelle imprese osservate questi tratti di marcata differenziazione siano stati prevalentemente costruiti attraverso pratiche di attenzione sociale non modellate su forme di CSR convenzionali o facilmente accessibili ad altri (p.es. quelle che si esauriscono nell'adozione di strumenti pur importanti quali il bilancio sociale e il codice etico); ciň che si tratti - per fare qualche esempio tratto dal campione - di offrire servizi sanitari di qualitŕ a tariffe accessibili, di supportare gli ex-dipendenti che avviano un'attivitŕ autonoma inserendoli nel proprio circuito di business o di promuovere politiche di sostenibilitŕ nel territorio offrendo alle aziende affiliate servizi tecnologici ad alta prestazione ambientale per l'edilizia. Le esperienze indagate confermano il ruolo di alcune condizioni dell'innovazione sostenibile d'impresa in vario modo giŕ indicate dalla ricerca piů recente: la precocitŕ e l'orientamento di lungo periodo degli investimenti in strategie di sostenibilitŕ, entrambi favoriti dal ruolo centrale ricoperto da istanze socio-ambientali nelle fasi iniziali dell'attivitŕ d'impresa; l'anticipazione, ovvero la possibilitŕ di collocarsi in una posizione di avanguardia e spesso di "conformitŕ preventiva" nei confronti di successive regolamentazioni pubbliche in grado di incidere seriamente sulle pratiche di settore; la disseminazione di consapevolezza interna, a partire dai livelli decisionali dell'organizzazione, intorno al significato per le strategie d'impresa di obiettivi e condotte operative riconducibili alla sostenibilitŕ; l'incorporamento strutturale degli strumenti e delle soluzioni di azione sostenibile nei core-processes organizzativi, dalla ricerca e sviluppo di prodotti/ servizi all'approvvigionamento, dall'infrastruttura produttiva al marketing. Inoltre, l'articolo individua e discute tre meccanismi che sembrano determinanti nei percorsi di innovazione sostenibile osservati e che presentano, per certi versi, alcuni aspetti di paradosso. Il primo č dato dalla coesistenza di una forte tradizione d'impresa, spesso orientata sin dall'inizio verso opzioni di significato sociale dai valori e dall'esperienza dell'imprenditore-fondatore, e di apertura alla novitŕ. Tale equilibrio č favorito da processi culturali di condivisione e di sviluppo interni della visione di business, da meccanismi di leadership dispersa, nonché da uno stile di apprendimento "incrementale" mediante cui le nuove esigenze e opportunitŕ proposte dalla concreta gestione d'impresa conducono all'adozione di valori e competenze integrabili con quelli tradizionali o addirittura in grado di potenziarli. In secondo luogo, si riscontra la tendenza a espandersi nel contesto, tipicamente tramite strategie di attraversamento di confini tra settori (p.es., alimentando sinergie pubblico-private) e forme di collaborazione "laterale" con gli interlocutori dell'ambiente di business e sociale; e al contempo la tendenza a includere il contesto, ricavandone stimoli e sollecitazioni, ma anche risorse e contributi, per la propria attivitŕ (p.es., nella co-progettazione dei servizi/prodotti). La terza dinamica, infine, tocca piů direttamente la gestione delle risorse umane. Le "persone dell'organizzazione" rappresentano non soltanto uno dei target destinatari delle azioni di sostenibilitŕ (nelle pratiche di selezione, formazione e sviluppo, welfare aziendale, ecc.) ma anche, piů profondamente, il veicolo fondamentale della realizzazione e del successo di tali azioni. Si tratta, cioč, di realtŕ organizzative in cui la valorizzazione delle persone muove dagli impatti sulle risorse umane, in sé cruciali in una prospettiva di sostenibilitŕ, agli impatti delle risorse umane attraverso il loro ruolo diretto e attivo nella gestione dei processi di business, nella costruzione di partnership con gli stakeholder e nei meccanismi di disseminazione interna di una cultura socialmente orientata. In tal senso, si distingue un rapporto circolare di rinforzo reciproco tra la "cittadinanza nell'impresa" e la "cittadinanza dell'impresa"; vale a dire, tra i processi interni di partecipazione/identificazione del personale nei riguardi delle prioritŕ dell'organizzazione e la capacitŕ di quest'ultima di generare valore molteplice e "condiviso" nel contesto (con i clienti, il tessuto imprenditoriale, le comunitŕ, gli interlocutori pubblici, ecc.). In conclusione, le imprese osservate appaiono innovative primariamente perché in grado di praticare la sostenibilitŕ in termini non solo di responsabilitŕ ma anche di opportunitŕ per la competitivitŕ organizzativa. Questa analisi suggerisce quindi uno sguardo piů ampio sulle implicazioni strategiche della CSR e invita a riflettere su come le questioni e i bisogni di rilievo sociale, a partire da quelli emergenti o acuiti dalla crisi economica (nel campo della salute, dei servizi alle famiglie, della salvaguardia ambientale, ecc.), possano e forse debbano oggi sempre piů situarsi al centro - e non alla periferia - del business e della prestazione di mercato delle imprese.
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Bernstein, Henry. "Alcune dinamiche di classe del lavoro rurale nel Sud del mondo". SOCIOLOGIA DEL LAVORO, n.º 128 (diciembre de 2012): 16–31. http://dx.doi.org/10.3280/sl2012-128002.

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Questo articolo delinea e illustra un quadro teorico per indagare le dinamiche di classe rurali del capitalismo. Idee chiave di analisi in questo contesto comprendono: (i) la mercificazione delle condizioni di riproduzione del lavoro; (ii) un cambiamento sistemico dalla coltivazione all'agricoltura nel capitalismo moderno consolidatosi a partire dagli anni settanta dell'ottocento; (iii) la piccola produzione di beni agricoli per il mercato e (iv) la differenziazione dei piccoli produttori. Queste idee sono combinate in cinque tesi sul destino molto dibattuto dei contadini nel mondo moderno che generano ulteriori concetti di "capitale agrario al di lŕ della campagna", "agricoltura al di lŕ della fattoria", e "‘lavoro rurale al di lŕ della fattoria". L'articolo conclude con l'argomento che molti di coloro definiti come "contadini" o "piccoli agricoltori", in particolare nel Sud, sono meglio compresi come una componente importante delle "classi del lavoro". Questo č illustrato con dati aggregati sull'occupazione in agricoltura e la quota di popolazione rurale adulta che svolge attivitŕ agricola per conto proprio quale attivitŕ economica primaria nelle principali regioni del Sud.
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Cavaliere, Stefania. "Prospettive giuseconomiche dell'orange economy". ECONOMIA PUBBLICA, n.º 2 (junio de 2022): 273–93. http://dx.doi.org/10.3280/ep2022-002004.

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Il lavoro intende approfondire le peculiarità della Orange economy, un nuovo tipo di economia collegata alle imprese operanti nel campo della cultura, dell'arte e della creatività, che sta avendo un importante sviluppo soprattutto negli ultimi anni. Essa postula un radicale cambio di paradigma, non solo e non tanto nel modo di approcciare l'economia stessa, bensì nel modo di considerare i sistemi di produzione e consumo di beni e servizi. Il settore in oggetto, pur dimostrando una crescita sia in termini di valore aggiunto, sia in termini di occupazione, almeno in Italia, non è ancora approdato a una disciplina organica, a causa della difficoltà di inquadrare in maniera esaustiva le attività che ne fanno parte e a causa della sua multidisciplinarietà. I policy makers, tuttavia, consapevoli delle concrete possibilità di sviluppo per il Paese e del contributo alla modernizzazione del sistema produttivo, della società e dell'industria offerte dall'Orange economy hanno sentito il bisogno di mettere a disposizione di questo comparto congrui finanziamenti, soprattutto attraverso le misure del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Ciò evidenzia come questa nuova economia potrebbe trovarsi davanti a una vera e propria svolta e contribuire a realizzare quella "crescita intelligente, sostenibile e inclusiva" voluta dall'Unione europea.
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Mazali, Tatiana. "La "cultura partecipativa" di Henry Jenkins: una riflessione empirica sui siti di social network". SOCIOLOGIA DELLA COMUNICAZIONE, n.º 40 (junio de 2010): 49–66. http://dx.doi.org/10.3280/sc2009-040005.

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I siti di social network sono spazi relazionali all'interno dei quali noi "agiamo" e "produciamo" (testi/discorsi, fotografie/ricordi, video/azioni, audio/preferenze). Il we act della dimensione performativa della vita quotidiana trova nei social networks del web uno spazio di sperimentazione e creativitŕ "produttivo-partecipativa". Il contributo dell'autrice parte dal framework della participatory culture di Henry Jenkins e inizia una riflessione originata dall'autrice all'interno del progetto PRIN "COOPERARE-Content Organization, Propagation, Evaluation and Reuse through Active Repositories", focalizzandosi sull'analisi, di tipo visuale, degli user generated contents in Flickr con specifico riferimento al dominio dei Beni Culturali italiani. L'approccio interdisciplinare, esito della collaborazione con ricercatori di area informatica, ha permesso di sperimentare nuove metodologie sia nel campionamento dei dati nel web 2.0, sia nell'analisi semiautomatica di grandi campioni di informazioni. La motivazione e la spinta che guida tale ricerca risiede nel tentativo di rintracciare dei "comportamenti" (ricorrenti o eccezionali) nella produzione di contenuti fotografici degli utenti di Flickr, attraverso un'analisi visiva di un ampio campione di contenuti fotografici. I frame teorici ai quali l'autrice si rifŕ per lo sviluppo delle ipotesi interpretative sono: le "tattiche" di Michel De Certeau, l'"habitus" di Pierre Bourdieu, le "équipe drammaturgiche" di Erving Goffman.
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Moyo, Sam. "Transizione agraria mancata e sotto-consumo in Africa". SOCIOLOGIA DEL LAVORO, n.º 128 (diciembre de 2012): 106–21. http://dx.doi.org/10.3280/sl2012-128007.

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La trasformazione agraria in Africa non č riuscita a causa di una combinazione di fattori, tra cui l'alienazione della terra che si č verificata soprattutto nell'Africa dei settler, e sta crescendo altrove, e il super-sfruttamento del lavoro agricolo nelle economie contadine dell'Africa non settler. Negli anni sessanta, l'alienazione dei terreni č stata interrotta, ma la cattiva integrazione del continente nel sistema capitalista mondiale ineguale, in particolare il sistema alimentare mondiale, č cresciuta sotto il neoliberismo dagli anni ottanta. Gli errori nelle politiche di aggiustamento si sono intensificati dopo la recente crisi finanziaria mondiale portando a un aumento di privatizzazioni e concentrazione dei terreni agricoli, anche sotto il controllo del capitale straniero. La persistenza della produzione di beni agricoli per l'esportazione ha minato la produzione alimentare per il consumo locale, mentre gli investimenti pubblici nelle tecnologie agricole sono diminuite. L'alternativa della sovranitŕ alimentare centrata su piccoli produttori autonomi richiede un intervento significativo dello stato e lo sviluppo del capitale umano, per ristrutturare il sistema alimentare e per migliorare la protezione dei consumatori e del commercio. Il caso dello Zimbabwe viene presentato come esempio di resistenza agraria al neoliberismo.
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Cherubini, Luca, Leonardo Ghezzi, Renato Panicciŕ y Stefano Rosignoli. "L'interscambio commerciale tra il mezzogiorno e il centro nord: struttura e meccanismi di propagazione degli shock". RIVISTA DI ECONOMIA E STATISTICA DEL TERRITORIO, n.º 1 (mayo de 2012): 42–86. http://dx.doi.org/10.3280/rest2012-001003.

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In questo lavoro si esaminano le interdipendenze economiche tra le diverse aree geografiche del Paese, nel periodo 1995-2006, attraverso un modello di Input- Output multiregionale. I risultati mettono in luce che la domanda di beni rivolta al Mezzogiorno produce solo in parte effetti sull'economia locale, mentre si generano significativi incrementi dell'offerta proveniente dalle altre aree geografiche e dall'estero. Per esempio, nel 2006 un aumento di 100 euro della domanda finale interna del Mezzogiorno induceva un incremento complessivo della produzione di 169 euro, di cui 97 a beneficio della produzione locale e 52 del resto dell'Italia; lo stesso aumento nel Nord-Ovest attivava una produzione totale di circa 172 euro, di cui 114 nella stessa area e circa 35 nelle altre aree del Paese. La domanda finale interna che si genera nelle singole macro-aree produce nel Mezzogiorno un saldo commerciale interregionale negativo, mentre nel Nord-Ovest genera un surplus nelle transazioni commerciali con le altre macro-aree. La dipendenza dell'economia meridionale dall'offerta del Centro-Nord non mostra variazioni di rilievo nel periodo di analisi, mentre il Nord-Est e il Centro hanno aumentato gradualmente, nel tempo, il proprio livello di integrazione produttiva e commerciale con il Nord-Ovest. La minore apertura al commercio internazionale delle regioni centrali e meridionali le rende meno vulnerabili agli shock negativi della domanda mondiale.
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Ferrari, G., G. Giovannini y A. Prinster. "Le sequenze Fast Fluid Attenuated Inversion Recovery (FFLAIR)". Rivista di Neuroradiologia 11, n.º 2 (abril de 1998): 187–92. http://dx.doi.org/10.1177/197140099801100206.

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Lo sviluppo della sequenza FLAIR è nato dalla necessità di produrre immagini che mettessero bene in evidenza le lesioni situate nelle regioni periventricolari e subcorticali dell'encefalo. Tale sequenza, derivata dall'inversion-recovery, è caratterizzata da un lungo tempo d'inversione utile ad annullare il segnale del liquor e da un TE e un TR utili per produrre a livello del parenchima un segnale dipendente dal T2. Il lungo tempo d'acquisizione della FLAIR è stato sensibilmente ridotto con l'uso della tecnica utilizzata con le sequenze fast spin-eco. La selezione e l'accoppiamento dei parametri di sequenza è oggetto di analisi e i vari produttori hanno scelto differenti ed interessanti soluzioni, privilegiando a volte un ridotto tempo d'acquisizione, altre una ponderazione T2 più marcata, con un annullamento assoluto del segnale del liquor. L'uso di questa recente sequenza è presto divenuto d'elezione per il monitoraggio delle patologie demielinizzanti multifocali. Altri impieghi, in altre patologie, sono al vaglio di molti centri e l'ampliamento delle casistiche permetterà di comprendere quali sono le opportunità e l'efficacia offerte dall'utilizzo della sequenza Fast FLAIR.
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Trotta, Emanuela. "Dall'invidia come negazione di sé e dell'altro, alla fiducia come giusta percezione di sé e riconoscimento del valore dell'altro". QUADERNI DI ECONOMIA DEL LAVORO, n.º 113 (julio de 2022): 233–43. http://dx.doi.org/10.3280/qua2021-113011.

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L'invidia nasce dal confronto con l'altro, è una dinamica sociale importante, poiché è tramite l'altro che affermiamo noi stessi. Viviamo in una società competitiva, in cui la persona non vale per quello che è, ma in relazione agli altri. Paragonarci agli altri rischia di diventare il sistema di misura delle nostre presunte mancanze. Quando cadiamo in questa trappola il confronto ci opprime e ci rende infelici. Quando ci si imbatte nel limite, la fiducia nel proprio valore si trasforma in fallimento. Quella dell'invidia è una dinamica relazionale. Perche lui sì e io no? Questa è la domanda sottesa e lacerante. Il bene dell'altro appare come uno scacco del proprio destino, una diminuizione del proprio essere. L'altro irrompe nell'universo del soggetto interrompendone le pretese, incrinandone l'autostima, rivelandone l'inferiorità. L'eccellenza dell'altro viene percepita come una svalutazione di sé. Dalla consapevolezza della nostra mancanza possono scaturire senso di inferiorità, inadeguatezza e odio per la grandezza dell'altro che ci schiaccia. Perché il confronto sia costruttivo occorre prendere coscienza della propria fragilità e imperfezione. L'accettazione di sé non è rassegnazione, ma ci rende liberi di procedere fiduciosamente verso la vita. È questa fiducia che sarà capace di innescare il cambiamento, valorizzare noi stessi, percorrendo l'unica via che porta alla felicità e alla nostra crescita e nell'ambito lavorativo si ripercuoterà sulla produttività e sull'innovazione.
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Colao, Floriana. "La proprietà fondiaria dalla bonifica integrale di Arrigo Serpieri alla riforma agraria di Antonio Segni. Diritto e politica nelle riflessioni di Mario Bracci tra proprietà privata e socializzazione della terra". Italian Review of Legal History, n.º 7 (22 de diciembre de 2021): 323–76. http://dx.doi.org/10.54103/2464-8914/16892.

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Nel Programma di Giangastone Bolla per la Rivista di diritto agrario (1922) la proprietà fondiaria era banco di prova delle «moderne trasformazioni del diritto di proprietà» – su cui Enrico Finzi – in primo luogo con la «funzione sociale». Nell’azienda agraria Bolla osservava inoltre lo spostamento dalla proprietà all’impresa; asseriva che il legame tra l’agricoltura e lo Stato imponeva allo studioso del diritto agrario l’impegno per la «ricostruzione sociale ed economica del paese». In vista della «funzione sociale» Arrigo Serpieri – dal 1923 sottosegretario di Stato all’Agricoltura – promuoveva diversi provvedimenti legislativi per la «bonifica integrale»; la politica per l’agricoltura si legava all’organizzazione dello Stato corporativo in fieri (Brugi, Arcangeli). Il Testo unico del 1933 mirava al risanamento della terra per aumentarne la produttività e migliorare le condizioni dei contadini con trasformazioni fondiarie di pubblico interesse, con possibili espropri di latifondi ed esecuzione coatta di lavori di bonifica su terre private; dal 1946 il Testo unico del 1933 sarà considerato una indicazione per la riforma agraria (Rossi Doria, Segni). Nel primo Congresso di diritto agrario, (Firenze 1935), Maroi, Pugliatti, Serpieri, D’Amelio, Bolla, Ascarelli, Calamandrei discutevano alcune questioni, in primo luogo il diritto agrario come esperienza fattuale, legato alla vita rurale, irriducibile ad un ordine giuridico uniforme; da qui la lunga durata della ‘fortuna’ dell Relazione Jacini sulle diverse Italie agrarie. In vista della codificazione civile, i giuristi rilevavano l’insufficienza dell’impianto individualistico; ponevano l’istanza di norme incentrate sul bene e non sui soggetti, fino al superamento della distinzione tra diritto pubblico e privato. I più illustri giuristi italiani scrivevano nel volume promosso dalla Confederazione dei lavoratori dell’agricoltura; La Concezione fascista della proprietà esprimeva il distacco dalla concezione liberale – con l’accento sulla proprietà della terra fondata sul lavoro (Ferrara, Panunzio) – e teneva ferma l’iniziativa privata (Filippo Vassalli). Bolla ribadiva la particolarità della proprietà fondiaria tra ordinamento corporativo e progetto del codice civile, «istituto a base privata, aiutato e disciplinato dallo Stato», con il titolare «moderator et arbiter» della propria iniziativa. Nel codice civile del 1942 la proprietà fondiaria aveva senso dell’aspetto dinamico dell’attività produttiva, senza contemplare la «funzione sociale» come «nuovo diritto di proprietà» (Pugliatti, Vassalli, D’Amelio).Dopo la caduta del regime fascista le lotte nelle campagne imponevano al ministro Gullo di progare i contratti agrari e regolare l’occupazione delle terre incolte, con concessioni pluriennali ai contadini occupanti; il lodo De Gasperi indennizzava i mezzadri. Le differenti economie delle ‘diverse Italie agrarie’ sconsigliavano una riforma uniforme (Rossi Doria, Serpieri); i riorganizzati partiti politici miravano alla ripartizione delle terre espropriate e ad indennizzi al proprietario privato, senza lesioni del diritto di proprietà. L’iniziale azione dello Stato ad erosione del latifondo, con appositi Enti di riforma, aveva per scopo la valorizzazione della piccola proprietà contadina (Segni, Bandini). Per coniugare proprietà privata ed interesse sociale nella Costituzione Mortati motivava la sua proposta di «statuizione costituzionale»; Fanfani chiedeva «un articolo che parli espressamente della terra». Il latifondo era la questione più urgente ma divisiva; Di Vittorio ne chiedeva l’«abolizione » ed Einaudi la «trasformazione», scelta che si imponeva in nome delle diverse ‘Italie rurali’; non si recepiva la proposta di una norma intesa ad ostacolare le grandi proprietà terriere. L’articolo 44 della Costituzione prevedeva una legge a imporre «obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata», al fine di «conseguire il razionale sfruttamento del suolo ed equi rapporti sociali». Bolla apprezzava la scelta di «trasformare la proprietà individuale in proprietà sociale»; Vassalli scriveva di un non originale «prontuario di risoluzione del problema agrario». Nel progetto del Ministro per l’agricoltura Segni – che riusciva a far varare una contrastata riforma agraria – l’art. 44 dettava compiti al «legislatore futuro»; la legge Sila 21 Maggio 1950, la legge stralcio del 21 Ottobre 1950 per le zone particolarmente depresse, i progetti di legge sui contratti agrari erano discussi nel Terzo congresso di diritto agrario e nel primo Convegno internazionale, promosso da Bolla, con interventi di Bassanelli, Segni, Capograssi, Pugliatti, Santoro Passarelli, Mortati, Esposito. Il lavoro era considerato l’architrave della proprietà della terra, «diritto continuamente cangiante, che deve modellarsi sui bisogni sociali» (Bolla). In questo quadro è interessante la riflessione teorico-pratica, giuridico-politica di Mario Bracci, docente di diritto amministrativo a Siena, rettore, incaricato anche dell’insegnamento di diritto agrario. Rappresentante del PdA alla Consulta nazionale nella Commissione agricoltura, Bracci si proponeva di scrivere un «libro sulla socializzazione della terra», mai pubblicato; l’Archivio personale offre una mole di appunti finora inediti sul tema. Bracci collocava nella storia la proprietà della terra, che aveva senso nel «lavoro»; la definiva architrave del diritto agrario e crocevia di diritto privato e pubblico, tra le leggi di bonifica, la codificazione civile, l’art. 44 della Costituzione, la riforma agraria, intesa come «problema di giustizia». Dal fascismo alla Repubblica Bracci coglieva continuità tecniche e discontinuità ideologiche nell’assetto dell’istituto di rilevanza costituzionale, «le condizioni della persona sono indissolubilmente legate a quelle della proprietà fondiaria». Da studioso e docente di diritto amministrativo e diritto agrario dal luglio 1944 Bracci intendeva rispondere al conflitto nelle campagne, mediando tra «fini pubblici della produzione agraria e le esigenze della giustizia sociale»; proponeva «forme giuridiche adeguate e che sono forme di diritto pubblico».
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Silvestrelli, Paola. "Problematiche socio-economiche dei processi produttivi e distributivi di beni contraffatti". ECONOMIA E DIRITTO DEL TERZIARIO, n.º 3 (mayo de 2018). http://dx.doi.org/10.3280/edt3-2017oa6264.

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Negli ultimi trenta anni è stata rilevata una consistente espansione della produzione e della distribuzione di beni contraffatti a livello globale, in concomitanza allo sviluppo delle imprese industriali del Made in Italy e alla crescente attrattività dei prodotti "di marca". Sono numerosi i settori merceologici colpiti dalla contraffazione di prodotti e di marchi, la quale si configura come un fenomeno "strutturale" degli attuali sistemi economici, coinvolgendo imprese di produzione (regolari e illegali), differenti tipologie di intermediari commerciali (soprattutto quelli abusivi) e cittadini.Il presente lavoro è diretto ad analizzare i fattori-causa e le caratteristiche tecniche, economiche e sociali della contraffazione, collegando tali variabili alle trasformazioni verificatesi nelle strutture produttive, nei sistemi di distribuzione e nei modelli di consumo del nostro Paese. A tal fine, si evidenziano le interdipendenze tra questi fenomeni e i comportamenti dei soggetti economici, alla luce dell'evoluzione del modus operandi di fare affari, indotta dalla globalizzazione economica.Si delinea così uno "schema interpretativo" del fenomeno, che appare ormai come un insieme di attività illegali non del tutto avulse dalle filiere e dai distretti produttivi. Analizzando le ripercussioni socio-economiche della contraffazione e i danni da questa provocati ai vari soggetti (imprese, lavoratori, Stato e cittadini), vengono presentati alcuni strumenti per contrastare i comportamenti illeciti delle organizzazioni criminali; ciò al fine di tutelare i prodotti Made in Italy e le strategie di investimento delle imprese virtuose italiane.
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Trimboli, Giovanni. "Vis medicatrix naturae". Journal of Advanced Health Care, 13 de agosto de 2019. http://dx.doi.org/10.36017/jahc1908-003.

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In questo elaborato, si evidenzia come il ridisegnare i vecchi Collegi o Federazioni delle professioni sanitarie in Ordini, abbia fatto bene a tutte le professioni sanitarie investendole di obblighi gestionali e competenze più precise tonificate da una adeguata formazione ma, nel contempo, anche di meriti e forte necessità sociali legate ai bisogni emergenti di una popolazione sempre più vecchia. Il pensiero medico, quindi sanitario nel complesso, si è sempre scontrato al suo interno fra un pensiero “razionalista” ed un pensiero “empirico” producendo una competizione che, alla fine, è stata produttiva facendo crescere l’operatore del settore. In questi ultimi decenni la Scienza ha modificato, dopo vittorie ma anche numerose sconfitte, la visione globale trasformatasi da un insieme di parti che interagiscono fra di loro in modo rigido ed in ambiente inanimato in qualcosa di animato, ricco di emozioni e collegato alla natura. Alla fine, si sottolinea, la visione dualistica dei dogmi creati dalla Scienza e l’osservazione della natura creata nel Cosmo, non devono stare separati ma integrarsi in un ragionamento Universale come l’emisfero destro del cervello comunica con quello sinistro o come il cielo comunica con la terra, separarli significa la fine.
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